Prof. P. Porena
a./a. 2014-2015
STORIA ROMANA
LAUREA MAGISTRALE (6 CFU)
“Da Augusto a Tiberio”
I. Poteri eccezionali durante il Triumvirato: Mecenate e le risorse di Ottaviano
T 1a. Appiano, B.C. III, 21,77 e 22,85 (44 a.C.):
I più cominciarono ad avere paura di Ottaviano, sia per la benevolenza che suo padre si era acquistato fra i
soldati e presso la plebe, sia per il favore popolare che ora gli derivava dalla distribuzione di denaro, e anche
per lo stesso patrimonio, che, ampliatosi in modo veramente eccezionale, non gli avrebbe consentito di
contenersi nei limiti di un semplice cittadino. [...] un giovinetto, entrato inaspettatamente in possesso di una
ricchezza di gran lunga eccedente la misura di un normale patrimonio privato.
(Dio XLIII, 45, 2 - 45 a.C.: i cittadini romani vollero che Giulio Cesare soltanto avesse soldati, e
amministrasse il denaro pubblico).
T 1b. Cassio Dione 49, 16, 2 (a. 36 a.C.):
Delle altre questioni, nella città (di Roma) e nel resto d’Italia, si occupò e allora e ancora per molto tempo
Gaio Mecenate, cavaliere.
Appiano, B.C. V, 112,470 (36 a.C.):
(Ottaviano) mandò di nuovo Mecenate a Roma a causa delle rivolte, e alcuni, che avevano innescato
sedizioni, furono puniti.
T 1c. Cassio Dione 55, 7, 1 (a. 8):
(Augusto) fu provato dal dolore per la morte di Mecenate [8 a.C.]. Da lui Augusto aveva ricevuto molti
benefici, soprattutto ogni volta si trovava nelle situazioni che non poteva controllare di persona, per cui,
sebbene Mecenate fosse un cavaliere, gli aveva affidato persino la supervisione della città (di Roma) per un
lungo periodo [36-30 a.C.]
T 1d. Cassio Dione 51, 3, 5-7 (a. 31 a.C.):
Ottaviano non si fidava di loro [= i soldati e gli ufficiali delle legioni di Marco Antonio congedati e rientrati
in Italia] e temeva che potessero disprezzare Mecenate, cui allora egli aveva affidato il controllo di Roma e
dell’Italia, per il fatto che era solo un cavaliere. Mandò allora Agrippa in Italia, apparentemente con un altro
incarico. A lui e a Mecenate Ottaviano diede in tutte le questioni tanta autorità, che leggeva loro anche le
lettere destinate al senato e ad altri, prima di inviarle, pronto anche a fare i cambiamenti che essi
suggerivano. Per questo essi ricevettero da lui anche un anello per poterle sigillare: infatti Ottaviano si era
fatto fare due sigilli, e di essi si servì soprattutto allora; in ognuno dei due aveva fatto incidere una sfinge
identica. In seguito vi fece incidere la propria immagine, e appose tale sigillo a tutti i documenti. [...]
Scrivendo a Mecenate, ad Agrippa, e a tutti gli altri più intimi amici, quando voleva comunicare un segreto,
Ottaviano usava, al posto della lettera adatta a formare una certa parola, quella che veniva subito dopo.
T 1e. Cassio Dione 55, 7, 6:
(Mecenate) [...] fu anche il primo a escogitare un sistema di abbreviazioni dell’alfabeto per velocizzare la
scrittura, e lo divulgò a molti servendosi del liberto Aquila.
T 1f. Plinio, Nat. Hist. 37, 4, 10:
Divus Augustus inter initia Sphinge signavit. Duas
in matris anulis eas indiscretae similitudinis
invenerat. Altera per bella civilia absente ipso
signavere amici epistulas et edicta, quae ratio
Il divino Augusto ai suoi inizi usava un sigillo
raffigurante una Sfinge: ne aveva trovate due
perfettamente simili tra gli anelli della madre. Con uno
dei due, durante le guerre civili, quando egli era
assente, gli amici sigillavano le lettere e gli editti che le
1
temporum nomine eius reddi postulabat, non inficeto
lepore accipientium, aenigmata adferre eam
sphingem. Quippe etiam Maecenatis rana per
collationes pecuniarum in magno terrore erat.
Augustus postea ad devitanda convicia sphingis
Alexandri Magni imagine signavit.
circostanze richiedevano fossero emessi a suo nome;
da cui il motto non privo di arguzia di quanti lo
ricevevano: quella Sfinge portava i suoi enigmi.
Naturalmente anche (il sigillo a forma di) rana di
Mecenate era motivo di terrore in occasione delle
raccolte di imposte. In seguito Augusto, per evitare le
ironie provocate dalla Sfinge, usò il sigillo con l’effigie
di Alessandro Magno.
T 1g. Porfirione e Acrone, Comm. in Hor. ad Carm. III, 29, 25:
Apparet illo tempore Urbis praefectum fuisse Maecenatem.
T 1h. Seneca, Ep. 114, 6:
Etiam cum absentis Caesaris partibus fungeretur (Maecenas), signum a discincto petebatur.
T 1i. Anon., Schol. Bern. ad Verg., Georg. (1, 2):
Maecenas praefectus praetorio fuit ad quem fecit Vergilius Georgica [...].
T 1L. Tacito, Ann. VI, 11, 2 (a. 32 - a proposito della praefectura urbis):
Namque antea profectis domo regibus ac mox In passato, quando i re e poi i magistrati dovevano
magistratibus, ne urbs sine imperio foret in tempus assentarsi da Roma, perché la città non restasse senza
deligebatur qui ius redderet ac subitis mederetur; comando, si sceglieva chi di volta in volta amministrasse
feruntque ab Romulo Dentrem Romulium, post ab la giustizia e prendesse decisioni negli imprevisti. Si dice
Tullo Hostilio Numam Marcium et ab Tarquinio che Romolo a tal fine avesse nominato Dentre Romulio,
che Tullio Ostilio e Tarquinio il Superbo avessero scelto
Superbo Spurium Lucretium impositos. Dein l’uno Numa marcio e l’altro Spurio Lucrezio. Più tardi i
consules mandabant; duratque simulacrum quoties consoli stessi conferivano l’incarico e di questo resta una
ob ferias Latinas praeficitur qui consulare munus parvenza ogni qual volta in occasione delle Ferie Latine si
usurpet. Ceterum Augustus bellis civilibus Cilnium sceglie qualcuno che faccia funzione di console. Poi, al
Maecenatem equestris ordinis cunctis apud Romam tempo delle guerre civili, Augusto diede la massima
atque Italiam praeposuit: mox rerum potitus ob autorità su Roma e sull’Italia a Cilnio Mecenate,
magnitudinem populi ac tarda legum auxilia sumpsit dell’ordine equestre: subito dopo, assicuratosi il potere, a
e consularibus qui coerceret servitia et quod civium causa del numero della popolazione e dell’applicazione
audacia turbidum, nisi vim metuat. Primusque lenta delle leggi, scelse fra i consolari uno che tenesse
Messala Corvinus eam potestatem et paucos intra sotto controllo gli schiavi, e quella parte della cittadinanza
che con insolenza crea disordine, se non è frenata dalla
dies finem accepit quasi nescius exercendi; tum forza. Messalla Corvino per primo esercitò questo potere,
Taurus Statilius, quamquam provecta aetate, egregie ma per pochi giorni, quasi incapace di esercitarlo ; venne
toleravit; dein Piso viginti per annos pariter probatus poi Statilio Tauro, che, sebbene molto anziano, lo gesti
publico funere ex decreto senatus celebratus est.
benissimo; lo gestì altrettanto bene per venti anni Pisone,
che ricevette per senatoconsulto un funerale pubblico.
II. I poteri di Augusto
[cfr. Dispensa 02]
T 2a. Cassio Dione LIII, 12, 1-3; 13, 1 (27 a.C.)
(Ad Augusto) fu confermato il potere (ἡγεμονία) dal senato e dal popolo (romano). [...] (Augusto) dichiarò
che non avrebbe assunto personalmente il governo di tutte le province, né avrebbe governato per sempre
quelle che eventualmente sarebbero state sotto la sua responsabilità; perciò restituì al senato quele più deboli,
in quanto libere e pacifiche da guerre in corso, e tenne per sé quelle più forti, più insicure e precarie [...]. a
parole la sua intenzione era che il senato gestisse la senza rischi la parte migliore che egli si addossasse le
difficoltà e i pericoli; di fatto che sotto questa apparenza i senatori fossero senza armi e senza capacità di
iniziativa bellica, in modo tale che egli solo fosse armato e mantenesse i soldati. [...] Cesare [...] assunse per
dieci anni il potere sulle province che gli erano state assegnate. [...] Precisò che fossero i senatori a governare
ambedue i tipi di provincia, eccetto l’Egitto.
T 2b. Cassio Dione LIII, 16, 1-3 (18 a.C.)
Di fatto Cesare stava assumendo tutto il potere (della res publica) senza limiti di tempo, dal momento che
non solo era in possesso del denaro pubblico (nominalmente aveva distinto i fondi del tesoro pubblico dal
2
suo patrimonio personale, ma in realtà a sua discrezione spendeva anche soldi dell’Erario), ma aveva anche il
comando dell’esercito. Allo scadere del (primo) decennio gli furono votati altri cinque anni (18 a.C.), poi
altri cinque (13 a.C.), dopo i quali ancora dieci (8 a.C.), più altri dieci (3 d.C.) e, per la quinta volta, altri
dieci anni (13 d.C.), così che per successione di dieci anni in dieci anni ebbe un potere monarchico a vita. Per
questo gli imperatori successivi, sebbene fossero investiti non per un periodo determinato di tempo, bensì
una sola volta e a vita, tuttavia celebravano una ricorrenza decennale, come se rinnovassero il loro potere in
quell’occasione: questa prassi è in uso ancora oggi (= ca. 230 d.C.).
T 2c. Cassio Dione LIII, 18, 4
Attualmente tutti (quei titoli: imperium, tribunicia potestas, pontificato massimo, ecc.) sono dati loro in
blocco, con la sola eccezione della censura, mentre ai tempi dei primi imperatori essi erano votati uno alla
volta a distanza di tempo.
T 2d. Cassio Dione LIII, 32, 5-6 (23 a.C.)
Il senato decretò ad Augusto il tribunato a vita (δήμαρχον διὰ βίου) e gli concesse l’autorità di portare
davanti a qualsiasi seduta senatoria qualunque questione desiderasse, anche quando non fosse in carica come
console(*); inoltre gli permise di avere l’imperium proconsolare per sempre una volta per tutte (ἀρχὴν τὴν
ἀνθύπατων ἑσαεὶ καθάπαξ), in modo da non doverlo deporre all’uscita del pomerio né riassumerlo
nuovamente(**); infine gli attribuì anche un potere sulle province superiore a quello dei magistrati ordinari di
stanza in quelle regioni. Da quel momento in poi sia Augusto sia gli imperatori successivi in una certa legge
godettero sia degli altri poteri sia della potestà tribunizia (quanto al titolo di tribuno in sé non lo portò né
Augusto, né alcun altro imperatore).
T 2e. Cassius Dio LIV, 3, 3 (22 a.C.)
(*)
(Augusto ottenne) il diritto di convocare il senato ogni qualvolta lo avesse desiderato.
[N.B.: lo ius agendi dei consoli era superiore a quello del tribuno della plebe]
T 2f. Cassius Dio LIV, 10, 5 (19 a.C.)
Poiché la popolazione (di Roma) mostrava una grande diversità di condotta nei momenti in cui il principe era
assente da Roma, e i cittadini ne approfittavano per creare disordini, e i periodi in cui era in città, quando essi
temevano la sua presenza, su iniziativa del popolo fu eletto praefectus moribus per cinque anni e assunse il
potere dei censori per quel periodo, ma ebbe anche (**) la potestà dei consoli a vita (τὴν ἐξουσίαν τῶν
ὑπάτων διὰ βίου), e la facoltà di usare sempre e ovunque dodici littori e di sedere sulla sella curule in
mezzo ai consoli in carica.
T 2g. Tabula Paemeiobrigensis (15 a.C.) (AE 1999, 915 = AE 2000, 760 - Hispania Citerior - El Bierzo):
Imp(erator) Caesar divi fil(ius) Aug(ustus) trib(unicia)
pot(estate) / VIII{I} et proco(n)s(ule) dicit: / castellanos
Paemeiobrigenses ex / gente Susarrorum desciscentibus /5
ceteris permansisse in officio cog/novi ex omnibus legatis
meis, qui / Transdurianae provinciae prae/fuerunt. Itaque
eos universos im/munitate perpetua dono; quosq(ue) /10
agros et quibus finibus possede/runt Lucio Sestio
Quirinale leg(ato) / meo eam provinciam optinente{m}, /
eos agros sine controversia possi/dere iubeo. /15
Castellanis Paemeiobrigensibus ex / gente Susarrorum,
quibus ante ea(m) / immunitatem omnium rerum
dede/ram, eorum loco
restituo
castellanos /
Aiiobrigiaecinos ex gente Gigurro/20rum volente ipsa
civitate; eosque / castellanos Aiiobrigiaecinos om/ni
munere fungi iubeo cum /20 Susarris. / Actum Narbone
Martio /25 XVI et XV K(alendas) Martias / M(arco) Druso
Li/bone Lucio Calpurnio Pisone co(n)s(ulibus).
L’imperatore Cesare Augusto, figlio del divino, durante
l’ottava potestà tribunizia ed essendo proconsole dice: Ho
appreso da tutti i miei legati, che hanno governato la
provincia Transduriana, che gli abitanti del castello di
Paemeiobriga, appartenenti alla gente dei Susarri, hanno
perseverato nel loro dovere mentre gli altri si ribellavano.
Pertanto concedo a tutti loro l’esenzione perpetua (dai
tributi) e ordino, per tramite di Lucio Sestio Quirinale,
mio legato, reggente di quella provincia, che ciascun
territorio e secondo i confini entro cui lo hanno
posseduto, quel territorio lo posseggano senza
contestazione alcuna. Agli abitanti del castello di
Paemeiobriga, appartenenti alla gente dei Susarri, ai quali
io, già prima, ho dato quell’esenzione da tutti i tributi,
sostituisco nella loro posizione (contributiva) gli abitanti
del castello di Allobrigiaecium, appartenenti alla gente
dei Gigurri, visto che lo vuole la stessa città; e ordino che
i medesimi abitanti del castello di Allobrigiaecium
adempiano a ogni obbligo contributivo insieme ai Susarri.
Redatto a Narbona Marzia il sedicesimo e quindicesimo
giorno prima delle calende di marzo durante il consolato
di Marco Druso Libone e Lucio Calpurnio Pisone.
T 2h. Augusto, Res Gestae Divi Augusti, passim (13-14 d.C.):
[1] Annos undeviginti natus exercitum privato consilio et
privata impensa comparavi, per quem rem publicam a
All’età di diciannove anni per mia decisione personale e a
mie spese ho allestito un esercito, per mezzo del quale ho
3
dominatione factionis oppressam in libertatem vindicavi.
[Ob quae] senatus decretis honorificis in ordinem suum
me adlegit, C. Pansa et A. Hirtio consulibus, consularem
locum sententiae dicendae tribuens, et imperium mihi
dedit. Res publica ne quid detrimenti caperet, me
propraetore simul cum consulibus providere iussit.
Populus autem eodem anno me consulem, cum co(n)s(ul)
uterque bello cecidisset, et triumvirum rei publicae
constituendae creavit.
[5] Dictaturam et apsenti et praesenti mihi delatam et a
populo et a senatu, M. Marcello et L. Arruntio
consulibus non acccepi. [...] Consulatum quoque tum
annuum et perpetuum mihi delatum non recepi.
[6] Consulibus M. Vinicio et Q. Lucretio et postea P.
Lentulo et Cn. Lentulo et tertium Paullo Fabio Maximo et
Q. Tuberone senatu populoque Romano consentientibus
ut curator legum et morum summa potestate solus crearer,
nullum magistratum contra morem maiorum delatum
recepi. Quae tum per me geri senatus voluit, per
tribuniciam potestatem perfeci, cuius potestatis conlegam
et ipse ultro quinquiens a senatu depoposci et accepi.
[25] [...]. Iuravit in mea verba tota Italia sponte sua, et
me belli quo vici ad Actium ducem depoposcit; iuraverunt
in eadem verba provinciae Galliae, Hispaniae, Africa,
Sicilia, Sardinia. Qui sub signis meis tum militaverint
fuerunt senatores plures quam DCC, in iis qui vel antea
vel postea consules facti sunt ad eum diem quo scripta
sunt haec LXXXIII, sacerdotes circiter CLXX.
[34] In consulatu sexto et septimo, postquam bella
civilia exstinxeram, per consensum universorum
potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in
senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo
pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum
[...]. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti,
potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui
mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt.
liberato la res publica oppressa dalla prepotenza di una
fazione. Per questo il senato con decreti onorifici mi
accolse nel suo ordine nel consolato di Gaio Pansa e Aulo
Irzio, conferendomi il diritto di dare il mio parere fra i
consolari, e mi diede un imperium. Il senato mi ordinò di
provvedere con i consoli come propretore affinché la res
publica non subisse danni. Il popolo mi elesse quell’anno
console 43 a.C., dopo che i due consoli caddero in guerra,
e mi creò triumviro per la restaurazione della res publica.
Non volli la dittatura, che mi era stata offerta, assente e
presente, dal popolo e dal senato nel consolato di Marco
Marcello e Lucio Arrunzio 22 a.C. [...] Non volli il
consolato perpetuo e annuale che mi fu offerto allora.
Nel consolato di Marco Vinicio e Quinto Lucrezio [19
a.C.] e di Publio e Gneo Lentulo [18 a.C.], poi una terza
volta di Paullo Fabio Massimo e di Quinto Tuberone [11
a.C.], quando il senato e il popolo romano erano
consenzienti nel crearmi da solo curatore delle leggi e dei
costumi con la massima potestà, non accettai alcuna
magistratura offertami contro la prassi degli antichi.
Quanto il senato volle fosse compiuto da me, lo feci in
virtù della tribunicia potestas, e per questo potere io
stesso ho chiesto e ottenuto dal senato un collega cinque
volte.
Mi ha giurato fedeltà tutta l’Italia di sua spontanea
volontà, e mi ha voluto come comandante nella guerra
che ho vinto ad Azio; le province di Gallie, Spagne,
Africa, Sicilia e Sardegna giurarono negli stessi termini.
Allora militarono sotto le mie insegne più di 700 senatori,
83 di loro erano stati o sarebbero diventati consoli e circa
170 sacerdoti fino al giorno in cui ho scritto questo.
Durante il mio sesto [28 a.C.] e settimo consolato [27
a.C.], dopo aver posto fine alle guerre civili, in possesso
del controllo totale per consenso universale, trasferii la
res publica dal mio potere alla libera disposizione del
senato e del popolo romano. Per questo merito mediante
senato consulto fui chiamato Augustus. [...] Da allora ho
superato tutti in auctoritas, ma in potestas non ebbi nulla
di più di coloro che furono miei colleghi nelle
magistrature.
T 2i. Ulpiano in Dig. I, 4, 1, pr.-1 (Ulpianus, libro primo institutionum)
Quod principi placuit, legis habet vigorem: utpote cum
lege regia, quae de imperio eius lata est, populus ei et in
eum omne suum imperium et potestatem conferat.
Quodcumque igitur imperator per epistulam et
subscriptionem statuit vel cognoscens decrevit vel de
plano interlocutus est vel edicto praecepit, legem esse
constat. Haec sunt quas vulgo constitutiones appellamus.
Quanto è gradito al principe ha la forza di una legge:
perché con una legge regale, che è promulgata
relativamente al suo imperium, il popolo gli conferisce
tutto il suo imperium e la potestas. Quanto dunque
l’imperatore ha stabito per epistola e sottoscrizione,
ovvero decretò giudicando, ovvero interrogato fuori
processo, ovvero ordinò per editto, è legge. Sono queste
che comunemente chiamiamo costituzioni.
T 2L. Gaius, Inst. I, 5
Constitutio principis est, quod imperator decreto uel
edicto uel epistula constituit. Nec umquam dubitatum est,
quin id legis uicem optineat, cum ipse imperator per
legem imperium accipiat.
È una costituzione del principe, quel che l’imperatore ha
stabilito per decreto, o editto, o epsitola. Non si è mai
dubitato che abbia valore di legge, perché lo stesso
imperatore riceve l’imperium per legge.
4
III. L’inventario del mondo
T 3a. Augusto, Res Gestae Divi Augusti, passim (13-14 d.C.):
Ampliai il territorio di tutte le province del popolo romano con le quali confinavano popolazioni riottose al
nostro comando. Ristabilii la pace nelle province galliche e ispaniche, e ugualmente nella Germania, nell'area
che costeggia l'Oceano, da Cadice allo sbocco del fiume Elba. [...] La mia flotta navigò per l'Oceano dalla
foce del Reno verso oriente fino ai territori dei Cimbri, dove né per terra né per mare alcun romano prima di
allora si era mai spinto, e i Cimbri, i Caridi, i Semnoni e gli altri popoli Germani della stessa regione chiesero
per mezzo di ambasciatori l'amicizia mia e del popolo romano. Per mio ordine e sotto i miei auspici, due
eserciti vennero guidati quasi contemporaneamente in Etiopia e nell'Arabia Felice, e vaste schiere di
entrambe le popolazioni nemiche furono uccise sul campo, e molte città furono conquistate. In Etiopia si
giunse fino alla città di Nabata, cui è prossima Meroe; in Arabia l'esercito marciò nel territorio dei Sabei fino
alla città di Mariba. Aggiunsi l'Egitto all'impero del popolo romano. Sebbene potessi fare dell'Armenia
maggiore una provincia, essendone stato ucciso il re Artasse, seguendo l'esempio dei nostri avi preferii
affidare quel regno a Tigrane [...]. Recuperai tutte le province che al di là del mare Adriatico volgono a
oriente, e Cirene [...]. Sottomisi all'impero del popolo romano, dopo averle vinte per mezzo di Tiberio
Nerone, allora mio figliastro e mio legato, le popolazioni dei Pannoni, mai raggiunte prima del mio
principato da alcun esercito del popolo romano, ed estesi i confini dell'Illirico fino alle rive del Danubio [...]
poi il mio esercito, guidato oltre il Danubio, costrinse le popolazioni dei Daci a sottomettersi agli ordini del
popolo romano. Spesso mi furono mandate dai re dell'India ambascerie, mai viste prima di allora presso
alcun condottiero romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Bastarni, gli Sciti, i re dei
Sarmati, che abitano su entrambe le rive del fiume Tanai, e i re degli Albani, degli Iberi, dei Medi.
T 3b. Strabone, Geo. XVII, 3, 24-25 (C 839-840) :
Di tutte queste regioni soggette ai Romani, alcune sono governate da re, altre i Romani le tengono loro stessi,
chiamandole province, e vi inviano governatori ed esattori di tributi ; ma ci sono anche alcune città libere, le
une sin dall’inizioassociatesi ai Romani in amicizia, le altre rese libere dai Romaniin segno di onore. Vi sono
poi alcuni dinasti e capi tribali e sacerdoti loro soggetti. Questi vivono in base alle loro leggi avite. Quanto
alle province, esse sono state divise in modi differenti nelle diverse epoche, ma al presente sono come le ha
sistemate Cesare Augusto : e infatti, dopo che la sua patria gli affidò il primato dell’impero (τὴν
προστασίαν τῆς ἡγεμονίας ) ed egli fu reso signore a vita della guerra e della pace, Augusto divise
l’intero territorio in due parti e una parte l’assegnò a se stesso, l’altra al popolo romano : a se stesso diede
quella parte che necessita di un controllo militare (ed è quella barbara e vicina a popolazioni non ancora
domate, o sterile e difficile da mettere a coltura, sicché, mancando tutto il resto, ma essendo fornita di
postazioni fortificate, morde il freno e non obbedisce), mentre al popolo romano diede l’altra parte, quella
pacificata e che si può facilmente governare senza armi. Divise poi l’una e l’altra i molte province, delle
quali le une sono dette «di Cesare», le altre «del popolo». E alle province di Cesare Cesare invia comandanti
e amministratori, dividendone le regioni in modi diversi nel tempo, e governandole sulla base delle varie
necessità, mentre nelle province del popolo il popolo manda pretori e consoli. E anche queste sono divise in
parti diverse quando la necessità lo richieda.
T 3c. Plinio, N.H. III, 17 :
Baeticae longitudo nunc a Castulonis oppidi fine
Gadis CCL et a Murgi maritima ora XXV p.
amplior, latitudo a Carteia Anam ora CCXXXIIII p.
Agrippam quidem in tanta viri diligentia praeterque
in hoc opere cura, cum orbem terrarum orbi
spectandum propositurus esset, errasse quis credat
et cum eo Divum Augustum ? Is namque conplexam
eum porticum ex destinatione et commentariis M.
Agrippae a sorore eius inchoatam peregit.
T 3d. RGDA 8, 2-4:
2. Senatum ter legi, et in consulatu sexto censum populi
conlega M. Agrippa egi. Lustrum post annum alterum et
Oggi la Betica, da Castulo a Cadice, è lunga 250 miglia, e
25 miglia in più lungo la costa da Murgi (a Cadice); la
larghezza, da Carteia all’Ana, sempre lungo la costa, è di
234 miglia. Chi può pensare che abbia fornito dati inesatti
proprio Agrippa, uomo di così grande precisione, e che
per di più si era dedicato a quest’opera con tanta cura,
volendo sottoporre all’osservazione di tutti l’intero globo
terrestre, e che con Agrippa avrebbe sbagliato anche il
divino Augusto ? Egli infatti portò a termine quel portico
che la conteneva (= la cartografia), la cui costruzione, in
base al progetto e ai commentarii di Marco Agrippa, era
stata iniziata dalla sorella di lui.
Feci tre volte la selezione del senato e nell’anno del mio
sesto consolato (28 a.C.), con Marco Agrippa come
5
quadragensimum fec[i], quo lustro civium Romanorum
censa sunt capita quadragiens centum millia et sexag[i]nta
tria millia. 3. Tum [iteru]m consulari cum imperio
lustrum [s]olus feci C. Censorino [et C.] Asinio coss., quo
lustro censa sunt civium Romanorum [capit]a quadragiens
centum millia et ducenta triginta tria m[illia. 4. Et ter]tium
consulari cum imperio lustrum conlega Tib. Cae[sare
filio] m[eo feci], Sex. Pompeio et Sex. Appuleio coss.,
quo lustro ce[nsa sunt] civ[ium Ro]manorum capitum
quadragiens centum mill[ia et n]onge[nta tr]iginta et
septem millia.
collega, feci il censimento del popolo. Dopo quarantadue
anni compii il lustro, e in occasione di questo lustro
furono censiti 4.063.000 cittadini romani. Poi una
seconda volta, sotto il consolato di C. Censorino e C.
Asinio (8 a.C.), da solo e con imperio consolare compii
un lustro, e in occasione di questo lustro furono censiti
4.233.000 cittadini romani. Un terzo lustro, con imperio
consolare e con mio figlio Tiberio Cesare come collega,
lo feci sotto il consolato di Sesto Pompeo e di Sesto
Appuleio (14 d.C.), e in occasione di questo lustro furono
censiti 4.937.000 cittadini romani.
T 3. Censimenti augustei : schema
Augusto: censo totale dei cittadini romani, comprensivo di maschi anziani, donne, bambini (Beloch-Scheidel); censo
totale dei soli patres familias (Lo Cascio). Restano sempre esclusi gli stranieri residenti in città romane e gli schiavi.
Cives romani: creazione dell’ordine senatorio, dell’ordine equestre, nomina dei patrizi, censimento decentrato nelle città
italiche e provinciali, fiscalità indiretta.
Cives peregrini: fiscalità diretta, termini dei trattati, ecc. Non abbiamo nessuna cifra della popolazione libera e servile
globale dell’Impero.
cives Romani *
4.063.000
RGDA, 8, 2
c.R. tot.
4.000.000* “Low Count”
(Scheidel)
12-14.000.000* “High
Count” (Lo Cascio)
Roma (≥500.000* liberi)
Italia:
430 città
Province: 110 colonie R.
Popolazione umana I.R.*
45-70.000.000* “LC / HC”
(15-30.000.000* schiavi)
4.233.000
4.937.000
5.984.000
ivi, 8, 3
ivi 8, 4
Tac., Ann. XI, 25, 6
c.R. tot.
6.000.000* (Scheidel) “LC”
20.000.000* (Lo Cascio) “HC”
T 3e. Suda, s.v. Apographè:
Computo. L’imperatore Cesare Augusto, scelti venti illustri personaggi, in base alla loro vita e ai loro
costumi, li inviò in tutte le province e per il loro tramite effettuò un censimento delle persone e dei beni, e
impose loro di versare una parte dei beni nel Tesoro. Questo censimento fu il primo. Coloro che lo avevano
preceduto al potere non avevano preteso nulla dai proprietari, in modo che la ricchezza era motivo di
vergogna per i possidenti ricchi.
T 3f. Cassiodoro, Variae III, 52, 6:
Ai tempi di Augusto il mondo romano fu diviso in campi e ripartito con un censimento, affinché nessuno
avesse dubbi sulla proprietà, che aveva ricevuto in cambio di una certa quantità di tributi da versare.
T 3g. Tavola di Lione (CIL XIII 1668 = ILS 212 = FIRA I2 43) linn. 72 ss. - a. 48):
In qua si quis hoc intuetur, quod bello per de/cem Se qualcuno fissa l’attenzione sul fatto che i Galli della
annos exercuerunt divom Iulium, idem opponat Comata combatterono per dieci anni contro il divino
centum / annorum immobilem fidem obsequiumque Giulio, parimenti deve considerare i cento anni di
multis trepidis re/75bus nostris plus quam expertum. incrollabile fedeltà e l’obbedienza più che sperimentate in
tante congiunture critiche per noi. Essi fornirono a mio
Illi patri meo Druso Germaniam / subigenti tutam
padre Druso, mentre sottometteva la Germania, una pace
quiete sua securamque a tergo pacem praes/titerunt, salda e sicura alle spalle grazie alla loro tranquillità, e
et quidem cum ad census novo tum opere et questo benché egli fosse stato richiamato alla guerra e
inadsue/to Gallis ad bellum avocatus esset. Quod distolto dal censimento, operazione nuova e inconsueta
opus quam ar/duum sit nobis, nunc cum maxime, per i Galli. Quanto sia difficile questa operazione, ora
quamvis nihil ultra, quam / ut publice notae sint soprattutto, benché a null’altro sia diretta se non a far
facultates nostrae, exquiratur, nimis / magno conoscere pubblicamente le nostre risorse finanziarie,
l’abbiamo appreso fin troppo bene con grande impegno.
experimento cognoscimus.
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