L’ETÀ GIOLITTIANA
La crisi di fine secolo
L’Ottocento in Italia si chiuse all’insegna della crisi economica e del disagio sociale: la
produzione industriale era cresciuta solo al Nord e si concentrava ancora nel triangolo
Milano – Torino – Genova. Anche l’agricoltura si era evoluta tecnicamente, ma solo nel
Settentrione. Si era però aggravata la questione meridionale, cioè l’arretratezza economica
e sociale del Mezzogiorno: ciò aveva provocato, nel periodo dal 1880 al 1900, l’emigrazione
di 5 milioni di italiani provenienti dalle masse contadine e operaie che erano partiti, in
particolare, verso gli USA e l’Argentina.
Quando, in seguito a cattivi raccolti, il prezzo degli alimenti aumentò, scoppiò la protesta
popolare. Il governo presieduto da Rudinì rispose con la repressione più spietata: nel 1898 a
Milano, il generale Bava-Beccaris ordinò di cannoneggiare la folla, uccidendo un centinaio di
manifestanti.
Il movimento operaio e i socialisti
Il Partito Socialista Italiano fu fondato nel 1892. Fu il primo partito moderno di massa in Italia;
raccoglieva i consensi dei proletari dell’industria e dei braccianti agricoli del Nord. Era guidato
da Filippo Turati, di orientamento riformista: intendeva attuare in Parlamento riforme
graduali a favore della masse operaie utilizzando una strategia politica che prevedeva anche
la collaborazione con le forze politiche della borghesia. Un’altra corrente del PSI era quella
rivoluzionaria, secondo la quale il cambiamento era possibile solo con una rivoluzione
popolare.
Anche se in numero minore, erano attivi in Italia anche gli anarchici, intenzionati a
scatenare la rivoluzione coinvolgendo le masse con disordini e attentati. Uno di questi,
Gaetano Bresci, per vendicare l’Eccidio di Milano, nell’anno 1900 uccise in un attentato il re
Umberto I , il quale aveva conferito un’onorificenza a Bava-Beccaris. Il suo gesto gettò l’Italia
sull’orlo della guerra civile.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, volle a capo del nuovo governo Giuseppe Zanardelli che
nominò ministro il liberale Giovanni Giolitti (1842-1928). Nel 1903 Giolitti divenne Presidente
del Consiglio. In carica fino al 1914, egli ripristinò la centralità del Parlamento dopo le
tendenze autoritarie degli anni precedenti, attuando una politica riformista che prevedeva
l’accordo con i rappresentanti del movimento operaio, cioè i sindacati e l’ala riformista del
partito socialista guidata da Turati. Il governo Giolitti non usò la forza per difendere gli
interessi degli imprenditori ma al contrario cercava di rimanere neutrale: i lavoratori e gli
imprenditori dovevano infatti trovare un accordo tramite trattative. In questo modo diminuì il
conflitto sociale e politico.
Riformisti di Turati (Parlamento)
Partito Socialista Italiano
1892
Rivoluzionari
1
Principali riforme attuate dal Governo Giolitti
1903 - Legge che garantiva il diritto di sciopero
1904 - Legge per tutelare il lavoro delle donne e dei ragazzi (età minima portata ad anni
12), sostenere l’invalidità e la vecchiaia.
1905 - Statalizzazione delle ferrovie
1911 - Legge scolastica di miglioramento della scuola elementare, che diventava statale.
1913 - Diritto di voto a tutti i cittadini maschi maggiori di 30 anni che avevano svolto il
servizio militare
Nell’ “Età giolittiana” (1903 – 1914) l’Italia vide il suo “decollo industriale” favorito da: nuovi
impianti idroelettrici, lo sviluppo dell’industria chimica (gomma), meccanica, automobilistica
(Fiat) e agro-alimentare (Cirio, per es.), ma il Sud non fu coinvolto in questo processo, sicché
l’emigrazione dal Sud aumentò, aggravando la questione meridionale.
Le critiche più aspre vennero da Gaetano Salvemini che accusò Giolitti di clientelismo
(concedere favori e vantaggi in cambio di pacchetti di voti), soprattutto al Sud.
L’estensione del diritto di voto alle masse popolari favorì il PSI, ma segnò anche il ritorno dei
cattolici alla vita politica e, in vista delle elezioni del 1913 Giolitti strinse un accordo (Patto
Gentiloni) con l’Unione Elettorale Cattolica: i cattolici votarono per i liberali di Giolitti,
ottenendo in cambio la salvaguardia dell’istruzione religiosa nella scuola pubblica ed il blocco
delle proposte di legge sul divorzio. I cattolici crearono un proprio movimento politico solo nel
1919: il Partito Popolare.
Nel 1914 la maggioranza si presentava molto ampia ma eterogenea (erano presenti correnti e
ideologie in contrasto tra loro). Inoltre era aumentato notevolmente il passivo del bilancio
statale, ed erano sorte dure polemiche tra i nazionalisti e i socialisti rivoluzionari ; si
scatenarono violente proteste con molte vittime tra i lavoratori. Nel marzo del 1914 Giolitti
presentò le sue dimissioni: fu sostituito dal conservatore Antonio Salandra, sino allo scoppio
della prima guerra mondiale.
La propaganda nazionalistica e la guerra di Libia
L’Associazione Nazionalista Italiana era un movimento di destra guidato da Enrico Corradini:
non sosteneva certo la lotta operaia bensì una lotta internazionale da parte dell’Italia che
affermasse la sua grandezza nel mondo.
L’Impero Ottomano, anche se molto indebolito, controllava ancora la Libia, regione povera e
in gran parte desertica, ma vicina all’Italia. Nel 1911 gli Italiani sbarcarono sulle sue coste,
ma incontrarono l’ardua resistenza delle tribù beduine. L’impresa fu sostenuta dai grandi
gruppi industriali e finanziari, interessati alle commesse militari e alla costruzione delle
colonie, oltre che naturalmente dai movimenti di propaganda nazionalista cui parteciparono
anche Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio. L’Italia occupò tutta la fascia costiera libica e le
isole del Dodecaneso ma la conquista della Libia fu completata solo per via diplomatica.
2
L’Europa agli inizi del Novecento
La Belle Epoque
Gli ultimi decenni dell’ Ottocento e i primi anni del Novecento, sino allo scoppio della Grande
Guerra, videro in Europa il trionfo della società borghese dinamica, ricca e in continuo
progresso grazie all’industria ed all’incessante innovazione scientifico-tecnologica . La capitale
di quest’Europa in pieno sviluppo era Parigi ma tutto l’Occidente vide in quel periodo il trionfo
dell’energia elettrica, del cinema, dell’automobile e dei primi aeroplani.
Tuttavia la società europea di inizio Novecento era attraversata da fortissimi contrasti : ricca,
in parte, ma con grandi disuguaglianze economiche e sociali; liberale, ma in realtà dominata
dai grandi monopoli; razionalista e fiduciosa nella scienza (positivismo) , ma agitata da
ideologie irrazionali come il nazionalismo e il razzismo.
Le masse sulla scena politica
In quasi tutti i Paesi (eccetto la Russia) il diritto di voto maschile era affermato all’inizio del
secolo. Ne conseguì una maggiore partecipazione politica, una crescente sindacalizzazione, la
diffusione di movimenti di massa – come quello socialista o quello ad esso opposto,
nazionalista – misero in difficoltà i sistemi politici: la Francia era lacerata dall’antisemitismo e
da tentati colpi di stato dell’estrema destra; la Germania viveva un irrigidimento autoritario
con Guglielmo II; la Russia, che non aveva permesso riforme costituzionali, vide l’esplosione
della rivoluzione nel 1905. Solo la Gran Bretagna pareva aver bilanciato la forza
conservatrice con la nascita del partito laburista (sinistra).
Conflitti in campo coloniale
Il periodo apparentemente spensierato della “Belle Epoque”, in realtà nascondeva forti
tensioni internazionali di ordine economico e politico: i grandi stati europei erano infatti
contrapposti in campo coloniale per affermare la propria grandezza di potenza europea.
Gran Bretagna e Francia avevano sfiorato il conflitto con l’incidente di Fashoda (1898) nel
Sudan di influenza britannica ma invaso da una spedizione francese. La Russia e il Giappone
si scontrarono per il controllo della Manciuria (parte dell’Impero cinese); Germania e
Francia vissero due crisi marocchine e si rinfocolò la rivalità per la zona Alsazia - Lorena,
diventata tedesca dal 1870. L’Inghilterra inoltre vedeva minacciato il suo tradizionale primato
in campo navale dai tedeschi che stavano allestendo una grande flotta da guerra. Per le
comuni divergenze nei confronti della Germania, Francia e Inghilterra strinsero un’alleanza
nel 1904 (Intesa cordiale). Quando a questa si unì la Russia, che temeva di rimanere isolata,
nacque la Triplice Intesa (1907) che si opponeva alla già esistente Triplice Alleanza fra
Germania, impero Austro-Ungarico e Italia (risalente al 1882 ma più volte rinnovata).
TRIPLICE ALLEANZA
1882
TRIPLICE INTESA
GERMANIA
AUSTRIA - UNGHERIA
ITALIA
FRANCIA
GRAN BRETAGNA
RUSSIA
1907
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L’Europa dell’Est senza stati nazionali
Nella parte centro-occidentale del continente si erano affermati pienamente gli stati nazionali,
ma nella parte orientale, all’inizio del Novecento erano presenti tre grandi stati
multinazionali: l’Impero austro-ungarico, l’impero russo e l’impero ottomano, in ognuno dei
quali convivevano nazionalità diverse che causavano conflitti, talvolta multietnici e lotte per
l’indipendenza. Sotto il sempre più debole controllo dell’Impero ottomano, l’instabile quadro
dei Balcani vedeva sgretolarsi l’equilibrio che Bismarck aveva creato: grandi tensioni infatti
percorrevano gli stati indipendenti di Serbia e Montenegro, la Bosnia – Erzegovina,
amministrata dall’Austria e la Bulgaria, protettorato della Russia.
L’Austria, unica potenza europea priva di impero coloniale, aveva esteso la sua influenza
nell’area dei Balcani, appoggiata dalla Germania, ma questa regione interessava in modo
particolare alla Russia che mirava ad espandersi verso il Mediterraneo. Anche l’Italia era
interessata ad avere la propria parte dell’impero turco in disfacimento, per affermarsi
sull’Adriatico; anche la Gran Bretagna intendeva espandere i suoi interessi nel Mediterraneo
(1878: controllo dell’isola di Cipro).
D’altra parte la Serbia aspirava a realizzare il “nazionalismo grande-serbo” dei popoli di
lingua slava facendo leva sui nazionalismi antiturchi. In questo era appoggiata dalla Russia e
contrastata dalla Bulgaria. Anche Romania, Montenegro e Grecia puntavano ad
espandersi a spese dell’oppressivo impero ottomano.
La situazione peggiorò a partire dal 1908, quando il movimento nazionalista dei Giovani
turchi (ufficiali dell’esercito) portò alla caduta del sultano. Fu allora che l’Austria si appropriò
della Bosnia-Erzegovina (già suo protettorato) suscitando l’ostilità della Serbia, che mirava
ad avere uno sbocco sul mare, e dell’Italia (interessata alle coste adriatiche del sud). Questo
quadro politico causò negli anni 1912-1913 una serie di guerre che demolirono l’impero
ottomano ed esasperarono il conflitto fra Austria - Ungheria e Serbia per il controllo dei
Balcani, e furono la causa scatenante della Prima Guerra Mondiale. Infatti, nel 1913 la Serbia,
nonostante le vittorie conseguite, non aveva raggiunto il desiderato accesso al mare,
impeditole dall’Austria che ancora esercitava la sua protezione sulla Bosnia-Erzegovina. Per
non rendere possibile il progetto serbo, l’Austria aveva anche imposto la creazione dello stato
dell’Albania.
Le cause della Prima Guerra Mondiale
Da tempo la conflittualità sul piano economico e coloniale fra le grandi potenze era in
costante crescita: lo spazio disponibile per l’espansione era ormai in gran parte occupato.
Infatti, mentre la Gran Bretagna e la Francia disponevano enormi imperi coloniali, la
Germania era molto più svantaggiata in questo senso, nonostante avesse accresciuto
enormemente la propria potenza industriale e mercantile. L’impero tedesco, sotto Guglielmo
II, aveva abbandonato la politica di equilibrio dettata da Bismarck (cancelliere fino al 1890)
per assumere una linea aggressiva nei confronti di Gran Bretagna e Francia. La Gran
Bretagna era intimorita dalla crescente concorrenza economica e politica della Germania, e
anche la Francia nutriva una forte ostilità antitedesca da quando nel 1870 aveva dovuto
cedere l’Alsazia e la Lorena alla Germania. A questa instabilità si sommava la
contrapposizione antica fra Austria e Russia che, interessate all’area balcanica ed ai territori
del debole impero ottomano, parteggiavano rispettivamente a favore della Bosnia-Erzegovina
e della Serbia. L’ Italia, dal canto suo, mirava a recuperare le terre irredente (“Trento e
Trieste”), ancora dominate dagli austriaci, e aumentare la propria influenza nell’area adriatica
e balcanica.
Tutte queste rivalità strategiche avevano sostituito quindi l’equilibrio costruito da Bismarck
con un sistema di alleanze politico/militari contrapposte: la Triplice Alleanza e la Triplice
Intesa.
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RUSSIA
AUSTRIA
CONFLITTO
+
BOSNIA -
SERBIA
ERZEGOVINA
L’industria militare si sviluppò notevolmente nel primo decennio del Novecento, e mentre
diminuiva la corsa alle colonie (lo spazio coloniale era ormai saturo), si accendeva quella agli
armamenti che in Europa divenne presto inarrestabile: le classi dirigenti dei diversi Paesi
erano ormai dominate dai grandi gruppi industriali e dalle gerarchie militari che guardavano
con favore ad un prossimo conflitto, anche come mezzo per consolidare l’unità nazionale e
arginare i conflitti sociali. Si sviluppò così anche fra le popolazioni europee un consenso allo
scoppio di un conflitto sostenuto anche dalla stessa classe operaia richiamata al “patriottismo”
alimentato da antiche rivalità. Anche il movimento socialista internazionale si divise sulla
linea di condotta e, quando la guerra scoppiò, molti partiti socialisti si dichiararono favorevoli.
Si scatenarono violenze contro i pacifisti nello spirito della “Comunità d’agosto” che
nell’estate del 1914 attraversava le popolazioni europee.
Luglio 1914: lo scoppio del conflitto
La scintilla che accese la guerra generale in Europa scoccò nei Balcani. Il 28 giugno 1914 uno
studente bosniaco di nazionalità serba assassinò a Sarajevo (capitale della Bosnia) in un
attentato l’arciduca austriaco Francesco Ferdinando, l’erede al trono d’Austria. L’Austria
attribuì il complotto alla Serbia e le dichiarò guerra, con l’appoggio del kaiser tedesco
Guglielmo II. Ma in difesa della Serbia intervenne la Russia dello zar Nicola II. In pochi giorni
scattarono le alleanze incrociate: la Germania dichiarò guerra alla Russia e poi alla Francia
e l’esercito tedesco, muovendosi verso ovest invase lo stato neutrale del Belgio; la Gran
Bretagna, a sua volta, dichiarò guerra alla Germania, seguita dal Giappone, che mirava ai
possedimenti tedeschi in Estremo Oriente. L’Italia, dato che la Triplice Alleanza era un patto
difensivo, si mantenne neutrale. L’ Impero Ottomano temendo un’invasione della Russia, si
unì alla Triplice Alleanza.
La Germania era costretta a combattere su più fronti e per questo vedeva l’unica possibilità in
una guerra rapida, ciò motivo l’invasione del Belgio che consentì ai tedeschi di marciare su
Parigi. I francesi, coadiuvati dagli inglesi, respinsero l’attacco nemico sul fiume Marna
(settembre 1914). La situazione sul fronte occidentale (ottocento km di trincee, dalla Manica
al confine svizzero) entrò in una lunga fase di stallo. Lo stesso accadeva sul fronte orientale
dove i tedeschi bloccarono l’avanzata russa a Tannenberg e ai laghi Masuri, in Prussia. Nel
Mediterraneo gli anglo-francesi sostenuti da un contingente australiano e neozelandese
furono sconfitti dai turchi a Gallipoli. Fu allora che l’Italia intervenne nella primavera del
1915, aprendo un nuovo fronte meridionale per gli imperi centrali.
Dall’estate del 1914 l’Italia si era divisa tra neutralisti (liberali, cattolici, socialisti, la
maggioranza del parlamento), contrari all’entrata in guerra, e interventisti. I nazionalisti
ovviamente erano a favore della guerra come anche gli ” irredentisti” che volevano scendere
in campo contro l’Austria per recuperare le terre italiane “irredente”: Trieste e il Trentino.
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Decisivo fu l’atteggiamento del governo Salandra che avviò trattative segrete con la Triplice
Intesa.
Infatti, con il Patto di Londra, firmato il 26 aprile 1915, l’Italia entrava in conflitto in cambio
di Trentino, Tirolo meridionale, Trieste, Gorizia, l’Istria (senza Fiume) e parti della
Dalmazia.
L’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria il 24 maggio 1915 al fianco di Francia e
Gran Bretagna.
Nazionalismo esasperato
Dal 1882: Triplice Alleanza
Politica aggressiva
 Germania
Dal 1907: Triplice Intesa
 Gran Bretagna
 Austria
← Alleanze contrapposte →
 Francia
 Italia → → →
 Russia
 Impero Ottomano
(dal 1914)

Italia (dal 26/4/1915)
Crisi ricorrenti
Guerra russo-giapponese
(1904-1905)
Guerra di Libia tra Italia e Impero turco
(1911)
Crisi balcaniche
Giugno 1914
Attentato a Sarajevo
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Lo svolgimento del conflitto e la vittoria dell’ Intesa
L’illusione di una guerra rapida e vittoriosa si era dissolto nella quotidianità della guerra di
trincea, essenzialmente difensiva, dominata dall’artiglieria. Decine di migliaia di uomini
cadevano per conquistare pochi chilometri di terreno che poi sarebbe stati persi con un
sacrificio altrettanto grandi. La situazione rimase così bloccata per anni con enormi costi
umani ed economici, mentre i soldati nelle trincee (v. battaglie della Marna) erano sottoposti
ad uno sfibrante logoramento fisico e morale.
Tra il 1915 e il 1916 si completarono gli schieramenti delle alleanze con l’entrata in guerra
degli Stati balcanici: Serbia, Montenegro, Grecia e Romania al fianco dell’Intesa; la Bulgaria
con Austria e Germania. Grazie a quest’accordo, l’Austria conquistò la Serbia. I Paesi neutrali
rimasero Olanda, Spagna, Scandinavia e Svizzera. Gli imperi centrali (Austria e Germania) in
questa situazione militare bloccata, avevano tutto da perdere: inferiori numericamente,
avevano difficoltà a rifornirsi a causa del blocco navale attuato dalla marina britannica nel
Mare del Nord. Per questo, nel febbraio 1916 tentarono una grande offensiva sul fronte
occidentale a Verdun, ma dopo sei mesi di battaglia capitolarono. Si contarono oltre
settecentomila caduti. Anche la controffensiva anglo-francese sul fiume Somme , che mieté
un milione di vittime, si rivelò inutile.
Sul fronte italiano il generale Luigi Cadorna lanciò l’offensiva per sfondare le linee austriache
sul fiume Isonzo, sull’altopiano del Carso. Unico risultato, la presa di Gorizia (agosto 1916)
dopo una logorante guerra di trincea.
Per forzare il blocco navale britannico i tedeschi spostarono la guerra sul mare, sconfitti nello
Jutland, intensificarono la guerra sottomarina illimitata (U-Boot) attaccando con siluri le navi
di qualunque nazionalità, anche non militari, in rotta da e per la Gran Bretagna. Il 1917 fu un
anno cruciale per le sorti del conflitto. Sul fronte orientale l’esercito russo cedette in più punti
mentre le truppe disertavano in massa. La Russia subiva un tracollo economico e militare che
divenne anche politico in seguito alla rivoluzione che nel febbraio 1917 portò all’abdicazione
dello zar Nicola II e alla rivoluzione bolscevica dell’ottobre 1917. Questi eventi condussero al
ritiro della Russia dalla guerra, che permise così ai tedeschi di concentrare le forze sul fronte
occidentale e su quello italiano, dove austriaci e tedeschi (24 ottobre 1917) riportarono una
gloriosa vittoria a Caporetto e stabilirono la nuova linea del fronte sul fiume Piave, che
divenne luogo dei sanguinosi scontri che si protrassero sino al 25 dicembre 1917.
In tutti gli eserciti ormai dilagava un clima di sfiducia e di rivolta tra le truppe, che alla fine
della guerra contarono oltre otto milioni di morti, mentre anche le popolazioni civili dei
Paesi impegnati nel conflitto erano piagate da denutrizione ed epidemie. In Francia, Germania
e Italia si scatenarono scioperi e sommosse contro la guerra: i socialisti e il Papa Benedetto
XV chiedevano di porre fine all’inutile strage.
In questo clima il Presidente degli Stati Uniti Wilson decise di intervenire per spostare
l’equilibrio bellico a favore dell’Intesa. La svolta si ebbe nel marzo del 1918, quando i tedeschi
lanciarono una nuova grande offensiva sul fronte occidentale giungendo a 60 km da Parigi
ma le truppe alleate, sotto il comando del generale francese Foch, sfondarono le linee
nemiche ad Amiens (8 agosto). La fine del conflitto si stava delineando.
In Italia, Cadorna era stato sostituito dal generale Armando Diaz. Dopo Caporetto fu
riorganizzato l’esercito chiamando anche i giovani nati nel 1899 (“i ragazzi del ’99“). Furono
promessi premi e terre ai soldati, e la corrente (disfattista) diffusa fra i socialisti lasciò il posto
al patriottismo. Gli sforzi non furono vani: gli austriaci vennero fermati durante la seconda
battaglia del Piave (15-23 giugno). Tra il 24 ottobre e il 3 novembre 1918, le truppe italiane,
unite a divisioni inglesi, francesi e americane, avanzarono verso Vittorio Veneto (terza
battaglia del Piave) e,disgregando le forze nemiche, giunsero a conquistare Trento e Trieste.
L’armistizio venne firmato dall’Impero austro-ungarico il giorno seguente, 4 novembre
1918. Anche la Germania, stremata militarmente ed economicamente, chiese all’Intesa
l’armistizio che, in data 11 novembre 1918, decretò la fine del conflitto.
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Il significato storico e le eredità della guerra
La Grande Guerra segnò profondamente l’economia, la politica, la società europea e mondiale.
I principali fattori di mutamento furono:
1. La crisi della secolare egemonia (predominanza) economica e politica dell’Europa nel
mondo.
 L’Europa del dopoguerra lasciò il ruolo di centro economico e politico del mondo
agli Stati Uniti, che videro crescere la loro produzione industriale sino a
rappresentare la metà di quella mondiale negli Anni Venti, mentre gli stati
europei, pesantemente indebitati nei confronti degli USA, che furono così
coinvolti anche politicamente nel ruolo politico internazionale.
2. La crescita del ruolo degli Stati nell’economia.
 Il conflitto totale costò oltre 8 milioni di caduti, 21 milioni di feriti, ma anche chi
non combatté in modo diretto fu mobilitato allo sforzo bellico per sorreggere il
sistema industriale. Infatti la produzione e l’utilizzo di armi pesanti sempre più
sofisticate, tra cui anche sommergibili ed aeroplani, aveva richiesto grandi
investimenti economici e tecnologici. Per questo motivo nell’immediato
dopoguerra i Paesi europei subirono una grave inflazione, un pesante deficit
pubblico e la necessità di riconvertire la produzione da bellica a civile, causando
così una forte disoccupazione. Sul medio e lungo periodo si ebbe un sempre
maggiore intervento dello Stato nell’economia e si svilupparono la
concentrazione industriale e l’innovazione tecnologica che resero possibile la
produzione di massa durante il periodo fra le due guerre e il secondo
dopoguerra.
3. La mobilitazione delle masse, l’intensificazione dei conflitti sociali, la crisi delle
istituzioni liberali
 Maturò in quegli anni una coscienza collettiva: anche milioni di donne fecero
ingresso nel mondo del lavoro in sostituzione degli uomini al fronte. Il nuovo
protagonismo delle masse, in una situazione di grave disagio sociale ed
economico che implicava anche il razionamento, andò a rafforzare il movimento
operaio contadino e si aprì una fase di intensi conflitti e imponenti scioperi di
matrice socialista avente base nel proletariato agricolo e industriale. Tuttavia la
crisi interessava anche i ceti medi, ora reduci dal conflitto e privi di
riconoscimenti e di sicurezze economiche. In questo quadro sociale dominavano
i cosiddetti “pescicani”, finanzieri e speculatori arricchitisi con la guerra. In tutti i
Paesi, comunque, la democrazia subì forti restrizioni: fiorì la censura, che
limitava la libertà di informazione, e la stampa finì per ridursi a ruolo di
propaganda patriottica che finì per manipolare e controllare l’opinione pubblica.
Durante la guerra lo sciopero fu proibito e represso molto duramente nelle
fabbriche che producevano armamenti. Il clima di autoritarismo si diffuse nelle
strutture politiche e nella stessa opinione pubblica. Si giunse presto alla crisi
dei valori liberali e democratici che presto avrebbe fatto nascere i regimi di
tipo fascista.
4. Il tentativo difficile ed irrisolto di creare un nuovo ordine internazionale.
 Non si realizzò la costruzione di un ordine mondiale stabile e duraturo quale era
stato raggiunto un secolo prima con la Restaurazione decretata dal Congresso di
Vienna (1815), infatti dopo neppure vent’anni il mondo sarebbe stato coinvolto
in un nuovo devastante conflitto scoppiato in Europa. Il motivo è spiegato dal
fatto che la Grande Guerra aveva avuto come unico obiettivo la vittoria totale,
facendo appello ai sentimenti nazionali di massa. Le trattative di pace furono
quindi condotte dai vincitori in un’ottica nazionalistica e la conclusione sul piano
diplomatico fu insoddisfacente.
Gli unici veri vincitori del conflitto erano dunque gli Stati Uniti che dettarono
alla vecchia e rissosa Europa i principi del nuovo ordine mondiale.
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Il presidente Wilson, infatti, nel 1918 espose i Quattordici punti sui quali
costruire la pace per evitare una nuova terribile guerra. I più importanti tra
questi:
1) Ridefinizione dei confini che rispettasse l’autonomia territoriale dei popoli
2) Libertà di commercio e abolizione delle barriere doganali
3) Riduzione al minimo degli armamenti
4) La fine della diplomazia segreta e un’informazione pubblica trasparente da
parte dei governi.
Questi obiettivi avrebbero così favorito, per Wilson, la creazione di un organismo
sovranazionale, la Società delle nazioni, avente ruolo di paciere internazionale.
I Quattordici punti, in effetti, erano l’espressione di idee politiche innovative, ma
di difficile attuazione in Europa, che ancora vedeva la presenza di stati con
all’interno etnie diverse, senza contare gli egoismi delle varie nazioni che, anche
nel mondo coloniale, tendevano a conservare intatti i propri domini. Fu così che
la Società delle nazioni nacque già debole: Stati Uniti (dopo Wilson), Giappone,
Unione Sovietica e Germania, per vari motivi, non vi parteciparono; in effetti fu
ridotta a semplice espressione degli interessi anglo-francesi.
La Conferenza di pace di Parigi
Nel 1918 i pilastri dell’Europa centro-orientale erano crollati: l’impero russo ad opera della
rivoluzione, quello austro-ungarico e il Reich tedesco a causa della dura sconfitta che aveva
portato all’abdicazione dei rispettivi monarchi e alla proclamazione della repubblica, mentre a
Istanbul il sultano non aveva più autorità nell’area balcanica.
I negoziatori riuniti alla Conferenza di Pace di Parigi del 1919 ebbero il problema di
ridisegnare la carta politica dell’Europa sconvolta dal tracollo simultaneo di questi quattro
grandi imperi. Le decisioni, naturalmente, furono prese dai quattro vincitori: gli Stati Uniti,
la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia. Gli sconfitti non furono ammessi come pure la Russia,
in quanto il governo socialista non venne riconosciuto dalle potenze occidentali.
Furono firmati cinque diversi trattati di pace, il più importante, detto di Versailles, relativo
alla Germania, poi quello di Saint Germaine, con l’Austria, di Neuilly, con la Bulgaria, il
Trianon con l’Ungheria, di Sèvres, con la Turchia (nel 1920).
Rimasero irrisolti molti problemi (la questione mediorientale è aperta ancora oggi); l’Italia ne
uscì insoddisfatta, l’area centrorientale e balcanica continuò a essere alimentata da
tensioni nazionalistiche ed etniche ma, soprattutto, i trattati di pace punirono severamente la
Germania, favorendo così l’ascesa al potere di Hitler e del nazismo.
Il crollo dell’Impero Ottomano
Nonostante le riforme introdotte dalla rivoluzione del 1908 (Giovani turchi) la situazione
continuava ad essere esplosiva: particolarmente tragico fu lo sterminio degli Armeni, ai
quali l’Intesa aveva promesso l’indipendenza. Dopo la sconfitta, gli inglesi occuparono
Istanbul e parte dell’Anatolia, i francesi la Siria e gli italiani un’altra parte dell’Anatolia. Il
trattato di Sèvres finì per disgregare completamente l’impero turco, assegnandone varie parti
agli stati vincitori del conflitto. Fu Mustafa Kemal (Ataturk = Padre dei turchi) che, a capo del
movimento d’opposizione addestrò, con l’aiuto dei bolscevichi, un esercito nazionale,
conquistando l’indipendenza della Turchia e recuperando buona parte dei territori. La
Repubblica turca fu proclamata nel 1923 e il generale Ataturk ne fu presidente a vita; la
nuova capitale divenne Ankara. Venne instaurato un regime autoritario, anche se basato su
modelli occidentali, per un paese moderno e laico che riconobbe il diritto di voto alle donne,
ma era pervaso di un acceso nazionalismo che portò a discriminare le minoranze curda ed
armena.
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