storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale

Capitolo
6
STORIA NATURALE DELLE METASTASI
EPATICHE DA CANCRO COLORETTALE
Moreno Cicetti, Irene Fiume,Valerio Sisti, Costantino Zingaretti
S.O.C. Chirurgia Generale,Oncologica e Vascolare - Azienda Ospedaliera San Salvatore, Pesaro – [email protected]
Introduzione
La metastasi epatica da cancro colorettale (MECCR)
è fenotipicamente diversa dal tumore primitivo e, come
tale, richiede una trattazione che non può prescindere
dalla sua storia naturale.
Per storia naturale intendiamo la descrizione rigorosa,
mediante osservazione, di tutte le fasi di sviluppo di
eventi presenti in natura ed indipendentemente da fattori di disturbo esterno, in modo da caratterizzarne la natura stessa; in particolare la storia naturale di una patologia
ci permette di evidenziare:
a) come insorge;
b) come evolve;
c) in quanto tempo evolve;
d) come si conclude.
L’utilità clinica di tale conoscenza è ovvia: se l’evoluzione di una determinata patologia fosse lenta e, soprattutto, le sue complicanze evolutive non influenzassero la
spettanza di vita, il suo trattamento potrebbe non essere
necessario; se invece influenzasse la sopravvivenza e la
qualità di vita, allora sarebbe auspicabile disporre di una
cura “efficace” di cui dovremmo definire i campi e i
momenti di applicazione, i costi e i benefici.
In realtà, attenerci alla suddetta definizione non è
facile, in quanto il momento di rilievo clinico-strumentale di una metastasi epatica segna il nostro momento iniziale di osservazione, che è, comunque, successivo e tardivo rispetto alla fase di impianto e di crescita iniiale nel
fegato delle cellule metastatiche.
Pertanto, esiste una fase iniziale pre-clinica e pre-strumentale nella evoluzione di una metastasi epatica che noi non
possiamo osservare direttamente, ma possiamo studiare
in condizioni sperimentali, per poi trasferire le conoscenze dal laboratorio alla clinica.
D’altra parte, la fase clinica-strumentale di evoluzione di
una MECCR è nota da diverso tempo; la conclusione è
l’insufficienza epatica con disprotidemia, ascite, edemi
diffusi e dolore addominale. Tale evoluzione è sempre
meno osservabile in un contesto “ naturale”, in quanto il
decorso di queste metastasi sarà stato influenzato sia da
trattamenti chemioterapici che ablativi locali (chirurgia e
radiofrequenza), sempre più proposti in quanto hanno
evidenze di efficacia e, per questo fatto, eventuali studi
randomizzati comparativi con casi “naturali”, cioè non
trattati, hanno limiti etici.
È pertanto interessante vedere come cambia la storia
naturale dei casi trattati con chirurgia, termoablazione e
chemioterapia variamente combinate.
Tali trattamenti hanno innanzitutto un presupposto epidemiologico (che giustifica l’interesse medico) ed è legato
al fatto che circa il 60% dei pazienti (pz) con cancro
colorettale svilupperanno metastasi epatiche, che costituiscono la principale causa di mortalità di questa neoplasia.
Esiste anche un presupposto biologico razionale che
sostiene tali trattamenti ed è dipendente dal fatto che i
tumori colorettali prediligono il fegato come organo
metastatico e, non rararamente, come unico organo
metastatico.
1
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
È frequente, inoltre osservare recidive precoci nonostante una terapia chirurgica resettiva curativa, e quindi è
evidente l’utilità clinica di conoscere a priori quali saranno i pz che non ne beneficeranno, non solo per opporsi
alla tendenza alla recidiva mediante chemioterapia neoadiuvante/adiuvante ma anche per evitare interventi chirurgici “inutili”: questo è il campo di ricerca dei fattori
prognostici.
Infine, gli articoli presenti in letteratura relativi alla
“storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale” sono, in realtà, descrizioni della “storia clinica”
di pz portatori di tali metastasi e riassunte dalle curve di
sopravvivenza.
Fatte queste premesse, il nostro obiettivo è quello di
tracciare una storia naturale delle MECCR facendo riferimento a:
– dati epidemiologici;
– storia naturale delle MECCR non trattate;
– storia preclinica delle MECCR: studi sperimentali;
– storia naturale delle MECCR modificata dalla
chirurgia;
– storia naturale delle MCCR modificata dalla chirurgia e dai trattamenti integrati;
– storia naturale delle MECCR nella popolazione
generale;
– previsione della storia naturale delle MECCR:
fattori prognostici.
Dati epidemiologici
Si stima che a livello mondiale ogni anno 900.000
persone si ammalino di cancro colorettale e che ne muoiano circa 500.000 per tale malattia e per gran parte a
causa delle metastasi epatiche; nel Regno Unito ogni
anno circa 18.000 persone manifestano metastasi epatiche e circa 3600 pz sono candidabili ad una resezione
epatica; negli Stati Uniti si stima invece che circa 50.000
nuove metastasi epatiche vengano diagnosticate ogni
anno (1, 2).
Circa un 20% dei pz sarà sottoposto ad una resezione epatica; tuttavia una recidiva si verificherà nel 60% dei
2
casi; nel 90% dei casi sarà entro 2 anni e nel 20% sarà
solo epatica con possibilità di una ri-resezione epatica (3).
Storia preclinica delle MECCR:studi sperimentali
In questi ultimi anni si sono acquisite numerose
conoscenze relative ai determinanti anatomici e biologici ritenuti importanti nella genesi delle MECCR su cui
poter basare delle efficaci terapie antitumorali.
Dal punto di vista sperimentale sono stati elaborati
diversi modelli biologici al fine di comprendere le fasi
iniziali della metastatizzazione epatica del cancro colorettale.
È possibile ad esempio, dopo i lavori pionieristici di
Leder (l’artefice nel 1984 dell’Oncomouse per lo studio
dei tumori mammari), creare animali transgenici (animali in cui è stato introdotto dall’uomo, stabilmente, un
gene che si vuole studiare e proveniente dalla stessa specie o da una specie diversa) od animali knock-out (in cui
il genoma , con o senza aggiunta di un gene estraneo, è
stato modificato per inattivare un gene che si vuole studiare) in grado di riprodurre tumori colorettali che a loro
volta possano evolvere con metastasi epatiche (4).
Tuttavia tali modelli, sebbene siano validi per lo studio dei geni implicati nella patogenesi di un determinato
tumore (geni “Gatekeeper” che controllano direttamente la proliferazione cellulare: ad esempio nella Poliposi
Adenomatosa Familiare; oppure geni “Caretaker” che
mantengono la integrità genica: ad esempio nella
Sindrome Ereditaria Non Poliposa del Cancro
Rettocolico), richiedono un tempo di sviluppo piuttosto
lungo, per cui sono preferibili modelli sperimentali che
prevedono l’impianto di cellule neoplastiche nei topi
nudi (cioè topi geneticamente modificati e caratterizzati
da assenza di timo ed incapaci di formare linfociti T); tali
modelli differiscono per la sede di impianto delle cellule
neoplastiche e per le caratteristiche dell’impianto (inoculo di linee cellulari tumorali o impianto di frammenti
tumorali) (5).
Gli impianti di cellule neoplastiche del tumore colorettale primario o metastatico eseguiti nel sottocutaneo,
nella milza o nella vena ileocolica o riproducono solo
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
aspetti parziali del processo di metastatizzazione o non
sono affatto metastatizzanti.
Pertanto, recentemente si sono imposti modelli che
tendono a riprodurre in maniera più fedele il processo di
metastatizzazione umana come l’impianto chirurgico
ortotopico (SOI: Surgical Orthotopic Implant) mediante
microiniezione nella sottomucosa del cieco (il reale
microambiente di origine del tumore primitivo), al fine di
ottenere la metastatizzazione linfonodale, ematica al
fegato e al polmone, e la diffusione locale al peritoneo
tipica delle neoplasie colorettali (6-9).
Dall’insieme delle esperienze si è potuto constatare
che:
– la metastatizzazione epatica è un processo inefficiente (principio dell’inefficienza metastatica di
Weiss) in quanto solo 1 cellula su 10 milioni attecchisce, per cui se solo alcune cellule neoplastiche
si sviluppano, originando metastasi nel fegato,
queste possono essere resecate a scopo curativo
ed il rischio di disseminazione del tumore è di
poco superiore rispetto ai soggetti senza metastasi epatiche (10);
– inoltre, tale processo, secondo Fidler, non è
casuale ma selettivo e consiste in fenomeni
sequenziali in grado di formare, attraverso una
serie di modificazioni geniche, una sottopopolazione cellulare, all’interno di un tumore, capace di
invadere il torrente circolatorio, raggiungere e
crescere in un organo bersaglio (teoria del seme e
del terreno di Paget) (11);
– esiste un diverso potenziale di sviluppo di metastasi epatiche fra linee cellulari diverse di tumore
colorettale e la “competenza di sviluppare metastasi epatiche” è una caratteristica specifica; si è
potuto dimostrare che a parità di invasione locale e vascolare esistono linee cellulari di carcinoma
colorettale metastatizzanti (M) e linee cellulari
non metastatizzanti (non M): le linee cellulari non
M, anche se impiantate nel fegato direttamente,
non si diffondono e dimostrano che il semplice
processo di adesione non è sufficiente a sviluppare metastasi (12);
– è fondamentale, per lo sviluppo di una metastasi,
6
la capacità di rispondere ai fattori di proliferazione presenti nell’ambiente di impianto stesso;
– in conseguenza di una epatectomia parziale si
determina un aumento di crescita degli impianti
sottocutanei e dopo exeresi del tumore primitivo
c’è una progressione delle metastasi epatiche
come se ci fosse la rimozione di una inibizione
alla proliferazione;
– l’aumento delle dimensioni delle metastasi epatiche avviene a spese del fegato che non mostra
segni di ricrescita, diversamente da quanto accade
dopo epatectomia (in cui ci sono segni di proliferazione epatocitaria entro 15 minuti): si ipotizza
che la metastasi induca apoptosi degli epatociti;
– le metastasi epatiche mostrano aumentata resistenza al processo di anoikisi (apoptosi fisiologica che si determina ogni volta che ci sia un distacco degli epatociti dalla matrice extracellulare).
Si sono potute pertanto ricostruire le tappe necessarie attraverso le quali una cellula neoplastica da origine ad
una metastasi epatica: distacco dal tumore primario, invasione della matrice extracellulare, penetrazione nel torrente circolatorio, arresto nel letto capillare dell’organo
bersaglio, adesione alla membrana basale sub-endoteliale,
risposta ai fattori di crescita e prolifezione-accrescimento,
induzione dell’angiogenesi ed infine evasione delle difese
immunitarie e del meccanismo dell’apoptosi (7).
Per ciascuna di queste fasi si sono messi in evidenza
degli equivalenti fenotipici, conseguenza di geni up o
down-regulated, che in termini molecolari si traducono,
ad esempio, in:
– ridotta espressione di caderina E (glicoproteina
transmembrana) con conseguente ridotta adesione cellulare e distacco facilitato dal tumore primario;
– aumentata attivazione delle metalloproteinasi nel
tumore primitivo (che agiscono sulla matrice
extracellulare) e conseguente facilitazione della
migrazione nello stroma;
– ridotta espressione della glicoproteina transmembrana MRP1/CD9 (motility related protein) con
conseguente aumento della motilità cellulare ed
invasione venosa e metastatizzazione epatica;
3
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
– aumentata espressione di fattori di crescita come
l’Epidermal Growth Factor , l’Insulin-like
Growth Factor e l’Hepatocitic Growth Factor;
– aumentata espressione dei recettori per il
Vascular Endothelial Growth Factor (la mutazione del gene corrispondente è presente nel 50%
dei pazienti con metastasi epatiche, tuttavia nessuno dei pazienti senza metastasi ha tale mutazione) (9-13).
Storia naturale delle MECCR non trattate
Nel 1968 Bengmark e Hafstrom di Goteborg sottolineavano la scarsità delle notizie riguardanti la storia naturale delle MECCR e pertanto analizzarono la loro casistica per cercare di fare luce su questo problema; nel periodo 1964-1966 operarono 173 pz con cancro colorettale;
in 40 casi fecero diagnosi di metastasi epatiche sincrone
alla laparotomia (che non vennero trattate chirurgicamente) e che vennero confermate in 38 (24,5%) casi dallo studio autoptico; la tipologia delle metastasi epatiche fu riassunta
in 3 gruppi: diffuse (12 pz), intermedie (14 pz), uniche (9
pz); non esistevano differenze di sopravvivenza nei 3
gruppi di lesioni epatiche; il tipo di intervento sul tumore primitivo (resettivo o decompressivo) non influenzava
la sopravvivenza; nessun paziente visse oltre 20 mesi, con
sopravvivenza media di 5 mesi (14).
L’assunto di una prognosi ineluttabilmente negativa
determinava anche trattamenti discordanti, da istituzione
ad istituzione, a seconda dell’atteggiamento culturale nei
confronti delle MECCR, relativamente al trattamento del
tumore primitivo colorettale.
Infatti Bengtsson e coll. nel 1981 ricordavano che in
presenza di MECCR gli interventi resettivi sul tumore
primitivo colorettale fossero effettuati con percentuali
variabili dal 36 al 65%. Inoltre segnalavano come nella
loro casistica di 25 pz con MECCR non trattate, la
sopravvivenza più lunga fosse stata di 36 mesi e con
sopravvivenze mediane che si allungavano in rapporto
alla quantità di fegato coinvolto: 6,2 mesi per sostituzione epatica < del 25%, contro 3,4 mesi in caso di coinvolgimento epatico > del 75% (15).
4
Già Wood e coll. nel 1978, in una casistica di 113 pz
con MECCR non trattate, avevano tentato di correlare la
prognosi con la percentuale di fegato coinvolto dal processo metastatico e riportavano sopravvivenze del 13,3%
a 3 anni in caso di lesioni uniche e nessun sopravvivente
in caso di lesioni bilaterali, mentre le mediane erano di 3
mesi, 17 mesi e 25 mesi a seconda che l’interessamento
epatico fosse diffuso, localizzato ad un lobo e unico (16).
Goslin nel 1982, nei pazienti con MECCR non trattate, segnalava una mediana di sopravvivenza di 12,5
mesi, ma differenziava pazienti con più di 3 noduli metastatici e pz con coinvolgimento epatico più limitato (se ≤
3 noduli la sopravvivenza mediana risultava pari a 24
mesi) (17).
In maniera simile Lahar nel 1983 riportava una
mediana di sopravvivenza nei pazienti non trattati di 6,1
mesi con un risultato migliore in quelli con 4 o meno
noduli metastatici rispetto a quelli con più di 4 noduli
(rispettivamente 11,8 mesi vs 6 mesi) (18).
Wagner e coll. nel 1983 tentavano di mostrare una
più accurata storia naturale delle metastasi epatiche,
“distillata” da fattori disturbanti; infatti, venivano esclusi
dall’analisi i pazienti morti entro 30 giorni dalla diagnosi,
con malattia extraepatica, con residuo di tumore primitivo, con altra neoplasia primitiva, con ittero o ascite e con
dati insufficienti per uno studio accurato; rimanevano
252 pazienti idonei per lo studio e si osservò che vivevano più a lungo di quanto previsto e che le mediane di
sopravvivenza erano diverse a seconda della quantità di
fegato coinvolto: pari a 21 e 15 mesi rispettivamente in
caso di metastasi unica e metastasi multiple unilobari,
con un 20% di sopravvivenza a 3 anni per metastasi
unica, un 6% in caso di lesioni multiple unilobari, 4% per
lesioni multiple bilaterali mentre le sopravvivenze a 5
anni erano del 3% in caso di lesione unica e del 2% in
caso di lesioni multiple bilaterali (19).
Stangl e coll. nel 1994 analizzando i dati di 484
pazienti con MECCR non resecate (accumulati nel
periodo 1980-1990), osservarono che, nel caso di coinvolgimento epatico > 25%, i fattori clinici non sembrano influenzare la sopravvivenza, mentre, nel gruppo con
malattia epatica metastatica meno estesa, il grading del
tumore primitivo, la presenza di ripetizioni extraepatiche
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
e lo stato dei linfonodi mesenterici erano fattori anatomoclinici correlati significativamente con la sopravvivenza, la cui mediana risultava di 21 mesi in caso di grading
1° o 2°, di assenza di metastasi extraepatiche e di negatività dei linfonodi mesenterici (20).
Gli anni 90 si concludono con il lavoro di Norstein
relativamente alla storia naturale delle MECCR e dopo il
1997 non si trovano altri lavori focalizzati su questo
argomento come obiettivo primario, in quanto l’attenzione viene rivolta ai risultati della chirurgia.
Norstein termina il suo articolo dicendo: il corso naturale della malattia nei pazienti potenzialmente resecabili è tale che
il tasso di mortalità operatoria deve essere basso, possibilmente non
superiore al 3-4%, e la curva di sopravvivenza deve essere significativamente diversa da quella corrispondente al corso naturale della
malattia; questo implica che le condizioni generali del paziente
dovrebbero essere compatibili con una spettanza di vita, in quel
momento, di almeno 18-24 mesi (21).
Nella Tabella 6.I sono riassunti alcuni dati delle serie
sovrastanti.
Storia naturale delle MECCR
modificata dalla chirurgia
Sia Wood che Bengtsson avevano citato Foster che,
già nel 1970 e successivamente nel 1978, in una review,
riguardante 400 pazienti sottoposti a resezione epatica
6
per MECCR, segnalava sopravvivenze a 5 anni del 2122% dopo chirurgia resettiva epatica e pertanto spostava
l’attenzione sulla chirurgia come metodo per migliorare
la sopravvivenza di questi pazienti (15, 16).
Del resto Wooddington e Waugh, nel 1963, avevano
anticipato ed affermato il concetto che non sempre una
metastasi epatica costituisce un segno di prognosi infausta, soprattutto se poteva essere applicata qualche forma
di resezione epatica curativa (subtotal or partial right
hepatectomy, left lobectomy, partial left hepatectomy).
Sebbene si trattasse di dati iniziali, nel periodo 19381959 alla Mayo Clinic furono eseguite 10 resezioni epatiche per MECCR con tentativo di effettuare una chirurgia curativa e 7 pazienti raggiunsero una sopravvivenza
media di 3,1 anni (22).
Spostandoci sul fronte teorico, Cady nel 1983 ricordava che il processo di metastatizzazione epatica è solo
un aspetto della disseminazione neoplastica e che il trattamento di metastasi può essere razionale o no in dipendenza del potenziale evolutivo di foci metastatici in altri
siti in quel momento non clinicamente evidenti; tale
Autore ricordava anche i dati autoptici del Rosswell Park
Institute che indicavano metastasi epatiche solitarie solo
nel 6% dei casi e cioè la vera metastasi “chirurgica” è un
evento poco frequente (23).
Wagner e coll. nel 1983 sottolineavano che decidere,
in un contesto clinico, se resecare o non resecare una
metastasi epatica rimaneva un gioco d’azzardo e sarebbe
Tabella 6.I – Storia naturale MECCR non trattate.
Autore
Tipologia metastasi
Wood 1976
diffuse
unilobari
uniche
Goslin 1982
Sopravvivenza Mediana (mesi)
Sopravvivenza a 5 anni (%)
3
17
25
–
–
–
Tutte le mts
≤ 3 mts
12,5
24
–
–
Lahar 1983
Tutte le mts
> 4 mts
≤ 4mts
6,1
6
11,8
–
–
–
Wagner 1984
diffuse
unilobari
uniche
–
–
–
3
0
2
Stangl 1994
mts<25%
del
grado1/2,N0,
no extraepatiche
21
–
fegato,
5
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
rimasto tale finchè non sarebbe stato possibile migliorare lo staging preoperatorio (19).
Adson dello stesso gruppo (Mayo Clinic) e nello stesso periodo (1984), dopo aver analizzato i dati relativi alle
MECCR non trattate, affermava che “la sopravvivenza a
5 anni” è il parametro da prendere in considerazione per
analizzare i risultati della chirurgia, in quanto ancora a 2
o 3 anni dalla diagnosi ci sono dei sopravviventi solo per
fattori naturali e c’è il rischio che il chirurgo si attribuisca
un risultato che in parte dipende solo da fattori naturali.
Poiché solo un 25% dei pazienti resecati con intento
curativo ne trae beneficio e gli altri muoiono non per
quello che viene asportato o visto, ma per ciò che non
viene visto e lasciato nel fegato libero di crescere (in altri
termini la conoscenza dello stadio clinico è impreciso), è
importante la conoscenza dei determinanti clinici per
offrire la soluzione chirurgica solo a quei pazienti che ne
possano trarre vantaggio (24).
Peraltro Scheele e coll. nel 1991 osservavano che il
concetto di un atteggiamento chirurgico aggressivo nei
confronti delle metastasi epatiche non fosse generalmente accettato, per cui cercavano di rispondere a quesiti
come: la resezione epatica garantisce lunghe sopravvivenze?, lunghe sopravvivenze sono possibili in pazienti
potenzialmente resecabili ma non resecati?, si è modificata negli anni, nonostante un maggior frequenza di
resezioni epatiche, il tasso di sopravvivenza?
Presentando la loro casistica nel 1990 (1209 pazienti
nel periodo 1960-1987 presso l’Università di Erlangen
suddivisi in 3 gruppi: 902 pz non resecabili, 62 pz giudicati resecabili alla laparotomia ma non resecati e 226 pz
con resezione epatica) offrono un lungo follow-up e forniscono sopravvivenze a 10 anni del 23% e del 16% a 20
anni; inoltre, ribadiscono che, sebbene non tutti i pazienti siano guariti dopo chirurgia resettiva epatica con intento curativo, comunque le mediane di sopravvivenza dei
pazienti con recidiva (3/4 dei pazienti resecati) sono
migliori rispetto a gruppi analoghi di pazienti non resecati o resecati non in modo radicale (non ci sono sopravviventi a 5 anni nei pazienti non resecabili o non resecati anche se resecabili)(25, 26).
Tuttavia è il lavoro di Fong del 1996 che è ritenuto
una pietra miliare nell’ambito della chirurgia epatica, in
6
quanto presenta una casistica monocentrica e concentrata in un breve intervallo di tempo: 456 pazienti in 6 anni
(1985-1991); qui vengono analiticamente presi in considerazione i risultati chirurgici in funzione della estensione intraepatica ed extraepatica, della qualità della chirurgia (in funzione dell’indennità o meno del margine di
sezione epatica), del significato della chemioterapia
postoperatoria (sopravvivenza a 5 anni nei pazienti con
chemioterapia postoperatoria del 32% contro 42% dei
pazienti senza chemioterapia).
Questo Autore osserva che le serie chirurgiche precedenti non avevano focalizzato l’attenzione sufficientemente su parametri anatomo-clinici di selezione dei
pazienti ed, inoltre, che alcune serie erano troppo estese
temporalmente per cui non era facile confrontare i dati
con quelli provenienti dalle casistiche attuali.
Secondo Fong, è possibile effettuare questo tipo di
chirurgia con una mortalità del 2,8% (4% per le resezioni maggiori e 0,5% per le resezioni minori) ed una morbilità del 31% ottenendo una sopravvivenza mediana di
46 mesi, una sopravvivenza a 5 anni del 38% ed una
sopravvivenza libera da malattia a 5 anni del 19%. Nel
successivo lavoro del 1999, prende in considerazione i
fattori prognostici desunti da 1001 pazienti resecati, confermando un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 37% ed
evidenziando un tasso a 10 anni del 22%. Sebbene le
sopravvivenze a 5 anni per lesione unica siano del 50%,
è possibile ottenere risultati soddisfacenti anche per
lesioni di grosse dimensioni (> 5 cm), per lesioni multiple (>3 mts) e bilobari (con sopravvivenze a 5 anni
rispettivamente del 35%, 24% e 28%); inoltre, un margine positivo riduce le sopravvivenze a 5 anni al 17%,
mentre non c’è differenza fra margini > o < di 1 cm,
purchè istologicamente indenni; un margine coinvolto è
un fattore di rischio per la recidiva locale, tuttavia, Fong
osserva che in 19/25 casi la recidiva coinvolge il fegato
controlaterale, fatto che dovrebbe essere controllato da
una chemioterapia locale o sistemica.
Allo stato attuale delle conoscenze, pertanto, è assodato che la chirurgia apporta in gruppi selezionati di
pazienti un vantaggio di sopravvivenza rispetto ai pazienti non trattati chirurgicamente, per cui attualmente è interessante valutare come si integrano altre modalità tera-
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
peutiche in particolare la chemioterapia e la radiofrequenza nel migliorare i risultati di sopravvivenza (27, 28).
Storia naturale delle MECCR
modificata dalla chirurgia e trattamenti integrati
La chirurgia inizialmente rivolta solo ai pazienti a
basso rischio di recidiva (metastasi piccole, singole o unilobari) attualmente ha ampliato i suoi campi di azione
alle metastasi bilobari, multiple, di grosse dimensioni ed
inizialmente non resecabili.
Attualmente, nel caso di resezioni epatiche estese, la
chirurgia deve essere più orientata su cosa rimane che su
cosa asportare, in particolare deve focalizzare l’attenzione sullo stato funzionale del fegato residuo (il nuovo
paradigma secondo Pawlick) (29).
Minagawa, del gruppo di Makuki, nel 2000 mostra
come il nuovo concetto di riferimento debba essere la
resecabilità o meno della lesione in funzione di fattori tecnici o funzionali del fegato residuo (almeno un 30% di
fegato residuo sano o un 40% di fegato residuo se cirrotico o trattato con chemioterapici) e, pertanto, il numero di
lesioni e la loro bilateralità, la presenza di malattia extraepatica non sono più vincolanti in assoluto; basandosi inoltre sulla teoria di Ewing secondo cui le metastasi epatiche
e polmonari sono espressione di una malattia metastatica
limitata, giustifica l’aggressività chirurgica (30).
Minagawa, infatti, riporta elevate percentuali di resezioni di lesioni tradizionalmente estese: 28,9 % di casi con
lesioni > 5 cm, 22,6 % di casi con più di 4 lesioni, lesioni
bilaterali nel 37,9% dei casi e non necessariamente con
interventi maggiori (solo 21% di asportazioni di 3 o più
segmenti epatici nella sua casistica), anche in funzione
dell’uso ormai collaudato di 2 importanti innovazioni tecniche e cioè l’ecografia intraoperatoria e l’embolizzazione
portale preoperatoria. Si tratta di muoversi fra 2 opposte
tendenze: quando possibile una chirurgia meno invasiva è
appropriata, mentre in caso di necessità l’estensione della
resezione chirurgica deve aumentare (30).
Con questa filosofia di lavoro viene riferita una
sopravvivenza a 5 anni del 38% ed a 10 anni del 26%
(30).
6
Tuttavia, nuove opzioni per modificare la storia delle
MECCR, derivano dalla combinazione di chirurgia e chemioterapia, avendo quest’ultima dimostrato di aumentare
le possibilità di sopravvivenza dei pz con MECCR.
Hobday nel 2002 riportava che, su 3514 pz trattati
con chemioterapia tradizionale per MECCR, solo l’1%
veniva curato (31).
L’irinotecan ha dimostrato un incremento di sopravvivenza mediana di 17,4 mesi e sopravvivenza ad 1 anno
del 69%; l’oxaliplatino ha dimostrato tassi di risposta
superiori al 5FU e acido folinico (53% vs 28%) (32.).
L’impiego di una chemioterapia neoadiuvante ha permesso di resecare una maggior quantità di lesioni metastatiche epatiche, con la possibilità di verificare sui pezzi
anatomici asportati le caratteristiche di risposta alla terapia medica e quindi quale sia l’equivalente istologico del
“disturbo” alla storia naturale delle MECCR.
Allo stato attuale delle conoscenze è possibile affermare che:
– la risposta istologica alla chemioterapia si manifesta con una involuzione fibrotica delle lesioni,
una riduzione della componente necrotica ed una
riduzione/scomparsa delle cellule neoplastiche
vitali localizzate tipicamente alla periferia dei siti
metastatici, anche se una completa sterilizzazione
dei siti metastatici è rara (4,5% dei pz) ed osservabile solo dopo oxaliplatino (33).
– non c’è concordanza tra risposta obiettiva clinica
completa e risposta patologica completa.
Infatti Adam e coll. evidenziano che, nella loro casistica, i pz con risposta patologica completa dopo chemioterapia (4% dei pz; 29/767) non avevano mostrato
una risposta obiettiva completa alle indagini diagnostiche, e che i pz con risposta clinica completa (0,3% dei
pz) nei pezzi asportati, avevano ancora cellule neoplastiche vitali. Una risposta obiettiva parziale era più frequente nei pazienti con risposta patologica completa (79% vs
53%); inoltre la risposta alla chemioterapia era più probabile per lesioni < 3 cm, in pazienti con < di 60 anni e
con CEA < 30 ng/ml (34).
Anche Benoist e coll. hanno sottolineato che una
risposta clinica alla chemioterapia, nella maggior parte
dei casi, non corrisponde ad una risposta patologica
7
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
completa, in quanto nell’83% dei casi persistono cellule
metastatiche vitali responsabili di un residuo macroscopico o microscopico o di recidive entro l’anno (35).
Che cosa succede se queste lesioni non vengono ulteriormente trattate?
Elias, in un gruppo di 104 pz sottoposti a resezione
epatica per MECCR, individuò 15 pz che, dopo chemioterapia per MECCR bilaterali inizialmente non resecabili, avevano avuto la scomparsa di almeno una lesione
metastatica alle indagini diagnostiche preoperatorie; nel
successivo intervento chirurgico in 4 pz la lesione venne
individuata e trattata , mentre in 11 pz le lesioni (missing
liver metastasis) rimasero nel fegato residuo: dopo un follow up medio di 31 mesi non si osservarono recidive in
8 pz; nei 3 pazienti che mostrarono recidive, in 2 casi, nei
pezzi anatomici asportati, erano comunque documentabili cellule neoplastiche vitali (36).
Adam pertanto si sbilancia nel consigliare l’intervento chirurgico anche nel caso di lesioni non più evidenti
alle indagini strumentali diagnostiche; infatti la laparotomia:
– consente di evidenziare ulteriori lesioni metastatiche non evidenti preoperatoriamente;
– consente di realizzare comunque le resezioni epatiche e documentare l’effettiva scomparsa delle
cellule neoplastiche vitali, con la possibilità di fornire informazioni prognostiche importanti, in
quanto in caso di risposta patologica completa si
sono ottenute sopravvivenze a 5 anni del 76%
rispetto al 46% dei pazienti senza risposta patologica completa (34).
Rientra fra gli esempi di strategia integrata anche la
cosidetta two-stage-hepatectomy intervallata dalla chemioterapia, con lo scopo di proteggere dalla progressione di
malattia epatica, in conseguenza di una risposta proliferativa a fattori stimolanti, durante il periodo di rigenerazione epatica dopo la 1a epatectomia.
Adam nel 2002 aveva applicato tale metodologia in
16/398 pazienti (4%) in cui non era stato possibile
rimuovere completamente la metastasi per una eccessiva
estensione, nonostante la chemioterapia preoperatoria,
per una ridotta risposta ipertrofizzante dopo embolizzazione portale o per controindicazioni alla ablazione
8
mediante radiofrequenza (RFA) (lesioni nel fegato residuo > 3 cm o più di 3 lesioni ); la radicalità era stata raggiunta in 13 pz; veniva segnalato un aumento di mortalità e morbilità nella seconda procedura rispetto alla prima,
la sopravvivenza a 3 anni è stata del 35%, le recidive locali si sono verificate in 7 pazienti entro 13 mesi (37).
Nell’ambito di un programma terapeutico basato su
una chemioterapia preoperatoria in pazienti inizialmente non
resecabili ci si può chiedere quanto si è efficaci nel modificare la storia delle MECCR.
Adam, dopo una chemioterapia basata su oxaliplatino, da un gruppo iniziale di 701 pz non resecabili, recuperava 95 pz da sottoporre a resezione e con sopravvivenze a 5 anni del 34%. Confermava questi dati nel 2004
con un aggiornamento della casistica, riportando 1104
pazienti inizialmente non resecabili, su un totale di 1439,
recuperati alla chirurgia dopo chemioterapia nel 12,5% e
con sopravvivenza a 5 anni del 33% (38, 34).
Nei casi che rispondono alla chemioterapia, anche nel
caso di metastasi bilaterali, è possibile ottenere resezioni
R0 con interventi più conservativi (parenchimal sparing surgery) rispetto al passato senza compromettere la sopravvivenza come Gold ha recentemente dimostrato (39).
Inoltre, la chemioterapia dovrebbe proteggere dalla recidiva
che si verifica in genere entro i primi 18 mesi. La recidiva, infatti, non deve essere considerata un evento senza
speranza ed una ri-resezione può portare fino ad un 47%
di sopravvivenze a 5 anni (40).
Simmonds e coll. ricordano che le recidive nel 22%
sono solo epatiche, nel 16% epatiche ed extraepatiche e
nel 24% extraepatiche; le recidive si verificano nel 62,5%
dei resecati e comportano tassi mediani di ri-resezione
epatiche del 9% con sopravvivenze mediane dopo riresezione di 34 mesi ed a 5 anni del 31% (41).
La chemioterapia postoperatoria nonostante un trend
positivo non ha manifestato risultati significativi, per cui
l’interesse si è spostato sulla chemioterapia preoperatoria
anche nei pazienti con lesioni resecabili.
Recentemente Nordlinger ha mostrato i risultati del
trial prospettico che randomizzava pazienti con lesioni
epatiche resecabili (< 4 metastasi) ad un trattamento che
prevedeva una chemioterapia pre-operatoria (Folfox4) + chirurgia + chemioterapia post-operatoria vs solo chirurgia.
6
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
I pazienti hanno beneficiato del trattamento chemioterapico ed infatti la sopravvivenza libera da progressione ha mostrato un incremento a 3 anni del 7,3% (dal
28,1% al 35,4%) (42).
Inoltre, la chemioterapia neoadiuvante permette di selezionare i “responders” e di escludere da un programma chirurgico i pazienti che vanno in progressione. In questi casi,
Adam ha dimostrato che la sopravvivenza a 5 anni è
dell’8% e con un disease-free del 3% (43).
Infine, la disponibilità di una chemioterapia efficace
può comportare, nel caso di metastasi sincrone, una
“reverse strategy”, che consiste nell’eseguire, dopo chemioterapia neoadiuvante, dapprima la resezione epatica e poi
quella del tumore primitivo, con lo scopo di evitare la
rapida crescita delle MECCR, osservata in molti casi,
nell’animale da esperimento, dopo rimozione del tumore
primitivo. In uno studio pilota relativo a 20 pazienti condotto da Mentha e coll. si è ottenuta una sopravvivenza
a 3 anni del 71% con questa strategia terapeutica (44).
Per quanto riguarda infine l’integrazione della RFA con
la chirurgia al fine di modificare la storia naturale delle
MECCR, possiamo dire la RFA è stata impiegata inizial-
mente in un setting tipicamente palliativo (lesioni epatiche non resecabili) con sopravvivenze a 5 anni variabili
dal 14 al 55%, ma attualmente rivendica anche un ruolo
“curativo” in lesioni < 3 cm di diametro.
Nel 2004 Abdalla riteneva che il campo di applicazione della RFA fossero i casi di MECCR non completamente resecabili o non resecabili affatto (45).
Shutherland e coll. nel 2006 hanno riportato una
review di studi sulla RFA, segnalando un solo studio
comparativo (livello evidenza III-2) che confronta
sopravvivenze dopo terapia chirurgica e RFA: in particolare vengono citati Gillam e Lees che riportano una
mediana di sopravvivenza dopo RFA di 44 mesi e di 54
mesi dopo resezione, con sopravvivenze a 5 anni del
40% e 55% rispettivamente; invece da 11 studi di cohorte (livello evidenza IV) si traggono informazioni:
– sulle frequenze di recidiva : tassi varibili dal 4 al
55% dopo un follow up mediano rispettivamente
di 15 e 18 mesi;
– sulla completezza della termoablazione : varia dal
67 all’84% delle lesioni con caduta drastica per
lesioni maggiori di 3 cm (48%);
Tabella 6.II – Storia naturale delle MECCR modificata dai trattamenti.
Autore
Tipologia del
trattamento o
tipo lesione mts
Sopravvivenza
a 5 anni
Sopravvivenza
10 anni
Sopravvivenza
20 anni
Simmonds 2006
(review)
Resezioni radicali
30%
–
Resezioni incomplete
7,2%
Sopravvivenza
libera da
malattia
a 3 anni
Sopravvivenza
libera da
malattia
a 5 anni
Sopravvivenza
libera da
malattia
(mediana)
–
18%
14,3 mesi
–
–
–
–
Scheele 1990
–
–
23%
16%
–
–
Fong 1996
–
37%
22%
–
19%
–
Lesione solitaria
50%
–
–
–
–
Makuki 2000
–
38%
26%
–
–
–
Adam 2004
Chemio preoperat (mts
inizialmente non resecabili)
33%
–
–
–
–
Abdalla 2006
Mts limitate
71%
–
–
–
–
Nordlinger
Chemio neoadiuv (mts
inizialmente resecabili)
–
–
–
35%
–
–
Solo chirurgia
–
–
–
28,1%
–
–
9
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
– sulle sopravvivenze: 69% a 2 anni con 67% dei pz
disease-free (46).
Sempre nel 2006, il gruppo del M.D.Anderson
Cancer Center sottolineava come la RFA si proponesse
in alternativa alla resezione nel caso di coinvolgimento
epatico limitato; in uno studio di cohorte, relativo a
pazienti con MECCR solitarie, sono stati confrontati i
risultati ottenuti dopo resezione (150 pz) e dopo RFA
(30 pz): ad un follow up mediano di 31,3 mesi, le recidive sul sito di asportazione dopo resezione erano del 5%,
mentre dopo RFA del 37%; la sopravvivenza globale a 5
anni è stata del 71% nel gruppo chirurgico e del 27% nel
gruppo dei pazienti sottoposti a RFA (e nessuno in questo ultimo gruppo senza recidiva) (47).
Al momento comunque non esistono studi controllati che confrontino terapia chirurgica e ablazione a
radiofrequenza nei confronti di lesioni simili e tecnicamente resecabili e Mulier e coll. recentemente si chiedono se sia ora di avviare uno studio randomizzato (48).
Nella Tabella 6.II sono riassunti alcuni dati generali
della storia naturale delle MECCR modificata dai trattamenti.
Storia delle MECCR nella popolazione generale
Mentre sopra abbiamo visto le serie provenienti dai
centri di riferimento, è interessante comunque analizzare
i dati epidemiologici che provengono dagli studi condotti su un’intera popolazione, con lo scopo di eliminare i
bias di selezione.
Manfredi e coll. hanno condotto uno studio sulla
popolazione (circa 1 milione di abitanti) di 2 aree amministrative della Francia (Cote-d’Or e Saone-et-Loire); nel
periodo 1976-2000 sono stati registrati 13.463 casi di
tumore colorettale; nel 14,5% erano presenti metastasi
sincrone epatiche con una incidenza, rispettivamente nel
sesso maschile e femminile, di 11,3 e 6,9 per 100.000 abitanti.
Il tasso cumulativo di metastasi metacrone a 5 anni è
stato del 14,5%.
Una resezione curativa è stata possibile solo nel 6.3%
di metastasi sincrone contro il 16,9% di metastasi meta10
crone; mentre la chemioterapia, seppur sempre più utilizzata dal 1988, risultava eseguita solo nel 50% delle
forme sincrone e circa nel 43% delle forme metacrone.
Infine, sempre in questa popolazione, i dati di
sopravvivenza sono stati inferiori alle medie dei valori
offerti dai centri di riferimento: 10,8% di sopravvivenza
a 5 anni per metastasi sincrone e 29% per metastasi
metacrone (49).
Nel 2007 Cummings e coll., in una cohorte di 13599
pazienti (individuati utilizzando il database associato a
Medicare) con MECCR, hanno osservato un tasso di
resezione epatica del 6.1%, un poco superiore al valore
riportato da Temple nel 2004 ( 4,8%).
Dopo resezione epatica il tasso di sopravvivenza a 5
anni (dal momento della diagnosi della metastasi) è stato
del 32.8% , mentre Fong e Choti avevano segnalato,
rispettivamente, dopo resezione sopravvivenze a 5 anni
del 37 e 40% e con mediane di sopravvivenza di 42 e 46
mesi (50).
Se noi, però, guardiamo il lavoro di Nordlinger del
1996 (che riassumeva l’esperienza multiistituzionale francese) possiamo ugualmente vedere un tasso di sopravvivenza a 5 anni di solo il 28% e con “l’aggravante” di aver
escluso la mortalità operatoria ed i pazienti con malattia
extraepatica.
La mortalità operatoria della resezione epatica attualmente varia tra lo 0-2,8% dei centri di riferimento e il
4,3% di popolazioni di pazienti non selezionati (studi
population-based) (50).
In conclusione i risultati riportati dai centri di riferimento si discostano in maniera significativa da quelli globalmente considerati.
La previsione della storia naturale delle MECCR:
i fattori prognostici
Un modo alternativo di considerare la storia naturale
delle MECCR è quella di non valutarla a posteriori, ma
piuttosto quello di prevederne in maniera accurata il possibile decorso con l’intento di modificarne in senso favorevole l’evoluzione applicando la terapia più appropriata
per quel paziente e in quel preciso momento.
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
L’espressione anatomopatologica, in un dato
momento, di una MECC è la estrinsecazione indiretta di
fattori biopatologici che influenzeranno la storia naturale di quella metastasi.
Non tutti i pazienti con malattia metastatica al fegato,
definita tradizionalmente un IV stadio (rispetto alla malattia colorettale primitiva), avranno lo steso decorso clinico
in termini di sopravvivenza e recidive dopo chirurgia.
Vari Autori si sono distinti nel “distillare” dalle loro
casistiche i fattori anatomo-clinici che consentono di
esprimere un giudizio prognostico e di elaborare pertanto degli scores, che trovano utilità nella selezione dei
pazienti per l’intervento chirurgico, nella decisione dell’utilizzo di una chemioterapia neoadiuvante/adiuvante,
nella stratificazione dei pazienti nei trials clinici ed infine
anche nel counselling del paziente.
Scheele e coll. nel 1991 rimarcavano come il fattore
prognosticamente più importante fosse l’esecuzione di
una resezione epatica R0 ed infatti nessuno dei 47
pazienti senza chirurgia epatica radicale raggiunse una
sopravvivenza di 4 anni; sottolineano l’importanza di
avere un margine “pulito” e che pertanto un margine <
1 cm non costituisce una controindicazione alla chirurgia e non definisce una procedura non radicale; se è possibile una resezione radicale il numero delle metastasi
non influenza la prognosi e pertanto non sono d’accordo nel fissare un numero assoluto di metastasi discrete
che controindichi la resezione (26).
Anche Fong nel lavoro del 1999 ricorda che il fattore chirurgico che influenza più di ogni altro la sopravvivenza a lungo termine è l’ottenimento di un margine di
resezione pulito ed infatti i pazienti con margine positivo avevano solo un 20% di sopravvivenza a 5 anni; l’impossibilità tecnica di ottenere un margine libero, assieme
alla presenza di localizzazioni extraepatiche deve costituire una controindicazione chirurgica; inoltre, aggiunge
che, sebbene le metastasi multiple, le dimensioni maggiori di 5 cm, l’estensione bilobare rappresentino fattori
prognostici negativi, esse tuttavia non costituiscono una
controindicazione assoluta alla resezione epatica, poiché
sono ancora possibili sopravvivenze a 5 anni (rispettivamente 23%, 40% e 29%) tali da giustificare il rischio
della chirurgia resettiva.
6
Utilizzando 5 parametri clinici statisticamente significativi (escluso lo stato del margine in quanto è un dato
postoperatorio ed esclusa la presenza di malattia extraepatica da considerarsi una controindicazione relativa)
venne costruito, con l’intento di aiutare il clinico a decidere il piano terapeutico dei pazienti con meta epatiche,
un Clinical Risk Score (CRS): stato linfonodale della
malattia primitiva, esordio clinico della metastasi epatica
entro 1 anno dall’intervento sull’intestino, numero di
metastasi epatiche > 1, dimensione della metastasi > 5
cm, CEA > 200 ng/ml; a ciascun fattore, se presente, è
assegnato il valore di 1 ed il punteggio totale può variare
da 0 a 5; i pazienti con uno score di 0-2 hanno la prognosi migliore (sopravvivenze a 5 anni del 47%) e per essi è
razionale il controllo chirurgico precoce della metastasi
epatica; i pazienti con score di 3-4 hanno una prognosi
meno buona (sopravvivenze a 5 anni del 24%) ed il trattamento chirurgico deve essere pianificato nel contesto
di terapie neo- adiuvanti/adiuvanti; infine i pazienti con
score di 5 hanno la prognosi peggiore (sopravvivenze a
5 anni del 14%) e per essi il trattamento chirurgico deve
essere discusso nel contesto di terapie adiuvanti e di trials
clinici (28).
Cady e coll. elaborarono uno score basato su 4 fattori clinici: livello del CEA, numero di metastasi epatiche,
stato del margine di resezione ed intervallo libero dopo
resezione colorettale (51).
Nordlinger e coll. proposero 7 fattori clinici da includere nello score del rischio: età > 60 anni, stadio del
tumore colorettale primitivo, numero di metastasi epatiche > 4; metastasi sincrone, dimensione della metastasi >
5 cm, livello di CEA > 30 ng/ml e margini positivi (52).
Iwatsuki e coll. nel loro score system considerano il
numero delle metastasi (>3), le dimensioni (>8 cm), il
tempo di comparsa della metastasi (< 30 mesi) e localizzazione bilobare (53).
Gayowski e coll. proposero un sistema di stadiazione
delle metastasi epatiche basato su dimensione > 2 cm,
numero di metastasi > 1 e su distribuzione bilobare (54).
Ueno e coll nel 2000, ragionando sui pazienti con
recidiva precoce (entro 6 mesi) dopo resezione epatica
(malati con prognosi a breve termine) presentarono una
stadiazione delle MECCR basata sulla associazione o
11
6
Trattamento multimodale delle metastasi epatiche
meno di 3 fattori anatomo-clinici ( “aggressività istologica” e N2 del primitivo, il momento della diagnosi, il
numero delle metastasi), per avere uno strumento con
cui decidere quali pazienti operare; ad esempio nel III
stadio, in cui tutti i 3 fattori erano presenti, la sopravvivenza a 5 anni è stata dello 0% con una mediana di 14
mesi , per cui viene suggerito che in questi pazienti l’atteggiamento non dovrebbe essere chirurgico all’inizio,
ma riconsiderato dopo chemioterapia (55).
Zakaria e coll. hanno presentato lo score risk della
Mayo Clinic considerando come fattori discriminanti: le
trasfusioni perioperatorie, lo stato dei linfonodi epatoduodenali, la dimensione delle metastasi > 8 cm, il
tempo libero da metastasi < 30 mesi, il numero delle
metastasi ? 2 e lo stato dei linfonodi pericolici-perirettali; tali autori inoltre hanno cercato di validare gli score di
Fong, Iwatsuki e Nordlinger utilizzando la loro casistica,
ma non sono riusciti a differenziare in modo significativo le sopravvivenze dei loro pazienti e pertanto osservano che l’utilità degli scores deve superare soprattutto la
prova della validazione esterna (56).
Anche Makuki e coll. riconoscono l’importanza di
stratificare i pazienti in gruppi di rischio differenti al fine
di orientare le scelte terapeutiche; propongono un sistema semplificato e versatile che rappresenta una vera e
propria stadiazione della malattia metastatica epatica basato
su: stato dei linfonodi epatoduodenali (positività macroscopica nel 3-6% e microscopico del 11-28%), numero
dei linfonodi intestinali positivi ≥ 4 (influenzano più le
metastasi sincrone che quelle metacrone), CEA > 50 e
numero di metastasi epatiche > 1; la positività dei linfonodi epatoduodenali rappresenta uno stadio IV (sopravvivenza a 5 anni 0-3,4%) e tali pazienti dovrebbero essere esclusi da un programma resettivo epatico; i pazienti
con 2 o 3 fattori positivi (stadio III) dovrebbero avere
una resezione associata ad una chemioterapia adiuvante,
mentre in caso di positività di un solo fattore (stadio II)
o nessun fattore positivo (stadio I) è possibile resezione
senza chemio adiuvante (57).
Rees e coll. hanno suddiviso i fattori prognostici in 3
gruppi : 1) fattori che riflettono il carico tumorale ( > 3
metastasi epatiche, metastasi >10 cm, CEA > 60 ng/ml,
malattia extraepatica), 2) fattori che esprimono la biolo12
gia tumorale (stato N del tumore primitivo e grado di
differenziazione del tumore primitivo) e 3) fattori che
esprimono la qualità della terapia chirurgica (stato del
margine di sezione epatica); questo ultimo fattore rappresenta la variabile prognostica più importante; i
pazienti con metastasi multiple hanno una probabilità
più elevata di avere un margine positivo, ma se una resezione epatica viene eseguita in maniera radicale allora il
parametro “n° delle metastasi epatiche” termina di essere prognosticamente importante dopo la resezione; nel
caso di assenza di positività dei parametri considerati è
stata registrata una sopravvivenza a 5 anni del 64% mentre in caso di positività del 2% (58).
Naturalmente l’ideale sarebbe quello di avere per
ogni paziente, in qualunque momento della evoluzione
della storia naturale delle MECCR, una stima della probabilità di sopravvivenza .
E proprio a tale scopo, recentemente, sempre il gruppo di Fong ha formulato un nomogramma, in cui ciascun parametro clinico (stato linfonodale del tumore primitivo, intervallo libero da malattia, dimensione della
metastasi più grande, livello del CEA, resezione epatica
bilaterale, resezione > lobectomia, sesso, numero delle
metastasi epatiche, età, sede del tumore primitivo) non
ha un valore soglia discriminante, ma piuttosto viene
considerato il valore assoluto di ogni parametro e a ciascuno di essi viene assegnato un peso; la somma dei pesi
dà un punteggio finale correlato con la probabilità di
sopravvivenza a 96 mesi di ciascun paziente, corrispondente, ad esempio, per punteggi < 25 a sopravvivenze di
circa il 70%, e, all’opposto, per punteggi > 300 a una
sopravvivenza che si avvicina all’1%.
Poichè il nomogramma è stato costruito con una
casistica relativa all’intervallo di tempo 1986-1999, e cioè
prima dell’avvento della attuale chemioterapia, si ritiene
che dovrebbe essere rappresentativo della storia naturale
delle MECCR dopo resezione epatica (59).
Conclusioni
La storia naturale delle MECCR è stata ampiamente
evidenziata dalle analisi delle casistiche degli anni 60-70-
Storia naturale delle metastasi epatiche da cancro colorettale
80 ed è stato dimostrato come essa si concluda inevitabilmente con il decesso della quasi totalità dei pazienti
entro 5 anni.
Negli anni ’80-’90 la chirurgia resettiva epatica ha
accumulato evidenze di efficacia nel modificare in maniera significativa, il destino dei malati con MECCR, comportando attualmente sopravvivenze a 5 anni del 30%.
Tuttavia, lo sforzo della chirurgia in circa 2/3 dei casi
modifica solo temporaneamente la storia delle MECCR,
in rapporto alla comparsa delle recidive sia epatiche che
extraepatiche.
Gli anni 2000 si caratterizzano per la comparsa sulla
scena clinica di chemioterapici più efficaci rispetto a
quelli tradizionali, che vengono sempre più spesso integrati in una strategia multidisciplinare.
È infatti possibile riportare in un campo d’azione
chirurgico una malattia metastatica epatica inizialmente
troppo estesa e non resecabile .
Da parte sua la chirurgia, con l’ausilio dell’ecografia
intraoperatoria, è sempre più attenta a limitare le resezioni maggiori, senza compromettere i risultati in termini di
radicalità e di sopravvivenza; inoltre, in caso di resezioni
maggiori, procede con prudenza, essendoci la possibilità
di “guadagnare tessuto epatico” mediante la embolizzazione portale selettiva preoperatoria ; in casi selezionati
non è nemmeno opportuno rimuovere in un”solo
colpo” tutta la malattia epatica (two stage hepatectomy);
quindi, la chirurgia allarga le frontiere delle sue indicazioni e al contempo modifica il suo paradigma, nel senso
che il suo fattore limitante non è tanto l’estensione della
malattia quanto piuttosto lo stato funzionale del fegato
residuo.
Alternativamente, con lo scopo di ridurre l’incidenza
delle recidive o di evitare la progressione della malattia in
caso di MECCR sincrone, anche per lesioni inizialmente
resecabili, si prende in considerazione, sempre più, l’opportunità di una chemioterapia preoperatoria o di una
inversione del primo gesto chirurgico (prima la metastasi e poi il tumore primitivo) quando non sia opportuno
eseguirli contemporaneamente.
Nei prossimi anni dovremo valutare se questa strategia integrata si confermerà vincente nel modificare la
storia naturale delle MECCR.
6
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