DODECAFONIA Metodo di composizione ideato da Arnold Schönberg intorno al 1920 che consiste nel considerare i 12 suoni della scala cromatica in rapporto solo tra loro e non con un centro tonale predeterminato. Il linguaggio tonale si fondava su rapporti di carattere gerarchico tra suoni più o meno importanti, sulla gravitazione dell'ambiente armonico intorno ad alcuni gradi fondamentali inglobati in una costituzione di modi o scale all'interno delle quali assumono un ruolo specifico e non trasferibile. Il meccanismo generale ruota intorno alla tonica, cioè primo grado della scala in una tonalità determinata, punto d'avvio e d'arrivo della composizione, e ogni nota o accordo ha un valore “funzionale” graduato, obbligando le parti ad un moto preciso (si pensi solo all'accordo di settima diminuita, che vede obbligati ad una risoluzione prefigurata tre dei quattro suoni che lo costituiscono, e poi ancora gli accordi di nona, undicesima, ecc.). Con lo scompaginamento del sistema tonale e la conseguente scomparsa delle polarizzazioni verso gradi più o meno importanti, le dodici note della scala cromatica (do, do diesis o re bemolle, re, re diesis o mi bemolle, mi, fa, fa diesis o sol bemolle, sol, sol diesis o la bemolle, la, la diesis o si bemolle, si: a non voler considerare anche ulteriori suoni omologhi, come le doppie alterazioni) vengono ad essere livellate, hanno tutte la medesima importanza, vengono ridotte al rango di materia: semplicemente, a suoni più acuti e suoni più gravi. Una materia in sé indifferenziata, che non porta i germi della forma, entro cui si può vagare nell'anarchia più completa. Un immenso campo di esplorazioni, che blocca sul nascere ogni tentativo di “figurazione” tradizionale. L'ingegnoso sistema dodecafonico, creato da Schönberg, e subito adottato dai suoi allievi e correligionari, Berg e Webern, sovrappone appunto alla nuova materia, di per sé amorfa, schemi costruttivi che ne prescindono completamente, se non nel senso di impedire ogni condensazione di nuove “toniche” o di nuovi accordi prioritari e polarizzanti; una volta prodotto un suono, prima che esso possa riapparire è necessario che siano fatti udire gli altri undici, a completare il totale cromatico (naturalmente vi sono delle eccezioni nel metodo dodecafonico, anche nella sua formulazione più dottrinaria ma non è possibile entrare nel merito della questione in uno scritto puramente orientativo). E' la cosiddetta serie, cioè un ordine di intervalli per il totale dei dodici suoni , serie che poi viene sottoposta ai tradizionali artifici contrappuntistici, sia pure in forma estremamente sfaccettata. Si tratta di un nucleo di partenza, di un microcosmo che contiene potenzialmente il macrocosmo della composizione: qualcosa di molto diverso e addirittura opposto al tema della musica classica e romantica, già di per sé, si diceva inizialmente, riassuntivo, perentorio, estremamente caratterizzato. La serie è invece, più semplicemente, una pietra da costruzione, una consistenza più nuda del suono, priva del determinismo propulsivo di una aprioristica organicità formale. Al meccanismo spetta di delimitare la materia, ma solo a questo si limita la sua responsabilità compositiva: il meccanismo di partenza è in un certo senso uno schema astratto, e non ha nulla a che vedere con la solare intervallistica del tema tonale. L'intervallo melodico scade poi nel senso di una sua specifica funzione nell'ambito di un organismo determinato: si tratta, come s'è detto, ormai solo della differenza che passa tra un suono più acuto e un suono più grave (s'intende che ci sono poi vari modi di articolare melodicamente una serie, e basterà ricordare gli echi “tonali” di certe frasi di Dallapiccola o degli stessi viennesi: ma si parla qui della tendenza generale, ovviamente). Resta inteso che la dialettica fondamentale tra determinato e indeterminato, tra immagine tonale e sua lacerazione non viene esautorata dalla dodecafonia, perché con i criteri seriali si possono eventualmente riprodurre spettri di soluzioni tonali. Schönberg e soprattutto Berg ricorreranno spesso a tali ambiguità linguistiche. Come hanno rilevato alcuni critici, anche di tendenze diverse (tra cui F. D'Amico), la dodecafonia non è affatto il ribaltamento razionalistico dell'espressionismo, ma la sua consacrazione. Impedendo che il discorso musicale possa organizzarsi su basi sintattiche ricavate dalla ricognizione del materiale, mediante un formulario matematico la dodecafonia, rinserrata nei suoi schemi, si rivela come il veicolo ideale all'eversione schönberghiana, assicurando al compositore che in ogni caso la trama che egli va elaborando si nega al linguaggio così come storicamente è giunto fino agli ultimi anni del secolo scorso, e anche dopo. Tanto è vero che più tardi, quando l'espressionismo, dopo aver schiuso straordinari orizzonti musicali alle generazioni a seguire, tenderà a decadere nei suoi aspetti di più disperata e soggettivistica negazione, i musicisti consapevolmente avviati a raccoglierne l'eredità, non identificheranno più la coerenza nel numero di dodici, ma in altri fattori, come l'insistenza su zone timbriche, su agglomerati, su figure ricorrenti, questi sì veramente reali su un piano propriamente “linguistico”. La volontaria “aridità” della dodecafonia viennese, le sue gelide serpentine, sono lo specchio di una ben più vasta aridità, di una sempre più difficile comunicazione. (Armando Gentilucci: Guida all'ascolto della musica contemporanea. Feltrinelli – Milano 1969, pp. 14‐6) ARGOMENTO CORRELATO 1: SISTEMI DI INTONAZIONE Il sistema di intonazione è quella regola che ci dice come esattamente devono essere intonate le note della scala rispetto ad una nota, di frequenza stabilita, presa come riferimento, cioè che precisi intervalli o, meglio ancora, che precisi rapporti di frequenza devono intercorrere fra le note. Quando abbiamo detto che le 12 note della nostra musica sono disposte tutte alla stessa distanza nell'ottava, che tale distanza si chiama semitono temperato, e che infine la nota di riferimento è il LA diapason 440 Hz, abbiamo così specificato le principali caratteristiche del sistema di intonazione in uso al giorno d'oggi, detto temperamento equabile (bruttissimo termine: sarebbe meglio dire “equalizzato”). Per spiegare il significato di questo nome, ripercorriamo brevemente la storia degli altri due principali sistemi di intonazione apparsi nella musica della civiltà occidentale. Nell'antichità vigeva il sistema pitagorico, la cui invenzione è attribuita appunto al celebre filosofo e matematico greco. La sua caratteristica principale era di avere i toni un po' più grandi e i semitoni un po' più piccoli dei nostri (un tono quindi era più ampio di due semitoni). Questo sistema andò bene finché la musica rimase monodica, cioè ad una sola voce; ma con l'inizio della musica polifonica, verso l'anno 1000, esso si dimostrò inadatto principalmente perché gli intervalli armonici di 3.a maggiore, formati da due toni così grandi, risultavano dissonanti. Perciò nella pratica l'intonazione veniva corretta ad orecchio, in attesa che venisse stabilito un altro sistema privo di quei difetti. Questo fu presentato alla fine del 1500 da Gioseffo Zarlino, un teorico veneziano il quale, sul modello dei suoni armonici, corresse le 3.e di Pitagora restringendo il secondo dei due toni che le costituivano. Ammetteva cioè due specie di toni, uno grande come quello di Pitagora (tono maggiore) e uno più piccolo (tono minore), i quali dovevano alternarsi fra i gradi in un certo ordine fisso. Questo sistema, ancor oggi considerato il modello perfetto dell'intonazione degli intervalli, si dimostrò però fin dall'inizio inapplicabile in pratica, perché la piccola differenza di ampiezza fra le due specie di tono produceva piccole differenze nell'intonazione delle stesse note da una tonalità all'altra: per avere a disposizione tutte le note necessarie in tutti i casi gli strumenti a tastiera avrebbero dovuto avere tanti tasti da renderne impossibile l'esecuzione. E così pure gli altri strumenti a intonazione fissa: solo i cantanti, o gli strumenti ad arco, o i tromboni a tiro, che possono graduare l'intonazione per infinitesimi, possono usare il sistema zarliniano quando suonano fra di loro. Ecco perché verso l'anno 1700 si affermò la proposta attribuita al teorico tedesco Andreas Werkmeister, di perfezionare secondo una regola precisa ciò che già si faceva in pratica: 1. prima temperando, cioè appiattendo, smussando le differenze di intonazione troppo piccole, e unificando così in un suono intermedio le note che avessero una differenza di altezza minore di un semitono: in tal modo le note vengono ridotte alle solite dodici; 2. poi equalizzando, cioè rendendo tutti uguali gli intervalli (semitoni) fra di esse. In tal modo tutti gli intervalli, eccetto le 8e giuste, risultano un po' “stonati” rispetto alla loro misura perfetta zarliniana: ma è un sacrificio che l'orecchio tollera benissimo, e che produce in cambio un gran vantaggio di semplicità e mobilità per la musica. Oggi a sua volta il sistema temperato è diventato un modello di intonazione per la musica dodecafonica, la quale, fondandosi sul principio della scala cromatica, in cui non esiste grado di inizio né di fine, bensì le note sono tutte d'uguale importanza, non chiede di meglio che ciò sia confermato e garantito dalla perfetta uguaglianza di tutti gli intervalli. (Stefano Lanza: Introduzione alla musica. Manuale ragionato di teoria musicale. Zanibon‐Padova, 1987, pp. 46‐7) ARGOMENTO CORRELATO 2: ESPRESSIONISMO MUSICALE La versione dell'avanguardia nei paesi di lingua tedesca ebbe il suo movimento più importante nell' “espressionismo”. Anche questo termine, come molti altri, non ebbe la sua origine nel contesto musicale, ma fu adottato posteriormente dagli storici della musica: il contesto d'origine era quello delle arti figurative. I pittori tedeschi della seconda metà dell'Ottocento dovettero combattere prima contro la politica culturale del governo, che ne ostacolava l'affermazione (e da qui nacquero i movimenti della cosiddetta “secessione”) poi contro il monopolio di cui godevano a fine secolo, presso i mercanti d'arte e gli acquirenti facoltosi, i pittori dell'impressionismo francese e i loro seguaci locali. In altri termini i pittori nuovi combattevano contro il “pubblico” delle arti figurative, così come i musicisti combattevano contro il pubblico delle sale da concerto. Il termine “espressionismo” nasce dunque da una contrapposizione al termine “impressionismo”. Quest'ultimo movimento era ormai considerato agli inizi del Novecento, come una manifestazione della borghesia ricca, del ceto dominante contro cui gli espressionisti combattevano. L'identità del movimento espressionista è molto composita: da un lato l'espressionismo ebbe componenti utopiche che profetizzavano quasi un'epoca nuova dello spirito contro il materialismo e l'egoismo della società industrializzata, che vedevano nell'arte un'uscita dalla gabbia dell'urbanesimo disumanizzato; d'altro lato nell'espressionismo s'insinuarono riflessioni sull'erotismo, considerato a seconda dei casi in forme positive (come vitalismo rigenerante) o negative (come minaccia della carne – o in qualche caso addirittura della donna stessa – contro l'affermazione spirituale); in altri casi l'espressionismo accolse suggestioni potenti dagli studi freudiani sull'inconscio; in altri ancora propose immagini astratte del mondo interiore, come un rifiuto della rappresentazione del reale. Nella difficoltà di trovare un denominatore comune semplice, per tendenze così molteplici e diverse, si potrebbe affermare che questi artisti manifestavano una sorta di globale “disagio di vivere” in una società alla quale si sentivano profondamente estranei. Una spia di questo rifiuto si può scorgere persino in alcuni casi estremi di artisti del movimento espressionista che si arruolarono durante la guerra mondiale e vissero questa esperienza non in termini di nazionalismo o di militarismo, bensì come strumento per far uscire allo scoperto tendenze profonde dell'uomo: il pericolo, la paura, il sangue, la morte. Il musicista più sensibile ai richiami del movimento espressionista fu Arnold Schönberg, sia per la sua collaborazione con alcuni pittori e uomini di teatro dell'espressionismo, sia perché egli stesso fu anche pittore, sia infine perché il clima espressivo delle sue opere dei primi vent'anni del Novecento corrisponde pienamente a quello delle altre arti. Il tema che più spesso emerge nell'espressionismo musicale, di Schönberg e degli altri musicisti della sua cerchia, è quello dell'esperienza del terrore e dell'angoscia, che emerge dal profondo e si manifesta in voce immediata e primordiale, in una sorta di urlo non filtrato dalla ragione: in musica ciò significa suono non controllato da una organizzazione, da una sintassi preordinata come quella della tradizione tonale. Il suono doveva uscire dalla fantasia nel modo più immediato possibile, e per esprimere angoscia doveva anche essere il più possibile aspro e dissonante. (Mario Baroni: L'orecchio intelligente. Guida all'ascolto di musiche non familiari. LIM – Lucca, 2004, pp. 170‐1) ARGOMENTO CORRELATO 3: Commento all'ascolto di Vorgefühle (Presentimenti), n.1 dai Cinque Pezzi per orchestra op. 16 di Arnold Schönberg. La prima caratteristica importante da rilevare riguarda il sistema delle altezze e in particolare l'impossibilità di fissare, all'interno di questo magma di suoni, un suono di riferimento, quello che nella tradizione musicale si chiamava nota “tonica”. Il brano è “a‐tonale”, secondo una definizione che Schönberg non gradiva, ma che è entrata in uso nella tradizione storiografica. Anche il brano di Stravinskij, nonostante le dissonanze, permetteva ogni tanto di individuare qualche centro tonale. Quello di Schönberg no: è costruito in maniera tale da evitare che l'ascoltatore si orienti su una nota più stabile o più attrattiva delle altre. Un secondo principio fondamentale della tradizione è pure assente o largamente compromesso: quello della regolarità metrica. A tratti si può dire che essa sia presente, ma in linea generale è veramente difficile individuare in questo brano accenti regolarmente disposti sulla base dei quali sia possibile “battere il tempo”. Un terzo principio mancante è quello dell'assenza di melodie anche vagamente cantabili o di temi più o meno chiaramente riconoscibili. Gli ascoltatori dell'epoca, anche i più curiosi e i più ben disposti nei confronti delle tendenze della poetica espressionista, non potevano prevedere se e come il brano si sviluppasse, dove e come potesse concludere. Si stava in mare aperto e i venti potevano spingere da una parte qualsiasi. Un ascolto attento, tuttavia, può rilevare una certa logica formale: intorno alla metà del brano (la cui durata è circa di 2') si raggiunge un culmine quasi parossistico di energia e di violenza. Il brano fa perno attorno a questo culmine che prima viene preparato e gradualmente raggiunto, e successivamente viene a poco a poco dissolto. Nei primi 30” la sensazione più evidente è quella del disordine: compaiono frammenti disorganicamente collegati , eseguiti da gruppi di strumenti diversi, acuti o gravi, veloci o lenti, forte o piano, con mosse continuamente contrastanti. Dai 30” ai 70” gli archi bassi introducono una melodia di tre note e cominciano a ripeterla ostinatamente e sempre più forte. Su questo sfondo ossessivo si inseriscono gli altri strumenti con illuminazioni improvvise, tonfi sordi, esplosioni devastanti, disegni astratti che a poco a poco riempiono lo spazio sonoro fino a raggiungere un culmine di intensità. E' questo il parossistico punto centrale a cui prima ho fatto cenno. A questo punto si fa avanti una specie di marcia goffa e brutale il cui ritmo continua per un certo tempo e poi a poco a poco si dirada. Gli ultimi 15” sono punteggiati da interventi disordinati di strumenti bassi e cupi o acuti e graffianti. Infine tutto si conclude con un intervento di violoncelli e contrabbassi che sembra voler introdurre un nuovo motivo e invece s'interrompe improvvisamente, senza nessuna apparente ragione. (Mario Baroni: L'orecchio intelligente. Guida all'ascolto di musiche non familiari. LIM – Lucca, 2004, pp. 170‐1) ARGOMENTO CORRELATO 4: Ernst Křenek – Prefazione a Studi di contrappunto basati sul sistema dodecafonico (trad. R. Ruech). Curci‐Milano, 1983, pp.4‐6. Tonalità e atonalità. La musica tecnicamente coordinata in un sistema di toni maggiore e minore, viene chiamata musica “tonale”. La musica non coordinata in base ad un tale sistema può definirsi col temine di “atonale” termine particolarmente adoperato per la musica del XX secolo, in quanto manca di criteri tonali e nel senso dato più sopra. Si può indubbiamente dare una più larga definizione della tonalità. Potrebbe chiamarsi tonalità qualunque metodo atto a definire i riconoscibili legami esistenti fra i vari elementi musicali. In questo senso, il sistema di toni maggiore e minore, caratteristico di un certo periodo storico, non rappresenterebbe che uno dei molti aspetti che possiamo concepire in fatto di tonalità, e la musica che non si conforma ai postulati di tale sistema, dovrebbe palesare qualche altro sistema di relazioni elementari, ad esempio un altro tipo di tonalità. Siccome la musica contemporanea [il trattato di Křenek risale al 1940, n.d.c.], scritta senza toni, è chiamata generalmente “atonale”, il problema viene semplificato limitando ciò che si riferisce al termine “tonalità” al concetto dei modi maggiore e minore. Inoltre, questa definizione più ristretta è in concordanza con quella dei dizionari riconosciuti. Arnold Schönberg, nell'articolo sulla “tonalità” della International Cyclopedia of Music and Musicians (New York, 1939), ne dà la seguente definizione: “La musica non dipende soltanto dall'acustica ma anche dalla logica e da quelle leggi particolari che risultano dalla combinazione di tono e melodia....Tonalità tendente a rendere percettibili fatti armonici ed a metterli in relazione fra di loro, e che costituisce perciò non un fine ma un mezzo”. Se la tonalità rappresenta un mezzo, quale sarà, dunque, il fine verso il quale tende? Questo indubbiamente sarà quella coordinazione del materiale musicale che permette di percepire espressioni musicali quali entità logicamente coerenti. Con la inevitabile disintegrazione della tonalità, derivata dalla evoluzione musicale nel XIX secolo, nacque il problema dei nuovi metodi da escogitare per dare, con logica, forme coerenti al materiale atonale. L' “idea unificatrice” Schönberg propose la tecnica dodecafonica quale mezzo per raggiungere questo fine. In una lettera a Nicolas Slonimsky (pubblicata nel libro Musica dopo il 1900, pagina 574, del detto autore) Schönberg scrive in merito all'origine della tecnica dodecafonica: “Mi sono sempre consciamente occupato di fondare la struttura della mia musica su di una “idea unificatrice” che desse origine non soltanto a tutte le altre idee, ma ne regolasse anche l'accompagnamento, gli accordi, le “armonie”. Una cura speciale per creare unità entro forme estese può essere effettivamente rintracciata in tutte le opere di Schönberg. Perfino nelle sue prime composizioni tonali, egli costruiva una soprastruttura tematica di straordinaria compattezza per quanto concerneva le relazioni tematiche. Il suo primo Quartetto d'archi, per esempio, un lavoro di lunghezza e varietà non comune, è costruito solamente su pochi elementi tematici che compaiono e ricompaiono in numerose variazioni e combinazioni. Quando la coscienza tonale scomparve completamente e la musica diventò “atonale”, l'unità tecnica non poteva emergere da un solido substrato armonico. Logicamente l'attenzione si concentrò sulle relazioni tematiche. Mentre queste costituivano la soprastruttura di un substrato armonico, ora diventano essenziali per la consistenza dell'intero edificio. Tema e serie dodecafonica Relazioni tematiche di vari generi si trovano espresse in tutte le composizioni “atonali” di Schönberg, anche prima che egli sviluppasse la tecnica dodecafonica. Benché egli cominciasse a comporre nel nuovo linguaggio musicale soltanto al principio del 1900, non fu che nel 1923 che pubblicò la prima composizione dodecafonica. In questa tecnica, le relazioni tematiche come “idea unificatrice” del nuovo materiale sono adoperate con eccezionale profondità. La serie di dodici suoni – elemento fondamentale della tecnica dodecafonica – prende il posto di quel basilare complesso tematico dal quale Schönberg traeva le varie idee delle sue composizioni tonali. E ciò avviene in quanto la detta serie comprende la somma totale del materiale disponibile – i dodici suoni che suddividono la nostra ottava – e presenta questo materiale in un ordine caratteristico. Così, la prima funzione della serie è quella di costruire una specie di “riserva di motivi” dalla quale viene tratto ogni singolo elemento della composizione. Però, in virtù delle sue incessanti ripetizioni che si estendono per tutta la composizione, la serie riveste una funzione più importante: essa assicura l'omogeneità dell'opera, compenetrandone l'intera struttura, a somiglianza, per esempio, del filo rosso che, tessuto in una trama dà a questa un aspetto caratteristico senza essere appariscente di per sé. Tecnica dodecafonica e contrappunto L'idea di tonalità (come mezzo “atto a rendere percettibili i fatti armonici”) emana da una fondamentale concezione armonica della musica. Le caratteristiche essenziali della tonalità – quali gli accidenti, la funzione di tonica‐dominante, la cadenza – sono fenomeni armonici. L'atonalità mette in primo piano il fenomeno melodico per quel tanto che essa dipende da un'organizzazione che si basa su relazioni tematiche. Così, il nuovo linguaggio si fonda su una concezione essenzialmente polifonica, in modo molto simile a quello col quale si concepiva la musica del Medio Evo, prima che venisse sviluppata la tonalità (come viene considerata oggigiorno). Perciò sembrerà logico accostarsi all'atonalità ed alla tecnica dodecafonica attraverso il contrappunto. I fatti armonici non hanno, nell'atonalità, che un significato secondario, almeno al suo presente grado di sviluppo. Alcune regole di composizione dodecafonica La serie deve essere costituita dalla successione di dodici suoni differenti. L'importanza degli intervalli sussistenti tra i vari suoni della serie comporta un'attenzione ad evitare: troppi intervalli uguali, perché la ripetizione del medesimo intervallo renderà difficile l'evitare la monotonia nello sviluppo melodico; evitare più di due triadi maggiori o minori formate da un gruppo di tre nuovi suoni consecutivi, perché il senso tonale che deriva implicitamente da una triade è contrario al principio di atonalità. L'ordine di successione dei suoni è importante, senza riguardo alla loro posizione. I suoni della serie possono essere usati in qualsiasi ottava, purché l'ordine di successione rimanga invariato. L'uso del # e del b è arbitrario, non come nella musica tonale, nella quale la coordinazioni di questi suoni si riferisce a differenti centri tonali. Per ragioni pratiche non si scrivono le alterazioni in chiave. Nella tecnica dodecafonica una composizione consiste nella continua ripetizione della serie fondamentale che, una volta iniziata, non deve venire interrotta. Un tema non deve necessariamente identificarsi con la serie, o meglio, solo occasionalmente. Perciò le cesure tra i temi (o, in generale fra le varie articolazioni della linea melodica) non dovranno coincidere con le entrate consecutive della serie. La ripetizione di un suono è permessa soltanto prima dell'entrata del suono successivo e sulla stessa ottava. La vivacità ritmica è condizione essenziale in questo stile. L'uso insistente di disegni ritmici uniformi produrrebbe una monotonia, meno ammissibile in questo stile che in qualunque altro. Periodi simmetrici (4 o 8 battute) sono estranei al sistema dodecafonico. Imitazioni. E' necessario, specialmente quando si prendono in considerazione composizioni di maggior estensione, stabilire una forte unità tematica fra le parti (e ciò oltre alla omogeneità di struttura che automaticamente deriva dall'uso della stessa serie). Il procedimento che si chiama imitazione ha luogo quando uno spunto tematico [di una voce o parte] viene ripetuto da una seconda parte, mentre la prima è ancora nel suo svolgimento o già terminata. Quando questo procedimento si protrae e attraversa tutta l'intera composizione, si parla di canone. Se l'imitazione si limita soltanto alle note iniziali del tema per procedere poi in modo diverso, potremo chiamarla imitazione irregolare. Ordini derivati dalla serie originale. Da ogni serie dodecafonica può derivare un'altra serie cambiando successivamente gli intervalli ascendenti della serie originale con intervalli equivalenti discendenti e viceversa. Questa viene chiamata inversione (o serie per moto contrario) della serie originale. Leggendo la serie originale dall'ultima nota alla prima si ottiene la serie nell'ordine retrogrado detto anche cancrizzante. Il procedimento di cambiare gli intervalli ascendenti della serie cancrizzante con intervalli equivalenti discendenti e viceversa dà luogo all'ordine retrogrado inverso. L'applicazione della tecnica dodecafonica non può garantire spigliatezza musicale e qualità espressive. Nel comporre melodie destinate ad una futura presentazione in forma retrograda, il compositore deve tener conto che la retrocessione abbia senso musicale, e questo tanto per le composizioni basate su una serie dodecafonica quanto per qualsiasi altro genere di composizione. Non è obbligatorio che la serie venga sostenuta esclusivamente da una sola voce o parte. Anzi, essa può passare ad un'altra voce (ed anche non immediatamente) prima ancora di essere stata esposta completamente dalla parte che l'ha introdotta. Ognuno dei quattro ordini della serie può essere trasposto undici volte sui differenti gradi della scala cromatica; in altre parole, essa può cominciare con dodici suoni differenti. Sarò perciò utile trascrivere tutti i quarantotto modelli della serie. Accordi L'incontro simultaneo di tre parti impone la trattazione degli "accordi". Nel sistema atonale non vi sono regole per uno speciale trattamento delle dissonanze, né viene formulata una teoria armonica paragonabile a quella del sistema tonale. L'unica caratteristica di un accordo da prendersi in considerazione è il "grado di tensione" che l'accordo possiede per virtù degli intervalli che lo costituiscono. La rigidità che la tecnica dodecafonica impone fino ad un certo punto alla costruzione melodica e contrappuntistica, è compensata dalla libertà che essa permette nel campo dell'armonia. Tenendo questo presente, lo studioso si renderà conto che la musica basata sul sistema dodecafonico, come quella sancita da qualunque altro principio, riposa, in ultima analisi, sull'immaginazione, e sull'ispirazione. Si può redigere pertanto una tavola dimostrativa di triadi in riferimento al loro grado di tensione. E' evidente che questi gradi di tensione dipendono dal genere di intervalli che costituiscono i differenti accordi. Gli accordi possono essere costituiti da: 1) tre consonanze (il terzo accordo, per esempio, ha tre consonanze: DO‐MI, DO‐ LAb‐MI‐LAb). 2) due consonanze e una lieve dissonanza (il secondo accordo, per esempio, ha le consonanze DO‐SOl e DO‐LA e la lieve dissonanza SOL‐LA). 3) una consonanza e due lievi dissonanze (il primo accordo ha la consonanza DO‐MI e le lievi dissonanze DO‐RE e RE‐MI). 4) due consonanze e una forte dissonanza. 5) una consonanza, una dissonanza lieve e una dissonanza forte. 6) una dissonanza lieve e due forti. Accordi contenenti 4e giuste e 5e diminuite Se in una triade gli intervalli di 5 semitoni (4a giusta) e di 6 semitoni (5a diminuita) assumeranno il carattere di consonanza o di dissonanza, ciò dipenderà dal terzo suono aggiunto. Nella seguente tavola gli accordi contenenti i citati intervalli, sono classificati come "consonanti", "lievi", "forti" (dissonanze) secondo l'influenza esercitata dal terzo suono aggiunto (Es. 7 e 8). La sopracitata classifica di accordi non implica alcuna valutazione di "bello" o di "brutto" secondo il concetto tradizionale, o della ammissibilità od utilità di tali accordi nella composizione. Da questa rassegna di accordi lo studioso non potrà apprendere nulla di più di un certo criterio col quale determinare il grado di tensione degli accordi in generale. Egli dovrebbe tenere in mente che nella composizione pratica, i gradi di tensione sono soggetti a molte variazioni, risultanti dalle posizioni degli intervalli, dalla dinamica, dalla stesura strumentale, ecc. Le seguenti tre posizioni del secondo accordo dell'esempio 6 dell'elenco, mostrano con evidenza differenti sfumature dello stesso grado di tensione. D'altra parte, in uguali condizioni di dinamica, di strumentazione, ecc., l'ultimo dei tre accordi risulterà probabilmente come il più aspro. Tre note di una serie, anziché essere fatti sentire melodicamente, possono essere fusi in un unico accordo. Talvolta questa possibilità viene sconsigliata oppure è addirittura impossibile. (Ernst Křenek: Studi di contrappunto basati sul sistema dodecafonico. Curci‐Milano, 1940)