tutto ciò che vi riguarda

annuncio pubblicitario
La pasticceria
La televisione
Gli chef
Ritorna
il piacere
dei dolci
fatti in casa
L’abbuffata
di trasmissioni
e show culinari
brucia l’audience
“Valorizziamo
i prodotti
del territorio
a chilometro 0”
A PAGINA 6
COMAZZI A PAGINA 15
ALLE PAGINE 12 e 13
FamigliaCIBO
&
ESTATE/AUTUNNO 2015
TUTTO CIÒ CHE VI RIGUARDA
L’evento
Il menu più grande del mondo all’Expo
La tendenza Hotel su misura per vegani e vegetariani
PAGINA
6
9
PAGINE
10 e 11
La
cucina
del terzo
millennio
ROCCHI BALBI ALLE PAGINE 2 e 3
2 CIBO
Le cucine.
Funzionalità,comodità e un design quasi
esclusivo. Il locale più frequentato della
casa ha rivalutato l’esigenza di avere
confortevoli spazi di aggregazione.
Anche a costo di“invadere”il salotto
La cucina evade
dalle quattro mura
in cui è vissuta
Il glossario
L’ISOLA
Mobile d’arredo per la
cucina che viene
posizionato senza alcun
appoggio a parete, può
essere dotato di
elettrodomestici, piano
cottura o lavello
LA PENISOLA
Base o piano bifacciale
e sporgente da altri
mobili o parete, può
essere adattabile a
tavolo o zona cottura,
anche con mensole
sospese a soffitto
IL FILO TOP
Lavello o piano cottura
che, una volta
incassato, si allinea in
altezza al piano lavoro
cucine, senza dislivello.
Bello da vedere, ma non
esente da imperfezioni
IL MASSELLO
Legno allo stato puro,
naturale al 100%, che
normalmente nelle
cucine viene usato solo
nei telai delle ante
classiche, profili dei
piani, cornici e simili
IL CORIAN
Materiale sintetico
(triidrato e resina), ha
rivoluzionato il mercato
dei piani cucina, con gli
stessi pregi dei piani in
pietra, resistente al
calore, alla luce, agli urti
L’INCASSO
Termine riferito agli
elettrodomestici
predisposti per essere
inseriti nei mobili. Tutti i
produttori di cucine ed
elettrodomestici adottano
le stesse misure
OPEN SPACE
Il locale cucina del terzo millennio
assume sempre più le dimensioni
di un open space, un vasto spazio
aperto che si trasforma in living room
Il“tinello”del terzo millennio
è più ricercato nei materiali
e sa diventare una zona living
EZIO ROCCHI BALBI
F
unzionalità, comodità
e un design quasi
esclusivo. Forse l’ordine
d’importanza
non è questo, ma questi sono i requisiti principali
oggi richiesti al “locale” cucina,
che sempre più spesso evade
dalle quattro mura in cui è
sempre vissuta, intersecandosi
con la zona living. E senza perdere - anzi, ha rivalutato - l’esigenza di avere un luogo sempre più di aggregazione, uno
spazio in cui riunire famiglia e
amici per vivere insieme i momenti dei pasti in armonia,
comfort e benessere. Insomma,
se non il più vissuto, uno degli
spazi più abitati di tutta la casa.
“La cucina fa ambiente, fa
gruppo; e una cucina efficiente
deve possedere precise qualità:
funzionalità, comodità e un design di gran classe - spiega Maristella Giudici, architetto d’interni dello showroom Il Piccolo
di Lugano -. E forse è meglio
che non ci sia una vera e propria tendenza nello stile, visto
che è richiesta sia nel modello
lineare, a elle, con isola o penisola. Al di là della composizione, però, oggi c’è molta più ri-
cerca dei materiali, della personalizzazione. Per i ripiani, quindi, si va dalla pietra all’acciaio,
di design, ma forse non è il più
pratico per lavorarci, fino al
‘corian’, materiale hi-tech in un
mix di resine praticamente indistruttibile. Molta attenzione
ai dettagli, e non solo nella
scelta degli elettrodomestici da
incastonare. Anche il forno, ad
esempio, deve avere qualcosa
di esclusivo come La Cornue
che soddisfa sia l’estetica che
la funzionalità; e chi prende un
forno come questo è perché lo
vuole usare, sarebbe uno spreco solo per bellezza”.
Tutti d’accordo, comunque,
sul fatto che anche particolari,
strumenti e accessori, riuniti in
un progetto coerente, contribuiscono a disegnare e realizzare una cucina in grado di offrire
il miglior comfort ed efficienza,
che si misurano spesso anche in
termini di tecnologia. Non a caso, infatti, l’arredamento di cu-
Uno spazio che va
arredato con gusto ed
eleganza, ma senza
trasformarlo in locale
da esposizione
cina è quello che richiede il
maggior apporto di un consulente in fase di progettazione.
“Proprio perché è uno dei locali
più vissuti ed è un ambiente
destinato a durare a lungo c’è
molta attenzione alla progettazione - conferma Diego Ricottone, architetto d’interni di Arredamenti Bernasconi a Mendrisio -. È curioso, comunque, notare che al di là delle mode il
concetto di cucina non cambia,
anche se oggi si tende ad ottenere il massimo della funzionalità, e anche i clienti di medioalto livello privilegiano materiali non impegnativi a favore di
soluzioni a prova di usura e di
danno. Per quanto belli si tendono ad escludere, quindi, i
marmi, i graniti, le finiture di
pregio ma delicate. Arredare sì
questo spazio con gusto ed eleganza, ma senza trasformarlo
in un locale da esposizione, vulnerabile alla prima macchia
d’olio. Dopo il boom il concetto
d’isola è un po’ superato, si bada più alla praticità è c’è una
varietà d’offerta tale che si può
creare un ambiente per vivere
la quotidianità in totale libertà
pur concedendosi alte prestazioni”. Tutti gli operatori specializzati del settore, in ogni ca-
so, concordano sul fatto che il
locale cucina è forse lo spazio
più “studiato” e al quale si dedica la maggiore attenzione in
ogni fase della progettazione.
Se in un salotto, un living o una
camera da letto il desiderio di
sostituire un divano, un componente dell’arredamento, un
letto può essere soddisfatto fosse solo per adeguarsi alle
tendenze di moda - dopo pochi
anni, la cucina (che comporta
non pochi interventi, dal-
CUCINA CON VISTA
Luminosità e spazi aperti
nel trend delle nuove
cucine abbinate al salotto
l’idraulico all’elettricista, allo
stesso arredatore d’interni) è
comunque destinata a durare,
possibilmente integra e funzionale, a lungo. “Certo è il locale
più impegnativo e quello destinato ad essere vissuto più a
lungo, per questo è importante
il momento della scelta che,
senza trascurare gusto ed estetica, deve corrispondere alle
esigenze di funzionalità, ma anche di comfort - spiega l’interior design di Salvioni Lugano,
concessionario di alcune aziende del settore -. Non bisogna
dimenticare,
tra l’altro,
che la cucina si sta trasformando
in una zona
giorno vera
e propria. Il
settanta per
cento delle
cucine trattate da noi,
ad esempio, è allestito su una
sola parete; nelle abitazioni di
grandi dimensioni è un open
space tutto a vista, abbinato al
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
3
L’architetto
“Tutto deve essere‘a vista’
dai fornelli al piatto servito”
Il nuovo ruolo della sala pranzo visto da Matteo Huber
S
econdo i sostenitori della
disciplina Feng Shui, ausiliaria dell’architettura,
esistono direzioni più propizie
per le varie attività nella casa,
nella vita, e nei viaggi, come
anche la forma e il colore di
mobili e oggetti hanno assonanze con i cinque elementi.
L’architetto d’interni luganese
Matteo Huber, che nei suoi
progetti non trascura concetti
cari al Feng Shui - anzi - per il
locale cucina del terzo millennio non nasconde un po’ di delusione. “Certo che i principi
Feng Shui possono essere applicati anche ad una cucina,
ma la sensazione è che il locale, oggi come oggi, debba trasmettere un solo concetto:
prosperità - dice l’architetto,
membro della
Gli arredi devono
Federazione
svizzera urba- essere spartani e di
nisti e che ha design, che poi è la
realizzato diversi edifici in stessa cosa: non è mai
Svizzera, Spa- una scelta economica
gna e Kazakistan -. Spesso ci si dimentica
che ogni spazio dell’abitazione ha un ruolo primario, e
quello della cucina è ‘mangiare’, meglio ancora se in compagnia. Invece vedo soluzioni,
esteticamente e tecnologicamente bellissime, attrezzate
di tutto punto con strumenti
hi-tech, coltellerie professionali da far invidia a chef stellati... e che poi finiscono per
ospitare molto meno ospiti di
quanto si creda. A volte nessuno”.
Per il 53enne architetto,
invece, la cucina di oggi deve
essere uno spazio votato alla
convivialità, progettata in mo-
L’analisi
MARINO NIOLA
Professore ordinario di Antropologia culturale
all’Istituto Universitario S. Orsola di Napoli
living. La cucina di
oggi sa trasformarsi
in angolo per la colazione, bar, per uno
snack e, per il pranzo,
ci si sposta nella zona
living. Le soluzioni sono
molteplici, inclusa l’isola a quattro lati o la penisola a tre. Quelli che
sono scomparsi, invece,
sono i pensili; sono anni
che non sono più previsti
nelle cucine di design”.
È comunque vero che la
scelta tra una cucina a vista
sul soggiorno, separata o comunicante, dipende da vari fattori: dallo spazio a disposizione agli stili di vita, alle esigenze personali. Ma l’immagine della cucina luogo fondamentale di un’abitazione, nonostante le numerose mutazioni continua a riflettere il vivere quotidiano. Ospitale,
bella, funzionale, open
space, la cucina si trasforma in un ambiente
in cui convivono estetica, tecnologia e
comfort.
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L’
alimentazione umana non è semplice nutrimento. È scambio, condivisione e convivialità. È questa dimensione collettiva a
trasformare individui isolati in una comunità. A
renderli “compagni” nel vero senso della parola.
Che deriva da cum e panis e indica coloro che
condividono il pane. In questo senso l’atto del
mangiare e del bere ha qualcosa di sacro, perché
crea comunione. Non è un caso che Cristo nei
Vangeli venga definito il pane della vita. Perché
offre all’umanità il dono-perdono del suo corpo
transustanziato in pane. Come recitano le parole
dell’ultima Enciclica di Papa Francesco, il Signore
“arriva a farsi mangiare dalla sua creatura”. E il
fatto che la panificazione sia il risultato di una cooperazione, dunque un prodotto sociale per eccellenza, ne fa l’emblema ideale dell’umanità, che per
sopravvivere ha bisogno dello scambio e della solidarietà. Ecco perché in tutta Europa, durante le feste comandate, i poveri ricevevano pagnotte in dono. Come
segno di carità. E coloro che si macchiavano di delitti
che mettevano in questione i fondamenti simbolici
della comunità, come il parricidio o la profanazione
delle tombe, venivano esclusi dal consumo del pane.
Perché il loro comportamento da bestie feroci li aveva
di fatto espulsi dal consorzio umano. Per una ragione
analoga ai boia era proibito entrare nei forni.
E come il pane, anche il vino era simbolo di scambio conviviale. Lo stesso taglio della bevanda fermentata, che i Greci non consumavano pura, ma diluita,
era un emblema di quel blend di umanità diverse che
è alla base dell’equilibrio sociale. E questa funzione
socializzante del nettare di Bacco ha il suo paradigma
nel simposio, reso celebre dall’omonimo dialogo di
Platone, quando il simposiarca che giuda il convivio
e modera la discussione stabilisce la giusta propor-
do tale che oltre al locale anche pranzi e cene siano “vissuti” in tempo reale. “Il mio
concetto di cucina è all’insegna dell’apertura - spiega Huber -, tutto deve essere a vista; aperto sia nell’uso, sia
nella comunicazione delle
persone. Il tavolo è abbinato
al piano cucina, respira gli
stessi profumi, gli stessi odori.
Anche il cucinare deve essere
a vista, un tutt’uno dai fornelli
direttamente al piatto, quasi
che cucina e il suo arredamento costituiscano un solo elemento, pratico e funzionale,
senza rinunciare al comfort e
alle asigenze estetiche”.
Anche la luminosità gioca
un ruolo importante nello spazio destinato al locale più frequentato della casa. “Non siamo più in tempi ottocenteschi,
con una misera finestra sul tinello, una stanza da pranzo
modesta, attigua o annessa alla cucina - aggiunge -. La cucina di oggi merita grandi vetrate, la stessa luminosità del
living room che è sempre più
un proseguimento della cucina stessa. E senza il falso problema degli odori; un buon
progetto di ventilazione risolve la cosa”.
Dove l’architetto ha idee
particolari, invece, è nella
scelta dell’arredamento, che
deve essere essenziale e, paradossalmente, minimalista e
di design. “Deve essere concettualmente spartano - conclude -. Ma essenzialmente
penso che spartano e design
siano la stessa cosa; quello
che è certo è che non si tratta
mai di una scelta economica”.
e.r.b.
I consigli
LA LUMINOSITÀ
Rispetto alle cucine
tradizionali, con una sola
finestra, le nuove cucine
vengono progettate con
grandi vetrate che
assicurano un ambiente
a luminosità diffusa
IL PIANO COTTURA
L’ambiente è reso più
conviviale adottando il
piano cottura abbinato
direttamente,
ad esempio con
una penisola,
al tavolo da pranzo
L’APERTURA
Tutti gli elementi
principali della cucina
devono essere “a vista”,
un locale aperto sia
nell’uso, nella
comunicazione
tra le persone
L’ESSENZIALITÀ
Evitare inutili fronzoli,
come pensili che sono
stati banditi dalle cucine
di design, ormai più
visivamente “spartane”,
ma non per questo
economiche
È l’alimentazione
a trasformarci
in una comunità
zione tra vino e acqua, oltre al numero di coppe che
ciascun commensale deve bere. Del resto che il succo
della vite sia simbolo di comunicazione e di comunione è provato da cerimoniali come i brindisi che scandiscono matrimoni, lauree o altre celebrazioni augurali. Non è un caso che i trattati di pace siano stati
spesso siglati davanti a tavole imbandite e coppe traboccanti.
Cose d’altri tempi si dirà. Perché oggi viviamo nell’era di homo dieteticus. E il cibo, da strumento di convivialità, rischia di ridursi a farmaco o a placebo salvavita. Da consumare in solitudine, proprio come si inghiotte una pillola. Viviamo un’autentica sindrome
immunitaria che trasforma le farmacie in negozi di
alimenti. Dimenticando che immunità è l’opposto di
comunità. E che l’ossessione del contagio e quella
del contatto sono due facce della stessa solitudine.
Ma, in realtà, la geografia della convivialità divide ancora il Sud, d’Italia e d’Europa, dove la commensalità e l’ospitalità restano un valore essenziale, dal
Nord dove spesso l’accanimento salutistico e l’efficientismo esasperato generano un vero e proprio autismo sociale. Contro il quale cominciamo, per fortuna, a sviluppare sani anticorpi collettivi. Gruppi d’acquisto solidali, circoli gastronomici, forme di gastronomia social, iniziative antispreco, comunità che
scambiano lievito madre come si faceva una volta nei
paesi contadini. Così per un verso la tradizione diventa un bene rifugio. Mentre dall’altro è la rete a rilanciare usi e costumi dal sapore arcaico. Che spopolano
nella blogosfera, nei forum e nelle chat. In questo modo i due estremi della storia si toccano. La sobrietà forzata dei nonni si trasforma in abbondanza frugale dei
nipotini. E forse in questa metamorfosi si intravede
l’algoritmo del postconsumismo. L’avvento del neoconvivialismo.
4 CIBO
La salute.
Bombardati da informazioni sui
benefici di questo o quell’alimento.
Ma in realtà nessun cibo,da solo,
è in grado di farci stare bene
ANTONINO MICHIENZI
S
iamo bombardati da
informazioni sui benefici di questo o quell’alimento. In realtà
nessun cibo, da solo, è
in grado di farci stare bene. La
salute a tavola è questione di
equilibrio. Per dimagrire? Basta
fare incetta di ananas, mele, cavoli, cipolla. Per stare alla larga
dal cancro invece niente di meglio che pomodori, soia, mirtillo,
peperoncino, ginseng, banane e
un mezzo bicchiere di succo di
limone prima di colazione. Per
guarire dall’incontinenza il succo di mirtillo è un toccasana.
Mentre se si hanno problemi di
erezione, si può evitare l’imbarazzo di un consulto medico
consumando regolarmente caffè, vino con moderazione e carne di maiale. Per fuggire al triste
destino di un cervello che perde
colpi, invece, basta non dimenticare di mangiare cioccolato,
mirtilli, noci, pesci ad alto contenuto di omega 3.
Pensate a un qualunque problema di salute e non avrete difficoltà a trovare sul web uno o
più alimenti in grado di risolverlo o prevenirlo. Niente medicine, niente dottori: soltanto un
po’ di costanza nello scegliere il
cibo giusto.
Ma è veramente così? Purtroppo no. L’alimentazione è da
sempre al centro dell’attenzione
Salute da mangiare,
perchè non esiste
un’alimentazione
ideale per tutti noi
Anche l’assunzione di
integratori non
risolve il problema,
visto che bisogna
attingere da più fonti
della ricerca. E più passa il tempo, più si comprende come sia in
grado di contribuire anche in
maniera determinante allo stato
di salute. Quotidianamente, in
tutto il mondo, migliaia di ricercatori cercano di capire gli effetti di questo o quell’alimento sull’organismo.
Ma non esiste nessun alimento che, da solo, può cambiare le sorti di ciascuno di noi facendoci guarire quando siamo
ammalati o creando le condizioni perchè le malattie non insor-
gano. Le ragioni sono semplici:
è vero che alcuni cibi contengono sostanze altamente benefiche, ma la quantità in essi contenuta è così piccola che non
può avere un effetto terapeutico. Nè si può risolvere il problema assumendo grandi quantità
di sostanze benefiche attraverso
gli integratori, dal momento che
per stare in salute occorre un
equilibrio di centinaia di micronutrienti che si possono attingere solo da più fonti. Chi non ricorda la storia del cosiddetto
“paradosso francese”? All’inizio
degli anni Novanta del secolo
scorso si osservò che gli abitanti
del sud-ovest della Francia vivevano di più rispetto agli altri
francesi e si ammalavano di meno di malattie cardiovascolari.
Per quale ragione? Semplice:
tutto merito del vino rosso, che
in quelle aree si consuma in
grandi quantità, si disse. Ne
vennero fuori decine di studi
che alla fine conclusero che i benefici del vino rosso erano dovuti alla presenza di sostanze an-
tiossidanti, in particolare il resveratrolo. Su questa sostanza
si è costruito un grande business globale e perfino il vino è
stato proposto come elisir di
lunga vita. Salvo scoprire poi
che, no, bere vino rosso non allunga la vita. Anzi, esagerare
può accorciarla e peggiorarla di
molto.
Ciò non significa, però, che
le scelte alimentari siano ininfluenti. Tutt’altro. Ogni giorno
la ricerca fornisce elementi utili
a migliorare il modo in cui ci nu-
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
La ricerca
Q
uestione di gusti, si direbbe. Sbagliato, per essere esatti la scelta di
un cibo piuttosto che un altro, è una
questione di geni. Perché selezionare certi
piatti è una “volontà” dettata da una predisposizione genetica. A questa conclusione è
arrivata una equipe di studiosi dell’università di Cagliari e della Rutgers University
del New Jersey, in Usa, e pubblicata dalla
rivista scientifica internazionale Plos One.
In pratica la ricerca ha scoperto che un individuo è geneticamente predisposto a scegliere determinati alimenti e a evitarne altri. C’è infatti chi predilige il riso sugli spaghetti, chi la carne sul pesce, chi il dolce rispetto al salato. Il pool di studiosi, coordinati dalla professoressa Iole Tomassini Bar-
triamo.
Per esempio, vista la sua
crescente diffusione, uno degli
argomenti più studiati degli ultimi anni è la dieta vegetariana.
Molti studi hanno mostrato che
l’adozione di questo stile alimentare è in grado di allungare
la vita, riducendo soprattutto il
rischio di cancro e malattie cardiovascolari. Tuttavia, perché
ciò si verifichi è necessario che
la dieta sia ben bilanciata, che
contenga ciò tutti i nutrienti necessari a un corretto funzionamento dell’organismo. Cosa per
niente semplice e che può richiedere l’aiuto di un nutrizionista per non correre il rischio di
incorrere in carenze nutrizionali. Per converso, continuano gli
atti di accusa alle proteine, specie quelle di origine animale.
Inutile negarlo: la ricchezza economica che ha seguito il dopoguerra ha trasformato la carne,
che era considerato un cibo nobile - e caro - utilizzato con parsimonia, in un compagno quotidiano. Ci siamo lasciati prendere la mano e ora la ricerca ci sta
ricordando che consumare troppa carne aumenta il rischio di
numerose malattie (specie tumori) e riduce drasticamente
l’aspettativa di vita. Ma ciò non
è vero per tutti: negli anziani, in
particolare, è stato osservato
che un maggiore contenuto di
proteine sortisce l’effetto opposto, cioè fa vivere di più.
Altra verità, dunque: non
esiste un’alimentazione buona
per tutti. L’età, il sesso, la presenza di malattie richiedono un
costante adattamento di quel
che mangiamo. Pur essendo ormai chiaro che, in linea generale, il regime alimentare che
più si avvicina all’ideale è la
vecchia dieta mediterranea.
Vecchia perché - benché riconosciuta come Patrimonio culturale immateriale dell’umanità
- è più un ricordo che un regime
alimentare utilizzato ancora oggi. Giacché è stato sostituito o
integrato da modelli provenienti da altre culture
che l’hanno
completamente snaturato. Al
di là dell’etichetta,
quel che distingue
la
dieta mediterranea
dalla
maggior parte
degli altri regimi
alimentari è che è costituita per
la gran parte da cibi di origine
vegetale (cereali, verdura, legumi, frutta), attinge poco ad alimenti di origine animale (preferendo quando possibile il pesce
alla carne), prevede pochissimi
dolci ed è condita da acidi grassi
monoinsaturi (l’olio d’oliva).
Piuttosto che cercare alimenti miracolosi basterebbe riscoprirla per stare più in salute.
5
La scelta dei piatti?
Il gusto non c’entra,
è questione di geni
barossa, hanno dimostrato che nell’organismo umano esistono proteine salivari che
interagendo con le sostanze chimiche degli
alimenti, favoriscono la percezione gustativa. Questa sorta di “azione facilitante”, come è stata definita, dipende da specifici
aminoacidi presenti nella sequenza di queste proteine.
In questa descrizione scientifica c’è ben
poco di quel tratto romantico che è alla base
della cucina, una alchimia di accostamenti,
una magia del gusto che trasmette emozioni
un boccone dietro l’altro. Ma è così, dice la
scienza. Perché poi, spiega ancora la ricerca,
le proteine salivari con l’aminoacido Arginina orientano e regolano quella percezione
gustativa che ci fa scegliere un piatto nel
menù del ristorante o che ci fa acquistare un
prodotto al mercato da cucinare poi a casa.
Tutto sta nelle molecole della saliva che legandosi alle sostanze chimiche degli alimenti mettono un allarme ai siti recettori
delle cellule gustative favorendo la gradevolezza di un cibo rispetto a un altro.
Questa nuova scoperta potrebbe adesso
aprire le frontiere nelle moderne “Food
sciences”, hanno spiegato i ricercatori dell’equipe che ha pubblicato il lavoro su Plos
One. “Una strategia - ha notato Barbarossa
- per modificare selettivamente le risposte
gustative e realizzare cibi che, combinando
i valori edonistici con quelli dietetici, sono
destinati a pazienti spesso costretti a menù
punitivi e privi di gusto”.
a.m.
GLI EFFETTI BENEFICI
Alcuni alimenti contengono
sostanze altamente
benefiche, ma la quantità in
essi contenuta è così
piccola
che non può avere
un effetto terapeutico
Lo studio
Da sapere
Per restare in forma e fit
non rinunciate alla pasta,
ma eliminate lo zucchero
RUCOLA PREZIOSA
Contiene tantissima
vitamina C e A, ha la
capacità di stimolare il
metabolismo, facilitando
quindi la combustione
del grasso corporeo
Q
ADATTARSI
L’età, il
sesso, la
presenza
di malattie
richiedono
un
costante
adattamento
di quel
che
mangiamo
uando il girovita è troppo largo, la
reazione immediata è bandire
dalla tavola fumanti piatti di pasta
e fragranti panini. Con la complicità di
stampa e trasmissioni televisive, i carboidrati da qualche tempo vengono demonizzati e le diete più in voga ne impongono una drastica riduzione. Ma sul
banco degli imputati dovremmo farci salire anche i dolci.
Non è solo
una questione
estetica, per non
sfigurare in tutine e costumi e
vestire alla moda. Ridurre i chili di troppo è soprattutto un toccasana per il corpo.
Diabete,
ipertensione, ictus,
malattie
cardiache, sono
tutte patologie
che
rischiano
con più probabilità di bussare alla porta
se l’ago della bilancia non si ferma nella
posizione corretta, senza contare che il
sovrappeso è associato anche ad altre
malattie su base infiammatoria se non
addirittura neoplastica. E poi bisogna
ammetterlo: da magri ci si guadagna in
qualità della vita, si è più scattanti ed efficienti nelle attività di tutti i giorni.
Ma bandire i carboidrati dalla tavola
non sarebbe, però, la soluzione migliore.
Sulla rivista Cell Metabolism, alcuni ricercatori statunitensi hanno confrontato
per una settimana in 19 individui in sovrappeso l’effetto di due diete con le
stesse calorie, ma una con un ridotto
contenuto di carboidrati, l’altra di grassi.
In un primo momento, tagliare pane e
pasta sembrava la soluzione più efficace,
provocava la perdita di mezzo chilo in
più rispetto alla dieta con pochi grassi.
Andando più a fondo, però, i ricercatori
hanno rilevato che un’alimentazione con
meno grassi batteva quella con meno
carboidrati nella riduzione del grasso
corporeo: 89 grammi contro 53grammi
al dì.
Ingurgitare meno pane e pasta riduce i livelli di insulina e aumenta il rilascio di grassi accumulati nei depositi corporei,
ma accanto a
questo ci sarebbe anche una
perdita di acqua
e il rischio che
venga intaccata
la massa proteica muscolare. In
poche parole, i
chili diminuiscono, ma la
quantità di grasso corporeo che
si perde non è
poi così tanta, almeno non quanto quella
che se ne va diminuendo i grassi nella
dieta. “Il nostro studio dovrà essere confermato, ma mostra come la moda di eliminare i carboidrati non sia sempre avvalorata da dati scientifici, ci sono altre
diete efficaci, senza contare che alcuni
carboidrati come quelli dei cereali integrali sono preziosi alleati per la salute”,
dichiara Kevin Hall, principale autore
dell’indagine. Per chi soffre di grave
obesità l’obiettivo principale è ridurre il
grasso corporeo, ma se si vuole perdere
peso l’importante resta ridurre le calorie
nel modo che richiede meno sforzo e garantisca più costanza. “La dieta migliore
è quella che si riesce a seguire a lungo conclude Hall - senza dimenticare di accompagnarla con un’adeguata attività fisica”.
c.g.
YOGURT E KEFIR SANI
Ottimi nelle cure
dimagranti. Saziano,
regolarizzano digestione
e intestino grazie ai
fermenti lattici e hanno
anche proprietà lassative
SPEZIE ALLEATE
Pepe e peperoncino,
ricchissimi di vitamina C
e capaci di accelerare
il metabolismo
consentendo
all’organismo di bruciare
i grassi più in fretta
BACCHE, SALVIA, ZENZERO...
Bacche di ginepro con
proprietà diuretiche,
salvia e rosmarino per
la digestione e zenzero
per rilassare e
distendere l’intestino
THÈ VERDE BRUCIAGRASSI
Sostituto del caffè - ma
meno irritante per lo
stomaco e per il sistema
nervoso - contiene teina
e caffeina, scientificamente
conosciute come
sostanze bruciagrassi
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
6 CIBO
La pasticceria.
Sempre più giovani
frequentano i corsi
di cucina,mentre
l’industria inonda
il mercato di utensili
d’ogni tipo e forma
LEZIONI GOLOSE
Luca Argentero, 37 anni,
è il protagonista del film
“Lezioni di cioccolato”
Ritorna il sottile piacere
dei dolci fatti in casa
N
on solo trasmissioni
tv o film, come il delizioso “Lezioni di
cioccolato”, con l’attore Luca Argentero. Non solo libri di cucina bestseller. Oltre ai media che sfornano ricette facili e veloci per diventare in poco tempo pasticceri
esperti, crescono i blog che insegnano a preparare impasti,
stampi e creme. E, soprattutto, si moltiplicano i corsi per chi vuol
distinguersi nel preparare bigné, babà, cannoli, sfogliatelle e dolcetti vari. “C’è voglia
di apprendere, di capire come si prepara un
piatto buono e genuino, come un dolce di
qualità. Imparando anche che ci vuole il giusto tempo
per preparare una torta, che i
prezzi degli artigiani sono più
che giustificati”, spiega Giuseppe Piffaretti, consulente della
società dei Mastri panettieri pasticceri confettieri. Fra i migliori,
assieme a Tiziano Bonacina a livello europeo, insegna in vari
corsi professionali, e in quelli
“hobbistici” della Scuola club
Migros, che propone una cinquantina di lezioni espressamente dedicate alla pasticceria.
“La crescita dell’interesse
per questi corsi è in
parte dovuta all’effetto
dei programmi tv - nota Piffaretti -, ma risponde anche ad un
nuovo interesse, vedo
spesso mamme con le
figlie, casalinghe che
vogliono migliorarsi”.
Una tendenza del “fai
da te” colta al volo dalle
varie scuole, ma soprattutto dai
produttori di elettrodomestici,
che hanno inondato il mercato
di attrezzature, formine per biscotti, utensili decorativi, pirofile monodosi per cuocere cupcake e muffin, tutto quello che
serve per una pasticceria domestica. “Oltre ai tradizionali corsi
di cucina, da tempo proponiamo
incontri di una sola serata dedicati ai dolci. I pasticceri insegnano a piccoli gruppi quelle ricette che poi possono essere
tranquillamente replicate in casa”, spiega Nicoletta Mongini,
responsabile marketing della
Scuola Migros. Corsi strapieni di
Si insegna a piccoli
gruppi quelle ricette
semplici, facilmente
replicabili con mezzi
limitati in cucina
Gli strumenti
PIROTTINO
Piccola pirofila in porcellana
monouso, può essere anche
ricavato da un foglio di carta
da forno per alimenti con i bordi
“a fisarmonica” come supporto
per piccoli dolci
CUPKAKE
I cupcake sono dei dolcetti
di origine statunitense, grandi
proprio come una tazzina (cup)
e sono l'ideale per accompagnare
un buon thè, magari durante
una golosa merenda
MUFFIN
I muffin sono dolcetti preparati
con base di uova, latte, burro,
zucchero, farina e lievito tipici del
Regno Unito e degli Stati Uniti,
molto simili ai plum cake, dolci
fatti con le prugne
GLI STAMPINI PER BISCOTTI
Sono piccoli stampi in metallo o in
plastica resistente, prodotti in
moltissime forme (cuore, animali,
fiori per preparare in poco tempo
tantissimi biscotti dalle fogge
più curiose e golose
BROWNIES
I brownies al cioccolato sono
dolcetti quadrati americani molto
ricchi e golosi, realizzati con
cioccolato fondente e nocciole:
una via di mezzo tra un biscotto
e una torta dal cuore fondente
casalinghe, ma anche di giovani.
Partecipatissimi nei periodi invernali le lezioni dedicate ai biscotti di Natale. Impazza poi la
decorazione delle torta, ormai
1VCCMJDJUË
considerata una vera e propria
arte in tutto il mondo. Corsi organizzati anche per gruppi di
amici, o per societ
Molte le aziende che, in questo modo, cercano nuove modalità per incrementare lo spirito
di coesione dei dipendenti. “Ne
abbiamo proposti anche in inglese espressamente richiesti da
ditte Svizzere”, conferma Mongini, escludendo che le lezioni finiscano a torte in faccia.
Insomma, torna la voglia del
dolce fai da te, dell’orgoglio di
presentare una bella torta cotta
nel forno di casa. Non che diminuiscono i clienti delle pasticcerie classiche, nient’affatto, il
pubblico dei golosi rimane ben
saldo in Ticino. Piuttosto, cresce
il numero di quanti mettono le
“mani in pasta” per garantire
quel clima familiare della cucina
legata alla presenza di un dessert goloso. Sarà la crisi, la “voglia di casa”, fatto sta che sempre di più si libera la creatività e
la fantasia nel preparare torte e
biscotti. Non siamo ancora alle
popolari gare di dolci, comuni
tra le famiglie americane, ma
non c'è dubbio che la passione
per i fornelli è ritornata ad essere un valore aggiunto di cui far
bella mostra in presenza di amici e parenti. Soprattutto per i
piccoli assaggi. I corsi per adulti
del cantone (Cpa) dedicati all’enogastronomia, che hanno registrato oltre mille partecipanti,
hanno evidenziato la nuova moda dei “finger food”: letteralmente cibo da mangiare con le
mani, piccole pietanze salate o
dolci minuscoli. Tutti colorati,
belli da vedere e da gustare.
“C’è voglia di scoprire nuove
modalità di presentazione del cibo, come appunto i finger food spiega Katiuscia Cremetti, responsabile Cpa –, pratiche ed efficaci per rinfreschi e buffet fatti
in casa. Oltre che veloci da preparare e piacevoli alla vista”.
Non solo. Anche con poca
spesa, un aspetto da non sottovalutare. Finger food, ma anche
truffes al cioccolato, torte fondenti, creme e budini colorati.
Esistono anche corsi per imparare a sfornare dolci californiani,
i “California Bakery”, addirittura conversando in inglese. Con
un esito in bilico fra abilità culinaria e comprensione della lingua.
c.m.
Impazza la nuova
moda dei ‘finger food’
piccoli dolciumi, belli
e colorati da prendere
solo con le dita
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
CIBO
7
L’enogastromomia.
Alla più nobile delle
bevande spetta il giusto
ruolo enogastronomico
e culturale
che gli compete,anche
nella versione ai fornelli
I piatti
UN RISOTTO AFRODISIACO
La semplicità degli
ingredienti esaltata
dall’incisivo sapore
dello Champagne per
un primo piatto molto
corposo, dal sapore
avvolgente e dagli
effetti afrodisiaci
IL BRASATO AL VINO
Un piatto
impegnativo e ricco,
meglio se unico e da
proporre a
mezzogiorno, anche
perché richiede un
ricco contorno, come
patate e polenta
SPINACI “IN BIANCO”
Un contorno facile e
veloce. Con gli spinaci
surgelati basta far
sciogliere il burro e
insaporire la verdura
dopo aver preparato
la crema con farina,
acqua e parmigiano
Da solo o in salsa il vino lega con tutti
In cucina Bacco è un ospite fisso nei calici e in pentola dà il meglio
I
n cucina Bacco è un ospite
fisso, perché come è noto
il vino è un grande partner
per qualsiasi piatto. Quello
che, invece, è forse un po’
sottovalutato è il suo ruolo di
prezioso partner, alleato nella
creazione di innumerevoli ricette. Vino da bere, vino da mangiare, insomma, nei calici ma
anche nelle pentole.
Naturalmente il vino tout
court non rinuncia al suo ruolo
di “capotavola”, e tutte le statistiche dimostrano che, nonostante il dilagare di fast e street
food, cucine esotiche e alternative, il suo ruolo di leader di qualità non viene scalfito. Nemmeno dall’incalzare della birra che,
bionda o rossa che sia, aumenterà pure i suoi consumi, Ti-Press
ma nel salotto buono
della gastronomia se
entra lo fa dalla porta
di servizio.
È comunque vero,
statisticamente, che il
consumo procapite del
nettare di Bacco ha subìto un ridimensionamento rispetto a mezzo
secolo fa, ma è altrettanto vero che mai
nessuna “dieta” è stata
così salutare come
quella imposta dal consumo limitato di bicchieri di vino. La
tendenza, infatti, ha rispecchiato l’adagio “bere meno, bere
meglio”, e anche se non ha trasformato tutti in sommelier la
qualità del buon vino è stata
premiata. È ormai raro vedere
sulle tavole l’anonimo “bottiglione” anni Sessanta, se deve
esserci vino che sia almeno con
determinazione d’origine controllata, imbottigliato dal produttore o almeno di zona “tipica”.
Senza nulla togliere, quindi,
al nobile compito di soddisfare il
palato col bicchiere, diamo al vino il giusto ruolo enogastronomico e culturale che gli compete
anche nella versione ai fornelli.
Un ruolo, quello del suo utilizzo
come ingrediente di cucina, di
cui - non a caso - si hanno notizie fin dai tempi più antichi per
la preparazione di carni, pesci,
zuppe, verdure e dolci.
Sulle salse “vinose, ad esempio, si soffermava già Marco Gavio Apicio, gastronomo romano
Il sommelier
Sui sughetti “vinosi”
si soffermava già
Marco Gavio Apicio,
gastronomo romano
intorno all’anno 30
dopo Cristo
“Non è un oltraggio,
usate però i ‘buoni’
non certo i migliori”
È
I RICONOSCIMENTI
Paolo Basso, 49 anni, al
suo attivo ha numerosi e
prestigiosi riconoscimenti
Paolo Basso:
“La vera sciagura
è in pasticceria,
dove viene utilizzato
dell’alcol sintetico
di origine incerta”
intorno all’anno 30 dopo Cristo,
autore di un famoso ricettario. E
l’idea di usare il vino come ingrediente per la preparazione
dei cibi non era certamente una
novità neanche per gli antichi
Romani; era già ben noto nelle
ricette degli Etruschi. Da allora,
difficile per un sommelier accettare l’idea che il vino sia un
“ingrediente” di cucina. Lo è ancor di più per il campione del
mondo dei sommelier, il ticinese Paolo Basso che pure non
considera l’uso ai fornelli una bestemmia. “Certo, l’uso ideale del
vino è, e resta, berlo, ma non è un oltraggio vederlo utilizato in cucina - commenta Basso, vincitore del titolo mondiale nel 2013 a
Tokyo, dopo aver aver già conquistato il titolo a livello europeo . Va da sé che se viene usato, almeno che sia un buon vino, ma
non usate i migliori per favore, quelli lasciateli al palato”. Il sommelier, comunque, riconosce che, proprio come nel suo uso principale, berlo, anche per il vino impiegato in cucina il concetto
premiante è legato alla qualità. “Fortunatamente non si sente più
la frase ‘questo vino è andato, ma non buttarlo via che lo uso per
cucinare’ - dice -. Non si è mai capito, fattore economico a parte,
come un cattivo vino potesse dare un buon contributo alla preparazione di una pietanza. Adesso non dico che si stappa un Doc per
irrorare un risotto, ma la tendenza è comunque usare vini di buona qualità”.
Lo stesso Basso, del resto, quando si cimenta ai fornelli non
trascura certo il vino come ingrediente di cucina. “Ho una predilezione per i bianchi, naturalmente secchi con un buon apporto di
acidità - confessa -. Li consiglio sia come liquido di cottura, anche
per i risotti, per i soffritti e per sfumare. I rossi, invece, e non necessariamente corposi, li vedo solo per la selvaggina e obbligatoriamente per il salmì”. Quella che invece Basso vuole sfatare è la
preoccupazione più frequente sull’uso del vino in cucina e relativa
all’alcol. Sono in molti, infatti, a temere che un cibo cotto nel vino
finisca per essere alcolico. “L’alcol inizia a bollire, quindi ad evaporare, ad una temperatura inferiore all’acqua, meno di ottanta
gradi - spiega -, ma l’evaporazione durante la cottura non è mai
totale. Ne rimangono tracce, ma decisamente irrisorie, irrilevanti
visto che è bene ricordare che nel vino l’alcol rappresenta mediamente il 12%-14% e che questo è inoltre miscelato all’acqua. La
vera sciagura dell’alcol in gastronomia, semmai, è nei prodotti di
pasticceria dove nella maggior parte dei casi viene utilizzato dell’alcol sintentico, quello sì di origine e qualità incerta”.
comunque, vino e cucina hanno
sempre formato una brillante e
gustosa coppia, e il legame resiste ancora ai giorni nostri forte
delle eccellenti combinazioni,
vecchie e nuove. Nel corso della
storia dell’umanità, comunque,
ogni Paese che produceva vino
lo utilizzava anche come ingrediente in cucina. Utilizzato per
allungare salse, ad esempio, o
per portare a termine le cotture,
la scelta del vino come ricca alternatica all’acqua sembra essere innanzitutto appropriata per
ragioni puramente organolettiche. Decisamente più profumato e più saporito dell’acqua, infatti, il vino aggiunge alle pietanze i suoi aromi e i suoi sapori,
ma aggiunge anche - secondo il
tipo utilizzato - struttura, corpo
e colore.
E sarebbe limitativo e ingeneroso considerare il vino in cucina come semplice “liquido per
la cottura”. Il suo uso è apprezzato anche nella preparazione di
pietanze fredde, sempre con lo
scopo di aggiungere sapore e
aroma, ma anche una discreta
quantità di alcol. Un must dell’ingrediente vino è anche nell’uso per la preparazione di “marinate”, dove il cibo da marinare
(in genere carne, ma anche formaggio e verdure) rimane immerso nel nettare di Bacco per
diverse ore, talvolta anche per
giorni. Oppure anche settimane
nel caso dei formaggi.
Bandito, infine, il concetto
che il vino scelto per cucinare
sia quello che in genere non si
considera più bevibile, spesso
ossidato, con aromi e sapori irriconoscibili. Oggi la qualità del
vino utilizzato nella preparazione delle pietanze è importante e
fondamentale, anche a costo di
sacrificare un bicchiere di Docg,
a denominazione di origine controllata e garantita.
Il vino, inoltre, è usato nelle
ricette medicinali, che spesso
non si differenziano dalle preparazioni gastronomiche. Ma questa è un’altra storia...
e.r.b.
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IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
CIBO
9
L’evento.
All’Expo di Milano c’è il più
grande ristorante internazionale.
I menù spaziano dalle cavallette
sino alle bistecche argentine.
Ma piace molto il cibo da strada
TAVOLATE ALL’APERTO
All’Expo ogni giorno vengono
consumati 140 mila pasti
prodotti con oltre 450 mila
tonnellate di alimenti
Un giro del mondo
nellacucina“fusion”
che accende il gusto
S
e si potessero mettere
insieme i centinaia di
menù proposti, verrebbe fuori un libro di
migliaia di pagine.
L’Expo è attualmente il più grande ristorante all’aperto del 2015,
un giro del mondo fra gusti, tradizioni e scuole gastronomiche
tra le più lontane. Basti pensare
che ogni giorno a Milano vengono distribuiti 140 mila pasti che
vengono cucinati usando oltre
450 mila tonnellate di alimenti.
Fra i tavoli degli stand si può
mangiare di tutto, dal piccante al
dolce, dalle cavallette agli scorpioni ricoperti di cioccolato accompagnati da the alle spezie,
sino al maialetto sardo arrosto
seguito da un baloon di robusto
cannonau. Ma anche gli spaghetti con l’antichissima colatura di alici di Cetara abbinati a un
calice di biancolella della Costiera amalfitana. E ancora, la vaniglia variegata con nocciola proposta dai cuochi israeliani. Per finire con le raffinate ostriche
francesi accompagnate da champagne di piccoli produttori che
raramente si trovano in commercio. Una cucina fusion che
accontenta tutti i palati, oltre che
tutte le tasche visto che i prezzi
partono da 10 euro e salgono sino a oltre 100 per certe proposte
particolari. C’è solo l’imbarazzo
della scelta, perché all’Expo come in una cartina geografica si
può spaziare da Oriente a Occidente, in un viaggio che risveglia
i sensi e accende la curiosità dei
visitatori.
Una occasione unica, dun-
Le curiosità
LA CARNE DI COCCODRILLO
Per la prima volta in Europa, e
grazie a una deroga, chi vuole può
provare la carne di coccodrillo
inserità nel menù dello Zimbawe
que. Perché accanto, dietro i cibi,
ci sono spesso chef stellati di
ogni Paese con i loro menù che
hanno colto l’occasione della
straordinaria vetrina di Milano
per proporre la propria filosofia
di cucina. Tanti hanno aderito a
“Identità Expo”, la rassegna che
ha puntato proprio alle eccellenze, cioè ai piatti d’autore e che ha
coinvolto, oltre naturalmente ai
grandi chef italiani, anche Rodrigo Oliveira e la sua cucina brasiliana, Tomaz Kavcic giunto dalla
Slovenia, Diego Munoz dal Perù.
E poi l’italo americano Tony
Mantuano. Tra loro anche il ticinese Pietro Leeman e la sua rassegna di prodotti vegetariani
d’alta classe.
Ma basta un giro fra gli stand
per gustare piatti che altrimenti
si mangerebbero solo in vacanza, andando direttamente in certe regioni e in certi Paesi. Ecco
allora la carne argentina, insieme a quella uruguaiana, finire
arrosto e poi nei piatti dei ristoranti sudamericani, dove la fila
alla cassa dimostra un certo indice di gradimento. Ma piacciono,
e parecchio, anche le semplici
La Svizzera
GLI SCORPIONI AL CIOCCOLATO
Insetti arrosto o bolliti si possono
assaggiare nei padiglioni di
Vietnam e Birmania. La Thailandia
propone scorpioni al cioccolato
IL VINO DEL SERPENTE
I coraggiosi possono provare
il vino di serpente che si può
trovare in Cina e Vietnam.
In alcune bottiglie c’è un rettile
baguette francesi che vengono
vendute all’aperto, e che si possono scegliere da un lungo bancone dove c’è un ricchissimo assortimento. O il cuscus, declinato nelle diverse versioni e arricchito da spezie profumate, proposto negli stand dei Paesi dell’Africa del nord, o l’abbinamento pesce, verdure e riso ideato
dallo stellato ristorante giapponese, che però nella sua versione completa a più portate costa
oltre 200 euro. Nel padiglione
della Repubblica Ceca si trovano
bistecche di cervo e di daino in
Luganiga e salsiccia vodese
per conquistare i buongustai
S
i può provare il classico abbinamento
di polenta e luganighe accompagnato a
un buon bicchiere di merlot. Ma anche
una vasta gamma di affettati o le formaggelle, sino ai dolci di pasta frolla della Valle Bedretto. C’è un Ticino che rappresenta la
Svizzera, uno spicchio particolarmente gradito nell’assortito menù che viene proposto
al ristorante del padiglione svizzero, dove
sono presenti pure i pizzoccheri nella versione della Valposchiavo. Nella terrazza incastonata fra le torri dove vengono consumate
progressivamente mele, acqua, caffé e sale,
nei menù che vengono proposti in questa
rassegna internazionale a Milano, sono presenti diversi produttori ticinesi. “E tanti vogliono provare, chiedono informazioni e gradiscono il cibo ticinese”, racconta Andrea
varie versioni. È una esplosione
di colori e di profumi invece il cibo della Churrascaria Brasil, dove il tratto principale sta nel pollame, cotto in modi diversi e
specchio delle numerose regioni
del grande Paese carioca. Spaghetti di riso, maiale, verdure
invece al padiglione cinese,
mentre basta allontanarsi dall’Oriente e arrivare in Spagna
per non perdersi le famose tapas
o le eccellenze della cucina catalana. Persino chi soffre di intolleranze può provare menù calibrati. Proposte con cibo garantito
senza glutine si trovano nei padiglioni di Israele, Olanda, Italia, e
Gran Bretagna. Buoni e raffinati
menù anche per vegetariani e
vegani sono previsti in quasi tutti
i ristoranti che animano la rassegna milanese.
Ma chi si trova a visitare l’Expo vedrà sicuramente sfrecciare
tra i padiglioni e tra le file di visitatori i coloratissimi “food truck”,
i furgoncini con i cibi di strada
che stanno conquistando sempre
più appassionati di panini imbottiti con carne, pesce e verdure e
infarciti di salse per tutti i gusti.
Una alternativa al fast food che
mette in evidenza i cibi regionali
e che mantiene comunque prezzi piuttosto modesti.
m.sp.
Arcidiacono di Presenza Svizzera e responsabile del padiglione rossocrociato. I clienti
del ristorante hanno a disposizione un tablet
dove ci sono tutte le informazioni sui diversi
piatti, una esplorazione tra i gusti e le tradi-
1VCCMJDJUË
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zioni, dove si possono costruire abbinamenti
in un giro del gusto tra le tendenze e la storia
della Confederazione a tavola.
“Abbiamo fornito una proposta assortita,
dove spiccano le eccellenze - spiega ancora
Arcidiacono - e dove stanno andando bene la
fondue, il coregone del lago Lemano e come
dessert la meringa con la doppia crema della
Gruyère. Naturalmente incuriosisce e piace
molto anche la raclette”. Ma il padiglione
svizzero propone anche il “take away” e qui
il prodotto più richiesto è sicuramente il panino con la salsiccia vodese. Anche i vini ticinesi attirano molto. I merlot sono piuttosto
richiesti e i clienti si stupiscono, hanno raccontato i ragazzi che servono ai tavoli, perché non tutti sanno che nella Svizzera italiana si produce questo buon vino.
10 CIBO
La tendenza.
Vegetariani e vegani vogliono hotel su misura.
E in Svizzera ormai non è più solo una tendenza,
ma si assiste ad un moltiplicarsi dell’offerta
Gli alberghi rossocrociati
al cento per cento“veggie”
P
resto bisognerà aggiungere un nuovo genere nelle guide turistiche e nei motori di
ricerca online di viaggi
e vacanze: “veggie”. Vegetariani
e vegani, infatti, sempre più cercano alberghi su misura e visto
che il fenomeno è in aumento
non si può più parlare di trend,
ma di un moltiplicarsi dell’offerta. Hotel, locande, garni e agriturismi si stanno convertendo al
“veggie” e alla tavola senza glutine, adeguandosi per andare incontro alle scelte di vita e ai bisogni dei clienti che spesso incontrano difficoltà nel trovare
piatti in linea con le loro abitudini alimentari.
Anche in Svizzera, da San
Gallo al Ticino, dal canton Turgovia al Vallese, non mancano le
oasi verdi per tutte le tasche e
tutti i gusti; da chi si limita all’apposito menu dedicato a chi
ha bandito ogni tipo di carne dalla dieta a chi mette nel piatto solo alimenti vegetariani bio e a
chilometro zero perché coltivati
nell’orto della stessa struttura;
ma anche chi, pur abbracciando
la scelta vegetariana, offre
un’ospitalità da hotel stellato.
Nel senso che le stanze magari
sono arredate seguendo la tradizione rurale, ma i servizi e la
struttura stessa non rinunciano
al lusso.
E sbaglia chi pensa che il fenomeno “veggie” sia passeggero. Tutt’altro. Anche se probabilmente è un po’ azzardato il pronostico dello Stockholm International Water Institute, che prevede potremmo diventare tutti
vegetariani entro il 2050, fatto è
che Trivago, il motore di ricerca
hotel più grande al mondo, si è
già portato avanti col lavoro,
Da San Gallo al Ticino
non mancano le oasi
verdi per tutti i gusti
e tutte le tasche
all’insegna del bio
1VCCMJDJUË
I Vini ticinesi
si riconfermano
al Grand Prix
des Vins Suisses
29 medaglie d’oro
̵QDOLVWL
5 nella categoria Merlot
4 nella categoria assemblaggi rossi
1 nella categoria Spumanti
pubblicando online proprio in
questi giorni la top ten degli hotel per vegetariani italiani, dal
Trentino alla Sicilia. Anche il
Caffè, nel suo piccolo, senza pretendere di stilare una vera e propria classifica ha individuato almeno una decina di hotel o pensioni rossocrociati con cucina vegetariana e vegan, inclusi quelli
con Spa e alcuni dove si organizzano anche corsi di cucina naturale per imparare le ricette di
piatti sani e gustosi, pur senza
prodotti di origine animale.
Tra i veggie-hotel certificati,
ad esempio, figura la Sonnmat
Bergpension di Ebnat-Kappel,
nel canton San Gallo, con cucina
vegana, o a base di verdure crude, senza lattosio e senza glutine
possibile e con alloggi che seguono i criteri di architettura
biologica pur senza negarsi il
collegamento wi-fi. Il cantone
più veggie è probabilmente Turgovia che nella nostra personalissima top ten inserisce ben tre
hotel e ognuno con caratteristi-
che molto particolari.
Il Moosmühle di Hefenhofen,
ad esempio è “olistico” ed è disponibile per vacanze o seminari
vegetariani e smoke-free, con
inclusi corsi di yoga, meditazione, Tai Chi e Qigong. Più “classi-
I RISTORANTI
Anche i ristoranti veggie
sono sempre più diffusi in
Svizzera, con cucina
vegetariana, vegana, senza
glutine e senza lattosio
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
La classifica
In Ticino
co” e 100% vegano l’hotel Swiss
nel centro di Kreuzlingen, a 900
metri dal lago di Costanza. In
mezzo ai boschi di Steckborn, invece, lo Schloss Glarisegg; un
piccolo castello che offre pensione completa e vegetariana nelle
sue 22 camere. Due indirizzi a
testa nel Vallese e in Ticino (vedi
a destra) dove lo stile di vita gastronomica veggie è agli inizi,
ma già si fa notare con la prima
pizzeria e kebab vegano al Natural Food di Lugano e con il bistrot
alternativo Il Guardiano del Farro in città vecchia a Locarno. Entrambi i locali in poco tempo sono diventati meta di riferimento
della comunità veggie e anche di
chi si vuole concedere un menu
diverso dal solito.
Tornando agli alberghi, la
palma del più coerente va al vallese hotel Balance di Les Granges, circondato da giardini secolare. Oltre alla cucina, vegan e
bio, la parola d’ordine è “sostenibilità”, e vale sia per la piscina
organica, sia per le camere baubiologiche, sia per l’energia generata dall’impianto fotoltaico.
All’insegna del silenzio l’hotel
storico costruito nel 1912, il Beau-Site a Chemin-Dessus, con
cucina veggie a colpi di maccheroni di tofu e riso basmati. Nel
palmarès alberghiero manca ancora una “stella”, ma è solo questione di tempo. Non a caso
l’unico primo ristorante vegetariano europeo ad aver ricevuto
una stella Michelin, il Joia aperto
a Milano, è dello chef Pietro Leemann, che è svizzero. Anzi ticinese.
e.r.b.
11
“Per me è stata una scelta di vita
che ha unito l’utile al dilettevole”
SONNMATT BERGPENSION
& GESUNDHEITSZENTRUM
Ebnat-Kappel,
San Gallo
U
HOTEL SWISS
Kreuzlingen,
Turgovia
no si considera un po’ un pioniere del vegetarismo in Ticino,
l’altro solo da due anni s’è
“convertito” al veggie, ma entrambi
gli albergatori non farebbero un passo
indietro sulle loro scelte di vita. “Una
scelta sì, ma che mi ha permesso di
unire l’utile al dilettevole - conferma
il 51enne chef Mauro Oliani, titolare
dello Chalet Stella Alpina di Ronco Bedretto -. È stata un po’ Ti-Press
una scommessa, perché la val Bedretto per
quanto bella non è St.
Moritz e strutture come la mia, con 15 camere a partire da 69
franchi colazione inclusa, nella regione
non esistevano, e il risultato è stato ottimo
soprattutto grazie ai
clienti stranieri”.
Una forma di turismo decisamente alternativo, che tocca
l’apice al Meraggia di
Sala Capriasca, considerato un piccolo paradiso. “La nostra fondazione esiste da quasi trent’anni e non abbiamo mai avuto
bisogno di pubblicità, basta il passaparola - dice il 51enne George Winter,
ricordando che il Meraggia mette a disposizione, in rustici ristrutturati, solo
alloggio e cucina -. Chiunque può cucinare, a prezzi bassissimi, quello che
Mauro Oliani:
“Se fatta bene
la cucina veggie
non invidia
la tradizionale”
vuole; a patto che sia cucina vegetariana, con verdura e frutta bio a km
zero visto che sono tutti prodotti del
posto. Va da sè che gli ospiti, circa 15
nei due rustici, sono dei veri appassionati di vita naturale e vegetariana, anche perché l’alloggio è raggiungibile
solo a piedi dopo una bella camminata”.
Meno spartano, ma non per questo
meno in linea con la
“filosofia”
veggie,
Oliani ha invece puntato all’eccellenza e
alla qualità in un settore non ancora destinato al pubblico di
massa. “Col soggiorno offriamo anche
massaggi relax all’olio di arnica montana ed essenze alpine,
Shiatsu, Stone Massage e Yoga, ma il nostro punto forte è la
cucina - confida senza
falsa modestia lo chef
-. Abbiamo proposto,
ad esempio, il nostro
menu vegano all’ultima rassegna del Maggio gastronomico in alternativa a
quello tradizionale: oltre l’80 per cento dei consumatori ha preferito quello
vegano! È vero, un po’ è anche moda e
curiosità, ma la cucina veggie se fatta
bene non ha nulla da invidiare a nessun altra”.
MOOSMÜHLE
Hefenhofen,
Turgovia
SCHLOSS GLARISEGG
Steckborn,
Turgovia
CHALET STELLA ALPINA
HOTEL AND WELLNESS SPA
Ronco Bedretto,
Ticino
HOTEL BALANCE
Les Granges,
Vallese
VILLA UNSPUNNEN
Wilderswil,
Berna
GRAND SWISS HOTEL
Giswil,
Obwaldo
MAMMA MERAGGIA
Sala Capriasca,
Ticino
HOTEL-PENSION
BEAU-SITE
Chemin ob Martigny Vs,
Vallese
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12 CIBO
Le interviste.
Il cibo visto come patrimonio
ed espressione della propria
terra.Un concetto fondamentale
per gli chef stellati.Da quello
campano a quello ticinese
Alfonso Iaccarino
“Si salta più in alto
se come trampolino
si usa la tradizione”
Si chiama cucina mediterranea, ma in realtà è
una filosofia di vita applicata alla tavola. Ad impersonarla sono dietisti, sociologi, antropologi,
ma soprattutto chef che attraverso prodotti a chilometro zero, accoppiamenti azzeccati e una leggerezza nei condimenti, hanno dato senso a questa strada del gusto che ha conquistato il mondo.
ELISABETTA MORO
A
La “filosofia”
LA TRADIZIONE
Solo dopo aver studiato,
approfondito e rispettato
la tradizione, si ha il
diritto di metterla da
parte, sempre però
con la consapevolezza
che le siamo debitori
L’INNOVAZIONE
È fondamentale stare al
passo con i tempi,
rinnovare, ma bisogna
farlo mantenendo
un’identità ben precisa,
legata alla nostra storia,
alla nostra terra
IL PATRIMONIO
Il cibo diventa
patrimonio di una terra
e ne è la sua
espressione, al pari
di un monumento o di
una rappresentazione
architettonica
I COLORI
Anche i colori sono
pensati per esaltarsi con
la luce naturale del
Mediterraneo, un modo
per trasportare nella
straordinaria atmosfera
del Sud d'Italia
L’AZIENDA AGRICOLA
La grande cucina si fa
nel campo, come i
grandi vini in vigna. La
mia parte dai sette ettari
de Le Pieracciole,
l’azienda agricola
biologica di famiglia
doro i piaceri semplici, sono l’ultimo rifugio del complicato.
Questo paradosso di
Oscar Wilde è la sintesi perfetta della filosofia di Alfonso
Iaccarino, una delle stelle internazionali del food. Chef del ristorante
Don Alfonso 1890 di Sant’Agata
sui due golfi, un piccolo borgo di
collina che guarda dall’alto in basso Sorrento e Positano. I due golfi
in questione sono quelli di Napoli e
Salerno. E proprio alla confluenza
di questi due mari blu cobalto si
colloca la penisola sorrentina, uno
dei luoghi dove la natura sembra
aver inventato la bellezza. E la
bontà, visto che in queste terre baciate dal sole e accarezzate dalle
brezze di mare da qualunque seme
nasce un capolavoro. Dal pomodoro cuore di bue che ha fatto la fortuna della caprese al limone locale
che ha reso celebre il limoncello.
Chi nasce da
queste parti si porta dentro una propensione naturale
al bello e quel non
so che di semplicità apparente che
sono i tratti distintivi della scienza
gastronomica di
Iaccarino. E che gli
sono valsi l’invito dell’Imperatore
del Giappone Akihito a firmare il
banchetto dei festeggiamenti per
la nascita della principessa Aiko.
Il suo Relais & Chateaux è oggi
considerato una tappa imprescindibile per chi vuole conoscere la
tavola dell’Italia del sole. Quella
dei sapori intensi e della dolce vita.
Dove l’alta cucina viene usata come leva per sollevare un mondo di
prodotti di eccellenza che fanno
parte del lessico familiare di questo territorio, che da almeno due
secoli è meta di un turismo che
cerca un contatto vibrante con la
natura.
E proprio di ospitalità si è sempre occupata la famiglia Iaccarino.
Fin dalla fondazione, nel 1890, del
primo albergo. Quello che Alfonso
ha ereditato, assieme al nome, dal
nonno. Allora si usava aggiungere
il don in segno di rispetto. E anche
se oggi non si fa più, molti continuano ad attribuirlo anche al nipote, che immancabilmente si schermisce “il vero Don era mio nonno”.
Quello che tornato dall’America
con un gruzzoletto decise che non
Uno di loro è sicuramente don Alfonso Iaccarino
che rappresenta una collaudata e importante tradizione. Una tradizione però che negli anni ha accolto sensibilità diverse in cucina. Come quella di
Dario Ranza, che sulla bontà del chilometro zero si
batte da sempre. O quella Andreas Schwab, altro
testimone ticinese dell’originalità a tavola.
si sarebbe mai più allontanato dalla sua terra. E con un danaroso turista tedesco mise su la sua prima
attività. Ma se il capostipite pensava in grande, il nipote non è da
meno, visto che fin dall’adolescenza aveva deciso di portare l’haute
cuisine dentro il suo mondo. Tanto
che la notte rubava le chiavi del ristorante per cimentarsi in vertiginosi soufflé al cioccolato, che immancabilmente si sgonfiavano sotto i suoi occhi e quelli amorevoli
della sua anima gemella, Livia. Insieme hanno costruito un’impresa
che conta anche un ristorante a
Macao, uno a Marrakech e uno al
Grand Meliã Villa Agrippina a Ro-
Il segreto nella pasta
di Gragnano trafilata
al bronzo, tre tipologie
di pomodoro e l’olio
extravergine d’oliva
“Ai miei colleghi
sembravo un folle,
ma non volevo
scimmiottare
la cucina francese”
ma. Un lavoro fatto con grande
passione che si intreccia alla loro
vita sentimentale e familiare. Non
a caso oggi anche i due figli sono
protagonisti di questa avventura.
Mario, dopo aver studiato alla
scuola alberghiera di Ginevra, è diventato il Maître de Maison e Ernesto, con una laurea in Economia
in tasca, è ai fornelli, dove ha già
dimostrato di avere appreso dal
padre i segreti di una cucina che
trafigge. Il Vesuvio di maccheroni,
il sartù di riso in sfoglia di melanzana, le mezzelune di maialino nero, il soufflé di mozzarella, il pesce
spada gratinato alla lavanda, la
pezzogna affumicata con maionese
di agrumi. E un favoloso dessert
dedicato al limone. Tradizione e
innovazione nel piatto. Non a caso
il menù ha in ex ergo una frase di
Eduardo De Filippo che recita “Solo dopo aver studiato, approfondito
e rispettato la tradizione, si ha il
diritto di metterla da parte, sempre però con la consapevolezza che
le siamo debitori, per lo meno,
d'aver contribuito a chiarirci le
idee. Naturalmente, se si resta ancorati al passato, la vita che continua diventa vita che si ferma ma,
se ci serviamo della tradizione come d’un trampolino, è ovvio che
salteremo assai più in alto”. Il
grande drammaturgo napoletano
lo ha fatto con il teatro, Alfonso e
Ernesto Iaccarino lo fanno con la
cucina.
Non a caso uno dei cavalli di
battaglia del ristorante, fin dalla
sua apertura nel 1984, sono gli
spaghetti alla Don Alfonso. Una
grande pasta di Gragnano trafilata
al bronzo ed essiccata lentamente,
con tre tipologie di pomodoro, uno
straordinario olio extra vergine di
oliva e l’odore penetrante delle foglie di basilico. Oggi che questo
piatto, secondo un’indagine Oxfam
in 137 Paesi, è il più amato al mondo, è facile gridare al capolavoro.
Ma per inserirlo nel menù di un ristorante di alta cucina ci è voluto
coraggio. E quello ad Alfonso e Livia non manca. Allora andavano
decisamente controcorrente. Era
l’epoca in cui i ristoranti stellati
usavano solo il burro, i fondi di
cottura, i ristretti di carne. Tartufi
e fois gras erano dei must. “Ai miei
colleghi sembrava una scelta folle.
Ma io non volevo scimmiottare la
cucina francese. Così ho lavorato
sulla tradizione del territorio che è
fatta di biodiversità straordinarie.
Perché noi abbiamo ricevuto il dono delle quattro stagioni”. E che
questa cucina a base di pesce, tan-
L’ORTO SORRENTINO
Il 69enne chef Alfonso
Iaccarino nella tenuta
agricola di famiglia, Le
Peracciole a Punta
Campanella, acquistata
negli anni ’90 inizialmente
per produrre olio proprio
di fronte a Capri
te verdure, pasta, latticini, vino e
olio fosse un patrimonio agroalimentare e culturale eccezionale ne
era convinto anche Ancel Keys, lo
scienziato dell’Università del Minnesota che ha scoperto per primo i
benefici di questo tipo di alimentazione.
Quando Keys venne portato la
prima volta a pranzo al Don Alfonso dallo scrittore statunitense Gore Vidal, sobbalzò sulla sedia. Perché si rese conto che questa coppia
di astri nascenti della gastronomia
europea stavano aprendo una nuova strada alla cucina italiana. Alfonso rivelò i segreti dei suoi piatti
gustosi e al tempo stesso lievi,
compreso il trucco della besciamelle all’extravergine. Per tutta risposta la star della scienza della
nutrizione la inserì tra le ricette
del suo libro “How to eat well and
stay well. The mediterranean
way”, dove per la prima volta nella
storia compare l’espressione “dieta mediterranea”, coniato dopo
anni di frequentazione della Campania, in opposizione alle diete
iperproteiche del mondo angloamericano. Da allora il Don Alfonso è l’acropoli della dieta mediterranea. Che nel 2010 è stata proclamata dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità. E la Fao
nel 2012 l’ha indicata come uno
dei regimi alimentari più sostenibili al mondo, non a caso celebrata
con un’intera settimana ad Expo,
dal 14 al 20 settembre.
Ad inaugurare la kermesse sarà l’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa con la tavola rotonda “La ricetta della longevità” curata dal MedEatResearch, il Centro
di ricerche sociali sulla dieta mediterranea che presenterà in anteprima la Piramide Universale della
Dieta Mediterranea. Tra gli ospiti,
ovviamente, anche Alfonso Iaccarino, che racconterà il suo rapporto
con Ancel Keys e per la gioia del
pubblico dell’esposizione universale farà un cooking show. Di quale
piatto? Naturalmente degli spaghetti alla Don Alfonso. Chi non
potrà essere a Milano la mattina
del 14 settembre, potrà ammirare
la maestria dello chef in diretta
streaming
su
www.unisob.na.it/expo. L’occasione è di quelle ghiotte visto che non
si tratta di uno di quei cuochi che
frequentano compulsivamente gli
studi televisivi. Ad Alfonso, infatti
piace, stare in cucina. O nella sua
azienda bio di Punta della Campanella che affaccia vertiginosamente su Capri.
IL VESUVIO DI MACCHERONI
Timballo di pasta che
unisce il meglio della
gastronomia campana:
pasta di Gragnano,
pomodoro San
Marzano, mozzarella
IL SARTÙ DI RISO
Il Sartù è una ricetta
tipica della tradizione
napoletana. Il nome
deriva dal francese “sur
tout”, soprattutto.
Al Don Alfonso è in
sfoglia di melanzana
LA CIPOLLA RIPIENA
Un altro must di
Iaccarino è la cipolla
ripiena, con veli di
cipolla cotti sotto la
cenere con gamberetti,
prosciutto di San
Daniele e olive nere
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
13
Gli chef ticinesi
“I prodotti del territorio
e la logica del chilometro zero
alla base della mia cucina”
I
TRA NOVITÀ E TRADIZIONE
A fianco, Andreas Schwab,
38 anni, chef del ristorante
Tentazioni di Cavigliano;
sopra, Dario Ranza, 50enne
cuoco stellato del Villa
Principe Leopoldo di Lugano,
vincitore del “Five Star
Diamond Award” alla carriera
Andreas Schwab:
“È importante
coltivare e cogliere
nella regione in cui
si risiede e lavora”
l cibo è espressione di una cultura. E mai come in quella mediterranea ne è parte integrante. Con cultura s’intende un’esperienza di vita comune che ha unito le popolazioni che si affacciano sul mar Mediterraneo. L’incontro è spesso anche lo scontro di
culture e civiltà diverse, in un processo di continuo scambio di idee,
valori, beni materiali e tradizioni. E ha portato a quella che è diventata una vera e propria cultura, che raggiunge la sua massima
espressione nella cucina, rinomata in tutto il mondo.
La zona del Mediterraneo è molto ampia e molto varia geograficamente parlando. Ma tutto sommato molto simile. Pensiamo al clima. Ecco perché alimentazione e coltivazione, preparazione e consumazione del cibo sono comuni, anche nelle regioni alle pendici
delle Alpi. Oltre agli indiscutibili e riconosciuti benefici del cibo
mediterraneo, questo tipo di alimentazione assicura una gestione
sostenibile del territorio. L’uso di prodotti locali e la salvaguardia
delle tradizioni alimentari sono spesso insidiate da altre culture culinarie e dai ritmi forsennati della vita moderna. In una logica di
mercato vieppiù legata al profitto, il patrimonio naturale è sempre
più in pericolo.
A difesa della cucina mediterranea, fatta da prodotti a chilometro zero e stagionali, si trovano alcuni dei più importanti chef che
lavorano in Ticino. Come Dario Ranza, cuoco stellato del Villa Principe Leopoldo di Lugano. “L’importanza del chilometro zero nella
mia cucina è fondamentale - sottolinea -. Le culture mediterranee
che dal punto di vista delle scelte alimentari sono le più sane, sono
anche quelle che prestano attenzione non solo ai cibi, ma alle loro
sostanze nutritive. Si preoccupano della composizione e dell’origine
degli ingredienti. Senza mai tralasciare l’estetica del piatto ovviamente, perché anche l’occhio...”.
Spiace notare, a volte, che non sempre le giovani generazioni
sembrano avere la consapevolezza della ricchezza di tutto ciò che il
territorio mette a disposizione. “I più giovani non sembrano rendersi conto del patrimonio che hanno sotto gli occhi e tendono a scegliere alimenti preconfezionati e con molti grassi – nota Ranza -.
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Questo non è solo un pericolo per la salute, ma rischia di avere un
impatto deleterio anche sulla cultura e, di conseguenza, sull’ambiente”.
Già. Perché se va perso il modello mediterraneo, per rimpiazzare gli stessi ingredienti bisogna andare a prenderli molto lontano,
con tutta una serie di controindicazioni legate soprattutto all’ambiente, perché significa più camion sulle strade. E allora, come fare
per recuperare la “mediterraneità”, facendo capire ai giovani l’importanza di questo modello alimentare per uno stile di vita sano e
sostenibile? “È fondamentale sapersi modernizzare - afferma Andreas Schwab del Tentazioni di Cavigliano -, non rinunciando a
qualche ‘new entry’, ma proteggendo le varietà territoriali locali,
conservandone così la ricchezza dei sapori. Ogni piatto ha in sè un
valore umano, saperi e ricchezze culturali che si trapassano di generazione in generazione”. Inoltre, è importante educare, attraverso un approccio culturale, a una nuova ecologia dell’alimentazione.
Per restare in salute e non danneggiare l’ambiente. Iniziare sin da
subito con le nuove generazioni a una più attenta educazione dell’alimentazione faciliterà un processo di crescita e di attenzione nei
confronti degli altri e di tutto ciò che ci circonda. “Ecco perché è importante coltivare nella regione in cui si risiede e si lavora, valorizzando così il territorio. Diversificare l’agricoltura di prossimità ha il
pregio di offrire cibi freschi di stagione - dice ancora Schwab - e riduce di molto i costi di trasporto e conservazione. Oltre naturalmente ad aumentare la qualità di quanto c’è nel piatto”.
Valorizzare l’agricoltura nostrana è anche un gesto culturale, significa conservare la memoria storica delle tradizioni. Tutto ciò costituisce un insieme in cui storia, cultura e abitudini si sposano con
agricoltura, alimentazione, economia, servizi, tempo libero, educazione. Significa quindi incidere sul tessuto sociale, con un impatto
positivo per tutta la popolazione, anche quella più cittadina.
Non dimentichiamo che da sempre esiste un profondo legame
tra cibo e cultura. E proprio (ri)partendo da lì si può (ri)trovare il legame con la terra e quindi con l’ambiente che ci circonda.
o.r.
IL CAFFÈ
Estate / Autunno 2015
CIBO
15
La televisione.
Dopo la grande abbuffata di talent show,con esperti
e principianti ai fornelli davanti alle telecamere,
il mercato televisivo (e il pubblico) appare saturo
FORNELLI SPENTI
La versione francese
di Masterchef ha chiuso i
battenti, dopo appena due
puntate. Così ha deciso Tf1
causa ascolti troppo bassi
I manicaretti in diretta alla tivu
rischiano di bruciare audience
ALESSANDRA COMAZZI
Le serie
FOOD AND DRINK
Uno dei primi programmi tv
dedicati alla cucina è
senz’altro Food and Drink,
che è andato in onda
ininterrottamente su Bbc
Two, dal 1982 al 2002, per
poi riprendere nel 2013
LA PROVA DEL CUOCO
Il programma made in Italy ,
che sostiene ancora oggi
con onore il mezzogiorno di
Rai1, ha esordito nel 2000,
figlio della versione originale
inglese (Ready steady cook)
che risale al 1994
E
uropa cucina. E mangia. Non soltanto per
nutrirsi, ma anche per
vendicare una vocazione antica all’astinenza. La televisione esalta l’attitudine, ogni giorno cuochi e
conduttori, professionisti e dilettanti, spignattano, impiattano e
svelano ricette, su reti pubbliche
e private, locali e a pagamento,
declinando ogni genere, dai quiz
ai talent, dai factual alla fiction.
Sul video si continua a mangiare, a conoscere le specialità regionali, i cibi, i vini di una tradizione che è cultura e che rischia
comunque di perdersi. Ma dentro i programmi c’è la pubblicità,
esaltatrice di magrezza. C’è la
moda, ci sono le riviste che propongono modelli irreali, pericolosamente anoressici, avvilenti
per le donne normali, che si sentono grasse nella taglia 44, se
non nella 42, secondo i canoni
del “Diavolo veste Prada”, e
spendono fior di denari per creme e massaggi. Così la tv alimenta la contraddizione: da un
lato il continuo richiamo a forme
segaligne che presuppongono
sacrificio alimentare, dall’altro i
continui inviti al cibo, sia tradizionale e naturale, sia “americano” grondante merendine e
“junk food”, spazzatura.
Ma nell’orgia di trasmissioni
culinarie su tutte le reti di cielo e
di terra, una notizia è in questa
estate arrivata dalla Francia: la
versione locale di “Masterchef”,
La Rsi
GAMBERO ROSSO
Oltre alle trasmissioni ci sono
anche interi canali dedicati
interamente al cibo, come il
serioso, compassato, ma
decisamente universale
Gambero Rosso Channel, al
confronto con la ben più
popolare Alice Tv
MASTERCHEF
Il talent show culinario più
famoso, nato in Inghilterra
alla Bbc nel 1990, è
proposto in versione
personalizzata alla tv
in ben 22 Paesi diversi.
Più la versione “Junior”
ORRORI DA GUSTARE
Forse i più divertenti sono i
programmi come Orrori da
gustare (Discovery), Unti e
bisunti (Dmax), Man vs
Food (Dmax) che coprono la
parte più trasgressiva e
meno tradizionale del cibo
PIATTOFORTE
Il programma quotidiano di
“cucina e dintorni” condotto
da Raffaella Biffi nello
studio-cucina di Comano,
arrivato alla quinta edizione,
è ormai un must della
programmazione Rsi
I
l cibo e la sua preparazione sono ingredienti essenziali di un’offerta televisiva che unisce tradizione e innovazione, e non è certo un caso se una delle
trasmissioni di maggior successo della
Rsi è “Piattoforte”, il programma quotidiano di cucina e dintorni che ha appena
concluso la sua quinta edizione con Raffaella Biffi (foto in alto a destra). Nonostante la sensazione che si prova solo
scorrendo i titoli dei programmi di cucina, che ormai da qualche tempo saturano
i palinsesti televisivi, Piattoforte è considerato un must. Il pubblico ancora non
sembra mostrarne sazietà, anzi, nella
nuova serie - che debutterà lunedì 7 settembre con nuovo titolo “Cuochi d’artificio”, il pubblico stesso si ritroverà ai fornelli di Comano. “Se non proprio ai fornelli in ogni puntata un telespettore sarà
‘in cucina’ con Alan Rosa, Giuseppe Piffaretti, Christian Frapolli e giovani chef come new entry - precisa Andrea Gloor, il
produttore del programma -. Dai 45 minuti ci allungheremo all’ora di trasmissione raddoppiando gli chef al lavoro: uno
alle prese con la ricetta rapida da 12 minuti, che chiunque può replicare da casa,
l’altro invece con la ricetta classica”.
Per replicare il successo di Piattoforte, però, non basteranno nuove ricette
da imparare, curiosità gastronomiche,
consigli e i tanti trucchi del mestiere. Si
il talent di cibo più diffuso nel
mondo, in luglio ha chiuso con
ignominia dopo appena due
puntate. Tf1 ha deciso la sospensione, causa ascolti troppo
bassi, e lo ha sostituito con una
serie poliziesca. Essendo d’altronde i cuochi e i poliziotti gli
attuali padroni del video. Va detto che in altri paesi la trasmissione è in onda sui canali a pagamento, e qui le cifre si fanno relative. Se un milione di telespettatori sono tantissimi per una rete pay, lo stesso milione è pochissimo per una rete pubblica,
non regge l’investimento pubblicitario. Questa scelta francese
testimonia un’altra caratteristica
che riguarda non soltanto Masterchef, ma molti altri programmi, come X Factor: se ne parla
E ora gli chef di Comano
fanno...cuochi d’artificio
accentuerà anche il ruolo della cucina
come luogo privilegiato di riconoscimento identitario. “L’intenzione è quella
di renderlo più giocoso, divertente, senza trasformarlo in talent show - aggiunge Gloor -. In realtà anche le ricette sono un pretesto per raccontare storie, e
come abbiamo sempre fatto esaltando il
territorio e i suoi prodotti. Anzi, avremo
proprio uno spazio dedicato, con una
scenografia a sè, ai produttori del Paese”.
Se l’abbuffata di cucina televisiva ha avuto come patria l’Inghilterra, la Rsi non ha certo nulla da
invidiare o scimmiottare dagli altri
network. La tradizione del genere
televisivo made in Ticino, infatti,
risale a tempi non sospetti. A partire dai primi anni ‘80, con Mascia
Cantoni al ristorante affiancata
dallo chef fino all’antesignana
delle trasmissioni ai fornelli,
quel “Cosa bolle in pentola” di
Bigio Biaggi che, in diretta dal
1991 per una decina di stagioni, ha
trasformato definitivamente pastasciutte, risotti e arrosti in protagonisti del piccolo schermo. Una tradizione continuata coi “Cucinatori”, “Piattoforte” e che ora dagli
chef di Comano si attende, appunto, cuochi d’artificio.
e.r.b.
SI RIPARTE
Torna dal
7 settembre
su Rsi La1
Piattoforte,
condotto
da Raffaella
Biffi, 42
anni
molto, i media li seguono con
passione, i social alzano la polvere, ma la realtà oggettiva dei numeri è bassa. E Tf1 l’ha dovuto
constatare, correndo ai ripari.
Nonostante sullo show fossero
stati fatti importanti investimenti, nella speranza che si rivelasse il successo dell’estate. E
mancava da un anno e mezzo,
tempo giusto per non stancare il
pubblico, e anzi incuriosirlo. Ma
è andata ben diversamente. Per
non buttar via tutto, lo show è
poi tornato dopo una pausa di un
mese, il 30 luglio, su Nt1, piccola
tv digitale.
E insomma la Francia sarà
l’avanguardia di un cambiamento? Arriva il riflusso cuciniero?
Qualcuno ha cominciato da tempo a essere assai critico. Ernesto
Ferrero, per esempio, lo scrittore
per anni presidente del salone
del libro di Torino, aveva dichiarato proprio a questo giornale:
“La cucina sta diventando la
nuova pornografia, onanismo
mentale, voyeurismo. Patinata,
esibizionistica, pretenziosa, indisponente. Questi chef che diventano i nuovi guru, e vengono
riveriti come tali, come altrettanti maitre-à-penser. Ma per
favore! Va invece rispettata la
cucina come memoria, come deposito di storie, di culture materiali, di tecniche, di mentalità
collettive, usi e costumi, una
grande e vera sapienza artigianale”. Ma intanto, in video si continua a mangiare
in modo sovradimensionato, irritante. La domande
più frequente rivolta dei
telespettatori è: ma perché ci sono così tante trasmissioni di cucina? Perché il
cibo è di moda, e quando un
genere è di moda, viene
consumato fino
alla noia, soprattutto se
costa
poco;
perché è consolatorio, non
fa litigare, non
è divisivo, è
neutro, fa trascorrere una serata, consente ai
cuochi di farsi
notare.
Ma ora la cuci-
na comincia a suscitare antipatia, con tutte le persone che
muoiono di fame al mondo. Molti, nei programmi, si ispirano alla
filosofia di Expo, “nutrire il pianeta”. E non buttare gli avanzi.
Gli chef in tv sono sempre più attenti a natura e stagioni. Detto
questo, tutto sa di ipocrisia. Le
emittenti non sono mai filantropiche, devono fare business e
dunque ascolti. Come ha dimostrato la Francia, l’unico modo
per liberarci, e non fare indigestione di cibo tv, è cambiare canale alla parola “impiattamento”.
Mettendo quindi fine a
un’ossessione. Che di sicuro vorrà dire qualcosa. C’entrerà con i
tempi precari. Almeno mangiamo. O, come direbbero a Roma,
magnamo.
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dell’edizione n° 32 de “il Caffè”
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