- Classe Quinto Liceo Scientifico
Materia:
Filosofia-
Programma Preventivo / Consuntivo
(Albero dei Moduli)
Modulo 1
Titolo: Kant: il criticismo come filosofia
del limite.
Modulo 3
Titolo: La reazione all’idealismo –
Schopenhauer , Kierkegaard , Nietzsche.
Modulo
5
Titolo: La rivoluzione psicoanalitica di
Freud.
Modulo 2
Titolo: Idealismo: il superamento di
Kant e lo sviluppo del pensiero fortel’idealismo etico di Fichte, quello
estetico di Schelling e quello assoluto di
Hegel.
Modulo 4
Titolo: Il materialismo di Marx.
Mod 1
Il criticismo Kantiano
Si precisa preliminarmente che all’interno di questi moduli si troveranno scalette concettuali, da
utilizzare esclusivamente con l’ausilio di un buon testo della storia della filosofia; si sottolinea
inoltre che per qualsiasi dubbio o problema, il docente della materia sarà a disposizione
dell’allievo previo appuntamento telefonico.
• Il periodo pre-critico la “dissertatio” spazio e tempo come “forme pure a priori
dell’intuizione (costante trascendentale dell’esperienza); fenomeno e noumeno
• La critica della ragion pura: analizza la possibilità della ragione di
raggiungere conoscenze universali e necessarie , fondate sull’esperienza.
• L’opera si suddivide in due blocchi: la Dottrina del metodo e la Dottrina degli
elementi:
• I punti di partenza di kant sono: l’empirismo e il razionalismo; il razionalismo
(che degenera nel dogmatismo) conduce ad un sapere privo di nuove entità
(giudizi analitici a priori es. “il corpo è esteso”) ; l’empirismo invece (che
degenera nello scetticismo), utilizza giudizi che non hanno le caratteristiche
dell’universalità e della necessità (giudizi sintetici a posteriori es. “questa
penna è rossa”).
• Lo spazio, il tempo e le categorie (Qualità, quantità, relazione e modalità)
• La soluzione kantiana consiste nella possibilità di formulazione di “giudizi
sintetici a priori”.
• L’oggetto della vera conoscenza scientifica è il fenomeno, conosciuto
dall’intelletto, il quale svolge, come Io penso una funzione regolativi e
unificativa nei confronti del materiale fenomenico; l’intelletto opera grazie
all’ausilio delle categorie, forme a priori dell’intelletto che hanno, nell’ambito
kantiano solo una valenza gnoseologia; le categorie si dividono in quattro
gruppi ( qualità, quantità, relazione e modalità) di tre.
• Il mondo fenomenico e il mondo noumenico
• Le idee regolative della ragion pura;
Schema Chiarificatore:
KANT
CRITICA DELLA RAGION PURA
•
Il problema generale dell’opera : l’analisi critica dei fondamenti del sapere
•
Divisione dell’opera: la dottrina degli elementi -- Estetica trascendentale
--logica trascendentale----Analitica
-----Dialettica
la dottrina del metodo
•
I “giudizi sintetici a priori” (il “risveglio dal sonno dogmatico” grazie a Hume: la necessità,
una volta rintracciati i limiti dell’empirismo – giudizi sintetici a posteriori – e del razionalismo
– giudizi analitici a priori – di mostrare come sia possibile una conoscenza a priori e al tempo
stesso costituita a partire dai dati dell’esperienza)
•
Rivoluzione copernicana
•
Estetica:
- Spazio / Tempo e il loro rapporto con l’esperienza (il “ritmo”)
- La fondazione della matematica
•
Analitica: - l’intelletto e la sua funzione (operatore del finito)
- le categorie come “concetti puri” (funzioni a priori dell’intelletto)
(differenza con le categorie Aristoteliche)
come ciò che serve a rendere intellegibili le intuizioni spazio temporali (infatti
nella Critica della Ragion Pura, Kant dice che: i pensieri senza contenuto, sono vuoti,
le intuizioni senza concetti – categorie appunto - sono cieche)
-
la categoria delle categorie: l’ IO PENSO come: - funzione di funzioni
legislatore
del
fenomenico
attività regolatrice
mondo
QUINDI l’identità è: PRINCIPIO FORMALE DI UNIFICAZIONE DEL
PENSIERO
_ Il noumeno come “oggetto puro del puro pensiero”
Dialettica: la ragione (facoltà umana che tentando di aprirsi alla totalità pretende di conoscere
in modo assoluto)
-
le istanze che la “alimentano” (tanto insopprimibile quanto insoddisfacibile)
le tre “molle” (idee) e la loro duplice funzione -- il pericolo dell’illusione
Termine sofistico che consisteva nel
dare alle proprie illusioni l’aspetto di
verità
trascendentale
“esigenze”
se esse rimangono un CON – TENERE, hanno
una funzione regolativa nel momento in cui
indicano una META TENDENZIALE (il
noumeno come “concetto limite”)
Dio -- Teologia razionale (condizione assoluta di ogni realtà)
Mondo- Cosmologia razionale (Totalità dei fenomeni esterni)
Anima- Psicologia razionale (il soggetto assoluto, incondizinato)
“nell’affrontare questi problemi (es. Dio, mondo, anima), la ragione tende a sbarazzarsi dei vincoli
posti dall’esperienza, come una colomba potrebbe immaginare << che le riuscirebbe assai meglio
di volare nello spazio vuoto di aria>>. Ma la colomba senz’aria, non si sostiene non vola affatto.
Occorre quindi che la metafisica giustifichi la sua pretesa di costituirsi come scienza, mostrando la
legittimità dei propri giudizi sintetici a priori. A tal fine, bisogna rintracciare un’altra via, alternativa
al dogmatismo e allo scetticismo: occorre che la ragione stessa senza nulla dare per presupposto,
istituisca una sorta di tribunale << che la tuteli nelle sue giuste pretese, ma tolga di mezzo quelle
prive di fondamento>> e questo tribunale <<altro non è se non la critica della ragion pura stessa>>
• La critica della ragion pratica
• Mentre nella prima critica kant affrontava il problema gnoseologico, nella
seconda critica affronta il problema etico, al fine di mostrare come, nonostante
alla ragione pura, da un punto di vista gnoseologico, sia preclusa la conoscenza
dell’incondizionato, alla ragione pura pratica , e quindi all’interno dell’attività
pratica, tale conoscenza non sia preclusa, ma sia “data” sotto forma di
postulato.
• Imperativi categorici ( “devi”) e imperativi ipotetici (se…devi)
• I tre imperativi categorici per raggiungere il regno dei fini
• I tre postulati della ragion pratica (libertà della volontà umana, immortalità
dell’anima ed esistenza di Dio)
schema chiarificatore:
CRITICA DELLA RAGION PRATICA (1788)
n.b. Già nel 1785 Kant aveva scritto: “fondazione della metafisica dei costumi”
LA MORALE E’ ESPRESSIONE E REALIZZAZIONE DI UNA RAGION PURA CHE SI
ELEVA A “NORMA PRATICA DI SE STESSA”
•
Il motivo del titolo
•
Cambiamento di prospettiva
•
La critica come “indagine sui fondamenti della moralità”
Il fondamento della legge morale deve essere a priori (ricavato dalla
ragione); l’etica non può derivare da un sentimento (rigorismo)
•
La ragione detta le leggi di determinazione della volontà
•
La Volontà come Facoltà di proporsi fini e di compiere atti ad essi congruenti; la VOLONTA’
MORALE NON Può ESSERE SECONDO LA MATERIA, non può fondersi sulla ricerca del
proprio interesse, desiderio o piacere, ma deve essere secondo la Forma della legge, ovvero
secondo l’universalità che è propria della legge stessa.
•
Massime e Imperativi
•
Imperativi ipotetici (se…devi) Imperativi categorici (devi) ( - azione che ha sé come fine di sé);
•
Autonomia – universalità e formalità dell’imperativo categorico (esso è possibile grazie alla
libertà, , ossia la proprietà di essere a se stessa la propria legge), esso non è sottoposto ad alcuna
condizione ( a differenza di quello ipotetico che invece lo è).
•
La libertà (condizione trascendentale di possibilità della vita morale)
1. La libertà “indimostrabile” (è noumenica – è un’idea della ragione)
2. Libertà da vivere più che da conoscere (e da conoscere vivendo)
3. Libertà come postulato
4. Libertà come “ratio essendi” della legge morale (che è ratio cognoscendi della libertà)
5. Libertà come “fondamento noumenico” della legge morale
6. Rapporto uomo – libertà (l’uomo tra fenomeno e noumeno; la sua “cittadinanza superiore”);
l’individuo realizza se stesso, solo elevandosi “personalmente” nella forma impersonale della
ragione;
•
La legge morale come “formale” (la legge morale non comanda il Bene, ma è Bene ciò che la
legge morale comanda) : le accuse di Hegel alla morale Kantiana
•
Il “sommo bene”: un’equazione difficile tra virtù (adeguamento totale della volontà alla legge e
quindi al primato del dover) e felicità
•
Antinomia: es: il saggio è per forza felice? No; può non esserlo, non è detto che la virtù conduca
per forza alla felicità ; dall’altro lato, non è detto che l’inclinazione alla felicità determini
l’esercizio della virtù.
•
Gli altri due postulati (la necessità, per risolvere l’antinomia, che il sommo bene non si realizzi
in questo mondo): immortalità dell’anima ed esistenza di Dio
•
Differenza d’importanza e di funzione dei tre postulati.
•
La “fede morale razionale” (
•
Il primato della ragion pratica: individuazione di elementi romantici (il rapporto tra finito ed
infinito nel tentativo del finito di aprirsi alla totalità)
•
La rivoluzione copernicana morale: la volontà non si “adegua” ad un oggetto esterno
(considerato come buono ad es.), ma è un modo d’essere della volontà.
N.B. 1:
l’etica Kantiana è un’etica DEONTOLOGICA (vedi il testo: BIOETICA di Maurizio Morri,
edizione Bruno Mondadori pag. 14), un’etica cioè, per la quale certe azioni sono appunto vietate in
sé, e la persona “intuisce” la giustezza dei principi allo stesso modo in cui coglie gli assiomi della
geometria euclidea; è un’etica in cui i doveri valgono ex ante , ossia prima delle eventuali
conseguenze dell’azione.
Un’etica invece ex post , è un’etica consequenzialista, per la quale le considerazioni dipendono
dalle conseguenze.
2:
l’etica Kantiana e la sua universalità, possono essere un ottimo antidoto al Pluralismo Etico ossia
la presenza di prospettive etiche diverse e contrastanti. Il texano Tristram Engelhardt parla di
“stranieri morali”.
Un altro antidoto al pluralismo etico, può essere l’etica della Sacralità della vita, chiara nelle
gerarchie dei doveri da seguire
• La critica del giudizio
• L’ultima critica forse nasce nel tentativo di mediare le due precedenti: della
ragione teoretica e della ragione pratica
• I giudizi riflettenti (esprimono la riflessione sui contenuti dei giudizi
determinanti; si dividono in teleologici ed estetici) tendono a conoscere la
finalità e l’armonia del mondo; e i giudizi determinanti (tipici della ragione
teoretica) all’interno di cui i dati particolari vengono ordinati grazie
all’attività delle categorie
• La facoltà del gusto (facoltà umana con la quale si coglie tale armonia), il bello
e il sublime ( sentimento che nasce dalla sensazione di smarrimento provocata
nell’uomo dall’inquietante spettacolo della natura)
Schema chiarificatore:
CRITICA DEL GIUDIZIO
•
•
•
•
•
•
Il giudizio come “facoltà del Giudicare” , ossia la capacità di pensare il particolare in funzione
dell’universale (modo diverso di intendere i giudizi rispetto alla prima critica)
L’oggetto della critica: il sentimento
Il sentimento come facoltà autonoma, tra il conoscere e l’agire (così come la facoltà del
giudicare è tra il conoscere che cade sotto la giurisdizione dell’intelletto, e il desiderare, che
cade sotto la giurisdizione della ragione… sfera quindi dell’azione… etica)
Il sentimento come facoltà che permette che una cosa piaccia o non piaccia (sentimento del
piacere o del dispiacere)
Giudizi determinanti e giudizi riflettenti
Il giudizio determinante “determina” gli oggetti fenomenici mediante forme a priori universali
•
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1.
2.
3.
4.
5.
6.
•
•
•
•
•
Il giudizio riflettente è invece un giudizio sentimentale che “riflette” su di una natura già
costituita mediante i giudizi determinanti e che cerca l’universale ( intendendo il principio della
finalità della natura)
Giudizi riflettenti estetici (sulla bellezza) e teleologici (sulla finalità della natura)
Il giudizio estetico:
Il ritorno del termine estetico al suo significato tipico
Estetica come “dottrina dell’arte e della bellezza”
Analisi del “bello” : ciò che piace secondo il giudizio del “gusto”, senza alcun interesse
Si basa su una ”armonia”
Il bello risiede nella contemplazione della forma dell’oggetto , nella sua limitatezza
Il bello non è una proprietà oggettiva delle cose, ma nasce dal rapporto tra soggetto ed oggetto
(la rivoluzione copernicana estetica)
Il sublime : nasce dinanzi l’informe, si nutre del contrasto tra immaginazione sensibile e
ragione, dallo “sbigottimento” per l’illimitato
Il sublime come sentimento contraddittorio, di attrazione e repulsione, di momentaneo
impedimento, seguito da una più forte effusione del tono vitale, il quale nasce dalla
COSCIENZA DELL’INADEGUATEZZA DEI NOSTRI MEZZI CONCETTUALI
A
COMPRENDERE “L’ASSOLUTAMENTE GRANDE” (anticipazione di problematiche
romantiche)
Sublime matematico: di fronte ciò che è grande
Sublime dinamico: di fronte ciò che è potente (riguardante la natura)
Si rompe quindi, di fronte alla grandezza (sublime matematico: una montagna) e alla potenza
(sublime dinamico: le cascate) della natura, quell’armonico gioco di sensibilità e intelletto che
costituiva la radice del piacere del bello.
Kant: La critica della ragion pura (i concetti fondamentali)
La "Critica della Ragion pura" è senza alcun dubbio il capolavoro filosofico kantiano e
giunge al termine di oltre 35 anni di studio. L'opera, contrariamente al metodo di lavoro
solitamente usato da Kant, è stesa in pochissimi mesi e ciò appare incredibile vista la mole
e la struttura complessa dello scritto; essa giunge in un momento in cui il pensiero
kantiano ha già raggiunto dei punti "fermi" imprescindibili. Tali presupposti possono
essere così riassunti brevemente:
1. l'intuizione è solo del sensibile perché solo con la sensibilità un oggetto è "dato";
2. l'intuizione sensibile coglie solo il singolare, il puro dato di fatto: di conseguenza
ogni concetto astratto dai dati dell'intuizione sensibile è un concetto empirico,
quindi incapace di generare una scienza rigorosa;
3. un concetto "puro" è, per definizione, indipendente dai "dati" della sensibilità:
dunque è nel nostro spirito indipendentemente da ogni influsso degli oggetti.
Il problema che Kant deve a questo punto risolvere è questo: come può un concetto puro
rappresentare un oggetto? A questo proposito scrive la "Critica della Ragion pura" nella
quale egli stesso dice (1) di operare una "rivoluzione copernicana"; ma cosa vuol dire?
Kant vuol significare che nella sua filosofia, contrariamente a tutta la tradizione
precedente, è l'oggetto che si adegua - "ruota" intorno - al soggetto; nella conoscenza è
l'oggetto che si "adatta", quando viene conosciuto, alle leggi del soggetto che lo riceve
conoscitivamente. "Noi delle cose non conosciamo a priori, se non quello che noi stessi vi
mettiamo".
Nel 1783 Kant pubblica i "Prolegomeni ad ogni metafisica futura che voglia presentarsi come
scienza" che sono un tentativo di esporre le dottrine della "Critica della Ragion pura" in
forma più accessibile, cambiando il metodo espositivo. Nei "Prolegomeni" viene usato il
metodo analitico: si parte cioè dal condizionato, la scienza, per risalire alle condizioni, cioè
la ragione con i suoi elementi e le sue leggi; nella "Critica", invece, si usa il metodo
sintetico: si parte dalle condizioni, la ragione, per spiegare il condizionato, cioè il sapere
scientifico. Sostanzialmente sono la stessa opera ed hanno comunque un "postulato" in
comune: l'affermazione del "valore" della fisica e della matematica e il conseguente
"disvalore" del sapere metafisico.
Da ultimo bisogna ricordare anche l'uso terminologico alquanto difficile che viene usato
da Kant nella "Critica"; tale linguaggio è diventato un punto di riferimento della filosofia
successiva al punto che la lingua tedesca soppianterà del tutto il latino nelle filosofie
ottocentesche. Del tutto nuovo è l'uso che Kant fa del termine "trascendentale"; egli per
trascendentale intende la conoscenza del nostro modo di conoscere gli oggetti, ossia la
condizione della conoscibilità degli oggetti: cioè ciò che il soggetto mette nelle cose
nell'atto stesso del conoscere, ossia l'a priori.
Teoria dei giudizi
Per giudizio Kant intende la connessione di due concetti; ad esempio S è P, dove per S si
intende il soggetto e P è il predicato. Vi possono essere tre tipi di giudizio.
1) giudizi analitici -
il predicato esprime un carattere già compreso nel
concetto: sono a priori, cioè universali e necessari e,
quindi, non hanno bisogno dell'esperienza. (Esempi di
questi giudizi sono: gli scapoli sono uomini, o, come
afferma Kant, "i corpi sono estesi"(2)) Tali giudizi sono
mere tautologie(3) perché non arricchiscono la nostra
conoscenza(4), sono puramente esplicativi; il principio di
identità e di non contraddizione fondano tali giudizi.
2) giudizi sintetici a posteriori -
connettono soggetto e predicato in base ad una
constatazione di fatto, conseguentemente non sono
universali e necessari - a priori - ma arricchiscono la
nostra conoscenza. (Esempi di questi giudizi sono: "i
corpi sono pesanti", so questo solo dopo aver di fatto
pesato dei corpi) Tali giudizi sono estensivi del nostro
conoscere, naturalmente in senso empirico; l'evidenza, nel
senso di esperienza, fonda tali giudizi "sperimentali".
3) giudizi sintetici a priori -
il predicato aggiunge una nozione nuova a quella del
soggetto (5) e sono universali e necessari (6). (Esempi di
tali giudizi sono le operazioni matematiche come: "7 + 5
= 12") Tali giudizi sono amplificativi del nostro
conoscere proprio in base alla loro apriorità; la
matematica e la fisica contengono proposizioni che non
sono frutto di semplici generalizzazioni di esperienze, ma
sono necessarie ed universali pur non essendo analitiche.
Solo con tali giudizi si dà una scienza rigorosa.
Il problema della "Critica" diventa ora quello di stabilire come sono possibili i giudizi
sintetici a priori; il che equivale a chiedersi: come si giustificano le scienze matematiche e
la fisica? È possibile fare della metafisica una scienza?
Estetica trascendentale
I giudizi sintetici a priori sono possibili perché l'oggetto su cui sono pronunciati è un
"fenomeno"; fenomeno è il prodotto risultante dai dati della sensibilità e da certe "forme a
priori" che ordinano tali dati in una unità oggettiva. I concetti dell'intelletto non
esprimono mai la "cosa in sé", essi non sono altro che forme unificatrici dei dati della
sensibilità. Si può quindi affermare che il principio supremo dei giudizi sintetici a priori
afferma che: "le condizioni della possibilità dell'esperienza (7) in generale sono ad un tempo
condizioni della possibilità degli oggetti dell'esperienza".
La "forma" del fenomeno viene dal Soggetto: è l'a priori della sensibilità, l'intuizione pura
che prescinde dalle concrete sensazioni. Ma quali sono tali "forme pure a priori"? Esse sono
spazio e tempo. Spazio e tempo sono "intuizioni pure" o "forme" della sensibilità in quanto
altro non sono che modi e funzioni del Soggetto; spazio e tempo non ineriscono alle cose,
ma sono "forme" della nostra intuizione sensibile, sono "forme" del Soggetto, cioè
"idealità trascendentali". Spazio e tempo, quindi, non esistono in sé, ma soltanto in noi.
Concludendo si può affermare che la "forma" della conoscenza sensibile dipende da noi, il
contenuto no, ci è "dato". I giudizi sintetici a priori sono possibili perché si fondano sulle
intuizioni pure di spazio e tempo; sono universali e necessari, ma hanno valore nel
ristretto ambito fenomenico.
Analitica trascendentale
L'analitica trascendentale rappresenta la "parte positiva" della logica trascendentale e
studia gli elementi della conoscenza pura dell'intelletto e i principi senza i quali nessun
oggetto può essere assolutamente pensato; insomma studia le forme a priori dell'intelletto.
Per Kant, quindi anche l'intelletto, come la sensibilità, avrà le sue forme a priori e tali
forme le avrà anche la ragione (8); per non confondersi nella complessa struttura kantiana,
il tutto può essere così schematizzato:
Disciplina
Facoltà
Forme a priori
estetica trascendentale
sensibilità
spazio e tempo
analitica trascendentale
intelletto
categorie
dialettica trascendentale
ragione
idee
Nell'analitica dei concetti Kant vuol dimostrare che senza "concetti puri", cioè le categorie,
non vi sono oggetti d'esperienza; dimostra ciò tramite quella che lui chiama la deduzione
trascendentale delle categorie. Le categorie entrano necessariamente a costituire gli oggetti
d'esperienza: l'oggetto d'esperienza è costituito proprio dalle intuizioni, sensibili, e dalle
categorie. Ma cosa sono le categorie? Le categorie sono i modi in cui l'intelletto unifica e
sintetizza, sono "forme unificatrici, sintetizzatrici" dei dati sensibili (9), sono i fondamenti
della possibilità di ogni esperienza in generale. Capiamo così perché per Kant l'intelletto
sia la facoltà di giudicare; ossia unificare un molteplice sotto una rappresentazione
comune.
Nascono a questo punto due domande:
1. quali e quante sono le categorie?
2. come entrano in funzione le categorie nei principi dell'intelletto?
Alla prima domanda Kant risponde che i supremi concetti possono essere dedotti
facilmente dalle "funzioni dell'unità nei giudizi"; infatti la tavola delle categorie è
perfettamente speculare a quella dei giudizi: se dodici sono i tipi di giudizi allora dodici
saranno le categorie. Ecco che così Kant può dire che "l'oggetto è ciò nel cui concetto il
molteplice di una data intuizione è unificato": cioè, l'intelletto mediante le categorie
pensa quanto nell'intuizione è "dato". Però la sensibilità mi dà una molteplicità di
sensazioni riguardanti uno stesso oggetto, questo vuol dire che l'unità dell'oggetto della
conoscenza non può venire dai dati della sensibilità; tale unità viene dall'intelletto,
dall'unità della coscienza, dall'"Io penso" (10). Questo "Io penso" è la condizione della
conoscibilità dell'oggetto unità suprema delle dodici categorie. L'unità dell'oggetto è
l'unità che tiene strette le varie proprietà dell'oggetto: è il "legame" (11) che viene espresso
nel giudizio. Così è "dedotta", ossia giustificata, dimostrata la presenza unificatrice
dell'intelletto per costituire l'oggetto. I giudizi sintetici a priori sono possibili perché le
leggi di natura, cioè gli oggetti, sono conosciute "a priori" e non per generalizzazioni di
esperienze. Le "leggi di natura" sono imposte dall'intelletto stesso perché l'intelletto, con
le sue categorie, costituisce l'oggetto dell'esperienza; l'intelletto è autore e non spettatore
di esso. Le leggi non esistono nei fenomeni, ma solo, relativamente al soggetto a cui i
fenomeni si riferiscono.
Alla seconda domanda Kant risponde nella analitica dei principi in cui viene esposta
l'applicazione delle categorie, cioè "come" avviene di fatto la sussunzione (12) delle
intuizioni empiriche sotto le categorie. Dato che i principi derivanti dalle categorie
costituiscono il complesso delle conoscenze a priori che possiamo avere sulla natura, la
loro "sussunzione" avviene tramite lo schematismo trascendentale. Lo schematismo
trascendentale è "il modo di comportarsi dell'intelletto con gli schemi"; ma cosa è uno
"schema"? Lo "schema" è un intermediario tra le categorie e il dato sensibile che serve ad
eliminare l'eterogeneità dei due elementi della sintesi: è "generale" come la categoria e
"temporale" come il contenuto dell'esperienza. Per questo motivo si può affermare che lo
"schema" altro non è se non la condizione universale di applicabilità delle categorie alle
intuizioni (sensibili). La condizione generale secondo la quale la categoria può essere
applicata a un oggetto è il "tempo"; quindi lo schema è una determinazione a priori del
tempo.
Ma nell'analitica dei principi si trova un altro tema tipicamente kantiano: la distinzione
fenomeno-noumeno; tale distinzione rappresenta il punto d'arrivo del "dualismo
gnoseologico" e quindi di quella "parabola filosofica" iniziata da Cartesio che ha avuto nella
rivoluzione scientifica galileiana, poi newtoniana, la sua costante fonte d'ispirazione. Per
Kant il fenomeno non esaurisce tutta la realtà, però la conoscenza fenomenica è l'unica
sicura; il noumeno, invece, rappresenta la cosa-in-sé ed è inconoscibile; è, secondo Kant, la
sfera della metafisica. L'intuizione sensibile umana è fenomenizzante: si ammette un
sostrato metafenomenico, ossia noumenico; il noumeno può essere pensato, ma non
conosciuto. Il noumeno è un concetto limite, serve a circoscrivere le pretese della
sensibilità.
Dialettica trascendentale
La dialettica trascendentale è la "parte negativa" della logica trascendentale ed ha come
scopo la critica dell'intelletto nel suo uso "iperfisico" per smascherarne le sue infondate
presunzioni. L'intelletto da solo non basta per rappresentare un oggetto, serve un
"materiale" da unificare: la sensibilità. Le categorie, pur essendo dell'intelletto puro, non
possono essere applicate a ciò che non è sperimentabile perché, senza il contributo della
sensibilità, non sono capaci di rappresentare un oggetto; per questo motivo non possiamo
spingerci al di là dell'esperienza possibile. Ecco perché la metafisica è fallita; nel sapere
metafisico si ha un uso dialettico, cioè puramente formale, dei concetti dell'intelletto. I
concetti dell'intelletto sono forme vuote fatte per unificare il sensibile, quando usati per
conoscere realtà in sé, cioè non date dal sensibile, l'uomo cade in una conoscenza di tipo
illusorio. La dialettica studia la ragione e le sue strutture; per "ragione" si intende
l'intelletto che si spinge al di là dell'orizzonte dell'esperienza possibile. Questo "spingersi
al di là" è un bisogno strutturale dell'uomo, una sua legittima esigenza; Kant definisce la
ragione come la "facoltà dell'incondizionato", ovvero la pura esigenza dell'Assoluto.
Questa facoltà della metafisica, cioè l'incondizionato, sta alla base: dei fenomeni psichici,
dei fenomeni fisici e di ogni realtà.
Dallo studio di queste tre realtà derivano tre discipline diverse, ognuna con il proprio
oggetto di studio; il tutto può essere così schematizzato.
fenomeni psichici
psicologia razionale
studia l'anima
fenomeni fisici
cosmologia razionale
studia il mondo (come intero metafisico)
ogni realtà
teologia razionale
studia Dio
Anima, mondo e Dio non ci rappresentano un oggetto, indicano un punto di convergenza
"ipotetico" al quale tendono i nostri ragionamenti. Tali concetti vengono da Kant criticati e
con essi viene di conseguenza criticato l'uso "iperfisico" della ragione.
1. La critica della psicologia razionale verte sul fatto che l'Io non è un concetto, ma
solo una coscienza che accompagna ogni nostro concetto; tutti gli argomenti per
dimostrare l'esistenza dell'anima, l'idea cioè di un Io immutabile, non sono altro che
paralogismi (13) della ragion pura.
2. Fuori dall'esperienza i nostri concetti lavorano "a vuoto", quindi quando la
cosmologia razionale afferma l'esistenza di un mondo in sé, pur non commettendo
errori argomentativi, produce tutta una serie di affermazioni antitetiche che
sembrano essere tuttavia valide. Queste coppie di affermazioni sono le antinomie
(14) della ragion pura.
3. La teologia razionale viene criticata mettendo "in scacco" le prove tradizionali
dell'esistenza di Dio; al di là della validità o meno di tali critiche, Kant conclude
affermando che il concetto di Dio non è un'idea, ma un ideale della ragion pura: è
cioè l'idea di un Individuo che abbia tutti gli attributi positivi.
Anima, mondo e Dio non sono però pure "finzioni" dell'intelletto: non costituiscono
oggetti, non fanno un uso costitutivo della ragione, ma indicano all'intelletto una
direzione di ricerca, fanno un uso regolativo della ragione. Tali concetti, anima, mondo e
Dio, sono "schemi" per ordinare l'esperienza, per darle maggiore unità; ecco che si può
parlare anche di un uso schematico della ragione, di un "come se". Insomma, sono principi
euristici: non ampliano la nostra conoscenza, ma la unificano.
IL CRITICISMO E IL TRIBUNALE DELLA RAGIONE
Il programma metodologico già annunciato nei Sogni di un visionario , consistente nel
delineare una "scienza dei limiti della ragione" , trova la sua realizzazione nella Critica
della ragin pura . "La ragione umana - scrive Kant in quest' opera - in una specie delle sue
conoscenze ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare ,
perchè le sono posti dalla sua stessa natura , ma dei quali non può trovare la soluzione ,
perchè oltrepassano ogni suo potere" . L' ambito in cui la ragione dibatte questi problemi ,
facendo ricorso a "princìpi che oltrepassano ogni possibile uso empirico" e incorrendo così
in "oscurità e contraddizioni" , è la metafisica . Ma anche lo statuto gnoseologico delle
scienze esatte - la matematica e la fisica - non è del tutto chiaro , poichè , se nel loro caso è
indubitabile che siano possibili (giacchè la loro esistenza e la loro validità sono un dato di
fatto) , non è perspicuo in che modo siano possibili . Occorre dunque instaurare un
tribunale della ragione in cui quest' ultima , insieme giudice e imputato , determini i limiti
e le possibilità della conoscenza umana . Il programma della "filosofia critica" si apre
quindi con tre domande fondamentali : 1) Com' è possibile una matematica pura ? 2) Com'
è possibile una fisica pura ? 3) Com' è possibile la metafisica come scienza ? "Lo confesso
francamente : l' ammonimento di David Hume fu ciò che molti anni fa , per primo mi
svegliò dal sonno dogmatico" . Recenti indagini critiche sul pensiero di Kant ci inducono a
dubitare oggi della validità storica di questa affermazione : il passaggio di Kant al
criticismo fu probabilmente determinato da influenze e mediazioni più complesse e anche
più vicine al suo ambiente culturale . Ma anche se Hume non fu il primo a svegliare Kant
dal sonno dogmatico , sicuramente egli costituisce un interlocutore essenziale per lui . Le
obiezioni humiane alla causalità necessaria riguardavano un concetto di cui anche Kant ,
come abbiamo visto , sentiva la problematicità . Esse inoltre avevano fortemente
ridimensionato , ancora una volta in sintonia con le esigenze kantiane , le pretese della
metafisica . Tuttavia l' esito scettico di Hume aveva coinvolto , oltre ai tradizionali oggetti
della metafisica , anche i fondamenti della scienza moderna ( newtoniana ) , dei quali Kant
non ebbe mai a dubitare . Indipendentemente dalla funzione storicamente svolta da Hume
nella nascita del criticismo kantiano , è certo che il pensiero dello scozzese esercitò uno
stimolo importantissimo , anche in piena fase critica , circa la ricerca di un fondamento
della conoscenza che , se da un lato mostrava l' illusorietà della metafisica , dall' altro
salvaguardava la validità del sapere scientifico . La critica alla validità necessaria della
scienza era stata imperniata da Hune sulla nozione della causalità . Egli aveva mostrato , e
Kant accoglie questa critica , come l' esperienza non fornisca mai la necessità della
connessione causale , ma soltanto una successione temporale e una contiguità spaziale dei
fenomeni . Nella terminologia kantiana ciò si esprime dicendo che la necessità causale non
può essere data da alcun giudizio a posteriori (d' esperienza) . Nello stesso tempo anche
Hume , come Kant , sapeva bene che la causalità necessaria non può essere dimostrata in
base al principio di identità , poichè l' effetto non è identico con la sua causa . In termini
Kantiani la causalità non è data da alcun giudizio analitico (fondato sul principio d'
identità) . Se si vuol salvare la validità oggettiva della causalità , e con essa quella di tutti i
concetti intellettuali di cui la scienza si serve per dare leggi alla natura , il problema
diventa allora quello di ritrovare una forma di connessione (nella fattispecie tra causa ed
effetto , ma in generale tra le rappresentazioni che devono essere connesse
necessariamente) , la quale da un lato non si fondi sull' esperienza (poichè questa , essendo
sempre particolare , non può dare conoscenze universali) , e dall' altro non si riduca all'
applicazione del principio di identità (che è inadeguato a spigare la connessione di cose
irriducibili l' una all' altra) . In altri termini si tratta di indagare la possibilità di un giudizio
che per un verso non sia a posteriori , ma a priori , e per l' altro non sia analitico , ma
sintetico : si tratta cioè di vedere se , e come , siano possibili giudizi sintetici a priori .La
Introduzione alla Critca della ragion pura contiene infatti una rigorosa distinzione tra tre tipi
di giudizio . Il giudizio analitico a priori è quello in cui il concetto del predicato è già
contenuto nel concetto del soggetto , essendo sostanzialmente identico ad esso : ad
esempio , "il tutto è maggiore della parte" . La funzione di questo giudizio è
semplicemente quella di esplicitare ciò che è già implicitamente dato . Di conseguenza
esso ha il vantaggio di essere universale (in quanto a priori) e lo svantaggio di essere
sterile , di non produrre nuova conoscenza (in quanto analitico) . Il giudizio sintetico a
posteriori consiste invece nell' unione di due concetti diversi sulla base dell' esperienza :
ad esempio , "l' erba è verde" . Esso presenta il vantaggio di essere fecondo producendo
nuova conoscenza (in quanto sintetico) : il predicato "verde" non è già contenuto nel
soggetto "erba" , ma vi à aggiunto sinteticamente ; viceversa , ha lo svantaggio di essere
particolare (in quanto a posteriori) e di non avere quindi validità scientifica . Se questi due
tipi di giudizi sono entrambi deficitari , in quanto sono o particolari o sterili , la garanzia di
una conoscenza che sia nel contempo universale e feconda può venire soltanto da un terzo
tipo di giudizi (rimasti ignoti a Hume) : i giudizi sintetici a priori , nei quali la sintesi tra
soggetto e predicato si fonda su un principio a priori , interno al soggetto conoscente .
Come si è detto , dai giudizi sintetici a priori dipende la validità universale e necessaria ,
oltrechè nel concetto di causa , anche negli altri concetti intellettuali che istituiscono
connessioni necessarie relative al mondo della natura . Da essi dipende quindi la
possibilità della fisica come scienza razionale pura . Lo stesso discorso , inoltre vale per la
matematica pura , poichè Kant osserva ancora una volta in opposizione alla tradizione
leibniziana , come questa disciplina si componga di giudizi non già analitici , bensì
sintetici . Nell' operazione 7 + 5 = 12 , infatti il concetto del 12 non è già implicitamente
contenuto in quello della somma 7 + 5 , ma risulta dalla sintesi progressiva che il soggetto
opera intuitivamente , aggiungendo al numero 7a una a una le unità che compongono il
numero 5 . Anche la metafisica , infine se vuol far valere la pretesa di essere una scienza
(assimilabile quindi , per quanto concerne la sua validità , alla matematica e alla fisica) ,
deve dimostrare di essere fondata su princìpi sintetici a priori . Le tre domande che
esauriscono l' ambito di indagine della Critica - come sono possibili una matematica pura ,
una fisica pura , una metafisica come scienza - sono pertanto riconducibili all' unica
domanda fondamentale : come sono possibili giudizi sintetici a priori ? Le connessioni
necessarie che costituiscono il carattere universale della conoscenza non provengono
dunque dall' oggetto , che di quelle connessioni é di per sè privo , ma dal soggetto stesso ,
il quale , nell' atto del conoscere , proietta sull' oggetto la propria capacità sintetica .
Questo ribaltamento di prospettiva , che sposta dall' oggetto al soggetto il fondamento
della conoscenza , é paragonato da Kant alla rivoluzione copernicana , che ha spostato il
centro dell' universo dalla Terra al Sole . Questa rivoluzione é stata realizzata nella
matematica quando Talete capì che per dimostrare le proprietà del triangolo isoscele non
era sufficiente studiarne la figura oggettiva , ma occorreva costruirlo secondo criteri posti
dal soggetto stesso . Qualcosa di analogo avvenne in fisica quando Galilei e Torricelli
fecero i loro esperimenti sul piano inclinato o sulla pressione atmosferica : essi ritrovarono
nella natura , cioè nell' oggetto , soltanto ciò che la loro ragione , in quanto soggetto , vi
aveva preliminarmente introdotto . La medesima rivoluzione deve essere ora compiuta ,
sostiene Kant , anche dalla filosofia , la quale deve occuparsi non più degli oggetti in se
stessi , bensì degli elementi a priori che nel soggetto rendono possibile la costituzione e la
conoscenza di quegli oggetti . Una simile filosofia é una filosofia trascendentale .
Modulo 2: L’ Idealismo: Fichte , Schelling , Hegel .
Si precisa preliminarmente che all’interno di questi moduli si troveranno scalette concettuali, da
utilizzare esclusivamente con l’ausilio di un buon testo della storia della filosofia; si sottolinea
inoltre che per qualsiasi dubbio o problema, il docente della materia sarà a disposizione
dell’allievo previo appuntamento telefonico.
IDEALISMO
•
Idealismo e romanticismo: la polemica contro l’intelletto illuministico (rif. alla critica dello
Sturm Und Drung) attraverso la ragione dialettica e il sentimento
•
Ricondurre ogni esistenza al Pensiero (“noi possiamo dire che una cosa esiste solo
rapportandola alla nostra coscienza, ossia facendone un essere – per – noi” – Fichte - Dottrina
della scienza)
•
Il “Pensiero forte” (Pensiero come produttore di realtà; la realtà quindi si costituisce all’interno
delle forme del pensare)
•
La razionalità diventa realtà (ogni realtà di cui siamo consapevoli esiste come rappresentazione
della coscienza)
identità)
•
Il rapporto fra Finito ed Infinito (
•
Le “radici” Kantiane (il “sapere rigoroso” è Sistema)
•
L’importanza della “rivoluzione copernicana”, considerata sul piano gnoseologico, l’equivalente
della rivoluzione francese nell’ambito politico
•
Il problema della “cosa in sé”
1. L’idealismo “tecnicamente” nasce da una problematizzazione del concetto di noumeno
2. Critica idealistica al “ salto mortale” Kantiano
3. Interiorizzazione del noumeno ( non più limite esterno del pensiero, ma limite interno del
Pensiero, posto dal Pensiero, al Pensiero, per il Pensiero)
FICHTE
•
Fichte “idealizza” il kantismo, ritiene cioè che l’intera realtà sia una struttura trascendentale
(anteriore quindi all’opposizione tra soggetto e oggetto)
•
Critica al kantismo: al noumeno
All’Io Penso (come “legislatore” del mondo fenomenico, e quindi finito e
non creatore)
•
L’Io Puro (Principio assoluto) come attività: libera, infinita, assoluta ed autocreatrice (pone se
stessa e crea)
LA “DOTTRINA DELLA SCIENZA”
•
Il motivo del titolo: l’indottrinamento alla scienza (intesa come “sistema”)
•
L’Io come principio assoluto e il tentativo di deduzione da esso di attività teoretica e pratica
(“la mente non ha altri limiti se non quelli che l’Io stesso si pone”)
•
La realtà è “ordo et connectio idearum”
•
Le tre articolazioni dell’Unico Principio: A – B - C
•
L’ordine logico e non cronologico delle tre articolazioni
•
A: l’Io come libera posizione di se stesso, pura attività che deve realizzarsi (Intuizione
Intellettuale) – non è un atto reale, un fatto dell’esperienza (nel tempo e nello spazio), ma una
condizione trascendentale, Esso è al tempo stesso, attività agente (TAT) e prodotto dell’azione
stessa (HANDLUNG), è causa del proprio essere.
•
B: il Non – Io è la realtà, l’Io è determinato a determinarsi come proiezione fuori di qualche
cosa che interna ad Esso: l’altro del pensiero al pensiero (il noumeno mostra qui quindi la sua
interiorizzazione)
•
C: la riproposizione dell’Io e il superamento del Non Io; non si enuncia qui una condizione
trascendentale, ma si descrive la condizione della coscienza reale;
•
Il terzo momento (C) , unico in cui non si espone una condizione trascendentale, è
“condizionato nella forma e incondizionato nel contenuto” (vedi il Testo filosofico, vol. 3/1 pg.
72)
•
Interpretazione dei tre momenti attraverso le categorie kantiane:
1. Qualità: affermazione – negazione – limitazione
2. Quantità: unità – pluralità – totalità
3. Relazione: sostanza – causa/effetto – azione reciproca
DOTTRINA MORALE (L’IDEALISMO ETICO)
•
Priorità dell’attività pratica su quella teoretica
•
L’Io pratico come ratio essendi dell’Io teoretico
•
L’Io puro, principio uno e trino fichtiano e il suo ritmo interno, sono da considerare come
fondamento assoluto del conoscere e dell’agire (agire = imporre al Non – Io le leggi dell’Io)
•
La libertà dell’azione e lo sforzo di superare il Non – Io
(visto come “limite”, impulso
sensibile)
•
Vicinanza al “Primato della Ragion Pratica” kantiana
•
Lo “streben” diviene
•
La missione sociale del “dotto” (per un perfezionamento morale)
streben sociale dell’Io
POLITICA
•
Lo Stato come “luogo” della legge morale
•
Lo Stato come “mezzo” per formare persone libere
•
Lo “Stato commerciale chiuso” 1800 e l’autarchia
•
“Discorsi alla Nazione tedesca” (1807/1808): il concetto di nazione
la situazione della Prussia 1806
•
1
i “Discorsi” tra educazione, pedagogia e nazionalismo 1 :
Secondo Pareyson “il vero significato dell’opera è antinazionalistico giacchè la sua preoccupazione maggiore è pur
sempre la difesa e l’affermazione della LIBERTA’ , la realizzazione dei fini dell’umanità intera”
1. lo Stato deve suscitare un’interiore trasformazione del popolo tedesco
2. la “lingua viva”
3. la Germania come nazione spiritualmente eletta per realizzare l’umanità fra gli uomini
SCHELLING
•
L’idealismo estetico o oggettivo
•
Le fasi del pensiero schellingiano
•
Le critiche al soggettivismo fichtiano e alla deduzione del finito (Non – Io) dall’Io (alla sua non autonomia)
•
La necessità di un Assoluto come “Unità indifferenziata di soggetto e oggetto”
Filosofia della Natura
•
L’idealismo fisico, la “via della serie reale”
•
La natura come organismo autonomo (antimeccanicismo): “organismo che organizza se stesso”
•
La Natura funziona, dialetticamente, attraverso opposte polarità: Attrazione e Repulsione
•
La natura come “preistoria” dello Spirito (la Natura è Spirito inconscio)
•
La natura come “Odissea” dello Spirito
Filosofia Trascendentale
•
“Via della serie ideale”
•
le “epoche” dell’Io
•
l’autocoscienza come punto di partenza
•
sensazione / intuizione / riflessione / volontà
Morale / Diritto
La Storia come:
“sintesi” di libertà e necessità
Identità delle opposizioni
Rivelazione dell’Assoluto
•
l’arte come “mezzo” per cogliere l’Assoluto
•
l’artista: “ispirazione” ed “esecuzione”
•
l’opera d’arte, in quanto prodotto dell’intuizione artistica, avrà in sé tanto i caratteri del prodotto della libertà (cioè
l’essere creato “con coscienza”) quanto quelli del prodotto naturale (cioè l’essere creato “inconsciamente”)
•
poiché nell’opera d’arte si riflette “l’identità dell’attività conscia e dell’inconscia”, essa è “sintesi di Natura e
Libertà”
Filosofia dell’Identità
•
l’Assoluto e la sua “indifferenza”
•
il problema di “derivare” il finito, di derivare gli opposti dall’unità
•
dall’Assoluto al relativo
•
da Dio al mondo
•
Dall’Uno ai molti
•
il “salto”, la “caduta”, la “rottura”…
•
l’ abissalità di Dio
Filosofia della Libertà
•
la libertà come fondamento ontologico dell’esistenza
•
la libertà opera il male provocando il distacco del finito dall’Assoluto
•
il male come “originaria malvagità”
•
Dio, non più “Atto Puro”, “Motore Immobile”; la sua “abissalità”
•
Dio e la sua Natura dinamica
•
Il Dio che diviene, che si fa persona tramite una progressiva vittoria della razionalità sull’irrazionalità, della libertà
sulla necessità
•
Riferimento alla “Ontologia della Libertà” di Pareyson
Filosofia Positiva o Filosofia della religione
•
La critica alla “filosofia Negativa” di Hegel
•
L’impossibilità, dato il “salto”, di “dedurre” razionalmente (come Hegel) l’esistenza dalla ragione; l’esistenza non
può essere “dedotta”, ma “indotta”
•
La filosofia Positiva, finisce col concretizzarsi in “filosofia della Rivelazione”
HEGEL
•
Gli anni giovanili: la Rivoluzione francese
Gli ideali di libertà
La religione (critica alla religione positiva)
•
Critiche alle dottrine precedenti:
illuminismo (all’intelletto giudice della storia)
Kant (voler indagare la facoltà di conoscere prima di
conoscere; avere dato vita ad una filosofia del finito in cui
l’essere è in antitesi col dovere essere;
avere
drasticamente diviso il reale e l’ideale)
Romanticismo (la filosofia in quanto scienza dell’assoluto
non può essere fondata sul sentimento)
Fichte (alla cattiva infinità)
Schelling ( “la notte nera in cui……..”)
•
La filosofia dell’Assoluto (filosofia come giustificazione razionale della realtà)
Inteso come realtà che diviene
•
Identificazione di realtà e razionalità: la realtà si costituisce contemporaneamente al costituirsi
della ragione
•
Il modo di divenire dell’Assoluto: la dialettica (duplice valenza: logica e ontologica)
•
La nascita in crisi del pensiero
•
La possibilità di pensare in modo opportuno il rapporto fra finito e infinito
•
La possibilità di pensare in modo opportuno il rapporto fra parte e totalità
•
La possibilità di pensare in modo opportuno le differenze rispettandole (rif. al termine tedesco
“aufheben”, cioè “eliminare trattenendo”)
•
Il sistema , il farsi dell’Assoluto:
1. Idea in sé e per sé (Logica)
2. Idea fuori di sé (Natura)
3. Idea che ritorna in sé (Spirito)
FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (I parte)
•
Significato e senso dell’opera iniziali
•
Significato e senso dell’opera alla conclusione dei lavori
•
Il titolo: la fenomenologia come “romanzo di formazione”
•
Lo Spirito, significato e prospettiva di analisi (non è possibile fare un discorso sullo spirito, ma
è solo possibile fare un discorso dello spirito)
•
Eterogeneità dei contenuti ( più apparente che sostanziale)
•
Caratteristiche strutturali dello Spirito:
1. Essenza / apparenza
2. Coincidenza dialettica tra spirito individuale e spirito collettivo
3. Lo spirito vive della pluralità degli altri spiriti (rif. alla prova embriologica di Haeckel)
4. Lo spirito è progettualità e memoria
FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO (II Parte)
•
Figure fenomenologiche: i momenti storici del divenire dello spirito, momenti attraverso cui lo
spirito passa e sembra trovare una momentanea composizione (una specie di “album
fotografico” in cui lo spirito si è autoritratto in pose che rappresentano quasi un appuntamento
con sé stesso)
•
Le figure fenomenologiche, in quanto momenti del farsi dello spirito collettivo, sono anche le
“forche caudine” attraverso cui deve passare lo spirito individuale per farsi cosciente di sé
mediante la presa di coscienza del grado di sviluppo al quale è pervenuto lo spirito collettivo
I parte della fenomenologia:
1. Coscienza (attenzione verso l’oggetto)
2. Autocoscienza (attenzione verso il soggetto)
3. Ragione (unità di sogg. e ogg.)
II parte della fenomenologia:
1. Spirito
2. Religione
3. Sapere assoluto
•
Coscienza :
1. Sensibile (qui e ora) (la totalità è fusa nella sensibilità)
2. Percezione (altro da sé)
3. Intelletto (sintesi che apre alla tesi dell’autocoscienza)
•
Autocoscienza (prende sé ad oggetto di sé):
1. Servo / padrone
2. Stoicismo (libertà di pensiero, astratta) / scetticismo
3. Coscienza infelice (coscienza in crisi dinanzi la percezione dell’infinità, la coscienza è infelice
perché sa di non essere la totalità, la coscienza scoprirà che la crisi va elevata a principio e
quindi passerà nella Ragione, la quale sarà certa di potere trovare se stessa in tutto ciò che è)
SCIENZA DELLA LOGICA (I parte)
•
Il titolo dell’opera
•
Il concetto di logica e l’<<oscenità>> del termine
•
“le logiche” precedenti:
1. la ricerca della definizione
2. individuazione delle procedure dimostrative
3. individuazione dei processi che regolano le procedure dimostrative
•
necessità da parte di Hegel di accomunare queste definizioni
•
logica e metafisica: necessità di un pensiero che produca se stesso (con le sue categorie) e non
si limiti a “mettere ordine” al pensiero considerandolo come già dato e cercando le forme
coerenti del pensare
•
critica alla “logica formale” aristotelica
1. alla formalizzazione
2. all’ordine che ordina e che rimane sempre da ordinare
•
la logica deduttiva e la contrapposizione alla logica formale
SCIENZA DELLA LOGICA (II parte)
•
Prefazione alla I edizione:
1. critica a Kant e alla “rinuncia al pensare speculativo”
2. critica all’intelletto che “determina e tiene ferme le determinazioni”
3. funzione della ragione come “negativa e dialettica” (“perché dissolve nel nulla le
determinazioni dell’intelletto; essa è positiva perché genera l’universale e in esso comprende il
particolare”)
•
la logica come primo momento di un processo triadico
•
logica come “idea in sé e per sé”, è la pura razionalità in quanto tale prima di farsi realtà, prima
di divenire l’intelaiatura razionale del mondo “il mondo nella mente di Dio”
•
“la logica è la scienza dell’Idea Pura, dell’idea nell’elemento astratto del pensiero” (Enc. Par.
19)
•
il problema del “cominciamento”: “con che cosa deve incominciare la scienza?” (Scienza della
Logica – libro I) (ossia la possibilità di pensare il pensare come pura possibilità di se stesso): il
“part – ire come patire”
1. il pensare e il suo assumere la crisi
•
necessità di assumere un pensiero che pensi un oggetto di per sé vuoto:
•
Essere (l’Immediato indeterminato)
1
Essere
2. Nulla
3. Divenire (il dileguarsi che si dilegua)
•
Essenza (il fondamento dell’Essere, la sua verità: l’Essere immediato trova la propria
fondazione in un processo di mediazione)
•
Concetto (il concetto è tutto, il suo movimento è l’attività universale assoluta del pensiero)
FILOSOFIA DELLO SPIRITO
•
Soggettivo: ripresa di temi della fenomenologia (considerando lo spirito individuale nel suo
emergere dalla Natura e nel suo porsi come libertà)
•
Oggettivo (spirito che si fa mondo) La filosofia del Diritto
1. Diritto astratto: l’individuo è etero diretto (il primo approccio che l’individuo ha con le leggi è
di assenso necessario e dogmatico – la volontà collettiva coincide “immediatamente” con quella
individuale)
2. Moralità (la volontà soggettiva: critica al vuoto formalismo kantiano, il quale si mantiene nella
sfera dell’interiorità, dell’intenzione, e non in quella della determinazione; in Kant c’è quindi
una spaccatura tra l’essere e il dovere essere)
3. Eticità (il bene esistente, la moralità sociale):
Famiglia (come primo nucleo spirituale di morale)
Società civile (scontro tra interesse diversi – sfera economico sociale)
Stato (riaffermazione dell’unità della famiglia al di là della dispersione della
società civile):
---------------------lo stato ha una sovranità che risiede in se stesso
-------------------- lo stato è bene universale
-------------------- lo stato è fondamento degli individui
-------------------- lo stato è sovrano ma non dispotico (si deve fondare
comunque sulle Leggi, le quali sono un’esigenza spirituale, un’oggettivazione
dello Spirito)
•
Assoluto: l’Idea raggiunge la consapevolezza della propria infinità
1. Arte
2. Religione
3. Filosofia (che è storia della filosofia, in quanto, la filosofia, come la realtà è la sua formazione
storica)
Fichte
Fichte ritiene che, per fondare il criticismo su basi solide, occorra individuare un
principio assolutamente primo e incondizionato, dal quale l' intero sapere possa
essere dedotto in forma sistematica. In questo modo la filosofia potrà spogliarsi del
suo vecchio nome che esprime più l'amore per la scienza che il suo reale
conseguimento, per diventare invece sapere assoluto, "scienza della scienza in
generale" o, con un' espressione già usata da Reinhold, dottrina della scienza, il
principio primo, dovendo costituire il fondamento della verità e della realtà del
sapere, non può essere puramente formale. Al contrario, in esso si deve realizzare una
perfetta unità di forma e di materia: la forma dev' essere immediata espressione del
contenuto e, parimenti, il contenuti deve determinare immediatamente la forma. La
dottrina della scienza non dipende quindi dalla logica, visto che non vi sono (come
credeva Kant ) leggi generali del pensiero che valgano indipendentemente dal
contenuto (come nella logica generale) o che siano condizioni della determinazione
del contenuto (come nella logica trascendentale). Al contrario, la logica stessa trova il
proprio fondamento nel principio assoluto: un fondamento che, a causa della natura di
tale principio, non è soltanto formale, ma sostanziale. Il principio primo è la radice
comune tanto della struttura logico-formale quanto del contenuto materiale del
sapere. Se per Kant la logica precedeva la metafisica ed era condizione per valutarne
la possibilità, nella prima fase del pensiero di Fichte si afferma il principio dell'
identità tra logica e metafisica. Il principio primo non può essere un fatto (Tatsache)
dell' esperienza o della coscienza empirica: un fatto è sempre condizionato da altro,
sia nella forma sia nel contenuto, mentre il principio primo è assolutamente
incondizionato. Dal momento che è a fondamento di ogni fatto di coscienza, nonché
della possibilità della coscienza stessa, esso deve quindi essere non già un fatto, ma
un atto (Tathandlung) assolutamente libero, attraverso il quale la coscienza si
autodetermina, ovvero costituisce il principio di se stessa. L' intera scienza si fonda
infatti, per Fichte, sull' atto di autoposizione del soggetto, attraverso il quale l' Io
conferisce realtà a se stesso e, indirettamente, anche a tutto ciò che si distingue da se
stesso. Tale attività del soggetto si articola in tre in tre momenti, esposti da Fichte fin
dai Fondamenti dell' intera dottrina della scienza del 1794 come i tre princìpi della
dottrina della scienza. Si tratta di tre momenti di un unico processo dialettico, all'
interno del quale essi assolvono rispettivamente la funzione della tesi, dell' antitesi e
della sintesi, cioè dell' unità di tesi e antitesi. Poiché, come si è visto, dall' atto
fondamentale dipendono pure le forme del pensiero logico, Fichte stabilisce anche
una stretta correlazione tra ciascun principio della dottrina della scienza e quelle che
per lui sono le leggi fondamentali della logica: il principio di di identità, il principio
di opposizione e il principio di ragione. Il primo principio suona : "L' io pone se
stesso", cioè è causa del proprio essere. Prima di esaminare il significato di questa
affermazione, bisogna premettere che il termine "Io" indica qui non il soggetto
individuale, ma quello che per Kant era il soggetto trascendentale, l' Io penso. Fichte
usa anche il termine egoità (Ichheit), per indicare la pura forma della soggettività, in
base alle cui leggi si sviluppa deduttivamente e assolutamente a priori, in maniera
analoga a quanto avviene nelle costruzioni matematiche, l'intero processo della
conoscenza, inclusi i contenuti dell'esperienza (diversamente da come pensava Kant).
Tuttavia per Fichte (diversamente da Kant) l'Io puro non é solo il fondamento della
conoscenza, ma anche della morale, esaurendo così in se stesso ambo le sfere
dell'attività umana. Il corrispettivo logico del primo principio della dottrina della
scienza é il principio di identità (A = A), che, essendo universalmente riconosciuto
come vero, può fungere come punto di partenza del discorso. Se viene applicato a una
realtà diversa dall'Io (per esempio: il triangolo é triangolo), il principio di identità ha
un valore esclusivamente formale e non comporta la reale esistenza (non é detto che
un triangolo esista). Al contrario, qualora A = A stia per Io = Io, il principio riveste
un significato sostanziale, dal momento che implica non solo l'identità dell'Io con se
stesso (' Io sono Io '), ma anche l'affermazione della realtà dell'Io (' Io sono '), intesa a
sua volta come l'atto con cui il soggetto, affermandosi come identico a se stesso, si
'pone' come tale ("Io sono, perchè pongo me stesso"). In altre parole: la coscienza
dell'identità dell'Io con se stesso coincide con il riconoscimento dell'attività con cui
l'Io pone la sua stessa realtà. Come lui stesso ammette nella Seconda introduzione
alla dottrina della scienza del 1798, Fichte riconosce la possibilità di una 'intuizione
intellettuale' (esclusa da Kant per ogni intelletto finito) mediante la quale il soggetto
non solo conosce immediatamente se stesso, ma, visto che si tratta di un conoscere
assoluto, non condizionato da alcuna forma conoscitiva, "pone" se stesso, é principio
del proprio essere e delle proprie determinazioni. Il primo principio é detto tetico, in
quanto nell'economia dialettica dei tre principi esso occupa la posizione della "tesi",
della "posizione", del momento in cui qualcosa é affermato in modo assoluto o,
appunto, "posto". Ad esso si contrappone come antitetico, in quanto espressione dell'
"antitesi", cioè della "posizione contraria" o "opposizione", il secondo principio:
"All'Io é opposto assolutamente un Non-io". L'io, infatti, per mezzo della stessa
attività con cui pone se stesso, "oppone" a se stesso il Non-io, cioè pone una realtà
che ha i caratteri opposti a quelli dell'Io, una realtà che é il contrario della soggettività
e si presenta come indipendente da essa, come oggetto. Quando, per esempio, mi
rappresento un tavolo, l'attività dell'Io interviene in due maniere diverse, che
corrispondono ai primi due princìpi della dottrina della scienza. Da un lato, l'Io pone
se stesso come autocoscienza, condizione primaria perchè qualsiasi rappresentazione,
o qualsiasi altro atto di coscienza, sia possibile: in questa "posizione" di se stesso l'Io
é considerato come attività infinita e incondizionata, dal momento che é il principio
primo assoluto. Dall'altro lato, l'Io rappresenta a se stesso il tavolo come qualcosa di
"altro" rispetto al soggetto, cioè come un oggetto determinato che, in quanto tale,
limita l'infinita attività dell'Io, opponendogli qualcosa di estraneo e di contrario alla
sua essenza, appunto il Non-io. La produzione del Non-io da parte dell'Io é quindi
una forma di autolimitazione dell'Io, il quale pone esso stesso ciò che lo limita.
L'opposizione del Non-io all'Io comporta tuttavia un serio problema. Essendo l'Io per
definizione infinito, come può contrapporglisi il Non-io come alcunchè di esterno e di
altro da sè? Come può l'infinito essere limitato e determinato da qualcos'altro,
ancorchè posto da esso stesso? A questo problema fornisce una risposta il terzo
principio, che Fichte chiama sintetico, poichè rende appunto compatibili la tesi, l'Io, e
l'antitesi, il Non-io: "All'interno dell'Io, il Non-io oppone all'Io divisibile un Non-io
divisibile". L'Io a cui il Non-io si oppone non é l'Io infinito, che sta a fondamento di
ogni attività conoscitiva e pratica e che é il primo principio assoluto della dottrina
della scienza, bensì gli Io divisibili, ossia gli Io individuali ed empirici in cui l'Io
assoluto si rifrange. L'opposizione tra Io (finiti) e Non-io (altrettanto finiti) é quindi
tutta interna all'attività dell'Io infinito: ponendo se stesso, l'Io assoluto pone anche al
proprio interno, come espressione della propria attività, l'opposizione reciproca tra
una pluralità di Io divisibili (le singole coscienze individuali) e una pluralità di Nonio altrettanto empirici (i singoli oggetti del mondo esterno). In questo modo ciascun
individuo, se da una parte, in quanto soggetto, é partecipe dell'infinita attività
creatrice dell'Io assoluto, dall'altra parte trova di fronte a sè la resistenza dei singoli
Non-io, delle realtà naturali particolari, che l'Io assoluto gli oppone come limiti alla
sua oggettività.
Schelling e il travaglio romantico dell'Idealismo
1. La vita, lo sviluppo del pensiero e le opere di Schelling
Friedrich Wilhelm Joseph Schelling nacque a Leonberg, nel Württemberg, nel 1775,
da un pastore protestante, che lo educò agli studi classici e biblici. Nel 1790, ad
appena quindici anni, si iscrisse al seminario teologicò di Tubinga, dove strinse
rapporti di amicizia col poeta Hölderlin e con Hegel, il quale, pur essendo di un lustro
più anziano di lui, doveva subire da lui un influsso determinante.
Dal 1796 al 1798 Schelling studiò matematica e scienze naturali a Lipsia e a Dresda.
Passò quindi a Jena, dove (ad appena ventitré anni) divenne coadiutore di Fichte
nell'insegnamento universitario, e nel 1799 (a ventiquattro anni) fu nominato
successore di Fichte, che, come abbiamo visto, aveva dovuto dimettersi in seguito
alle complicazioni provocate dalla "polemica sull'ateismo".
"Un astro tramonta e un altro sorge", aveva detto Goethe in occasione delle
dimissioni di Fichte e della successione di Schelling. E, in effetti, già l'anno dopo
(1800) usciva quel Sistema dell'idealismo trascendentale, destinato a dare al nostro
filosofo la massima fama e a imporlo, pur così giovane, a tutti i Romantici come un
punto di riferimento. In questi anni ebbe rapporti col circolo dei Romantici
capeggiato da F. Schlegel, e, soprattutto, con Carolina Schlegel, che successivamente
sposò.
Nel 1803 Schelling passò ad insegnare all'Università di Würzburg. Nel 1806 fu
chiamato all'Accademia delle Scienze di Monaco. Infine, nel 1841 fu chiamato dal Re
di Prussia Federico Guglielmo IV all'Università di Berlino, dove ebbe fra i suoi
uditori personaggi destinati a diventare illustri, fra cui Kierkegaard. Ma il successo
durò molto poco. Nel 1847 interruppe i suoi corsi, e morì (quasi dimenticato) nel
1854 in Svizzera.
La parabola evolutiva del pensiero di Schelling è assai complessa. Gli studiosi si sono
molto affaticati nel cercare di determinare le varie tappe di tale parabola, con esiti
diversi. La divisione più ragionevole è quella che distingue i seguenti sei periodi:
È appena il caso di rilevare che la divisione non va intesa in modo rigido e che le
determinazioni cronologiche sono prevalentemente indicative.
Anche il gran numero di scritti (molti dei quali pubblicati postumi) ha dato origine ad
una serie di complessi problemi.
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Se si prescinde dai primi due lavori legati alla esegesi biblica e all'interpretazione
degli antichi miti del 1792 e 1793 (composti a 17 e a 18 anni), le varie opere si
possono ordinare seguendo le varie fasi sopra elencate. Ecco le più significative:
1) Sulla possibilità di una forma della filosofia in generale (1794), Sull'Io come
principio della filosofia (1795), Lettere filosofiche sul dogmatismo e sul criticismo
(1795) .
2) Idee per una filosofia della natura (1797), Sull'anima del mondo (1798), Primo
abbozzo di un sistema della filosofia della natura (1799).
3) Sistema dell'idealismo trascendentale (1800).
4) Esposizione del mio sistema (1801), Bruno o il principio naturale e divino delle
cose (1802), Filosofia dell'arte (1802- 1803), Lezioni sul metodo dello studio
accademico (1803).
5) Filosofia e religione (1804), Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà (1809),
Lezioni di Stoccarda (1810).
6) Introduzione alla filosofia della mitologia, Filosofia della mitologia, Filosofia
della Rivelazione, che sono sostanzialmente i corsi tenuti a Berlino e pubblicati
postumi.
2. Gli inizi fichtiani del pensiero schellinghiano e i nuovi fermenti (1795-1796)
Il primo pensiero schellinghiano agita ancora problemi collegati ai dibattiti suscitati
dalle difficoltà e dalle aporie inerenti alla kantiana "cosa in sé", che, peraltro, egli
ritiene sostanzialmente risolti e superati dalla filosofia di Fichte. Si comprende,
pertanto, come la prima (e precocissima) produzione del nostro filosofo (fra i
diciannove e i ventun anni) costituisca sostanzialmente un tentativo di impossessarsi
dell'Idealismo fichtiano e di ripensarne i motivi di fondo. I sedicenti Kantiani,
secondo Schelling, sono fuori strada, perché la dottrina di Fichte è davvero (come
sostiene il suo autore) la "vera" dottrina kantiana, svolta in maniera coerente e
consapevole, e le sue conclusioni segnano una tappa decisiva: bisogna cercare nella
sfera del Soggetto ciò che prima si era cercato nella sfera del mondo esterno e
dell'oggetto.
Tuttavia, per quanto questi concetti siano espressi con terminologia e con un giro di
pensiero fichtiani, fanno già capolino nuove esigenze, che permettono di presentire in
quale direzione Schelling si muoverà.
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In primo luogo, è evidente il taglio fortemente metafisico con cui Schelling abborda
la lettura della Dottrina della scienza (solo più tardi anche Fichte— in larga misura
sollecitato proprio da Schelling—seguirà questa via). Di conseguenza, l'Io puro viene
presentato come l'"Assoluto", la cui unità non è quella numerica degli individui, bensì
quella propria dell'"Uno-Tutto" immutabile. L'Io non è coscienza, né pensiero né
persona, perché coscienza e persona sono momenti successivi e "dedotti".
Analogamente, Schelling dà grande rilievo all'"intuizione intellettuale" (che Fichte
aveva già rivendicato all'Io), così come alla "libertà". Infatti, egli delinea con
maggiore nettezza la "deduzione del mondo" a partire dall'Io.
Va altresì rilevato che la presenza di Spinoza, che viene assunto (in un certo senso)
come l'avversario per eccellenza, accentua ancora di più la piega metafisica del
pensiero di Schelling. Spinoza risulta essere il campione del dogmatismo, in quanto
ha assolutizzato l'oggetto (il non-io) e ha cercato di garantire la pace dello spirito al
prezzo dell'abbandono del soggetto (empirico) all'oggetto assoluto. Fichte, per contro,
pone non l'Oggetto assoluto ma il Soggetto assoluto e riporta il soggetto empirico al
Soggetto assoluto mediante l'intuizione intellettuale, la quale rivela appunto la
tangenza dell'io empirico con l'Io assoluto.
In questi scritti giovanili sono già visibili in controluce, oltre le implicanze
metafisiche dell'Io inteso come Assoluto di cui si è detto, le nuove esigenze che
caratterizzeranno i successivi interessi di Schelling. In particolare, Schelling cercherà
a) di dare maggiore soddisfazione alle istanze fatte valere dall'oggettivismo
spinoziano e riequilibrare il soggettivismo assoluto fichtiano, che rischia di cadere
nell'unilateralità opposta a quella spinoziana, e b) di colmare la vistosa lacuna del
sistema fichtiano, che aveva ridotto al puro non-io tutta la natura, facendole perdere
qualunque identità specifica e quasi annullandola.
A partire dal 1797, Schelling si accinse dunque a rivalutare la natura e a colmare le
lacune del sistema di Fichte. Ma, ciò facendo, metteva in crisi la Dottrina della
scienza e spianava la strada ad una differente formulazione e prospettazione
dell'Idealismo.
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3. La filosofia schellinghiana della Natura (1797-1799)
3.1. L'unità di spirito e di natura
Che cos'è, allora, la natura, se non è puro non-io? Schelling ritiene che il problema
sia solubile supponendo l'esistenza di una unità fra ideale e reale, fra spirito e natura:
"Il sistema della natura—egli scrive—è insieme il sistema del nostro spirito".
Ciò implica che si debba applicare alla natura quello stesso modello di spiegazione
che Fichte aveva applicato con successo alla vita dello spirito. Per Schelling,
insomma, gli stessi principi che spiegano lo spirito possono e debbono spiegare anche
la natura.
Se così è, allora, ciò che spiega la natura è quella stessa Intelligenza che spiega l'Io.
Bisogna trasferire alla natura quella "attività pura" scoperta da Fichte come "essenza"
dell'Io. Schelling, in questo modo, giunge alla conclusione che la Natura è prodotta
da una intelligenza inconscia, che opera all'interno di essa, e che a gradi si sviluppa
teleologicamente, ossia a successivi livelli che mostrano una intrinseca e strutturale
finalizzazione.
Il grande principio della filosofia della natura schellinghiana è il seguente: "La Natura
deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito Natura invisibile. Qui, dunque, nell'assoluta
unità dello Spirito in noi e della Natura fuori di noi, si deve risolvere il problema
come sia possibile una Natura fuori di noi". La Natura altro non è se non "una
intelligenza irrigidita in un essere", "sensazioni spente in un non essere", "arte
formatrice di idee che trasforma in corpi".
3.2. La Natura come graduale dispiegamento dell'intelligenza inconscia
Se Spirito e Natura derivano dai medesimi principi, allora nella Natura deve
riscontrarsi quella stessa dinamica di una forza che si espande e di un limite che le si
contrappone, che troviamo nell'Io fichtiano. Ma l'opposizione del limite non arresta
se non momentaneamente la forza espansiva, la quale tosto riprende il suo corso, per
poi arrestarsi ad un ulteriore limite, e così di seguito.
Ora, ad ogni fase costituita da tale incontro della forza espansiva e di quella limitante
corrisponde la produzione di un grado e di un livello della Natura, che via via si
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presenta come più ricco e quindi gerarchicamente più elevato. Il primo incontro fra
forza positiva espansiva e forza negativa e limitativa dà luogo alla "materia" (che,
dunque, è un prodotto dinamico di forze). La ripresa dell'espansione della forza
infinita positiva e l'ulteriore incontro con la forza negativa e limitatrice dà luogo a
quello che appare come "meccanicismo universale" e come generale "processo
dinamico".
E, qui, Schelling, sfruttando abilmente le scoperte della scienza del suo tempo (di cui
era stato attento studioso), ha buon gioco nel mostrare il mobile manifestarsi delle
forze e della loro polarità e opposizione nel magnetismo, nell'elettricità e nel
chimismo.
L'identico schema di ragionamento vale per spiegare il più alto livello della Natura,
che è il livello "organico". Schelling richiama, a questo proposito, i principi della
"sensibilità", della "irritabilità" e della "riproduzione", in grande auge fra gli
scienziati del suo tempo, che egli fa corrispondere, in maniera analogica,
rispettivamente al magnetismo, alla elettricità e al chimismo, ad un livello più
elevato, ma secondo la stessa dinamica.
In conclusione: la Natura è costituita da una e identica forza (intelligenza inconscia),
che si dispiega nel modo sopra precisato, e che via via si manifesta in piani e in gradi
sempre più alti, fino a giungere all'uomo, nel quale si accende la coscienza, e
l'intelligenza raggiunge la consapevolezza.
3.3. L'anima del mondo e la natura dell'uomo
Risultano, così, chiarissime certe affermazioni di Schelling, divenute assai celebri: "Il
medesimo principio unisce la natura inorganica e l'organica", le singole cose della
natura costituiscono come gli anelli "di una catena di vita, la quale torna su se stessa,
e in cui ogni momento è necessario al tutto"; ciò che appare non vivo nella natura è
solo "vita che dorme"; la vita è "il respiro dell'universo"; "la materia è spirito
irrigidito".
Si comprende, allora, come Schelling abbia potuto rimettere in auge l'antico concetto
di "anima del mondo", come "ipotesi per spiegare l'organismo universale". Questa
antichissima figura teoretica (divenuta molto famosa da Platone in poi), secondo
Schelling non è altro se non l'intelligenza inconscia che produce e regge la Natura e
che solo con la nascita dell'uomo si apre alla coscienza.
Infine l'uomo, che, considerato nell'infinitudine del cosmo, appare fisicamente come
una piccolissima cosa, risulta, per contro, essere il fine ultimo della Natura, perché in
lui si ridesta appunto lo Spirito, che in tutti gli altri gradi della Natura rimane come
assopito.
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4. Idealismo trascendentale e idealismo estetico (1800)
4.1. Partire dal soggettivo per giungere all'oggettivo
Una volta chiarito che la Natura altro non è se non la storia dell'intelligenza
inconscia, che attraverso gradi successivi di oggettivazione, da ultimo (nell'uomo)
giunge alla coscienza, Schelling sentì il bisogno di riprendere l'esame della filosofia
della coscienza e ripensarne le strutture tenendo presenti le nuove acquisizioni, e cioè
di ripensare a fondo la Dottrina della scienza fichtiana. In effetti, dopo aver
esaminato come la natura arrivi all'intelligenza, occorreva rivedere come
l'intelligenza arrivi alla natura.
E nel far questo, con alle spalle tutto quanto in materia di filosofia dello Spirito era
già stato detto da Kant a Fichte, Schelling concepì e scrisse di getto un capolavoro, II
sistema dell'idealismo trascendentale, che gli uscì dalla penna pressoché perfetto.
Ecco come il nostro filosofo indica il programma della filosofia trascendentale:
"Porre come primo l'obbiettivo e ricavare da esso il subbiettivo, è, come abbiamo già
accennato, il compito della filosofia della natura. Ora, se una filosofia trascendentale
esiste, non le rimane altro che seguire il cammino opposto: partire dal subbiettivo
come dal primo e assoluto, e farne derivare l'obbiettivo. In tal modo la filosofia della
natura e quella dello spirito si sono distinte secondo le due possibili direzioni della
filosofia; e se ogni filosofia deve riuscire, o a far della natura un'intelligenza, o
dell'intelligenza una natura, ne segue che la filosofia trascendentale a cui spetta
quest'ultimo ufficio, sia l'altra necessaria scienza fondamentale della filosofia".
4.2. L'"attività reale" e l'"attività ideale" dell'Io: l'Ideal-realismo
Anche nella costruzione dell'Idealismo trascendentale, come nella filosofia della
Natura, Schelling pone l'accento sulla polarità di forze, seguendo il principio proprio
di Fichte, opportunamente riadattato.
Lo schema del ragionamento seguito da Schelling è il seguente. L'Io è attività
originaria autoponentesi all'infinito, una attività produttiva che diviene oggetto a se
medesima (e quindi è intuizione intellettuale autocreatrice). Ma la produzione pura
infinita che è propria dell'Io, per essere non solo produttrice, ma per divenire anche
prodotto "deve porre limiti al proprio produrre" e quindi "opporre a sé qualche cosa".
Ma l'attività dell'Io, in quanto è attività infinita, pone il limite e poi anche lo supera,
via via ad un livello sempre ulteriore, come Fichte aveva già detto.
Schelling chiama l'attività che produce all'infinito "attività reale" (in quanto
produttrice), mentre chiama "attività ideale" quella che prende coscienza
scontrandosi con il limite. Le due attività si presuppongono a vicenda e "da questo
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mutuo presupporsi delle due attività [...] dovrà essere derivato l'intero meccanismo
dell'Io".
Ma in questo modo gli orizzonti della Dottrina della scienza di Fichte si dilatano e
l'Idealismo soggettivo diventa, propriamente, un Ideal-realismo, come Schelling dice
in questo passo: "La filosofia teoretica è [ . . . ] idealismo, la pratica realismo, e solo
entrambe formano il sistema compiuto dell'idealismo trascendentale. Come
l'idealismo e il realismo si presuppongono a vicenda, così la filosofia teoretica e la
pratica; e nell'Io stesso è originariamente uno e legato ciò che noi dobbiamo
separare in servigio del sistema, che procediamo a costruire".
Si sarà notato che, in questo modo, Schelling finisce col porre la filosofia
trascendentale come un terzo momento oltre la filosofia teoretica e la filosofia
pratica, e, precisamente, come la loro sintesi. E in modo molto chiaro fa appello a una
attività unitaria che stia a base dei due momenti del sistema.
4.3. L'attività estetica
Questa nuova prospettiva che si delinea, si comprende ancor meglio in base a
quest'altro ragionamento, del tutto analogo al precedente, che Schelling fa. Nella
filosofia teoretica gli oggetti ci appaiono come "invariabilmente determinati" e le
nostre rappresentazioni ci sembrano determinate da essi e il mondo ci sembra essere
un qualcosa irrigidito fuori di noi; per contro, nella filosofia pratica le cose ci
appaiono come variabili e modificabili dalle nostre rappresentazioni, in quanto ci
sembra che i fini che noi ci riproponiamo le possano modificare.
Vi è qui una contraddizione (almeno apparente), dato che nel primo caso si esige un
predominio del mondo sensibile sul pensiero, nel secondo caso, invece, si esige un
predominio del pensiero (dell'ideale) sul mondo sensibile. Sembrerebbe, insomma,
che, per avere la certezza teoretica, noi veniamo a perder quella pratica, e, per avere
la certezza pratica, veniamo a perdere quella teoretica.
Ecco allora il grosso problema che si pone: "in qual modo possono ad un tempo le
rappresentazioni essere pensate come determinate dagli oggetti, e gli oggetti come
determinati dalle rappresentazioni?".
La risposta al problema è la seguente: si tratta, dice Schelling, di qualcosa di più
profondo della "armonia prestabilita" di cui parlava Leibniz, in quanto si tratta di una
identità insita nel principio stesso: si tratta di una attività che è, ad un tempo, conscia
e inconscia, e che, come tale, è presente sia nello Spirito sia nella Natura e che genera
tutte le cose. Questa attività conscia-inconscia è l'"attività estetica". Sia i prodotti
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dello Spirito sia quelli della Natura sono generati da questa stessa attività: "la
combinazione dell'uno e dell'altro (del conscio e dell'inconscio), senza coscienza, dà
il mondo reale; con la coscienza dà il mondo estetico [e spirituale] . Il mondo
oggettivo non è se non la poesia primitiva e ancora inconscia dello spirito; l'organo
universale della filosofia—e la chiave di volta del suo intero edificio—è la filosofia
dell'arte".
4.4. L'attività dell'arte e i caratteri della creazione artistica
Nella creazione artistica si fondono, infatti, conscio e inconscio, e il prodotto artistico
è, sì, finito, ma mantiene una significazione infinita. Nei capolavori dell'arte umana
c'è l'identica cifra dei capolavori dell'arte cosmica. L'arte diviene, così, "l'unica ed
eterna rivelazione".
E Schelling può anche abbandonarsi ai più audaci sogni circa una futura umanità, che
riconduca la scienza alla fonte della poesia e crei una nuova mitologia, non più
prodotto di un singolo, ma di una stirpe rigenerata: "Ora se l'arte sola è quella, a cui
riesca di rendere obbiettivo con valore universale quanto il filosofo non può
rappresentare che subbiettivamente, è da aspettarsi, per tirare ancora questa
conclusione, che la filosofia, com'è stata prodotta e nutrita dalla poesia nell'infanzia
del sapere, e con essa tutte quelle scienze, che per mezzo suo vengono recate alla
perfezione, una volta giunte alla loro pienezza, come altrettanti fiumi ritorneranno a
quell'universale oceano della poesia) da cui erano uscite. Quale poi sarà
l'intermediario del ritorno della scienza alla poesia, non è difficile dirlo in modo
generale, essendo un tal intermediario esistito nella mitologia, prima che questa
separazione, la quale sembra adesso inconciliabile, fosse avvenuta. Ma come possa
nascere una nuova mitologia, che non sia creazione del poeta singolo, bensì di una
nuova stirpe, che quasi rappresenti un solo poeta, è un problema la cui soluzione si
deve attendere solo dai futuri destini del mondo e dal corso ulteriore della storia".
È questo, l'"idealismo estetico" che tanta impressione e tanti entusiasmi suscitò fra i
contemporanei, ma che, come tutti i sogni, per quanto grande, durò solo per breve
tempo.
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5. La filosofia dell'identità (1801-1804)
5.1. La Ragione come assoluto
Questa concezione dell'arte, o meglio dell'intuizione estetica, come quella che coglie
l'ideale e il reale nella loro unità, e la definizione della filosofia trascendentale come
Ideal-realismo implicavano già chiaramente una nuova concezione dell'Assoluto che
doveva abbandonare le unilaterali espressioni kantiane e fichtiane quali: "Soggetto",
"Io", "Autocoscienza" e simili, per puntare su una nuova formulazione che intendesse
l'Assoluto come "identità" originaria di Io e Non-io, Soggetto e Oggetto, Conscio e
Inconscio, Spirito e Natura, in breve (come "coincidentia oppositorum" - cfr.
Cusano).
L'Assoluto, dunque, è questa Identità originaria di Ideale e Reale e la filosofia è
sapere assoluto dell'Assoluto, fondato sulla intuizione di esso, che è condizione di
ogni sapere ulteriore.
Questo Assoluto è ormai chiamato "Ragione" e il punto di vista della Ragione è il
punto di vista del Sapere assoluto, e la filosofia è una scienza assoluta. Il
rovesciamento della posizione di Kant è ormai completo, così come è anticipata in
pieno la prospettiva che Hegel farà propria, sia pure con una serie di modifiche, come
vedremo. È evidente che qui ci troviamo di fronte a una concezione in cui Fichte e
Spinoza sono sintetizzati in una forma di spiritualismo panteistico (o panteismo
spiritualistico) radicale. Tutto è Ragione e la Ragione è tutto: "All'infuori della
Ragione non vi è nulla, e tutto è in essa"; "La Ragione è semplicemente una, e
semplicemente uguale a se stessa".
5.2. L'Identità assoluta
Dunque, "l'unica conoscenza assoluta è quella dell'Identità assoluta", e questa
Identità assoluta è infinita, e quindi tutto ciò che è, è, in qualche modo, "identità",
che, come tale, non può mai essere soppressa. Ogni cosa che venga considerata come
è in sé, si risolve in questa "identità infinita", in quanto esiste solo in essa e non fuori
di essa.
Questa identità non esce fuori di sé, ma, al contrario, tutto è in lei: "L'errore
fondamentale di ogni filosofia—scrive Schelling—è il presupposto che 1'Identità
assoluta sia realmente venuta fuori di se stessa, e lo sforzo di rendere comprensibile il
modo come questo uscir fuori accade. L'Identità assoluta invece non ha mai cessato
di esser tale, e tutto cio che è, considerato in se stesso, è non già il fenomeno
dell'Identità assoluta, ma essa stessa".
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Questa "Identità assoluta" è quindi l'"Uno-Tutto", al di fuori del quale non esiste
alcuna cosa per sé, è l'Universo stesso che è coeterno all'Identità.
Le singole cose sono fenomeniche manifestazioni che scaturiscono dalla
differenziazione qualitativa di "soggettivo" e di "oggettivo", da cui nasce il finito.
Ogni essere singolo è la differenziazione qualitativa dell'identità assoluta; esso non
solo rimane radicato nell'Identità (come a suo fondamento), ma suppone sempre
anche la totalità delle cose singole cui è collegato strutturalmente e organicamente.
5.3. Dall'infinita Identità assoluta alla realtà finita e differenziata
L'indifferenza o identità originaria si esplica, dunque, nella duplice serie
(fenomenica) di "potenze": vale a dire nella serie di "potenze" in cui prevale il
momento della soggettività (A) e nella serie in cui prevale quello della oggettività
(B); ma nel prevalere di A è sottinteso B. così come nel prevalere di B è sottinteso A,
di guisa che l'Identità si conserva nella totalità e si riafferma in ogni differenziazione.
È evidente che la grossa difficoltà di questa nuova prospettiva di Schelling consiste
nello spiegare come e perché dalla "Identità infinita" nascono la differenziazione e il
finito.
In parte Schelling cerca, in questa fase, di superare la difficoltà, reintroducendo la
teoria platonica delle Idee. Nella Ragione intesa come assoluta Identità e Unità
dell'universale e del particolare vi sono unità particolari (le Idee) che dovrebbero
costituire la causa delle cose finite. Ma nell'Assoluto le Idee sono tutte in tutte,
mentre le cose sensibili sono separate e l'una fuori dell'altra. Schelling sostiene che
nel sensibile le cose sono tali solo per noi, ossia solo per la nostra coscienza
empirica.
Ma ormai è evidente che Schelling sta lottando con un problema gravissimo, ossia
con il problema dell'origine del finito dall'infinito. Al punto in cui egli si era spinto
non gli era possibile né accogliere il creazionismo (che fa nascere il finito per un atto
di libera volontà del Creatore e suppone la trascendenza), né lo spinozismo (che in
pratica annulla il finito e comunque rappresenta una posizione preidealistica). E così
egli riprese l'antico concetto gnostico, che già in passato il misticismo tedesco aveva
accolto, secondo cui l'esistenza delle cose e la loro origine suppongono una
originaria "caduta", un "distacco" da Dio. Per Schelling, dunque, "l'origine del
mondo sensibile può spiegarsi solamente con un distacco dall'Assoluto mediante un
salto". È, questo, il tema centrale della fase "teosofica" della filosofia schellinghiana,
in cui si fanno sentire echi irrazionalistici, talora in modo anche accentuato.
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6.. La "filosofia positiva" (dal 1815 in poi)
L'ultimo Schelling ha distinto una "filosofia negativa" da una "filosofia positiva" e si
è dedicato a quest'ultima. Egli intende per "filosofia negativa" quella fino a questo
momento professata, ossia la speculazione intorno al "che cosa universale", vale a
dire intorno all'essenza delle cose. Per "filosofia positiva" egli intende invece la
filosofia che concerne la esistenza effettiva delle cose. La prima concerne la
possibilità logica delle cose, la seconda la loro esistenza reale.
Con questa distinzione egli non intende negare la prima forma di filosofia, ma far
valere la necessità di una integrazione sostanziale della medesima. La filosofia
negativa è costruita per intero sulla ragione, quella positiva sulla religione e sulla
rivelazione, oltre che sulla ragione.
È evidente che la rivelazione per eccellenza è quella su cui è fondata la religione
cristiana. Schelling, però, estende il concetto di rivelazione a tutte le religioni
storiche, comprese quelle politeistiche. Anzi egli intende in generale l'arco storico
delle religioni come una sorta di "rivelazione progressiva di Dio". Si comprende,
quindi, come il nostro filosofo abbia fatto oggetto di attente analisi sia la mitologia
pagana, sia la Bibbia.
È importante, ancora, rilevare che il Dio di cui questa filosofia positiva si occupa è
ormai il Dio-persona che crea il mondo, si rivela e redime l'uomo dalla caduta: è,
insomma, il Dio considerato in quella concretezza religiosa che le filosofie moderne
non hanno quasi mai considerato quale oggetto specifico della propria riflessione.
E, infine, è da notare come, in questa fase, Schelling, mettendo in rilievo il motivo
dell'esistenza non deducibile dall'essenza, anticipi motivi "esistenzialistici" che
Kierkegaard coglierà immediatamente e porterà in primo piano.
7. Conclusioni sul pensiero di Schelling
Un giudizio sulla filosofia di Schelling è molto difficile. La sua mobilità ha
sconcertato anche i più pazienti lettori, e la brusca virata finale ha irritato molti.
Alla sua epoca egli ha dato il meglio di sé fra il 1799 e il 1803, cioè durante il
periodo di Jena; e da questa fase del pensiero schellinghiano lo stesso Hegel ebbe
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molto da imparare. Ma, poi, la fortuna di Schelling andò via via declinando, mentre
lentamente ma costantemente saliva l'astro di Hegel, che dal 1818 in poi polarizzerà
su di sé l'attenzione di tutti.
Forse Schelling è stato il pensatore che meglio di tutti ha dato voce alle inquietudini
romantiche, a quello "Streben", ossia a quel tendere senza posa, a quel continuo
"sorpassarsi", lasciando alle spalle il prodotto della propria creazione per ricercarne
uno sempre nuovo.
II Sistema dell'idealismo trascendentale resta la sua opera più compiuta; ma essa, per
la maggior parte, è un compendio generale di cose già dette dai predecessori, espresse
in modo migliore, e tutte le novità si concentrano in meno di trenta pagine (le idee
sull'arte e sull'intuizione artistica). Ma quest'opera è l'espressione e il simbolo di un
periodo e—insieme ad alcuni scritti sulla filosofia della natura, all'Esposizione del
mio sistema e al Bruno, che riflettono la fase della filosofia dell'identità—ridà il
meglio di Schelling, anche perché la vena teosofica del penultimo periodo limita
alquanto gli orizzonti del filosofo, mentre le ultime opere furono pubblicate postume.
Hegel consacrerà lo schema storiografico secondo cui Fichte rappresenterebbe
l'idealismo soggettivo, Schelling quello oggettivo, Hegel stesso quello assoluto, come
una triade dialettica di "tesi" "antitesi" e "sintesi", la cui sintesi "supera" la tesi e
l'antitesi e le "invera". Lo schema è inadeguato storicamente, perche e Fichte e
Schelling di per sé (ossia considerati nella loro effettiva statura storica) non si
lasciano imprigionare in esso; ma, se ci si limita a ciò che di essi il loro tempo
assorbì, tale semplificazione risulta plausibile, sia pure con le debite riserve. E così
Hegel ebbe buon gioco e si impose come colui che ridava, potenziate, le scoperte
fichtiane e schellinghiane, riscattandole dalla loro unilateralità, e trasformandole in
una vera conoscenza sistematica e scientifica dell'Assoluto.
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SCHELLING
LA FILOSOFIA DELLA NATURA
Il primo periodo della speculazione di Schelling, compreso tra il 1794 e il 1796,è
caratterizzato dalla ripresa e dallo sviluppo della filosofia di Fichte. Con quest'ultimo
Schelling condivide pienamente l'impianto idealistico; il riferimento kantiano alla 'cosa
in sé' viene sostituito con la ricerca di un principio assoluto da cui derivino sia la forma
sia il contenuto della conoscenza. Sin da questa prima fase fichtiana, Schellin manifesta,
tuttavia, due esigenze che condurranno a un'aperta critica del suo maestro. In primo
luogo, emerge l'istanza di ricercare il fondamento primo della conoscenza non già,
fichtianamente, nell'Io puro, bensi' in un principio originario che ricomprenda in sé sia il
momento soggettivo della conoscenza(cioè l'IO trascendentale)sia la sua componente
oggettiva (il Non-io-fichtiano).In altri termini, il soggetto e l'oggetto, lo spirito e la
natura, sono le due manifestazioni diverse ma equivalenti, dell'unico principio assoluto.
In secondo luogo- e di conseguenza-la derivazione fichtiana del Non-io dall'Io appare
insoddisfacente a Schelling, dato che essa risolve la natura, ovvero il mondo oggettivo,
in un momento interno al soggetto, in un semplice limite che l'Io pone alla propria
attività. Viceversa, Schelling intende affermare che, pur essendo strettamente connessa
con lo sviluppo del soggetto, la natura ha una realtà propria, irriducibile a una mera
proiezione ed autolimitazione dell'Io.Questi interessi inducono Schelling a dedicare
alcuni anni della propria attività giovanile, dal 1797 al 1800,all'elaborazione di una
filosofia della natura. Sullo sfondo delle riflessioni schellinghiani vi sono due referenti
molto importanti; da un lato i recenti studi e le nuove scoperte scientifiche nell'ambito
della fisica, della chimica e della biologia, le quali avevano per alcuni versi messo in
questione l'impianto meccanicistico della scienza newtoniana; dall'altro,la nuova
interpretazione filosofica della natura in termini di vita e di organismo, che era emersa
dalle opere di Goethe, di Jacobi e, innanzi tutto, di Kant. Se nella Critica della ragion
pura(1781)Kant aveva elaborato una fondazione trascendentale del meccanicismo
newtoniano, nella Critica del Giudizio(1796)egli aveva invece ammesso che la categoria
della causalità meccanica era assolutamente insufficiente a spiegare i più semplici
fenomeni organici, come la crescita di un filo d'erba o il movimento di un verme. La vita
organica poteva essere compresa soltanto facendo riferimento alla nozione di 'fine' che,
non essendo una categoria dell'intelletto, bensì un concetto della ragione, consentiva di
oltrepassare, sia pure su di un piano esclusivamente regolativi, un'interpretazione
rigorosamente meccanicistica e deterministica della natura. E la critica del giudizio fu
l'opera di Kant che esercitò maggiore influenza sulla cultura romantica, profondamente
ostile al meccanicismo razionalistico. Da Kant Schelling mutua, radicalizzandole, due
importanti convinzioni. La prima è che l'organismo è una realtà unitaria che possiede in
se stessa e oggettivamente il proprio principio di organizzazione. La seconda è che
l'organicità può essere estesa dal singolo essere vivente a tutta la natura considerata
come una totalità. Quest'ultima affermazione,tuttavia,aveva in Kant un valore
esclusivamente analogico,e gli consentiva soltanto di sostenere che la natura, nel suo
insieme, può essere considerata come un 'sistema di fini',cioè una totalità fornita di una
finalità complessiva analoga a quella che caratterizza il singolo essere animato.
Influenzato dalla tradizione neoplatonica, da Bruno e da Spinoza, Schelling giunge,
invece, ad affermare che la natura costituisce un organismo universale nel quale opera
un unico principio vitale, l'anima del mondo. In altri termini,sviluppando le riflessioni
kantiane sul concetto di organismo, Schelling arriva ad ammettere la stessa nozionerfiutata da Kant.-di materia vivente. La natura non è materia inerte,ma vita universale
intrinseca alla materia stessa,che continuamente si plasma e si trasforma in un continuo
divenire. Asserendo che la natura è vita, Schelling attribuisce ad essa,come proprietà
fondamentale,l'attività.Ciò equivale a riconoscere la sostanziale omogeneità di natura e
spirito,il quale trova appunto nell'attività la sua determinazione principale. Schelling
afferma,pertanto,la piena circolarità tra natura e spirito,che non sono né indipendenti,né
conseguenti(lo spirito non è lo sviluppo della natura o viceversa),ma i due aspetti
paralleli di un unico processo; La natura è lo spirito visibile,lo spirito è natura invisibile.
Avendo assimilata la natura all'attività dello spirito, Schelling può applicare pure ad essa
il principio della produzione dialettica che Fiche aveva riservato all'IO puro. Anche
l'attività della natura consiste infatti in un processo oppositivo,inteso però non già,
fichtianamente,come mera contrapposizione dell'oggetto al soggetto,bensì come polaritàinterna alla natura stessa - nella quale la tensione tra due elementi esprime insieme la
loro unità e la loro opposizione.Schelling riconosce,inoltre,tre diversi tipi di polarità
naturale,i quali corrispondono ad altrettanti gradi o potenze della natura.Al livello
inferiore si colloca l'opposizione tra le forze attrattive e quelle repulsive,che si esprime
soprattutto nella forza di gravità. La scienza corrispondente a questa potenza è la fisica,la
quale ha per oggetto la natura inorganica considerata come massa.La seconda potenza
esprime l'azione chimica ed è fondata sull'opposizione tra sintesi e analisi:al suo interno
si distinguono i fondamenti del magnetismo,dell'elettricità e della luce.Se l'equilibrio ci
mettono capo le forze fisiche ha carattere statico,cioè tende a mantenere se stesso,quello
risultante delle forze chimiche è precario e reversibile.La terza potenza è,infine,quella
organica,nella quale si ha una forza propulsiva continua,suscettibile di arresti solo
momentanei.Anch'essa si distingue in tre momenti interni:la sensibilità,intesa come ,cioè
capacità di percepire stimoli dall'esterno,propria di ogni forma di materia
organizzata;l'irritabilità,cioè l' che consente il moto degli organismi;e la 'tendenza
produttiva' ,cioè l'impulso alla generazione che presiede all'auotoriproduzione della
specie. Un'altra conseguenza dell'omogeneità tra spirito e natura è il finalismo che
caratterizza la filosofia della natura schellinghiana. La finalità,al pari dell'attività,è una
determinazione essenziale dello spirito.Quest'ultimo ,infatti,pensa e agisce sempre
secondo un fine.Ma se la natura ha,per cosi' dire,la stessa struttura costitutiva dello
spirito,essa non può esprimersi se non in termini di finalità. Kant aveva sostenuto che la
natura può essere pensata soltanto in base al concetto della causalità necessaria, visto che
essa è l'oggetto delle forme pure del pensiero intellettuale; cioè delle categorie,tra le
quali quella di causa-effetto svolge un ruolo primario:solamente nella forma non
conoscitiva del giudizio riflettente si poteva introdurre una interpretazione finalistica del
mondo naturale. Per Schelling,viceversa,la natura,essendo coessenziale con lo
spirito,deve necessariamente essere pensata come organizzata secondo fini:la stessa
connessione meccanico-causale dei fenomeni-secondo una concezione prospettata dallo
stesso Kant nella Critica del giudizio-è subordinata e funzionale al loro ordinamento
finalistico. Ma qual è il principio comune che collega spirito e natura,garantendo la loro
radice unitaria?Nell' Introduzione all'abbozzo di un sistema della fisica natura del 1799quindi composta quasi al termine del periodo dedicato alla filosofia della naturaSchelling fornisce una soluzione che già prelude alla tesi esposte nel Sistema
dell'Idealismo trascendentale del 18000.Mondo della natura e mondo dello spirito sono
qui visti nella loro derivazione da un'unica intelligenza,la quale opera però in due modi
diversi.Essa può creare inconsapevolmente, avendo come risultato il mondo
naturale,oppure con consapevolezza,dando origine alle creazioni dello spirito. Compito
della filosofia sarà quello di dimostrare il carattere apparente dell'opposizione tra spirito
e natura,rivelandone invece la sostanziale identità.
SCHELLING
L'IDEALISMO TRASCENDENTALE
Negli scritti di filosofia della natura Schelling si proponeva di ritrovare il soggetto
nell'oggetto, lo spirito nella natura. Nel sistema dell'Idealismo trascendentale del 1800
egli compie invece l'operazione opposta,consistente nel cercare l'oggetto nel soggetto,la
natura nello spirito.Se la filosofia naturale mostrava come il carattere organico della
natura indichi la presenza in essa di una costituzione analoga a quella dello spirito,il
Sistema afferma che l'Io trascendentale non è soltanto espressione di soggettività
assoluta(come riteneva Fichte),ma è anche il fondamento della realtà e dell'oggettività
del mondo naturale. In questo modo,gli scritti di filosofia della natura e il Sistema
appaiono complementari, dal momento che in essi la tesi dell'unità tra natura e spirito
viene dimostrata nel primo caso partendo dalla natura per giungere allo spirito ,nel
secondo caso invece partendo dallo spirito per arrivare alla natura. La filosofia dello
spirito (detta anche filosofia dell'Io o filosofia dell'intelligenza) ,descritta nel Sistema
dell'idealismo trascendentale,è fondata sulla nozione di autocoscienza o di IO. A
differenza di Fiche,l'autocoscienza non è qui intesa come soggettività pura, alla quale si
contrappone un Non-io che esiste soltanto come posizione e momento interno dell'Io
assoluto. Per Schelling,l'autocoscienza è sintesi di due attività dialetticamente opposte.
Da un lato essa contiene un'attività limitata che produce l'oggetto, ponendolo
fichtianamente come limite ,come qualcosa di opposto al soggetto.Infatti,tale attività
opera inconsciamente, in modo che l'oggetto appaia al soggetto come qualcosa di dato
esternamente. D'altro lato, nell'autocoscienza è contenuta anche un'attività illimitata e
limitante,la quale consapevolmente va oltre il limite dell'oggetto,riconoscendo in
quest'ultimo un prodotto inconsapevole dell'Io. Queste due attività fondamentali sono
anche dette rispettivamente da Schelling attività reale, in quanto produce la realtà
dell'oggetto,e attività ideale, visto che oltrepassa il limite rappresentato dall'oggetto
ri-omprendendolo in sé come produzione dell'Io. L'attività ideale e quella
reale,tuttavia,non sono separate, bensì costituiscono i due aspetti diversi di un0unica
attività dell'autocoscienza che è sintesi assoluta di entrambe.Tale sintesi non è statica,ma
dinamica continuamente l'attività reale produce l'oggetto e continuamente l'attività ideale
lo oltrepassa riconducendolo a sé. Ciò dà luogo a un infinito processo dialettico tra la
produzione inconscia dell'oggetto da parte dell'attività reale e la riconduzione di
quest'ultimo alla coscienza dell'attività ideale.In questa sintesi delle due attività consiste
l'intuizione intellettuale che l'Io ha di sé stesso come insieme ideale e reale. L'Io
è,quindi,unità indissolubile di soggetto e oggetto,di spirito e di natura,di attività
consapevole e di attività inconscia.In questo modo gli stessi meccanismi dell'idealismo
trascendentale fichtiano venivano piegati alla dimostrazione della tesi(sostanzialmente
anti-fichtiani) che nell'autocoscienza l'oggetto entra allo stesso titolo del soggetto e
che,quindi,il vero idealismo non può che essere contemporaneamente autentico realismo.
Il sistema schellinghiano appare, così, come,un 'ideal-realismo' e,in senso analogo,esso
sarà definito da Hegel idealismo oggettivo. La sintesi assoluta è ulteriormente illustrata
da Schelling attraverso la descrizione dei tre gradi,detti epoche,che descrivono il
processo evolutivo della filosofia teoretica. La prima epoca riguarda il passaggio dalla
sensazione all'intuizione produttiva. Nella sensazione sembra che il soggetto trovi di
fronte a sé un oggetto esterno,rispetto al quale esso appare completamento passivo.
Nell'intuizione produttiva, viceversa, l'Io, determinando l'oggetto come un proprio
prodotto, risolve la sensazione in un momento passivo - per cui l'oggetto è 'sentito' -e in
un momento attivo- per cui il soggetto appare come 'senziente'. In quanto si intuisce
come senziente,l'Io si configura come 'intelligenza' ,mentre il suo prodotto- ciò che viene
sentito come oggetto -sarà la 'materia' .La seconda epoca va dall'intuizione alla
riflessione,mediante la quale l'intelligenza diventa consapevole della corrispondenza tra
la propria costituzione e quella del proprio prodotto (cioè della natura)e si riconosce
quindi come organismo umano, come vertice estremo dell'organizzazione naturale. La
terza epoca va dalla riflessione alla volontà. Per mezzo di un atto di 'astrazione assoluta,
l'intelligenza giunge, infatti, alla consapevolezza che la propria attività è pure
forma,distinta da ogni materia. Ma l'autodeterminazione dell'intelligenza,che si libera da
ogni oggetto materiale e si riconosce come pure forma.,è appunto la volontà. Con la
volontà si passa dal primo livello della cita dello spirito,che è l'attività teoretica,al
secondo grado,rappresentato dalla filosofia pratica. La volontà,punto di partenza di ogni
attività pratica ,risultato dall'astrazione del soggetto da qualsiasi condizione materiale, è
espressione di libertà. Ma il singolo soggetto libero trova di fronte a sé altre volontà
individuali altrettanto libere.Si pone quindi il problema dell'armonizzazione di queste
volontà in un sistema che,facendo salva la libertà individuale,garantisca tuttavia la
compatibilità tra le diverse libertà.Questo sistema è il diritto.Ma il diritto non può
nascere dalla semplice libertà,poiché esso comporta la limitazione coattiva della libertà
dell'uno per garantire quella di tutti gli altri .Il diritto implica,quindi,un' unione di libertà
e necessità.che è il corrispettivo pratico dell'unità tra soggetto e oggetto,tra conscio e
inconscio.Ma come si può realizzare tale unione di libertà e necessità?Essa si attua nella
storia,la quale può essere considerata-secondo una suggestiva metafore shellinghiana come un dramma in cui c'e l'identità tra l'autore,che ha disegnato il piano generale
dell'azione,e i singoli attori,che recitano ciascuno una parte precisa del copione. Così
ognuno è libero,perché obbedendo all'autore non obbedisce che a se stesso; e nello stesso
tempo é necessitato, dato che egli persegue un disegno razionale che fa della sua azione
uno strumento del tutto. Fuori di metafora, sulla scena storica i singoli uomini agiscono
liberamente in vista dei propri scopi; ma, in realtà, la loro azione obbedisce a un piano
provvidenziale e razionale che sovrasta ogni intenzione individuale. Così la storia appare
come il dominio dell' Assoluto , inteso come unità di libertà e di necessità, di spirito e di
natura, di soggetto e di oggetto, di attività ideale e di attività inconsapevole. Se nella
storia tale unità trova la propria concreta realizzazione, essa può tuttavia essere colta
solo dalla terza e più elevata attività dello spirito, che é l' arte . L'arte é il solo 'organo'
che consenta all'uomo di penetrare l'Assoluto: solamente attraverso l'intuizione artistica
infatti l'uomo può cogliere quell'unità di spirito e natura, soggetto e oggetto, conscio e
inconscio, che la conoscenza riflessiva ha necessariamente diviso. L'arte, cioè il
momento intuitivo che, esprimendosi nel 'genio' , ricongiunge ciò che la riflessione
speculativa ha diviso, é la vera conoscenza e la vera filosofia. Aderendo pienamente ai
canoni romantici, Schelling identifica completamente il filosofo con l'artista. L'opera
d'arte, quindi, nella quale si concreta l'attività del genio, avrà una infinità di significati,
come infinito é l'Assoluto che essa manifesta. In parte tali significati saranno
consapevoli, liberamente voluti dall'artista; in parte saranno inconsci, perchè provenienti
dall'Assoluto stesso che guida la mano del genio. Alcuni filosofi del Settecento tedesco,
come Baumgarten, Lessing e soprattutto Kant, avevano già difeso l'autonomia dell'arte
contro più tradizionali concezioni filosofiche che consideravano l'espressione artistica
inferiore alla conoscenza filosofica e scientifica. Con il suo idealismo trascendentale,
Schelling si spinge a identificare l'arte con la conoscenza assoluta, subordinando ad essa
ogni forma di sapere raziocinante e discorsivo. In questo senso il suo sistema può essere
considerato una forma di 'idealismo estetico'.
Modulo 3: le reazioni all’idealismo; Schopenhauer, Kierkegaard,
Nietzsche.
Si precisa preliminarmente che all’interno di questi moduli si troveranno scalette concettuali, da
utilizzare esclusivamente con l’ausilio di un buon testo della storia della filosofia; si sottolinea
inoltre che per qualsiasi dubbio o problema, il docente della materia sarà a disposizione
dell’allievo previo appuntamento telefonico.
Le reazioni all’idealismo:
Schopenhauer
Kierkegaard
Nietzsche
SCHOPENHAUER
“fenomeno è rappresentazione, e nulla più; e ogni rappresentazione ,
ogni oggetto di qualsiasi specie, è fenomeno. Cosa in sé è soltanto la
volontà, che a tal titolo non è affatto rappresentazione, anzi ne differisce
toto genere: la rappresenztazione, l’oggetto, non ne sono che il
fenomeno, la visibilità, l’oggettività. La volontà è la sostanza intima, il
nocciolo di ogni cosa particolare e del tutto: è volontà quella che appare
nella forza naturale cieca ed è ancora volontà quella che si manifesta
nella condotta ragionata dell’uomo” (Schopenhauer: il mondo come
volontà e rappresentazione)
•
Critica alla “filosofia dell’Accademia”
•
Ripresa dell’<<intelletto>> (o ragione): non più “strumenti” per spiegare il mondo ma semplici
“organi” del cervello
•
Fenomeno e Noumeno:
Rappresentazione – realtà che ci appare dinanzi ( spazio – tempo – causalità): il mondo è la mia
rappresentazione (noi non conosciamo il sole ma un occhio che vede il sole)
Noumeno è l’essenza del mondo (la cosa in sé Kantiana non è più limite, ma realtà assoluta che si
nasconde dietro il fenomeno): la VOLONTA’ DI VIVERE
•
la volontà di vivere è l’essere del mondo e dell’uomo, ma siccome la volontà è dolore (volontà
di…
•
avere bisogno di…mancanza di…dolore), lo stesso essere dell’uomo è dolore
la volontà di vivere è una “forza cieca e irrazionale”, l’uomo non la possiede ma ne è posseduto,
la sua è semplicemente un’illusione (es: dell’amore… esso è un trucco della volontà di vivere
per perpetuare la specie, l’uomo è uno “zimbello” della natura)
•
l’uomo non è storia, ma “destino”, la storia è il vero soggetto che pone valori e spinge
l’individuo a realizzarsi
•
nella storia non c’è nessuna “astuzia della ragione”… ma solo “trucchi della volontà”; non c’è
nessun finalismo (es: eticità hegeliana) – la storia non è una progressiva esplicazione del
razionale (come pensava hegel) ma è una sequela di irrazionalità e follie
•
la vita non è che un pendolo che oscilla incessantemente tra dolore e noia (rif. a Leopardi e ad
un loro esatto confronto)
I MODI PER LIBERARSI DALLA VOLONTA’ DI VIVERE
•
arte
•
morale della compassione
•
noluntas
ARTE:
rimedi temporanei
riemdio definitivo
rapporto artista / opera d’arte
•
lo squarcio del Velo di Maya
•
la contemplazione dell’<idea> (il genio) (rif. a Platone)
•
superiorità dell’arte rispetto alla scienza (viene colto l’oggetto in sé)
MORALE:
consapevolezza che l’altro è come noi… soffre come noi
•
il com – patire
notare come per Shopenhauer la morale non è la realizzazione del proprio io e delle sue intime
esigenze di universalità e incondizionatezza (Kant) quanto, piuttosto, molto meno eroicamente (ma
più umanamente), uno sfuggire al proprio io (del resto, la libertà dell’io è la libertà dall’io)
NOLUNTAS:
annullamento alla radice della volontà
(le vite dei Santi)
•
la capacità di liberarsi dal sé e del sé
•
sciopero sistematico della volontà attraverso la castità, la povertà, etc.
•
il rifiuto del suicidio (che è affermazione della volontà: il suicida uccide la vita
non la volontà)
•
il nirvana
annullamento (negazione del mondo)
l’estasi per i Cristiani
•
attraverso l’ascesi il misticismo cristiano giunge alla totale affermazione di Dio:
quello di Schopenhauer è invece un misticismo ateo che rifiuta il mondo per
giungere alla pura negatività
KIERKAGAARD
•
Critica all’ottimismo hegeliano (et…et)
•
L’esistenzialismo asistematico (la filosofia si può fare – ed esporre – solo “in briciole”): la
drammaticità della condizione umana e la possibilità della testimonianza
•
La gratuità dell’esistenza: il primato dell’esistenza sull’essenza (rif. Hegel)
•
L’esistenza come ex – sistere (“stare fuori” dal concetto)
•
Il rapporto esistenza / peccato: Adamo e il “peccato originale” (Adamo e – siste dal peccato…
gli animali sono)
•
Il primato della singolarità sull’universalità
•
Esistenza come: peccato
Libertà
Scelta / possibilità ( e non necessità – primato della possibilità sulla necessità:
l’esistenza è un divenire verso l’ignoto)
•
L’angoscia come condizione naturale dell’uomo (l’uomo di fronte al mondo) : il sentimento del
possibile
•
La disperazione (l’uomo di fronte a se stesso): malattia mortale dell’Io
•
La fede (vita religiosa)
Scenari esistenziali (i primi due in “aut..aut”, l’ultimo in “Timore e Tremore”)
•
l’artista è come il seduttore, è mosso dal desiderio di perdersi nell’immediatezza
Vita estetica
1. L’uomo estetico manca di progettualità, vuole ballare il “valzer dell’istante” (esclude la
ripetizione)
2. Decide di non scegliere
•
la scelta della ripetizione
Vita etica
1. L’uomo etico per eccellenza è l’uomo sposato , che sceglie il peso non indifferente della
quotidianità e tutta la severità della mediocrità
•
l’eroe religioso
Vita religiosa
1. L’affermazione del principio religioso sospende l’azione del principio morale
2. La fede è la certezza dell’angoscia (l’uomo riconosce la sua dipendenza da Dio)
3. Rapporto Assoluto con l’Assoluto
4. Importanza del singolo (a differenza dell’hegelismo che invece ha sempre ritenuto la specie
più importante del singolo)
NIETZSCHE
•
La contestualizzazione storica
•
Precisazioni di carattere tecnico
•
Radici esistenzialistiche
•
La critica alle “certezze metafisiche” (la metafisica è la “scienza” che tratta degli errori
fondamentali dell’uomo come se fossero verità fondamentali)
•
Lo stile aforistico e le difficoltà interpretative
•
Approcci alla filosofia nicciana: N. come “analista” della parabola della cultura occidentale
N. come “anticipatore” di tematiche psicoanalitiche
•
La genesi del modo nicciano di concepire la vita: Apollineo e Dionisiaco
•
I momenti della corruzione dello spirito tragico: Euripide
La tragedia non è pessimismo (come riteneva Schopenhauer)non è tentativo di affrancarsi dal terrore
mediante la purificazione (catarsi per Aristotele), ma è la volontà di accettare fino in fondo ogni aspetto
del divenire della vita
Socrate
Il Cristianesimo e la morale della rinuncia
(asserve l’uomo al valore
si scaglia contro la superomistica sofistica
è espressione della morale del risentimento)
I temi della filosofia nicciana
•
“La fedeltà alla terra” (l’accettazione che il senso dell’esistenza è nell’esistenza stessa) e
l’<<oltre uomo>> (“il super uomo è il senso della terra” – Così parlò Zaratustra)
•
Contestazione della religione e della trascendenza religiosa (accuse al platonismo): il
Cristianesimo genera Nichilismo, cioè la perdita di ogni senso della vita
•
Contestazione dello Storicismo (antiquaria, monumentale e critica) e “circolarità del tempo”:
L’eterno ritorno (“il più abissale dei miei pensieri”: “agisci in modo che tu debba sempre
desiderare di vivere di nuovo”)
•
La “morte di dio” e la scristianizzazione del mondo (“la gaia scienza”), l’avvento dell’oltre
uomo
•
Dio come personificazione delle certezze metafisiche, la più lunga delle menzogne, è
espressione della paura di fronte la verità dell’essere
•
La volontà di potenza: i rischi di una cattiva interpretazione
•
La volontà di potenza come il modo d’essere dell’oltre uomo
•
La volontà di potenza come la “volontà gioiosa di iscrivere il proprio io nell’esistenza
•
L’uomo “deve” vivere: l’infondatezza esistenziale diventa il fondamento della volontà di
potenza
Moduli 4: Il materialismo di Marx
Si precisa preliminarmente che all’interno di questi moduli si troveranno scalette concettuali, da
utilizzare esclusivamente con l’ausilio di un buon testo della storia della filosofia; si sottolinea
inoltre che per qualsiasi dubbio o problema, il docente della materia sarà a disposizione
dell’allievo previo appuntamento telefonico.
MARX
•
•
•
•
•
•
•
•
1.
2.
3.
4.
5.
La cultura del sospetto: tutto ciò che ha un senso, nasconde un “doppio senso” (la “cosa”, che nasconde un altro
senso, non sono più le parole e i segni, ma l’uomo stesso)
La filosofia della “prassi” (“rivoluzionaria”): “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la
coscienza”
La funzione dell’uomo (per comprendere la società)
L’uomo e il lavoro, l’uomo produce se stesso e la propria coscienza, perché lavora e trasforma la realtà:
l’importanza dell’economia
Il socialismo : le coordinate storiche (riv. Industriale e formazione del proletariato)
I 3 modi errati di essere socialisti: reazionario (si reagisce nei confronti del processo storico messosi in moto con la
rivoluzione industriale, con un tuffo nostalgico nel passato, verso una società pre – industriale)
Conservatore : c’è chi (come Proudhom) pensa di cogliere il positivo, insito nel
processo di industrializzazione, ritenendo che il negativo possa essere cancellato
mediante una semplice razionalizzazione e non una trasformazione radicale
dell’ordine sociale esistente; si sogna cioè un mondo dove i proletari si trasformano
progressivamente in borghesi senza capire, come per principio, la borghesia debba
sfruttare il proletariato e come la divisione in classi possa essere abolita soltanto
attraverso una rivoluzione violenta)
Utopistico: i socialisti utopici (Blanquì, Saint Simon, Fourier) avrebbero intuito
l’ineliminabile contrasto e antagonismo di classe che caratterizza la società borghese
– industriale – capitalista, tuttavia essi, capaci di analizzare l’esistente, ma incapaci
di intravedere il futuro, non vedono come le contraddizioni del sistema, fatalmente
destinate a crescere, finiranno col porre il proletariato in una posizione vincente;
immaginando un eventuale scontro di classe come perdente per il proletariato, non lo
teorizzano e preferiscono una collaborazione di classe.
Il socialismo scientifico: può essere scientificamente previsto
Quando si instaurerà si rivelerà essere il modo più scientifico e razionale di organizzare
l’economia e con essa, l’intera società
Marx / Hegel
Materialismo e idealismo (Hegel presenta ciò che è storico come necessario, ciò che è soltanto esistente, come
razionale, fa della realtà empirica, una manifestazione necessaria dello spirito)
L’hegelismo come “positivismo acritico”
L’alienazione, in Hegel, è principalmente, un’oggettivazione dell’essenza, un’oggettivazione funzionale all’essenza
nella misura in cui essa è svolgimento, e funzionale , inoltre, ad una presa di coscienza dell’essenza medesima; in
marx, se il lavoro è essenza concreta, l’alienazione è alienazione del lavoro e un lavoro alienato, produce una
coscienza alienata
La Storia: in Hegel la storia era idealisticamente “memoria”, in Marx, la storia è storia del processo economico,
storia dei tentativi di creare forme economiche sempre più razionali (tentativi gestiti da una classe sociale), la storia
è storia dell’economia e per l’economia, in quest’ottica quindi, i protagonisti della storia non sono più gli stati
(hegel), ma quelle classi, che attrverso la lotta si contendevano il diritto di organizzare dirigere la sfera economica
Le 4 epoche storiche: comunismo primitivo, schiavitù, feudalità, capitalismo
6.
la “cornice” entro la quale la produzione dei beni materiali si organizza e si
sviluppa.
Sovrastruttura riflesso della struttura: sistema di “valori” dominanti (norme giuridiche,
arte, filosofia etc.)
Ideologia quando la sovrastruttura si presenta come “assoluta”, ignorando il rapporto che
la lega alla struttura ideologia quindi come visione falsa e deformata della realtà
Il materialismo storico: struttura
IL MANIFESTO
•
•
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Analisi della funzione storica della borghesia (la borghesia come stregone che non riesce più a controllare le
potenze infernali che ha evocato)
Storia come lotta di classe: produzione e classi sociali
Rapporto “dialettico” tra forze produttive e rapporti di produzione
Critica ai socialismo non scientifici: reazionario
Conservatore
Utopistico
Il Capitale
•
•
Lo studio dell’economia non fine a se stesso ma funzionale per una comprensione generale della società
La società capitalistica capitale – lavoro
•
•
•
Mezzi di produzione che appartengono a pochi
la storia dell’occidente europeo leggibile come progressiva separazione tra capitale e lavoro
la società pre – capitalistica: riferimento ai fisiocratici
la società capitalistica(razionalizzata) mostra una tendenza alla mercificazione in quanto si presenta come una
“produzione generalizzata di merci” (il capitalismo è “una immane raccolta di merci”)
•
•
•
•
oggetto che ha incorporato in sé la sua destinazione sociale
lo scopo di una merce non è il suo “valore d’uso (utilità che ha una merce)”, bensì quello di avere un suo “valore di
scambio” (di potere contrattuale)
il feticismo delle merci: il fatto che una merce appare come “avente valore per sé” (dimenticando che essa è frutto
di attività umana)
cos’è il Capitale: non è una semplice somma di denaro ma è ricchezza sotto forma di denaro e macchinari
impegnata attivamente nella produzione
il capitale è la logica stessa della società, mira a valorizzare se stesso
MDM DMD’
•
•
il capitale valorizza se stesso mediante l’estrazione scientifica del plus – valore
il plus valore discende dal plus lavoro ed è quindi l’insieme del valore in più offerto “gratuitamente” al capitalista
(la produzione non è più finalizzata al consumo, ma all’accumulazione di danaro)
S = PL/LN
In conclusione secondo Marx, la produzione è finalizzata al profitto e viene prodotto non ciò che ha reale utilità sociale,
ma innanzi tutto, ciò che consente maggiori margini di guadagno
•
l’intera società diviene un immenso mercato e viene asservita a quel capitale che si rivela essere il vero demiurgo
della storia e del reale
Modulo 5 : la psicoanalisi di Freud
Si precisa preliminarmente che all’interno di questi moduli si troveranno scalette concettuali, da
utilizzare esclusivamente con l’ausilio di un buon testo della storia della filosofia; si sottolinea
inoltre che per qualsiasi dubbio o problema, il docente della materia sarà a disposizione
dell’allievo previo appuntamento telefonico.
FREUD
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Il “non studio” dell’isteria (la prospettiva positivistica della medicina dell’ 800)
Il caso di Anna O. (il rapporto paziente terapeuta – transfert- e viceversa- controtransfert)
Breuer e freud: il metodo catartico (o “talking cure”) – liberazione delle tensioni emotive represse
Allontanamento di Freud da Breuer: dalla ipnosi alla psicoanalisi
Le “associazioni libere”
Il protagonismo dell’inconscio (rif. Platone) per spiegare le psicosi (lotta tra pulsioni che premono per affiorare alla
coscienza sotto forma di rappresentazioni e di emozioni, e resistenze che sbarrano loro il cammino verso la
coscienza)
L’inconscio come “linguaggio altro” (l’inconscio “parla”), altro da noi dentro di noi
Strutturazione dell’inconscio:
Preconscio (inconscio momentaneo, che può rinvenire come conscio)
Rimosso (lo “stabilmente” inconscio, creato dall’individuo per respingere nell’inconscio “stabile” le
rappresentazioni che risultano spiacevoli)
La psiche come “unità complessa” e problema contro il “coscenzialismo” filosofico
I sogni come “via regia” per conoscere (interpretare – la funzione del sospetto) l’inconscio: passaggio dal contenuto
latente al manifesto
Condensazione: tendenza ad esprimere più elementi in un solo contenuto
Spostamento: la carica emotiva viene spostata da un elemento ad un altro (“censura onirica”)
I desideri che si esprimono nei sogni sono “desideri sessuali infantili rimossi nell’inconscio”
La sessualità (libido energia di natura sessuale) infantile (il bambino come “essere polimorfo e perverso”)
Le tre fasi dello sviluppo psicosessuale:
Orale (fino ad un anno e ½ ) bocca poppare
Anale (fino a 3 anni) ano funzione escrementica
Genitale
Il complesso di Edipo (e il complesso di Elettra)
Es – Io – Super Io
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LA PSICHE
PENSIERI
A
PERCEZIONI
RICORDI E CONOSCENZE DI PRONTO USO
B
PAURE DESIDERI SESSUALI PULSIONI VIOLENTE SENTIMENTI INACCETTABILI
conscio: parte vigile della psiche, attiva durante la vita desta dell’individuo: è caratterizzata dal pensiero logico
Bpreconscio: è la parte della psiche in cui vengono provvisoriamente depositati ricordi e conoscenze. Essi, infatti, possono essere recuperati in
A
qualunque momento dalla coscienza, in caso di bisogno
C inconscio: è la parte della psiche che non è presente alla coscienza. Essa contiene pulsioni , sentimenti e idee che, se fossero coscienti,
produrrebbero angoscia e ansia. Tali contenuti non sono del tutto scomparsi, ma esercitano un influsso sui nostri comportamenti e pensieri coscienti