UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Tecniche di Laboratorio Biomedico Anno Accademico 2008/2009 Tesi di Laurea MUTAZIONI DI WT1: ANALISI DEL SIGNIFICATO BIOLOGICO E ASPETTI TECNICI Relatore Prof. Maurizio Miglino Candidata Simona Roveta INDICE INTRODUZIONE 1. LEUCEMIA MIELODE ACUTA 1.1 Patogenesi ……………………………………………………..…….. pag 1 1.2 Clinica ……………………………..……………………..…..………. pag 1 1.3 Epidemiologia ed eziologia ………………………………………….. pag 2 1.4 Laboratorio …… ………………………………………….…………. pag 2 1.5 Classificazione ……………………………..………………………… pag 3 1.6 Fattori prognostici ……..…………………………………………….. pag 6 2. Il PROFILO GENETICO NELLE LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI 2.1 Le alterazioni citogenetiche più frequenti nelle LAM........................... pag 7 2.2 Ricerca di nuovi fattori prognostici nelle LAM ……..……………….. pag 11 3. METODI DI INDAGINE DELL’ESPRESSIONE GENICA E DI ANALISI DEI POLIMORFISMI GENICI 3.1 Polimorfismi genici …………………………………………………… pag 12 3.2 Analisi dell’espressione genica ……………………………………….. pag 13 4. ALTERAZIONI DELL’ ESPRESSIONE GENICA: SIGNIFICATO PROGNOSTICO 4.1 WT1: il gene del tumore di Wilms ……………………………………. pag 14 4.2 Altri marcatori molecolari …………………..……………………….... pag 16 5. MUTAZIONI GENICHE: SIGNIFICATO PROGNOSTICO 5.1 Mutazioni dei principali geni di interesse prognostico………..……….. pag 18 5.2 Cenni sulle mutazioni di altri geni di possibile interesse clinico………. pag 19 5.3 Mutazioni di WT1………………………………………………………. pag 19 6. SCOPO DELLA TESI………………………………………………… pag 21 MATERIALI E METODI 7. ALLESTIMENTO E AMPLIFICAZIONE DEI CAMPIONI 7.1 Estrazione degli acidi nucleici................................................................ pag 22 7.2 PCR (Polymerase Chain Reaction) ………………..….………………. pag 24 7.3 Elettroforesi del DNA ……………………………………………..….. pag 29 8. SSCP: SINGLE STRAND CONFORMATIONAL POLYMORPHISM ………………….…………………………………… pag 31 9. ANALISI DI SEQUENZA 9.1 Reazione di sequenza………………………………………………….. pag 34 9.2 Elettroforesi capillare su sequenziatore automatico ….……………….. pag 34 9.3 Analisi dei dati…………………………………………………………. pag 35 RISULTATI 10. FREQUENZA E TIPOLOGIA DELLE MUTAZIONI DI WT1 10.1 Single nucleotide polymorphism (SNP) nell’hot spot dell’esone 7…. pag 37 10.2 Frameshifts dell’esone 7…………………………………………….. pag 38 10.3 Mutazioni puntiformi dell’esone 7 e 9 per sostituzione di una singola base…………………………………………………………………………. pag 38 DISCUSSIONE 11. SCREENING DELLE MUTAZIONI PUNTIFORMI MEDIANTE SSCP……………………………………………………………………….. pag 42 12. SIGNIFICATO PROGNOSTICO E BIOLOGICO DELLE MUTAZIONI DI WT1 12.1 Valore prognostico delle variazioni di sequenza di WT1…………… pag 42 12.2 Significato biologico delle mutazioni di WT1………………………. pag 43 13. CONCLUSIONI………………………………………………………. pag 44 INTRODUZIONE 1. LEUCEMIA MIELODE ACUTA 1.1 Patogenesi Le leucemie mieloidi acute (LAM) sono un gruppo eterogeneo di malattie neoplastiche del sistema emopoietico caratterizzate da una difettiva produzione di granulociti, monociti, piastrine ed eritrociti. Le LAM originano in seguito ad alterazioni dei meccanismi che regolano la proliferazione e la differenziazione delle cellule staminali emopoietiche. Le cellule staminali che hanno subito trasformazione neoplastica proliferano senza differenziarsi o vanno incontro ad una differenziazione anomala. Attualmente non sono completamente note le ragioni per cui viene soppressa l'emopoiesi normale; tale deficit può essere ricondotto ad una insufficiente produzione di stimolatori della crescita cellulare o alla liberazione di inibitori della proliferazione e differenziazione delle cellule emopoietiche normali. Le sindromi mieloproliferative acute sono quindi caratterizzate da un accumulo di cellule blastiche mieloidi incapaci, parzialmente o totalmente, di dare origine a una progenie di cellule mature (eritrociti, granulociti neutrofili, piastrine). Queste cellule immature si accumulano inizialmente nel midollo osseo, inibendo la normale ematopoiesi, e in seguito nel sangue periferico, infiltrando anche organi e tessuti come fegato, milza, polmoni e cute (1). 1.2 Clinica I sintomi e i segni clinici dell’insufficienza midollare (quadro anemico per insufficiente produzione di eritrociti, manifestazioni emorragiche conseguenti a piastrinopenia, febbre ed infezioni dovute a neutropenia) possono essere variabilmente presenti e manifestarsi con differente gravità. Ai sintomi di insufficienza midollare possono associarsi sintomi generali, secondari all’espansione della massa leucemica e alla liberazione di mediatori chimici dell’infiammazione: dolori ossei e muscolari, sudorazioni profuse, calo ponderale, astenia. La stessa febbre può costituire un sintomo generale e non essere sempre secondaria a un processo infettivo. Relativamente poco frequente è il riscontro di epatomegalia, splenomegalia, linfoadenomegalie e interessamento cutaneo (2). 1 1.3 Epidemiologia ed eziologia Le LAM insorgono ad ogni età, ma la loro frequenza aumenta considerevolmente con il passare degli anni (età mediana compresa tra 60 e 65 anni). La distribuzione e la frequenza delle LAM in diverse aree geografiche e in diverse popolazioni cambia sostanzialmente, sia per fattori genetici che per fattori ambientali (ad esempio esposizione professionale ad agenti potenzialmente leucemogeni come derivati del petrolio, pesticidi oppure esposizione iatrogena per trattamento con farmaci citotossici). È importante ricordare che le LAM si distinguono sul piano biologico, clinico, prognostico in tre grandi categorie. Le LAM primarie compaiono acutamente in soggetti in cui non è dimostrabile un’esposizione significativa ad agenti leucemogeni. Nelle LAM secondarie è nota l’esposizione ad agenti leucemogeni; queste leucemie insorgono in particolare nei soggetti precedentemente trattati con chemioterapia e/o radiazioni per altra neoplasia. Vi sono, infine, le LAM secondarie a una precedente sindrome mielodisplastica, della quale costituiscono l’evoluzione (2). 1.4 Laboratorio La diagnosi di LAM si esegue esaminando il sangue periferico e il midollo osseo. Il livello emoglobinico è ridotto in misura variabile, l’anemia è di solito di tipo normocitico e normocromico, secondaria a ridotta eritroblastogenesi. Il numero delle piastrine può essere considerevolmente ridotto, anche se non in tutti i casi. È importante identificare tramite la formula leucocitaria il tipo di leucociti circolanti: nelle LAM, infatti, parte di questi sono blasti mieloidi, talora rari (meno del 10%), ma spesso predominanti (oltre il 50%). L’esame del midollo osseo viene eseguito su materiale ottenuto tramite ago aspirato (completato con biopsia ossea quando l’aspirato è povero di cellule): la cellularità midollare è quasi sempre aumentata con scomparsa del tessuto adiposo, il parenchima emopoietico è infiltrato in misura variabile, sino alla pressoché completa sostituzione da parte di cellule blastiche. La base per la diagnosi di una LAM è costituita dal riconoscimento che i blasti leucemici hanno caratteristiche fenotipiche di tipo mieloide: tale riconoscimento avviene da prima su base morfologica (presenza di granulazioni citoplasmatiche) e può essere perfezionato utilizzando alcune reazioni citochimiche (mieloperossidasi -MPO-, 2 Sudan nero, cloro-acetato esterasi -CAE-, esterasi non specifica -NSE-, fosfatasi acida -FA-, acido periodico di Schiff -PAS-) e identificando, tramite anticorpi monoclonali, alcune strutture antigeniche di membrana caratteristiche (determinanti antigenici mieloidi come CD13, CD33, HLA-DR, CD34, CD11, CD14, CD15). In alcuni casi coesistono blasti con fenotipi mieloidi e linfoidi e la leucemia di definisce ibrida. L’eterogeneità clinico-biologica delle LAM si riflette dunque sia sulla diversità dei marcatori fenotipici sia sui parametri fisici delle cellule leucemiche. La caratterizzazione immunofenotipica delle LAM mediante citofluorimetria a flusso multiparametrica consente di evidenziare simultaneamente diversi antigeni associati a un particolare citotipo leucemico, risulta pertanto di grande utilità sia nella fase diagnostica che nel monitoraggio della terapia e nella valutazione della malattia minima residua al termine del programma terapeutico (2). 1.5 Classificazione Il sistema classificativo storico delle LAM è fondato sulla morfologia delle cellule blastiche ed è noto come sistema FAB (Franco-Americano-Britannico) (3). Questa classificazione identifica differenti sottotipi di LAM in base alla linea differenziativa della popolazione leucemica ed alla completa o parziale soppressione della capacità maturativa del clone neoplastico (Tabella 1). Le indagini citogenetiche hanno acquisito negli anni crescente importanza nella caratterizzazione e nella prognosi delle LAM facendo emergere una serie di associazioni tra quadri citomorfologici ed aspetti citogenetici (alterazioni cromosomiche numeriche e/o strutturali, presenti come anomalie singole o in associazione). Per molte anomalie cromosomiche, mediante la tecnica della PCR, è stata possibile l’amplificazione di sequenze di DNA tumore-specifiche (o mRNA mediante retrotrascrizione a c-DNA) per caratterizzare anomalie citogenetiche ricorrenti nelle LAM. L’ utilizzo sempre più ampio e raffinato delle metodiche citofluorimetriche ha consentito una caratterizzazione sempre più precisa dei vari sottotipi di LAM, ha individuato numerosissimi fenotipi aberranti utili per il monitoraggio quantitativo del clone leucemico ed evidenziato nuovi sottotipi (leucemie indifferenziate, leucemie bifenotipiche, leucemie bilineari). Ben presto è risultato evidente che l’ eterogeneità morfologica, immunofenotipica e clinica era in relazione 3 con la presenza di una vasta gamma di aberrazioni citogenetiche e/o di mutazioni geniche o da alterazioni della funzione o dell’ espressione di numerosi geni. Il ruolo centrale delle alterazioni genetiche è stato riconosciuto dalla World Health Organization (WHO) che ha pubblicato nel 1999 una nuova classificazione delle LAM, basata su caratteristiche cliniche, citomorfologiche, immunofenotipiche, cariotipiche e molecolari in cui sono elencate diverse entità clinico-ematologiche associate a precise alterazioni citogenetiche (Tabella 2) (4-5). Tabella 1: Classificazione FAB delle leucemie acute mieloidi (LAM) Linea differenziativa delle cellule leucemiche Morfologia Citochimica M0 MIELOBLASTICA indifferenziata Blasti di varie dimensioni privi di granuli citoplasmatici e corpi di Auer. MPO negativa Sudan nero negativa M1 MIELOBLASTICA senza maturazione Blasti (tipo I e II) > 90% Perossidasi o Sudan B (> 3% blasti positivi) CD13, CD33, MP07, (CD14) M2 MIELOBLASTICA Con maturazione Blasti (tipo I e II) < 90% PMC, MC, MMc e PMN > 10% Cellule monocitarie < 20% Perossidasi o Sudan B (> 20% blasti positivi) CD13, CD33, MP07 M3 PROMIELOCITICA TIPICA Blasti ipergranulati tipo PMC, con numerosi bastocelli di Auer MICROGRANULARE Blasti con nuclei fogliacei bi- o multilobati con fini granuli. Rari blasti ipergranulati Perossidasi o Sudan B CD13, CD33, MP07 M4 MIELOMONOBLASTICA Blasti (tipo I e II) e altre cellule granulocitarie più mature < 80% Perossidasi o Sudan B Nasde NaF parzialmente resistenti, Anae CD13, CD33, CD14 M5 MONOBLASTICA M5a-senza maturazione Monoblasti > 80% Nasde NaF-sensibili Anae CD14, CD13, CD33 M5b-con maturazione Monoblasti, promonociti monociti > 80% Nasde NaF-sensibili Anae CD13, CD33, CD14 M6 ERITROBLASTICA Eritroblasti > 50% e blasti (tipo I e II) > 30% delle cellule non eritroidi Pas (eritroblasti) Perossidasi o Sudan B CD42 M7 MEGACARIOBLASTICA Blasti (tipo I e tipo linfoide) > 30%, marcata mielofibrosi Perossidasi piastrinica CD41 e Immunofenotipo di membrana CD13, CD33 CD13, CD33, MP07 I blasti tipo I e tipo II sono caratterizzati drispettivamente da assenza e presenza di granulazioni citoplasmatiche. Per la citochimica e per l’immunofenotipo di membrana sono elencati solo gli elementi più comuni e più utili per la diagnosi. 4 Tabella 2: Classificazione WHO delle leucemie acute mieloidi (LAM) ______________________________________________________________________ LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI CON ANORMALITA’ GENETICHE RICORRENTI o Leucemia acuta mieloide con t(8;21)(q22;q22), (AML1/ETO) o Leucemia acuta mieloide con eosinofilia midollare e inv(16)(p13q22) o t(16;16)(p13q22), (CBF/MYH11) o Leucemia acuta promielocitica con t(15;17)(q22;q12), (PML/RAR) e varianti o Leucemia acuta mieloide con anomalie della banda 11q23 (MLL) ______________________________________________________________________ LEUCEMIA MIELOIDE ACUTA CON DISPLASIA MULTILINEARE o Successiva a mielodisplasia (MDS) o mielodisplasia/ sindrome mieloproliferativa (MDS/MPD) o Senza MDS o MDS/MPD antecedenti ma con displasia in almeno il 50% delle cellule o in 2 o più linee mieloidi ______________________________________________________________________ LEUCEMIA ACUTA MIELOIDE E SINDROMI MIELODISPLASTICHE IN SEGUITO A TERAPIA con: o Agenti alchilanti; radiazioni ionizzanti o Inibitori della topoisomerasi III o Altri ______________________________________________________________________ LEUCEMIE MIELOIDI ACUTE CHE NON APPARTENGONO AI CASI PRECEDENTI o LAM minimamente differenziata o LAM senza maturazione o LAM con maturazione o Leucemia acuta mielomonocitica o Leucemia acuta monoblastica/monocitica acuta o Leucemia acuta eritroide (eritroide/mieloide o eritroleucemia pura) o Leucemia acuta megacarioblastica o Leucemia acuta basofila o Panmielosi acuta con mielofibrosi o Sarcoma mieloide _____________________________________________________________________ 5 1.6 Fattori prognostici Il più importante fattore correlato al miglioramento della sopravvivenza è il raggiungimento della remissione completa (RC). I principali fattori che ne influenzano il raggiungimento sono l’età, la conta leucocitaria all’esordio, la risposta iniziale alla terapia, l’immunofenotipo e le alterazioni citogenetiche. L’ età alla diagnosi rimane tra i più importanti fattori di rischio pretrattamento; l’età avanzata (superiore ai 60 anni) è associata a prognosi peggiore principalmente per la difficoltà a sopravvivere alla terapia di induzione e per la maggiore resistenza ai citostatici (le cellule leucemiche esprimono più frequentemente il gene di resistenza plurifarmacologica MDR1 - Multi Drug Resistence 1). E’ stata segnalata una relazione inversa tra la durata della RC e la conta leucocitaria all’ esordio o il numero assoluto dei blasti circolanti. La rapidità di scomparsa dei blasti dopo l’ inizio della terapia sembra essere un fattore prognosticamente rilevante nel predire il rischio di ricaduta. Sebbene la classificazione FAB non sia solitamente considerata di per sé un fattore prognostico indipendente, certe caratteristiche del basto come la presenza dei corpi di Auer e l’immunofenotipo hanno dimostrato di possedere un significato prognostico. In particolare la co-espressione di antigeni caratteristici di morfologia immatura si associa ad un esito sfavorevole della malattia. Per quanto riguarda le alterazioni citogenetiche, esse influenzano la funzione delle molecole di segnale, dei fattori di trascrizione e dei recettori dei fattori di crescita e influenzano la risposta al trattamento. Inoltre le molteplici alterazioni genomiche che spesso coesistono in una singola cellula leucemica riflettono gli eventi trasformanti che si accumulano nel clone durante lo sviluppo della leucemia (6). L’ identificazione di sottotipi genetici ha migliorato considerevolmente la stratificazione prognostica, precedentemente basata unicamente su elementi morfologici e clinico-ematologici e, in alcuni casi, ha consentito l’ individuazione di terapie adattate sul difetto molecolare, come nel caso della leucemia acuta promielocitica (LAP). Il ruolo delle anomalie genetiche appare pertanto fondamentale non soltanto nella prognosi ma anche nella patogenesi, nella diagnosi e nella terapia delle LAM. 6 2. Il PROFILO GENETICO NELLE LEUCEMIE ACUTE MIELOIDI 2.1 Le alterazioni citogenetiche più frequenti nelle LAM Nella già menzionata nuova classificazione WHO (4-5) il primo gruppo comprende le forme di LAM con ricorrenti anomalie genetiche e cioè: la LAM con t(8;21)(q22;q22) in cui si verifica la formazione del gene ibrido AML1/ETO; la LAM con eosinofilia midollare e inv(16) o t(16;16)(p13;q22) e formazione del gene ibrido CBFβ/MYH11; la leucemia acuta promielocitica con t(15;17)(q22;q11-21) e varianti; la LAM con anomalie 11q23 ( gene myeloid-lymphoid o mixed-lineage leukemia - MLL), ad esempio t(9;11)(p22;q23) e t(6;11)(q27;q23). Esistono, come è ben noto, numerosissime altre alterazioni citogenetiche, classificabili come bilanciate (traslocazioni, inversioni) e non bilanciate (delezioni parziali, monosomie, trisomie …). Le principali sono riportate nella Tabella 3. Per quanto concerne il loro contributo alla leucemogenesi le mutazioni geniche possono essere suddivise nei seguenti gruppi: mutazioni che interferiscono con la trascrizione, mutazioni di attivazione e mutazioni che interferiscono con il ciclo cellulare. Le mutazioni che interferiscono con la trascrizione modificano la funzione di fattori di trascrizione o interferiscono indirettamente con la trascrizione determinando alterazioni nel processo di differenziazione e/o l’ acquisizione di aberranti proprietà di self-renewal dei progenitori emopoietici (7). Appartengono a questa classe i geni di fusione derivanti dalle mutazioni t(8;21), inv(16)/t(16;16), t(15;17) e le mutazioni nei geni CCAAT/enhancer binding protein alpha (CEBPA) , MLL e runt-related transcription factor 1 (RUNX1). Le mutazioni di attivazione attivano vie di trasduzione del segnale, determinando un aumento della proliferazione o della sopravvivenza dei precursori leucemici. Appartengono a questa classe le mutazioni di fms-related tyrosine kinase 3 (FLT3), di neuroblastoma RAS viral oncogene homolog (NRAS) e di JAK2. Le mutazioni che interferiscono con il ciclo cellulare e l’ apoptosi sono rappresentate principalmente dalle mutazioni di nucleophosmin 1 (NPM1) e da delezioni di TP53. Le mutazioni somatiche più frequentemente rilevate in pazienti affetti da LAM con cariotipo normale interessano i seguenti geni: NPM1, FLT3,CEBPA, MLL, NRAS, WT1, 7 RUNX1. Da segnalare però che queste mutazioni possono essere presenti anche in pazienti con cariotipo anomalo (8-9). Numerosi studi retrospettivi e prospettici hanno dimostrato che il cariotipo rappresenta uno dei più importanti fattori prognostici per risposta all’induzione, rischio di ricaduta e sopravvivenza (10-15). I cariotipi pre-trattamento sono raggruppati attualmente in tre gruppi prognostici di rischio (favorevole, intermedio e sfavorevole) e sono riportati nella Tabella 4. I sistemi proposti dai vari gruppi di studio presentano molti aspetti comuni ma anche alcune differenze importanti. Il gruppo a prognosi favorevole include i pazienti che alla diagnosi presentano t(8;21)(q22;q22), inv(16)(p13;q22), t(15;17); essi sono circa il 20% e hanno più spesso un’età inferiore a 60 anni, l’85% di possibilità di ottenere una remissione completa (RC ) ed il 30-40% di andare incontro ad una ricaduta. Il gruppo definito a prognosi intermedia comprende circa il 45% dei soggetti affetti da LAM, con outcome molto diversificato. Solo il 25% dei pazienti si può definire come “lungo-sopravvivente”. Infine il terzo gruppo è costituito da coloro che hanno un cariotipo complesso (con tre o più anomalie), delezione del cromosoma 5 o 7, tipiche delle LAM secondarie all’esposizione a farmaci o sostanze, oppure anomalie dell’11q, t(9;11), t(6;9).Questi pazienti rispondono in modo deludente a qualsiasi tipo di terapia e hanno una probabilità di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 5%. Numerose anomalie citogenetiche incluse nel gruppo a cattiva prognosi [ad esempio -5, -7, del(5q), abn3q, del(7q), abn11q23 etc] sono spesso osservate assieme ad altre anomalie. Si configura così quello che è definito un cariotipo complesso, nella cui definizione conta solo il numero (spesso ≥ 3) e non il tipo di alterazioni cariotipiche. Un recente lavoro in pazienti fino a 60 anni ha dimostrato che le monosomie autosomiche (dei cromosomi 5, 7 o di altri cromosomi) conferiscono la prognosi peggiore (15). Al contrario trisomie, tetrasomie, anelli o altre aberrazioni strutturali hanno minor significato prognostico. L’impatto negativo di due o più monosomie autosomiche o di una monosomia associata ad un’ altra anomalia è molto forte e superiore a quello precedentemente indicato dal cosiddetto cariotipo complesso. I pazienti con cariotipo complesso (anomalie maggiori o uguali a 3 o a 5) che non soddisfano i criteri del cariotipo monosomico presentano infatti una prognosi migliore. 8 Tabella 3 : le più frequenti alterazioni citogenetiche nella LAM Anomalia citogenetica Alterazione genetica FAB Incidenza t(8;21)(q22;q22) RUNX1/CBFA2T1 M2 6% inv(16)(p13q22) o t(16;16)(p13;q22) CBFβ/MYH11 M4 eos 7% t(15;17)(q22;q11-21) PML/RARα M3 7% t(9;11)(p22;q23) MLL/AF9 M5 2% t(6;11)(q27;q23) MLL/AF6 M4 ed M5 1% inv(3)(q21q26) o t(3;3)(q21;q26) EVI1/RPN1 M1,M4,M6,M7 1% t(6;9)(p23;q34) DEK/CAN M2, M4 1% +8 ? M2, M4, M5 9% -7/7q- ? - 7% -5/5q- ? - 7% -17/17p- TP53 - 5% -20/20q- ? - 3% 9q- ? - 3% +22 ? M4, M4 eo 3% +21 ? - 2% +13 ? M0-M1 2% +11 MLL M1,M2 2% Cariotipo complesso - - 10% - 44% Traslocazioni / inversioni Aneuploidie / delezioni Cariotipo normale 9 Tabella 4: gruppi di rischio in rapporto alle alterazioni citogenetiche (ECOG-SWOG) Gruppo di rischio Alterazioni citogenetiche Favorevole t(8;21)(q22;q22) inv(16)(p13q22) t(16;16)(p13;q22) t(15;17)(q22;q11-21) Intermedio cariotipo normale; -Y; +8; +11; +13; +21; del(20q) Sfavorevole cariotipo complesso; inv(3)(q21q26), t(3;3)(q21;q26) -7, t(6;9)(p23;q34), t(6;11)(q27;q23), t(11;19)(q23;213.1) -5; del(5q); del(9q); t(9;11)(p22;q23); del(11q) In grassetto le alterazioni citogenetiche con significato prognostico largamente condiviso dai vari gruppi di studio. 10 2.2 Ricerca di nuovi fattori prognostici nelle LAM In circa il 40% delle LAM sono presenti specifiche alterazioni cromosomiche e molecolari caratterizzate solitamente dalla formazione di geni ibridi di fusione il cui trascritto può essere opportunamente amplificato ed utilizzato come marcatore di malattia alla diagnosi e durante il follow-up. Le proteine di fusione che ne derivano sono ritenute svolgere un ruolo chiave nel meccanismo di leucemogenesi e rappresentano quindi un bersaglio ideale di eventuali terapie volte a eradicare il clone leucemico. Nella LAP, ad esempio, la traslocazione t(15;17) ed il riarrangiamento genico PML/RARα che ne deriva sono presenti nella quasi totalità dei casi. Numerosi studi di malattia minima residua (MRD) in corso di LAP mediante PCR qualitativa del trascritto ibrido PML/RARα ne hanno dimostrato il valore predittivo al termine dei cicli di consolidamento. Tuttavia, più del 50% delle LAM mancano di anomalie genetiche o marcatori clonali noti e quindi adatti per il monitoraggio della MRD. Sono stati pertanto intrapresi numerosi studi nel tentativo di identificare anomalie citogenetiche e molecolari associate con la trasformazione leucemica (16-17). Negli ultimi anni le indagini molecolari si sono concentrate proprio sulle LAM a cariotipo normale (CN), producendo una mole considerevole di dati non sempre concordi. Nella fase attuale la disponibilità di tecniche di biologia molecolare capaci di studiare (per mutazione o espressione) svariati geni ha ingenerato nell’ ematologo clinico una certa incertezza. Il significato prognostico dei vari profili genetici è in qualche caso ancora incerto, come il rapporto con particolari alterazioni citogenetiche e opzioni terapeutiche (ad esempio il trapianto di cellule staminali allogeniche). 11 3. METODI DI INDAGINE DELL’ESPRESSIONE GENICA E DI ANALISI DEI POLIMORFISMI GENICI 3.1 Polimorfismi genici È ben noto come l’espressione genica, ed in parte la sua funzione, possa essere alterata da mutazioni, delezioni, inserzioni, duplicazioni anche di una singola base. Svariati sono i metodi per analizzare tali polimorfismi. La comparative genomic hybridization (CGH) permette di evidenziare polimorfismi anche a carico di un singolo nucleotide (18). Accanto a questa esistono altre metodiche basate sull’amplificazione mediante PCR del segmento di DNA o RNA specifico e su particolari elettroforesi in grado di evidenziare l’alterata corsa del segmento mutato. La corsa sul gel di elettroforesi, in determinate condizioni, dipende non solo dal peso molecolare, ma anche e soprattutto dalla sequenza nucleotidica del segmento in questione: come nell’SSCP (19-22), un elettroforesi ad amperaggio o voltaggio e temperatura costante su un gradiente di acrilamide; nel DGGE, tecnica elettroforetica per la separazione di frammenti di DNA in base alle loro differenti proprietà di dissociazione o“melting” (23-24); nel TGGE, tecnica in cui viene formato un gradiente di temperatura per la separazione in una seconda dimensione e in cui la separazione avviene in base a differenze di conformazione (25). Molto usata è la DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) una tecnica che, in condizioni parzialmente denaturanti e sotto un diretto controllo della temperatura, permette di discriminare all’interno di prodotti eterogenei di PCR molecole di DNA eteroduplex rispetto alle molecole omoduplex. La metodica si basa sulla differente velocità di eluizione in una colonna cromatografica degli eteroduplex e degli omoduplex. per la rilevazione di mutazioni del DNA. I duplex si formano quando frammenti amplificati di DNA vengono denaturati termicamente e lasciati ricombinare. Una qualsiasi variazione (mutazione o polimorfismo) tra le due forme alleliche di un frammento porta alla formazione di un eteroduplex (combinazione di due catene di DNA a singola catena, non perfettamente corrispondenti, caratterizzata dalla presenza di una “bolla” a livello della quale si trova il mismatch). L’eteroduplex si comporta 12 cromatograficamente in modo differente sia dall’omoduplex non mutato che dall’omoduplex mutato: l’eteroduplex è solitamente più veloce (meno trattenuto) degli omoduplex e da ciò si può caratterizzare la presenza di una variazione nucleotidica in un campione. La presenza di una mutazione o di un polimorfismo si evidenzia quindi, mediante picchi ulteriori o con un profilo diverso rispetto al “wild type” (26). Tutti questi metodi sono in grado di identificare la presenza di sequenze mutate. Il passo successivo d’obbligo è il sequenziamento diretto della sequenza mutata, al fine di identificarne la natura. Molto scarsi sono i dati in letteratura sul significato e sulla valenza prognostica delle differenti mutazioni dei vari geni marker. Allo stesso tempo molto importante è identificare alterazioni di sequenza non random e correlarle clinicamente e biologicamente. 3.2 Analisi dell’ espressione genica A tal fine viene comunemente utilizzata la Real-Time PCR su cDNA ottenuto per trascrizione inversa dall’RNA totale del paziente. La Real Time PCR è una PCR in cinetica in cui l’amplificazione ed il rilevamento dell’amplificato avvengono nello stesso momento. Questo è possibile grazie all’introduzione all’interno della reazione di una molecola fluorescente, che ci dà la possibilità di seguire la reazione da un punto di vista visivo, grazie all’ausilio di appositi software. Sono generalmente utilizzate sonde Taqman (Taqman probes), oligonucleotidi lineari di 25-28 pb marcate al 5’ con il Reporter ed al 3’ con il Quencer. Il Quencer estingue la fluorescenza del reporter solo quando la sonda è integra; quando la sonda viene tagliata, il Quencer ed il Reporter si liberano in soluzione e si manifesta la fluorescenza. (27-30). 13 4. ALTERAZIONI DELL’ ESPRESSIONE GENICA: SIGNIFICATO PROGNOSTICO 4.1 WT1: il gene del tumore di Wilms Il gene del tumore di Wilms (WT1), isolato per la prima volta nell’omonima neoplasia renale pediatrica, è formato da dieci esoni localizzati sul cromosoma 11p13 e codifica per un fattore di trascrizione con un dominio regolatore al N-terminale (esoni 1-6) e un dominio al C-terminale tipo 4-Cys2-His2 zinc-finger (esoni 7-10) coinvolto nella proliferazione, differenziazione ed apoptosi cellulare (31). WT1 è espresso durante il periodo dell’organogenesi in cui svolge un ruolo cruciale: topi knock-out per il gene WT1 muoiono a livello embrionale e presentano alterazioni a livello dell’apparato urogenitale. Il gene è infatti espresso precocemente nelle cellule durante lo sviluppo dell’apparato genitourinario ed ematopoietico. Con il differenziarsi di entrambi i sistemi WT1 viene silenziato. Inizialmente a questo gene è stato attribuito un ruolo onco-soppressore, tuttavia, al contrario di altri oncosoppressori come Rb e p53 che sono espressi in tutti i tessuti, l’espressione del gene WT1, oltre ad avere valori molto bassi, è limitata solo alle cellule delle gonadi, dell’utero, dei reni, della milza, dei mesoteli e dei progenitori ematopoietici. Il ruolo di WT1 nelle neoplasie renali appare ormai abbastanza chiaro, mentre il significato preciso della sua espressione nella ematopoiesi (normale e maligna) resta ancora controverso. WT1 risulta particolarmente espresso nei precursori CD 34+ del sistema ematopoietico mentre va incontro ad un rapido processo di down-regulation nel corso del processo di differenziamento cellulare ed è assente nei leucociti maturi. Il ruolo di WT1 nella leucemogenesi è ancora molto dibattuto. Il gene WT1 è iperespresso non solo nella LAM, ma anche nella leucemia linfoblastica acuta, nella leucemia mieloide cronica, nelle sindromi mielodisplastiche, nei disordini mieloproliferativi Ph negativi e in alcuni linfomi non-Hodgkin suggerendo che questo gene oncosoppressore possa avere paradossalmente un’attività oncogenica nelle cellule ematopoietiche. Alcuni lavori hanno dimostrato che linee cellulari transfettate in modo permanente con WT1 mostrano difetti nella risposta ad agenti differenzianti e questo fenomeno potrebbe contribuire alla genesi della leucemia. Alcuni modelli sperimentali 14 riportano una tendenza all’aumentata proliferazione cellulare, altri un arresto di crescita. Questa diversità funzionale può essere spiegata con differenti isoforme prodotte nei diversi apparati. (31-34). Al momento esistono sostanzialmente due ipotesi contrastanti sul ruolo di WT1 nelle leucemie: secondo una teoria WT1 agisce come un oncogene e rappresenta la tappa finale di diverse vie di “trasformazione” attivate all’interno della cellula; una seconda teoria parte dall’assunto che WT1 agisca come oncosoppressore. La sua overespressione, pertanto, costituirebbe semplicemente un epifenomeno in risposta ai segnali trasformanti attivati all’intero della cellula. Questa dualità funzionale al momento non è ben interpretata, ma è opinione diffusa che il ruolo di WT1 possa variare da cellula a cellula anche solo per il grado di differenziazione di queste (35-41). Aldilà del suo significato biologico nella leucemogenesi, dopo l’introduzione delle tecniche di RT-PCR , WT1 è diventato un utile marker molecolare . I livelli di WT1 e la loro variazione in corso di terapia possono infatti essere utilizzati come indici di malattia residua minima e sembrano assumere un significato prognostico in alcune neoplasie ematologiche ( 42). Il ruolo prognostico dei livelli di espressione di WT1 alla diagnosi nelle LAM non è in realtà ancora ben definito. Le prime segnalazioni in letteratura sembravano dimostrarne una correlazione fra elevata espressione e prognosi negativa, come già dimostrato nelle sindromi mielodisplastiche (42-44). Più recentemente tale ruolo negativo non è stato confermato ed in un recente studio del gruppo spagnolo l’espressione di WT1 alla diagnosi non riveste alcun ruolo prognostico (45). Esistono infine segnalazioni in cui si dimostra un associazione fra elevata espressione di WT1 e cariotipo favorevole (46). Nelle core binding factor LAM inoltre elevati valori di WT1 sono stati associati ad una maggiore probabilità di raggiungere la remissione completa (47). Come si vede non vi è ancora chiarezza, e questo in parte è legato a motivi statistici. Parliamo di valori elevati, ma non è chiaro se si debba porre un valore cut-off che identifichi due distinti gruppi prognostici o se si debba considerare WT1 come variabile continua o ancora se i vari laboratori debbano condurre una analisi suddividendo in percentili i vari valori. Un parziale chiarimento potrà essere raggiunto nel momento in cui l’analisi verrà standardizzata, e saranno definiti i valori normali di espressione e le fasce di rischio. Al momento ciascun laboratorio deve costruirsi la propria curva di normalità analizzando l’espressione in 15 soggetti normali, utilizzando reagenti e macchinari non codificati. Per questi motivi i risultati presentati dai vari gruppi al momento possono essere confrontati con qualche difficoltà. 4.2 Altri marcatori molecolari Oltre a WT1 vi sono anche altri geni la cui espressione viene utilizzata come elemento d’indagine nelle LAM. Ad esempio il gene ERG risulta overespresso in LAM a cariotipo complesso, con alterazioni a carico del cromosoma 21 anche criptiche, ma anche in LAM a cariotipo normale (48-49). L’overespressione di ERG è stata descritta anche in leucemie linfoblastiche acute soprattutto a fenotipo T. Alcuni studi dimostrano come la overespressione di ERG alla diagnosi di LAM sia associata a prognosi sfavorevole, inoltre elevati livelli di espressione di ERG si associano spesso ad elevata espressione del gene brain and acute leukemia, cytoplasmic (BAALC), configurando un sottotipo di LAM a prognosi particolarmente sfavorevole (50-53). Il gene BAALC risulta overespresso nelle cellule CD34+. Tale espressione viene down regolata negli stadi maturativi successivi: di qui l’ipotesi che BAALC rappresenti un marcatore molecolare specifico dei progenitori emopoietici più immaturi. Essendo BAALC marcatore molecolare specifico di cellule emopoietiche alquanto indifferenziate, la sua overespressione si associa a LAM a fenotipo immaturo (54-55). Una elevata espressione di BAALC alla diagnosi nelle LAM ha valenza prognostica negativa in termini di inferiore percentuale di RC e ridotta sopravvivenza. (56-57). Elevate espressioni di tale gene si rinvengono in pazienti che già presentano fattori prognostici negativi (cariotipo sfavorevole FLT3-ITD, NPM1 wild-type o elevata espressione di ERG), pertanto, BAALC potrebbe rappresentare un indicatore generale della presenza di alterazioni sfavorevoli. Contraddittori sono, infatti, i risultati che si ottengono quando si analizza il valore prognostico di BAALC in coorti di pazienti che, per altri marcatori, vengono considerati a basso rischio. Esperienze condotte su pazienti a cariotipo favorevole (NPM1 mutati, FLT3-ITD negativi) non dimostrano alcun valore prognostico per i livelli di espressione di BAALC. D’altro canto quando si analizzano i profili genici di LAM ad alto rischio, il gene BAALC risulta sempre overespresso. 16 BAALC non sarebbe, quindi, un fattore prognostico autonomo, ma un mero indicatore di particolare instabilità genica della cellula staminale leucemica. Recentemente è stato descritta overespressione del gene meningioma 1 (MN1) in LAM che presentavano inv(16). In un’altra segnalazione MN1 risultava coinvolto nella formazione del gene chimerico derivante dalla t(12;22). In generale, sebbene non sia ancora nota la precisa funzione di MN1 nei processi di oncogenesi, pare dimostrato il fatto che alti livelli di MN1 alla diagnosi connotino un gruppo di LAM a cattiva prognosi e siano associati a bassa incidenza di NPM1 mutato e alta incidenza di elevati valori di espressione di BAALC. A tal riguardo, considerata la stretta corrispondenza fra elevata espressione di MN1 e di BAALC, si può ipotizzare una cooperazione fra questi due geni nei processi di leucemogenesi. (58-62). 17 5. MUTAZIONI GENICHE: SIGNIFICATO PROGNOSTICO Vi sono svariati geni le cui mutazioni rivestono un interesse prognostico nelle LAM. Da un punto di vista clinico lo studio di queste mutazioni è importante anche per l’individuazione di nuovi bersagli per lo sviluppo di terapie mirate. 5.1 Mutazioni dei principali geni di interesse prognostico Il gene NPM1 risulta frequentemente traslocato o mutato in malattie oncoematologiche. I meccanismi leucemogenetici delle mutazioni NPM1 (NPM1mut) non sono pienamente compresi in quanto la proteina NPM1 è coinvolta in molti processi cellulari, come il trasporto di sostanze tra nucleo e citoplasma, la regolazione di geni oncosoppressori, il controllo della duplicazione del centrosoma durante il ciclo cellulare e l’attivazione dell’apoptosi. Le mutazioni del gene della NPM1 sono state trovate in circa il 35% dei pazienti adulti affetti da LAM e nel 60% di coloro che presentano alla diagnosi un cariotipo normale (63-64). L’espressione di NPM1 mutata alla diagnosi è stata associata in molti studi ad una prognosi favorevole in termini di maggiore percentuale di remissione completa (RC) dopo terapia di induzione, più lunga sopravvivenza libera da eventi avversi (EFS) e sopravvivenza totale (OS) (65-69). Circa il 40% dei pazienti con mutazioni di NPM1 è portatore anche di mutazioni a carico di FLT3 (70-72). Il gene FLT3 viene espresso precocemente dai progenitori emopoietici e gioca un ruolo importante nella proliferazione delle cellule staminali emopoietiche, nella loro differenziazione e sopravvivenza. Mutazioni che inducono un’attivazione costitutiva di FLT3 sono presenti in circa il 30% dei pazienti con LAM-CN, spesso si tratta di internal tandem duplication (ITD), più raramente di mutazioni puntiformi. Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti con FLT3-ITD (FLT3-ITDpos) hanno una prognosi peggiore in termini di RC, EFS e OS rispetto ai soggetti che non presentano questa mutazione (FLT3-ITDneg) (73-74). Questo tipo di mutazione ha un ruolo prognostico dominante rispetto ad altri marcatori molecolari: ad esempio la già citata mutazione di NPM1 è un fattore prognostico positivo, ma solo nei pazienti FLT3ITDneg (75-77). Il gruppo di pazienti con genotipo NPM1mut/FLT3-ITDneg e cariotipo 18 normale è quello collegato alla migliore prognosi assoluta, e sembra non beneficiare del trapianto (71). Le mutazioni del gene CCAAT/enhancer binding protein alpha (CEBPA), riscontrabili nel 5-14% delle LAM, si osservano più frequentemente nei pazienti con CN e sono state associate con EFS o OS buone (78-80) L’impatto favorevole sulla prognosi delle mutazioni di CEBPA è osservato solamente in assenza di cariotipo complesso e di FLT3-ITD (81). Il gene MLL può essere coinvolto in riarrangiamenti sia intercromosomici che intragenici, in questo caso si hanno mutazioni definite partial tandem duplications (PTD). Alcuni studi condotti su pazienti LAM-CN con MLL-PTD evidenziano una minore durata della RC rispetto ai pazienti senza MLL-PTD mentre l’OS non differisce significativamente (82-83). 5.2 Cenni sulle mutazioni di altri geni di possibile interesse clinico Vi sono geni di cui sono state descritte le rispettive mutazioni in una percentuale significativa di LAM ma che attualmente hanno ancora un significato prognostico dubbio, controverso o sconosciuto. Mutazioni in NRAS, che determinano un’attivazione costitutiva della proteina RAS, si osservano nel 9-14% dei giovani adulti con LAM-CN (70, 84-85). Nessun studio ha sinora dimostrato una rilevanza prognostica per queste mutazioni (70, 85) che, tuttavia, potrebbero essere importanti come bersaglio di terapia orientata da un punto di vista molecolare. RUNX1 codifica per un fattore trascrizionale che è coinvolto nella differenziazione emopoietica normale. Mutazioni di RUNX1 sono state recentemente osservate nel 10% dei pazienti con LAM-CN (86) ma il loro significato prognostico è ancora sconosciuto. 5.3 Mutazioni di WT1 Le mutazioni di WT1 (WT1mut) consistono in sostituzioni o delezioni dell’esone 7 o dell’esone 9 che annullano le sue funzioni promuovendo la proliferazione e il blocco della differenziazione delle cellule staminali. Mutazioni di WT1 si ritrovano in circa il 12 % dei pazienti affetti da LAM, più spesso di giovane età, con elevata blastosi 19 periferica ed elevati livelli serici di LDH (87). Esse rappresentano in questo gruppo di pazienti una delle forme più comuni di mutazione dopo quelle relative a NPM1 e le internal tandem duplication (ITDs) del gene fms-like tyrosine kinase 3 (FLT3) (16). Sebbene le mutazioni di WT1 nelle LAM siano state segnalate più di dieci anni fa, il loro ruolo nel determinarne la prognosi è ancora controverso. Summers et al. nel 2007 dimostrarono in 70 pazienti con LAM-CN che queste mutazioni erano associate al fallimento della terapia di induzione (88). In modo simile Virappane et al, analizzando 470 pazienti affetti da LAM (89), affermarono che le mutazioni di WT1 sono un indicatore prognostico negativo: i pazienti che esprimono WT1mut hanno una ridotta percentuale di RC rispetto a quelli che hanno WT1 normale (79% vs 90%), di sopravvivenza libera da eventi avversi (22% vs 44%) e di sopravvivenza a 5 anni (26% vs 47%). L’impatto negativo delle mutazioni di WT1 è risultato indipendente sia da FLT3-ITDs che dalla presenza di mutazioni di NPM1. Nel recente lavoro di Paschka et al. (90) dei 196 pazienti affetti da LAM-CN i 21 che presentavano WT1mut avevano una percentuale di RC simile a quella del gruppo con WT1 normale (76% vs 84%), ma andavano incontro a ricaduta più frequentemente (88% vs 51%). Il rischio di morire si è rivelato tre volte superiore nei soggetti con WT1mut rispetto a quelli senza la mutazione. Lo stesso autore, con un’analisi multivariata, ha dimostrato che l’impatto negativo di WT1mut sulla prognosi è indipendente dall’espressione di altri marcatori molecolari prognostici (mutazioni di NPM1 e FLT3-ITD negativo) e dalle caratteristiche cliniche alla diagnosi. Il lavoro di Gaidzik et al. (91) condotto su 617 pazienti con LAM-CN evidenzia invece che i soggetti che presentano WT1mut e positività FLT3-ITD (FLT3-ITDpos ) hanno una percentuale di RC inferiore rispetto a quelli con WT1mut e FLT3-ITD negativo (63% vs 92%) mentre non vengono riscontrate differenze significative in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale fra i pazienti con o senza mutazioni di WT1. Pertanto la presenza di WT1mut in associazione al genotipo FLT3ITDpos sembra avere un impatto negativo. 20 6. SCOPO DELLA TESI Questo lavoro si propone di verificare se la Single Strand Conformational Polymorphism Polymerase Chain Reaction (SSCP-PCR) è una valida metodica per lo screening delle alterazioni genetiche dell’esone 7 e dell’esone 9 di WT1 per poi andare a confermarne l’effettiva presenza con il sequenziamento. La scelta di questi esoni è dovuta al fatto che corrispondono a regioni segnalate in studi precedenti come hot spots di mutazione nelle LAM-CN. Una volta accertata sia la presenza che l’esatta natura delle mutazioni puntiformi di WT1 si potrà quindi verificare se i campioni WT1mut presentano anche altre mutazioni di geni di cui è noto il valore prognostico o un’espressione significativa di altri marcatori molecolari di interesse clinico (ad esempio i livelli di espressione dello stesso WT1) per poter stabilire se vi è una correlazione tra le mutazioni di WT1, i suddetti parametri e l’outcome clinico. 21 MATERIALI E METODI 7. ALLESTIMENTO E AMPLIFICAZIONE DEI CAMPIONI Sono stati analizzati 200 casi di LAM-CN (di cui 18 evolute da MDS) diagnosticati presso la Clinica Ematologica dell’Università di Genova nel periodo 2008– 2009. 7.1 Estrazione degli acidi nucleici Gli acidi nucleici sono stati estratti da campioni di sangue midollare e periferico durante le indagini diagnostiche di routine. I campioni di sangue intero sono stati privati degli eritrociti mediante separazione su gradiente di densità Ficoll-Hypaque: il sangue viene diluito 1:1 con Phosfate Buffered Saline (PBS) e stratificato molto lentamente sopra il Ficoll e successivamente centrifugato per 30’ a 1600 rpm. Questo permette la stratificazione delle cellulle in base alla loro densità: alla fine della centrifugazione gli eritrociti si depositano sul fondo della provetta, in quanto grazie alla loro maggiore densità riescono ad attraversare lo strato di Ficoll, i polimorfonucleati si raccolgono nello strato al di sopra degli eritrociti, le cellule mononucleate (linfociti e monociti) invece vanno a formare un anello biancastro nell’interfaccia tra il Ficoll e il plasma (a causa della loro bassa densità non riescono a migrare attraverso lo strato di Ficoll) (Figura 1). Queste sono le cellule di nostro interesse, che possono essere recuperate per mezzo di una pipetta di tipo Pasteur. Le cellule così isolate vengono successivamente lavate con PBS buffer e centrifugate per 10’ a 3000 rpm.. Il pellet di cellule ottenuto dopo la centrifugazione viene vortexato in una soluzione di estrazione (TNE1X: TRIS 50mM, NaCl 0,1M, EDTA 5mM), contenente sostanze tensioattive (Sodium Dodecyl Sulfate - SDS 2%) che lisano le cellule e proteasi (proteinasi K 100 µg/ml) che digeriscono le proteine. Le proteine vengono ulteriormente rimosse dalla preparazione trattando la soluzione acquosa contenente gli acidi nucleici con una miscela di fenolo, cloroformio e alcol isoamilico. Il fenolo è un forte denaturante delle proteine che le lega mediante legami H alterandone la struttura: le proteine denaturate, con i gruppi idrofobici esposti, diventano solubili nella fase fenolica o precipitano all’interfase fenolo-acqua. Il cloroformio completa la denaturazione delle proteine, rimuove i lipidi e grazie alla 22 sua elevata densità facilita la separazione della fase acquosa (contenente il DNA deproteinizzato) da quella organica (fenolica) stabilizzando l’interfaccia tra le due fasi. L’ alcol isoamilico riduce la schiuma che si forma nel corso dell’estrazione e crea un’interfase tra la fase acquosa ed il fenolo. I campioni incubati a 37° C per 12 ore vengono trattati con una soluzione di fenolocloroformio-alcool isoamilico (25:24:1) e dopo agitazione per 10 minuti sono centrifugati per 30’ a 3000 rpm. Dopo la centrifugazione si ottengono tre fasi: quella superiore (fase acquosa) contenente la soluzione di acidi nucleici, l’interfase in cui si trovano le proteine denaturate e la fase inferiore (fase fenolica) in cui sono presenti lipidi e proteine ricche di aminoacidi idrofobici. Dopo aver recuperato la fase acquosa superiore creatasi per gradiente di densità si effettua un’altra volta il trattamento con fenolo-cloroformio-alcol isoamilico. La fase finale dell'estrazione è costituita dalla precipitazione alcolica in presenza di cationi monovalenti: all’ultimo sovranatante recuperato viene aggiunto un volume di alcol isopropilico pari a 6/10 del campione e un volume di sodio acetato pari a 2/10 e dopo agitazione il DNA è fatto precipitare a 4°C per 10-15 minuti. Con una pipetta di vetro si recupera il filamento di acido nucleico che viene poi “lavato” in etanolo 70% per rimuove i sali precipitati e ricentrifugato. Il pellet dopo essiccazione all’aria è risospeso in adeguato tampone a bassa forza ionica TE (TRIS 10mM, EDTA 0,1mM) a pH 7.6-8.0. Per favorire ulteriormente la risospensione è possibile lasciare il campione a 4° C in agitazione e nei casi di risospensione non ottimale il campione può essere lasciato a 65° C per 10 minuti. Per dosare gli acidi nucleici estratti è stato utilizzato il metodo spettrofotometrico che sfrutta la capacità degli acidi nucleici di assorbire la luce UV con un massimo di assorbimento alla lunghezza d'onda di 260 nm. Per determinare la concentrazione ed il grado di purezza del campione estratto viene misurata la densità ottica (O.D.), considerando l’assorbanza (A) alle lunghezze d’onda di 260 e di 280 nm. Il rapporto A260/A280 è usato per stimare la purezza della preparazione degli acidi nucleici, in quanto le proteine, che sono la principale fonte di contaminazione, assorbono a 280 nm. Lo spettrofotometro viene azzerato a 260 e 280 nm utilizzando come “bianco” la soluzione TE. Il valore letto viene quindi moltiplicato per la diluizione (in genere 1:100). 23 Preparazioni pure di DNA hanno valori di A260/A280 uguali a 1.8: un rapporto inferiore a 1.8 è indice di contaminazione proteica, mentre un rapporto superiore a 2 è indice di frammentazione del DNA o contaminazione di RNA. Figura 1: Stratificazione delle cellule su gradiente di densità Ficoll-Hypaque 7.2 PCR (Polymerase Chain Reaction) La PCR è una tecnica che consente, in poche ore, di amplificare milioni di volte una sequenza definita di acido nucleico sfruttando la reazione di sintesi in vitro del DNA, catalizzata dall’enzima DNA polimerasi (si usa la Taq polimerasi ricavata dal batterio “Thermophylus aquaticus” resistente alle alte temperature). Questo enzima richiede per il suo funzionamento un tampone contenente il cofattore MgCl2, la presenza di deossinucleosidi 5’-trifosfato (dNTPs) e uno stampo (template), rappresentato da un filamento di DNA a cui deve trovarsi appaiato un primer (corto oligodeossinucleotide che funge da innesco fornendo un 3’-OH libero). La reazione di PCR si basa sull’uso di due primer (forward e reverse, diretti in direzione opposta ma convergente, definiscono le estremità del futuro prodotto dell’amplificazione) di lunghezza pari a una ventina di 24 nucleotidi, che sono disegnati in modo da essere esattamente complementari alle corrispondenti sequenze fiancheggianti il tratto di DNA da amplificare, nel caso in esame l’esone 7 e l’esone 9 del gene WT1 (Tabella 5) (89). Per ogni campione da analizzare sono state allestite 2 reazioni di amplificazione: una per l’esone 7 e una per l’esone 9. Tabella 5: Sequenze dei primers utilizzati nello studio. esone primer sequenza 7 forward 5’ –GACCTACGTGAATGTTCACATG- 3’ 7 reverse 5’ –ACCAACACCTGGATCAGACCT- 3’ 9 forward 5’ –TGCAGACATTGCAGGCATGGCAGG- 3’ 9 reverse 5’ –GCACTATTCCTTCTCTCAACTGAG- 3’ La metodica si compone di tre principali passaggi (Figura 2) che vengono ripetuti per 30-40 cicli utilizzando un termociclatore automatico (Figura 3): la prima tappa è la denaturazione che viene effettuata a temperatura di 94-95°C per separare i due filamenti della molecola stampo. Sono infatti i primer che, nella seconda tappa della PCR (annealing), appaiandosi ai filamenti denaturati determinano il punto di innesco della sintesi di DNA. La reazione di annealing avviene a temperatura inferiore a quella di denaturazione in modo da consentire ai primer di appaiarsi alle sequenze complementari. La temperatura di annealing è un parametro variabile e critico nel determinare la specificità della PCR: di norma questa temperatura è compresa tra 5060°C, in questo caso è stata utilizzata una temperatura di annealing di 60°C. La tappa successiva (polimerizzazione o estensione) è condotta a 72°C, temperatura ottimale per la Taq DNA polimerasi. Questa tappa dura in funzione della lunghezza del tratto da sintetizzare (la Taq DNA polimerasi in media sintetizza 1kb/min) (Figura 3). Come si può osservare, la reazione di polimerizzazione avviene a temperature inferiori rispetto alla denaturazione, ma maggiore rispetto all’appaiamento: questo ne aumenta la specificità riducendo gli appaiamenti errati e aspecifici degli oligonucleotidi e la 25 formazione casuale di strutture secondarie. I due primer determinano la specificità della reazione, la quale a sua volta è funzione anche della temperatura e della durata delle reazioni di appaiamento e di polimerizzazione, nonché della molarita' degli ioni magnesio e della concentrazione della polimerasi. In questo studio la PCR è stata preparata in un volume totale di 50 µl contenente: 1 g DNA 200 mmol/L di ciascun nucleotide (dNTPs) 1,5 mmol/L di MgCl2 170 g/ml di Bovine Serum Albumine (BSA) 2,5 U di Taq polimerasi 10 pmol/l di ciascun primer (Tib Molbiol Genova) I campioni sono stati amplificati con 35 cicli con una denaturazione iniziale di 3’ a 94°C e una elongation finale di 10’ a 72 °C. Ciascun ciclo comprendeva: denaturazione: 30’’ a 95 °C annealing: 1’ a 60 °C estensione: 1’ a 72 °C In ogni batteria di amplificazione è stato compreso un campione di controllo contenente tutti i reagenti escluso l’acido nucleico per poter evidenziare l’eventuale contaminazione dei reagenti. 26 Figura 2: Le fasi di un ciclo di PCR 27 Figura 3: (A) Termociclatore automatico che consente la variazione della temperatura durante i cicli di PCR. (B) Apposite provette predisposte per l’inserimento nel termociclatore. A B 28 7.3 Elettroforesi del DNA Al termine della PCR, per verificare che l’amplificazione sia effettivamente avvenuta, i prodotti sono stati sottoposti a corsa elettroforetica su gel di agarosio (polisaccaride purificato dell’agar capace di polimerizzare) 2% che consente di separare i frammenti di DNA in funzione del loro peso molecolare. Per preparare il gel di agarosio si versano in una beuta 100 ml di tampone Tris-BoratoEDTA (TBE: TRIS 900mM; H3BO3 900mM; EDTA 25mM) 0.5 X a pH 8.3 e vi si solubilizzano 2 g di agarosio. Si riscalda nel forno a microonde impostando 3’ con temperatura medio alta e in seguito si lascia raffreddare fino a quando diventa tiepido. A questo punto si aggiungono 5 ml di etidio-bromuro agitando delicatamente per solubilizzarlo (facendo attenzione a non inalarne i vapori) e si versa la soluzione ottenuta (facendo attenzione che non si formino bolle) nell’apposita “slitta” per gel già predisposta con il pettine per i pozzetti. Il preparato rimane allo stato liquido fino a 40°C ma per raffreddamento al di sotto di questa temperatura diventa gel. Quando il gel solidifica si toglie il pettine e lo si inserisce nella camera elettroforetica (Figura 4) Figura 4: Camera elettroforetica collegata all’alimentatore 29 5 µl dell’amplificato vengono mischiati a 5 µl di colorante orange G e caricati sul gel procedendo come segue: con una micropipetta Gilson si pone il colorante in un punto su di un foglio di parafilm e si aggiunge il DNA del campione unendolo al colorante cercando di mescolare con cura. A questo punto i campioni sono pronti per essere caricati nei relativi pozzetti (facendo attenzione a non forare il gel sottostante col puntale). Sul gel si depone anche una miscela di frammenti a peso molecolare noto che serve come riferimento per facilitare la determinazione del peso molecolare dell’amplificato. Terminata l'operazione di caricamento si accende l'alimentatore a 130 Volt: dopo la corsa elettroforetica il gel viene visualizzato su transilluminatore a UV, l’etidio-bromuro intercalato tra le basi azotate degli acidi nucleici evidenzia i frammenti come bande color arancio brillante (Figura 5). Figura 5: Esempio di visualizzazione delle bande (M: marker a peso molecolare noto, 1-2-3-4-5: campioni amplificati). 30 8. SSCP: SINGLE STRAND CONFORMATIONAL POLYMORPHISM L’ SSCP è un metodo di separazione elettroforetica di singoli filamenti di acidi nucleici, capace di rilevare variazioni nella sequenza anche molto piccole. Questo è dovuto al fatto che, data la natura relativamente instabile del singolo filamento di DNA, variazioni anche di una sola base determinano un differente accoppiamento intramolecolare e perciò una variazione nella struttura secondaria del singolo filamento. La conseguenza di questo sarà una variabilità nella mobilità elettroforetica, poiché le interazioni differenziali delle molecole con le fibre del gel faranno si che i vari isomeri della sequenza migrino differentemente. Queste modificazioni risulteranno visibili come bande spostate. Per la migrazione elettroforetica dell’amplificato, la metodica si avvale dell’ausilio di gel a gradiente di poliacrilamide preparato e poi colorato con le modalità di seguito riportate. Il gel è composto di due soluzioni al 5 ed al 20% preparate al momento dell’uso e così composte: SOLUZIONE 20% SOLUZIONE 5% 10 ml Poliacrilamide 49:1 2.5 ml Poliacrilamide 49:1 2.5 ml TBE 5X 2.5 ml TBE 5X 1.25 ml glicerolo 1.25 ml glicerolo 11.25 ml H2O 18.75 ml H2O 20 μl temed 20 μl temed 25 μl APS 30% 25 μl APS 30% ------------------ ------------------- 25 ml 25 ml 31 Il gel viene preparato in un sistema orizzontale di due vetri delle dimensioni di 260x220x1 mm. Dopo aver pulito entrambi i vetri, su quello che non presenta i pozzetti viene fatto aderire un apposito foglio di plastica che serve da supporto per il gel. Successivamente viene montato su di esso il vetro contenente i pozzetti, quindi, posizionando verticalmente i due vetri, si colano tra di essi le due soluzioni a diverso gradiente con l’ausilio di una pompa peristaltica (Figura 6). Fatto ciò, per consentire una polimerizzazione uniforme del gel, si pongono all’estremità superiore di esso circa 3 ml di isopropanolo. Una volta avvenuta la polimerizzazione, il gel viene collocato sulla piastra della camera di corsa contenente il tampone TBE 0.5X e due fogli di carta bibula imbevuta di tampone vengono posti alle estremità del gel con la funzione di elettrodi. Nei pozzetti vengono caricati 5µl di amplificato denaturato al calore (95°C per 5 minuti) e diluito con 5µl di buffer denaturante (98% formammide deionizzata, 0.025% xilene cianolo FF, 0.025% blu di bromofenolo e 10mM EDTA). A questo punto viene fatta iniziare la corsa elettroforetica che avviene ad un voltaggio costante di 500Volt con raffreddamento a 23°C ed ha una durata di circa 15-16 ore (Figura 7). Il protocollo originario faceva uso di marcatura radioattiva, ma in seguito è stata messa a punto una metodologia basata sul riconoscimento delle bande di migrazione tramite colorazione con argento. La colorazione del gel si articola nei seguenti passaggi: - lavaggio del gel con soluzione di Etanolo al 10% per 5’ in agitatore - immersione del gel in soluzione di HNO3 all’1% per 3’ in agitatore (il colorante cambia colore e diventa verde) - lavaggio in acqua per 5’ - aggiunta di AgNO3 12mM (0.2% in 500ml) lasciando in agitazione per 20’ - lavaggio in acqua per 5’ - spostamento del gel in nuova vaschetta ed aggiunta di soluzione di NaCO3 0.28M e formalina 0.019%. L’agitazione è manuale e quando la soluzione diventa scura si cambia (almeno 3 volte) - blocco della reazione, quando le bande sono abbastanza scure, con acido acetico al 10% agitando manualmente per 2’ - essiccamento per 1h e 30’-2h. 32 Figura 6: Apparecchiatura per l’allestimento del gel per SSCP. Figura 7: Gel nella fase iniziale della corsa elettroforetica. 33 9. ANALISI DI SEQUENZA I campioni che presentavano profili SSCP anomali sono stati sequenziati utilizzando i prodotti di amplificazione della PCR previa purificazione (QIAquick PCR Purification Kit; QIAGEN) per rimuovere i nucleotidi non incorporati e i primer residui. 9.1 Reazione di sequenza La reazione di sequenza è stata effettuata mediante il kit commerciale “Big Dye Terminator Cycle Sequencing Ready Reaction” (Applied Biosystems) che utilizza il metodo dei didesossi-nucleotidi (ddNTPs) o di Sanger: tale metodica si basa sulla sintesi enzimatica di una nuova catena di DNA su un’elica stampo, utilizzando, oltre ai normali dNTPs, analoghi ddNTPs marcati con diversi fluorocromi. L’assenza di un 3’OH nei ddNTPs impedisce la formazione di un legame fosfodiesterico con il successivo precursore e, quindi, l’incorporazione di ddNTP (“terminatore”) porta all’arresto della reazione polimerasica. Nella reazione di sequenza la concentrazione dei ddNTPs deve essere circa 1/100 di quella dei dNTPs, in quanto l’incorporazione dei terminatori deve essere del tutto casuale e garantire, comunque, una certa sintesi di DNA. Per ciascuna reazione di sequenza sono stati utilizzati 2μl di Terminator Ready Reaction Mix e 1.6 pmoli di primer (gli stessi primers usati per l’amplificazione) (Figura 8). Completata la reazione di sequenza, si procede con la purificazione del prodotto per rimuovere l’eccesso di ddNTPs marcati con fluorocromi mediante colonnine a base di sephadex che trattengono i nucleotidi singoli ma non i frammenti. 9.2 Elettroforesi capillare su sequenziatore automatico I prodotti di reazione purificati (3.5 μl) sono risospesi in formamide (10 μl), denaturati a 95°C per 5’ e sottoposti a corsa elettroforetica con lo strumento ABI PRISM® 310 Genetic Analyzer (Applied Byosistems). I frammenti, che differiscono tra loro per una sola base, vengono separati in funzione della loro lunghezza tramite elettroforesi capillare dal sequenziatore automatico e le bande sono rilevate attraverso un sofisticato sistema ottico che, rilevando la differenza tra le lunghezze d’onda emesse dai quattro 34 fluorocromi legati ai ddNTPs, permette l’identificazione dell’esatta successione delle basi nel segmento di DNA in esame (Figura 9). Per una corretta interpretazione dei dati i picchi di fluorescenza devono essere ben definiti, con sfondo scarso o nullo. 9.3 Analisi dei dati Le sequenze ottenute sono state comparate con le sequenze depositate in banca dati GenBank (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/) tramite il programma Blast dell’NCBI utilizzando il software ChromasPro. Figura 8: Schema della reazione di sequenza 35 Figura 9: Determinazione di una sequenza di basi tramite sequenziatore automatico che rileva le differenti lunghezze d’onda emesse dai quattro fluorocromi legati ai ddNTPs (ddATPs: verde, ddGTPs : giallo, ddCTPs: blu, ddTTPs: rosso). Le fasi dell’analisi di sequenza possono essere quindi così riepilogate: 1. Amplificazione del DNA (PCR) 2. Purificazione dell’amplificato 3. Reazione di sequenza 4. Purificazione della reazione di sequenza 5. Denaturazione 6. Corsa elettroforetica 7. Lettura dei dati ottenuti 36 RISULTATI 10. FREQUENZA E TIPOLOGIA DELLE MUTAZIONI DI WT1 Tra gli amplificati sottoposti a SSCP (Figura 10) sono stati rilevati 41 profili di migrazione anomali relativamente all’esone 7 e 22 a carico dell’esone 9. I risultati del sequenziamento (Figura 11) di ciascun profilo anomalo hanno confermato la presenza di 30 variazioni di sequenza sull’esone 7 localizzate in 27 pazienti (13,5%), mentre una sola mutazione è stata riscontrata sull’esone 9 (0.5%) (Tabella 6). La frequenza delle suddette variazioni di WT1 nei casi di LAM-CN analizzati è risultato pertanto del 14 %. Tra le 30 variazioni di sequenza relative all’esone 7, 23 erano raggruppate in regioni distinte segnalate come hot-spots nel precedente studio di Virappane et al. (89). La prima di queste regioni, posta tra i nucleotidi 1301-1307, presentava 20 sostituzioni di A con G in forma eterozigote e una sostituzione A-G in forma omozigote, mentre la seconda regione, posta tra i nucleotidi 1333 e il 1341 presentava 2 mutazioni puntiformi consistenti rispettivamente in una sostituzione C-T e una T-G, entrambi in forma eterozigote. Altre 4 mutazioni rappresentavano dei frameshift, mentre 3 cadevano in punti non segnalati in letteratura e sono state riscontrate in pazienti che presentavano anche altre variazioni di sequenza nelle regioni considerate hot-spots. L’unica mutazione dell’esone 9 evidenziata in questo studio, consistente in una sostituzione T-C in forma eterozigote, era situata nell’hot spot tra i nucleotidi 15881591 (89). 10.1 Single nucleotide polymorphism (SNP) nell’hot spot dell’esone 7 Le 21 sostituzioni A-G riscontrare nell’hot spot 1301-1307 rappresentano un polimorfismo a singolo nucleotide (SNP) già descritto in letteratura da Damm et al. come SNP rs16754 (92). La presenza dell’allele minore di questo polimorfismo, sia in eterozigosi (WT1AG) che in omozigosi (WT1GG), avrebbe secondo questi autori un significato prognostico favorevole rispetto alla presenza dell’allele maggiore (WT1AA). I pazienti individuati in questo studio come portatori dell’allele minore di SNP rs16754, pari al 10.5% di quelli analizzati, avevano tutti genotipo FLT3-ITDneg e un terzo di essi erano anche NPM1mut, presentavano pertanto un quadro genetico favorevole a basso 37 rischio. Tuttavia solamente 4 di essi hanno avuto un outcome clinico favorevole, un paziente è ricaduto, 9 sono deceduti a causa della malattia (tra questi 1 paziente è stato sottoposto solo a terapia di supporto a causa dell’età molto avanzata e un altro invece ha rifiutato il trattamento chemioterapico) e 2 per altre cause, mentre dei rimanenti 5 non è stato possibile reperire notizie cliniche (Tabella 6). 10.2 Frameshift dell’esone 7 I 4 pazienti in cui è stato riscontrato un frameshift nella regione dell’esone 7 di WT1 hanno avuto tutti un outcome clinico negativo (1 non ha risposto alle terapie e 3 sono ricaduti sviluppando chemioresistenza). Tra questi solamente 1 mostrava un quadro sfavorevole dovuto al genotipo FLT3-ITDpos e assenza di mutazioni di NPM1. Un altro paziente presentava invece una prognosi apparentemente favorevole dovuta al genotipo FLT3-ITDneg/NPM1mut ; tuttavia, nonostante una buona risposta iniziale alla terapia di induzione con il raggiungimento della remissione a livello clinico ed ematologico (ma non molecolare), è successivamente ricaduto sviluppando resistenza ai chemioterapici. Uno dei pazienti con genotipo FLT3-ITDneg e assenza di mutazioni di NPM1 presentava valori relativamente elevati di espressione di BAALC e WT1 (Tabella 6) e non ha risposto alle terapie. Mentre l’altro paziente, anch’esso con genotipo FLT3-ITDneg e assenza di mutazioni di NPM1, mostrava invece valori normali di BAALC e WT1 positivo, tuttavia la risposta alla terapia non è stata ottimale ed è deceduto durante l’induzione pre-trapianto. 10. 3 Mutazioni puntiformi dell’esone 7 e 9 per sostituzione di una singola base Tutte le sostituzioni di singola base (2 nell’esone 7 e 1 nell’esone 9) situate negli hot spots erano presenti in forma eterozigote. Tra i pazienti che avevano questo tipo di mutazione solamente uno presentava il genotipo sfavorevole FLT3-ITDpos contemporaneamente ad un valore elevato di BAALC ed è stato avviato al trapianto eseguito con successo. Gli altri 2 pazienti, che presentavano un profilo genetico e molecolare a basso rischio, hanno avuto un outcome clinico favorevole. 38 Tabella 6: Variazioni di sequenza degli esoni 7 e 9 e valori degli altri marcatori noti. mutazione esone 7 n. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 regione 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1301-1307 1333-1341 1333-1341 ----------------- tipo A-G A-G A-G * A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G A-G G-G* C-T T-G * frame shift frame shift frame shift frame shift WT1-ELN 694 1884 122 480 41,5 1329,7 0 343 459 1784,1 985 2463 815,5 38,8 138,3 2 553 148 292 851 9,6 1234,6 862 453 797 ITD FLT3 neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg pos FLT3 20 neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg neg NPM-A 0 6 0 28 0 0 0 0 53 2 0 0 1 0 0 284 0 0 0 0 8552 0 0 0 15499 0 NPM-B 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 657 0 0 0 13087 0 BAALC 1107 4278 158555 609 3629 375 1916 42690 140 3838 3588 29389 30696 383 240 195 33851 21 117164 62697 23 867 3417 744 222 390 Outcome clinico ----decesso ricaduta favorevole favorevole decesso decesso decesso decesso (non dovuto alla malattia) decesso favorevole favorevole decesso ----decesso decesso (non dovuto alla malattia) ----decesso decesso --------favorevole favorevole non risposta alla terapia ricaduta e decesso ricaduta e decesso ricaduta e decesso esone 9 1 1588-1591 T-C 1379 pos neg 3 0 25030 trapianto * presenza di un’ulteriore mutazione puntiforme in punti non segnalati in letteratura. 39 Figura 10: SSCP in cui sono evidenziati profili di migrazione anomali visibili come una triplice banda. Dettaglio che evidenzia la triplice banda 40 Figura 11: Esempi di elettroferogrammi con profilo normale (A) e con mutazione puntiforme (B). A N B mutazione puntiforme 41 DISCUSSIONE 11. SCREENING DELLE MUTAZIONI PUNTIFORMI MEDIANTE SSCP L’analisi di sequenza è la metodica di eccellenza per la ricerca di mutazioni puntiformi (sia già note che non note) in virtù della sensibilità estrema e dell’informazione completa che fornisce su posizione e natura della mutazione. La SSCP, pur essendo estremamente suscettibile a piccole variazioni delle condizioni standard, è una tecnica semplice da usare e l’analisi dei dati ottenuti risulta agevole. I risultati ottenuti in questo studio hanno dimostrato che, con l’impiego di questa metodica, è stato possibile rilevare la presenza di tutte le tipologie di variazione di sequenza degli esoni 7 e 9 di WT1 descritte in letteratura, siano esse frameshift o polimorfismi di un singolo nucleotide. Pertanto lo screening dei campioni tramite SSCP può rivelarsi un sistema utile per ridurre il numero di casi da sottoporre all’analisi di sequenza; si potrebbero infatti ottenere dei vantaggi in termini di riduzione della mole di lavoro e dei costi. 12. SIGNIFICATO PROGNOSTICO E BIOLOGICO DELLE MUTAZIONI DI WT1 12.1 Valore prognostico delle variazioni di sequenza di WT1 Sin dalle prime descrizioni delle mutazioni di WT1 nelle LAM (93), risalenti agli anni ’90, è stato ipotizzato che la loro presenza fosse associata con un andamento clinico sfavorevole, tuttavia la scarsità degli studi disponibili (in particolare nelle LAM dell’adulto) non consentiva di affermarlo con certezza. Il ruolo di WT1 nella leucemogenesi non era ancora stato pienamente compreso e il meccanismo con cui le mutazioni di WT1 potevano conferire alle cellule leucemiche la resistenza ai chemioterapici non era noto. Gli studi di Summers (88), Virappane (89) e Paschka (90), condotti nel periodo 20072008 attribuiscono alla presenza di mutazioni frameshift negli esoni 7 e 9 di WT1 un impatto negativo sulla prognosi, mentre nel lavoro di Gaidzik del 2009 (91) il significato prognostico sfavorevole delle mutazioni di WT1 viene ridimensionato: esso sarebbe infatti valido solo in associazione alla presenza del genotipo FLT3-ITDpos. 42 Nel più recente studio di Damm et al. (92), condotto su 249 pazienti con LAM-CN, la presenza dell’allele minore del polimorfismo a singolo nucleotide rs16754 dell’esone 7 di WT1 viene considerata come un fattore prognostico favorevole indipendente, mentre le mutazioni di WT1 vengono indicate come prive di impatto prognostico. L’allele minore di tale polimorfismo, presente nella popolazione sana con una frequenza analoga a quella riscontrata nei pazienti analizzati, conferirebbe secondo gli autori una maggiore sensibilità ai farmaci chemioterapici, sebbene i meccanismi con cui questo avviene non siano noti. I risultati di questi studi non devono essere necessariamente considerati contradditori tra loro in quanto mutazioni differenti possono avere varie conseguenze per le funzioni cellulari e quindi un significato diverso nella patogenesi e un impatto clinico differente. I dati presentati nel corrente studio contribuiscono all’ampliamento della casistica delle descrizioni delle variazioni di sequenza di WT1. Tra le 27 alterazioni della sequenza qui evidenziate nell’esone 7, le 4 mutazioni frameshift si confermano come indicatore prognostico sfavorevole indipendente, sia per la risposta alla terapia che per la sopravvivenza. Per quanto riguarda i 21 pazienti che presentavano il polimorfismo SNP rs16754 nell’esone 7, essi pur avendo un quadro complessivo a basso rischio dal punto di vista genetico, non hanno mostrato un outcome clinico favorevole. Tuttavia non è possibile definire se l’outcome negativo sia da imputare a questo solo fattore o anche ad altri parametri, alcuni pazienti mostravano infatti anche valori elevati di BAALC ed un’età avanzata. 12.2 Significato biologico delle mutazioni di WT1 Mutazioni frameshift analoghe a quelle riscontrate in questo studio, già descritte in studi precedenti (87-89, 93-94), comportano la sintesi di proteine WT1 tronche. Non è ancora chiaro se queste proteine tronche siano stabili all’interno dell’ambiente cellulare oppure instabili in quanto bersaglio di enzimi di degradazione, in ogni caso non sarebbero in grado di traslocare nel nucleo a causa della perdita del segnale di localizzazione nucleare. Va inoltre considerato che le proteine tronche vengono ad essere prive anche dei domini di legame per l’interazione con le proteine regolatorie delle funzioni di WT1, tra cui l’oncosoppressore p53 (32). 43 Per quanto riguarda le mutazioni nell’esone 9, quelle frameshift sono meno frequenti rispetto all’esone 7: in questo studio non ne sono state riscontrate, mentre è stata evidenziata 1 mutazione missenso. Mutazioni di WT1 di questo tipo erano già state descritte da Virappane et al nelle LAM e anche in altre patologie (95-96): la sostituzione amminoacidica sembra tradursi nella perdita della capacità di legame al DNA da parte della proteina (97). Le mutazioni di WT1 di questo tipo, dunque, sono in grado di impedire o modificare il legame della proteina WT1 ai propri geni bersaglio, inclusi quelli che codificano per proteine coinvolte nella regolazione della normale ematopoiesi (RARA, CSF1), dell’apoptosi (BCL2, BCL2A1, BAK1), del ciclo cellulare (CCNE1, CDKN1A), della trascrizione (MYC, PAX2, MYB, EGR1) e della proliferazione cellulare (TGFB1, PDGFA) (34). L’altra tipologia di alterazione di sequenza di WT1 individuata in questo studio, descritta da Damm et al. nel 2010 come l’allele minore di SNP rs16754, non ha ancora un chiaro significato biologico. I meccanismi con cui esso determinerebbe un’aumentata sensibilità delle cellule leucemiche ai farmaci chemioterapici potrebbero essere molteplici: alterazioni nella stabilità, nel ripiegamento o nello splicing dell’RNA, differenze nella selezione del tRNA, oppure vi potrebbe essere un’interazione con le isoforme di altri geni coinvolti nel controllo del metabolismo, del trasporto o dell’eliminazione dei farmaci (92). 13. CONCLUSIONI I protocolli terapeutici attuali per la leucemia mieloide acuta si basano su fattori prognostici come l’età, il conteggio dei leucociti, il cariotipo e le mutazioni genetiche che contribuiscono alla stratificazione terapeutica. Il monitoraggio della MRD tramite il rilevamento di target specifici come i trascritti dei geni di fusione o le mutazioni consente di individuare i pazienti a elevato rischio di recidiva. La risposta alla chemioterapia di induzione offre un ulteriore fattore predittivo per avvalorare le decisioni relative alla terapia di consolidamento, in particolare per quanto riguarda il trapianto allogenico. Vi è tuttora l’esigenza di raffinare la stratificazione del rischio tramite lo sviluppo di approcci alternativi per consentire il rilevamento di MRD per individuare in modo più affidabile i pazienti che possono trarre effettivamente vantaggio dal trapianto: circa la metà dei pazienti con LAM presenta infatti una carenza 44 di target specifici adeguati. In questo contesto le mutazioni di WT1 potrebbero rappresentare un utile nuovo marcatore di MRD. Lo studio del profilo molecolare di un ampio numero di casi clinici di cui sia possibile disporre di un adeguato follow-up sarà un elemento essenziale per poter determinare la rilevanza delle variazioni di sequenza di WT1 (siano esse mutazioni o polimorfismi di un singolo nucleotide) nello sviluppo di nuovi modelli che consentano di migliorare la stratificazione del rischio e aumentare l’efficacia del trattamento tramite la messa a punto di terapie mirate. La valutazione delle variazioni di sequenza del gene WT1 sembra, pertanto, un utile elemento da aggiungere agli altri parametri (espressione di WT1, BAALC, alterazioni FLT3, mutazione NMP1) all’esordio di una LAM: esso infatti può rappresentare un fattore prognostico indipendente che potrebbe anche rivelarsi determinante nella scelta del trattamento terapeutico più appropriato. 45 BIBLIOGRAFIA 1) Lowenberg B, Downing JR and Burnett A. Acute myeloid leukaemia. N Eng J Med 1999; 341: 1051-1062. 2) Tura S, Baccarani M. 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