Raccomandazioni per la prevenzione e il trattamento degli

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Raccomandazioni per la prevenzione e il trattamento degli
stravasi dei farmaci antineoplastici
Boschi Rita, Infermiera
Rostagno Elena, Infermiere Pediatrico
GdL Infermieristico
Introduzione
Lo stravaso di un farmaco chemioterapico rappresenta una possibile complicanza del trattamento
antitumorale. Per stravaso si intende la fuoriuscita di un farmaco dal letto vascolare utilizzato per
la somministrazione nei tessuti circostanti; le conseguenze possono essere di diversa entità:
dall’arrossamento locale alla necrosi tissutale, che può coinvolgere tendini e legamenti, causando
gravi danni funzionali.
L’incidenza degli stravasi è stimata fra lo 0.1% e il 6.5% degli eventi avversi correlati alla
somministrazione di chemioterapici. (1,2)
In base al potenziale danno tissutale che si verifica in caso di stravaso, i farmaci possono essere
classificati come vescicanti, irritanti o non vescicanti (Tabella 1). (3,4,5)
1. Viene definito vescicante un farmaco che, se travasato, può determinare un danno cellulare o
distruzione tissutale, dolore severo o prolungato.
2. Viene definito irritante un farmaco che, se travasato, può dare calore e infiammazione nel sito
d’infusione o lungo la vena in cui viene somministrato, ma non provoca danno tissutale.
3. Farmaci non vescicanti, se travasati, non producono reazioni locali né danno tissutale.
I meccanismi che determinano il danno tissutale conseguente ad uno stravaso sono differenti6:
- alcuni chemioterapiaci si legano agli acidi nucleici del DNA e sono inizialmente assorbiti
localmente causando morte cellulare. Dopo l’endocitolisi, attraverso il rilascio del farmaco dalle
cellule morte, si verifica la morte cellulare delle cellule circostanti. La natura ripetitiva di questo
processo danneggia la guarigione e può determinare un progressivo e cronico danno tissutale;
(3,6,7,8)
- i farmaci che non si legano al DNA possono essere metabolizzati limitando il grado di danno
tissutale, e quindi sono più facili da neutralizzare. (2,3)
Tabella 1: Chemioterapici vescicanti, irritanti
Farmaci vescicanti che si legano al DNA
Agenti alchilanti
Antraciclinici
Antibiotici antitumorali
Farmaci vescicanti che non si legano al DNA
Alcaloidi della vinca
Taxani
Farmaci irritanti
Agenti alchilanti
Derivati del platino
Inibitori della topoisomerasi II
Antraciclinici
Inibitori della topoisomerasi I
Mecloretamina
Doxorubicina, Daunorubicina, Epirubicina, Idarubicina
Mitomycina, Dactinomycina, Mitoxantronea
Vinblastina, Vincristina, Vinorelbina, Vindesina
Paclitaxel, Docetaxel
Carmustina,
Dacarbazina,
Ifosfamide,
Melphalan,
Thiotepa,
Carboplatino, Cisplatinoc, Oxaliplatino
Teniposide, Etoposide
Doxorubicina liposomiale, Daunorubicina liposomiale
Irinotecan, Topotecan
NOTE
a. il suo potere vescicante dipende dalla concentrazione
b. generalmente classificato fra gli irritanti, ma sono segnalati casi con un moderato potere vescicante
c. segnalato come vescicante in caso di stravaso di grandi quantità (oltre i 20 ml a una concentrazione
di 0.5 mg/ml)
Fattori di rischio
I fattori di rischio per lo stravaso di chemioterapici potenzialmente vescicanti sono ben identificati,
e quando molti di questi sono presenti, i pazienti hanno un elevato rischio di incorrere
accidentalmente in uno stravaso. (2,4,5)
Prima di iniziare un protocollo di trattamento che comprende uno o più farmaci potenzialmente
vescicanti, il team professionale dovrebbe prendere in considerazione l’intero piano di trattamento
e valutare attentamente la possibilità di candidare il paziente al posizionamento di un accesso
venoso centrale fin da subito.
I fattori di rischio di stravaso da vena periferica includono la presenza di piccole e/o fragili vene,
l’obesità che può determinare difficoltà nel reperire un accesso venoso, precedenti multiple
venipunture, la presenza di lesioni cutanee (es eczemi o psoriasi), i movimenti del paziente,
precedenti trattamenti che possono aver indebolito le pareti dei vasi. Inoltre, si può riscontrare una
difficoltà nel reperire un accesso venoso in casi di linfedema.
Altri fattori di rischio connessi al paziente sono rappresentati da alterazioni dello stato di coscienza,
deficit sensoriali, età (soprattutto in caso di bambini molto piccoli), non conoscenza della lingua. In
tutti questi casi il paziente può trovarsi nella condizione di non essere in grado di segnalare
tempestivamente un cambio delle sensazioni (bruciore, dolore) al sito di infusione. (2,5,9)
I fattori di rischio non sono solamente connessi al paziente. Inadeguate competenze tecniche del
personale coinvolto nel posizionamento di cateteri venosi periferici può determinare la necessità di
ripetute venipunture, determinando in questo modo un’alterazione dell’integrità della parete
vascolare. Il rischio di stravaso aumenta quando farmaci vescicanti vengono somministrati
attraverso un dispositivo rigido (es “butterfly”) in quanto durante la somministrazione il paziente
può inavvertitamente muoversi determinando una puntura nella vena. Un inadeguato fissaggio del
set d’infusione può determinare uno sfilamento della cannula aumentando così il rischio di
stravaso.
L’utilizzo di cateteri venosi centrali non azzera completamente il rischio di incorrere in uno
stravaso. L’utilizzo di aghi non idonei per l’accesso a dispositivi totalmente impiantati (PORT) e il
non corretto fissaggio dell’ago possono aumentare il rischio di stravaso.
Cateteri venosi centrali in materiale morbido possono fissurarsi , cateteri a permanenza possono,
nel tempo, andare incontro a uno spostamento.
Diagnosi e sintomi dello stravaso
La scoperta precoce di stravaso è di fondamentale importanza.
Se ci troviamo di fronte ad un evento tra i seguenti, la probabilità di stravaso è alta:
- rallentamento o interruzione del flusso venoso
- aumento della resistenza durante l’infusione
- gonfiore o eritema in corrispondenza del sito d’infusione
- sintomatologia riferita dal paziente come bruciore o dolore pungente.
Lo stravaso non deve essere confuso con le flebiti, cioè infiammazione della vena durante
l’infusione, tipica delle antracicline a causa del loro pH o della dacarbazina che provoca dolore
durante l’infusione; questi casi si risolvono generalmente con la diminuzione della velocità
d’infusione.
Raccomandazioni
Le raccomandazioni proposte dalla bibliografia sono state catalogate a seconda del livello di
evidenza utilizzando il sistema di classificazione IDSA-United States Public Health Service grading
system for ranking recommendations illustrato nella Tabella 2.
Tabella 2: Classificazione delle evidenze
Qualità dell’evidenza
Forza della raccomandazione
I
Evidenza derivante da > 1 studi clinici
prospettici, randomizzati, controllati
II
Evidenza da > 1 studi clinici, non
randomizzati, con disegno clinico adeguato;
da studi di coorte o caso-controllo
(preferibilmente multicentrici); da studi
riportanti casistiche di più pazienti; o da
risultati inaspettati derivanti da studi non
controllati
III
Evidenza
basata
sull’opinione
di
rappresentanti di istituzioni sanitarie, società
scientifiche,
esperienza
clinica,
studi
descrittivi, gruppo di esperti
A
Buona evidenza a supporto della
raccomandazione
B
Moderata evidenza a supporto della
raccomandazione
C
Scarsa evidenza a supporto della
raccomandazione
RACCOMANDAZIONI PER LA PREVENZIONE
- effettuare un’attenta valutazione dei fattori di rischio connessi al paziente, del protocollo di
trattamento e scegliere il miglior accesso venoso; se necessario optare per un accesso venoso
centrale (AIII) (3, 4, 5, 10, 11, 12, 17)
- evitare vene di piccolo calibro o fragili, evitare dorso della mano o sedi vicine ad articolazioni,
tendini o prominenze osee. Se il tentativo di incanalamento della vena fallisce riprovare sempre
a”a monte” della sede di rottura o nell’arto controlaterale (AIII) (1, 2, 3, 4, 5, 11, 12, 13, 17)
- elaborare delle procedure standardizzate per la somministrazione di farmaci potenzialmente
vescicanti o irritanti (AIII) (10, 14)
- elaborare delle procedure standardizzate per la gestione degli stravasi (AIII) (2, 10, 14, 16)
- tutto il personale coinvolto nella somministrazioni della chemioterapia deve essere addestrato
(AIII) (2, 5, 10, 14, 15, 16)
- educare il paziente a segnalare tempestivamente qualunque problema si evidenzi durante la
somministrazione dei farmaci (AIII) (3, 5, 10, 14, 15, 17)
- utilizzare cateteri periferici di piccolo calibro, preferire dispositivi in polietilene o Teflon ad aghi
metallici per le infusioni prolungate (AIII) (4, 5, 10, 17)
- per l’accesso a sistemi totalmente impiantati (Port) utilizzare un ago di lunghezza adeguata
(AIII) (4, 5, 10, 15)
- cannule periferiche e aghi per l’accesso al Port devono essere fissati in modo sicuro con cerotto
trasparente che permetta il monitoraggio costante della sede di infusione durante la
somministrazione dei farmaci (AIII) (2, 3, 4, 5, 17)
- prima dell’infusione valutare la funzionalità della vena infondendo una soluzione neutra (AIII)
(2, 3, 17)
- verificare il ritorno ematico tramite aspirazione con siringa prima e durante la somministrazione
del farmaco (AIII) (2, 3, 5, 15,17)
- evitare l’utilizzo di pompe infusionali per la somministrazione, somministrare il farmaco “a
caduta” (AIII) (5, 11, 17)
- la somministrazione dei farmaci in bolo deve avvenire in contemporanea con un’infusione
veloce di soluzione neutra (es. soluzione fisiologica), ciò per ridurre l’irritazione della vena e,
nell’eventualità di uno stravaso, per ridurre il danno tissutale (AIII) (11, 12)
- al termine dell’infusione “lavare” bene la vena con una soluzione neutra (AIII) (13)
- se devono essere somministrati più farmaci in sequenza, somministrare per primi quelli
vescicanti, in quanto l’integrità della vena diminuisce nel tempo (BIII) (5, 12)
RACCOMANDAZIONI PER IL TRATTAMENTO
- ai primi segni e/o sintomi di stravaso interrompere immediatamente l’infusione (AII) (2, 3, 4,
10, 17)
- prima di rimuovere il cateterino utilizzato per l’infusione tentare di aspirare il farmaco
travasato; se disponibile, somministrare tramite questo l’antidoto farmacologico in aggiunta alla
somministrazione s.c. (AIII) (2, 3, 10, 18, 19)
- in caso di stravaso da CVC tipo Port, prima di rimuovere l’ago tentare di aspirare il farmaco
travasato; se disponibile, somministrare tramite questo l’antidoto farmacologico in aggiunta alla
somministrazione s.c. (AIII) (2, 3, 10, 18, 19)
- somministrare l’antidoto specifico se indicato (Tabella 3: Antidoti e trattamenti). L’antidoto
dovrebbe essere somministrato entro 1 ora tramite la cannula o l’ago e intorno alla sede di
stravaso tramite iniezioni s.c. (AIII) (2, 3, 10, 15, 17, 18, 19)
- posizionare l’arto in scarico per 48 ore può aiutare il normale assorbimento e drenaggio dei
liquidi travasati (BIII) (2, 3)
- effettuare applicazioni termiche calde o fredde (Tabella 3: Antidoti e trattamenti) per almeno
15-30 min quattro volte al giorno per 24-48 ore (BIII) (2, 3, 4, 10, 15, 17)
- documentare l’evento e il trattamento, se possibile fotografare la sede di stravaso (AIII) (2, 3,
4, 5, 10, 15, 16)
- predisporre un “kit” per lo stravaso, contenente gli antidoti e la procedura d’intervento (AIII)
(10, 19)
- rivalutare periodicamente la zona fino a completa risoluzione del problema (AIII) (11, 15, 16)
Tabella 3: Antidoti e trattamenti
Farmaco
Antidoto
Trattamento
Antraciclinici
DMSO
Dexrazoxane
Tiosolfato di Sodio
Applicazioni fredde
Cisplatino
Dactinomycina
Docetaxel
Mecloretamina
Mytomicina
Mitoxantrone
Oxaliplatino
Paclitaxel
Alcaloidi della Vinca
Jaluronidasi
Tiosolfato di Sodio
DMSO
DMSO
Tiosolfato di Sodio
Jaluronidasi
Applicazioni fredde
Applicazioni fredde
Applicazioni fredde
Applicazioni
Applicazioni
Applicazioni
Applicazioni
Applicazioni
fredde
fredde
calde
fredde
calde
Antidoti farmacologici
Qui di seguiti vengono descritti gli antidoti farmacologici utili nel trattamento degli stravasi di
farmaci chemioterapici.
1. Jaluronidasi: è un enzima di natura proteica in grado di modificare la permeabilità tissutale
favorendo l’assorbimento sistemico della sostanza travasata; promuove l’idrolisi dell’acido
ialuronico così da diminuire la viscosità del farmaco citotossico a livello interstiziale. (1, 15, 18)
Si somministra 1 ml di soluzione di Jaluronidasi (suddivisa in 5 iniezioni s.c. da 0.2 ml) intorno alla
sede dello stravaso utilizzando un ago da 25 G o più piccolo. (4, 15, 18)
2. Tiosolfato di Sodio: questo antidoto crea nella zona di infiltrazione un ambiente alcalino, si lega
alla sostanza vescicante impedendole di creare danno tissutale e ne consente l’eliminazione con le
urine. (1, 18)
Preparare una soluzione 1/6 molare. Miscelare 4 ml di Tiosolfato di Sodio al 10% con 6 ml di acqua
per preparazioni iniettabili, oppure 1.6 ml di Tiosolfato di Sodio al 25% con 8.4 ml di acqua per
preparazioni iniettabili. Somministrare s.c. 2 ml di tale soluzione effettuando multiple iniezioni
intorno alla sede di stravaso. (4, 15, 18)
3. DMSO: il dimetilsulfossido agisce neutralizzando l’accumulo di radicali liberi e facilitando
l’assorbimento sistemico del farmaco vescicante, riducendo così il danno tissutale; possiede inoltre
proprietà antinfiammatorie, analgesiche e vasodilatatrici. Si assorbe rapidamente a livello cutaneo.
(1)
Effettuare delle applicazioni topiche di DMSO al 50-99% ogni 6-8 ore per 7-14 giorni. Non eseguire
bendaggi occlusivi. (3)
4. Dexrazoxane: molecola cardioprotettrice, tra gli antidoti efficaci nel trattamento degli stravasi da
Antraciclinici. La somministrazione di questa sostanza per via endovenosa contribuisce a ridurre
l’estensione della zona colpita da stravaso. (4, 15, 18, 20, 21)
Si somministra e.v. per tre giorni. 1000 mg/mq (max 2000 mg) i giorni 1 e 2, 500 mg/mq (max
1000 mg) il terzo giorno. (4, 15, 18)
Applicazioni termiche
In letteratura i dati riguardanti i benefici delle applicazioni termiche per ridurre il danno degli
stravasi da chemioterapici, sono ancora controversi, anche se i benefici di questa procedura sono
stati confermati in studi su animali. (1, 22)
L’applicazione di compresse fredde è basata sul fatto che si induce una vasocostrizione con una
conseguente riduzione della velocità di diffusione del farmaco nei tessuti, riducendo così l’area del
potenziale danno tissutale. L’applicazione di calore sul sito di stravaso determina vasodilatazione e
di conseguenza aumenta l’assorbimento del farmaco.
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