Handout 13 Storia romana A

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Anno accademico 2015/2016
Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale
Insegnamento di Storia romana A
Handout n. 13
I. POTERI DEL PRINCEPS E DEL SENATO
1. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 38.11.1
[189 a.C.] Gli Etoli finalmente riuscirono ad accordarsi sulle condizioni di pace; e furono le seguenti: «il
popolo degli Etoli riconoscerà lealmente il potere (imperium) e la maestà (maiestas) del popolo romano;
non lascerà passare per il suo territorio alcun esercito che marci contro i suoi amici e alleati (socii
amicique), né lo aiuterà con alcun mezzo; avrà gli stessi nemici del popolo romano e porterà le armi
contro di loro, facendo la guerra d’intesa coi Romani […]». Riguardo alla somma in denaro da pagare e
alle relative rate […] fu concordato che se invece di argento preferivano dare oro, potevano darlo,
purché una moneta d’oro equivalesse a dieci d’argento.
2. Le gesta del Divo Augusto 1-35
Praef. Qui sotto è esposta una copia dell’elenco originale degli atti compiuti (res gestae) dal divo Augusto,
con i quali sottomise il mondo al potere del popolo romano (orbem terra[rum] imperio populi Romani
subiecit) […].
1. All’età di diciannove anni misi insieme per mia iniziativa personale e a mie spese (privato consilio et
privata impensa) un esercito, per mezzo del quale restituii lo Stato oppresso dalla tirannia di una fazione
alla libertà. Per questo motivo il senato […] con decreti onorifici mi ammise a far parte del suo ordine
consentendomi di avere diritto di parola in qualità di consolare […]. Il popolo poi nel medesimo anno
mi creò console […].
4. Due volte ebbi un’ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli e fui acclamato ventuno volte
imperator, sebbene il senato deliberasse un maggior numero di trionfi, che tutti declinai. […] Ero stato
console tredici volte quando scrivevo queste memorie ed ero per la trentasettesima volta rivestito della
potestà tribunizia.
5. Non accettai la dittatura […]. Non mi sottrassi invece, in una estrema carestia di cereali, ad accettare
la sovrintendenza dell’annona (curatio annonae), che ressi in modo tale da liberare in pochi giorni dal
timore e dal pericolo immediato l’intera città, a mie spese e con la mia solerzia. Anche il consolato,
offertomi allora annuo e a vita, non accettai.
6. Benché il senato e il popolo romano decidessero all’unanimità che fossi nominato, da solo e con
potere illimitato, controllore delle leggi e dei costumi (curator legum et morum), non accettai nessuna
magistratura che mi fosse offerta in contrasto con le tradizione dei padri (contra morem maiorum).
7. Fui uno dei triunviri per riordinare lo stato per dieci anni consecutivi. Fui principe del senato, per
quarant’anni […]. Fui pontefice massimo, augure, quendecemviro addetto ai riti sacri, settemviro
epulone, fratello arvale, sodale tizio e feziale.
8. Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del senato.
Tre volte procedetti a un’epurazione del senato. Durante il sesto consolato feci il censimento della
popolazione, avendo come collega M. Agrippa. […] In questo censimento furono registrati quattro
milioni sessantamila cittadini romani […].
10. Il mio nome, per senatoconsulto, fu inserito nel carme Saliare e fu sancito per legge che fossi
inviolabile (sacrosanctus) per sempre e che avessi la potestà tribunizia a vita. Rifiutai di diventare
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pontefice massimo al posto di un mio collega ancora in vita, benché fosse il popolo a offrirmi questo
sacerdozio […]. E questo sacerdozio accettai qualche anno dopo.
14. I miei figli […] Gaio e Lucio Cesari, in mio onore il senato e il popolo romano designarono consoli
all’età di quattordici anni, perché rivestissero tale magistratura dopo cinque anni. […]
15 Alla plebe di Roma pagai in contanti a testa trecento sesterzi […] e a mio nome diedi quattrocento
sesterzi a ciascuno, provenienti dalla vendita del bottino delle guerre, quando ero console per la quinta
volta. […] Quando rivestivo la potestà tribunizia per la diciottesima volta ed ero console per la
dodicesima volta diedi sessanta denari a testa a trecentoventimila appartenenti alla plebe urbana.
17. Quattro volte aiutai l’erario con denaro mio, sicché consegnai centocinquanta milioi di sesterzi a
coloro che sovrintendevano all’erario […].
19. Costruii la curia [...], il tempio di Apollo sul Palatino con portici, […] il tempio del divo Giulio […],
il Lupercale […].
20. Restaurai il Campidoglio e il teatro di Pompeo, l’una e l’altra opera con grande spesa, senza apporvi
alcuna iscrizione del mio nome. […] Console per la sesta volta, restaurai nella città, per volontà del
senato, ottantadue templi degli dèi […].
21. Su suolo privato costruii il tempio di Marte Ultore e il foro di Augusto col bottino di guerra. […]
22. Tre volte allestii uno spettacolo (munus) gladiatorio […] e in questi spettacoli combatterono circa
diecimila uomini. […] Allestii giochi (ludi) a mio nome quattro volte, invece al posto di altri magistrati
ventitré volte. In nome del collegio dei quindecemviri, come presidente (magister) del collegio[…],
celebrai i Ludi Secolari […]. Allestii per il popolo ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti,
cacce (venationes) di belve africane, nel circo o nel foro o nell’anfiteatro, nelle quali furono ammazzate
tremilacinquecento belve. […]
26. Allargai (auxi) i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti
popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le province delle Gallie e delle Spagne,
come anche la Germania, nel tratto che confina con l’oceano, da Cadice alla foce del fiume Elba. Feci sì
che fossero pacificate le Alpi, dalla regione che è prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, senza aver
portato guerra ingiustamente (per iniuriam) a nessun popolo.
27. Aggiunsi l’Egitto all’impero del popolo romano. Pur potendo fare dell’Armenia maggiore una
provincia dopo l’uccisione del suo re Artasse, preferii, sull’esempio dei nostri antenati (maiorum nostrorum
exemplo), affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavasde e nipote del re Tigrane. […]
34. Durante il mio sesto e settimo consolato, dopo aver estinto le guerre civili, avendo conseguito tutto
il potere attraverso il consenso di tutti (per consensus universorum), trasferii il governo dello Stato dalla mia
potestà al libero volere del senato e del popolo romano. E per questo mio merito con decreto del
senato fui denominato Augusto […] Dopo di allora fui superiore a tutti per autorità (auctoritate omnibus
praestiti), ma non ebbi per nulla più potere (potestatis autem nihilo amplius habui) di tutti gli altri che mi
furono colleghi in ciascuna magistratura.
35. Mentre esercitavo il tredicesimo consolato, il senato e l’ordine equestre ed il popolo romano tutto
quanto mi proclamarono Padre della patria (pater patriae) […].
3. Cassio Dione, Storia romana 53.2-12
[Augusto] volle dare mostra di magnanimità nell’intento di ricevere […] un maggior credito: sua
intenzione era infatti di fare in modo che fosse il popolo ad accordargli spontaneamente la monarchia,
per evitare di dare l’impressione di averla invece costretta contro la sua volontà. Perciò, dopo essersi
garantito l’appoggio dei senatori a lui fedeli, si presentò di fronte al senato nel giorno dell’assunzione
del suo settimo consolato, e lesse questo discorso: «[…] Come voi stessi vedete, ho la possibilità di
esercitare il mio potere su di voi per tutta la vita […]. Ho il controllo degli eserciti, che sono al massimo
della lealtà e della preparazione bellica, ho a mia disposizione denaro e alleati e, punto di fondamentale
importanza, sia voi che il popolo siete così favorevoli nei miei confronti da desiderare appieno che sia
io solo a governarvi. Tuttavia non rimarrò oltre alla vostra guida, né alcuno avrà il pretesto per dire che
le decisioni precedentemente prese da me siano frutto di una politica autocratica; anzi, rifiuto
integralmente il potere e vi restituisco il tutto – gli eserciti, le leggi e le province –, […] affinché siano i
fatti stessi a provarvi che non ho mai ambito alla monarchia […]. Non avrei certo voluto assumere un
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ruolo così importante come ho fatto […] ma poiché la casualità della sorte vi ha condotti nella
condizione sia di aver bisogno di me, nonostante fossi ancora giovane, sia di mettermi alla prova, ho
agito col massimo impegno […]. Da queste vicende non ho tratto alcun vantaggio personale, tranne il
fatto di aver salvaguardato la sopravvivenza della patria mentre voi, invece, avete tratto il beneficio di
vivere sicuri e tranquilli […]. Non meravigliatevi della mia proposta, dal momento che vedete inoltre la
mia moderazione, la mia mitezza, la mia predisposizione alla tranquillità, e poiché vi rendete conto del
fatto che non ho mai accettato alcun privilegio eccessivo […]. Non faccio queso discorso per vantarmi,
ma […] chi potrebbe essere più magnanimo di me, per non menzionare mio padre defunto? Quale
uomo più investito della divina provvidenza si potrebbe trovare se non me […]? […] Se Orazio, Muzio,
Curzio, Regolo e i Deci furono disposti a rischiare la vita e a morire per conseguire la fama di aver fatto
qualcosa di importante e di nobile, come non potrei allora desiderarlo maggiormente io, dal momento
che nella mia vita supererò in gloria non solo costoro ma, al tempo stesso, il resto dell’umanità? […].
È proprio a voi, che siete i migliori cittadini e gli uomini più saggi, che affido la gestione dell’intero
patrimonio pubblico: del resto non adotterei il sistema di governo che ho appena menzionato [i.e. la
monarchia], neppure se dovessi morire diecimila volte […]. Per queste ragioni preferisco ritirarmi a vita
privata mantenendo una buona fama piuttosto che assumere la monarchia e correre dei rischi. La
politica potrebbe essere gestita molto meglio quando è amministrata da molte persone insieme, e non
quando è affidata alle decisioni di uno solo […]». Sia durante la lettura del discorso sia dopo la
conclusione, i senatori lo acclamavano grandemente, chiedendo con insistenza un governo monarchico
e sostenendo ogni argomento a favore di esso, finché non lo costrinsero ad assumere il potere assoluto.
[…] In questo modo, dunque, gli venne riconosciuta l’egemonia […].
4. Svetonio, Vita di Augusto 7.2
Bambino, gli fu messo l’appellativo di Thurinus, o in ricordo dell’origine dei suoi avi, o perché nella zona
di Turii, quando lui era appena neonato, suo padre Ottavio aveva condotto felicemtne l’azione contro
gli schiavi fuggiaschi […]. Da Marco Antonio, nelle sue lettere, è spesso chiamato sprezzantemente
Thurinus […]. Poi assunse il il nome di C. Cesare e successivamente quello di Augusto, l’uno in forza del
testamento del prozio materno, l’altro per iniziativa di Munazio Planco: alcuni proponevano che lo si
chiamasse Romolo in quanto anche lui, in certo modo, fondatore di Roma; ma prevalse l’idea di
chiamarlo piuttosto Augusto, con un appellattivo non solo nuovo, ma anche più pomposo, perché
anche i luoghi venerandi (religiosa) nei quali, dopo una cerimonia augurale, si consacra qualcosa, sono
chiamati augusti, da auctus (‘propizio, favorevole’) […] Lo insegna anche Ennio quando scrive «Dopo
che Roma fu fondata con presagio propizio (augusto augurio)».
5. Tacito, Annali 1.1-4
Ai primordi, Roma appartenne ai re. Lucio Bruto introdusse la libertà e il consolato. […] La
dominazione di Cinna e Silla non ebbe lunga durata; la signoria di Crasso ben presto passò a Cesare, le
forze armate di Lepido e di Antonio ad Augusto; questi con il titolo di principe (princeps) assunse il
potere supremo (imperium). […] Deposto il titolo di triumviro, agiva da console; pago della carica di
tribuno a tutela della plebe, egli si propiziò le truppe con donativi, il popolo con distribuzioni
annonarie, tutti con le dolcezze dell’otium. Poco a poco cominciò a trarre a sé le funzioni del Senato, dei
magistrati, delle leggi; non gli si opponeva nessuno perché i più fieri erano caduti in battaglia o vittime
delle proscrizioni, i nobili rimasti venivano elevati in ricchezze e onori quanto più erano disposti a
servire; e preferivano la sicurezza del presente ai rischi del passato. Né si opponevano le province al
nuovo regime (status), poiché quello che era stato il governo del Senato e del popolo ispirava diffidenza
per la discordia tra i grandi e la cupidigia dei magistrati; né era più valida la tutela delle leggi, sovvertite
dalla violenza, dalla corruzione, infine dalla potenza del denaro.
Augusto inoltre, per consolidare la sua signoria, conferì la carica di pontefice e l’edilità curule al figlio di
sua sorella, Claudio Marcello, poco più che adolescente; il consolato per due volte di seguito a M.
Agrippa, di oscuri natali, ma prode in guerra e compagno nella vittoria; alla morte di Marcello, ne fece
suo genero; conferì il titolo di imperator ai figliastri, Druso e Tiberio […]. Sovvertito dunque
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l’ordinamento della città (verso civitatis statu), dell’antico e retto costume (priscus et integer mos) nulla restava.
Tutti, tramontata ormai l’eguaglianza, aspettavano gli ordini del principe.
6. Corpus Inscriptionum Latinarum VI.930
[…] [A Vespasiano] sia lecito condurre trattati (foedera) con chiunque voglia, come fu lecito al divo
Augusto […] e a Tiberio Claudio […].
Che gli sia lecito convocare il senato, presentarvi una proposta di legge o rigettarla e far passare un
senatoconsulto a seguito di deliberazione e di votazione […], come fu lecito al divo Augusto […] e a
Tiberio Claudio […].
Che nelle elezioni si tenga conto, al di fuori dell’ordine normale, dei candidati che egli avrà
raccomandato (commendaverit) al senato e al popolo romano per una magistratura, per una carica, per un
imperium o per una curatela e ai quali avrà dato e promesso il suo sostegno.
Che egli abbia il diritto e il potere (ius potestasque) di fare e compiere qualunque cosa per l’utilità e la
grandezza (maiestas) dello Stato, nelle questioni divine e umane, pubbliche e private, come fu lecito al
divo Augusto, a Tiberio e a Claudio […].
Che gli atti, le azioni, i decreti, gli ordini da parte dell’imperatore Cesare Vespasiano Augusto, o da
chiunque lo abbia fatto su suo ordine o comando prima della votazione di questa legge, ciò sia legittimo
e ratificato, come se fosse avvenuto per ordine del popolo o della plebe.
7. Gaio, Istituzioni 1.5
Costituzione del principe è ciò che l’imperatore stabilisce con decreto (decretum), editto (edictum) o lettera
(epistula). Mai si è dubitato che ciò tenga luogo di legge, dato che l’imperatore è investito dell’imperium per
legem.
8. Ulpiano, in Digesto di Giustiniano 1.4.1
Ciò che stabilisce il princeps ha valore di legge.
9. Ulpiano, in Digesto di Giustiniano 1.3.31
Il princeps è svincolato dalle leggi (legibus solutus).
10. Tacito, Storie 2.91.3
[69 d.C.] Una volta Prisco Elvidio, pretore designato, aveva espresso un’opinione contraria a quella da
lui appoggiata. Dapprima Vitellio ne fu turbato […]: cercando poi di ammansirlo gli amici, i quali
temevano che la sua ira fosse più profonda di quanto appariva, egli rispose che non era cosa nuova se
due senatori si trovavano in disaccordo su una questione di governo”.
11. Gaio, Istituzioni 1.4
Senatoconsulto è ciò che prevede e stabilisce il senato, e tiene il luogo di legge (legis vicem optinet).
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