lo stile di personalità tendente ai disturbi fobici

TESI DI APPROFONDIMENTO
PER L’AMMISSIONE AL 3°ANNO
DELLA SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE
IN PSICOTERAPIA COGNITIVA NEUROPSICOLOGICA
Anno Accademico: 2010
Corso: C2
Titolo:
LO STILE DI PERSONALITÀ
TENDENTE AI DISTURBI FOBICI
Relatori: Dott.ssa Silvia BOSONI
Dott.ssa Alice NATOLI
Dott.ssa Stefania PERROTTA
INDICE
RINGRAZIAMENTI
pag. 3
INTRODUZIONE
4
CAPITOLO 1
PREMESSE TEORICHE: SVILUPPO DEL SÉ E STILE DI PERSONALITÀ
6
1.1
Dalle teorie sul Sé al concetto di stile di personalità
6
1.2
Inclinazioni della stabilità personale
1.3
Dallo Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici alla
10
psicopatologia
16
1.3.1 La modalità Inward nello Stile di Personalità tendente ai
Disturbi Fobici
16
1.3.2 La dinamica ipseità-alterità nello Stile di Personalità
tendente ai Disturbi Fobici
17
CAPITOLO 2
L’ESPERIENZA
EMOZIONALE ED I SUOI CORRELATI NEUROPSICOLOGICI
NELLO STILE DI PERSONALITÀ TENDENTE AI DISTURBI FOBICI
20
2.1
La stabilità personale e l’esperienza soggettiva
20
2.2
La sensibilità enterocettiva ed il senso delle condizioni
fisiologiche del corpo: breve rassegna di ricerche
23
2.2.1 Il livello di attivazione di base ed i meccanismi neurali
coinvolti
2.2.2 Correlazione
23
tra
consapevolezza
esperienza emozionale e disturbi fobici
enterocettiva,
26
2.3
Il pensiero catastrofico legato alla sofferenza
2.3.1 Vertigini psicogene e sensazione di instabilità
pag. 31
33
2.3.2 Amigdala, circuiti neurali, instabilità personale: una
possibile correlazione nella generazione di credenze
distorte?
36
CAPITOLO 3
PSICOPATOLOGIA DELL’ANSIA. ALCUNE CONSIDERAZIONI
3.1
3.2
3.3
40
I disturbi d’ansia in un’ottica fenomenologica. Le polarità
Inward/Outward
40
Gli attacchi di panico e la paura della paura
42
3.2.1 Caso clinico
44
L’ansia in psicoterapia. Modelli a confronto
46
49
CONCLUSIONI
2.3
Il pensiero catastrofico legato alla sofferenza
CRITICITÀ E SVILUPPI FUTURI DELLA RICERCA
2.3.1 Vertigini psicogene e sensazione di instabilità
2.3.2 Amigdala, circuiti neurali, instabilità nelenze distorte?
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
CAPITOLO 3
2
51
55
RINGRAZIAMENTI
Parlando nei ruoli di future psicoterapeute, ma anche con la personale esperienza
dell’essere pazienti in terapia didattica, concordiamo con l’idea che ogni esperienza
sia “emotiva” (dall’etimologia latina del verbo “e-movere”, muovere da) e sia legata
in modo diretto ad una gamma di possibilità di azione, in tutte le situazioni della
vita, avendo noi riscontrato questo, in prima persona.
A tal proposito, i maggiori ringraziamenti vanno ai nostri formatori e terapeuti
didattici: Giampiero Arciero, Davide Liccione e Giorgio Rezzonico, che ci hanno
seguito nella supervisione dei casi.
Inoltre, un grazie particolare va alle compagne del nostro corso di specializzazione,
con le quali è stato molto motivante scambiarsi riflessioni e critiche sui temi trattati.
3
INTRODUZIONE
A partire dalla metà degli anni novanta è stato rivisto il concetto di organizzazione
di significato personale ed il modello del Sé sotteso a tale costrutto. Da quegli studi
deriva il recupero della tradizione fenomenologico-ermeneutica nell’elaborazione di
un modello in grado di rendere conto dei diversi modi di costruzione dell’identità
personale. Allo stesso tempo gli apporti delle ricerche neuroscientifiche hanno
permesso di rielaborare le organizzazioni di significato nell’ambito della psicologia
della personalità. Parliamo così di stili di personalità:
-
Stile di Personalità tendente ai Disturbi Alimentari Psicogeni;
-
Stile di Personalità tendente ai Disturbi Ossessivo-Compulsivi;
-
Stile di Personalità tendente a Ipocondria-Isteria;
-
Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici;
-
Stile di Personalità tendente ai Disturbi Depressivi.
Gli stili di personalità identificano la preminenza di alcune tendenze a “significare”,
sia pre-riflessivamente (nella sfera emotiva e percettiva), sia riflessivamente (nel
linguaggio e nella narrazione), la propria esperienza di vivere, delineandone
peculiari modalità di regolazione e articolazione, ma rendendo contemporaneamente
conto della singolarità e unicità dell’esperienza e della storia individuale di ognuno.
Lo scopo di questo lavoro è descrivere le caratteristiche dello Stile di Personalità
tendente ai Disturbi Fobici, inquadrandolo alla luce di una cornice teorica in cui
affiorano i contributi di diversi discipline, dalla fenomenologia ermeneutica alle
neuroscienze.
Nella prima parte verranno delineate le premesse teoriche che hanno portato a
distinguere le due modalità basiche di sviluppo della costituzione del Sé: inward e
outward. Esse definiscono le caratteristiche della dialettica fra il flusso unitario del
sé e l’alterità, precisando contemporaneamente i margini della dimensione
emozionale. Da qui verrà approfondita la dimensione inward, come modalità tipica
di emozionarsi delle persone con Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici. Le
riflessioni e le trattazioni verranno poi supportate dai risultati dei recenti studi
4
neuroscientifici, che hanno permesso di individuare i meccanismi neurali implicati
nell’esperienza emotiva dei soggetti con tendenze fobiche. Il capitolo centrale infatti
sarà dedicato all’approfondimento dei correlati neuropsicologici e ad una breve
rassegna di ricerche che evidenziano come i soggetti con questo stile abbiano anche
una maggiore predisposizione a sviluppare disturbi fobici. Le riflessioni e le
caratteristiche descritte, infatti, permettono di tracciare un ipotetico continuum tra la
normalità e la psicopatologia delle nevrosi. Nella parte finale verranno approfonditi
diversi aspetti fenomenologici di alcuni quadri psicopatologici che possono correlare
con questo stile di personalità. Seguiranno alcune riflessioni conclusive sul lavoro
presentato con spunti di criticità, che ci auguriamo possano orientare la ricerca
futura in questo campo.
5
CAPITOLO 1
PREMESSE TEORICHE:
SVILUPPO DEL SÈ E STILE DI PERSONALITÀ
The Self born in intersubjectivity.
(Trevarthen, 1993)
1.1
Dalle teorie sul Sé al concetto di stile di personalità
La caratteristica fondamentale dello stile di personalità tendente ai disturbi fobici è
“l'ancoraggio della stabilità personale ad una cornice di riferimento che usa
prevalentemente un sistema di coordinate centrate sul corpo” per far fronte alla
variabilità situazionale, ovvero che adotta una modalità di sentirsi situati definibile
come Inward (Arciero, 2009).
Occorre inevitabilmente fare un passo indietro per inquadrare l'origine della stabilità
personale e le diverse modalità entro le quali essa può esplicarsi identificando le due
polarità, quella Inward (utilizzo di un sistema di coordinate centrate su riferimenti
corporei) e quella Outward (utilizzo di un sistema di coordinate centrate su
riferimenti esterni) che definiscono, in realtà, i margini di un continuum entro il
quale il soggetto può oscillare nel corso della vita e che si riflettono in differenti
modi in cui l'identità narrativa riconfigurerà l'esperienza del soggetto (Ricoeur,
1980).
È quindi necessario parlare di Ipseità (l’essere mio dell'esperienza) per indicare il
nostro modo di sentirci sempre gli stessi nel tempo, che non significa sentirsi sempre
uguali, ma gli stessi seppur in modi diversi a seconda dei contesti.
Questo obiettivo può essere raggiunto in vari modi, o attraverso una modalità più
centrata su riferimenti corporei, pertanto un soggetto continua a sentirsi lo stesso
6
attraverso la visceralità oppure attraverso una modalità più centrata su riferimenti
contestuali.
Questa capacità di coglierci sempre gli stessi, nonostante il passare del tempo e
nonostante la variabilità degli eventi, si consolida di pari passo con lo sviluppo del
bambino e lo sviluppo delle competenze linguistiche e narrative. Tra i 18 e i 24 mesi
il bambino sviluppa la capacità di utilizzare il pronome personale “Io”,
riconoscendosi come soggetto-agente delle proprie espressioni verbali e delle
proprie azioni, acquisendo la consapevolezza che in qualunque situazione della vita
egli è diverso e contemporaneamente lo stesso .
L'uso del pronome personale, quindi, non ha una valenza puramente linguistica, ma
implica un cambiamento a livello dell' “essere mio dell'esperienza” che si manifesta
nella molteplicità degli eventi e pertanto presuppone il raggiungimento di un senso
di permanenza del Sè nel tempo (continuità del sé) già a livello pre-riflessivo.
Ciò implica che l'esperienza soggettiva, che viene raccontata in prima persona, fa
riferimento al percepirsi come gli stessi in ogni situazione.
Queste considerazioni fanno riferimento agli studi di psicologia dello sviluppo che
ritengono che l'esistenza di un sé corporeo (un sè più sostanziale) si generi da subito
nel neonato nel momento in cui egli acquisisce la consapevolezza di essere se stesso,
di localizzare il proprio corpo nello spazio, grazie alla reciprocità con il caregiver ed
il contatto con la sua corporeità (Meltzoff, 1990).
Affinché il corpo diventi significativo, la condizione necessaria è che il bambino
acquisisca la capacità di comprendere oggetti e situazioni, partendo dai possibili
contesti di azioni ed emozioni. Questa serie di referenze non sono però apprese dal
bambino in modo esplicito. La capacità di afferrare sé stesso riflessivamente si
genera tra i 18 e i 24 mesi, periodo in cui il bambino inizia a combinare parole
all’interno di frasi.
Questa fase è caratterizzata dal raggiungimento di tappe chiave nello sviluppo, ad
esempio il bambino si riconosce nello specchio, riconosce cioè l'immagine riflessa
come identica a se stesso, comprendendo che in ogni momento e nelle differenti
situazioni che occorrono ogni giorno egli è sempre diverso, poiché si situa in modi
7
differenti ed il mondo gli fa un effetto diverso a livello di corporeità (del corpo vivo,
il “Leib” della fenomenologia), ma contemporaneamente è sempre lo stesso
(ipseità).
Il concetto del Sé fino alla fenomenologia ermeneutica
L'introduzione del concetto del Self, crea una frattura inevitabile rispetto alla
tradizione che si basava su una concezione di un Sé duplice, la cui origine risale alla
posizione filosofica kantiana relativa all' “Io penso” e a quella proposta da G.H.
Mead (1938).
Questa tradizione sosteneva l'esistenza da un lato del “Sé soggetto”, il concetto di
“Io”, inquadrato come unico ed immutabile nel corso della vita e che dà conto della
percezione per cui gli eventi della nostra vita originano dal soggetto che li esperisce;
dall'altro lato il “Sè oggetto”, il concetto di “Me”, che corrisponde alla diversità
delle nostre esperienze e che varia continuamente in relazione alle interazioni con il
mondo e con l'altro. Questa visione propone una nozione di conoscenza che è legata
alle possibilità conoscitive del soggetto, ai suoi limiti strutturali:
“The ‘I think’ expresses the act of determining my existence. The existence is thereby
already given but the manner in which I am to determine it, the way in which I am to
posit in myself the manifold pertaining to it, is not yet thereby given” (Kant, 1967).
Sulla base di questo costrutto e prendendo come riferimento l’organizzazione del
Sistema Nervoso Centrale (SNC) proposta dalla “teoria dei sistemi autoorganizzati”, Guidano (1991) introduce un nuovo concetto del Sé, articolando la
teoria delle “organizzazioni di significato personale”; in base ad essa esistono
quattro forme invarianti di organizzazione del Sé che rappresentano diversi modi di
coerenza interna, cioè operazioni diverse di ordinamento dell’esperienza soggettiva.
Il concetto di Sé proposto è interpretato come un processo circolare di mutua
regolazione tra l'immediata esperienza di sé, l’“Io”, che agisce e fa esperienza, e un
senso di sè più esplicito e astratto che emerge in conseguenza di un atto valutativo
su quella esperienza , il “Me”, che valuta e osserva.
8
La consapevolezza è per Guidano separata dal mondo dell'esperienza reale, ovvero
si origina, si costruisce e ricostruisce nella stanza chiusa dell'intelletto per effetto di
un atto riflessivo. Essa è quindi un processo auto-organizzato che attribuisce
significati, sulla base dei propri limiti strutturali, ai cambiamenti interni (i
cambiamenti strutturali del sistema), effetto delle perturbazioni ambientali.
Se pensiamo però a quanto accade in ogni istante, ci rendiamo conto che questa
concezione non rende conto di tutta una gamma di eventi che accadono
costantemente nella nostra vita, e che non necessitano di nessun tipo di riflessione
per acquisire significato, e che supportano la concezione proposta da Heidegger per
cui “conoscere è esistere” e solo una piccola parte di questa conoscenza può essere
verbalizzata.
Questo vuol dire che, per esempio, l'esperienza dell'avere caldo in un pomeriggio
d’estate, non è subordinata ad una riflessione, ma è da subito per me significativa,
cioè la consapevolezza di Sé emerge dall'essere nel mondo, dall'essere in relazione
con il mondo e con gli altri ed è “incarnata” in un corpo che agisce ed è agito dal
mondo.
L'ipseità (l’essere mio dell'esperienza) è un processo pre-riflessivo che prende vita
proprio dall'incontro con il mondo e con gli altri (Heidegger, 1988), si riflette nelle
cose come in uno specchio, torna a sé ed è conscia di sé in modo pre-riflessivo,
grazie al fatto di essere da subito aperta all’alterità, apertura che avviene attraverso il
corpo.
Con il passaggio alla fenomenologia ermeneutica, quindi, si assiste ad un radicale
mutamento della concezione del Sé che da “Cosa”, una sorta di “ens creatum”, cioè
una cosa creata attraverso una riflessione cognitiva, a cui si possono attribuire le
stesse categorie utilizzate per concettualizzare le cose e gli oggetti, diventa un “Chi”.
Il fondamento di questa nuova concezione, quindi, prende in considerazione “l'esserci”, cioè una ipseità che non è data una volta per tutte come fosse un oggetto, ma che
è sempre nell'atto di farsi.
L'ipseità è fondata sull'esperienza fattuale e ha come componente strutturale
l'intenzionalità, intesa come apertura al mondo e agli altri, l'essere sempre “in
9
relazione con”; questo determina il fatto che nell’agire o nel comportarsi in un certo
modo, ci si situi emotivamente in un modo o in un altro sulla base dell'effetto che il
mondo o gli altri ci fanno; e dalla continua relazione con il mondo, dal nostro
continuo essere presso le cose, origina la continuità del senso di sé.
Fare esperienza vuol dire quindi essere presso le cose e, pertanto, la coscienza di sé
implica un elemento costitutivo e fondamentale che è la relazione col mondo, con
l'altro e col corpo stesso, in una costante dialettica tra ipseità ed alterità; alterità
rappresentata tanto dal corpo quanto dal mondo e dall'altro.
Questa prospettiva ribaltata sul Sé si evidenzia anche quando consideriamo il
concetto di riconfigurazione narrativa della nostra esperienza. La concezione del
Self come “cosa” identificava una sovrapponibilità tra Sé ed identità personale in
quanto il significato originava dalla riflessione, mentre la concezione del Self come
un “Chi” separa il piano dell'essere mio dell'esperienza da quello dell'identità
narrativa.
1.2
Inclinazioni della stabilità personale
Possiamo ora ritornare ad indagare le possibili modalità di sentirci gli stessi ogni
volta e nelle diverse circostanze, le diverse modalità di costruzione della nostra
stabilità personale, la cui origine si situa nell'intersoggettività. Questo costrutto viene
ad assumere un valore ontologico grazie agli studi di Trevarthen, che ribaltarono la
concezione tradizionale, secondo cui il bambino piccolo sarebbe stato incapace di
contribuire alla comunicazione se non per rispondere a bisogni di natura biologica.
Trevarthen infatti propone la teoria della “intersoggettività innata” secondo cui gli
esseri umani non imparerebbero ad essere responsivi e ad entrare in relazione con
l'altro, ma lo sarebbero da subito, come del resto già esplicitato dalla concezione di
stampo fenomenologico.
A tal proposito il concetto di intersoggettività è stato successivamente meglio
specificato nei termini di intersoggettività primaria e secondaria.
10
Per intersoggettività primaria si intende una fase in cui il bambino ha una
consapevolezza intuitiva e preriflessiva di sé dall’interno, attraverso l’interazione
con il caregiver, che si può osservare sin dalla nascita. Dai nove mesi inizia la fase
dell’intersoggettività secondaria, che si sviluppa con il progressivo interesse del
bambino verso il mondo esterno, con manifestazioni di una vera e propria intenzione
comunicativa che comporta la consapevolezza del bambino che le altre persone
funzionano come entità psicologiche; prova ne è, ad esempio, la comparsa
dell’attenzione condivisa.
Il bambino quindi ha una precoce capacità di essere consapevole di una presenza
umana, di seguire gli stati mentali dell’altro e di comunicare con essi. Questo ci
dimostra come la consapevolezza di sé derivi dalla manifestazione della mente di
una persona che da subito è “con l’altro”, “aperta al mondo e all'incontro con
l'altro”.
Secondo Trevarthen la genesi della reciprocità avviene grazie ad una modalità
ritmica e armonica che si esplica negli scambi comunicativi tra i due partner e che
contribuirà allo sviluppo delle reti neurali in un determinato modo. Nella teoria
dell'intersoggettività innata, Trevarthen fa riferimento al concetto di “campo
emotivo” che può essere descritto dalla persona denominando tutte le emozioni che
ha sperimentato nel corso delle relazioni. Si capisce, quindi, come la mancata
reciprocità possa assumere un ruolo importante nel determinare ritardi nello
sviluppo sia emotivo che cognitivo del bambino. Questo risulta evidente nei casi di
autismo infantile dove si assiste ad un restringimento del campo emotivo (Kanner,
1943) ed anche nelle situazioni in cui l'ambiente non risponde e non è di sostegno,
come avviene per i figli di madri con depressione post natale, incapaci di
sincronizzarsi sul loro bambino (Murray, 1992).
L’importanza dell’intersoggettività è evidente pertanto sia sull’effetto che produce
sulle reti neurali, che si sviluppano in modo diverso a seconda della qualità, della
sincronia e della ritmicità degli scambi, sia per gli effetti sul dominio emotivo,
ovvero la nostra modalità dello stare con.
11
Lo studio delle proto-conversazioni tra madre e bambino hanno permesso di
evidenziare come da subito il bambino sia in grado di partecipare all’interazione con
l’altro in uno scambio intersoggettivo basato sulla consapevolezza da parte di
ciascuno dei partecipanti della partecipazione intenzionale dell’altro; e quindi fin
dalla nascita i bambini sono capaci di impegnarsi in interazioni ritmiche con il
proprio caregiver. Negli studi condotti da Trevarthen (1988) sullo sviluppo del
sistema nervoso centrale (SNC) del bambino, in cui si effettuava la registrazione dei
parametri fisiologici, quali elettroencefalogramma (EEG), elettrooculogramma
(EOG) e indici di conduttanza cutanea durante l’interazione madre-bambino, è stata
rilevata una sincronia tra l’EEG della mamma e quello del bambino, quando veniva
ad instaurarsi una ritmicità durante l’interazione; usando una metafora di Tevarthen,
questa armonia rende i due partner simili a due ballerini di tango, che compiono
movimenti non identici, ma adeguati alla relazione. E quando la situazione
sperimentale viene perturbata (squillo del telefono) il bambino è a disagio, piange,
perché la madre si è desincronizzata, e questo stato di disagio persiste finchè la
madre non torna nuovamente a “ballare” con il bambino, a sintonizzarsi in modo
armonico ed adeguato.
Gli studi sull'intersoggettività hanno quindi inevitabilmente orientato le ricerche
delle neuroscienze che hanno ben inteso come fosse necessario, ai fini di
comprendere il comportamento umano, non separare l'individuo dall'ambiente e
dall'altro, perchè ogni processo cognitivo ed ogni comportamento è sempre “situato”
entro un certo contesto ed “incarnato” in un corpo, quello proprio del soggetto, che
diventa il teatro dell'incontro con l'altro.
Appare quindi chiaro come l’elemento cardine da cui partire sia il fatto che non ci si
possa emozionare senza un corpo, perché l’emozione correla di fatto con una
modificazione corporea .
Questo concetto non può prescindere dal prendere in considerazione che la modalità
con la quale ci si emoziona sia collegata al modo con cui, nei primi scambi
intersoggettivi, si vengono a conoscere e differenziare gli stati emotivi.
12
Ciò che è evidente a questo punto è che l'esperienza che facciamo è un modo
possibile di incontrare l'altro e il mondo attraverso “il nostro corpo proprio” nel
quale siamo incarnati.
Il concetto di essere incarnati identifica il modo in cui ci avvertiamo nelle diverse
occasioni, il nostro modo di sentirci ed il modo in cui il mondo ci appare.
L'origine delle inclinazioni della stabilità personale si situa proprio a partire dalla
relazione corpo proprio-alterità, che determina anche diverse modalità di regolare le
proprie emozioni.
Di fatto, è grazie alla sedimentazione delle modalità invarianti attraverso cui
entriamo in relazione con l’altro che si determina il senso di una stabile
configurazione del Self, che costituisce l'origine della sua medesimezza.
Le due inclinazioni, quella Inward e quella Outward, riflettono modi diversi
attraverso
cui
l'identità
narrativa
riconfigurerà
l'esperienza
soggettiva
e
rappresentano due polarità di un continuum di strutturazione del nostro dominio
emotivo; esse corrispondono a differenti modi in cui viene a costruirsi la relazione
con l'altro significativo.
Sebbene queste differenti modalità di strutturazione del dominio emotivo derivino
dalla reciprocità dei primi scambi, esse non sono assimilabili ai pattern
d'attaccamento, che rappresentano invece le regolarità della relazione con il
caregiver e non ciò da cui origina la strutturazione del nostro dominio emotivo.
In realtà, tanto i pattern d'attaccamento quanto le diverse modalità di organizzazione
del dominio emotivo sono conseguenti ai nostri diversi modi di essere “in relazione
con”.
La variabile che incide sul modo in cui il bambino svilupperà differenti modalità di
esperire le emozioni è connessa alla tipologia di stimoli ricorrenti a cui il bambino
sarà soggetto nel corso delle relazioni interpersonali significative.
Può essere di più immediata comprensione l'esempio di un bambino che sperimenta
le coliche per la prima volta, stato viscerale a cui corrisponderà uno specifico stato
emotivo. Se il caregiver dà una risposta che sarà sempre la stessa ogni volta in cui il
bambino sperimenterà quello stato viscerale e quindi quella specifica emozione,
13
questo consentirà al bambino di associare quello specifico stimolo fisiologico a
quella contingente risposta da parte del caregiver. Ciò inevitabilmente offrirà al
bambino la possibilità di sviluppare una prevedibilità rispetto alle risposte che
riceverà dall'esterno, oltre che la capacità di differenziare in modo adeguato i propri
stati interni, perchè ad ognuna delle condizioni fisiologiche (viscerali) esperite, il
bambino sperimenterà una risposta coerente e regolare da parte del caregiver.
Sappiamo che le emozioni di base costituiscono modalità di risposta con cui
l'organismo è biologicamente preparato a far fronte a specifici stimoli, definiti
trigger universali (fame, sete etc.), con la finalità ultima di garantire la propria
sopravvivenza (Ekman, 2003). Esse sono quindi elicitate, come una sorta di risposta
riflessa, ogni volta che l'organismo si imbatte in stimoli ambientali verso i quali
risulta sensibile; questo è possibile perchè l'organismo è dotato di meccanismi
definiti di “appraisal automatico” che determinano l'attivazione della risposta
emozionale indipendentemente da qualsiasi valutazione cognitiva.
Per questa ragione, quindi, tanto più la relazione con la mamma eliciterà trigger
universali tanto più il bambino imparerà ad associare quello specifico stato delle sue
viscere ad una specifica emozione, con una conseguente “ipercognitivizzazione delle
emozioni di base”.
La modalità appena descritta definisce la tendenza Inward che, a partire dai primi
scambi interattivi, si stabilizza nel tempo definendo una modalità di conseguimento
della stabilità personale attraverso la focalizzazione sull'aspetto viscerale delle
emozioni; questo porta l’individuo a sviluppare una modalità di mantenere la
stabilità personale nella relazione con l’alterità, mantenendo la stabilità delle
condizioni fisiologiche del suo corpo. Più gli scambi con il caregiver sono orientati
ad una precoce e ricorrente attivazione delle emozioni di base e più la percezione
della stabilità personale del bambino coinvolgerà un sistema di riferimento che
impiegherà prevalentemente coordinate centrate sul corpo, andando poi ad
influenzare il modo in cui verrà a determinarsi la riconfigurazione narrativa della
propria esperienza .
14
Ora ritorniamo all'esempio del bambino che sperimenta le coliche e prendiamo in
considerazione uno scenario completamente diverso, quello in cui il caregiver
fornisca in risposta a quella condizione viscerale una risposta sempre diversa e
incostante; questo creerebbe una condizione nella quale sarebbe come se
l'evoluzione non avesse dotato l'organismo di quel meccanismo di “appraisal
automatico” citato precedentemente grazie al quale rispondere a stimoli rilevanti per
la sopravvivenza obbligando il bambino ad una valutazione cognitiva sul contesto,
non potendosi fidare della propria visceralità come sistema di previsione, rendendo
cioè necessario l'ancoraggio ad un sistema di riferimento che impiegherà
prevalentemente un sistema di coordinate centrate sull'esterno.
In questa seconda dimensione, la stabilità personale si genererà in una modalità
definita Outward dove le emozioni “ipercognitivizzate” non saranno più quelle di
base, ma le emozioni definite “socialmente consapevoli” ovvero colte dall'esterno
sulla base della relazione con l'altro e del contesto entro cui questa relazione viene
ad esplicarsi.
Pertanto queste emozioni, solo limitatamente viscerali, subiranno cambiamenti più
rapidi e genereranno una maggior flessibilità al punto che la stabilità personale del
soggetto sarà il risultato del tentativo di sincronizzare la propria emotività con quella
dell'altro, generando una dimensione più cognitiva delle emozioni; in tal senso è
possibile comprendere come si possa manifestare un sentimento di “vuoto” quando
l'altro, che funge da punto di riferimento su cui ancorare la propria stabilità
personale, viene a mancare.
15
1.3
Dallo Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici alla
psicopatologia
1.3.1 La modalità Inward nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi
Fobici
Come già esposto sopra, nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici la
modalità di emozionarsi definita “Inward”, che viene a costituirsi nella storia
personale del soggetto, conduce l'individuo a focalizzarsi nella relazione con gli altri
e con il mondo sull'aspetto viscerale delle sue emozioni, con la conseguenza che la
stabilità personale andrà a coincidere con la stabilità delle proprie condizioni interne.
In questo processo gioca un ruolo chiave la consapevolezza enterocettiva, fungendo
sia da “campo di gravitazione”, costituito da un livello di base le cui fluttuazioni
oltre una certa soglia genererebbero uno stato d'allarme, sia da sistema di riferimento
attraverso cui regolare la propria posizione rispetto al mondo e agli altri, mediante
una serie di azioni finalizzate al mantenimento di quella condizione basale su cui si
erge la propria stabilità personale e quindi il proprio modo di sentirsi situati.
Sono da considerare in questa gamma di potenzialità d’azione i comportamenti di
evitamento che sono intrapresi allo scopo di respingere o allontanarsi da situazioni o
persone che potrebbero costituire una minaccia alla propria stabilità personale.
Esistono diversi studi che mostrano una correlazione tra strategie di coping orientate
all'evitamento e aumento dei livelli di ansia in risposta a sensazioni del proprio
corpo; è stata inoltre osservata una tendenza a ricorrere a strategie di evitamento da
parte delle persone che soffrono di attacchi di panico (Zvolensky e coll., 2004).
In queste ricerche viene studiato il fenomeno dell'evitamento esperienziale, che
occorre quando una persona cerca di controllare una propria condizione interna
(sensazione corporea, emozioni, pensieri, immagini, predisposizioni caratteriali),
evitando di affrontare situazioni che potrebbero alterarla. Viene sottolineato inoltre
come questa strategia di coping, centrata sull’evitamento emozionale, venga
osservata in una vasta gamma di problemi clinici che possono andare dal campo
16
dell'abuso di sostanze, dove si assiste all'utilizzo della sostanza come conseguenza di
uno stressor psicologico, ai Disturbi d’Ansia.
Ritornando allo stile di personalità oggetto della trattazione del nostro lavoro,
Zvolensky e colleghi (2004) affrontano anche il tema dell'agorafobia e sottolineano
come i soggetti agorafobici ricorrano in modo massiccio all'utilizzo di strategie di
coping orientate all'evitamento, sviluppando peraltro nel tempo più disturbi d'ansia
rispetto ai soggetti che utilizzano queste strategie in modo meno marcato.
Il comportamento di evitamento, comunque, è solo una delle possibili modalità
adottate per mantenere stabile il proprio livello di attivazione; esistono infatti
comportamenti volti ad un controllo diretto della propria condizione emozionaleenterocettiva (distrazioni, soppressione delle emozioni) allo scopo di limitare
l'intensità emozionale, al punto di sopprimerla.
Da ciò emerge una focalizzazione esclusiva su questi stati interni e la concomitante
perdita d'attenzione sulle circostanze che li hanno elicitati, determinando nel
soggetto la percezione del proprio corpo come fonte primaria di pericolo.
1.3.2 La dinamica ipseità-alterità nello Stile di Personalità tendente ai
Disturbi Fobici
Quanto sopra esposto ci fornisce una precisa indicazione, quella cioè per cui è a
partire dal corpo che occorre pensare tanto alla psicologia, quanto alle neuroscienze,
ma anche e soprattutto alla psicopatologia, interpretandola nei termini di eccessiva
attivazione fisiologica del corpo.
Questo non può escludere il fatto di considerare l’ipseità, che come abbiamo visto
rappresenta il nostro modo di sentirci sempre gli stessi nel tempo, che non significa
sentirsi sempre uguali, ma gli stessi seppur in modi diversi a seconda dei contesti.
Abbiamo anche visto come la stabilità personale possa essere raggiunta in vari modi,
ovvero attraverso una modalità più centrata su riferimenti corporei, pertanto un
soggetto continua a sentirsi lo stesso attraverso la visceralità oppure attraverso una
17
modalità più centrata su riferimenti contestuali, che sono i vari modi di intendere la
relazione tra corpo proprio ed alterità.
Ritornando al caso specifico dello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici
esiste una dialettica tra ipseità ed alterità del tutto particolare; infatti l'alterità
(mondo-altri) viene, per così dire, ridotta all'ipseità, cioè l'alterità viene percepita
focalizzandosi sui segnali del corpo.
Questo comporta che il significato attribuito tanto alla propria esperienza quanto agli
eventi in corso dipenda dalla valutazione condotta sull'intensità di questi segnali.
Nella sua teoria periferica delle emozioni William James afferma che “i
cambiamenti a livello corporeo derivano immediatamente dalla percezione di un
fatto elicitante e che la nostra percezione dei medesimi cambiamenti nel momento in
cui avviene, è ‘l'emozione’” (James, 1884).
Il segnale corporeo è pertanto interpretato come l'informazione che il corpo genera
per far fronte alle perturbazioni ambientali, mentre la consapevolezza di quel
segnale è l'emozione.
Nel caso specifico di questo stile di personalità, la predominante attenzione
enterocettiva porta il soggetto a prestare una grande attenzione a tutti quegli aspetti
situazionali che potrebbero innescare un cambiamento al livello emozionaleenterocettivo di base del soggetto, generando una serie di azioni finalizzate al
mantenimento di quella condizione basale che determina la stabilità personale.
Nel capitolo successivo vedremo come le neuroscienze hanno inoltre dimostrato che
l'enterocezione gioca un ruolo fondamentale nella percezione delle emozioni;
ovvero, la modalità di emozionarsi tipica di questo stile di personalità, si riflette in
una più accurata capacità di cogliere le risposte viscerali, che influenza a sua volta
l'intensità emozionale.
Damasio (2000) ha identificato l'esistenza di una correlazione tra una precisa
capacità enterocettiva ed una esperienza emozionale più intensa, con il
coinvolgimento di strutture neurali parzialmente sovrapponibili sia nella regolazione
enterocettiva che nella generazione dei processi emozionali (Critchley e coll., 2004).
18
Un ulteriore studio (Pollatos, Traut-Mattausch, Schroeder, 2006) ha confermato
l'esistenza di una relazione tra consapevolezza enterocettiva, ansia e intensità delle
emozioni spiacevoli, confermando come la percezione dei segnali viscerali giochi un
ruolo importante nella eziopatogenesi dei Disturbi d'Ansia.
Nello studio sono state indagate le variabili dell' ansia di tratto e della
consapevolezza enterocettiva in 102 soggetti sani a cui venivano mostrate immagini
neutre e spiacevoli, chiedendo di quantificare l'intensità emozionale percepita ed il
livello di arousal.
I risultati hanno evidenziato come sia la consapevolezza enterocettiva sia l'ansia di
tratto correlavano con i punteggi relativi allo stato di arousal forniti dal soggetto in
riferimento alle immagini spiacevoli .
Nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici, quando l'evento esterno
produce una alterazione del livello emozionale-enterocettivo, che viene interpretato
come un segnale che esce dalla gamma delle sensazioni fisiche familiari, nel
soggetto si genera un senso di pericolo imminente o possibile, che si traduce in una
sensazione di forte ansia.
Questo avviene per qualunque tipologia di emozione a causa del fatto che il soggetto
inizia a focalizzarsi esclusivamente sulla condizione interna, perdendo di vista
l'evento scatenante; pertanto, il battito cardiaco accelerato in risposta ad un evento
che ha prodotto una gioia intensa, viene ad essere posto sotto la lente
d'ingrandimento e, slegato dalla situazione elicitante, viene interpretato come
sintomo e quindi come nocivo.
In conseguenza di questa interpretazione viene a generarsi un forte stato d'ansia, che
muta il modo in cui la persona percepisce se stessa entro il proprio corpo,
alterandone la situatezza.
Quello a cui si assiste è la focalizzazione dell'attenzione alle perturbazioni corporee,
che aumenta il senso di fragilità soggettiva e la propria percezione di instabilità,
innescando quella che viene definita “paura della paura”.
19
CAPITOLO 2
L’ESPERIENZA
EMOZIONALE
ED
I
SUOI
CORRELATI NEUROPSICOLOGICI NELLO STILE
DI
PERSONALITÀ
TENDENTE
AI
DISTURBI
FOBICI
L’essere-nel-mondo, in quanto tale,
è un essere-corpo, ma non solo un esser-corpo.
(Heidegger, 1987)
2.1
La stabilità personale e l’esperienza soggettiva
L’esperienza vissuta del proprio corpo è uno degli aspetti fondamentali per capire la
relazione tra il senso di stabilità personale ed i modi dell’individuo di sentirsi situato
in un contesto di riferimento.
La persona non può avere un’esperienza di sé, se non è un corpo. Nella possibilità
dell’esperienza, il corpo, inteso come Leib, il corpo vivo, è un principio costitutivo
in quanto è implicato nella nostra relazione con il mondo, configurandola come un
insieme di potenzialità di azione.
Essere situati nel mondo non significa semplicemente avere una collocazione
spaziale da qualche parte nell’ambiente fisico, ma essere in rapporto con le
circostanze che sono significative da un punto di vista corporeo (Gallagher e Zahavi,
2009).
L’indagine fenomenologica del corpo cerca di comprendere fino a che punto la
nostra esperienza del sé, degli altri, del mondo sia formata e influenzata dalla nostra
corporeità.
In questa parte si cercherà di analizzare l’esperienza emozionale dei soggetti con
Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici, il cui modo di emozionarsi è
20
prevalentemente centrato sui segnali interni del corpo. Dato che l’esperienza
corporea risulta qui fondamentale per avere un senso di stabilità personale, ci siamo
chieste come il corpo struttura l’esperienza, ossia come plasma il modo primario di
essere nel mondo di questi soggetti. Abbiamo cercato di rispondere a questo
interrogativo partendo dall’esperienza soggettiva della persona ed avvalorandoci del
contributo delle recenti evidenze neuroscientifiche.
Nella prima parte di questo lavoro, abbiamo visto come la caratteristica
fondamentale dello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici sia l’ancoraggio
della stabilità personale ad una cornice di riferimento che usa prevalentemente un
sistema di coordinate centrate sul corpo per far fronte alla variabilità situazionale
(Arciero, 2009). Ciò significa che il senso della permanenza nel tempo del soggetto,
nei confronti del contesto di riferimento, è focalizzato sulle condizioni corporee, in
particolare sull’aspetto “viscerale” delle emozioni.
Questa forma di inclinazione della stabilità personale, tipica della personalità
Inward, è caratterizzata da una dialettica in cui la percezione dell’alterità, cioè degli
altri e del mondo in generale, coincide con l’ipseità. È come dire che la stabilità
personale coincide con la stabilità delle condizioni del proprio corpo. Nel soggetto
con questo stile di personalità, il suo modo di sentirsi situato è focalizzato in
prevalenza sulla percezione degli stati interni, trascurando quel “pezzo” di mondo
con cui questi stati interni sono in relazione.
In questa dialettica un ruolo chiave è determinato dalla consapevolezza
enterocettiva, cioè dalla maggiore predisposizione a percepire le alterazioni
fisiologiche del proprio corpo. La consapevolezza enterocettiva determina il modo
di sentirsi, all’interno di un livello di attivazione fisiologica basale, le cui
fluttuazioni, oltre il livello base, generano uno stato di allarme.
È
attraverso la percezione dell’intensità e della configurazione di questi segnali
corporei che il soggetto attribuisce significato alla propria esperienza emotiva.
L’esperire questo senso di stabilità alterata porta ad una forte percezione di fragilità,
una sorta di diminuzione dell'auto-efficacia, che fa aumentare la vigilanza verso le
21
sensazioni corporee, amplificandole e contribuendo all’ aumento della sensazione
generale di pericolo.
Dato che il senso di permanenza del self è prevalentemente centrato sul corpo in
questo stile di personalità, maggiore è l'instabilità percepita, maggiore sarà la
vigilanza del corpo e la probabilità di percepire sensazioni minacciose.
Dall'altra parte, la persona che sente di essere in uno stato di fragilità
progressivamente distanzia la sua esperienza dal suo oggetto intenzionale. Al fine di
mantenere la stabilità, il soggetto sposta il focus della sua attenzione dalla situazione
in corso alle sue sensazioni corporee. Per esempio, l'aumento della frequenza
cardiaca che si verifica quando il soggetto sale qualche rampa di scale non sarà più
percepito come qualcosa relativo allo sforzo fisico ma potrà essere sentito
esclusivamente come evento somatico, che viene amplificato attraverso il focus
attenzionale e rimosso dalla condizione che lo ha generato. Attraverso questa
operazione, che separa il corpo della persona dal mondo, un caso semplice di
tachicardia provocato dallo sforzo, viene ad essere sentito come un cuore
tachicardico che minaccia l'organismo, aumentando così ulteriormente il senso di
fragilità della persona.
Lo stato emotivo innescato da una situazione perde, così, il suo riferimento alla
situazione e si riduce a segnale corporeo che, andando oltre il livello basale, è
percepito come un pericolo per la stabilità personale.
Questo primato dell'enterocezione si manifesta in modo piuttosto inaspettato nel
caso delle emozioni. Per esempio, prendiamo il caso dell’iperventilazione associata
ad uno stato di paura che segue l'evitamento di un incidente. Una volta che
l'iperventilazione è rimossa dalla situazione che l'ha scatenata (attraverso un
aumento del focus dell'attenzione sul corpo), essa è percepita come il sintomo di una
respirazione alterata. L'iperventilazione derivante dalla manifestazione di paura
diventa allora il sintomo di una condizione alterata che espone l'integrità del
soggetto a rischio.
In conclusione, nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici, l’alterità è
ridotta al mantenimento della permanenza del sé, definendo la gamma di
22
modulazioni enterocettive e di azioni possibili che rendono sicura e stabile la
l’integrità della persona; ciò spiega perché il soggetto tende a prevedere, ed
eventualmente a evitare, le situazioni contingenti, ritenute come circostanze
eccessivamente attivanti dal punto di vista emotivo e viscerale. Ogni sensazione ed
emozione, quindi, la cui intensità va oltre un certo limite, può essere percepita come
nociva e genera uno stato di ansia che cambia il modo stesso in cui la persona
percepisce se stessa all'interno del suo corpo. La consapevolezza enterocettiva è
strettamente legata alla esperienza emozionale del soggetto che esperisce la
situazione e le attivazioni fisiologiche concomitanti. Dal punto di vista esperienziale,
i soggetti con questo stile di personalità non solo sembrerebbero avere una maggiore
percezione dei loro stati viscerali ma riportano anche resoconti verbali di esperienze
emozionali più intense. La correlazione tra consapevolezza enterocettiva e questo
tipo di esperienza emotiva è stata anche confermata dai risultati dei recenti studi
neuroscientifici.
2.2
La sensibilità enterocettiva ed il senso delle condizioni
fisiologiche del corpo: breve rassegna di ricerche
2.2.1 Il livello di attivazione di base ed i meccanismi neurali coinvolti
L’essere umano, nel percepire le sensazioni provenienti dal suo corpo, che sono in
relazione con i suoi stati emotivi, trae il senso delle condizioni fisiologiche
dell’intero organismo. Da un punto di vista convenzionale, oltre alle sensibilità
specifiche, dotate di un organo sensoriale localizzato, esistono nell’organismo altri
tipi di sensibilità, che potrebbero essere definite “a recettori diffusi”, poiché non
sono dotate di un solo sito recettoriale specifico, ma sono caratterizzate da
innumerevoli recettori, distribuiti su tutto il corpo. Fanno parte di questo gruppo la
sensibilità esterocettiva, la sensibilità enterocettiva e quella propriocettiva
(Marchetti e Pillastrini, 1997).
23
La sensibilità esterocettiva fornisce informazioni dettagliate riguardanti il mondo
esterno, quella enterocettiva o viscerale informa sullo stato degli organi viscerali
deputati
alle
funzioni
metaboliche
dell’organismo,
mentre
la
sensibilità
propriocettiva riguarda l’insieme delle informazioni sulla posizione ed il movimento
del corpo.
In questa classificazione le sensazioni più discriminate, per esempio, quelle della
temperatura, del prurito e del dolore erano associate ad un sistema somatosensoriale
“esterocettivo”, mentre le sensazioni meno discriminate dell’attività vaso-motoria,
come quelle della fame e della sete erano associate ad un sistema separato
“enterocettivo” (Craig, 2003).
Tuttavia, da un punto di vista esperienziale, la suddivisione tra un aspetto
esterocettivo ed uno enterocettivo della sensibilità ha portato a trascurare il ruolo
dell’esperienza del soggetto che sente le sensazioni e le emozioni nel corpo in un
certo modo. Recenti scoperte, che inducono un cambiamento concettuale, risolvono
queste questioni mostrando come tutte le sensazioni del corpo siano “rappresentate”
in un sistema filogeneticamente nuovo, che si è evoluto dall’antico sistema
omeostatico che mantiene l’integrità del corpo. Tale sistema si è originato dalle
afferenze del sistema limbico, che, da un punto di vista evolutivo, è il sistema che
mantiene l’integrità del corpo. Le sensazioni viscerali organizzate da questo
complesso neurale, permettono alla persona di avere un senso delle condizioni
fisiologiche dell’intero corpo e ridefiniscono la categoria “enterocezione”.
Questo sistema omeostatico afferente, implicato nell’enterocezione, coinvolge
principalmente i nuclei mediali ventrali che proiettano alla corteccia enterocettiva
nel margine dorsale dell’insula che, a sua volta, ha connessioni con la corteccia
anteriore del cingolo, con l’amigdala, con l’ipotalamo e con la corteccia orbitofrontale. Studi di neuroimaging hanno rivelato che la corteccia enterocettiva è
attivata in gran parte da stimoli nocivi (dolore), dalla temperatura (Craig, 2002), dal
solletico, dall’esercizio muscolare (Williamson e coll., 2001), dall’attivazione
cardio-respiratoria, dalla fame, dalla sete e dal tocco sensuale (Olausson e coll.,
2002). Tale zona corticale è ben delimitata dall’architettura per i recettori dei fattori
24
di rilascio della corticotropina, ricoprendo un importante ruolo nell’omeostasi, come
la corteccia sensoriale limbica (Craig, 2003).
Già il fisiologo americano Walter Bradford Cannon (1939) aveva riconosciuto che i
processi neurali che mantengono l’equilibrio fisiologico ottimale nel corpo, o
omeostatico, dovevano ricevere afferenze che riportavano la condizione dei tessuti
del corpo (Canali e Pani, 2003).
La regolazione nell’attivazione emozionale dell’organismo, che permette il
mantenimento della stabilità personale, è coinvolta nell’attivazione fisiologica
basale, le cui fluttuazioni oltre il livello soggettivo di base, e quindi non famigliare
al soggetto, generano uno stato di allarme. Questo meccanismo caratterizza lo Stile
di Personalità tendente ai Disturbi Fobici.
Le evidenze neuroscientifiche riportate, non solo ci permettono di capire come
l’organismo possa avvertire uno stato di allarme in presenza di un’alterazione della
stabilità personale e quindi, dal punto di vista neurale, del sistema omeostatico, ma
anche come una stessa sensazione possa essere interpretata in modo differente dallo
stesso soggetto, spiegando la natura distinta del dolore, della temperatura, del
solletico del tocco sensuale e di altre sensazioni corporee dalla semplice meccanoricezione cutanea (tocco somatosensoriale). In uno studio di fMRI, Bingel e colleghi
(2003) mostrano come la sensazione del dolore attivi aree cerebrali diverse,
indicando la complessità della percezione del dolore. Le aree coinvolte nella
codifica
del lato
di una stimolazione dolorosa riguardano
la corteccia
somatosensoriale primaria e secondaria, l’insula e il talamo, confermando che in una
sensazione dolorifica si distingue l’attivazione di una corteccia enterocettiva dalla
corteccia somatosensoriale vicina. Diverse ricerche hanno indagato il ruolo
dell’insula e della corteccia del cingolo nella consapevolezza enterocettiva e nel
controllo volontario dell’arousal.
Damasio (2003) ipotizza che le basi neurali della consapevolezza siano legate anche
al meccanismo enterocettivo che implica l’attivazione della parte destra dell’insula.
In uno studio di fMRI, in cui si cercavano di individuare le basi neurali implicate nel
controllo volontario dell’attivazione autonomica, Critchley e colleghi (2001) hanno
25
osservato un’attivazione dei circuiti della corteccia cingolata anteriore, dell'amigdala
e dell’insula in un compito di controllo enterocettivo in cui i soggetti venivano
addestrati a modulare attivamente l’eccitazione corporea mediante la tecnica di
rilassamento del biofeedback; inoltre, sono state riportate variazioni dell’attività
dell'insula anteriore correlate alla precisione ed alla sensibilità del feedback.
Phillips e collaboratori (2003) hanno dimostrato l’esistenza di una forte correlazione
tra l’attivazione dell’insula anteriore destra e della corteccia cingolata anteriore e
l’aumento dell’ansia prodotta dalla distensione viscerale durante la visione di facce
che esprimevano paura.
I risultati di queste ricerche, il cui obiettivo era quello di individuare i meccanismi
neurali implicati nella sensibilità enterocettiva ed i circuiti deputati al mantenimento
dell’equilibrio emotivo-viscerale, hanno portato a sollevare l’ipotesi secondo cui la
consapevolezza enterocettiva abbia un ruolo primario nell’intensità dell’esperienza
emozionale soggettiva, soprattutto nella predisposizione ai disturbi ansiosi e fobici.
2.2.2 Correlazione
tra
consapevolezza
enterocettiva,
esperienza
emozionale e disturbi fobici
In un articolo piuttosto recente di Stefan Wiens, dal titolo L’enterocezione
nell’esperienza emozionale (Wiens, 2005), l’autore, dopo aver analizzato alcune
teorie sulle emozioni e le evidenze emerse dagli studi di brain imaging, propone un
modello di relazione ipotetica tra l’enterocezione e l’esperienza emozionale. Il
modello descritto mette in relazione tre aspetti dell’enterocezione (percezione di
cambiamenti fisiologici illusori, percezione di cambiamenti fisiologici reali,
integrazione a livello centrale dei feedback corporei) e due livelli dell’esperienza
emozionale (livello fenomenologico pre-riflessivo e livello della consapevolezza) e
potrebbe servire come guida per la ricerca sul ruolo dell’enterocezione nelle
modalità di esperire le proprie emozioni.
Negli ultimi anni le ricerche nel campo delle neuroscienze hanno cercato di
individuare i meccanismi neurali coinvolti nella consapevolezza enterocettiva ed
26
hanno osservato come questa tendenza a percepire in un certo modo i segnali
corporei sia legata ad un determinato tipo di esperienza emotiva del soggetto che
vive una certa situazione.
In uno studio di fMRI, Critchley e collaboratori (2004) hanno individuato le regioni
cerebrali coinvolte in un compito di consapevolezza enterocettiva, dove i soggetti
dovevano rilevare il timing del loro battito cardiaco. Lo stimolo era costituito da un
segnale (visivo o sonoro), innescato dal battito cardiaco del soggetto, la cui
presentazione al soggetto era fatta con un intervallo di tempo variabile. Il compito
del soggetto era di dire quando il feedback era sincrono con la propria frequenza
cardiaca. L’accuratezza della prestazione del soggetto era un indice di maggiore
consapevolezza enterocettiva e sensibilità. È stato chiesto inoltre di riportare la
propria esperienza emozionale relativa alla propria sensibilità enterocettiva,
mediante questionari che indagavano la predisposizione ai sintomi dell’ansia
(Hamilton Anxiety Scale, HAMA), della depressione (Beck Depression Inventory,
BDI) e sull’esperienza emotiva positiva e negativa (PANAS). Le persone
classificate come “viscerally aware” avevano ottenuto una prestazione migliore nel
rilevamento dei propri battiti cardiaci e sono state descritte come più espressive dal
punto di vista emotivo; questi soggetti potrebbero provare emozioni di intensità più
elevate e predire le conseguenze del comportamento alla presentazione di stimoli
subliminali. Condizioni psicologiche particolari, specialmente come i Disturbi
d’Ansia, sono caratterizzate dall’aumento dell’attenzione sui segnali corporei. Gli
individui con alti livelli di ansia basale hanno una performance migliore nei compiti
di consapevolezza enterocettiva. I risultati neuroanamotici hanno mostrato che
quando il soggetto dirige l’attenzione sull’informazione relativa agli stati interni del
proprio corpo, si attivano le regioni della corteccia insulare ed orbitofrontale. La
precisione del soggetto nel rilevamento del battito cardiaco correla con l’attività
dell’insula anteriore destra e con resoconti di esperienze emotive personali negative.
Inoltre è stato osservato che l’attivazione dell’insula anteriore è coinvolta nella
motilità viscerale, cioè nelle emozioni basiche, quali, per esempio, la paura.
27
Altri ricercatori hanno ipotizzato che le persone con maggiore consapevolezza
enterocettiva tendano ad utilizzare i segnali interni (gut feelings) per predire le
conseguenze di stimoli subliminali. In una ricerca di Katkin e collaboratori (2001) è
stata confermata l’ipotesi secondo cui in compiti di condizionamento subliminale, i
buoni rilevatori del battito cardiaco avrebbero previsto l’avvenimento di uno shock
rispetto ai rilevatori non accurati. Quando ai soggetti erano mostrati stimoli
subliminali, consistenti in immagini mascherate di eventi paurosi (ragni e serpenti),
alcune di queste associate in modo coerente a scosse elettriche, essi potevano
prevedere il verificarsi di shock, anche se non erano consapevoli delle immagini che
avevano visto. I ricercatori avevano ipotizzato che i soggetti erano in grado di
utilizzare la percezione di stimoli viscerali innescati dalla risposta condizionata della
paura per facilitare la previsione di shock. In questo studio, la capacità di rilevare il
battito cardiaco è stato utilizzato come indice della sensibilità ai segnali viscerali. È
stato riscontrato che i soggetti in grado di rilevare i loro battiti cardiaci avevano un
rendimento migliore nel predire la possibilità di ricevere uno shock, anche se non
avevano ricevuto uno shock durante l'attività di condizionamento. I risultati
confermano l'idea che le esperienze emotive di paura e ansia anticipatoria si basano
in parte sulla percezione di stimoli viscerali.
Diversi studi hanno cercato di esaminare la relazione tra i resoconti di esperienze
emozionali e le differenze individuali nella percezione viscerale dei propri stati
emotivi. Per esempio, in una ricerca di Wiens e colleghi (2000) ai soggetti, che
prima si erano sottoposti ad un compito di rilevazione del proprio battito cardiaco
per poter essere classificati come accurati rilevatori e non accurati rilevatori,
venivano presentati due set di video filmati che elicitavano una delle tre valenze
emozionali (gioia, paura, rabbia). I soggetti poi dovevano riportare le loro risposte
emotive ai video filmati su una scala a 9 punti che indicava l’intensità e la
piacevolezza. Gli accurati rilevatori del battito cardiaco riportavano emozioni più
intense rispetto ai rilevatori meno accurati in tutte e tre le valenze emotive, ma non
sono state trovate differenze significative sulla valutazione della piacevolezza tra i
gruppi.
28
Molte evidenze neuroscientifiche sembrano suggerire quindi non solo che esiste una
correlazione tra la sensibilità delle persone ai segnali viscerali e l'intensità della loro
esperienza emozionale, ma anche che questa correlazione è responsabile del diverso
modo in cui sono percepiti gli stati emozionali da certi soggetti. Ciò sembrerebbe
indicare una correlazione tra la predisposizione ad alcune esperienze emozionali
come paura e ansia, legate all'attivazione della motilità viscerale, e lo sviluppo di
una maggiore sensibilità verso i segnali enterocettivi. Una spiegazione possibile
della correlazione tra un'enterocezione più accurata e un'esperienza emozionale più
intensa è il fatto che le strutture neurali responsabili per la regolazione enterocettiva
sembrano anche essere implicate nella generazione dei processi emozionali
(Damasio, 2000). Questo comporta una parziale sovrapposizione tra il sistema
neurale enterocettivo e le aree associate con l'attivazione emozionale. L'insula
anteriore rappresenta il substrato comune sia della consapevolezza enterocettiva sia
delle emozioni. Vediamo in che modo.
L’insula o, più propriamente, il lobo dell’insula, si trova nel fondo della scissura
laterale o del Silvio. Se esaminiamo le sue connessioni con la corteccia cerebrale e i
centri sottocorticali, possiamo suddividere l’insula in due settori dotati di proprietà
funzionali differenti: una regione anteriore “viscerale” (che coincide con l’insula
agranulare e la parte anteriore dell’insula disagranulare) e una regione posteriore
polimodale (che comprende la parte posteriore dell’insula disagranulare e l’insula
granulare). La regione anteriore è fortemente connessa con i centri olfattivi e
gustativi; inoltre, riceve informazioni dalla regione anteriore della parete ventrale
del solco temporale superiore, un’area in cui vi sono molti neuroni che rispondono
alla vista delle facce. Di contro, la regione posteriore è contraddistinta da
connessioni con le aree corticali uditive, somatosensoriali e premotorie. Di recente si
è scoperto che l’insula rappresenta l’area corticale primaria non solo per
l’esterocezione chimica (olfatto e gusto), ma anche per l’enterocezione, ovvero la
ricezione dei segnali relativi agli stati interni del corpo. Questi segnali, dopo esser
transitati per il midollo spinale, raggiungono specifici settori del talamo, i quali, a
loro volta, proiettano in maniera topografica a vari settori dell’insula. Tutto ciò è
29
ancora più interessante se teniamo presente che l’insula, e in particolare la sua
regione anteriore, è un centro di integrazione viscero-motoria: se stimolata
elettricamente produce, infatti, una serie di movimenti corporei che, a differenza,
però, di quelli indotti dalla stimolazione delle aree motorie, sono accompagnati da
una varietà di risposte viscerali quali, per esempio, aumento del battito cardiaco,
dilatazione delle pupille, conati di vomito, ecc. (Rizzolatti e Sinigaglia, 2006).
Questo elemento condiviso potrebbe spiegare perchè, nel caso di molti soggetti
tendenti a fobia, l'attivazione emozionale coincide con una percezione più acuta
delle condizioni fisiologiche del corpo.
Un altro tratto ugualmente significativo che mostrano le persone con Stile di
Personalità tendente ai Disturbi Fobici - che tendono a preservare il senso di
permanenza nel tempo attraverso la stabilità dell'attivazione enterocettiva - è il
bisogno di far fronte e di anticipare le condizioni che possono alterare la stabilità,
generando campi di azione per affrontare lo stimolo ambientale. È stato dimostrato
come alcuni soggetti (che sono più in grado di altri di percepire i loro battiti
cardiaci) possano anticipare stimoli negativi attraverso la percezione dei loro segnali
enterocettivi, e quindi prepararsi ad anticipare gli eventi che destabilizzerebbero il
loro senso di stabilità personale (Katkin e coll., 2001).
I risultati di queste ricerche sono in linea con l’ipotesi di Bertolino, Arciero e
collaboratori (2005) secondo cui soggetti con differenti stili di personalità hanno
generato nel corso dell’ontogenesi diverse modalità di strutturazione del dominio
emotivo (in particolare la paura) e di ordinamento e coerenza semantica della storia
personale; pertanto, la valenza emotiva che uno stesso stimolo è in grado di elicitare
deve variare in relazione al tipo di personalità in esame. Nei soggetti con stile di
personalità tendente ai disturbi fobici, essendosi strutturata una maggiore
consapevolezza enterocettiva, il senso di sé è regolato dalla capacità di fronteggiare i
pericoli che vengono dal mondo fisico (ivi compreso il corpo). La perdita di
controllo su questi parametri fa scattare l’allarme suscitando la paura e alterando il
senso di sé. Temi di libertà, di sfida del pericolo, di invincibilità sono comunemente
30
intrecciati con tematiche che riguardano la salute, l’amicizia, la stabilità affettiva
(Arciero, 2006).
Dal punto di vista neuro-fisiologico per i soggetti inward con tendenze fobiche c’è il
reclutamento di circuiti neurali primariamente associati alla paura in generale e ai
correlati viscerali (amigdala e, come abbiamo visto nella consapevolezza
enterocettiva, l’insula) che predispongono questo tipo di personalità ad una
sensibilità più pronunciata agli stimoli allarmanti.
I dati disponibili suggeriscono che la sensibilità enterocettiva più precisa potrebbe
essere considerata un fattore predisponente nello sviluppo di alcuni Disturbi
d’Ansia.
2.3
Il pensiero catastrofico legato alla sofferenza
Nel capitolo “Il cervello pensoso del corpo” della sua opera L’errore di Cartesio,
Antonio Damasio spiega l’importanza delle sensazioni corporee, dell’aspetto
“viscerale”, nel dare un certo significato al proprio modo di sentirsi situati nel
mondo, e quindi di attribuire un dato significato al contesto di riferimento:
“E per tutelare la sopravvivenza del corpo con la più grande efficacia possibile, la
natura – io credo – si imbattè in una soluzione molto potente: rappresentare il
mondo esterno in termini di modificazioni che esso provoca nel corpo, cioè
rappresentare l’ambiente modificando le rappresentazioni primordiali del corpo
ogni volta che si ha un’interazione tra organismo e ambiente” (Damasio, 1994).
Abbiamo visto come lo Stile di Personalià tendente allo sviluppo di Disturbi Fobici
sia caratterizzato da una maggiore sensibilità enterocettiva a percepire i segnali
corporei interni per regolare e mantenere il senso di stabilità personale. Un aspetto
legato a questo modo di sentirsi situati è il fatto che una condizione di ansia acuta,
oltre il livello base, percepita quindi come minaccia per l’integrità dell’organismo
(che dal punto di vista neurale attiva anche i meccanismi legati alla paura),
simultaneamente corrisponde alla generazione di pensieri e immagini volte ad
anticipare i possibili sviluppi della situazione in corso.
31
Momenti particolarmente impegnativi nella vita emotiva di una persona
corrisponderebbero ad un aumento dell'attenzione, e quindi ad una acuta
amplificazione delle sensazioni corporee, oltre ad un aumento della reattività
dell'amigdala, probabilmente tramite una via diretta spino-talamica. Mentre questo
aumento dell'attenzione verso le perturbazioni corporee fa incrementare le
possibilità di percepire segnali enterocettivi come minacciosi, esso contribuisce alla
percezione di una
condizione di instabilità, facendo sentire l'individuo più
vulnerabile, e così più predisposto a considerare eventi fisici innocui come
pericolosi (per la propria stabilità). La condizione di stabilità alterata genera
simultaneamente una gamma di anticipazioni concernenti le possibili conseguenze
della situazione (di pericolo) in corso. Dal punto di vista della persona che sta
provando una profonda alterazione del suo senso di permanenza cioè,
l’interpretazione catastrofica dei propri segnali corporei, rappresenta un tentativo di
prevedere i possibili sviluppi della situazione. Si può sostenere, pertanto, che la
previsione serve come un mezzo per far fronte alla situazione, anticipandone i
possibili esiti.
Una volta percepito l’aumento dell’attivazione fisiologica oltre il livello di base, il
soggetto si sente particolarmente fragile. Questa condizione di stabilità alterata
genera una gamma di anticipazioni concernenti le possibili conseguenze della
situazione percepita come pericolosa per la propria condizione di vulnerabilità. Per
esempio, in uno sforzo fisico, se la tachicardia è percepita come sintomo,
separandola dal contesto in cui si è verificata, e se questa sensazione causa una acuta
sensazione di pericolo che riguarda l’intero organismo, l’anticipazione degli esiti
della tachicardia non può che essere un attacco di cuore e ciò che segue ad esso:
l’arrivo dell’ambulanza, l’ospedalizzazione ed eventualmente la morte.
Vari approcci hanno cercato di spiegare l’origine di questa interpretazione distorta
delle proprie sensazioni corporee.
In diversi campi lo studio di questo tipo di credenze è considerato un elemento
chiave per la comprensione della psicopatologia dei Disturbi d’Ansia. L'approccio
comportamentista suggerisce che la causa dell’ansia sta nel processo del
32
condizionamento, per cui, per esempio, la fobia è considerata una risposta
condizionata ai segnali enterocettivi che hanno preceduto il panico in passato.
(Pensiamo al caso del piccolo Albert studiato dallo psicologo comportamentista
John Watson). Da un punto di vista cognitivista, le fobie emergerebbero come
conseguenza di inappropriate credenze di minaccia (pensieri catastrofici) sulle
perturbazioni corporee (Clark, 1986). Il filone della terapia razionale emotiva di
Albert Ellis (1962), per esempio, concentra l’intervento clinico sulle “idee
irrazionali” che conducono alla patologia, in quanto in esse le distorsioni o bias
cognitivi sono legate alla generazione di significati disfunzionali correlati allo
sviluppo del disturbo. Secondo il modello dei disturbi affettivi proposto da Wells
(2000) nei Disturbi d’Ansia le informazioni vengono elaborate in modo
disfunzionale (per esempio favorendo le valutazioni negative e l’elaborazione autocentrata), con una riduzione della flessibilità necessaria per poterli modificare (Bara,
2005).
Le questioni che questi approcci sollevano, che tuttavia sono senza risposta, sta nel
perchè una volta percepita, la sensazione corporea sarebbe interpretata in un modo
catastrofico (Arciero, 2009).
Analizzando i risultati delle recenti ricerche neuroscientifiche, ci siamo chieste
perché la maggiore sensibilità enterocettiva ai propri stati corporei porta ad avere
credenze catastrofiche circa gli esiti di quei segnali interni. Ed inoltre, qual è
l’esperienza soggettiva legata a questo pensiero catastrofico?
Un'evidenza interessante, rispetto a ciò, emerge dagli studi sulle basi neurologiche
della stretta collaborazione tra i disturbi dell'equilibrio e l'ansia. I dati anatomici e
fisiologici possono rendere più chiara la genesi di un sintomo in particolare, le
vertigini psicogene.
2.3.1 Vertigini psicogene e sensazione di instabilità
Il riconoscimento di una stretta associazione tra ansia e vertigini è stato un elemento
integrante della letteratura medica fin dall'antichità. Una stretta associazione tra
33
ansia e capogiri è stata sottolineata anche da Sigmund Freud in un documento
iniziale sulla nevrosi d'ansia, una componente importante nella formulazione
psicodinamica delle vertigini psicogene (Balaban e Jacob, 2001). Più di recente, è
stata riconosciuta una maggiore specificità della situazione in cui si presentano
alcuni sintomi. In mancanza di una nomenclatura uniformemente accettata, molti
termini sono stati utilizzati in modo incoerente per indicare questo fenomeno; essi
includono
“vertigini
soggettive”,
“vertigine
posturale
fobica”,
“vertigini
psichiatriche”, “vertigini psichiche”, “vertigini psicogene”, “capogiri” o “vertigini
psicofisiologiche” (Staab, 2006).
Dal punto di vista clinico le vertigini psicogene si caratterizzano generalmente per
una sensazione vaga o dissociata di instabilità dell’equilibrio a causa della
compromissione a livello centrale dell’ integrazione sensoriale e dei segnali motori
nei pazienti affetti da ansia acuta e cronica. La sensazione vertiginosa è tipicamente
persistente (cioè, spesso della durata di mesi o di più), protratta (cioè, della durata di
ore), con periodiche riacutizzazioni, spesso segnate da episodi di iperventilazione
pre-sincope (ad esempio, con affanno, iperpnea, parestesie e anche spasmo carpopedale, cioè spasmo simultaneo degli arti superiori e inferiori) (Staab e Ruckenstein,
2007). Possono essere provocate da specifici fattori, come ad esempio la presenza di
folle, l’essere alla guida o il trovarsi in luoghi confinati (ad esempio, ascensori). Gli
episodi sono spesso descritti male, ma alcuni pazienti possono segnalare una svolta
"all'interno della testa" o "sensazioni a dondolo" mentre camminano, piuttosto che
un senso di rotazione della testa o del mondo che gira intorno alla testa. Esse
possono essere accompagnate da manifestazioni evidenti di ansia, tra cui
apprensione, paura, nervosismo, tensione, agitazione e manifestazioni autonomiche
(ad esempio, tachicardia, ipertensione e freddezza delle estremità), senza uno
stimolo chiaramente identificabile.
Le vertigini sono considerate "psicogene" solo se rientrano in una manifestazione
clinica di carattere psichiatrico e non possono essere spiegate da un disturbo
vestibolare (Jacob, 2004).
34
Proprio perché i pazienti si lamentano di vertigini croniche aspecifiche, senza una
apparente causa fisica non vuol dire che il problema non abbia una diagnosi.
In un recente studio (Levin, 2007) condotto su 2.400 pazienti, con una
sintomatologia varia comprendente vertigini, capogiri e sensazioni di squilibrio, i
ricercatori hanno studiato in modo prospettico 345 pazienti per i quali inizialmente
non era stata riconosciuta alcuna causa medica di vertigine. Ogni paziente si è
sottoposto a tre tipi di esami: esami neurologici e audiometrici, compresi i test di
funzionalità dell’equilibrio; esami di risonanza magnetica funzionale; valutazione di
sintomi
psichiatrici
mediante
una
somministrazione
dell’Intervista
Clinica
Strutturata per il DSM. Al termine di queste valutazioni, a quasi tutti i pazienti (n =
339) sono stati diagnosticati disturbi psichiatrici o neurologici. Dei 345 soggetti
studiati, quasi il 60% era affetto da disturbi d'ansia e il 33% dei soggetti con
vertigine psicogena aveva una diagnosi principale psichiatrica.
Diversi studi hanno confermato una correlazione tra disturbi d’ansia e vertigini
psicogene.
In una ricerca di Eckhardt e colleghi (2003) condotta su 202 pazienti affetti da
vertigini e valutati con test otoneurologici ed esame psichiatrico, tra cui la
somministrazione di interviste strutturate del DSM-IV e dello State-Trait Anxiety
Inventory (STAI), è stato riscontrato che nel 28% dei pazienti le vertigini avevano
origine organica, in più del 70 % erano di origine psicogena e in più del 16% sono
state trovate cause organiche associate a concomitanti disturbi psichiatrici. I risultati
indicano che i disturbi psichiatrici, soprattutto i Disturbi d'Ansia, dovrebbero essere
inclusi nella diagnosi differenziale in pazienti con una lunga durata di vertigini.
Come questi soggetti sono particolarmente dipendenti dai segnali dell'equilibrio
propriocettivo per mantenere il loro equilibrio, mentre prestano poca attenzione
all'informazione visiva e vestibolare dell'equilibrio (Jacob e coll., 1997, 2001; Staab,
2006; Ruckenstein, 2007; Ruckenstein e Staab, 2009), essi possono percepire
un'esperienza di inadeguata stabilità in situazioni dove il senso delle condizioni
fisiologiche dell'intero corpo è alterato (come nel caso di uno stato di paura). Un
ruolo chiave potrebbe essere qui giocato dal nucleo parabrachiale, che rappresenta
35
un'area di convergenza dei segnali vestibolari e somatici e del processamento
dell'informazione sensori-viscerale nelle vie che sembrano essere coinvolte nel
condizionamento dell'evitamento, l'ansia e la paura condizionata (Balaban e Thayer,
2001; Balaban, 2004).
2.3.2 Amigdala, circuiti neurali, instabilità personale: una possibile
correlazione nella generazione di credenze distorte?
La maggiore sensibilità enterocettiva porta alcuni soggetti a sentirsi più
frequentemente vulnerabili ai segnali del corpo, sviluppando una sorta di paura delle
sensazioni legate all'ansia. Questi individui possono sviluppare una forma acuta o
cronica di ipocondria, accompagnata da agorafobia o da attacchi di panico. Molti
studi suggeriscono un ruolo dell'amigdala nell'iniziale processamento rapido e
automatico degli stimoli rilevanti per la paura (LeDoux, 1998; Ohman e Mineka,
2001; Larson e coll., 2006). Altre evidenze rivelano che, in alcuni casi, gli individui
ansiosi mantengono di più l'attenzione agli stimoli legati alla minaccia rispetto ad
altre persone (Fox, Russo, Dutton, 2002).
In una ricerca di Stein e colleghi (2007) è stata riscontrata una maggiore reattività
dell’amigdala durante l’elaborazione di alcuni tipi di stimoli emotivi (ad esempio,
paura e rabbia) in pazienti con Disturbi d'Ansia. Tra i soggetti reclutati sono stati
individuati quelli che presentavano ansia di tratto. I soggetti si sono sottoposti a
risonanza magnetica funzionale durante un compito di valutazione dell’emozione di
un volto; è stata riscontrata l’attivazione della parte posteriore sinistra dell’amigdala
e delle relative strutture limbiche. I risultati suggeriscono che nei soggetti tendenti
all’ansia vi è una maggiore attivazione dell'amigdala bilaterale e dell’insula anteriore
bilaterale ai volti che esprimono emozioni negative.
C'è una ricchezza di elementi che dimostrano che gli individui con alti livelli di
ansia di tratto prestano maggiore attenzione agli stimoli di minaccia rispetto a quelli
con bassi livelli di ansia di tratto. A questo proposito Koster e colleghi (2006) hanno
studiato se questo bias attenzionale è legato alla predisposizione a dirigere
36
l’attenzione alla minaccia oppure ad una difficoltà a svincolare l'attenzione dalla
minaccia. I risultati ottenuti forniscono elementi di prova per modelli differenziali di
bias ansia-correlati nel processamento attentivo dello stimolo di minaccia nelle fasi
iniziali rispetto a successive operazioni di elaborazione delle informazioni.
Altri studi, inoltre, hanno riportato un'assenza dell'attivazione dell'amigdala durante
periodi protratti di provocazione di sintomi; ciò lascia ipotizzare che il
processamento prolungato degli stimoli fobici e le corrispondenti reazioni emotive
sia basato sull'attivazione di altre regioni cerebrali (Mountz e coll., 1989;
Fredrikson e coll.,1993; Rauch e coll., 2000; Paquette e coll., 2003; Straube e coll.,
2006). Ci sono quindi buone ragioni per credere che non solo l'amigdala (attraverso
vari modi di attivazione) ma anche il reclutamento di altre aree del cervello, giochi
un ruolo chiave nella sintomatologia che caratterizza sia l'ipocondria sia l'attacco di
panico.
Alcuni studi si sono concentrati sul ruolo delle altre reti neurali che contribuiscono
ad attivare automaticamente la paura e a catturare l'attenzione su stimoli minacciosi
(Ohman, 2005). Questo effetto è probabilmente mediato da una rete neurale
sottocorticale centrata sull’amigdala. Quando le condizioni dello stimolo permettono
un’elaborazione cosciente, la risposta dell'amigdala agli stimoli legati alla paura
aumenta e si attiva una rete corticale che comprende la corteccia cingolata anteriore
e l'insula anteriore. Tuttavia, quando ad un soggetto è presentato uno stimolo
rilevante per la paura, ma non da lui temuto (ad esempio le immagini di ragni per
una persona che ha paura dei serpenti) scompare l’attivazione della amigdala e la
rete corticale non è attivata. Vi è invece l'attivazione della corteccia orbito-frontale
dorsolaterale, che sembra inibire la risposta dell'amigdala.
Un fattore importante nel processamento degli stimoli della paura è giocato dalle
differenze individuali nella reattività dell'amigdala modulata dal polimorfismo del
neurotrasmettitore della serotonina (5-HTT) (Hariri, 2002). Le differenze individuali
nell'attività dell'amigdala – manifestate come aumento della sensibilità agli stimoli
legati alla paura – possono sorgere come una proprietà emergente dall'associazione
tra fattori genetici e psicologici. In altre parole, l'allele del 5-HTT predispone ad un
37
sistema di attivazione più reattivo che, attraverso l'esperienza, oltre che ad altri
fattori genetici e ambientali, può manifestarsi tra certi soggetti nella forma della
tendenza fobica (Bertolino e coll., 2005).
Al fine di prevenire, o limitare, quelle situazioni che potrebbero alterare il proprio
senso di stabilità personale e quindi di permanenza nel tempo, il soggetto può
adottare un numero di comportamenti di evitamento che, mentre riducono
temporaneamente la gamma di sensazioni negative, a lungo andare possono
aumentare la sua precarietà fisiologica-emozionale, contribuendo ad una condizione
stabile di fobia.
Differenti circostanze nella vita e, più in generale, differenti stimoli rilevanti per
l'ansia, non compromettono il grado di sensibilità all’ansia del soggetto attraverso
l'alterazione delle sue credenze; piuttosto, lo fanno alterando il suo livello di stabilità
enterocettiva. Dati empirici suggeriscono che è a causa della loro maggiore
sensibilità alle variazioni corporee che i soggetti con un’alta sensibilità all’ansia
rispondono con forte panico, paura e disagio ai meccanismi di sollecitazione
biologica, come l'iperventilazione (Sturges, 1998), la caffeina (Sturges e Goetsch,
1996) e il biossido di carbonio (Forsythe e coll., 1999; Schmidt e Trakowski, 1999;
Zwolensky e coll., 2001). Conclusioni simili sono state raggiunte negli studi
condotti in ambienti naturalistici da Schmidt (1997; 1999). Prendendo molti
campioni non clinici, questi studi hanno trovato che i soggetti con un’alta
predisposizione all’ansia sono molto più predisposti a sviluppare panico spontaneo
in particolari condizioni stressanti.
Ciò che rende questi soggetti predisposti a percepire le loro sensazioni corporee
come nocive è il modo in cui essi costruiscono e mantengono il loro senso di
stabilità personale. Può darsi che ciò che le teorie più cognitive chiamano
“credenza”, più che rappresentare il nucleo dell'interpretazione di sensazioni legate
all'ansia, può effettivamente essere una conseguenza dello stato di ansia del
soggetto.
La
“credenza” o
il “pensiero
catastrofico” dovrebbe essere considerato
semplicemente un modo di afferrare la propria esperienza – che sarebbe già in
38
possesso di significato in modo pre-riflessivo – piuttosto che come il metodo
primario di generazione di significato, ad un livello riflessivo, come presa di
coscienza delle proprie azioni.
39
CAPITOLO 3
PSICOPATOLOGIA DELL’ANSIA.
ALCUNE CONSIDERAZIONI
“Ansia.
Una manifestazione fondamentale
dell’essere nel mondo.”
(Heidegger, 1976)
3.1
I disturbi d’ansia in un’ottica fenomenologica. Le polarità
Inward/Outward
I disturbi d'ansia (attacco di panico, fobie, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbo
post-traumatico da stress, disturbo d'ansia generalizzato, ecc.) sono tra le
sintomatologie incontrate più frequentemente nella pratica clinica. La maggior parte
degli studi sembra indicare che circa il 3,5% della popolazione rischia di ammalarsi
di Disturbo di Panico (con o senza agorafobia) nel corso della vita e che per le donne
il rischio è maggiore. Bisogna tuttavia tenere presente che ricorrere alla categoria
nosografica tout-court, così come indicato nel Manuale Diagnostico Statistico IV
TR (DSM IV-TR, APA, 2000), espone al rischio di uniformare i meccanismi
eziopatogenici senza prendere in adeguata considerazione il contesto entro cui tali
disturbi vengono a prendere forma.
In questo capitolo vedremo come il co-percepire l’alterità attraverso la
focalizzazione sui propri segnali corporei (ipseità) sia strettamente connesso
all’emergenza della sintomatologia ansiosa nella personalità tendente ai Disturbi
Fobici.
L'ansia costituisce un fenomeno diffuso, eterogeneo e influenzato dalla varietà dei
modelli teorici e dei riferimenti culturali di volta in volta adottati (Perugi e Toni,
40
2002), nonché condizione fondamentale e imprescindibile, intrinsecamente legata
all'esperienza umana. Tale posizione si giustifica in un’ottica filo-evoluzionistica
dove l'ansia possiede un valore adattivo che risulta funzionale tanto alla
preservazione della specie quanto alla preservazione individuale. L’ansia, infatti,
segnala visceralmente un pericolo possibile (Arciero, 2002). Il suo emergere
comporta un aumento della vigilanza, avviando un
meccanismo fisiologico di
allarme che predispone l'organismo alla difesa e all'azione (Nisita e Petracca, 2002)
a fronte di pericoli reali o presunti.
Anche nel pensiero heideggeriano l'ansia è esperienza costitutiva dell’essere nel
mondo; l’angoscia viene sperimentata dall'individuo non in relazione ad un
qualunque oggetto concreto e definito, ma per il solo fatto di esistere. Si tratta
dunque, secondo il fenomenologo, di una modalità d’essere dell’individuo.
Fattivamente essa dis-vela l’inautenticità e l’insignificatività dell’esserci nella
quotidianità, colto a partire da fonti di determinazione del sé esterne.
Si è così esposti alla vacuità dell’esperienza e all’angoscia dovuta a tale vacuità.
In quest’ottica è possibile rileggere parte della psicopatologia contemporanea. Non
esiste infatti alcun disturbo in cui non compaia in qualche fase del suo decorso
clinico una componente ansiosa, dai disturbi dell’area nevrotica ai disturbi dell’area
psicotica. Si passa dalle fasi profonde di depressione alle fasi di eccitamento
maniacale, fino alle intense esperienze di angoscia dell’acuzie schizofrenica, dalla
vacuità sperimentata nei disturbi alimentari e nei disturbi correlati all’uso di
sostanze alla quota d’ansia secondaria dei disturbi sessuali.
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, le modalità di strutturazione del
dominio emotivo conseguono ai diversi modi di “essere con” e prendono forma a
partire dalle prime interazioni emotive.
E in particolare, la modalità Inward si focalizzerà nella relazione con l’altro a partire
dagli aspetti più viscerali delle emozioni laddove la modalità Outward, invece,
mantiene la stabilità del senso di sé a partire dal contesto.
Alla collocazione individuale lungo il continuum Inward/Outward corrisponderanno
modi differenti di sentire l’ansia; ed in particolare, le identità sul versante inward
41
svilupperanno una centralità più precoce e profonda di quelle emozioni basiche
inscritte nel tessuto stesso della vita, mentre le identità che rimandano al polo
outward, che sin dalle prime fasi dello sviluppo si sono organizzate sul primato
dell’esterno, risentiranno di una indifferenziazione più o meno accentuata degli stati
emozionali (Arciero, 2002).
3.2 Gli attacchi di panico e la paura della paura
Gli approcci teorici che ad oggi hanno cercato di inquadrare e spiegare gli attacchi di
panico ben si iscrivono all’interno del più ampio concetto di “paura della paura”.
Nell’attacco di panico lo stato d'ansia associato alle emozioni che il soggetto
interpreta come nocive, diventa causa stessa di paura.
Ovvero, le sensazioni viscerali risultano così intense da elicitare un segnale di
allarme per l'intero organismo che si traduce nella risposta panicale.
Inoltre, quando l’individuo ha sperimentato più attacchi di panico, sviluppa una
condizione di arousal dove qualunque segnale enterocettivo viene interpretato come
la possibile imminenza di un nuovo attacco. È stato infatti evidenziato da uno studio
del 2003 come i soggetti che soffrivano di attacchi di panico fossero particolarmente
abili nello stimare la variazione dei propri segnali enterocettivi (Richards, Cooper,
Winkelman, 2003). Lo studio aveva preso in esame 20 soggetti con panico non
clinico e 36 soggetti di controllo, ai quali veniva chiesto di stimare i cambiamenti
dei parametri enterocettivi; i risultati ottenuti hanno dimostrato come i soggetti del
primo gruppo avessero una più accurata abilità enterocettiva.
Inoltre lo studio aveva anche osservato come la Sensibilità all'Ansia (Reiss, 1985) e
l'ansia di tratto fossero legate ad una più accurata enterocezione, soprattutto nei
soggetti che avevano sperimentato attacco di panico seppur senza una rilevanza
clinica.
Sembra inoltre che proprio l'innescarsi della paura relativa ad un proprio stato
d'ansia sia da ricondurre al costrutto della Sensibilità all'Ansia (Reiss e McNally,
1985), che identificherebbe una disposizione individuale variabile tanto nello stesso
42
individuo nel corso della vita, quanto tra diversi individui, distinta sia dall'ansia di
tratto che dall'ansia anticipatoria (Reiss, 1991; McNelly, 2002 ).
Nel suo articolo Reiss (1991) propone una distinzione tra la “paura semplice”
(ovvero la fobia specifica), riferendosi ad esempio alla paura dei volatili, che è una
paura irrazionale seppur criticata, e la “paura fondamentale” (ovvero la paura della
paura), che invece è razionalmente collegata ad esempio alla paura dei volatili.
Traducendo, il soggetto con fobia specifica potrebbe dire: “So che non c’è nessun
motivo reale per temere, ma sono spaventato dall’idea che un volatile possa
avvicinarsi a me” laddove la persona con attacco di panico potrebbe dire: “Io sono
spaventato dai volatili perché sono spaventato dal fatto di poter avere un attacco di
panico se incontro questi stimoli”.
È stata inoltre dimostrata l'esistenza di una correlazione tra gli indici della
Sensibilità all'Ansia e lo sviluppo di attacchi di panico in uno studio che aveva
operato una rilevazione longitudinale (Shmidt e Lerew, 1997; Reiss 2002).
Nel 1997 Shmidt e Lerew, basandosi sulle teorie che indicavano il costrutto della
Sensibilità all'Ansia come un fattore di rischio per lo sviluppo dei Disturbi d'Ansia
(Reiss, 1991), condussero uno studio nel quale un campione di giovani adulti non
clinici vennero seguiti per un periodo molto stressante di 5 settimane (training
militare), dimostrando una correlazione tra alti indici di Sensibilità all'Ansia e
conseguente sviluppo di attacchi di panico entro le 5 settimane di studio.
Come visto precedentemente la maggiore sensibilità all'ansia quindi renderebbe
conto dell'evitamento di tutte le situazioni che potrebbero esporre il soggetto a
quegli stimoli capaci di innescare una variazione emozionale-enterocettiva da lui
rilevata come nociva.
Sembra che la paura dell'ansia sia correlata a una serie di credenze distorte circa la
pericolosità delle conseguenze legate alla sperimentazione di determinate
perturbazioni corporee (McNally, 2002) e questo renderebbe conto della sua
variabilità tra gli individui, in funzione del fatto che posseggano o meno queste
credenze.
43
Adottando una prospettiva fenomenologica, le “credenze” del soggetto vengono
interpretate nei termini di differenti modi di situar-si nel tempo e di afferrare la
propria esperienza, significativa da subito, a livello pre-riflessivo.
Secondo questa prospettiva la consapevolezza di sé deriva dal nostro essere
costantemente in relazione con il mondo e con l'altro.
3.2.1 Caso clinico
Federica è una ragazza di 15 anni, studentessa al primo anno del liceo linguistico.
Vive con i genitori e i due fratelli. Il padre della paziente ha 53 anni ed è
elettrotecnico in uno studio privato. La madre, anch’ella di 53 anni, lavora come
operaia nel settore della ristorazione. Federica ha due fratelli, Stefano di 19 anni,
iscritto alla facoltà di Ingegneria, e Giancarlo di 21 anni, elettrotecnico. Giancarlo
presenta un lieve ritardo mentale con difficoltà dell’apprendimento, movimenti
ticcosi e difficoltà fono-articolatorie secondarie a storia di ipossia perinatale. In
quarta superiore viene bocciato e, d’accordo con la madre, decide di non informare
dell’evento i familiari più prossimi. La famiglia viene definita da Federica come
“una famiglia all’antica, che protegge”. In occasione del primo colloquio, la madre,
richiudendo dietro di sé la porta dello studio, congeda la figlia chiedendo al
terapeuta di ricordarle quanto sia cattivo e imprevedibile il mondo.
Federica giunge presso il nostro studio in seguito all’insorgenza di una
sintomatologia ansiosa che comincia a manifestarsi l’anno precedente, soprattutto
durante le lezioni pomeridiane in aula e alla sera mentre si trova in casa con la
famiglia. Inizialmente, i primi episodi vengono vissuti come assolutamente casuali,
caratterizzati da crescente irrequietezza, dispnea, sudorazione intensa e senso di
costrizione. Non passa molto tempo che a questi primi segnali cominciano a seguire
numerosi attacchi di panico, caratterizzati da mancanza d’aria, soffocamento,
sensazioni di oppressione toracica e svenimento, tachicardia e paura di impazzire.
L’inizio dell’attacco è improvviso e in pochi minuti raggiunge l’apice.
44
Al colloquio riferisce che il disturbo si è fatto negli ultimi mesi sempre più intenso
con la comparsa di paure bizzarre e timore di un nuovo attacco, tanto da impedirle di
prendere autonomamente i mezzi pubblici fino a renderle difficile il salire in
macchina con persone diverse dai genitori. Nonostante cerchi di evitare le situazioni
che più la mettono a disagio, Federica arriva a perdere numerosi giorni di scuola e
continua a soffrire di attacchi di panico frequenti.
Abbiamo visto come le condotte di evitamento di tutte le situazioni in cui si possono
incontrare difficoltà o imbarazzo per il presentarsi della crisi, rappresentino in
questo caso, la necessità di controllare la paura della paura.
Il primo episodio viene fatto risalire ad una sera dell’aprile 2009, mentre si trovava a
Firenze per il matrimonio di un cugino e si stava dirigendo verso il centro città con il
fratello minore ed altri amici. Il cugino, al volante, prende un dosso ad una velocità
che per Federica si rivela troppo forte. In quel momento comincia a sudare, il cuore
batte all’impazzata, sente di svenire, non riesce più a parlare. Dopo pochi minuti
riprende il controllo.
Rientrata a Milano, comincia ad eseguire una serie di esami specialistici. Nello
stesso periodo cominciano a comparire forti e ricorrenti attacchi emicranici, a causa
dei quali viene presa in carico dal Centro Cefalee di un noto ospedale.
Con la collusione della madre, spaventata e spaventante, Federica si convince ad
ogni attacco emicranico di avere una malattia grave e pericolosa per la sua vita.
In seduta i primi colloqui vengono dedicati alla ricostruzione del contesto entro cui
prendono forma i sintomi. Vengono indagati l’ambito familiare, l’ambito affettivo
relazionale e l’ambito scolastico.
Riportando i disturbi di Federica, dalla sua storia emergono così due temi centrali.
Da un lato, la necessità di regolare la relazione con l’altro significativo e dall’altro la
paura di perdere il controllo. Diventa paradigmatico l’approccio ad amiche ed amici:
“Ad un certo punto scappo, sempre, altrimenti rischio di farmi sfuggire la situazione
di mano”.
45
3.3
L’ansia in psicoterapia. Modelli a confronto
Il caso di Federica ben si adatta ad un intervento di tipo psicoterapico. In questa
parte del nostro lavoro cercheremo di mettere in luce due differenti modalità
terapeutiche: l’approccio cognitivo comportamentale e l’approccio ermeneutico
fenomenologico.
Riconosciuta dal lavoro di Chambless e collaboratori, all’interno della Task Force
on Psychological Interventions della Division 12 (Clinical Psychology) dell'APA, la
Terapia cognitivo-comportamentale per il Disturbo di Panico con e senza agorafobia
(Barlow et al., 1989; Ciark et al., 1994) viene attualmente considerata lo standard in
psicoterapia, in quanto trattamento ben consolidato.
Sulla spinta della Evidence-Based Medicine si è infatti avvertita come sempre più
pressante l'esigenza di sottoporre a rigorose prove sperimentali anche i singoli
trattamenti psichiatrici e psicologici (De Girolamo, 1997). Da qui, l’identificazione
di psicoterapie evidence based, come tecniche psicoterapeutiche la cui efficacia è
stata dimostrata in studi sperimentali controllati con una elevata validità interna.
L’approccio cognitivo classico fonda le sue basi sull’idea che determinate credenze
disfunzionali, maturate nel corso delle esperienze di vita, siano alla base di emozioni
e comportamenti: emozione, corpo e comportamento vengono trattati come
conseguenze ed effetti del pensiero.
Il trattamento trova il suo fondamento nella riflessione come metodo per
comprendere il problema e si esplica nell’aiuto alla persona a divenire sempre più
edotta su se stessa, circa gli automatismi dei suoi pensieri e le conseguenze
spiacevoli e disturbanti che da quel tipo di organizzazione cognitiva ne conseguono.
Il terapeuta accompagna il paziente verso consapevolezze progressive circa il
proprio sistema di convinzioni e di interpretazioni della realtà.
L'assunto di base è che la persona deve divenire consapevole del fatto che da come
vede il mondo deriva coerentemente il come sente le emozioni, e d’altro canto, la
consapevolezza da sola non può determinare il cambiamento del sistema di
convinzioni. Di conseguenza lo psicoterapeuta vigila e accompagna nello svolgersi
46
del trattamento, attento a come il paziente, soggettivamente, riesce a gestire la
progressiva presa di coscienza della propria responsabilità nella patologia.
Utilizzando le categorie ontologiche, il sé viene inteso come ciò, che attraverso la
molteplicità dei comportamenti, si mantiene identico nel tempo.
Appare evidente che l’approccio fin qui descritto concettualizza il Sé come un
oggetto presente, un sé che è nessuno (Ricoeur, 1990; 2000), di cui è possibile
comprenderne il significato esclusivamente attraverso un atto riflessivo, ovvero nella
spiegazione metacognitiva dell’esperienza stessa, aprendo - così facendo - un
processo di regresso all’infinito, dove si rende necessario uno stato di ordine
superiore, un deus ex machina, per poter dare significato, appropriarsi ed identificare
uno stato mentale come effettivamente proprio (Arciero, 2002).
In un’ottica ermeneutica fenomenologica, invece, l’essere mio dell’esperienza
(ipseità) è un processo pre-riflessivo, sempre nell’atto di farsi, già dato nel momento
dell’esperire. Diventa chiaro, quindi, che il Sé narrativo emerge attraverso il
linguaggio come ri-appropriazione dell’esperienza che si dispiega nel tempo.
In terapia dunque il sé viene colto a partire dalla comprensione dei suoi modi
effettivi di esistere nella sua quotidianità, andando ad afferrare l’unicità di una
persona a partire dai suoi modi di essere che non sono più riducibili o riconducibili
alla dinamica interna di un sistema chiuso e sempre uguale a se stesso.
Il problema di una psicologia delle emozioni che trovi fondamento in una ontologia
del corpo e che sia in grado di aprire un dialogo con la ricerca neuroscientifica, parte
dall’esperienza fattuale. Quando parliamo di ipseità parliamo di una dimensione
preriflessiva che riguarda sempre il significato sentito di una certa situazione ed un
modo di disporsi in relazione a quella circostanza. L’emozionarsi non può esserne
separato come se quel rapporto originario non ne facesse parte, come se l’emozione
fosse una condizione causata da questo e da quello e che si presenta di per sé.
Con l’ipseità si affaccia inoltre una forma nuova di intendere la relazione fra
l’esperienza di sé e la permanenza di sé nel tempo. Non più la variabilità
dell’esperienza ricondotta a ciò che resta identico, ma un trovar-si di volta in volta
come il medesimo. Introduciamo qui un altro elemento che gioca un ruolo
47
fondamentale nella nostra prospettiva: la medesimezza. Questa nozione, che
attraversa tutta la fenomenologia fino a giungere in Ricoeur, costituisce insieme
all’ipseità (e spesso sovrapposta ad essa) una delle due polarità dell’esperienza
antipredicativa e trova la sua prima concettualizzazione in Heidegger nelle
Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele del 1922.
48
CONCLUSIONI
In questo lavoro abbiamo parlato dello Stile di Personalità tendente ai Disturbi
Fobici ma il nostro obiettivo è stato quello di non trascurare il fatto che le persone
che hanno modi di apparire sovrapponibili alle caratteristiche di questo stile, hanno
una loro storia personale, unica e autentica, che non può essere ricercata nei testi
didattici .
Il problema che ogni paziente ci pone in psicoterapia è di rendere manifesta l'ipseità:
far emergere quel self esperienziale che ognuno di noi è, prima di ogni narrazione.
Rendere questo fenomeno evidente significa rendere conto dei differenti modi di
esperire la continuità-discontinuità, non a livello di narrazione, ma già a livello preriflessivo. Quando in terapia, e quindi in un setting dove si lavora su un piano
riflessivo, con gli strumenti dell’ermeneutica, il paziente ci parla del suo “attacco di
panico” non basta sapere ricondurre quell’etichetta ad un insieme di sintomi, ma è
necessario tentare di cogliere quella sua autentica esperienza vissuta nel corpo e
inserita in un determinato contesto.
La trattazione di questo argomento ci ha dimostrato come il passaggio dalla
concettualizzazione del Sé come un “cosa” alla sua concettualizzazione come un
“Chi”, abbia reso necessario un cambiamento nella concezione sia della psicologia
della
personalità
sia
della
psicopatologia.
Il
recupero
della
tradizione
fenomenologica ed il confronto con le neuroscienze hanno permesso di chiarire
l’importanza della dimensione corporea, del “corpo proprio” dell’esperienza del
soggetto, nelle diverse modalità con cui egli entra in relazione con l'alterità.
Nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici il corpo gioca un ruolo
fondamentale
nel
mantenimento
della
stabilità
personale
del
soggetto.
L’ipercognitivizzazione delle emozioni basiche e la maggiore consapevolezza
enterocettiva ai segnali corporei, in alcune circostanze, possono correlare con la
comparsa di disturbi fobici. I dati neuroscientifici hanno permesso di individuare i
meccanismi neurali implicati, confermando questa correlazione. Negli ultimi anni
gli approcci terapeutici, soprattutto quelli di stampo cognitivo-comportamentale,
49
hanno approfondito gli aspetti psicopatologici delle fobie e dell’ansia, sviluppando
tecniche e strategie per gestire questi fenomeni. Gli esiti positivi di tali trattamenti
potrebbero essere letti come l’esito del tentativo di spostare la polarità inward nella
direzione opposta: cioè, creare le condizioni per sperimentare nuovi modi di
emozionarsi, attraverso lo spostamento del focus dell’attenzione verso il contesto
esterno.
L’auto-osservazione
e
la
prescrizione
di
compiti
cognitivi
o
comportamentali non devono però essere intesi come modi per ristrutturare a
posteriori e riflessivamente il significato che il soggetto attribuisce alla sua
esperienza. La sua esperienza è di per sé dotata di significato. La sperimentazione di
nuove possibilità di azione nelle situazioni legate all’ansia, attraverso queste
tecniche, permette al fobico di riappropriarsi della sua esperienza in un nuovo modo,
un modo che tuttavia è presente da sempre nell’esistenza della persona.
50
CRITICITÀ E SVILUPPI FUTURI DELLA RICERCA
Analizzando i modi di concettualizzare la persona negli approcci teorici tradizionali
e nella psicopatologia è facile notare come siano stati numerosi i tentativi di
focalizzarsi sulle caratteristiche individuali invarianti nel tempo, che portano ad
inserire il soggetto in un ritratto statico del suo modo di essere e di agire. Questo
purtroppo è un rischio insito nelle modalità di teorizzare il comportamento e la
sofferenza dell’essere umano, così come lo è quello di adottare, seppur in forma
inconsapevole, una forma mentis che privilegi l’ottica causale. Non vogliamo dire
che questi modi di analizzare la persona non possano essere fatti. Se pensiamo alla
psicopatologia, per esempio, ci rendiamo conto come sia indispensabile avere un
background comune, un linguaggio condiviso dall’intera comunità scientifica, per
capire di “cosa” stiamo parlando. Oppure, l’individuazione dell'organizzazione di
significato personale o dello stile di attaccamento sicuramente ci guida nella
formulazione di ipotesi metodologiche sul lavoro da intraprendere col paziente ma
con il rischio di sovrapporre quell’etichetta alla sua identità personale, che invece è
qualcosa che si caratterizza per l’unicità. In questo modo, l'esperienza soggettiva
viene vista attraverso una seconda persona, quella del terapeuta che, sospendendo il
vissuto emotivo dell'esperienza reale, metodologicamente simile ad una sorta di
epochè husserliana, per afferrare l'organizzazione che ne sta dietro, trasforma la
persona in un ritratto stabile del Self. È possibile pensare all’effetto che l’approccio
al Sé come “cosa” produceva in campo neuroscientifico, dove un’ esperienza
soggettiva veniva ridotta all’attivazione di uno specifico substrato neuronale (i
cosiddetti “problemi semplici” spiegati da David Chalmers). David Chalmers (1995)
riferiva che, per spiegare una condizione fisiologica come il sonno o la veglia, era
sufficiente far riferimento ai processi neurofisiologici di un dato gruppo di neuroni.
Questo modo di studiare l’esperienza umana eliminava però l’unicità dell’individuo,
trattandolo come un organismo anonimo e rendendo l’evento mentale impersonale.
Questo è l’approccio in “terza persona” all’esperienza, cioè la descrizione
dell’esperienza in termini neurali, escludendo da questa spiegazione quel link
51
originario all’esperienza propria della persona. È necessario cioè fare riferimento
“all’essere mio dell’esperienza” quindi, all’effetto che fa al soggetto nel trovarsi ad
esperire quella data condizione fisiologica in quella data situazione.
L’articolo di Thomas Nagel (1974) “Che effetto fa essere un pipistrello?” è
assolutamente chiarificatore a tal proposito. L’autore infatti, riferendosi al tema della
coscienza, afferma che un organismo possiede un’ esperienza conscia perchè fa un
certo effetto essere proprio quell'organismo. L'esperienza soggettiva, cioè, è legata
necessariamente al punto di vista dell'organismo che la esperisce. Ovvero, facendo
l'esempio del pipistrello, Nagel sottolinea che, per quanto possiamo in termini
impersonali ed oggettivi spiegare alcuni modi dell'esperienza percettiva del
pipistrello, non sapremo mai che effetto faccia percepire il mondo nel modo del
pipistrello.
Cessando di considerare l'esperienza soggettiva come oggetto di riflessione e
iniziando a considerarla come un modo di essere sé, si comprende da subito che le
storie sono vissute prima di essere narrate (MacIntyre, 1981).
Quando ci troviamo di fronte alla sofferenza di un paziente dobbiamo
necessariamente cessare di pensare che basti cambiare “il suo racconto di sè” per
eliminare la sofferenza, ma dobbiamo invece lavorare sui suoi modi di fare
esperienza.
Per realizzare ciò, dobbiamo fare in modo che l'ipseità (l’essere mio del paziente)
venga ricollegata al mondo, perchè il percepirsi del soggetto in un modo o in un
altro è sempre legato all'essere in rapporto al mondo, all'altro e alle cose attraverso la
corporeità. Parlando di corporeità però non si intende il corpo come medium
(Körper), ma il corpo inteso come Leib, il corpo vivo senza il quale la persona non
può avere un’ esperienza di sé, che è implicato nella nostra relazione con il mondo,
configurandola come un insieme di potenzialità di azione.
Esiste un piano dell' “essere nel mondo”, cioè il come mi vivo a livello di ipseità, e
un piano narrativo, il come mi racconto. Il lavoro terapeutico è quello di rintracciare
i collegamenti esistenti tra i due livelli. Lo strumento che il terapeuta ha a
disposizione è l’ermeneutica, ovvero un lavoro di traduzione del testo del paziente.
52
Ricoeur dice che “c’è un rapporto tra l’esperienza vissuta e la vita raccontata, tra
l’attività di raccontare una storia e il carattere temporale dell’esperienza umana”; ed
è possibile la riconfigurazione narrativa della nostra storia di vita solamente in
ragione del fatto che possediamo una coscienza tematica. Non sarebbe possibile
raccontarci se non avessimo una visione prospettica di noi, del nostro passato e del
nostro futuro, se non fossimo capaci di muoverci nel tempo.
Quando il paziente si presenta al colloquio si deve sempre ricordare che il racconto
che ci porta è la riconfigurazione narrativa della sua esistenza e che esiste una
discrepanza tra l’azione e la sua riconfigurazione nel racconto, ovvero tra l’ipseità e
il racconto di sé. L’azione del terapeuta non è quella di modificare il racconto del
paziente o il suo punto di vista, ma è quella di perturbare strategicamente, facendo
sentire al paziente le incongruenze o le omissioni tra il livello riflessivo e il livello
esperienziale.
Le varie tecniche di conduzione di un colloquio, ispirate dagli approcci tradizionali,
per esempio come quella guidaniana della “moviola”, sono sensate se vengono
utilizzate come un tentativo di riconfigurare narrativamente l’esperienza del
soggetto e non come un modo di dare significato, con un atto teoretico,
all’esperienza, che in realtà ha già un senso, prima di ogni riflessione.
Nel caso dei Disturbi d’Ansia, gli approcci terapeutici che prescrivono compiti al
soggetto, per esempio quelli di stampo cognitivo-comportamentale, hanno un senso
ed un’efficacia in quanto agiscono sul modo di fare esperienza del soggetto
attraverso l’auto-osservazione nelle situazioni di vita, permettendo di afferrare
nuove possibilità d’azione. Nello Stile di Personalità tendente ai Disturbi Fobici la
polarità Inward gioca un ruolo fondamentale nella possibile correlazione con i
Disturbi d’Ansia, dove il corpo è il teatro su cui si manifesta l’alterità. Così le
tecniche che hanno l’obiettivo di spostare il focus dell’attenzione dal corpo al
contesto dell’esperienza hanno un effetto terapeutico, dettato da un insieme di fattori
aspecifici, in quanto permettono alla persona di volgere lo sguardo preriflessivamente verso altri aspetti del mondo, come potenzialità d’azione. Quello su
cui vogliamo riflettere è il presupposto da cui dovrebbe partire il percorso
53
terapeutico: considerare l’esperienza umana come dotata immediatamente di
significato dal momento in cui la persona è nel mondo (nel senso heideggeriano di
“esser-ci”). Questo dato, o riflessione filosofica, trova un suo riscontro nelle
scoperte neuroscientifiche degli ultimi anni. Il comportamento di alcune popolazioni
di neuroni, come quelli canonici visuo-motori di fronte alla visione di oggetti, o
come quelli mirror nel caso della relazione con gli altri, conferma l’esistenza di
meccanismi
neurali
di
anticipazione
automatica
delle
possibilità
d’azione
nell’esperienza, il cui significato è comprensibile immediatamente. Purtroppo è
molto facile cadere nel bias di considerare l’esistenza di una persona come un
complementum possibilitatis, cioè come un completamento delle sue possibilità, così
come sostenuto dal filosofo tedesco Christian Wolff. Prendere consapevolezza di ciò
è la base su cui instaurare la relazione terapeutica. Come dire, prima del percorso di
cura è necessario fare una cura del percorso.
54
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