Scheda di inquadramento storico Il passaggio dalla repubblica al principato Il I sec. a.C., l’’ultimo secolo della repubblica, fu insanguinato da conflitti sociali e guerre civili. L’uomo che riuscì a concludere i conflitti e a riportare la pace fu Ottaviano Augusto (63 a. C. – 14 d. C.), figlio adottivo e successore di Giulio Cesare. Egli, dopo aver sconfitto l’unico suo rivale davvero pericoloso, ossia Marco Antonio (battaglia di Azio, 31 a. C.), seppe cogliere ogni occasione militare e, soprattutto, politica per accentrare su di sé prestigio e potere, senza mai, però, istituire ufficialmente un regime monarchico; tale cautela gli veniva suggerita dal persistere di una certa incompatibilità della monarchia con la mentalità romana, incompatibilità che, solo qualche anno prima, aveva determinato la morte di Giulio Cesare, sospettato, appunto, di voler instaurare il regno. Pertanto, Ottaviano consolidò il proprio potere anche attraverso una serie di gesti politici, che volevano essere simbolici e, nello stesso tempo, sostanziali; tre i più significativi: nel 27 a. C., dopo aver abrogato tutte le misure adottate nel precedente periodo triumvirale, egli restituì ufficialmente il potere al senato e al popolo di Roma. Contestualmente, però, ottenne dal senato il titolo di Augustus, Tale cognomen era particolarmente significativo: esso è legato alla medesima radice del verbo augeo, “accrescere”, azione in origine legata all’idea di un potere sacrale (quello divino, o quello del re-sacerdote) che permette e garantisce la crescita delle messi, degli animali, degli uomini. La connotazione del titolo Augustus è pertanto legata alla sfera del sacro: in senso passivo, è augusta una cosa, un luogo o una persona che ha ricevuto un augurium favorevole, che è dunque “garantito” dall’approvazione divina, e in quanto tale è venerabile; in senso attivo, è augustus colui che ha il potere di “garantire” la crescita e di dare presagi favorevoli. Pertanto è Augustus chi possiede l’auctoritas, “autorevolezza”, termine che definisce in astratto questo tipo di potere sacrale, extra-istituzionale: mentre chi occupa una magistratura ottiene gli imperia (di tipo militare) e le potestates (di tipo civile) ad essa connesse, l’auctoritas è legata al carisma personale di chi la detiene. Nel 23 a. C. Augusto rinunciò al consolato, ricoperto senza interruzioni dal 31, e ricevette la tribunicia potestas e l’imperium proconsulare maius et infinitum: in sostanza, la potestas gli consentiva di bloccare le delibere del senato e, di fatto, di guidare la politica interna, mentre l’imperium gli conferiva la facoltà di governare le province e di gestire la politica estera. Nel 12 a. C. Augusto fu eletto pontifex maximus: veniva sancito, così, definitivamente il carattere sacrale del nuovo dominio. La propaganda augustea Per realizzare le riforme che modificavano le istituzioni repubblicane in monarchiche, era necessario ad Augusto costruire una base di legittimazione per il proprio straordinario potere, che lo ribadiamo, non aveva una base istituzionale. Egli si proponeva, con una palese contraddizione linguistica, come primus inter pares, “primo fra uguali” e i Romani mantenevano l’illusione di vivere ancora in una res publica, anziché nella res unius, “il principato (lett. “la cosa di uno solo”)”. A tale scopo, egli consolidò la sua immagine ed il suo dominio attraverso una attenta e consapevole operazione di propaganda politica, utilizzando tutti gli strumenti che la società di allora aveva a disposizione come mass media. Augusto intese diffondere l’idea che egli aveva assunto il potere per unanime consenso degli ordines, senato, equites e popolo che costituivano la comunità civica (consensus universorum); che il suo governo aveva riportato la pace in tutti i territori civilizzati (ossia, romani) e che, anzi, aveva i caratteri della primitiva età dell’oro; egli insistette sulla restaurazione delle tradizioni nazionali italiche, in campo morale e religioso, focalizzando l’attenzione sull’elogio del contadino – soldato di antica memoria e sulle sue virtù, quali la frugalità, la semplicità, la purezza dei costumi. I Romani dovevano sentirsi solidali col proprio princeps, “primo cittadino” e “guida”, e nel contempo fieri di far parte della nazione che aveva una missione voluta dagli dei e dal fato: civilizzare il mondo. Diversi furono gli strumenti con cui Augusto realizzò la propria campagna di acquisizione del consenso: favorì l’urbanizzazione ed il potenziamento della rete viaria, in tutto il territorio romano. Roma stessa fu abbellita e, come dice lo storico Svetonio (ca. 70 - 140 d. C.), l’imperatore poté vantarsi di aver trasformato in marmo ciò che aveva trovato di mattoni; diffuse monete che riportavano immagini celebrative della sua azione politica e militare, come, ad esempio, Augusto nell’atto di aiutare la res publica, raffigurata come una donna, a risollevarsi; Augusto che porta la corona di quercia conferitagli ob cives servatos, “per aver salvato i cittadini”; ecc.; promosse la costruzione di elementi architettonici che testimoniassero la grandezza del suo impero, come archi di trionfo o altari della pace (interessante è l’ara pacis augustae, costruita fra il 13 ed il 9 a. C., per celebrare la pace raggiunta in tutto l’impero romano: oltre alle immagini floreali, di fecondità e di serenità campestre, vi si trovano raffigurate anche scene mitologiche, inerenti l’origine di Roma, fra cui spicca Enea che, con il capo velato, sacrifica ai Penati); fece collocare nella maggior parte delle città romane statue che lo raffiguravano o secondo il modello di imperator, cioè nelle vesti di comandante dell’esercito, nell’atto di arringare le truppe (si tratta del cosiddetto “Augusto di Prima Porta”, giovane, vigoroso e sereno) o con i tratti sacrali del pontifex, col capo velato, più anziano e ieratico; favorì l’arte come mezzo di elevazione morale e educazione “politica” del popolo. In particolare, Augusto protesse lo sviluppo della nuova produzione letteraria che andava a poco a poco nascendo nel cosiddetto “circolo di Mecenate”. Vale la pena soffermarci proprio su quest’ultimo punto. Mecenate, originario di una nobile famiglia etrusca, era un eques legato ad Augusto da devozione ed amicizia; egli, senza mai ricoprire un incarico ufficiale, fu, in un certo senso, il consigliere dell’imperatore e colui che organizzò il consenso di molti scrittori, come, ad esempio, Virgilio, Orazio e Livio. Augusto non amava l’adulazione personale troppo evidente e, pertanto, pare che non si sia mai spinto ad esercitare vere e proprie pressioni sugli artisti (in sostanza, agì in modo cauto, così come faceva in politica); d’altro canto, si può realisticamente ipotizzare che, dopo un secolo di laceranti guerre civili, si verificasse una sincera concordanza fra l’ideologia augustea, che esaltava la pace e la restaurazione della moralità tradizionale, e gli ideali poetici degli intellettuali “protetti” da Mecenate. Mecenate, appunto, si circondò di letterati, finanziati col suo patrimonio personale, ma legati a lui anche da vincoli di amicizia; le opere degli artisti del circolo erano caratterizzate da un forte contenuto ideologico: il Carme Secolare di Orazio, ad esempio, è un inno alla potenza romana e al governo di Augusto (in effetti, questo inno fu proprio commissionato dall’imperatore, in occasione di feste solenni, i ludi saeculares del 17 a. C.); l’Eneide di Virgilio celebra le origini divine di Roma (nonché della gens Iulia, cui Augusto apparteneva) e la sua missione civilizzatrice; la storia di Roma Ab urbe condita di Livio contribuisce all’idealizzazione dell’antica Roma e a produrre modelli di virtù morali e politiche, conformi al programma di Augusto. Tuttavia, per completare il quadro appena tracciato non sarà inutile aggiungere un elemento un po’ dissonante: il poeta Ovidio, che faceva parte dell’entourage di Mecenate, al culmine della sua fama fu esiliato da Augusto, probabilmente a causa del contenuto di una sua opera, l’Ars amatoria, ritenuta immorale; nonostante le suppliche, Ovidio non poté più tornare a Roma e morì in esilio. Le res gestae Divi Augusti Conformemente a questo programma di legittimazione del proprio potere, Augusto redasse in prima persona le Res Gestae Divi Augusti (“Le imprese del divino Augusto”), noto anche col nome di Monumentum Ancyranum (dalla città di Ankara, in Turchia, dove ne fu trovata una copia): si tratta di un’opera di schietta propaganda ideologica e politica, in cui l’imperatore, con uno stile asciutto ed energico, giustifica le proprie scelte nei confronti dei cesaricidi e, poi, di Antonio; quindi, chiarisce con una certa cura l’origine del proprio potere, sottolineando che esso deriva dalla volontà del popolo e del senato romano e non da un atto di forza. Vediamo come Augusto descrive alcuni momenti importantidel suo percorso politico (34-35): Durante il mio sesto e settimo consolato, dopo aver placato le guerre civili, avendo ottenuto per consenso universale (per consensum universorum) il controllo di tutti gli affari di Stato, trasferii il governo della repubblica dal mio potere alla volontà del senato e del popolo romano. Per questa mia benemerenza, con decreto del senato ebbi l’appellativo di Augusto e la porta della mia casa fu ornata pubblicamente di alloro e sull’entrata fu affissa una corona civica; nella curia Giulia fu posto uno scudo d’oro con una iscrizione attestante che esso mi veniva offerto dal senato e dal popolo romano in riconoscimento del mio valore, della mia clemenza, della mia giustizia, della mia pietà. Da allora in poi fui superiore a tutti in autorità (auctoritate omnibus praestiti), sebbene non avessi un potere maggiore (potestatis autem nihilo amplius habui) di tutti gli altri che mi furono colleghi nelle magistrature. Mentre esercitavo il mio tredicesimo consolato, il senato e l’ordine equestre e tutto il popolo romano mi chiamarono Padre della Patria. In realtà, gli storici hanno ben presto corretto l’immagine idealizzata di Augusto e del suo principato, che l’efficace e martellante propaganda aveva modellato secondo i voleri dell’imperatore. Già nel I secolo d. C., lo storico Tacito nei suoi Annales dà un’immagine di Augusto ben diversa da quella del pater patriae, clemente e pius. In Ann. I 10, infatti, egli sostiene che l’azione politica di Augusto era stata guidata dalla bramosia di potere (cupido dominandi) fin da quando era giovanissimo; che aveva carpito il consolato contro la volontà del senato (invito senatu); che aveva ingannato tutti gli uomini politici cui si era avvicinato per allearsi; infine, che la pace che aveva garantito a Roma era intrisa di sangue: Pacem sine dubio post haec, verum cruentam, “Certo, dopo questi fatti s’era avuta la pace, ma una pace insanguinata”.