Il problema didattico dei numeri reali.

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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Carlo Marchini
Il problema didattico dei numeri reali.
Appunti delle lezioni di Didattica della Matematica II
per la Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1. Il metodo degli elementi ideali.
La Matematica si è trovata spesso nelle condizioni di cercare di risolvere problemi e di non avere
strumenti idonei per farlo, non solo, ma di avere anche provato che tali strumenti non potevano
esistere.
Volta a volta sono state trovate soluzioni parziali e, di conseguenza,
introdotti nuovi concetti. Bisogna aspettare la seconda metà del XIX secolo
(Dedekind) per avere un inquadramento generale. Il problema che getta luce
su tutta una serie di altre applicazioni è la determinazione del Massimo
Comune Divisore (M.C.D.) in ambienti (anelli 1) in cui non c'è. Dedekind si
Richard Dedekind
(1831-1910)
accorge che dati due elementi invece di cercare un elemento dell'anello che
svolge il ruolo di M.C.D. (e che in certi casi non esiste) si può spostare
l'attenzione al "M.C.D." di due sottoinsiemi particolari dell'anello che svolgono il ruolo di
elementi ideali, rispetto al problema indicato. A tali insiemi viene riservato il nome di ideali 2.
1 Ricordo la definizione di anello: è una struttura algebrica definita su un insieme non vuoto A mediante l'individuazione di due
operazioni binarie, denotate rispettivamente con i simboli “+” e “·”, un'operazione unaria, "–" ed un elemento privilegiato,
indicato con "0"; tali dati devono soddisfare poi le seguenti condizioni (postulati):
- L'operazione + di addizione è associativa:
∀x,y,z (x+(y+z) = (x+y)+z).
- L'operazione + di addizione è commutativa:
∀x,y (x+y = y+x).
- L'elemento 0 è neutro rispetto all'addizione:
∀x (x+0 = x).
- L'operazione – fornisce l'opposto:
∀x (x + (–x) = 0).
- L'operazione · di moltiplicazione è associativa:
∀x,y,z (x·(y·z) = (x·y)·z).
- L'operazione · di moltiplicazione è distributiva a destra e a sinistra rispetto all'addizione:
∀x,y,z (x·(y+z) = (x·y)+(x·z)); ∀x,y,z ((x+y)·z = (x·z)+(y·z)).
Ci sono poi importanti classi di anelli: gli anelli commutativi, cioè quelli in cui anche l'operazione di moltiplicazione è
commutativa, gli anelli unitari, cioè quelli in cui esiste un ulteriore elemento privilegiato, denotato solitamente con “1” che è
elemento neutro rispetto alla moltiplicazione, cioè tale che ∀x (x·1 = x = 1·x). Un'altra classe importante è costituita dai domini
d'integrità o domini integrali o altri termini analoghi, essi sono anelli in cui vale la legge di annullamento del prodotto: ∀x,y (x·y
= 0 → (x = 0 ∨ y = 0)).
Non è qui il luogo per fornire altri dettagli. Su un qualsiasi testo universitario di Algebra si possono trovare esempi di anelli delle
varie classi interessanti.
2 Sia A un anello. Un sottoinsieme H ⊆ A si dice un ideale (bilatero) se chiuso per addizione e stabile per moltiplicazione, cioè:
∀x,y∈H ((x + (–y))∈H) e ∀x∈A, ∀y∈H ((x·y) ∈H ∧ (y·x)∈H).
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Ovviamente se un elemento dell'anello è il M.C.D. di due elementi dati, esso genera
1
l'ideale
M.C.D. degli ideali generati dai due elementi.
In questo procedimento è prefigurato come comportarsi in vari casi in cui non è possibile
risolvere un problema: si sposta l'attenzione dal problema ad un insieme costruito a partire da
esso e, in sostanza, si adopera il problema stesso come soluzione del problema.
Per esemplificare soffermiamoci sul problema dell'introduzione dei numeri interi a partire dai
numeri naturali.
1.1. Problemi insolubili con i numeri naturali. I numeri naturali hanno una struttura assai
complessa e ricca che tuttavia non è sufficiente per offrire risposte a vari problemi, ad esempio la
possibilità di risolvere equazioni di primo grado. Una parte dei problemi insolubili nei numeri
naturali si risolve considerando i numeri interi relativi, probabilmente nati nelle botteghe dei
commercianti, più che negli studi dei matematici. La complessità dei rapporti economici ha
richiesto strumenti per distinguere tra debito e credito. Forse le cose non sono andate solo così.
Nella Matematica greca, la più sviluppata del mondo antico, non si trova esplicito riferimento a
quantità negative, anzi sul testo di Euclide vengono risolte per via geometrica le equazioni di
secondo grado distinguendone vari casi: ax2 + bx = c, ax2 + c = bx; ax2 = bx + c, ciascuno dei
quali ha un metodo risolutivo proprio e in cui i "coefficienti" sono positivi (perché sono, a un
numero, b una lunghezza, c un'area). Bisogna aspettare gli studi degli arabi, ma ancora più quelli
degli algebristi italiani tra Medioevo e Rinascimento, per trovare che i numeri interi relativi
vengono trattati alla stregua di numeri, anche se connotare come numeri quantità negative (e poi
irrazionali, immaginari) ha incontrato vari tipi di difficoltà, compreso quelle del versante
filosofico. Attribuire agli interi relativi la sostanza di numeri può significare diverse cose. La
prima, che è chiaro cosa vuol dire essere un numero, dunque che c'è un criterio per decidere se un
ente è oppure non è un numero. Il numero quindi assume il ruolo di una nuova categoria del
pensiero.
1 Dato un anello commutativo A sia a∈A. Si dice ideale principale generato da a l'insieme a = {y·a + na | y∈A ∧ n∈ }. Si
dimostra che si tratta di un ideale. In tale caso a si dice un generatore di a , ma attenzione uno stesso ideale principale può avere
più di un generatore, ad esempio in , 3 e -3 generano entrambi 3 . Se l'anello è unitario basta porre a = {y·a | y∈A}.
Un anello commutativo si dice anello a ideali principali, se ogni suo ideale è principale. Un esempio importante è la struttura di
anello su Z, con le ordinarie operazioni di addizione e moltiplicazione. In ogni anello è facile vedere che a | b se e solo se
b ⊆ a , di qui si dice anche che a | b o che b è un multiplo di a e questa terminologia viene estesa ad ideali qualunque,
H,K, per cui H è un multiplo di K se H ⊆ K. Quindi dati due ideali H e K in qualunque anello (H∩K) ⊆ H e anche (H∩K) ⊆ K ed
inoltre ogni ideale J tale che J ⊆ H e J ⊆ K, si ha J ⊆ (H∩K), per questo (H∩K) è detto m.c.m.(H,K). Si pone poi M.C.D.(H,K)
come il più piccolo ideale, se esiste, che contiene H e K. Esso è dato da {xh + yk | x,y∈ ∧ h∈H ∧ k∈K} e si prova facilmente
che si tratta di un ideale, quello che, in un certo senso, può pensarsi analogo all'unione (ma nell'insieme degli ideali), dato che è
un ideale che contiene sia H che K ed è contenuto in ogni ideale che contiene sia H che K. In o in ogni altro anello a ideali
principali, il m.c.m.(H,K) e il M.C.D.(H,K) sono gli ideali principali generati, rispettivamente dal m.c.m. e dal M.C.D. dei
generatori rispettivi di H e K.
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A me non risulta che l'analisi filosofica del concetto di numero abbia fornito un tale criterio
applicabile ai numeri interi relativi o altri numeri. Il numero partecipa alla categoria della
quantità e quindi i numeri negativi, razionali, irrazionali, immaginari perdono tale connotato. La
seconda, che invece di porsi prima il problema della loro natura, al contrario si definiscono tra
questi enti operazioni e relazioni, in piena somiglianza con quanto avviene con i numeri naturali.
Solo a posteriori, visto che le proprietà che valgono per le operazioni tra numeri naturali valgono
anche tra questi nuovi enti, si estenderà il concetto di numero (perdendo o meglio estendendo il
connotato quantitativo) per comprendere questi enti così introdotti.
In generale questo sarà il criterio per decidere se le cose di cui si parla possono assurgere allo
stato di numeri. Anzi si estende ai numeri interi relativi, per quanto è
possibile, tutto ciò che si è detto per i numeri naturali (Principio di
conservazione delle proprietà formali, di Hankel).
Non c'è un solo modo per introdurre i numeri interi relativi, perché non è
unico il problema che presiede alla loro "nascita".
Hermann Hankel
(1839-1873)
La strada più semplice per introdurre i numeri interi relativi è quella
"geometrica" di pensarli come i numeri con il segno; si tratta cioè di
compiere una sorta di riflessione speculare attorno allo 0, per associare ad ogni numero quello
che si ottiene col segno negativo " – ". Di questo procedimento di simmetrizzazione è rimasta
traccia nel fatto che talvolta il numero (–n) prende il nome di simmetrico di n. Si può giustificare
questa costruzione come ottenuta prolungando la "semiretta" dei numeri naturali ad una retta.
Questo procedimento però è ad hoc, serve solo per introdurre i numeri interi relativi. Si vuole
avere invece un metodo generale, applicabile anche ad altri contesti, col quale arrivare allo stesso
risultato.
Un altro metodo è quello di considerare spostamenti lungo una retta orientata (vettori).
1.2. Aspetti generali del metodo elementi ideali. La strategia che si seguirà, più fine e più
matematica, è quella del cosiddetto metodo degli elementi ideali. L'idea è semplice. In Aritmetica
elementare (ed in altri campi matematici) ci sono problemi che si possono risolvere ed altri che è
impossibile risolvere. Ad esempio, se Luigi ha 5 matite e ne perde 3, gliene restano 2. Ma se lo
stato italiano ha 50.000 miliardi e spende 120.000 miliardi, quanti miliardi restano? Come si
vede questo problema potrà trovare soluzioni politiche, non matematiche. Un esempio diverso,
che porta ad un altro tipo di soluzione, è come dividere in parti eguali tra 3 eredi 29 cammelli.
La Matematica fronteggia i quesiti con una trovata semplice ed efficace: assume come soluzione
del problema, che però non ha soluzione, il problema stesso. A questo punto scatta la domanda di
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come ciò sia possibile. I problemi non sono numeri, almeno finché non si riescono a compiere
alcune operazioni elementari sui problemi. Una volta fatto ciò non si vede perché non sia
possibile assumere il problema stesso come numero. Le condizioni perché il metodo degli
elementi ideali possa fornire risultati utili sono le seguenti:
1) Fissare un tipo omogeneo di problemi.
2) Reinterpretare gli elementi del contesto di partenza, come esempi di problemi del tipo
fissato.
3) Identificare in modo opportuno, problemi dello stesso tipo che avrebbero la stessa
soluzione, qualora essa esistesse. Perciò bisogna esibire una relazione di equivalenza.
Questa relazione deve identificare in modo corretto anche i problemi di quel tipo che
invece hanno la stessa soluzione. Le classi di equivalenza divengono gli elementi ideali
che si desiderano ottenere.
4) Strutturare convenientemente i problemi, meglio le classi di problemi, cioè gli elementi
ideali, con operazioni e relazioni, se si vogliono ottenere dei numeri, o, più in generale,
con una struttura simile a quella che esiste nel contesto da cui i problemi sono presi.
5) Scegliere la struttura in modo tale che i problemi che nel contesto precedente non
avevano soluzione ora l'abbiano e che i problemi che avevano soluzione ora non ne
abbiano di nuove. Ma bisogna che problemi dello stesso tipo, nel nuovo contesto, abbiano
sempre soluzione.
6) Dare uniformità, in termine tecnico un'estensione, tra il contesto da cui il problema è
sorto e quello ottenuto con l'aggiunta degli elementi ideali.
Questo metodo è utilizzato ampiamente in Matematica. Ad esempio serve per trovare
- soluzioni di equazioni algebriche che non siano risolubili,
- i punti di incontro delle rette parallele,
- i limiti di successioni che non hanno limite,
- il massimo comune divisore di elementi (non è detto numeri), quando questo non c'è (ed è
questa la vera origine del metodo)
ed altri ancora.
2. I numeri interi relativi col metodo degli elementi ideali.
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2.1. I problemi di sottrazione. Per ottenere i numeri interi relativi a partire dai numeri naturali, si
applica questo programma alla classe di problemi di sottrazione nei numeri naturali.
- Il punto 1) è subito soddisfatto: la classe dei problemi è quella che richiede di calcolare la
differenza tra n e m, o in altre parole, di sottrarre m a n, oppure quanto bisogna aggiungere a m
per ottenere n, o ancora, di risolvere l'equazione m + x = n, dove n,m sono numeri naturali e
sapere che l’equazione non ha soluzione (in
). Un modo abbreviato per rappresentare il
problema è scriverne i dati. Ma, attenzione, è bene fissare un ordine, in quanto non è lo stesso
calcolare la differenza tra n e m e calcolare la differenza tra m e n. Per fare ciò sono disponibili le
coppie ordinate. Il problema si può schematizzare con la coppia ordinata n,m che è un elemento
reale di
2,
ma che nel seguito sarà trattato come un numero ideale. Il resto del problema è
sottinteso. Forse la presentazione del problema come coppia ordinata di numeri naturali fa esser
meno scettici sulla riuscita del programma indicato.
Infatti tali coppie ordinate hanno un aspetto più familiare e concreto, più attinente al contesto
numerico, almeno più di quanto non lo siano le parole "calcolare" "differenza", che però sono le
stesse per tutti i problemi del tipo fissato.
Attenzione, se la soluzione del problema è il problema stesso, allora dalla definizione di
differenza si ha
m + n,m = n,
relazione questa banalmente soddisfatta quando la differenza tra n e m si può eseguire, ma che
accettiamo temporaneamente, anche se del tutto priva di senso , dato che non è detto cosa sia la
somma di un numero naturale e di un problema.
- Il punto 2) chiede di associare ad ogni numero naturale un problema. Ciò è subito fatto
associando al numero naturale n il problema n,0 , in cui si chiede di calcolare la differenza n - 0,
che è n. Questo modo è molto efficiente, ma non è l'unico per ottenere lo scopo, ad esempio si
otterrebbe lo stesso risultato identificando n con n+m,m , con m arbitrario.
2.2. La relazione di equivalenza. Per soddisfare il punto 3), si introduce una relazione di
equivalenza. Si considerino due problemi: n,p ,
m,q . Se essi fossero risolubili, allora
esisterebbero h, k tali che n = p + h e m = q + k. Dunque si può scrivere, malamente, ma in modo
suggestivo, n,p = h, m,q = k, oppure n = p + n,p , m = q + m,q . Questo tipo di scrittura si
estende anche ai problemi che non hanno soluzione. In esso c'è una evidente scorrettezza:
l'addizione sarebbe possibile solo se fosse già noto che gli elementi ideali sono numeri, o al più
che è possibile definire l'addizione, quindi si possono sommare ai numeri già noti.
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Tutta questa argomentazione è un ragionamento euristico, non una dimostrazione: si fa finta che
ciò che si sta cercando sia disponibile e se ne studiano le proprietà, con la speranza che queste
considerazioni portino poi ad affermazioni che prescindano dagli elementi ideali. Quando due
problemi hanno la stessa soluzione, anche se non esiste, si ha n,p = m,q . Presa ora
l'eguaglianza n = p + n,p e sommando ad entrambe i membri q si ottiene n + q = (p + n,p ) + q
= p + ( n,p + q) = p + (q + n,p ) = p + (q + m,q ) = p + m, dunque n + q = p + m, a meno delle
‘proprietà associativa e commutativa’ della ‘addizione’. Si noti che quest'ultima espressione non
fa intervenire esplicitamente le soluzioni dei problemi, ammesso che esistano, ma solo i dati dei
problemi assegnati, quindi nel nostro caso, numeri naturali, operazioni (l'addizione) tra numeri
naturali e l'eguaglianza dei numeri naturali.
A ben guardare questa relazione, nel seguito indicata con ∼ è la relazione di equivalenza cercata.
- Essa è riflessiva: dato un generico problema n,q , si ha n,q ∼ n,q , in quanto per la proprietà
riflessiva dell'eguaglianza, n + q = n + q.
- Essa è simmetrica: se h,n ∼ m,p , allora h + p = n + m, ma per la proprietà simmetrica
dell'eguaglianza, m + n = h + q, cioè m,p ∼ h,n .
- Infine è transitiva: sia n,q ∼ m,p ∧ m,p ∼ h,k ciò significa n + p = m + q ∧ m + k = p + h.
Sommando ad entrambi i membri della prima eguaglianza il numero naturale k, si ha n + p + k =
m + q + k. Il secondo membro, in base alla seconda eguaglianza, si può scrivere m + k + q = h +
p + q. Dunque n + p + k = h + p + q da cui per la legge di cancellazione dell'addizione, n + k = h
+ q. Ciò equivale a n,q ∼ h,k .
Avendo una relazione di equivalenza, si considera l'insieme quoziente, cioè l'insieme delle classi
di equivalenza (
2 ∼)
/
che si denota con il simbolo . Gli elementi di
sono le classi [ m,n ].
La relazione di eguaglianza per le classi è dedotta da quella di equivalenza nel senso che [ r,n ]
= [ m,k ] sse r,n ∼ m,k sse r + k = m + n. La scrittura delle classi, in questo caso specifico
non è molto comoda né usata nel seguito, per cui si preferisce lavorare sui singoli problemi.
Resta da provare che cosa comporti la relazione di equivalenza sui problemi associati ai numeri
naturali: n,0 ∼ p,0 se e solo se n + 0 = p + 0, cioè n = p: l'equivalenza si riduce in tal caso
all'identità, perciò non "confonde" i numeri naturali, o meglio i problemi ad essi associati. Se poi
n,p,k e r sono numeri naturali tali che esistano n - p e k - r e siano eguali, allora da n - p = k - r,
sommando p + r ad entrambi i membri, si ha n + r = k + p, appunto n,p ∼ k,r .
2.3. Strutturazione aritmetica dei problemi di sottrazione. Il punto 4) richiede di definire la
struttura sui problemi. Ciò significa semplicemente che si definiscono le operazioni e le relazioni
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che già sono presenti nel contesto di partenza, i numeri naturali. Anche qui si giustifica
l'introduzione, con ragionamenti euristici, tenendo conto che si vuole che i problemi si
comportino come numeri e quindi si possano considerare operazioni tra essi e i "vecchi" numeri
naturali.
2.3.1. Addizione. Per l'addizione, si considerino i problemi h,n e m,p ; la loro somma è un
problema, che per il momento si indica con h,n + m,p di cui si conosce solo che sommando
ad esso n + p, si ha: ( h,n + m,p ) + (n + p) = ( h,n + n) + ( m,p + p) = h + m. Pertanto il
problema h,n + m,p è quello dato assegnando h + m e n + p, vale a dire h,n + m,p = h +
m,n + p . Questo suggerimento è stato trovato facendo uso, è bene osservarlo, delle proprietà
commutative ed associative dell'addizione che non è ancora definita. Perché però esso possa
essere effettivamente efficace si devono controllare, anzi dimostrare, alcune cose. La prima,
fondamentale: visto che non interessa il singolo problema, ma la classe di problemi equivalenti,
bisogna che la definizione data sia quella di un'addizione sulla classe dei problemi, non sui
singoli problemi; vale a dire se h,n ∼ k,r ∧ m,p ∼ q,s , cioè h + r = k + n ∧ m + s = q + p,
allora ( h,n + m,p ) ∼ ( k,r + q,s ). Ciò significa h + m,n + p ∼ k + q,r + s . Ma si ha (h +
m) + (r + s) = (h + r) + (m + s) = (k + n) + (q + p) = (k + q) + (n + p). Riguardando il primo e
l'ultimo membro della catena di eguaglianze, si dimostra h + m,n + p ∼ k + q,r + s e, si noti,
senza usare gli elementi ideali. Provato ciò, si vede facilmente che l'operazione di addizione è
commutativa: h,n + m,p = h + m,n + p = m + h,p + n = m,p + h,n . In modo analogo si
prova l'associatività: ( h,n + m,p ) + k,s = m + h,p + n + k,s = (m + h) + k,(p + n) + s =
m + (h + k),p + (n + s) = m,p + h + k,p + n = m,p + ( h,n + k,s ). La coppia ordinata
0,0 , quella associata naturalmente al numero naturale 0, è l'elemento neutro rispetto
all'addizione: n,m + 0,0 = n + 0,m + 0 = n,m .
2.3.2. Moltiplicazione. Per la moltiplicazione le cose sono un poco più complesse. Dati i
problemi r,s e q,p , il loro prodotto sarà un problema, per il momento indicato con
r,s · q,p . Da r = s + r,s ∧ q = p + q,p , moltiplicando entrambi i primi membri tra loro ed i
secondi membri tra loro, si ha: r·q = s·p + s· q,p + p· r,s + r,s · q,p . Sommando ad entrambi i
membri di quest'ultima eguaglianza il prodotto s·p, si ha: r·q + s·p = (p + q,p )·s + (s + r,s )·p +
r,s · q,p = (q·s + r·p) + r,s · q,p . Quindi il problema r,s · q,p sommato a q·s + r·p dà il
numero naturale r·q + s·p. Tali considerazioni euristiche suggeriscono di definire r,s · q,p =
r·q + s·p,r·p + q·s . E' da provare che la definizione di moltiplicazione non dipende dagli
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specifici problemi scelti, ma che essa vale per problemi equivalenti. Se r,s ∼ h,k e
q,p ∼ m,n , si prova che r,s · q,p ∼ h,k · m,n , vale a dire r·q + s·p,r·p + q·s ∼ h·m +
k·n,h·n + m·k . Si tratta di mostrare che (r·q + s·p) + (h·n + m·k) = (h·m + k·n) + (r·p + q·s).
Ovviamente si sfruttano le ipotesi r,s ∼ h,k e q,p ∼ m,n che forniscono r + k = h + s ∧ q +
n = m + p. Moltiplicando tra loro, rispettivamente, i primi ed i secondi membri di queste
eguaglianze si ha (r + k)·(q + n) = (h + s)·(m + p), da cui, con semplici calcoli, r·q + k·q + (r +
k)·n = h·m + s·m + (h + s)·p, quindi r·q + k·q + (h + s)·n = h·m + s·m + (r + k)·p, da cui (r·q + h·n)
+ k·q + s·n = (h·m + r·p) + s·m + k·p. Sommando ad entrambi i membri di quest'ultima
eguaglianza k·n + q·s si ottiene, dopo qualche passaggio aritmetico,
(1) (r·q + h·n) + k·(q + n) + s·(q + n) = (h·m + r·p) + (k·n + s·q) + (s·m + k·p).
Ma il primo membro della (1) si scrive come (r·q + h·n) + k·(q + n) + s·(q + n) = (r·q + h·n) +
k·(m + p) + s·(m + p) = (r·q + h·n) + (s·p + m·k) + (s·m + k·p) = (r·q + s·p) + (h·n + m·k) + (s·m +
k·p). Il secondo membro della (1) si può scrivere come (h·m + r·p) + (k·n + s·q) + (s·m + k·p) =
(h·m + k·n) + (r·p + s·q) + (s·m + k·p). Eguagliando le espressioni trovate del primo membro e del
secondo membro della (1) si ha, (r·q + s·p) + (h·n + m·k) + (s·m + k·p) = (h·m + k·n) + (r·p + q·s)
+ (s·m + k·p), da cui, per cancellazione dell'addizione, (r·q + s·p) + (h·n + m·k) = (h·m + k·n) +
(r·p + q·s), quindi r·q + s·p,r·p + q·s ∼ h·m + k·n,h·n + m·k come richiesto.
Come si vede la definizione dell'addizione è molto più semplice di quella della moltiplicazione,
ma ciò è dovuto alla natura del problema usato per introdurre i numeri interi relativi.
Si devono mostrare le cosiddette proprietà formali. Per la commutativa si ha n,s · q,h = n·q +
s·h,n·h + q·s
=
q·n + h·s,q·s + n·h
=
q,h · n,s . L'associativa è più complicata:
( n,s · q,h )· m,r = n·q + s·h, n·h + q·s · m,r = (n·q + s·h)·m + (n·h + q·s)·r, (n·q + s·h)·r +
m·(n·h + q·s) = n·(q·m + h·r) + s·(q·r + m·s),n·(q·r + m·h) + (q·m + h·r)·s = n,s · q·m + h·r,q·r
+ m·h = n,s ·( q,h · m,r ). La coppia ordinata 1,0 , il problema associato al numero naturale 1,
è l'elemento neutro rispetto alla moltiplicazione: n,m · 1,0 = n·1 + m·0,n·0 + 1·m = n,m . La
coppia 0,0 è elemento assorbente rispetto alla moltiplicazione: n,m · 0,0 = n·0 + m·0,n·0 +
0·m = 0,0 . Vale poi la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all'addizione:
( p,s + q,n )· k,r = p + q,s + n · k,r = (p + q)·k + (s + n)·r,(p + q)·r + k·(s + n) = (p·k +
s·r) + (q·k + n·r), (p·r + k·s) + (q·r + k·n) = (p·k + s·r),(p·r + k·s) + (q·k + n·r),(q·r + k·n) =
( p,s · k,r ) + ( q,n · k,r ).
Vale la legge dell’annullamento del prodotto: [ p,q ]·[ h,r ] = [ 0,0 ] sse [ p,q ] = [ 0,0 ] ∨
[ h,r ] = [ 0,0 ]. Si assume per ipotesi 0,0 ∼ p,q · h,r . Ma p,q · h,r = p·h + q·r,p·r + h·q ,
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quindi da 0,0 ∼ p·h + q·r,p·r + h·q da cui si ottiene 0 + (p·r + h·q) = (p·h + q·r) + 0, cioè p·r +
h·q = p·h + q·r. Sono possibili due casi: p = q, vale a dire [ p,q ] = [ 0,0 ], oppure p
dire che [ p,q ]
secondo, p
q, vale a
[ 0,0 ]. Nel primo si è già conclusa la legge di annullamento del prodotto. Nel
q, si ha: p < q oppure q < p. Nel primo caso, p < q, si può scrivere q = p + k, con k
0. Sostituendo nell'eguaglianza precedente si ha p·r + h·(p + k) = p·h + (p + k)·r, da cui sfruttando
le proprietà distributiva commutativa, associativa delle operazioni presenti, si ricava p·(h + r) +
h·k = p·(h + r) + r·k. Usando le leggi di cancellazione dell'addizione e della moltiplicazione si
ottiene h = r, cioè [ h,r ] = [ 0,0 ]. In modo analogo si giunge alla stessa conclusione nel caso q
< p. Viceversa se [ p,q ] = [ 0,0 ] ∨ [ h,r ] = [ 0,0 ], allora, data l'invarianza della
moltiplicazione rispetto alle classi, sia ha in un caso 0,0 · h,r = 0·h + 0·r,0·r + 0·q = 0,0 ed
analogamente nell'altro.
La legge del prodotto unitario vale con una modifica: [ p,q ]·[ h,r ] = [ 1,0 ] sse [ p,q ] = [ 1,0 ]
∧ [ h,r ] = [ 1,0 ], oppure [ p,q ] = [ 0,1 ] ∧ [ h,r ] = [ 0,1 ]. Per ipotesi si assume 1,0 ∼
p,q · h,r . Ma p,q · h,r = p·h + q·r,p·r + h·q , quindi da 1,0 ∼ p·h + q·r,p·r + h·q si ottiene
1 + (p·r + h·q) = (p·h + q·r) + 0, da cui 1 + p·r + h·q = p·h + q·r. Per la legge di annullamento del
si ha [ p,q ]
[ 0,0 ], condizione che si può esprimere scrivendo p
q. Sono possibili due casi:
p < q ∨ q < p. Nel primo, p < q, si può scrivere q = p + k, per un opportuno k
0. Sostituendo
nell'eguaglianza precedente si ha 1 + p·r + h·(p + k) = p·h + (p + k)·r, da cui sfruttando le
proprietà distributiva commutativa, associativa delle operazioni presenti, si ricava 1 + p·(h + r) +
h·k = p·(h + r) + r·k. Usando le leggi di cancellazione dell'addizione si ha 1 + h·k = r·k. Sempre
per la legge del prodotto nullo, si ha [ h,r ]
< r, allora r = h + n, per un opportuno n
[ 0,0 ] quindi h
r, per cui h < r ∨ r < h. Se fosse h
0, quindi da 1 + h·k = r·k si ha 1 + h·k = h·k + n·k, da
cui per la legge di cancellazione dell'addizione, 1 = n·k. Ma il prodotto di numeri naturali è 1 se e
solo entrambi sono 1, per cui si ha n = 1 ∧ k = 1, quindi q = p + 1 e r = h + 1. Queste ultime
eguaglianze esprimono, in altri termini, le eguaglianze [ p,q ] = [ 0,1 ] e [ h,r ] = [ 0,1 ]. L'altro
caso, r < h, comporta h = r + m, per un opportuno m
0, ma da 1 + h·k = r·k si ha 1 + r·k + m·k
= r·k. Sempre per la legge di cancellazione dell'addizione, 1 + m·k = 0 e da qui un assurdo, dato
che per la legge della somma nulla si ha 1 = 0 ∧ m·k = 0. Quindi sotto l'ipotesi p < q è possibile
avere solo h < r. Il caso q < p è del tutto analogo, a parte lo scambio della prima componente con
la seconda, e con questa ipotesi si ha r < h e [ p,q ] = [ 1,0 ] e [ h,r ] = [ 1,0 ].
-9-
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
2.3.3. Relazione d’ordine. Tra i naturali è definita la relazione ≤, che ha alcune importanti
proprietà. La prima che per ogni x si ha sempre x < x+1. Poi si tratta di ordine lineare o totale,
vale a dire per ogni x,y∈
per ogni x,y∈
si ha x < y oppure x = y oppure y < x. Inoltre l'ordine è discreto cioè
se x ≤ y ≤ x+1, si ha x = y oppure y = x+1. Questa relazione deve avere
un'analoga tra i problemi. Affermare che n,m ≤ p,q vuol dire che la differenza tra n e m, se ci
fosse, sarebbe minore della differenza tra p e q. Ma se ad entrambi i membri della disuguaglianza
si aggiunge m + q, si ottiene n,m + (m + q) ≤ p,q + (m + q), da cui n + q ≤ m + p, condizione
in cui non compaiono gli elementi ideali. Per avere garanzie di aver scelto la giusta condizione, si
prova che non dipende dai problemi, ma dalle classi di equivalenza. Se s,p ∼ m,r ∧
h,k ∼ n,q , vale a dire s + r = m + p ∧ h + q = n + k, ed è s,p ≤ h,k , allora s + k ≤ h + p.
Sommando ad entrambi i membri della disuguaglianza n + r, si ha (s + k) + (n + r) ≤ (h + p) + (n
+ r). Il primo membro si sviluppa come (s + k) + (n + r) = (s + r) + (n + k) = (m + p) + (h + q) =
(m + q) + (h + p). Si ha allora (m + q) + (h + p) ≤ (h + p) + (n + r). Di qui, per la monotonia
dell'addizione, m + q ≤ n + r, vale a dire m,r ≤ n,q . E' abbastanza semplice dimostrare ora che
la relazione così definita è d'ordine: è riflessiva s,r ≤ s,r dato che s + r ≤ s + r; è
antisimmetrica a meno di equivalenza: se p,s ≤ r,n ∧ r,n ≤ p,s , allora p + n ≤ r + s ∧ r +
s ≤ p + n, da cui p + n = r + s, cioè p,s ∼ r,n ; è transitiva: se p,q ≤ m,n ∧ m,n ≤ k,s ,
allora p + n ≤ m + q ∧ m + s ≤ k + n, sommando tra loro i primi membri ed i secondi membri, si
ha p + n + m + s ≤ m + q + k + n da cui, sempre per la monotonia dell'addizione, p + s ≤ k + q. La
relazione d'ordine è lineare: date le coppie ordinate s,r e m,n , considerate le somme s + n e m
+ r, si ha s + n ≤ m + r oppure m + r ≤ s + n, dunque s,r ≤ m,n oppure m,n ≤ s,r . E'
interessante osservare che per ogni n,m∈ , si ha 0,n ≤ 0,0 ≤ m,0 . Se poi n,m∈ , da n ≤ m,
si ha n + 0 ≤ m + 0, quindi n,0 ≤ m,0 , riottenendo così l'ordine sui naturali.
Di qui si definisce poi la relazione d'ordine stretto ponendo s,p < h,k , se s + k < h + p. E'
facile osservare che s,p < h,k se e solo se s,p ≤ h,k e le coppie non sono equivalenti.
Con queste richieste si ha s,p < s,p + 1,0 , in quanto s,p + 1,0 = s+1,p+0 = s+1,p e s
+ p < (s+1) + p per le proprietà di monotonia dell'addizione in
. Di qui si ottiene che non c'è il
massimo, dato che è sempre possibile determinare un elemento maggiore. Si osservi inoltre che
( s,p + 0,1 ) + 1,0 = s,p+1 + 1,0 = s+1,p+1 ∼ s,p , quindi s,p+1 < s,p , quindi non
esiste neppure il minimo.
- 10 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Per provare che l'ordine è discreto, date le due coppie ordinate m,n e s,r se si ha m,n ≤
s,r ≤ m+1,n , si ha pure m + r ≤ s + n ≤ (m + 1) + r = (m + r) + 1. Ma l'ordine su
è discreto,
quindi m + r = s + n oppure s + n = (m + r) + 1, vale a dire m,n ∼ s,r oppure s,r ∼ m+1,n .
2.4. Risoluzione dei problemi insolubili. Il punto 5) richiede che si debba trovare soluzione anche
per i nuovi problemi dello stesso tipo, in cui intervengano i nuovi elementi. Per il caso che
interessa, dati due problemi k,s e q,h si deve poter "sottrarre" il secondo al primo. Ma questo
è a sua volta un problema indicato con la scrittura k,s - q,h . Per il momento non lo si sa
risolvere, tuttavia qualora abbia soluzione, essa sia tale che k,s = q,h + ( k,s - q,h ).
Sommando ad entrambi i membri s + h, si ha k,s + (s + h) = q,h + ( k,s - q,h ) + (s + h); di
qui si può scrivere k + h = (q + s) + ( k,s - q,h ). Il suggerimento è che k,s - q,h = k + h,q +
s . In questo modo si ha q,h + k + h,q + s = q + k + h,h + q + s ∼ k,s , confermando in tal
modo la scelta della differenza, utilizzando però in modo essenziale l'equivalenza ∼. Inoltre la
coppia k + h,q + s può essere scritta come una somma: k + h,q + s = k,s + h,q . In questa
scrittura interviene un nuovo "personaggio", la coppia ordinata
h,q
ottenuta da
q,h scambiando le coordinate. Essa merita un nome appropriato: verrà detta l'opposto di q,h e
denotata con – q,h , che si ottiene scambiando le coordinate. L'articolo determinativo è
giustificato anche dal fatto che se q,h ∼ p,r , allora si ha q + r = p + h, quindi è pure h + p = r
+ q, vale a dire h,q ∼ r,p . Dunque la scelta dell'opposto non dipende dal problema, ma dalla
classe di problemi. L'opposto ha la proprietà seguente: q,h + h,q = q + h,h + q ∼ 0,0 . La
presenza dell'opposto ha il grande vantaggio di … fare scomparire il problema iniziale. Infatti per
risolvere problemi di differenza, avendo a disposizione l'opposto, la differenza di due problemi è
la somma del primo con l'opposto del secondo: k,s - q,h = k,s + (– q,h ), quindi la
differenza è ricondotta all'addizione. Si ha poi: – 0,0 = 0,0 , – n,0 = 0,n e – 0,p = p,0 .
Per quanto detto sopra non c'è bisogno di provare che la differenza non dipende dai problemi
scelti, ma dalle classi di problemi coinvolte, in quanto sono indipendenti dalle classi sia
l'addizione che l'opposto.
Per completare il punto 5) bisogna provare che se si considerano due numeri, n,p tali che esista la
differenza (n - p)∈ , la differenza tra i problemi ad essi associati fornisce lo stesso risultato. Ma
n,0 - p,0 = n,0 + (– p,0 ) = n,0 + 0,p = n + 0,p + 0 = n,p ∼ n - p,0 . Se invece i due
numeri naturali sono tali che il problema di differenza non ha soluzione in
- 11 -
, allora n,0 - m,0
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
= n,0 + (– m,0 ) = n,0 + 0,m = n + 0,m + 0 = n,m , quindi il problema stesso è la sua
soluzione.
2.5. Immersine di
in
. Nel punto 6) si chiede che la funzione, indicata con j:
→
che
associa ad ogni numero naturale n la classe [ n,0 ], cioè j(n) = [ n,0 ], conservi le relazioni e le
operazioni che si possono eseguire sui naturali ed i loro risultati. Più esplicitamente si vuole che
a)
n = m sse j(n) = j(m);
b)
j(0) = [ 0,0 ];
c)
j(1) = [ 1,0 ];
d)
j(n) + j(m) = j(n + m) ;
e)
j(n) · j(m) = j(n · m);
f)
n ≤ m sse j(n) ≤ j(m).
La prima in parte è banale: se n = m allora j(n) = j(m), visto che j è una funzione. Viceversa se
j(n) = j(m), allora n,0 ~ m,0 , quindi n + 0 = m + 0, cioè n = m, vale a dire j è iniettiva. Le
successive due richieste sono banali, dalle definizioni. Per la quarta si ha j(n) + j(m) = [ n,0 ] +
[ m,0 ] = [ n + m,0 + 0 ] = [ n + m,0 ] = j(n + m). Si ha poi j(n) · j(m) = [ n,0 ]·[[ m,0 ] = [ n·m
+ 0·0,n·0 + m·0 ] = [ n·m,0 ] = j(n · m). Per la sesta, se n ≤ m, allora si è visto che n,0 ≤ m,0 ,
quindi [ n,0 ] ≤ [ m,0 ], cioè j(n) ≤ j(m). Viceversa se j(n) ≤ j(m), allora [ n,0 ] ≤ [ m,0 ], quindi
n,0 ≤ m,0 , da cui n + 0 ≤ m + 0, cioè n ≤ m.
In ogni classe di coppie ordinate [ n,m ] esiste una unica coppia ordinata in cui almeno una delle
due coordinate è 0, cioè della forma p,0 oppure della forma 0,p , con p eventualmente nullo e
in questo modo si determina in ogni classe di equivalenza un rappresentante privilegiato. Infatti
per la linearità della relazione d'ordine sui numeri naturali, si ha n ≤ m oppure m ≤ n. Il primo
caso si traduce in m = n + p, per un p opportuno, vale a dire m + 0 = n + p, cioè n,m ∼ 0,p ;
nel secondo caso esiste p tale che n = m + p, cioè n + 0 = m + p, quindi n,m ∼ p,0 .
Si osservi poi che 0
1, nel senso che ¬( 0,0 ∼ 1,0 ), dato che 0 + 0
1 + 0.
2.5.1. Identificazione dei numeri naturali come numeri interi – Il segno -. Per semplificare le
notazioni, per ogni numero naturale n, si pone n per n,0 e (–n) per 0,n , l'opposto del numero
naturale n (confondendo così n con j(n) ed identificando
come un sottoinsieme di ). Si usano
le denominazioni di positivi per i numeri interi relativi maggiori di 0, negativi quelli minori di 0.
Da quanto detto sopra ci si può ridurre a considerare i numeri scritti in questa forma. Si ritorna
così alla considerazione dei numeri interi relativi come numeri con il segno.
- 12 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
La struttura che si ottiene avente per sostegno
è un anello commutativo unitario, anzi, valendo
la legge di annullamento del prodotto, un dominio di integrità. Dal punto di vista dell'ordine
con il cosiddetto ordine naturale, è un insieme totalmente o linearmente ordinato, privo di
minimo, di massimo e discreto, cioè per ogni x∈ , per ogni y∈ , se x ≤ y ≤ x+1, allora x = y ∨ x
= y+1.
2.5.2. Cardinalità di . Dal punto di vista della cardinalità dell'insieme , si ha che
o meglio una "copia" di
(contiene
); ma ponendo f(x,y)
( x + y ) ⋅ ( x + y + 1)
+ y si determina una funzione f: ( × ) →
2
max k ∈
(
)
1 2
x + 2 xy + y 2 + x + 3 y =
2
. Si prova che si tratta di una
→
biezione. A tale scopo si consideri una funzione h:
è infinito
ottenuta ponendo h(n) =
k (k + 1)
≤ n . La funzione h è definita in modo corretto in quanto l'insieme che
2
compare nella definizione è un insieme di numeri naturali superiormente limitato, perciò ha
massimo; dalla definizione si ha che
per ogni n∈ , g (n) = n −
si
ha
h(n) ⋅ (h(n) + 1)
(h(n) + 1) ⋅ (h(n) + 2)
. Se si pone ora
≤n<
2
2
h( n) ⋅ ( h ( n)
e g’(n) = h(n) - g(n),g(n) , si ottiene g’:
2
f(g’(n))
=
f(h(n)
-
→( × )e
g(n),g(n))
=
1
((h(n) − g (n)) 2 + 2(h(n) − g (n) + g (n) 2 + h(n) − g (n) + 3 gn))
2
=
1
(h(n) 2 − 2h(n) g (n) + g (n) 2 + 2h(n) g (n) − 2 g (n) 2 + g (n) 2 + h(n) + 2 g (n))
2
=
1
h(n) ⋅ (h(n) + 1)
h(n) ⋅ (h(n) + 1)
h(n) ⋅ (h(n) + 1)
(h(n) ⋅ (h(n) + 1) + 2 g (n)) =
+ g ( n) =
+n−
= n.
2
2
2
2
D'altra parte
( x + y ) ⋅ ( x + y + 1) ( x + y ) ⋅ ( x + y + 1)
( x + y + 1) ⋅ ( x + y + 2)
≤
+y<
, in quanto
2
2
2
( x + y ) ⋅ ( x + y + 1)
1
+ y = ( x 2 + 2 xy + y 2 + x + 3 y )
2
2
( x + y + 1) ⋅ ( x + y + 2)
,
2
sicché
h(f(x,y))
=
<
1 2
( x + 2 xy + y 2 + x + 3 y ) + ( x + 1)
2
x+y
e
g(f(x,y))
=
f(x,y)
=
-
h( f ( x, y )) ⋅ h( f ( x, y ) + 1)
( x + y ) ⋅ ( x + y + 1) ( x + y ) ⋅ ( x + y + 1)
( x + y ) ⋅ ( x + y + 1)
= f ( x, y ) −
=
+ y−
2
2
2
2
= y. Si ha quindi
- 13 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
g'(f(x,y)) = h(f(x,y)) - (f(x,y) - g(x,y)),f(x,y) - g(x,y) = x+y - y,y = x,y . Si prova così che f è
e l'insieme ( × ) hanno la stessa
una biezione e g’ è la biezione inversa, pertanto l'insieme
cardinalità. Poiché inoltre
quella di
2
=(
2
/~) è un'immagine di
2
, la sua cardinalità non può superare
. Quindi per il teorema di Cantor-Schröder-Bernstein,
e
cardinalità. In altro modo, forse più semplice, si può costruire una biezione tra
hanno la stessa
e
associando
a 0∈ , 0∈ , ad ogni numero intero positivo n, il numero naturale 2n e ad ogni numero intero
negativo k, 2|k| -1. Ad esempio il corrispondente di 7∈ è 14∈ , il corrispondente di (–2) è 2·2
- 1 = 3∈ . La verifica che si tratti di una biezione è banale.
3. I numeri razionali.
Una situazione del tutto analoga a quella precedente si realizza quando si vuole costruire
l'insieme dei numeri razionali a partire dall'insieme dei numeri interi relativi. Per ottenere i
numeri razionali si devono soddisfare le precedenti condizioni 1) - 6).
3.1. I problemi di divisione e analogia con i problemi di sottrazione. La richiesta 1) è quella di
fissare il tipo di problemi, cosa fatta considerando i problemi di divisione tra numeri interi
relativi. Si schematizzano i problemi ancora con le coppie ordinate, il problema n,k ha per
soluzione appunto n,k , dove questo elemento ideale deve essere tale che n = k· n,k . Con questa
posizione n è il dividendo e k il divisore. Compare quindi la moltiplicazione al posto
dell'addizione. Per poter riottenere n bisogna però che k
0, altrimenti per potere conservare la
legge del prodotto nullo, il prodotto di k con l'elemento ideale fornisce solo 0. Si delimita
pertanto la classe dei problemi considerando le coppie n,k ∈( × *).
La richiesta 2) si soddisfa identificando i numeri interi relativi con i problemi che hanno seconda
coordinata (il divisore) dato da 1.
La semplice sostituzione della moltiplicazione al posto della addizione fornisce la nuova
relazione di equivalenza, richiesta dal punto 3) delle condizioni dette nel capitolo precedente. Si
ha così una relazione di equivalenza ∼ definita ponendo n,k ∼ m,h se e solo se n·h = m·k.
Tutte le verifiche necessarie per provare che si tratta di una relazione di equivalenza sono la
ripetizione di quelle approntate per i numeri interi relativi. Questa tecnica di sostituire l'addizione
con la moltiplicazione si utilizzerà in seguito anche in vari teoremi. Qui si evitano le verifiche,
proprio perché sono un semplice esercizio e niente di più. Non si ripetono neppure le
"giustificazioni" della scelta delle relazioni e delle operazioni, necessarie per soddisfare il punto
- 14 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
4), perché sono assai simili a quelle sugli interi relativi, con opportune modifiche. I numeri
razionali, vale a dire le classi di equivalenza delle coppie ordinate rispetto alla relazione ∼ si
rappresentano con la scrittura
n
che viene detta numero razionale o frazione, cui in numero
k
posto "sopra" (la prima coordinata della coppia ordinata) prende il nome di numeratore, quello
posto "sotto" (la seconda coordinata della coppia ordinata) viene detto denominatore. Si ha cioè
[ n,k ] =
n
. Si noti la differenza tra i problemi e le frazioni, che poi è la stessa tra coppie e classi
k
di equivalenza: si ha 2,3
con il simbolo
18,27 ma
2 18
=
. L'insieme dei numeri razionali viene denotato
3 27
. La relazione di eguaglianza in
è dedotta da quella di equivalenza:
n m
=
k h
sse n·h = m·k.
3.2. Struttura arimentica dei problemi di divisione. Si noti inoltre che per ogni coppia
p,q ∈( × *) esiste una coppia r,s ∈( × *) tale che p,q ~ r,s , in quanto p,q ∼ pq,q2 ,
dato che p·q2 = (pq)·q e q2∈ .
Si definiscono poi
a) l'opposto di
n
n
−n
, denotato con − , è il numero razionale
;
k
k
k
b) la somma di
n m
n m
n⋅h + m⋅k 1
e
, indicata con + , è il numero razionale
;
k
h
k h
h⋅k
c) l'elemento neutro dell'addizione, indicato con 0, è il numero razionale
d) il prodotto di
0
;
1
n m
n m
n⋅m
e
, indicato con ⋅ , è il numero razionale
;
k
h
k h
h⋅k
1
e) l'elemento neutro della moltiplicazione, indicato con 1, è il numero razionale ;
1
f) la relazione d'ordine naturale,
n m
≤ , si pone quando n·h ≤ m·k.
k h
1 Si può trovare un'espressione più "economica" della somma di due numeri razionali facendo intervenire il concetto di minimo
comune multiplo, la scrittura però perde in trasparenza. Il numero razionale, vale a dire la classe di equivalenza è comunque la
stessa.
- 15 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Si ha poi una proprietà di riconducibilità a , cioè per ogni numero razionale
n
esiste sempre
m
n
un w∈ *, ad esempio m, il denominatore, ma anche 5m, tale che w·m ∈ .
Come si vede in questo contesto la definizione della moltiplicazione è molto più semplice di
quella dell'addizione, ma ciò è dovuto alla natura del problema usato per introdurre i numeri
razionali.
Con queste definizioni si mostrano le proprietà sostitutive della eguaglianza e della
disuguaglianza, le altre proprietà formali. Continuano a valere la legge del prodotto nullo, mentre
cade la legge del prodotto unitario, come conseguenza di quanto detto dopo. L'unica avvertenza
veramente importante è che i numeri che si considerano come dati del problema da cui "nasce"
l'elemento ideale non è la generica coppia ordinata di numeri interi relativi. Ciò perché non ha
senso suddividere un numero n in 0 parti eguali. Si tratta di escludere questo caso insensato. Ciò
si fa considerando le coppie di ( × *) o anche di ( × *), come detto prima.
Per quanto riguarda l'ordine, le sue proprietà valide in
vengono conservate, tranne la proprietà
che sia discreto, cui si sostituisce il fatto che l'ordine è denso. Si prova infatti che l'ordine
naturale è una relazione riflessiva, antisimmetrica e transitiva. Per far vedere ciò si lavora di
preferenza sulle coppie ordinate di ( × *) e quindi si pone h,k ≤ r,s se h·s ≤ r·k. Con questa
definizione si prova banalmente la proprietà riflessiva, la proprietà antisimmetrica si prova a
meno di equivalenza: se h,p ≤ k,s e k,s ≤ h,p , allora h·s ≤ k·p e k·p ≤ h·s, quindi per la
proprietà antisimmetrica dell'ordine in
, h·s = k·p, vale a dire h,s ∼ k,p . Inoltre per ogni
h,k , r,s , p,q ∈( × *) se h,k ≤ r,s e r,s ≤ p,q , allora h·s ≤ r·k e r·q ≤ p·s.
Moltiplicando la prima disuguaglianza per q e la seconda per k, essendo q,k∈ , si ha (h·s)·q ≤
(r·k)·q e (r·q)·k ≤ (p·s)·k, quindi per la proprietà transitiva, (h·s)·q ≤ (p·s)·k e di qui per la legge di
cancellazione, h·q ≤ p·k, vale a dire h,k ≤ p,q .
L'ordine è lineare o totale, infatti dati p,r e s,h , si considerano p·h e s·r; l'ordine in
è lineare
quindi si ha p·h ≤ s·r oppure s·r ≤ p·h, quindi p,r ≤ s,h oppure s,h ≤ p,r . Non ci sono né
minimo, né massimo nell'ordine. Infatti si ha per ogni coppia ordinata p,q ∈( × *), p-1,q <
p,q < p+1,q . Si prova inoltre che l'ordine è denso: se p,q , r,s ∈( × *) e p,q < r,s , vale
a dire p·s < r·q, allora p·s + r·q;2r·s ∈( × *) e p,q < p·s + r·q;2q·s < r,s . Infatti si ha
p·(2·q·s) = 2psq = psq + psq < psq + rq2 = q(p·s + r·q). In modo analogo si prova che p·s +
- 16 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
r·q;2q·s < r,s , dato che s·(p·s + r·q) < s·(r·q + r·q) = 2qrs = r·(2q·s). Tali proprietà dell'ordine
si trasportano poi alle frazioni.
Per quanto riguarda il punto 5), si mostra come è possibile eseguire sempre la divisione tra
numeri razionali, anzi, come fatto per gli interi relativi, viene prima introdotto il concetto di
reciproco di
n
n
n
, purché ≠ 0 , indicato con
k
k
k
−1
, come il numero razionale
k
e questo porta
n
alla "scomparsa" del problema di divisione in quanto la divisione di due numeri razionali diventa
la moltiplicazione del dividendo per il reciproco del divisore, il reciproco che si può fare se il
numero dato non è nullo.
3.3. Immersione ed identificazione di
in
. Il punto 6) si riottiene da quanto detto prima per i
numeri interi relativi, con la sostituzione dell'addizione con la moltiplicazione quindi i passaggi
in cui interviene la funzione j rimangono gli stessi, anche se il significato della funzione è
diverso. Si specifica l'inclusione di
numero razionale
in
associando ad ogni numero intero relativo n∈ , il
n
n
−n
. Si tratta di un'iniezione che conserva le operazioni, in quanto −
;
=
1
1
1
n m n ⋅1 + m ⋅1 n + m n m n ⋅ m
+ =
=
; ⋅ =
=
1 1
1 ⋅1
1
1 1
1 ⋅1
=
n⋅m
. Può stupire che non compaia 0, ma si faccia attenzione che l'inclusione dei naturali
1
negli interi si effettua associando ad un numero naturale la coppia ordinata con il numero come
prima coordinata e l'elemento neutro dell'operazione di addizione, 0 appunto come seconda
coordinata. Il passaggio dalla struttura additiva alla struttura moltiplicativa comporta allora l'uso
di 1, come seconda coordinata, in quanto è l'elemento neutro della moltiplicazione.
Per concludere si osserva che in ogni classe di equivalenza di problemi si ha sempre un
rappresentante, in un certo senso, speciale, vale a dire una coppia ordinata in cui la seconda
coordinata sia un numero naturale e tale che la prima e la seconda coordinata siano numeri interi
relativi primi tra loro, cioè, come si dice, che siano ridotte ai minimi termini. Ciascun numero
razionale si può pensare come il prodotto di un numero intero relativo per il reciproco di un
numero naturale. Si usa talora la scrittura
1
per indicare il reciproco del numero naturale n,
n
giustificando così la scrittura generale. La regola imparata alla scuola preuniversitaria che esegue
la somma di due frazioni calcolando prima il minimo comune denominatore è giustificata dal
- 17 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
fatto che applicata a frazioni ridotte ai minimi termini in generale fornisce, come somma,
frazioni ridotte ai minimi termini.
3.4 Approcci alternativi ai numeri razionali. In aggiunta alla considerazioni precedenti si può
osservare che se invece di partire dai numeri interi relativi si pongono problemi di divisione tra
numeri naturali, tali problemi, in generale, non sono risolubili. Col metodo degli elementi ideali
si ottiene un insieme, indicato con
0+,
detto l'insieme dei razionali assoluti. I
numeri razionali assoluti, o meglio, i numeri razionali assoluti diversi da 0
derivano dalla tradizione greca, come rapporti di grandezze. Pitagora, che
riteneva il numero naturale (0 escluso) come principio primo del cosmo, trovava
nel rapporto di grandezze misurate con numeri naturali, la giustificazione
Pitagora
(VI sec. a.C.)
dell'armonia. La scoperta dell'esistenza di segmenti incommensurabili, ha
scardinato questa visione. Per questo nella matematica greca si è preferito
parlare di grandezze e di rapporti di grandezze, viste come qualcosa di più concreto ed affidabile,
piuttosto che di numeri razionali o no. La presentazione dei sistemi numerici in questo testo non
segue l'evoluzione storica dei concetti, ma è ispirata piuttosto al punto di vista dello
strutturalismo.
Nell'insieme
0+
dei numeri razionali assoluti si definisce la struttura come sopra indicato
facendo sì che i problemi di divisione trovino sempre soluzione. Rimangono insolti i problemi di
sottrazione. Applicando il metodo degli elementi ideali all'insieme
ottenere gli interi relativi, si ottiene di nuovo (un insieme isomorfo a)
0+,
così come fatto per
. Quindi sono possibili
più costruzioni diverse per ottenere la stessa struttura. Ma oltre a questi approcci ne sono
possibili altri assai diversi. Ad esempio nelle scuole
preuniversitarie trova talora spazio il cosiddetto metodo
degli operatori, ispirato ad idee di Meray ed in seguito
riprese e sviluppate da Peano, esemplificato mediante l'uso
abbondante di torte e fette di torta, ma che dal punto di vista
Charles Meray
(1835-1915)
algebrico è assai più complesso. Rimane anche più
complicato definire l'addizione di operatori, mentre la moltiplicazione è
Giuseppe Peano
(1858-1932)
l'operazione che traduce la composizione degli operatori. Non ci si sofferma oltre su questi
argomenti. Preme osservare la non univocità di approccio a giustificare il fatto che in quanto
segue si sposta a livello definitorio una parte dimostrabile in base al tipo di introduzione scelto.
La struttura ottenuta su
è quella di anello commutativo unitario, di più, dominio di integrità,
più ancora, di campo intendendo con questa dizione un anello commutativo unitario in cui ogni
- 18 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
elemento diverso da 0 ammette inverso. Sono quindi risolubili in
le equazioni di primo grado
della forma ax + b = 0, con a,b∈ .
3.5. Proprietà di Q. Se si pone attenzione alle proprietà della relazione d'ordine
è un insieme
linearmente o totalmente ordinato da ≤, privo di massimo e di minimo e denso, cioè tale che per
ogni coppia x,y∈
tali che x < y esiste z∈
tale che x < z < y.
Quello visto fin qui è utile come giustificazione della introduzione dei numeri interi relativi e
razionali, introduzione che può essere presentata in una volta sola per entrambi i sistemi
numerici.
Per quanto riguarda la cardinalità di
si possono ripetere le considerazioni svolte per la
determinazione della cardinalità di . Entrambi gli insiemi sono numerabili cioè equipotenti a
.
Ciò può dipendere anche dal fatto che ciascun problema che serve per costruire gli insiemi
numerici detti si formula usando solo un numero finito (due) di elementi del sistema numerico
precedente.
4. Problemi insolubili nell'insieme dei numeri razionali.
Nei due capitoli precedenti non si sono indicate esplicitamente varie classi di problemi in
e in
perché sostanzialmente equivalenti in modo ovvio.
Questa lunga esemplificazione vuole essere un messaggio didattico: non introdurre brutalmente
le costruzioni insiemistiche di
e
, (spesso presentate anche nella scuola), ma mostrarne le
origini problematica problematizzazione.
Per questo, forse più importante che vedere una modalità di costruzione di un modello per i
numeri reali, per poi tralasciarlo perché lavorare con tali concetti è assai impegnativo, è meglio
soffermarsi sui problemi che si possono porre in
, e mostrare che non si possono risolvere. La
natura diversa di tali problemi ed il “miracolo” che partendo da punti di vista differenti si ottenga
comunque la struttura dei numeri reali, potrebbe essere didatticamente più efficace.
4.1. I buoni ordini di
L'ordine naturale su
. Inizio da un problema che non richiede
, ma si pone già in
.
gode di un'importante proprietà, è un
buon ordine, vale a dire: ogni sottoinsieme non vuoto di
Attenzione, questa è una caratteristica di
ha minimo .
, meglio dell'ordine naturale su
rispetto all'ordine naturale non è bene ordinato, ad esempio l'insieme
- 19 -
, dato che
stesso non ha minimo.
,
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
La proprietà di
, nota col nome di Principio di minimo, è alla base di varie altre proprietà, in
particolare alla possibilità delle definizioni per ricursione e del Principio di
induzione, strumento importante per le dimostrazioni in Matematica, anzi
secondo Poincaré uno dei principi fondamentali desunto dalla intuizione
sintetica a priori del tempo. Si dice dunque che l'insieme
è bene ordinato
(dall'ordine naturale). L'ordine naturale però non è l'unico buon ordine
Henri Poincaré
(1854-1912)
possibile su
. Se ad esempio si definisce
restrizione di
su
imponendo che la
sulle coppie di numeri pari oppure sulle coppie di numeri
dispari sia la stessa relazione di ordine naturale ≤, mentre ogni numero pari precede ogni numero
dispari, la relazione è ancora un ordine lineare ed è un buon ordine su
, ben diverso da ≤. Un
altro tipo di buon ordine si ottiene attribuendo a 0 il ruolo di massimo di
l'ordine sui restanti. In questo caso
ciò che accade rispetto a
e lasciando inalterato
viene ad avere minimo e massimo, quindi ben differente da
. Il problema che si pone in questo contesto è quello di determinare le
proprietà dell'insieme dei buoni ordini su
l'insieme di tali buoni ordini è
. La risposta, sorprendente, se si vuole, è che
. Questo approccio è seguito in parte nella teoria degli ordinali e
dalla teoria alternativa degli insiemi di P. Vop nka (1979).
4.2. La presenza delle lacune in
problema che si è posto in
. Torniamo però ai problemi di
. Storicamente il primo
è di tipo algebrico ed è relativo all'incommensurabilità della
diagonale e del lato di uno stesso quadrato. Esso è stata forse la causa della prima profonda crisi
della conoscenza matematica ai tempi dei Greci. In conseguenza ad essa la Matematica greca si è
sviluppata più in ambito geometrico che in ambito algebrico, prediligendo le
grandezze alle quantità. Dire che non esiste un numero razionale il cui quadrato
sia 2 oggi non sorprende più. Il fatto che il prodotto di un
numero per se stesso fornisca un numero razionale non è
sufficiente per concludere che il numero di partenza sia
razionale. Vediamone la dimostrazione che si può trovare
Aristotele
(384-322 a.C.)
su molti testi di liceo, e si incontra anche in Aristotele.
Archita da Taranto
(430-360 a.C.)
TEOREMA (di Archita). Non esiste un numero razionale q tale che q2= 2.
DIMOSTRAZIONE. Si mostra per assurdo. Ci si può limitare alla considerazione di numeri
razionali positivi, dato che q2 = (–q)2. Se esiste q tale che q2= 2, esistono n,m∈ * tali che q =
n
. La coppia di tali
m
numeri non è univocamente determinata. Però tra tutte le coppie se ne può identificare una, quella in cui
- 20 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
M.C.D.(n,m) = 1. Se ciò non accade per i valori n e m basta considerare n’ =
Per essi si ha M.C.D.(n’,m’) = 1. D'altra parte
riportare gli apici, si può dunque scrivere q =
n
m
, m’ =
.
M .C.D.(n, m)
M .C.D.(n, m)
n'
n
= (n·m-1)·M.C.D.(n,m)-1·M.C.D.(n,m) = n·m-1 =
. Senza
m'
m
n
n
⋅
m
m
n
, con M.C.D.(n,m) = 1. Da q2 = 2 si ha
m
= 2; di qui si
ottiene moltiplicando entrambi i membri per m2, n2 = 2·m2. L'eguaglianza di partenza tra numeri razionali è
ricondotta ad una eguaglianza tra numeri naturali. Essendo 2 un numero primo, da 2 | n2, si ha 2 | n, quindi esiste r
tale che n = 2·r. Sostituendo si trova (2·r)2 = 2·m2, cioè, moltiplicando entrambi i membri per 2-1, 2·r2 = m2. Si può
ripetere la stessa argomentazione e si trova m = 2·s per un opportuno s. Ma di qui 1 = M.C.D.(n,m) =
M.C.D.(2·r,2·s) = 2·M.C.D.(r,s), quindi 2 | M.C.D.(n,m), per cui 1 = M.C.D.(n,m) = M.C.D.(2r,2s), si ha alla fine 2
| 1, il che è assurdo.
Una proprietà sorprendente dell'ordine naturale in
che mentre in
, che pone un problema insolubile è il fatto
ogni sottoinsieme non vuoto inferiormente limitato rispetto all'ordine naturale
ha minimo, ciò non avviene più in
, anzi non vale neppure indebolendo la richiesta del minimo
non vuoti e
e sostituendola con l'estremo inferiore. Lo stesso vale per i sottoinsiemi di
superiormente limitati. La scoperta di questa caratteristica (negativa) di
passa attraverso la
scoperta dell'incommensurabilità.
TEOREMA (delle lacune). Esiste un sottoinsieme non vuoto di
inferiormente limitato che non
ha minimo né estremo inferiore.
DIMOSTRAZIONE. Si consideri l'insieme a = {x∈ + | 2 ≤ x2}. L'insieme a è inferiormente limitato, dato che per
ogni x∈a, 0 < x; a è non vuoto dato che 3∈a, in quanto 32 = 9 > 2. Inoltre l'insieme a
+, in quanto 1∉a, dato che
1 = 12 < 2. Il numero razionale 1 è quindi un minorante di a. Se per assurdo l'insieme a ha estremo inferiore in
,
sia q = inf(a) e q∈ , si ha 1 ≤ q, quindi q∈ +. Si hanno due casi: q∈a ∨ q∉a. Nel primo si ha 2 ≤ q2. Si può
escludere, per il Teorema di Archita, che q2 = 2, quindi 2 < q2. Applicando una formula derivata dal metodo delle
tangenti di Newton, per il calcolo delle radici approssimate, si considera il numero razionale
2 + q2
. Esso è
2⋅q
ottenuto con somma, prodotti e divisione di numeri razionali non nulli, quindi è un numero razionale. Si ha
q−
2 + q 2 2q 2 − 2 − q 2 q 2 − 2
2 + q2
> 0, dato che il numeratore è positivo, quindi
< q.
=
=
2⋅q
2⋅q
2⋅q
2q
Inoltre
Isaac Newton
(1642-1727)
<
q2 + 2
2q
q2 + 2
2q
2
−2=
q 4 + 4q 2 + 4 − 8q 2
2
. Si ha pertanto
4q 2
=
q 4 − 4q 2 + 4
4q 2
=
q2 − 2
2q
2
> 0, da cui 2
q2 + 2
q2 + 2
< q, quindi non può
∈ a , ma contemporaneamente
2q
2q
essere q = inf(a). Ovviamente l'insieme a non ha neppure minimo perché altrimenti esso, ne sarebbe anche il
massimo minorante, quindi l'estremo inferiore.
- 21 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Nel secondo caso q∉a, si ha 1 ≤ q2 < 2. In tal caso si procede ispirandosi al metodo delle secanti (o di R. Cotes
(1682 - 1716)) e si considera il numero razionale positivo
=
3q + 2
3q + 2 − 3q − q 2
3q + 2
. Si ha
−q =
=
3q + 3
3+ q
3+ q
2 − q2
∈ +, in quanto il denominatore è positivo perché somma di due numeri razionali positivi ed il numeratore
3+ q
3q + 2
3q + 2
. Si ha poi 2 −
3+q
3+q
è positivo perché, per l'ipotesi del caso, q2 < 2. Perciò q <
2(9 + 6q + q 2 ) − (9q 2 + 12q + 4)
(3 + q ) 2
x∈a, si ha
3q + 2
3+ q
2
=
14 − 7 q 2
(3 + q ) 2
∈
3q + 2
3+ q
+, pertanto
< 2 ≤ x 2 . Di qui si può affermare che
2
=
2
< 2 . Ma ciò causa un assurdo: per ogni
3q + 2
è un minorante di a. Perciò q non è il massimo
3+ q
minorante di a, non è cioè l'estremo inferiore di a. Anche in questo caso si conclude un assurdo, provando così la
presenza di una lacuna in
, cioè di un insieme non vuoto di numeri razionali inferiormente limitato privo di
estremo inferiore.
L'esempio portato è "canonico" nel senso che lo si può trovare su diversi testi. E' forse il più
semplice ed è legato ad un problema storicamente ed epistemologicamente significativo.
Didatticamente può essere efficace a patto che non si suggerisca con esso, implicitamente o
esplicitamente, che si passa ai numeri reali aggiungendo a
le radici quadrate di numeri
razionali positivi (se non addirittura degli interi). E' dunque buona cosa distinguere. Qui si è
presentato un problema algebrico, la determinazione della radice quadrata di 2 e, mediante esso
un problema collegato all'ordine di
, la presenza di lacune. La distinzione è rilevante perché il
problema algebrico del calcolo delle radici ha soluzioni ben diverse, tramite esso non si ottiene
, ma un campo intermedio tra
e
, il campo dei numeri reali algebrici che è numerabile.
4.3. Il numero e. L'approccio che Weierstrass e Soschino per i numeri reali è quello delle scritture
decimali e quindi nasce ancora da un problema aritmetico.
Un altro problema è legato alla struttura di spazio metrico di
1.
Esso richiede l'introduzione
delle successioni, del criterio di Cauchy per successioni e la nozione di spazio metrico completo.
Questa presentazione dei numeri reali è dovuta a Cantor.
In questo ambito si può fornire un esempio più complesso, ma estremamente importante in
Matematica e nelle applicazioni.
1 Ricordo che dato un insieme a non vuoto, si dice distanza o metrica su a una funzione d: (a×a) →
0+ tale che per ogni
x,y,z∈a, d(x,y) = 0 se e solo se x = y; d(x,y) = d(y,x); d(x,y) ≤ d(x,z) + d(z,y) (disuguaglianza triangolare). La coppia ordinata
a,d viene detta spazio metrico, se d è una metrica su a.
Un esempio di spazio metrico è dato dall'insieme con la funzione d definita ponendo per ogni x,y∈ , d(x,y) = |x - y| (metrica
naturale). Anche o con la "stessa" metrica sono spazi metrici.
- 22 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
TEOREMA (della serie esponenziale). La serie
1
1
converge al numero e = lim 1 +
h
h!
n
n
che non è un numero razionale.
Karl T. Weierstrass Agostino L. Cauchy
(1815-1897)
(1789-1857)
→
Georg Cantor
(1845-1918)
definita per ogni n∈ * da E(n) = 1 +
1
n
DIMOSTRAZIONE.
La
successione
che
nell'enunciato ed il cui limite è e, si può indicare con E:
n
e completando la definizione a
ponendo E(0) = 0. La
1+
successione E è crescente e per ogni n∈ * si ha 1 +
1−
=
1
1−
n +1
n +1
1
n +1
1
⋅ 1+
n +1
n +1
1−
=
1−
1
n +1
1
compare
1
n
1 n +1
1
E ( n)
=
=
, quindi
=
1
E
n
n
(n + 1)
1
1−
1+
n +1
n +1
n
n +1
=
1
n
+ 1 = 1 . Da E (n) ≤ 1 , si ha E(n) ≤ E(n+1). Di qui,
≤
1
E (n + 1)
1−
n +1
1−
n +1
(n + 1) 2
per induzione si prova che la successione è crescente.
Per un risultato sulle successioni crescenti, si ha che se la successione è superiormente limitata, allora è convergente.
Mutando approccio si può considerare la serie ottenuta partendo da una successione ϕ:
definita per ogni
1
ϕ (n)
. Da questa espressione si ricava che ogni termine è positivo e che ϕ(n+1) =
, quindi
n!
n +1
da ϕ(n) =
n∈
→
decrescente. La serie esponenziale ( ϕ) è la serie associata a ϕ, per costruzione, è crescente. La serie esponenziale
converge in virtù della completezza di
e del criterio del rapporto: per ogni n∈ , si ha
ϕ (n + 1)
1
=
→ 0 . Si
ϕ ( n)
n +1
ha inoltre per ogni n∈ , ( ϕ)(n) ≤ 3 e per ogni n∈ *, E(n) ≤ ( ϕ)(n). Ciò permette di concludere che la
successione E converge e la serie ( ϕ) converge ad un valore non minore di e. Si ha ( ϕ)(0) = 1, ( ϕ)(1) = 1 + 1 =
2, così, per ogni n∈ *, 2 = ( ϕ)(1) ≤ ( ϕ)(n), dato che essendo la serie a termini positivi, la successione ( ϕ) è
monotona crescente. Anche la successione E è crescente. Si ha inoltre per ogni n∈ *, E(n) = 1 +
+
n
1
h =0 2
h
1−
= 1+
1
2
1
n
n
≤
n
1
≤1
h
h=0 !
n +1
1
1−
2
≤ 1+
1
= 3 , in cui la seconda sommatoria che compare si può è scritta come la somma
2 −1
2
di una progressione geometrica di ragione
1
.
2
Per dimostrare le due disuguaglianza sopra indicate, si prova per induzione che 2n ≤ (n+1)!. Si ha infatti 20 = 1 = 1!;
poi 2n+1 = 2n·2 ≤ (n+1)!·2 ≤ (n+1)!·(n+2) = (n+2)!. Da questa disuguaglianza segue, per qualunque sia k∈ *
- 23 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1
1
≤ k . Ancora per induzione si ha
(k + 1)! 2
n
n 1
1
≤ 1+
. Ciò è banalmente provato per n = 0, in quanto
h
h = 0 h!
h=0 2
0
n 1
n 1
0 1
1 1 1
1
1
= = = 1 ≤ 1+1 = 1+ = 1+ 0 = 1+
. Si assume ora come ipotesi induttiva
≤ 1+
e si
h
h
1
2
h = 0 h!
h=0 2
h = 0 h! 0! 1
h =0 2
prova
n 1
n 1
n +1 1 n+1 1
1
1
1
=
+
≤ 1+
+ n +1 = 1 +
h! .
h
s
2
h = 0 h! h = 0 h! (n + 1)!
h =0 2
s = 0 2 h=0
n +1
E (n) = 1 +
Inoltre
1+1+
1
n
n
= 1+ n ⋅
1 n(n − 1) 1 n( n − 1)(n − 2) 1
n(n − 1) ⋅ ... ⋅ (n − ( n − 1)) 1
+
⋅
+
⋅
+ ... +
⋅
=
2
3
n
2
3⋅ 2
n(n − 1) ⋅ ... ⋅ 2
n
n
nn
n 1
1
1
1
1
2
1
1
2
n −1
⋅ 1−
+ ⋅ 1−
1−
+ ... +
1−
1−
⋅ ... ⋅ 1 −
≤
. Questo passaggio va provato
2!
n
3!
n
n
n!
n
n
n
h = 0 h!
per induzione, richiede la formula del binomio di Newton per il calcolo della potenza di un binomio. In tale modo si
è ottenuto che per ogni n∈ *, E(n) ≤ ( ϕ)(n). Ciò permette di concludere che la serie ( ϕ) converge ad un valore
non minore di e.
Si prova inoltre che per un arbitrario, ma fissato m∈ *, per ogni n con m ≤ n, E(n) = 1 +
1
n
n
= 1 + 1 +
1
1
1
1
2
1
1
2
1
1
2
m −1
m
⋅ 1−
+ ⋅ 1−
1−
+ ... + ⋅ 1 −
1−
⋅ ... ⋅ 1 −
+
⋅ 1−
1−
⋅ ... ⋅ 1 −
+ ...
2!
3!
( m + 1)!
n
n
n
m!
n
n
n
n
n
n
+
1
1
2
n −1
1
1
2
m −1
⋅ 1−
1−
⋅ ... ⋅ 1 −
≥1+1+ ⋅ 1−
1−
⋅ ... ⋅ 1 −
.
n!
n
n
n
2!
n
n
n
Passando al limite per entrambi i membri della disuguaglianza, specificando che in questo caso si considera m fisso,
quindi al tendere di n all'infinito, e si ottiene e ≥ 1 + 1 +
1 1
1
+ + ... +
= ( ϕ)(m). Questo prova ancora che la
2! 3!
m!
somma della serie esponenziale deve essere minore o eguale ad e, quindi l'asserto.
Il calcolo e = 2,718281828… si può svolgere in modi diversi. Può essere interessante vedere che mediante la serie si
ottengono approssimazioni "buone" in modo "veloce". Fissato arbitrariamente m∈ , per ogni k∈
si ha (m+k)! ≥
m!·m , utilizzando l'induzione su k. Infatti (m+0)! = m!·m . Supposto l'asserto per k si ha (m+k+1)! =
k
0
(m+k)!·(m+k+1) ≥ (m+k)!·m ≥ m!·mk·m = m!·mk+1. Si ha pertanto
ϕ(m+k) ≤
=
ϕ ( m) 1 1
1
=
⋅ k ≥
= ϕ ( m + k ) , vale a dire
k
m
!
(
m
+
k )!
m
m
∞
∞
∞
ϕ ( m)
ϕ ( n + 1)
1
. Si ha così per ogni n∈ , e - ( ϕ)(n) =
ϕ (s) ≤
= ϕ (n + 1) ⋅
=
k
s − n −1
k
m
s = n +1
s = n +1 ( n + 1)
k = 0 ( n + 1)
1
1
1
n +1
1
. Ciò esprime l'approssimazione che si ottiene ha considerando come
⋅
=
⋅
=
( n + 1)! 1 − 1
(n + 1)! n
n ⋅ n!
n +1
valore di e la somma ( ϕ)(4) = 1 + 1 +
valore di e meno di
1 1 1
24 + 24 + 12 + 4 + 1 65
+ +
=
=
= 2,708(3); tale valore differisce dal
2 6 24
24
24
1
1
1
1
=
=
= 0,01041(6). Per contro E(4) = 1 +
4 ⋅ 4! 4 ⋅ 24 96
4
fornisce di e un valore approssimato a meno di 10–7 di e.
- 24 -
4
= 2,44140625. Già ( ϕ)(10)
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
La stima dell'errore serve anche per provare l'irrazionalità del numero e, provando che e∉ . Se infatti e fosse
razionale si potrebbe scrivere come e =
p
1
. Si avrebbe allora 0 < e - ( ϕ)(q) <
, da cui 0 < (e - ( ϕ)(q))·q! <
q
q ⋅ q!
1
q . Ma q divide q!, quindi e ·q! è un numero naturale; ( ϕ)(q) si può esprimere come frazione in cui il denominatore
è appunto q!, quindi anche ( ϕ)(q)·q! è un numero naturale. In tal modo il prodotto (e – (Σϕ)(q))·q! è un numero
naturale compreso tra 0 e
1
< 1. Ciò è assurdo.
q
La dimostrazione che il numero e non è algebrico, vale a dire non si può esprimere mediante un
numero finito di operazioni mediante numeri razionali e radicali, è assai più complessa.
4.4. La presenza dell’infinito. Ciascuno dei problemi presentati ha una caratteristica novità
rispetto ai problemi considerati per costruire gli insiemi numerici
e
: richiede enti infiniti
dati in atto.
Per evitare questo tipo di infinito, che dà origine ai paradossi di Zenone, la matematica greca ha
elaborato, grazie a Eudosso di Cnido la teoria delle grandezze che costituisce il V libro di
Euclide. Si può dire che tale teoria funziona "bene" anche oggi, presentata con un linguaggio
adeguato all’impostazione odierna. La differenza sostanziale tra la teoria delle grandezze ed i
numeri reali come vengono presentati ai nostri giorni sta nella considerazione di insiemi infiniti
in atto, che è tipica della matematica da Cantor in poi. Proprio in conseguenza al fatto che i
problemi posti richiedono infiniti dati, la cardinalità dell'insieme
che si ottiene è più che
numerabile. E' stato proprio Cantor a proporre una semplice dimostrazione, la cui tecnica
(diagonale) è stata applicata poi in molti altri contesti, per provare che l'insieme dei numeri reali
non può essere posto in corrispondenza con l'insieme dei numeri naturali.
Si è messo in luce uno, forse il più importante, dei problemi didattici legati all'introduzione dei
numeri reali: non è possibile proporre una corretta e comprensibile introduzione a chi non ha
familiarizzato con l'infinito nelle sue diverse accezioni. Spesso la matematica scolastica
prescinde dall'infinito e pure dal finito. Si tratta di due concetti non banali e non immediatamente
ottenibili uno dall'altro mediante negazione (finito = non infinito, infinito = non finito). Ne è
riprova il gran numero di definizioni di insieme finito (non tra loro equivalenti, a meno di forti
ipotesi insiemistiche). Non possono aiutare le categorie di limitato ed illimitato perché è facile
mostrare che, rispettivamente, non sono adeguate a quelle di finito e infinito. Date queste
complicazioni, un'analisi del finito e dell'infinito, viene solitamente omessa dalla presentazione
scolastica.
- 25 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Si analizzano ora vari approcci per mostrare come ogni problema richieda l'infinito in atto. Se si
parla del buon ordine su
vuoti di
, è ovvio che bisogna considerare la totalità di tutti i sottoinsiemi non
, quindi infiniti insiemi, anche infiniti, dati in atto.
4.5. Classi contigue. Se si considerano le lacune di
, ci sono due modi per individuarle: uno è
dato dalle classi contigue. Una coppia ordinata H,K di sottoinsiemi non vuoti di
, costituisce
una coppia di classi contigue se
1) per ogni x∈H e per ogni y∈K, x < y;
2) per ogni ε∈ +, esistono x∈H, y∈K tali che y - x ≤ ε.
La nozione di coppie di classi contigue è dovuta a Capelli e Cantor.
Una coppia di classi contigue individua una lacuna se H non ha estremo superiore e K non ha
estremo inferiore. Un esempio di lacuna è mostrato in un teorema precedente. Si osservi che gli
insiemi H e K sono insiemi infiniti, dato che presi ad arbitrio x∈H e y∈K, si ha (y - x)∈ +. Posto
α0 = (y - x), sia α1 =
Banalmente si ha x
α0
2
. Per la condizione 2) esistono x1∈H, y1∈K, tali che y1 - x1 ≤ α1.
x1 oppure y
y1 (o anche verificate entrambe), dato che y1 - x1 ≤ α1 < α0 = y
- x. Ripetendo questa costruzione per ogni n si trovano xn+1∈H e yn+1∈K tali che yn+1 - xn+1 ≤
α0
2 n +1
e xn+1
xn oppure yn+1
yn. La possibilità di iterare questa costruzione comporta che gli
insiemi H e K sono infiniti. La loro infinità è provata in via potenziale, ma la considerazione
della coppia ordinata H,K richiede di considerare come un ente unico tali collezioni infinite e
quindi l'infinità in atto e questo avviene ancora di più quanto si passa alla classe di equivalenza
di coppie di classi contigue.
4.6 Sezioni di Dedekind. Una seconda strategia per individuare una lacuna di
è dato dalle
sezioni di Dedekind. Secondo Dantzig, Dedekind introduce le sezioni come modello del presente,
attimo individuato dal passato e dal futuro. Una coppia ordinata H,K di sottoinsiemi non vuoti
di
si dice una sezione se:
1) (H∪K) =
;
2) (H∩K) = ∅;
3) per ogni x∈H e per ogni y∈ , se y ≤ x, allora y∈H;
4) H non ha massimo.
Una sezione di Dedekind H,K individua una lacuna se K non ha minimo.
- 26 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Nella nozione di sezione si vede che il ruolo dei due sottoinsiemi è dissimmetrico, dato che la
condizione 3) si applica a H e non utilizza K. E' però facile provare utilizzando 1), 2) e 3) che se
H,K è una sezione di Dedekind, allora per ogni x∈K, per ogni y∈ , se x ≤ y, allora y∈K,
quindi l'analoga condizione per K.
Una variante di questa presentazione è dovuta a Pasch (1843 - 1930) e Russell: un sottoinsieme
H⊆
non vuoto è detto una semiretta di Russell se soddisfa le precedenti condizioni 3) e 4) ed
inoltre (
- H)
∅. Una semiretta di Russell individua una lacuna se è priva di estremo
superiore. Da una semiretta di Russell, H, si ottiene una sezione di Dedekind: H, -H ;
viceversa la prima componente di una sezione è una semiretta di Russell.
Come si mostra in seguito si può passare da classi contigue a sezioni di Dedekind e viceversa. Ci
si può chiedere allora per quale motivo presentare entrambi i concetti. La risposta sta nel tipo di
infinito. La presentazione mediante le classi contigue si avvale dell'infinito potenziale perché
spesso le classi contigue, come negli esempi presentati qui di seguito, vengono date mediante le
approssimazioni per difetto e per eccesso di un numero reale, quindi mediante successioni di
numeri razionali. Le sezioni di Dedekind (e le semirette di Russell) sono invece insiemi infiniti
in atto.
Ogni sezione di Dedekind è una coppia di classi contigue. Infatti se una coppia ordinata H,K è
una sezione di Dedekind, gli insiemi sono non vuoti. Inoltre se x∈H e y∈K, allora non può essere
y ≤ x, perché dalla condizione 3) si avrebbe y∈H, quindi y∈(H∩K), in contrasto con la 2), sicché
x < y. Siano inoltre x∈H, y∈K; per quanto provato prima (y - x)∈ +. Per ogni ε∈ +, per il
principio di Eudosso-Archimede, esiste n∈
tale che (y - x) ≤ nε. Si consideri ora a = {m∈
(x + mε)∈H}. L'insieme a è un sottoinsieme di
|
, per definizione. Inoltre dato che (y - x) ≤ nε, si
ha y ≤ (x + nε). Di conseguenza (x + nε)∉H, altrimenti si avrebbe per la 3), che y∈H, contro
quanto detto in 2). Ma ciò prova che l'insieme a non è vuoto. Per il principio di minimo esiste m
= min(a). Affermare che m è il minimo di a, comporta m∈a, quindi (x + mε)∉H, da cui (x +
mε)∈K. Non può essere m = 0, altrimenti x∈H e x∉H, pertanto m
0. Esiste allora p∈
predecessore di m, vale a dire (p+1) = m. Ma dato che m è minimo di a e p < m, p∉a, quindi (x +
pε)∈H e si ha (x + mε) - (x + pε) = ε. Si sono così trovati due elementi z = (x + pε)∈H, t = (x +
mε)∈K tali che t - z ≤ ε. Si prova in tal modo che ogni sezione di Dedekind è una coppia di classi
contigue.
E' possibile invertire questa situazione: data una coppia di classi contigue, esiste una sezione di
Dedekind ad essa associata. Sia H,K una coppia di classi contigue. Si devono trattare due casi:
- 27 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
H non ha massimo oppure H ha massimo. Nel primo caso si pone P = {x∈
=(
| ∃y∈H (x ≤ y)} e R
- P). Gli insiemi P e R sono non vuoti, dato che H e K sono non vuoti e si ha banalmente
(P∪R) =
e (P∩R) = ∅. Per ogni x∈P, per ogni y∈ , se y ≤ x, allora esiste t∈H tale che y ≤ x
≤ t, quindi y∈P. Si osservi inoltre che H ⊆ P per la proprietà riflessiva dell'ordine. L'insieme P
non ha massimo, altrimenti detto q tale elemento si avrebbe q∈P, quindi esiste u∈H tale che q ≤
u, ma dato che u∈P deve essere anche q ≤ u, quindi q = u, ottenendo così che q = max(H), ma
per ipotesi H non ha massimo.
Se H ha massimo w = max(H), si pone P = ({x∈
| ∃y∈H (x ≤ y)} - {w}) e R = (
- P). Tutte
le considerazioni precedenti valgono ancora, ma stavolta non si ha più H ⊆ P. Ancora P non ha
massimo dato che altrimenti detto ancora q tale massimo, si ha q ≤ w, anzi, dato che w∈P, q < w.
Ma q <
w+ q
w+ q
< w e w∈H, pertanto
∈P, contro l'ipotesi che q sia massimo di P.
2
2
L'uso delle sezioni di Dedekind o delle semirette per individuare le lacune richiede in entrambi i
casi insiemi infiniti, dati in atto.
Se si utilizzano successioni, sia nella forma proposta da Cantor, sia come serie secondo
Weierstrass, l'ente successione è infinito in atto, quindi anche in questo caso il problema
dell'infinito è presente in tutta la sua complessità.
5. I reali come completamento ordinato di
.
In questo paragrafo si intende sviluppare il metodo degli elementi ideali applicandolo ai problemi
di ordine di
, vale a dire alla presenza di lacune. Si è anche visto che per individuare le lacune
ci sono tre approcci: le coppie di classi contigue, le sezioni di Dedekind e le semirette di Russell.
5.1. Il metodo degli elementi ideali e le classi contigue – Andata e ritorno con classi contigue e
sezioni di Dedekind. Utilizziamo le coppie di classi contigue, seguendo passo passo il metodo
degli elementi ideali. Non si potrà però disgiungere integralmente la trattazione dalle sezioni di
Dedekind, data la stretta parentela tra i due tipi di approcci.
5.1.1 La prima richiesta. Bisogna fissare un tipo di problemi. Ma una coppia di classi contigue
pone essa stessa il problema di determinare l'elemento separatore della coppia, vale a dire: se
H,K è una coppia di classi contigue, si vuole trovare un elemento α∈
tale che per ogni x∈H,
per ogni y∈K, x ≤ α ≤ y. Questo problema può avere soluzione, ed in tal caso la coppia di classi
contigue individua un numero razionale, oppure può non averlo ed in quest'ultimo caso la coppia
- 28 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
di classi contigue individua una lacuna. Un esempio del primo tipo: si consideri H definito per
h0 = 3
ricursione ponendo per ogni n∈ ,
k0 = 4
per ogni s∈ ,
k s +1 = k s −
6
10
s +1
hn +1 = hn +
3
10
n +1
e K definito pure per ricursione ponendo
. Per meglio comprendere il problema posto si calcolano
alcuni elementi degli insiemi H e K. Si ha h1 = h0 +
3
3 33
; h2 = h1 +
= 3+ =
10
10 10
3
33 3
330 + 3 333
333.333.333
; …; h8 =
;… . Per il secondo insieme si ha k1 = k0 =
+
=
=
100 10 100
100
100
100.000.000
6
6 34
= 4− =
;
10
10 10
k2
=
k1
-
6
=
100
34 6
340 − 6 334
−
=
=
;…;
10 100
100
100
k5
=
k4
-
6
33.334
6
333.340 − 6 333.334
=
−
=
=
. Da questi calcoli si constata che per ogni
100.000 10.000 100.000
100.000
100.000
n∈ , kn = hn +
1
10 n
quindi che H,K è una coppia di classi contigue dato che ogni elemento di
H è minore di ogni elemento di K e per ogni ε∈ +, ad esempio ε =
h4∈H, k4∈K, e k4 - h4 =
1
, basta considerare
1.000
1
1
10
≤
= ε . Inoltre
è elemento separatore della coppia di
10.000 1.000
3
classi contigue.
Un esempio di coppia di classi contigue che individuano una lacuna è mostrato nel Teorema
delle lacune del precedente paragrafo. Il metodo degli elementi ideali permette di risolvere il
problema della determinazione dell'elemento separatore di una coppia di classi contigue
mediante la coppia stessa.
5.1.2. La seconda richiesta. Per soddisfare la seconda richiesta bisogna reinterpretare i numeri
razionali come coppia di classi contigue. Ma ciò è semplice: per ogni numero reale q∈ , si pone
H = {x∈
| x < q} e K = {y∈
| q ≤ y}. Così facendo si ottiene una coppia di classi contigue in
cui H non ha massimo, anzi a ben guardare una sezione di Dedekind.
5.1.3 La terza richiesta. La richiesta 3) del metodo degli elementi ideali richiede di identificare
problemi del tipo fissato mediante una relazione di equivalenza. Questa è complessa e, se si
vuole, poco intuitiva. Si dirà che due coppie di classi contigue H,K e P,R sono equivalenti, in
simboli H,K ∼ P,R , se e solo se per ogni x∈H, se x
- 29 -
max(H), esiste z∈P tale che x ≤ z e per
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
ogni y∈P se y
max(P), esiste t∈H tale che y ≤ t e contemporaneamente per ogni x’∈K, se x’
min(K), esiste z’∈R tale che z’ ≤ x’ e per ogni y’∈R, se y’
min(R), esiste t’∈K tale che t’ ≤ y’.
Questa relazione è abbastanza complessa e non è semplicissimo mostrare che due coppie date di
classi contigue sono equivalenti. Si noti che sugli elementi massimi e minimi, rispettivi, non si
pongono condizioni. La nozione però utilizza solo elementi dei sottoinsiemi che individuano le
classi contigue, quindi numeri razionali. I numeri reali divengono le classi di equivalenza di
coppie di classi contigue. Si noti che sono infinite le coppie di classi contigue tra loro
equivalenti, dunque ciascun numero reale si configura come un'infinità in atto.
5.1.4. Dalle classi contigue alla sezioni di Dedekind. Si osservi che quanto detto in precedenza
permette di provare che, data una coppia di classi contigue, essa induce una sezione di Dedekind,
che come coppia di classi contigue, è una coppia equivalente a quella data. Sia H,K una coppia
di classi contigue e sia P,R la sezione di Dedekind associata, vale a dire se H non ha massimo,
P = {x∈
| ∃y∈H (x ≤ y)} e R = (
y)} - {w}) e R = (
- P), mentre se H ha massimo w, P = ({x∈
| ∃y∈H (x ≤
- P). Dalla definizione per ogni x∈H, dato che H ⊆ P, x∈P e x ≤ x. Per ogni
y∈P, per definizione, esiste z∈H tale che y ≤ z. Una parte della equivalenza di classi contigue è
così provata. Sia ora y∈K. Non può essere y∈P, dato che per definizione esisterebbe z∈H tale
che y ≤ z, mentre dal fatto che y∈K e z∈H si ha z < y. Pertanto y∈R e quindi essendo y ≤ y, si è
trovato un elemento di R (lo stesso y) che è minore di y∈K. Dato poi t∈R si suppone, per
assurdo, che non esista u∈K tale che u ≤ t, quindi per ogni u∈K, t < u. Si prova che in questo
caso t = min(R). Infatti se non fosse così esisterebbe t’∈R tale che t’ < t. Posto ε =
t − t'
, per la
2
seconda condizione delle coppie di classi contigue, esistono v∈H e u∈K tali che u - v ≤ ε. Dato
che u∈K, t < u. Non può essere t ≤ v, altrimenti t∈P, e pertanto t∈R, quindi si deve avere v < t <
u. Per lo stesso motivo si ha pure v < t’ < u, quindi v < t’ < t < u e ε < 2ε = t - t’ < u - v ≤ ε,
assurdo. Pertanto se t∈
et
min(R), esiste z∈K tale che z ≤ t, concludendo in tal modo che
H,K ∼ P,Q .
La differenza sostanziale tra le coppie di classi contigue e le sezioni di Dedekind consiste nel
fatto che due sezioni di Dedekind equivalenti (come coppie di classi contigue) sono eguali. Se
infatti H,K e S,T sono sezioni di Dedekind e H,K ∼ S,T , ciò comporta che per ogni
elemento x∈H esiste y∈S tale che x ≤ y e per la terza condizione delle sezioni di Dedekind, H ⊆
S ed analogamente S ⊆ H. Si prova in tal modo che H = S e, di conseguenza, K = (
- 30 -
- H) = (
-
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
S) = T. Dunque le sezioni di Dedekind in una classe di equivalenza di coppie di classi contigue
sono uniche, vale a dire sono i rappresentanti privilegiati delle classi di equivalenza. Ciò ne
fornisce una caratterizzazione.
5.1.5. La quarta richiesta. La quarta richiesta è quella di strutturare convenientemente i problemi
ed offre diversi aspetti critici. E' facile introdurre una relazione d'ordine perché è un problema di
questo genere che fa considerare le coppie di classi contigue. Date le coppie di classi contigue
H,K e P,S , si pone H,K ≤ P,S se esistono y∈K e z∈P tali che y ≤ z. Nel caso in cui si
considerano sezioni di Dedekind, si ha più semplicemente H,K ≤ P,S se H ⊆ P, anzi in questo
caso all'inclusione propria corrisponde la relazione d'ordine stretto.
Si deve provare che tale definizione non dipende dai rappresentanti rispetto all'equivalenza.
Per definire le operazioni si deve procedere con cautela: date H,K e P,S , si pone H + P = {x
+ y | x∈H ∧ y∈P} e K + S = {z + t | z∈K ∧ t∈S}. Si prova che H+P,K+S è una coppia di
classi contigue: la prima condizione è banalmente verificata per la monotonia dell'addizione. La
seconda condizione si può provare in questo modo: per ogni ε∈ + esistono x∈H, z∈H tali che z
-x≤
y) ≤
ε
2
ε
2
+
ed esistono y∈P, t∈S tali che t - y ≤
ε
2
ε
2
. Si ha, per costruzione, (z+t) - (x+y) = (z-x) + (t-
=ε.
Resta da provare che tale definizione non dipende dai rappresentanti rispetto alla relazione di
equivalenza.
Per la moltiplicazione prima si introducono i reali assoluti, cioè le classi di equivalenza di coppie
di classi contigue H,K tali che (H∩ +)
∅. Anzi si può scegliere nella classe di equivalenza
delle coppie di classi contigue, la "sezione" di Dedekind ottenuta ripetendo il procedimento però
limitatamente a
+. Date quindi H,K e S,T sezioni di Dedekind di
{x∈ + | ∃h∈H ∃s∈S (x ≤ h·s)} e sia R = (
sezione di Dedekind di
+, si definisce P =
- P). dalla definizione si ha che P,R è una
+ in quanto (P∪R) =
+, (P∩R) = ∅, per ogni x∈P, per ogni y∈
+,
se y ≤ x, allora ∃h∈H ∃s∈S (x ≤ h·s), quindi ∃h∈H ∃s∈S (y ≤ h·s), cioè y∈P. Si noti inoltre che P
non ha massimo, infatti per ogni p∈P esistono h∈H, s∈S tali che p ≤ h·s. Dato che H e S non
hanno massimo, esistono h’∈H e s’∈S tali che h < h’ e s < s’. Pertanto h·s < h’·s’. Poiché h·s <
h ⋅ s + h'⋅s '
h ⋅ s + h'⋅s '
h ⋅ s + h'⋅s'
< h’·s’, si ha p ≤ h·s <
< h’·s’ e
∈ P . La sezione di Dedekind
2
2
2
P,R si pone eguale a H,K · S,T .
- 31 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Una particolare sezione di Dedekind di
–,
è data da
0+ . Si introduce poi la nozione di
valore assoluto di una coppia di classi contigue (sezione di Dedekind) di
, 0+ | =
(K∩ –)
–,
0+ ; | H,K | = H∩
+,K se (H∩
+)
come segue: |
–
∅, e | H,K | = –K∩ +,–H , se
∅, ove –H = {–h | h∈H} ed analogamente –K.
Definita in tal modo la moltiplicazione per numeri reali positivi, si completa la definizione
ponendo H,K ·
–,
0+ =
–,
0+ , e poi imponendo che valgano le regole dei segni. E'
comunque un approccio complesso e assai poco naturale.
Restano da provare con queste definizioni le ordinarie proprietà delle operazioni e della relazione
di ordine su
, e la loro dimostrazione non è banale.
I testi scolastici spesso accennano soltanto a questa problematica lasciando nel vago tutto quanto
riguarda i calcoli effettivi con questi enti. Alcuni usano però altri approcci e quindi il confronto
non è sempre agevole. Mancando la pratica con le operazioni e le relazioni, viene di fatto a
mancare la nozione di numero reale.
5.1.6 La quinta richiesta – Classi contigue e semirette di Russell. Continuo con l'analisi delle
richieste per poter applicare il metodo degli elementi ideali. La quinta richiesta è quella che la
struttura scelta sia tale che i problemi che prima non avevano soluzione ora l'abbiano. Si tratta
quindi di definire cosa si intende per una coppia di classi contigue: essa sarà una coppia ordinata
di insiemi ciascuno dei quali ha per elementi le classi di equivalenza di coppie di classi contigue,
in cui sono soddisfatte le 1) e 2) che richiedono la relazione d'ordine e l'operazione di differenza.
Questa problematica si affronta meglio con le semirette di Russell, in cui la relazione d'ordine è
la relazione d'inclusione. Se quindi R è una semiretta di Russell di semirette di Russell, l'insieme
(∪R) è ancora una semiretta di Russell che è l'estremo superiore di R. Pertanto nell'insieme dei
numeri reali non esistono lacune. Quanto provato con le semirette di Russell si può
"raddoppiare" con le sezioni di Dedekind.
5.1.7. La sesta richiesta – Semirette di Russell e sezioni di Dedekind. Il sesto requisito, quello
dell'estensione lo si realizza bene con le sezioni di Dedekind: dato un numero razionale q∈ , ad
esso resta associata la sezione di Dedekind la cui prima componente è l'insieme {x∈
l'altra componente costituita da {x∈
| x < q} e
| q ≤ x}.
Resta da provare, e la cosa non è del tutto banale, che si tratta di una estensione, cioè che le
operazioni definite su quei particolari numeri reali che si ottengono "immergendo" in
i numeri
razionali forniscono come risultato proprie quei numeri reali che si ottengono immergendo in
- 32 -
i
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
numeri razionali che sono il risultato delle stesse operazioni su
. Ciò può essere banale per
l'addizione, lo è meno per la relazione d'ordine e per la moltiplicazione.
C'è da prestare attenzione ad un punto delicato. E' facile rendersi conto che in ogni sezione di
Dedekind è "nascosta" una semiretta di Russell, vale a dire la prima componente della coppia
ordinata. Viceversa data una semiretta di Russell S da essa si costruisce facilmente una sezione di
Dedekind, completando la coppia ordinata con l'insieme (
- S). Ma si ponga attenzione che così
facendo si assume una posizione epistemologica ben definita: si sceglie tra le possibili logiche
che sono a disposizione, la cosiddetta Logica classica, quella in cui due negazioni affermano, o
in modo equivalente, quella in cui vale il principio del terzo escluso. Dedekind e non si è posto
questi problemi, perché i primi "malumori" nei riguardi della Logica classica sono successivi alle
opere di Dedekind. In particolare Brouwer e più in generale l'intuizionismo rifiutano questo tipo
di Logica. Ne consegue che le costruzioni dei reali in logica non classica con le sezioni di
Dedekind o le semirette di Russell dànno origine a enti diversi.
6. I reali ottenuti come completamento metrico di
.
6.1 La definizione di successione. Un altro problema, assai importante per le sue applicazioni
anche in altri campi della Matematica, fa intervenire il concetto di successione. Per la precisione
si considerano successioni a valori razionali, cioè le funzioni f:
→
, ma molti dei problemi
che si affrontano sono applicabili in generale ad un contesto più ampio, ad esempio alle
successioni a valori in
o a successioni in uno spazio metrico.
L'enfasi data alle successioni è motivata dalla importanza pratica delle successioni stesse. Esse
rappresentano un primo esempio di tecniche di approssimazione. Si può infatti interpretare, sotto
ipotesi opportune, una successione a valori razionali, come un'approssimazione di un numero
reale. Altri esempi saranno dati in seguito.
Le costruzioni dei numeri reali, presentate sopra, rispondono a problemi diversi ed è assai
sorprendente che si possa dimostrare che tutte forniscono lo stesso risultato. Ciò convince della
centralità del concetto di numero reale nell'ambito matematico e nelle applicazioni. Anche questo
approccio usa enti infiniti in atto (le successioni). Ma l'infinito reca con sé altre difficoltà, oltre a
quelle didattiche. Si è detto prima che i vari approcci conducono allo stesso risultato. E' bene
però ribadire che questo avviene se si adotta, come si farà in questi appunti, la Logica classica,
altrimenti la coincidenza tra le varie proposte viene a cadere. La presenza dell'infinito richiede in
- 33 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
certi casi l'utilizzazione di un principio insiemistico non costruttivo: l'assioma di scelta. Si
discuterà in seguito l'utilizzazione ed il significato di tali richieste insiemistiche.
Per ricondurre questa presentazione al metodo degli elementi ideali, bisogna prima percorrere un
cammino complesso per cui c'è bisogno di fornire definizioni che sono assai importanti di per sé.
Il primo punto è la definizione di successione.
DEFINIZIONE. Dato un insieme a, si dice successione in a o a valori in a, una funzione f:
→ a.
Con (a) si indica l'insieme delle successioni in a, vale a dire l'insieme a . Gli elementi di ( )
sono dette successioni razionali. Con *( ) si indica l'insieme delle successioni definitivamente
non nulle, cioè f∈ *( ) se f∈ ( ) ed esiste n∈
Analogamente con
+(
) e
-(
tale che per ogni p∈ , f(n+p)
0.
), si indicano, rispettivamente, l'insieme delle successioni
definitivamente positive, negative, cioè le successioni per cui esiste n∈
tale che per ogni p∈ ,
f(n+p) > 0, rispettivamente f(n+p) < 0.
6.1.1. Le successioni costanti e la seconda richiesta del metodo degli elementi ideali. Un esempio
di una famiglia di successioni è dato dalle successioni costanti.
Sia α un numero razionale, con jα si indica la successione jα:
→
tale che per ogni numero
naturale n, jα(n) = α. Questa è la successione che assume solo il valore α: jα(0) = α, jα(1) = α,…,
jα(107) = α, …; è cosa ben diversa dal numero α stesso.
Questa distinzione spesso non è ben intesa dagli studenti. Si deve perciò invitare a riflettere su
essa. Il grafico della successioni costanti può aiutare a chiarire questo punto. Il problema che si
presenta qui è più ampio. Spesso nella trattazione scolastica non si distingue tra la funzione ed il
valore che la funzione assume, sia pure sul generico elemento. Ciò è alla base di numerose
incomprensione e sulla difficoltà di "distinguere" i livelli: quello degli “elementi” e quello delle
“relazioni” o funzioni.
Si noti poi che se α,β∈ , si ha jα = jβ sse α = β, in quanto per ogni n∈ , da jα(n) = jβ(n), si
ottiene α = β. Se in luogo dell'insieme
si pone un qualunque insieme a, anche non numerico,
per ogni α∈a, si può considerare la successione costante jα. Inoltre jα∈ *( ) sse α∈ *.
La scelta delle successioni costanti soddisfa la seconda richiesta del metodo degli elementi ideali,
cioè quello di interpretare i "vecchi" elementi in quelli "nuovi", problemi, di cui, per altro, non si
è ancora detto.
6.1.2. Altri esempi di successioni. La successione j :
→
, inclusione dei numeri naturali nei
numeri razionali, è definita come composizione dell’inclusione dei numeri naturali nei numeri
- 34 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
interi relativi e dell’inclusione di questi nei numeri razionali, j = (j
j ), quindi per ogni n∈ ,
j (n) = n; si ha cioè j (0) = 0, j (1) = 1, …, j (84) = 84, … . Si ha anche j ∈ ( ), j ∈ ( )
e j ∈ *( ). Il grafico di j
è mostrato nella seguente figura,
assieme al grafico della successione S:
→
, cioè la successione tale che ad ogni n∈
,
associa S(n) = n + 1; si ha cioè S(0) = 1, S(1) = 2, …, S(36) = 37, … 1. Anche per la successione
S si ha S∈ ( ), S∈ ( ) e S∈ *( ). Si osservi che anche in questo caso si "confonde" la
funzione S:
→
definita con la successione razionale S:
→
, ed in seguito con una
successione reale denotata ancora con lo stesso simbolo. Tale confusione, dovuta all’uso
implicito di inclusioni di un sistema numerico nell’altro, non porta però a complicazioni degne di
menzione e pertanto, per non moltiplicare i simboli, diminuendo forse la comprensione, si
preferisce denotarla ancora con lo stesso simbolo.
Per arricchire il numero degli esempi, si consideri la cosiddetta successione di Eulero: E:
→
, il cui grafico è mostrato nella figura seguente. Tale successione è definita per casi: per ogni
n∈
da,
E (0) = 0
E ( n) =
1
E ( n) = 1 +
n
n
,n≠0
1 I grafici delle successioni possono creare confusione. Gli assi coordinati sono rappresentati come rette, eppure quello delle
ascisse è una rappresentazione di
(quindi un insieme discreto) e quello delle ordinate è una rappresentazione di , insieme
denso ma non continuo. Per di più, come molte ricerche mettono in luce, la rappresentazione a “punti” viene rifiutata in quanto
manca la continuità che intuitivamente viene assunta anche da chi non ne conosce la definizione.
Inoltre relativamente ai successivi grafici della successione E e della successione R, quello che poi sarà il concetto di limite di
una successione viene ad avere punti di contatto (visivo) con la nozione di asintoto orizzontale che viene introdotta nello studio
di funzioni reali di variabile reale.
- 35 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Nel seguito si presenteranno altri esempi. Qui si osserva che una delle difficoltà del trattamento e
della comprensione delle successioni è che trattandosi di enti infiniti, dati in atto, viene richiesto
al lettore di immaginarsi, con un colpo d'occhio intellettuale, tutta la successione. Purtroppo la
presenza dell'infinito non è eliminabile, come avviene con tutti gli approcci ai numeri reali
indicati sopra.
Talvolta le successioni vengono indicate con altri simboli, ad esempio scrivendo a0, a1, a2, … In
questo modo si incentra maggiormente l'attenzione sull'immagine della successione. Una tale
scrittura, in effetti, non è neppure una scrittura, perché non è possibile descrivere interamente una
successione. La presenza dei puntini dovrebbe mettere sull’avviso. Un'altra scrittura che si
incontra è {an}n∈ , in cui è ancora più evidente la confusione della successione con la sua
immagine, suggerita dalla presenza delle parentesi graffe solitamente utilizzate per gli insiemi.
C’è poi confusione tra la successione e la forma analitica. Non tutte le successioni hanno una
forma analitica, anzi da un conteggio di cardinalità si prova che le successioni sono "molte di
più" delle forme analitiche. Inoltre è possibile che due forme analitiche diano luogo alla stessa
successione, quindi tale confusione va evitata. Un esempio di successione non data con forma
analitica è il seguente (che in sostanza riprende la nozione di numero reale nell'approccio di
Weierstrass): si consideri un generico numero reale α scritto come scrittura decimale e sia fα(n)
la cifra decimale n-esima di tale numero. Se α è un numero razionale, fα ha una espressione
analitica. Qualche numero reale è tale che si può esprimere in modo analitico fα, ma per il
generico α∈
ciò non è possibile, come mostra un semplice confronto tra la cardinalità
dell'insieme delle espressioni analitiche e la cardinalità dell'insieme dei numeri reali. Un ulteriore
esempio è quello della successione R:
→
, definita per ricursione ponendo:
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
R (0) = 1
R (n + 1) =
2 R( n) + 2 ,
R( n) + 2
L' "andamento" di R è mostrato nel grafico seguente:
In questo caso è data una espressione ricorsiva, e trovare la cosiddetta forma chiusa in generale
non è semplice.
6.1.3. La successione di Fibonacci. Ad esempio la successione di Fibonacci, dal soprannome del
matematico Leonardo Pisano (1170 - 1230), colui che per primo introdusse le cifre arabiche in
Europa, Φ:
→
definita ricorsivamente da
Φ (0) = 0
Φ (1) = 1
Φ (n + 2) = Φ (n) + Φ (n + 1)
Jacques P.M. Binet
(1786-1856)
e la successione Ψ:
→
Ψ(n) =
definita per ogni n∈
1
2
n
5
da
(1 + 5 )n − (1 − 5 )n
,
la cosiddetta formula di Binet, sono due espressioni diverse della stessa successione e la seconda
può considerarsi la rappresentazione in forma chiusa della prima. La presenza nella formula di
Binet del numero reale
5 fa pensare che si tratti di una successione a valori reali, ma
calcolando, per ogni n∈ , Ψ(n), si ottengono solo numeri naturali. I primi valori di tale
successione sono dati rispettivamente da Ψ(0) = 0, Ψ(1) = 1, Ψ(2) = 1, Ψ(3) = 2, Ψ(4) = 3,
Ψ(5) = 5, Ψ(6) = 8, Ψ(7) = 13, Ψ(8) = 21, Ψ(9) = 34, Ψ(10) = 55, Ψ(11) = 89, Ψ(12) =144,
Ψ(13) = 233, Ψ(14) = 377, Ψ(15) = 610, Ψ(16) = 987, Ψ(17) = 1597, Ψ(18) = 2584, Ψ(19) =
4181, Ψ(20) = 6765,…
- 37 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Si noti che il numero irrazionale
5 −1
è strettamente connesso col problema della sezione
2
aurea.
Questa successione è importante per le scienze biologiche, cfr. Batschelet E.: 1988, Introduzione
alla matematica per biologi, Piccin, Padova. Studiando la disposizione delle foglie attorno allo
stelo (fillotassi), si trova che alcune specie hanno una disposizione a spirale. Si tratta di un
carattere importante per determinare le specie perché è costante, in media, nella specie. Con
questa disposizione le foglie sono disposte lungo un'elica circolare e dopo un certo numero di giri
attorno allo stelo, si ritrova la posizione di partenza. Questo è un periodo, di questo periodo
importa conoscere quanti giri attorno allo stelo sono necessari e quante foglie sono utilizzate per
un periodo. Questi due numeri sono numeri di Fibonacci, cioè elementi della successione. Si
trova ad esempio che nelle rose il periodo è dato da 2 giri attorno allo stelo e utilizza 5 foglie.
Nella betulla il periodo è dato da 1 giro e da 3 foglie. Nel cavolo e nelle asteracee il periodo
richiede 3 giri e 8 foglie. Se si analizza la disposizione delle squame delle pigne di abete il
periodo è dato da 8 giri e 21 squame; nelle pigne di Pinus laricio, una sottospecie del Pino di
Corsica sono 13 giri e 34 squame. Anche nei fiori composti la disposizione dei flosculi segue
questi dati. Se ne trovano 21 che nel Crysanthemum leucanthemum, la comune margherita a fiori
grandi, 13 nella Centaurea montana.
6.2. Uguaglianza e operazioni tra successioni. Le successioni razionali potrebbero già essere
considerate alla stregua dei numeri in quanto è possibile definire su di esse relazioni ed
operazioni, ricavate da quelle definite sui numeri razionali, soddisfacendo cosi la quarta richiesta
del metodo degli elementi ideali. Si ponga attenzione che se questo procedimento viene utilizzato
in generale come metodo per costruire il completamento di uno spazio metrico, non si chiede
nulla sulla struttura algebrica che in uno spazio metrico può mancare.
DEFINIZIONE. Dato un insieme a, in (a) si definisce la relazione di eguaglianza per successioni
ponendo, per ogni f,g∈ (a), f = g sse ∀n∈
(f(n) = g(n)).
In ( ) si definiscono le operazioni di addizione, opposto, moltiplicazione per un elemento di
, moltiplicazione, valore assoluto, potenza ponendo per ogni f,g∈ ( ):
a) (f+g):
b) (–f):
→
→
c) ∀α∈ , (αf):
d) (f·g):
→
definita, per ogni n∈ , da (f + g)(n) = f(n) + g(n);
definita, per ogni n∈ , da (–f)(n) = –f(n);
→
definita, per ogni n∈ , da (αf)(n) = αf(n);
definita, per ogni n∈ , da (f·g)(n) = f(n)·g(n);
- 38 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
e) |f|:
→
definita, per ogni n∈ , da |f|(n) = |f(n)|;
g) per ogni p∈ , (fp):
→
definita, per ogni n∈ , da (fp)(n) = fp(n).
Si riassume la definizione delle operazioni affermando che le operazioni sulle successioni sono
definite puntualmente, non nel senso con cui si adopera tale avverbio riferendolo all'orario, ma
significando che le operazioni si eseguono sui "punti", cioè si trasferiscono le operazioni sulle
immagini degli elementi coinvolti.
Si può ritenere superfluo definire (–f), in quanto si ha ((–1)f) = (–f). Infatti per ogni n∈
si ha
((–1)f)(n) = (–1)·f(n) = –f(n) = (–f)(n), quindi ((–1)f) = (–f). Non si pone quindi attenzione
particolare all'operazione di opposto di una successione in quanto riottenibile come caso
particolare della “moltiplicazione” di un numero con una successione. Le virgolette sono
d'obbligo perché non si tratta di un'operazione tra enti della stessa natura.
Invece di scrivere (f + (–g)) si scrive (f - g). La scrittura è coerente con la definizione della
sottrazione in presenza dell'opposto (in
e in
).
Per ogni f∈ , per ogni α∈ , è |αf| = |α||f|, infatti per ogni s∈ , si ha (|αf|)(s) = |(αf)(s)| =
|α·f(s)| = |α|·|f(s)| = |α|·(|f|)(s) = (|α||f|)(s).
Si ponga attenzione all'uso dei simboli. La scelta di indicare le nuove operazioni con simboli già
familiari potrebbe portare in errore: ad esempio (f + g) è una nuova funzione che ha per dominio
e codominio
, non è un numero né tanto meno la somma f(n) + g(n), anche perché in questa
frase non è specificato il valore di n. Si potrebbe rilevare inoltre che la precedente "definizione"
in realtà è parzialmente scorretta. Infatti se f e g sono funzioni, nulla permetterebbe di asserire
che (f + g) sia una funzione. Ma dalla parte che segue si ha che per ogni n∈
si ha (f + g)(n) =
f(n) + g(n). La quantificazione universale sta a garanzia del fatto che (f + g) è ovunque definita su
, mentre l'osservazione che dato n∈
è univocamente determinato l'elemento f(n) +
g(n) permette di concludere la funzionalità di (f + g). Quindi avere scritto (f + g):
→
è
"prematuro", in quanto serve quello detto dopo, ma non è scorretto. Quello che si dice per
l'addizione di successioni si ripete per le altre operazioni tra successioni.
Così con operazioni algebriche sulle successioni, cioè funzioni, operazioni indotte della struttura
algebrica dell'insieme codominio, si ottengono ancora funzioni. Si ha pertanto una nuova classe
di operazioni su funzioni, si affianca alla classe delle operazioni insiemistiche quali unione,
intersezione, restrizione e composizione.
Per quanto riguarda la potenza con esponente naturale, definita per le successioni utilizzando
l'esponenziazione dei numeri razionali, è immediato constatare che valgono per essa le prime due
- 39 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
condizioni della definizione ricorsiva dell'esponenziazione che valgono in
ogni f∈ ( ),
. Pertanto si ha per
( f 0 ) = j1
( f n+1) = (( f n )⋅ f )
Tra le operazioni sui numeri razionali c'è anche la divisione, per la quale bisogna però imporre la
condizione che il divisore sia non nullo. Con le successioni la cosa è più complessa. Per questo
motivo non si possono considerare le successioni come numeri, bisogna porre delle limitazioni.
Tuttavia anche senza la divisione, si possono studiare le proprietà della struttura così definita.
Analizzando meglio la definizione delle operazioni sulle successioni ci si accorge che per
definire le operazioni di addizione, moltiplicazione, opposto, valore assoluto e potenza tra
successioni quello che davvero serve è che tali operazioni siano presenti nel codominio delle
successioni. Ad esempio se invece di considerare elementi di ( ) si prendessero successioni a
valori in
, sarebbe egualmente possibili definire le operazioni tra successioni, con le stesse
modalità. Anche in
sarà possibile eseguire tali operazioni. Non avrebbe senso, o sarebbe poco
interessante però definire il valore assoluto di una successione di ( ), dato che nei numeri
naturali il valore assoluto è l'identità. Considerando successioni definite in insiemi assai generali,
la struttura sull'insieme delle successioni sarà comunque derivata da quella presente sull'insieme
codominio delle successioni. Per questo ci si riferirà ad un generico insieme a dotato però di una
struttura algebrica sufficiente e spesso si usano i simboli , *, eccetera, in cui si sottintende
l'insieme in cui prendono valore le successioni. Questa notazione ambigua sarà estesa in seguito
anche ad altri insiemi di successioni.
Provare che se sull'insieme a è definita una relazione di eguaglianza riflessiva, simmetrica e
transitiva, allora la relazione di eguaglianza tra successioni di (a) è riflessiva, simmetrica e
transitiva, è un teorema di semplice dimostrazione. In realtà la “semplicità” della dimostrazione è
frutto di un più generale teorema di Logica Matematica che riguarda la conservazione delle
proprietà che si esprimono con formule costituite da una quantificazione universale seguita da
un'eguaglianza o da una congiunzione di eguaglianze che implica un'eguaglianza, come sono
appunto le proprietà che stabiliscono che la relazione è riflessiva, simmetrica, ecc. oppure il fatto
che a è un anello (commutativo, unitario).
- 40 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
TEOREMA (dell'aritmetica delle successioni). Se a è un anello (commutativo, unitario), l'insieme
(a) è un anello (commutativo, unitario). Ciò avviene in particolare per gli insiemi ( ), ( ) e
( ).
DIMOSTRAZIONE. L'enunciato del teorema utilizza le nozioni di anello, anello commutativo ed anello unitario per
presentare in forma compatta le richieste che l'operazione di addizione sia associativa e commutativa, che ci sia
l'elemento neutro e che ogni elemento abbia l'opposto. Di tutte le condizioni che si devono verificare per dimostrare
l'enunciato, qui si prova che per le successioni vale la distributiva sinistra e l'esistenza dell'elemento neutro per
l'addizione. Si deve provare cioè che ∀f,g,h∈ (a) ((f·(g+h)) = ((f·g) +(f·h))). Ma provare l'eguaglianza tra
successioni, che sono funzioni significa provare che hanno lo stesso dominio, lo stesso codominio e operano allo
stesso modo sugli elementi del dominio. Le condizioni su dominio e codominio sono banali perché tali connotati
sono gli stessi per tutte le successioni di S(a). Resta da provare l'eguaglianza delle corrispondenze. Basta allora
provare che per ogni p∈ , (f·(g + h))(p) = ((f·g) + (f·h))(p). Avendo definito puntualmente le operazioni si ha (f·(g
+ h))(p) = f(p)·(g + h)(p) = f(p)·(g(p) + h(p)) = f(p)·g(p) + f(p)·h(p) = (f·g)(p) + (f·h)(p) = ((f·g) + (f·h))(p).
Per l'elemento neutro dell'addizione se 0 è elemento neutro dell'addizione in a, si considera j0:
∀f∈ (a)((f + j0) = f). Infatti per ogni m∈
→ a, e si ha
si ha (f + j0)(m) = f(m) + j0(m) = f(m) + 0 = f(m).
In modo analogo se 1 è elemento neutro per la moltiplicazione in a, j1 è elemento neutro per la moltiplicazione in
(a).
Anche se è prematuro, si provano alcune proprietà che sono usate per soddisfare la sesta richiesta
del metodo degli elementi ideali. Si tratta comunque di proprietà banali.
TEOREMA (delle pseudoproprietà). Si hanno le seguenti proprietà
∀f
((0f) = j0);
∀f
((1f) = f);
∀f∀α,β∈
(((α + β)f) = ((αf) + (βf))) (pseudodistributiva);
∀f∀α,β∈
(((α·β)f) = (α (βf)))
∀f,g∀α∈
((α(f + g)) = ((αf) + (αg))) (pseudodistributiva);
∀f∀α∈
((αf) = (jα·f)).
(pseudoassociativa);
Sono lasciate al lettore pure le dimostrazioni del seguente
TEOREMA (delle successioni costanti). Si ha
∀α∈
((–jα) = j(–α));
∀α,β∈
((jα + jβ) = j(α+β));
- 41 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
∀α,β∈
((jα · jβ) = j(α·β));
∀α∈
(|jα| = j|α|);
∀α∈
∀n∈
(((jα)n) = j
(α n )
).
Talvolta su altri testi viene chiamata successione a valori in un insieme a una funzione da
* ad
a, evitando di definirla su 0. Ad esempio nel caso della successione E non c'è più bisogno di una
definizione per casi. Spesso ciò è causato dal fatto le successioni sono date mediante
un'espressione analitica in cui compaiono dei denominatori o altre operazioni che per particolari
valori dell'argomento rendono le espressioni prive di significato. Si conviene pertanto d'ora in poi
che se una successione è data con una forma analitica che non è definita per qualche valore
dell'argomento, il valore della successione su tali valori è costantemente 0. Così nel seguito si
evitano definizioni per casi, quando è possibile. Ad esempio la successione h:
per ogni p∈
da h(p) =
→
definita
p
è tale che h(0) = 0; h(1) = 0 = h(3), perché non definita
( p − 1)( p − 3)
dall'espressione analitica, h(2) = –2, eccetera.
Se l'eguaglianza su a è sostitutiva rispetto alle operazioni di anello, l'eguaglianza di successioni è
sostitutiva rispetto alle operazioni date tra successioni di (a). Ciò in particolare avviene in ( ),
( ) e ( ).
6.3. Legge di annullamento del prodotto. Si sono definite alcune operazioni aritmetiche consuete
sulle successioni, e si è provato che molti dei risultati noti su tali operazioni continuano a valere,
seppure con qualche modifica: j0 al posto di 0, j1 al posto di 1. In base a ciò le successioni
possono esser viste come una generalizzazione del concetto di numero. Ci si chiede allora se
possano esser assunte già come numeri. Questa domanda presenta allora tutta al problematica
sulla nozione di numero vista in precedenza.
6.3.1. Divisori dello zero. Purtroppo per le successioni vale una proprietà che esclude che
possano essere considerate numeri: si considerino le due successioni f, definita ponendo f(0) = 0
e f(n) = 1, per ogni n
0; g, definita ponendo g(0) = 8 e g(n) = 0, per ogni n
0. Nessuna delle
due è la successione j0, tuttavia se si esegue il loro prodotto, si trova che (f·g) = j0. Si esprime
questa situazione affermando che nell'insieme
vi sono divisori dello zero. Negli insiemi
numerici fin qui trattati, i naturali, gli interi relativi ed i razionali, ed anche nei successivi numeri
reali, complessi, perfino nei quaternioni, non vi sono divisori dello zero, in quanto vale la legge
dell’annullamento del prodotto: se il prodotto di due elementi è nullo, almeno uno dei due lo
- 42 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
deve essere. Questa legge, o meglio la mancanza di divisori dello zero, permette di definire la
ci fosse un solo divisore dello zero β, con β
divisione tra numeri. Ad esempio se in
per il quale esiste γ
0, tale che β·γ = 0, allora comunque scelto α, si avrebbe α =
moltiplicando per γ, α·γ =
0, ma
α
·β, da cui,
β
α
α
·(β·γ) = ·0 = 0. Così tutti gli elementi sarebbero divisori dello
β
β
zero, in particolare ciò vale per 1: per esso esisterebbe un numero razionale δ
0, tale che 0 =
1·δ = δ. Ciò è assurdo.
6.3.2. Successioni di Cauchy. Per evitare questo aspetto poco soddisfacente si scelgono tra le
successioni alcune che soddisfano proprietà speciali, individuate e studiate per primo da Cauchy.
Esse saranno utili sia per esplicitare il problema da cui partire per la costruzione dei numeri reali,
sia per riuscire a definire una divisione senza le difficoltà qui presentate.
La trattazione viene svolta in ( ), ma l'estensione del concetto a (a), in presenza di opportune
proprietà su a, si può eseguire senza problemi.
Come il lettore ha modo di constatare direttamente, si presenta qui una definizione “difficile” e
se non adeguatamente preparata con una problematizzazione, ma semplicemente imposta, perde
di qualsiasi efficacia didattica.
DEFINIZIONE. Una funzione γ:
→
Data una successione f:
+→
si dice un carattere.
, si associa ad essa una corrispondenza
cf = { x,p | x∈
+
∧ p∈
∧∀r,s∈ (|f(p+r) – f(p+s)| ≤ x}.
Una successione f si dice di Cauchy (più correttamente che soddisfa il criterio di Cauchy), vale a
dire se
∃γ:
+
→
∀ε∈
+
∀p,q∈
(|f(γ(ε)+p) – f(γ(ε)+q)| ≤ ε).
Con il simbolo ( ) si indica l'insieme delle successioni razionali di Cauchy.
TEOREMA Sono equivalenti le seguenti affermazioni
a) f è una successione razionale di Cauchy;
b) ∀ε∈ + ∃n∈
∀p,q∈
(|f(n+p) - f(n+q)| ≤ ε);
c) La corrispondenza cf è ovunque definita su
+.
DIMOSTRAZIONE. Si assuma a) per la successione f. Allora per ogni ε∈
+
, γ(ε)∈
e per ogni coppia di numeri
naturali p,q, si ha |f(γ(ε)+p) – f(γ(ε)+q)| ≤ e, quindi si può dire che comunque preso ε∈ +, esiste n∈
b) sia provata.
- 43 -
in modo che
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Si assuma ora b) per la successione f. Tale affermazione garantisce che per ogni η∈ +, esiste n∈
in modo che la
coppia ordinata η,n ∈cf, quindi f è ovunque definita.
Infine si assuma c) per la successione f. Per ogni σ∈
+
, sia aσ = {n∈N | σ,n ∈cf}. Comunque preso σ, si ponga
µ(σ) = min(aσ). La definizione è corretta in quanto l’insieme è non vuoto, per l’ipotesi che cf sia ovunque definita e
, esiste il minimo dell’insieme citato. Si osservi che µ(σ)∈aσ, quindi
quindi, per il principio di minimo in
σ,µ(σ) ∈cf. Ma in tale modo si è definita una funzione µ:
ε∈
+
+
→
, un carattere. Resta da provare che per ogni
, per ogni p,q∈ , |f(µ(ε)+p) – f(µ(ε)+q)| ≤ ε, e ciò accade in quanto σ,µ(σ) ∈cf.
In base a questo Teorema, la nozione di successione di Cauchy può essere presentata in ciascuno
dei modi equivalenti. Nei testi scolastici ed universitari la più diffusa e quella che nel Teorema è
indicata come b), tranne poi nelle applicazioni vedere apparire scritture quali nε, che di fatto
rimandano ad una corrispondenza funzionale tra numeri razionali positivi e numeri naturali,
quindi, in sostanza, ad un carattere.
6.3.3. Successioni convergenti. Particolare proprietà delle successioni è quella di avere limite, o
essere convergenti:
→
DEFINIZIONE. Data una successione f:
, ed un numero razionale l, si associa ad essi una
corrispondenza
mf,l = { x,p | x∈
Si dice f ha limite in
convergenti in
∧ p∈
∧ ∀r∈ (|f(p+r) – l| ≤ x)}
o che è convergente in
∃l∈
Con il simbolo
+
∃λ:
+
→
se
+
∀ζ∈
( ), o più brevemente con
∀r∈
(|f(λ(ζ)+r) – l| ≤ ζ);
si indica l'insieme delle successioni razionali
.
Si dice che f ha limite l se
∃λ :
+→
∀ζ∈
+
∀r∈
(|f(λ(ζ)+r) – l| ≤ ζ);
Quando f ha limite l, la relazione tra f e l si indica anche con le scritture lim f = l,
lim f (n) = l , lim f (n) = l , ed anche in queste ultime talora si omettono le specifiche n∈
n∈
n →∞
n→ .
In modo assai simile al precedente si prova ora il seguente
TEOREMA. Sono equivalenti tra loro le affermazioni:
- 44 -
o
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
a) f è convergente in
;
∀ζ∈ + ∃n∈
b) ∃l∈
c) se esiste l∈
∀p∈
(|f(n+p) - l| ≤ ζ);
tale che mf,l è ovunque definita su
+.
Sono anche equivalenti tra loro le affermazioni
a') f ha limite l ;
b') ∀ζ∈ + ∃n∈
∀p∈
(|f(n+p) - l| ≤ ζ);
c') la corrispondenza mf,l è ovunque definita su
+.
La dimostrazione è lasciata al lettore.
Anche in questo caso la nozione di successione convergente in
o di limite ad un certo valore
(razionale) si può presentare in modi equivalenti. La scrittura più usata nei manuali scolastici ed
universitari è la b); valgono le stesse considerazioni dette in precedenza per le successioni di
Cauchy.
6.3.4. La condizione di Cauchy e la convergenza. La condizione proposta da Cauchy risolve un
delicato problema: data una successione di numeri reali è possibile sapere che la successione
converge, anche se non è noto il limite della successione. Quindi data una successione essa pone
due richieste: la successione converge? Se sì a quale limite? Ovviamente se si conosce che l è
limite della successione, è facile rispondere contemporaneamente alle due richieste, ma ciò non
avviene sempre. Ad esempio la successione (serie) di numeri razionali f definita, per ogni n∈ *,
da f(n) =
n
π2
1
, anche sapendo che converge, non è facile individuare che converge a
.
2
6
r =1 r
Come detto anche precedentemente, spesso si sottintende l'insieme codominio delle successioni,
utilizzando la notazione ambigua
o .
La definizione di successione convergente presenta qualche problema. La scrittura
lim f = l
è di per sé scorretta, in quanto nella definizione si chiede che esista un valore l, ma non ne è
richiesta l'unicità; di conseguenza non si potrebbe indicare quale valore è limite di f se tali valori
fossero molteplici. La scorrettezza è però solo apparente, come si può provare.
Si noti che la quantificazione con cui viene introdotto un carattere è esistenziale, e non
esistenziale unica. Ciò comporta che in generale si possano esibire più (infiniti) caratteri tutti
parimenti idonei a provare quanto richiesto.
- 45 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Le definizioni precedenti sono senza dubbio molto complesse e rappresentano un ostacolo
all'apprendimento, come è stato provato in numerose ricerche didattiche. La struttura logica
presenta alternanze di quantificatori universali ed esistenziali. Si tenga ben presente che in
generale, in Matematica, l'ordine di scrittura di quantificatori diversi è essenziale e che solo in
certi casi e a costo di dimostrazioni, talora difficili, si ha l'equivalenza tra una scrittura e l'altra
con quantificatori scambiati. Per questo il lettore è invitato a memorizzare in modo corretto
l'ordine della quantificazione. L'italiano può ingannare: le frasi
«in ogni paese c'è un governo»; «c'è un governo in ogni paese»
sembrano dire la stessa cosa, con una forma lessicale solo un poco variata; qualche differenza
appare se si altera lievemente la frase:
«per ogni paese c'è un governo»;«c'è un governo per ogni paese»
e solo un'analisi grammaticale e semantica può rilevare le differenze, ma attenzione
«per ogni numero naturale n esiste un numero naturale m tale che n ≤ m»
che in simboli si scrive
∀n∈
∃m∈
(n ≤ m)
è facilmente verificata, per ogni n basta prendere m = n + 1, mentre la frase
«esiste un numero naturale m tale che per ogni n, n ≤ m»
che in simboli si scrive
∃m∈
∀n∈
(n ≤ m)
è falsa dato che richiede l'esistenza di un numero che sia maggiore di ogni numero naturale,
quindi chiede l'esistenza del massimo di
. Talora gli studenti accentrano l'attenzione sulla
scrittura tra parentesi, non soffermandosi sufficientemente sull'ordine della quantificazione, ma
gli esempi precedenti mostrano che la frase tra parentesi n ≤ m è la stessa e, pur essendo una
parte fondamentale delle scritture nel loro complesso, non basta per comprenderne il significato,
anzi di per sé non comunica un "fatto", come invece fanno le due frasi complete di quantificatori.
Si aggiunga il fatto che la quantificazione viene spesso omessa o posposta non chiarendo quindi
a sufficienza l’importanza dell’ordina della quantificazione.
Come regola generale per ogni proprietà P(x,y), da ∃x∀y(P(x,y)) si può ottenere ∀y∃x(P(x,y)), ma
∃x∀y(P(x,y)) e ∀y∃x(P(x,y)) non sono logicamente equivalenti dato che in generale da
∀y∃x(P(x,y)) non si può ottenere ∃x∀y(P(x,y)), in quanto l'esistenza di x condizionata a quale
elemento y si consideri non può essere, in generale, trasformata nell'esistenza di un x idoneo (in
modo uniforme) per ogni y. per questo in Matematica se ∀y∃x(P(x,y)) è una proprietà importante,
- 46 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
quindi con un nome, ad esempio la continuità, che è di questa forma, alla proprietà ∃x∀y(P(x,y))
si aggiunge l'appellativo uniforme.
Nel caso delle successioni di Cauchy e di successioni convergenti la situazione è ulteriormente
complicata dal fatto che la definizione a) di successione di Cauchy presenta prima un
quantificatore esistenziale, poi due universali, mentre la definizione b) presenta prima un
quantificatore universale poi un esistenziale ed infine ancora un universale. L'equivalenza tra
queste scritture non è un fatto logico, ma è conseguenza di una proprietà matematica, il Principio
di buon ordine. Per le successioni convergenti la definizione a) presenta prima due quantificatori
esistenziali, poi due quantificatori universali; la definizione b) presenta prima un quantificatore
esistenziale, poi un quantificatore universale, poi ancora un quantificatore esistenziale ed infine
un quantificatore universale. Le affermazioni che f ha limite l sono più semplici perché non
presentano il primo quantificatore esistenziale. Nelle dimostrazioni seguenti si useranno
preferibilmente le definizioni di tipo a) sia per successioni di Cauchy che per successioni
convergenti, per il minor numero di alternanze della quantificazione. In molti testi sono
presentate solo le definizioni di tipo b), perché meglio si adattano ad una visione potenziale
dell'infinito, che continua a perdurare anche se gli enti con cui si tratta devono essere assunti
infiniti in atto.
Per fare comprendere meglio quanto l'infinito sia connaturato nella nozione di successione, basta
osservare che se una successione f è di Cauchy oppure convergente, la successione g ottenuta
ponendo, ad esempio, per ogni m < n, g(m) = (2m + f (m)) m
m
e g(p) = f(p) per ogni p ≥ n, è
ancora di Cauchy, rispettivamente, convergente, anzi ha lo stesso limite e questo comunque
18
scelto n∈ . Ad esempio se data una successione f che converge a 5 e si prende n =
81.379.87542.765.987.887, numero di tutto rispetto, la successione g ottenuta come detto converge
18
ancora a 5 , anche se dalla considerazione dei primi 81.379.87542.765.987.887 termini ciò non
appare, ciò perché la parte "finita" della successione non ha importanza, ma solo quella
"infinita". Sicuramente chi deve studiare una successione, soprattutto se questa non "mostra"
immediatamente la legge di formazione, anche perché una tale legge può non esserci, si trova in
gravi difficoltà a decidere se la successione ha "buone" proprietà. Un argomento "induttivo" nel
senso della induzione usata nelle scienze naturali, può essere uno strumento euristico, non
dimostrativo.
- 47 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Forse si può aiutare la comprensione con mezzi grafici o con altri strumenti analoghi. Sembra
interessante presentare le successioni di Cauchy come una sorta di scommessa tra due giocatori.
Il primo propone un numero positivo ε, il secondo, produce un numero naturale in modo che
"dopo" di esso, cioè per valori ad esso maggiori, la differenza tra due generici termini della
successione sia, in valore assoluto, minore di ε. Allora il primo ci riprova fornendo un valore di ε
ancora più piccolo, ma il secondo riesce a trovare un nuovo numero naturale così che ancora il
valore assoluto della differenza tra due termini che vengono "dopo" nella successione risulti
minore di ε. Il gioco continua all'infinito e il ruolo dei due giocatori è asimmetrico, perché
mentre è facile per il primo variare a piacere il valore di ε, per il secondo giocatore a volte non è
così semplice rispondere. Ma se il secondo giocatore trova un carattere γ, allora il suo compito è
facilitato perché dato arbitrariamente ε, basta calcolare γ(ε). L'esistenza del carattere γ è allora la
garanzia, per il secondo giocatore, che ad ogni proposta del primo saprà trovare una risposta
adeguata. Se invece il primo giocatore riesce a trovare un valore di ε tale che comunque preso n
esistono due termini che vengono "dopo" nella successione la cui differenza in valore assoluto
risulti maggiore di ε, la successione non è di Cauchy.
Il lettore attento riconoscerà in questo approccio l'influenza del costruttivismo à la E. Bishop.
In modo analogo si può interpretare la definizione del limite. Qui il secondo giocatore deve, in
più, trovare il valore di l, e la cosa, in generale, non è detto sia facile.
Se si adotta la definizione di tipo a), per provare che una successione è di Cauchy bisogna trovare
un opportuno carattere. Le dimostrazioni di espressioni con i quantificatori esistenziali possono
essere generalmente di due tipi: il primo, diretto, in cui si prova con un esempio che ci sono
oggetti che godono di quelle proprietà che vengono dette, in questo caso esiste viene interpretato
come si può trovare. Il secondo tipo, inverso, in cui si prova, per assurdo, che se non ci fosse
alcun oggetto che soddisfa le proprietà, allora si otterrebbe una contraddizione. In questo caso
esiste non è, in generale, interpretabile come si può trovare. Queste due tecniche però talvolta
sono integrate da altre.
Nelle dimostrazioni si procede in modo diretto mostrando esplicitamente un carattere. Forse il
lettore può stupirsi delle espressioni usate, talora chiedendosi come venga determinata la forma
analitica del carattere, essa viene trovata di solito per via euristica.
Una successione ha come dominio l'insieme
, quindi in alcune dimostrazioni si utilizza il
Principio d'induzione. Tale principio è indispensabile quando le successioni sono definite per
ricursione.
- 48 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
6.3.5. Quantificazioni e negazione. La complessità della formulazione della condizione di
Cauchy e della convergenza rende non immediato individuare come esprimere il fatto che una
successione non sia di Cauchy oppure non sia convergente. Qui si hanno negazioni, che sono
diverse in corrispondenza del tipo diverso di definizione adottata. Si tenga conto anche della
linearità dell'ordine per cui negare α ≤ β significa che β < α. Si ha infatti che f non è di Cauchy
se
a) ∀σ:
+
∃ε∈ + ∃p,q∈
→
b) ∃ε∈ + ∀n∈
∃p,q∈
(|f(σ(ε)+p) - f(σ(ε)+q)| > ε);
(|f(n+p) - f(n+q)| > ε);
c) la corrispondenza cf non è ovunque definita su
+, quindi
+.
dom(cf) ⊂
Si afferma invece che f non è convergente se
a) ∀l∈
∀τ:
b) ∀l∈
∃ε∈ + ∀n∈
+→
∃α∈ + ∃p∈
∃q∈
(|f(τ(α)+p) - l| > α);
(|f(n+q) - l| > ε);
+,
c) per ogni l∈ , la corrispondenza mf,l non è ovunque definita su
quindi dom(mf,l) ⊂
+.
Si noti che se l è il limite di f, allora f è una successione convergente, quando si nega che l sia il
limite di f ciò non vuol dire che f non sia convergente, perché potrebbe essere convergente ad un
altro valore. Si esprime il fatto che l non è il limite di f scrivendo, in modo equivalente,
a) ∀τ:
∃α∈ + ∃p∈
+→
b) ∃ε∈ + ∀n∈
∃q∈
(|f(τ(α)+p) - l| > α);
(|f(n+q) - l| > ε);
c) la corrispondenza mf,l non è ovunque definita su
+, quindi
dom(mf,l) ⊂
+.
6.4. Teoremi sui limiti e successioni di Cauchy.
TEOREMA (di unicità del limite). Sia f∈ e siano l, l’ entrambi limiti di f. Allora è l = l’.
DIMOSTRAZIONE. Se i due limiti sono diversi, si ha l - l’
ε∈
+
, per ogni p∈
Dato che l - l’
|l - l’| ≤
0. Esistono due caratteri λ,λ’:
+
→
tali che per ogni
si ha |f(λ(ε)+p) - l| ≤ ε; |f(λ’(ε)+p) - l’| ≤ ε.
| l − l '|
0, |l - l’|∈ +. Posto ε =
, si ha dalla disuguaglianza triangolare,
3
l− f λ
| l − l '|
| l − l '|
+ λ'
3
3
+ f λ
| l − l '|
| l − l '|
+ λ'
3
3
− l' ≤
| l − l '| | l − l '|
+
<| l − l ' | , in contrasto
3
3
con la proprietà irriflessiva della relazione d'ordine stretto nei numeri razionali.
Ogni successione costante jα è di Cauchy ed ha per limite α. Infatti se γ, λ:
+→
sono tali
che per ogni α∈ +, γ(α) = λ(α) = 0, si ha per ogni ε e per ogni p,q∈ , |jα(0+p) - jα(0+q)| = |α
- α| = 0 ≤ ε; |jα(0+p) - α| = |α - α| = 0 ≤ ε. La successione j :
- 49 -
→
definita per ogni m∈
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1
e per ogni n∈ , si
2
da j (m) = m non è di Cauchy e non ha limite. Infatti basta prendere ε =
ha |j (n+1) - j (n)| = 1 >
1
. Per definizione si ha C ⊆ S. L'esempio della successione j
2
è
interessante perché permette di concludere che C ⊂ S.
Un importante esempio di successione che ha limite, ripreso in seguito nell'ambito dello studio
delle serie è offerto dalla cosiddetta serie geometrica di ragione x. Nel linguaggio scolastico si
preferisce usare il nome progressione geometrica, forse per conservare di più il carattere
potenziale del termine progressione (che ricorda nella radice etimologica gradus, gradino).
TEOREMA (della serie geometrica). Per ogni x∈
definita, per ogni n∈ , da gx(n) =
ha gx∈ e lim g x =
n
0+
con x
0
r =0
r =0
n
xr =
r
1− x
. Come si vede l'ipotesi x
1− x
n +1
s =0
xs =
nella
n
forma
x s + x n +1 =
s =0
generale
n
0 r = 0r = 1 =
r =0
1 − 0 n +1
. Se x
1− 0
1 − x n +1
. Questo si prova per induzione: per n = 0, è
1− x
1 interviene proprio per dimostrare queste eguaglianze, in modo
da non annullare il denominatore. Un rapido calcolo permette di affermare che
scriversi
la successione
1
1
e per ogni n∈ , gx(n) ≤
.
1− x
1− x
1, per ogni n si ha gx(n) =
xr = x0 = 1 =
0+
1 − x n +1
. Se 0 ≤ x < 1, si
1− x
x r . Si ha per ogni n∈ , gx(n) =
DIMOSTRAZIONE. Se x = 0, avendosi 00 = 1 e 0n = 0, per ogni n∈ , si ha g0(n) =
0 e x
→
1. Sia gx:
richiesta.
Si
supponga
n
1k = n+1, termine che non può
k =0
ora
n
xs =
s =0
1 − x n +1
;
1− x
si
ha
1 − x n +1
1 − x n +1 + x n +1 − x n + 2
+ x n +1 =
. In questo modo è provata l'eguaglianza richiesta.
1− x
1− x
Sia ora 0 < x < 1, quindi 0 < 1 – x < 1; si ha 0 < 1–1 < x–1, cioè 1 = 1–1 < x–1. Posto y = x–1 - 1, si ha 0 < y. Ovviamente
si ha 1 + y = x–1 =
1
1
. Per ogni α∈ +, per la regola dei segni, 0 < α⋅(1 - x), quindi 0 <
e pure 0 <
x
α (1 − x)
x
x
Per il Principio di Archimede esiste n∈ * tale che
≤ n ⋅ y . Dato che n·y ≤ 1 + n·y. Dalla
α (1 − x)
α (1 − x)
disuguaglianza di Bernoulli: 1 + n·y ≤ (1 + y)n, in conclusione
x
α (1 − x)
≤
1
xn
1
x
≤ (1 + y ) n . Sostituendo
a 1 + y, si ha
α (1 − x)
x
. Moltiplicando entrambi i membri per (α·xn)∈ +, sfruttando la monotonia della moltiplicazione e
- 50 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
sviluppando i calcoli, si ottiene
ha bα
x n +1
≤ α . Se si pone bα = n ∈
1− x
x n +1
≤ α , dalle considerazioni precedenti si
1− x
∅. Per la genericità di α∈ +, si definisce una carattere λ:
min(bρ). Inoltre se n∈bα per ogni m∈
+
ponendo per ogni ρ∈ +, λ(ρ) =
→
si ha xn+m ≤ xn. Ciò si prova per induzione su m. La base induttiva è ovvia
in quanto xn = xn+0. Se xn+m < xn, allora essendo x < 1, moltiplicando entrambi i membri per xn+m si ha xn+m+1 =
x n + m +1
xn
≤
≤α
x·xn+m < 1·xn+m = xn+m ≤ xn, provando in tal modo la tesi induttiva xn+m+1 < xn. Pertanto
1− x
1− x
quindi
n+m∈bα.
g x (λ (ε ) + p ) −
Pertanto
ogni
ε∈
+,
per
ogni
p∈ ,
si
ha
(λ(ε)+p)∈bε
e
1
1 − x λ (ε ) + p +1
1
xλ (ε ) + p + 1
1
=
−
=
≤ ε . Ciò prova che gx∈ e lim gx =
. Nel corso
1− x
1− x
1− x
1− x
1− x
della dimostrazione si prova che
per ogni n∈
per
da h(n) =
n
1
x n +1
1
. Inoltre posto h:
− xs =
≥ 0 , quindi gx(n) ≤
1 − x s =0
1− x
1− x
→
definita
x n +1
, si ha lim h = 0.
1− x
Vi sono successioni di numeri razionali che sono di Cauchy ma non hanno limite, come mostrato
in seguito; non si possono trovare successioni che hanno limite e non siano di Cauchy, in quanto
vale il successivo teorema.
TEOREMA (dell'inclusione). Si ha
⊆ .
DIMOSTRAZIONE. Sia f∈ . Esistono allora l∈
e un carattere λ:
+
→
si ha |f(λ(ξ)+s) - l| ≤ ξ. Per provare che f∈ , si deve indicare un carattere γ:
prendere g definita, per ogni x∈ , da γ ( x) = λ
≤ |f(γ(ε)+p) - l| + |l - f(γ(ε)+q)| =
f λ
ε
2
tali che per ogni x∈
+
→
ε
2
+q −l ≤
ε
2
, per ogni s∈ ,
che soddisfi le richieste. Basta
x
. Infatti per ogni ε∈ +, ogni p,q∈
2
+ p −l + f λ
+
+
ε
2
si ha |f(γ(ε)+p) - f(γ(ε)+q)|
= ε . Quindi la scelta della
funzione γ soddisfa le richieste. Per la genericità di f, si conclude l'inclusione richiesta.
Nel teorema seguente si prova che l'inclusione tra gli insiemi di successioni è propria, cioè
l'insieme ( - )
∅. E' questo il problema di Cantor da cui si prende spunto per la costruzione
dei numeri reali mediante il metodo degli elementi ideali.
TEOREMA (dell'inclusione propria). Si ha ( ) ⊂ ( ).
DIMOSTRAZIONE. Nell'enunciato si è esplicitato che si considerano successioni razionali in quanto, come
conclusione del metodo degli elementi ideali, se il procedimento è corretto, la quinta condizione del metodo detto
- 51 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
(ed un complesso teorema di Cantor), garantisce che il problema non si pone più per le successioni di numeri reali.
Si consideri la successione razionale, introdotta prima e definita per ricursione da:
R (0) = 1
R (n + 1) =
Si ha R(n + 1) 2 − 2 =
n∈
2 R(n) + 2
R(n) + 2
2
−2=
2 R(n) + 2
R(n) + 2
4 R ( n ) 2 + 8 R ( n) + 4 − 2 R ( n) 2 − 8 R ( n) − 8
( R( n) + 2)
2
=
2( R(n) 2 − 2)
Inoltre per ogni
( R (n) + 2) 2
si ha 1 ≤ R(n) ≤ R(n+1) ∧ R(n)2 < 2 ∧ 2 - R(n)2 ≤ 3–n e ciò viene provato per induzione. La base è verificata in
quanto R(0) = 1 ≤ 1 ≤ R(1) =
2+2 4
= ; R(0) = 1, per cui R(0)2 = 12 < 2 Inoltre 2 - R(0)2 = 2 - 1 ≤ 3–0 = 1.
1+ 2 3
Supposto provato per n, cioè 1 ≤ R(n) ≤ R(n+1) ∧ R(n)2 < 2 ∧ 2 - R(n)2 ≤ 3–n, si ha R(n+1) =
2 R ( n) + 2
. Ma R(n)
R(n) + 2
+ 2 ≤ 2R(n) + 2 sse 0 ≤ R(n), e ciò si ha in quanto per ipotesi induttiva si ha 0 < 1 ≤ R(n). Inoltre si ha R(n+1)2 - 2 =
2( R(n) 2 − 2)
( R(n) + 2) 2
in cui il denominatore è sempre positivo ed il numeratore è negativo per l'ipotesi induttiva, perciò
2 R( n + 1) + 2
e questo, dato che il denominatore è positivo
R(n + 1) + 2
R(n+1)2 < 2. Ma si ha R(n+1) ≤ R(n + 2) sse R(n + 1) ≤
essendo R(n + 1) ≥ 1, dà R(n + 1)2 + 2R(n + 1) ≤ 2R(n + 1) + 2 sse R(n + 1)2 ≤ 2, che è già stato provato. Infine da
1 ≤ R(n) si ha 3 ≤ R(n) + 2, da cui passando ai reciproci si ha
1)2 =
2
( R(n) + 2)
2
⋅ (2 − R(n) 2 ) ≤
2 −n
1
⋅3 ≤
= 3− ( n +1) .
n
9
3⋅3
La successione R è di Cauchy: per ogni ε∈ +, sia aε =
z∈
tale che
1
ε
1
1
≤ . Sfruttando l'ipotesi induttiva 2 - R(n +
R(n) + 2 3
− 1 ≤ 2 z , quindi aε
s∈
∅. Per il buon ordine di
l'insieme aε e di conseguenza può mutare mε. Si ponga γ:
+
→
2s ≥
1
ε
− 1 . Per il Principio di Archimede, esiste
, tale insieme ha minimo mε. Al variare di ε cambia
tale che γ(ε) = mε + 1, quindi mε = γ(ε) - 1. Si ha
1
per la disuguaglianza di Bernoulli, 3γ(ε)-1 = (1 + 2)γ(ε)-1 ≥ 1 + 2·(γ(ε)-1) = 1 + 2·mε ≥ 1 +
1
disuguaglianza 3γ(ε)-1 ≥
si ricava
ε
1
γ (ε ) −1
3
ε
-1 =
1
ε
. Dalla
≤ ε . Per la genericità di ε∈ + si ha, sfruttando il fatto che per ogni
p,q∈ , |R(p) + R(q)| = R(p) + R(q) ≥ 2 ≥ 1; pertanto dalla disuguaglianza triangolare si ha per ogni ε∈ +, per ogni
p,q∈ , |R(γ(ε)+p) - R(γ(ε)+q)| ≤ |R(γ(ε)+p) - R(γ(ε)+q)|·|R(γ(ε)+p) + R(γ(ε)+q)| = |R(γ(ε)+p)2 - R(γ(ε)+q)2| ≤ |2
- R(γ(ε)+p)2| + |2 - R(γ(ε)+q)2| ≤ 3-γ(ε)-p + 3–γ(ε)-q ≤ 3–γ(ε) + 3–γ(ε) = 2·3-γ(ε) ≤ 3·3–γ(ε) = 3–γ(ε)+1 =
La successione non ha limite in
1
3
− γ (ε ) −1
≤ε .
; per provarlo si usano alcuni risultati che si possono provare in modo
indipendente: se l = lim R, con l∈ , la successione R2 ha limite l2 e sia λ:
+
→
tale che per ogni ε∈
+
, per
ogni p∈ , |R(λ(ε)+p)- l2| ≤ ε. Dato che 0 < R(n) ∧ R2(n) ≤ 2, si ha 0 ≤ l ∧ l2 ≤ 2. Non può essere l2 = 2. Se l2 < 2,
- 52 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
sia α = 2 - l2. Si ha α > 0 ed esiste m∈
4
disuguaglianza 3m >
2−R λ
α
4
α
si ricava
2
+m+r
+R λ
α
4
1
3
m
tale che 2·m >
<
α
4
2
+m+r
- 1; pertanto 3m ≥ 1 + 2·m > 1 +
. Da cui per ogni r∈ , si ha
α
2
4
α
-1=
4
α
. Dalla
< α = 2 - l2 = |2 - l2| ≤
1 α α α α
− l 2 ≤ m + < + = . Ciò è assurdo.
4 4 4 2
3
Un altro esempio di successione a valori in
→
4
α
che è successione di Cauchy ma non converge è E:
1
data da E(0) = 1 e per ogni n ≠ 0, E(n) = 1 +
n
n
. La dimostrazione della prima parte è
frutto di un risultato generale che afferma che una successione monotona crescente e
superiormente limitata è di Cauchy. Il fatto che non sia una successione convergente è stato
mostrato in precedenza, dato che il numero reale e che è il limite in
di tale successione non è
un numero razionale. Il numero reale cui tale successione converge viene indicato con e ed è
detto numero di Nepero, dal nome del matematico scozzese J. Napier (1550 - 1617), italianizzato
in Nepero, che introdusse i logaritmi, mentre da alcuni autori dicono e numero di Eulero.
Il problema di Cantor, punto di partenza del metodo degli elementi ideali, è quello di determinare
il limite delle successioni di Cauchy, di numeri razionali. Si tratta di un problema generalmente
insolubile dato che vi sono successioni razionali di Cauchy che non sono convergenti. Il metodo
degli elementi ideali fornisce le condizioni per poter costruire un contesto, ampliando
, in cui
le soluzioni ogni problema di questo tipo, vale a dire ogni successione di Cauchy, ha limite. Con
tale metodo la soluzione, vale a dire il limite, è dato dal problema stesso, cioè dalla successione
considerata.
6.5. Operazioni tra successioni convergenti e tra successioni di Cauchy. Se si è interessati allo
studio delle successioni si possono provare risultati che mostrano come l'insieme
è chiuso
sotto le operazioni introdotte. Qui preme solo mettere in luce che la quarta condizione del
metodo degli elementi ideali richiede di strutturare i problemi, quindi che sia possibile definire
operazioni e relazioni su di essi in modo da riottenere una struttura "simile" a quella di partenza.
Ciò richiede appunto che somma, opposto, prodotto di successioni di Cauchy sia ancora una
successione di Cauchy. Le dimostrazioni di questi fatti richiedono, in generale, dati i caratteri, di
determinare altri caratteri opportuni. La dimostrazione è semplice e la si lascia come "esempio"
di analoghe dimostrazioni.
- 53 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
TEOREMA (della somma di successioni di Cauchy). Siano f,g∈C, α∈ , allora (αf),(f+g), |f|∈C.
DIMOSTRAZIONE. Date f,g:
→
, e assegnati i rispettivi caratteri γ,γ’:
tratta di successioni di Cauchy, si costruiscono nuovi caratteri η,σ,τ:
+
scommessa’ richiesta dall’enunciato. Basta porre, per ogni x∈
, η ( x) =
+
+
→
. utilizzati per provare che si
→
che permettono di ‘vincere la
x
per avere che (αf) è successione
| α | +1
di Cauchy (e questo vale anche se α = 0, nel qual caso sarebbe più facile osservare che (αf) = j0). Infatti per ogni
ξ∈
+,
per ogni p,q∈ , si ha |((αf)(η(ξ)+p) - (αf)(η(ξ)+q)| = |α·f(η(ξ)+p) - α·f(η(ξ)+q)| = . Quest'ultima
disuguaglianza è giustificata da 0 ≤ |α| ≤ |α| + 1; quindi si ha , da cui .
x
x
Per la somma basta porre, per ogni x∈ +, σ ( x) = γ
. Infatti, per ogni ρ∈ +, sfruttando la
+γ'
2
2
disuguaglianza triangolare, per ogni p,q∈ , |((f+g)(σ(ρ)+p) - (f+g)(σ(ρ)+q)| = |(f(σ(ρ)+p)+g(σ(ρ)+p) - f(σ(ρ)+q)
≤ f γ
g(σ(ρ)+q)|
ρ
2
+γ'
ρ
2
=
+p − f γ
|(f(σ(ρ)+p)
ρ
2
+γ'
ρ
2
f(σ(ρ)+q)
-
+q + g γ
ρ
2
+γ'
+
ρ
2
g(σ(ρ)+p)
+ p −g γ
ρ
2
+γ'
g(σ(ρ)+q)|
-
ρ
2
+q ≤
ρ
2
+
ρ
2
=ρ.
Per il valore assoluto, basta assumere τ = γ. Infatti per ogni δ∈ +, per ogni r,s∈ , |(|f|)(τ(δ)+r) - (|f|)(τ(δ)+s)| =
||f(τ(δ)+r)| - |f(τ(δ)+s)|| ≤ |f(τ(δ)+r) - f(τ(δ)+s)| = |f(γ(δ)+r) - f(γ(δ)+s)| ≤ δ.
Si presti attenzione che l'enunciato dell'ultimo teorema afferma che se una o più successioni
hanno una certa proprietà (essere di Cauchy), allora le operazioni eseguite su di esse dànno luogo
ancora a successioni con le stesse proprietà. Non bisogna però invertire l'implicazione. Se ad
esempio si consideri la successione pot–1:
→
definita per ogni n∈
pot–1(n) = (–1)n =
da
1, se n pari
.
- 1, se n dispari
Non è una successione di Cauchy perché basta prendere il numero razionale positivo
che per ogni n, esistono 0,1∈
tali che |pot–1(n+0) - pot–1(n+1)| = 2 >
1
per avere
2
1
. Infatti se n è pari n+1
2
è dispari, quindi |pot–1(n) - pot–1(n+1)| = |1 - (–1)| = |2| = 2, mentre se n è dispari, n+1 è pari e si
ha |pot–1(n) - pot–1(n+1)| = |pot-1(n+1) - pot–1(n)| = |1 - (–1)| = 2. Ma (pot–1 + (–pot–1)) = j0 è
convergente e di Cauchy. Allo stesso modo si prova che |pot-1| = j1, quindi ancora una
successione convergente e di Cauchy.
Questa osservazione vale anche per il prodotto di successioni. Ad esempio la successione j :
→
non è di Cauchy, quindi neppure convergente, ma (j0⋅j ) che è eguale a j0 è di Cauchy e
convergente.
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Per passare alla moltiplicazione serve una proprietà delle successioni di Cauchy, introdotta dalla
seguente
DEFINIZIONE. Data f∈ ( ) si dice che è una successione limitata se l'insieme rng(f) ⊆
è
inferiormente e superiormente limitato. Con ( ) si indica l'insieme delle successioni limitate.
E' facile provare che anche l'insieme
delle successioni limitate è chiuso rispetto alle operazioni
di addizione e moltiplicazione. Tale insieme contiene anche , come si mostra sotto, quindi
contiene le successioni costanti, in particolare j0 e j1. Si tratta di un anello unitario, contenuto
nell'anello unitario
. I rapporti tra l'insieme delle successioni limitate e l'insieme delle
successioni di Cauchy è illustrato dal seguente
⊂ .
TEOREMA (di limitazione delle successioni di Cauchy). Si ha
DIMOSTRAZIONE. Se f∈ , si ha |f|∈ , quindi esiste un carattere γ :
+
→
che soddisfa le opportune condizioni.
Posto α = 1 + |f(γ(1))|, si ha α∈ + e per ogni p∈ , si ha ||f(γ(1)+p)| - |f(γ(1))|| ≤ |f(γ(1)+p) - f(γ(1))| ≤ 1, quindi
|f(γ(1))| - 1 ≤ |f(γ(1)+p)| ≤ 1 + |f(γ(1)| = α. Di questa catena di disuguaglianze interessa l'ultima parte che afferma
|f(γ(1)+p)| ≤ α, qualunque sia p∈ . Ovviamente si può usare un diverso valore, ad esempio scegliendo, in luogo di
1, il numero razionale
7
7
e ponendo α = f γ
16
16
+ 1 o un altro ancora, ma sembra più comodo il valore
indicato.
Considerato l'insieme b = {|f(0)|,…,|f(γ(1))|,α} di numeri razionali positivi, si pone β = max(b). Tale massimo esiste
perché l'insieme b è finito e per esso si ha che per ogni m∈ , |f(m)| ≤ β. Infatti se 0 ≤ m < γ(1), allora |f(m)|∈b,
quindi |f(m)| ≤ β . Se γ(1) ≤ m, allora si può scrivere m = γ(1) + r, con r∈ , pertanto |f(γ(1)+r)| ≤ 1 + |f(γ(1))| = α ≤
β.
Per quanto riguarda il fatto che viene indicata l'inclusione stretta tra gli insiemi
pot–1 è limitata, dato che per ogni n∈
e , si osserva che la successione
si ha |pot–1(n)| = 1; si ha però pot–1∉ .
Quanto detto per successioni razionali si può estendere a successioni reali allo stesso modo: le
successioni di Cauchy sono limitate. Esistono però successioni limitate che non sono di Cauchy.
E' però possibile mostrare che per le successioni monotone essere successione limitata implica
essere di Cauchy.
Talvolta gli studenti confondono tra due concetti che hanno dizioni simili ma sono
sostanzialmente diversi: essere limitato e avere limite, riferite qui alle successioni e più avanti
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
alle funzioni reali. Ciò depone a sfavore della nomenclatura e fa capire che il concetto di limite
ha anche difficoltà di tipo linguistico, come prova tra l'altro la ricerca didattica. Per questo invece
di parlare di successioni che hanno limite è preferibile usare la dicitura successione convergente.
Viceversa se f è una successione convergente, cioè che ha limite, allora per f è una successione di
Cauchy e quindi è limitata.
Il fatto che le successioni di Cauchy siano limitate, nel senso detto, permette di provare che il
prodotto di due successioni di Cauchy è di Cauchy ed il prodotto di due successioni convergenti,
è convergente. Tali risultati si estendono alla potenza con esponente naturale.
Per quelle particolari successioni limitate che sono successioni di Cauchy si ha:
TEOREMA (del prodotto di successioni di Cauchy). Siano f,g∈ ; allora (f·g)∈ e per ogni n∈ ,
(fn)∈ .
DIMOSTRAZIONE. Date le successioni f,g∈ , siano γ,γ’ :
+
→
, opportuni caratteri. Esistono β ,β’∈ +, tali che
per ogni n∈ , si abbia, rispettivamente |f(n)| ≤ β; |g(n)| ≤ β’. Per ogni x∈ +, si pone η(x) = γ
x
x
+γ'
.
2β '
2β
Con questa scelta, usando la disuguaglianza triangolare, per ogni ε∈ +, per ogni p,q∈ , |(f·g)(η(ε)+p) (f·g)(η(ε)+q)| = | f(η(ε) +p) · g(η(ε)+p) - f(η(ε)+q) · g(η(ε)+q)| ≤ |f(η(ε) +p) · g(η(ε)+p) - f(η(ε)+q) · g(η(ε)+p)|
+ |f(η(ε)+q) · g(η(ε)+p) - f(η(ε)+q) · g(η(ε)+q)| = |g(η(ε)+p)| · |(f(η(ε)+p) - f(η(ε)+q))|+|f(η(ε)+q)| · |(g(η(ε)+p)
- g(η(ε)+q))| = = g γ
+ f γ
ε
2
+
ε
2
ε
2β '
+γ'
ε
2β
ε
2β '
+γ'
+q ⋅ g γ
ε
2β
ε
2β '
+p ⋅ f γ
+ g γ'
ε
2β
ε
2β '
+γ'
+p
ε
2β
−g γ
+p − f γ
ε
2β '
+ g γ'
ε
2β '
ε
2β
+γ'
+q
ε
2β
+q +
≤ β '⋅
ε
2β '
+β⋅
ε
2β
==
= ε.
L'asserto sulla potenza discende, per induzione, da quello sulla moltiplicazione: se n = 0, allora f0 = j1 e j1∈ ,
Assunta l'ipotesi induttiva (fn)∈ , si ha (fn+1) = ((fn)·f), quindi la potenza con esponente n+1 è prodotto di due
successioni di Cauchy e da quanto provato per il prodotto si ha (fn+1)∈ .
Si possono riassumere alcuni dei risultati precedenti nel seguente:
TEOREMA (dell'aritmetica delle successioni di Cauchy). L'insieme ( ) con j0, j1 e le operazioni
di addizione, opposto e moltiplicazione è un anello commutativo unitario.
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
6.6. Equivalenza di successioni. L'analisi del metodo degli elementi ideali, richiede una classe di
problemi, nel caso in esame, la determinazione del limite delle successioni di Cauchy a valori
razionali. Che sia un vero problema insolubile è provato sopra. E' richiesta poi nel terzo
requisito, la presenza di una relazione di equivalenza che traduca nei problemi il fatto che due
problemi hanno la stessa soluzione data dalla seguente
DEFINIZIONE. Le successioni f,g∈ si dicono equivalenti e si scrive f ∼ g se esiste un carattere η:
+→
tale che per ogni ε∈
+
, per ogni p∈ , |f(η(ε)+p) - g(η(ε)+p)| ≤ ε.
Per poter dire che si tratta di una relazione di equivalenza bisogna provare che soddisfa le
proprietà richieste. La definizione assomiglia sia alla prima nozione di successione di Cauchy
che alla prima definizione di limite, almeno nella quantificazione che precede la disuguaglianza.
Non è però la condizione di Cauchy dato che si quantifica universalmente un unico numero
naturale e poi nel valore assoluto compaiono due funzioni diverse, non è neppure quella di limite
perché non è detto che g(η(ε)+p) sia costante. Si mostrerà nel successivo teorema che
l'equivalenza è strettamente legata al concetto di limite.
C'è un caso particolare interessante. Se f ∼ j0, allora esiste η:
+
→
tale che per ogni κ∈
+
e
per ogni p∈ , si ha |f(η(κ)+p) - j0(η(κ)+p)| ≤ κ, ma j0(η(κ)+p) = 0, dunque |f(η(κ)+p) - 0| ≤ κ,
quindi f ∼ j0 sse lim f = 0. Attenzione però che potrebbe aversi f∈ *, mentre j0∉ *, quindi
l'insieme * non è chiuso per equivalenza.
Un esempio di successione equivalente a j0 utilizzato nel seguito è la successione f:
→
1
definita da f(0) = 0, e, per ogni n∈ *, da f(n) = . La sua equivalenza con j0, quindi il fatto che
n
lim f = 0, si prova assumendo η:
+
→
1
definito per ogni σ∈ + da η(σ) = Int
σ
con questa scelta η(σ)∈ *. Infatti si ha: η(σ) - 1 = Int
1
σ
≤
1
σ
≤ Int
1
σ
+1e
+ 1 = η(σ), quindi
1
≤ σ . Per ogni ε∈ +, per ogni p∈ , si ha (η(ε) + p)∈ *, e pure η(ε) ≤ η(ε) + p, quindi
η (σ )
- 57 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1
1
≤ ε, provando così f ∼ j0. Tale successione si può indicare con il
≤
η (ε ) + p η (ε )
|f(η(ε) + p| =
simbolo
1
.
j
→
Un altro esempio è dato dalla successione g:
definita, per ogni n∈ , da g(n) =
1
.
n +1
Infatti utilizzando lo stesso carattere η introdotto sopra, si ha per ogni ε∈ +, per ogni s∈ ,
1
1
≤
≤ ε , pertanto g ∼ j0. Tale successione si può indicare con il
η (ε ) + s + 1 η (ε )
|g(η(ε)+s)| =
simbolo
1
.
S
DEFINIZIONE. Si dice che una successione è infinitesima se è equivalente a j0. Con ( ) si indica
l'insieme delle successioni di
infinitesime. Analogamente quando a è un anello si usa il
simbolo (a), o ambiguamente il simbolo .
Si prova facilmente che
⊆
. Si dimostra inoltre che la relazione ∼ è una relazione di
equivalenza ed ha proprietà di sostitutività rispetto all'appartenenza a , a
ed a .
La relazione data mette in corrispondenza successioni che sono entrambe di Cauchy oppure
entrambe che hanno limite, e per di più lo stesso limite. Tuttavia la relazione definita sopra è di
equivalenza in tutto l'insieme delle successioni.
I legami tra
e la relazione ∼ sono illustrati dal seguente
TEOREMA (di immersione delle costanti). Per ogni successione f∈ , si ha |f|
Inoltre, dati f,g∈ si ha f
∼ j0 sse f ∼ j0.
∼ g sse (f - g) ∼ j0. Più in generale sia f∈ e sia α∈ , si ha f ∼ jα sse
f∈ e lim f = α. In particolare se α,β∈ , jα ∼ jβ sse α = β.
DIMOSTRAZIONE. Se |f| ∼ j0, allora esiste η:
+
→
tale che per ogni σ∈ +, per ogni p∈ , si ha |(|f|)(η(σ)+p)|
≤ σ. Ma |(|f|)(η(σ)+p)| = ||f(η(σ)+p)|| = |f(η(σ)+p)|. Quindi si ha |f(η(σ)+p)| ≤ σ. Ciò prova che f ∼ j0. Le
considerazioni sono invertibili, quindi se f ∼ j0 si ha |f| ∼ j0.
Da f ∼ g si afferma che esiste un carattere ϑ tale che per ogni α∈ +, per ogni k∈ , si ha |f(ϑ(α)+k) - g(ϑ(α)+k)| ≤
α. Ma |f(ϑ(α)+k) - g(ϑ(α)+k)| = |(f - g)(ϑ(α)+k)| ≤ α, quindi (f - g) ∼ j0. Anche queste considerazioni sono
invertibili per cui se (f - g) ∼ j0, allora f ∼ g.
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Se f ∼ jα, dato che, jα∈ si ha f∈ . Inoltre lim f = lim jα = α. Viceversa basta rileggere la definizione del fatto che f
ha limite α: esiste λ:
+
→
tale che per ogni ε∈ +, per ogni s∈
si pone jα(λ(ε)+s) in luogo di α, si ha che esiste λ:
+
→
si ha |f(λ(ε)+s) - α| ≤ ε. Se in questa relazione
tale che per ogni ε∈ +, per ogni s∈ , |f(λ(ε)+s) -
jα(λ(ε)+s)| ≤ ε, che è l'affermazione che f ∼ jα.
Ovviamente si ha α = lim jα; lim jβ = β, quindi se α = β , si ha jα ∼ jβ e viceversa.
Si prova facilmente che la relazione ∼, o meglio le relazioni (∼ ∩
relazioni di equivalenza rispettivamente su
, su
e su
2),
(∼ ∩
2)
e (∼ ∩
2)
sono
. Ha quindi senso considerare gli
insiemi quozienti rispetto alle rispettive relazioni di equivalenza che, con simbolo ambiguo si
indicano con lo stesso ∼. Le particolari classi di equivalenza delle successioni costanti
contengono una ed una sola successione di tale tipo e quindi secondo il metodo degli elementi
ideali sono i "rappresentati" dei numeri razionali nel nuovo contesto. La relazione di equivalenza
gode di altre proprietà di sostitutività, rispetto alle operazioni. La sostitutività significa che sono
equivalenti i risultati di un'operazione su successioni e su successioni ad esse equivalenti, si tratta
quindi di una relazione di congruenza. Però per provare tale proprietà rispetto alla
moltiplicazione bisogna restringere la considerazione a successioni di . Infatti per le successioni
j ed f’ definita da f’(0) = 0 e per ogni n∈
da f’(n) = n +
Si ha |j (0) - f’(0)| = 0 e per ogni n∈ *, |j (n) - f’(n)| =
1
, entrambe non appartenenti a .
n
1
, pertanto per ogni ε∈ +, per il
n
Principio di Archimede, esiste z∈ * tale che ε–1 ≤ z·1. L'insieme bε = {x∈
| ε–1 ≤ x}, non è
vuoto, quindi esiste il minimo di bε e min(bε)∈ *. Posto η(ε) = min(bε), è η(ε)
≤ min(bε), per cui si ha per ogni p∈ , |j (η(ε)+p) - f’(η(ε)+p)| =
0 e ε–1
1
1
≤
≤ ε . In tale
η (ε ) + p η (ε )
modo si prova che j ∼ f’.
Si consideri ora la successione g’ definita da g’(0) = 0 e per ogni n∈
α∈
+,
da g’(n) =
per ogni q∈ , si ha, usando lo stesso carattere η, |g’(η(α) + q)| =
η(α)∈ *. Ma
1
; per ogni
n
1
, dato che
η (α ) + q
1
1
≤
≤ α , quindi |g’(η(α)+q)| ≤ α. Ciò prova che j0 ∼ g’. Si ha però
η (α ) + q η (α )
(j0·j ) = j0, mentre si ha (g’·f’)(0) = 0 e per ogni n∈ *, (g’⋅f’)(n) = g’(n)·f’(n) =
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1
1
1
⋅ n+
= 1 + 2 . Utilizzando ancora lo stesso carattere η si prova che (g’·f’) ~ j1. Infatti si ha
n
n
n
per ogni ε∈ +, per ogni s∈ , si ha 0 ≤ η(ε) ≤ η(ε) + s ≤ (η(ε) + s)2, da cui si ha
|(g’·f’)(η(ε)+s) - j1(η(ε)+s)| = 1 +
1
(η (ε ) + s )
2
−1 =
1
(η (ε ) + s )
2
≤
1
≤ ε . Dato che j0, j1∈ e
η (ε )
lim j0 = 0, lim j1 = 1, e si ha j0 ∼ j1 sse 0 = 1. Ciò è assurdo. La relazione di equivalenza non è
dunque sostitutiva sulla moltiplicazione in .
Le proprietà di sostitutività della relazione di equivalenza sono indispensabili per definire le
operazioni, non più sulle successioni ma sulle classi di successioni, in modo altrettanto
"naturale". Se si pone [f] + [g] = [f + g] si fornisce una definizione corretta. Infatti anche se [f] =
[f’] e [g] = [g’], si ha che [f + g] = [f’ + g’]. In modo analogo anche la definizione di – [f] = [–f]
e α[f] = [αf] sono definizioni corrette, perché non dipendono dai rappresentati prescelti nelle
classi di equivalenza. E' possibile definire correttamente |[f]| = [|f|] in quanto non dipende dalla
scelta dei rappresentanti. Questi risultati valgono ancora se si restringe l'equivalenza a .
Per quanto riguarda la moltiplicazione è indispensabile collocarsi nell’insieme
delle
successioni limitate. In tale ambito si può porre [f]·[g] = [f·g] ottenendo una definizione che non
dipende dalla scelta dei rappresentanti. Per la potenza per esponente naturale si pone [f]p = [fp].
Le successioni di
non hanno però una proprietà di limitazione inferiore, indispensabile per
evitare i divisori dello zero. Infatti l'esempio di due successioni non nulle il cui prodotto è j0, dato
precedentemente fa intervenire successioni di . Ci si restringe ulteriormente lavorando in . In
tale insieme si possono definire le operazioni sulle classi di equivalenza di successioni
rifacendosi alle operazioni sulle successioni rappresentanti delle classi, senza che questo
pregiudichi le definizioni stesse.
6.7. Limitazione inferiore e divisori dello zero.
TEOREMA (della limitazione inferiore). Se f∈ ed esistono α∈ + e n∈
tali che per ogni s∈ ,
α < |f(n+s)|, allora f ~/ j0.
Se f∈ si ha f ~/ j0, sse ∃α∈ + ∃n∈
∀s∈
(α < |f(n+s)|). Di conseguenza se f∈ è tale che f
~/ j0, allora f∈ *.
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
DIMOSTRAZIONE. Sia f∈ ed esistano α∈ + e n∈
+ →
che f ∼ j0. Allora esisterebbe η:
tali che per ogni s∈ , α < |f(n+s)|. Si suppone, per assurdo
tale che per ogni ε∈ +, per ogni m∈
si avrebbe |f(η(ε)+m)| =
|f(η(ε)+m) - 0| = |f(η(ε)+m) - j0(η(ε)+m)| ≤ ε. Ma in particolare si avrebbe α < |f(η(α)+n)| ≤ α, il che è assurdo.
Sia ora f∈ ; si ha f ~ j0 sse lim f = 0. Pertanto si ha f ~/ j0 sse f non ha limite 0. Ciò può essere descritto in vari modi,
ad esempio dicendo che esiste ζ∈ + tale che per ogni r∈ , esiste m∈
per il quale |(f(r+m)| > ζ. La scrittura
simbolica permette di individuare meglio gli aspetti salienti:
∃ζ∈ + ∀r∈
∃r∈
(ζ < |f(r+m)|).
Questa disuguaglianza ha la stessa forma di quella da dimostrare con la differenza nell'ordine della quantificazione:
l'asserto, dopo una quantificazione esistenziale richiede una quantificazione esistenziale e poi una universale, mentre
da f ~/ j0 si ottiene una quantificazione universale seguita da una esistenziale. Pertanto l'asserto da provare è
sostanzialmente la possibilità di effettuare lo scambio dei quantificatori. Il valore di m, quantificato esistenzialmente
nella negazione di f ~ j0, dipende dalla scelta di r, quantificato universalmente, e dalla scelta di ζ, visto che non è
detto che ζ sia l'unico numero razionale positivo per cui vale la disuguaglianza. Per mettere in evidenza tale
dipendenza si scrive in forma funzionale: m = m(ζ,r). La relazione che compare nella negazione di f ~ j0 diviene ora
|f(r+m(ζ,r))| > ζ. Siccome f è una successione di Cauchy, esiste γ:
p,r∈ , si ha |f(γ(δ)+p) - f(γ(δ)+r)| ≤ δ. Posto n = γ
f γ
f γ
ζ
+ m ζ ,γ
2
ζ
2
+ m ζ ,γ
sottraendo
γ
ζ
2
ζ
2
ζ
− f γ
2
ζ
≤ f γ
2
ζ
2
ζ
2
+p
≤ f γ
+p +
ζ
2
ζ
2
ζ
2
, per ogni p∈
+ m ζ ,γ
; ma ζ < f γ
al primo ed all'ultimo membro si ottiene
ζ
2
< f γ
ζ
2
ζ
2
ζ
2
+ →
tale che per ogni δ∈
+
, per ogni
si ha:
− f γ
+ m ζ ,γ
ζ
2
ζ
2
+p ≤
ζ
2
≤ f γ
.
ζ
2
Di
qui
+p +
ζ
2
+ p . In conclusione scegliendo α =
si
ha:
, quindi,
ζ
2
en=
tutti i termini della successione di indice maggiore di n risultano maggiori di α, quindi per quanto provato
nella prima parte, f ~/ j0 .
Dall'asserto si ha ovviamente che se f∈ e f ~/ j0 , allora f∈ *.
La scelta delle successioni di Cauchy permette di ovviare, a meno di equivalenza, al problema
dei divisori dello zero presentatosi in precedenza.
TEOREMA (dei divisori dello zero). Si hanno le seguenti proprietà
∀f∈ ∀α∈
(αf ~ j0 ↔ (α = 0 ∨ f ~ j0));
∀f,g∈
((f·g) ~ j0 ↔ (f ~ j0 ∨ g ~ j0)).
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DIMOSTRAZIONE. Questo teorema afferma una sorta di legge del prodotto nullo distinguendo tra prodotto di una
successione per un numero razionale oppure prodotto di due successioni.
Se α = 0, allora αf = j0, qualunque sia la successione f. Si supponga ora α
0 e f ~ j0. Per la sostitutività della
equivalenza si ha (αf) ~ (αj0) e (αj0) = j0. Pertanto (αf) ~ j0.
Viceversa si assume (αf) ~ j0. Si trattano due casi: α = 0 ∨ α
caso α
0, si ha α–1
0. Nel primo, a m.r. si ha α = 0∨ f ~ j0. Nel secondo
0, quindi dalla prima parte, si ha (α–1(αf)) ~ j0. Si può scrivere (α–1(αf)) = ((α–1·α)f) = (1f) =
f, perciò f ~ j0.
Per la seconda, se f ~ j0, allora per ogni successione g∈ si ha f,g∈ , quindi (f·g) ~ (j0·g). Dato che (j0·g) = j0, si ha
pure (f·g) ~ j0. Analoghe considerazioni nel caso g ~ j0.
Sia (f·g) ~ j0 e, per assurdo, che f e g non siano equivalenti a j0, allora esistono α,β ∈ + e n,m∈
p∈
si ha, |f(n+p)| > α; |g(m+p)| > β . Per ipotesi (f·g) ~ j0, quindi esiste η:
tali che per ogni
+ → N tale che per ogni ε∈
+, per
ogni q∈ , |(f⋅g)(η(ε)+q| ≤ ε. Ma assunti ε = α·β, q = n+m, si ha α·β < |f(n +η(α·β)+m)| ⋅ |g(m+η(α·β )+n)| =
|(f·g)(η(α·β )+q))| ≤ α·β, il che è assurdo. Quindi è necessario che almeno una delle due successioni sia equivalente
alla successione j0.
A ben guardare mettendo assieme quanto noto sulla addizione (e sottrazione) di successioni
infinitesime e quanto provato nella seconda parte del teorema precedente, si ha che l'insieme
delle successioni infinitesime è un ideale di .
Si definisce la divisione tra successioni di , anche se poi nel contesto dell'introduzione dei
numeri reali, ci si limita a studiare le proprietà di tale operazione tra le successioni di Cauchy.
DEFINIZIONE. Siano f,g∈ . Con
f
g
da leggersi "f fratto g", si indica la successione definita
ponendo
f
(n) =
g
f ( n)
, g ( n) ≠ 0
g ( n)
0, g (n) =0
Tale successione viene detta la successione quoziente di f e g in cui f è detto numeratore e g è
detto denominatore. In particolare la successione
e spesso indicata anche con la scrittura
j1
g
1
.
g
- 62 -
viene detta la successione reciproca di g
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
A differenza di quanto avviene tra numeri razionali, la divisione in ( ) è sempre possibile,
comunque prese due successioni. In
si impone la condizione che il denominatore non sia
nullo. Qui si ammette che questo possa avvenire. Ad esempio per ogni successione f si ha
f
= j0 , in quanto per ogni m∈
j0
f
(m) = 0 , dato che j0(m) = 0. Una tale divisione,
j0
si ha
seppur possibile, si discosta molto dalle aspettative che si possono avere su tale operazione. In
particolare si ha che
j1
j0
= j0, di conseguenza il reciproco di una successione si comporta in
modo diverso dall'operazione di reciproco tra numeri. La definizione del quoziente è obbligata se
si vuole attribuire significato anche quando le espressioni analitiche che perdono di significato.
j1
f
Non si è usata la scrittura (f–1) per indicare
in quanto f è una funzione con (f–1) nel contesto
delle funzioni si denota con tale simbolo il reciproco di f rispetto alla composizione e non
rispetto alla moltiplicazione. Fa eccezione la successione (j
–1),
cioè la reciproca, rispetto alla
moltiplicazione della successione j , per la quale si useranno entrambe le scritture
(j
j
j1
e
-1).
Per ogni α∈ , per ogni β∈ *,
jα
jβ
= j α , ma tale eguaglianza non sussiste se β = 0, perché
β
il secondo membro della disuguaglianza non è definito mentre il primo sì.
La divisione tra successioni richiede ovviamente che sul codominio delle funzioni sia disponibile
l'operazione corrispondente, per questo non ha senso richiedere la divisione in ( ) o in ( ).
Quindi per poter introdurre l'operazione in (a) bisogna che a sia un campo. Ciò avviene ad
esempio nel caso di
, di
e di
, pertanto non si introduce la divisione in ( ).
In presenza della divisione e quindi del reciproco si può estendere la potenza ad esponente intero.
Si lascia al lettore l'enunciazione della definizione e delle proprietà relative, ad esempio il fatto
che la potenza ad esponente intero di una successione di Cauchy (convergente) non infinitesima è
di Cauchy (convergente) e il limite della potenza coincide con la potenza del limite. La divisione
ha però "buone" proprietà se ci si limita a successioni di Cauchy e si chiede che il divisore non
sia infinitesimo. La dimostrazione è abbastanza complessa. Ciò fa comprendere perché raramente
si incontra sui testi, lasciando alla buona volontà del lettore provare queste proprietà.
- 63 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
TEOREMA (della divisione in ). Siano f,g∈ con g ~/ j0. In tal caso la successione quoziente
f
∈
g
f
⋅g
g
Date le successioni f,g∈ , con g ~/ j0, si ha
j1; inoltre
f
j
= f⋅ 1
g
g
∼ f, in particolare
j1
⋅g
g
∼
.
DIMOSTRAZIONE. Dato che f,g∈ , esistono γ,γ’:
+→
tali che per ogni ε∈
+
, per ogni p,q∈ , si ha |f(γ(ε)+p)
- f(γ(ε)+q)| ≤ ε; |g(γ’(ε)+p) - g(γ’(ε)+q)| ≤ ε. Siccome f∈ , esiste β∈ + tale che per ogni q∈ , |f(q)| ≤ β . D'altra
parte dato che g ~/ j0, esistono δ∈ + e m∈
g(m+q)
0
ϕ ( x) = γ
ed
inoltre
tali che per ogni q∈ , |g(m+q)| > δ e ciò comporta che per ogni q,
1
1
< .
| g (m + p) | δ
+
Sia ϕ:
→
definita
per
ogni
x∈
+
,
da
x ⋅δ
x ⋅δ 2
. Per ogni κ∈ +, per ogni p,q∈ , ϕ(κ)+p ≥ m, ϕ(κ)+q ≥ m dunque g(ϕ(κ)+p)
+m+γ'
2
2β
g(ϕ(κ)+q), pertanto si ha:
0
f
(ϕ (κ ) + p ) − f (ϕ (κ ) + q ) = f (ϕ (κ ) + p) − f (ϕ (κ ) + q) = f (ϕ (κ ) + p) g (ϕ (κ ) + q) − f (ϕ (κ ) + q) g (ϕ (k ) + p)
g
g
g (ϕ (κ ) + p ) g (ϕ (κ ) + q)
g (ϕ (k ) + p ) g (ϕ (κ ) + q )
=
f (ϕ (κ ) + p ) g (ϕ (κ ) + q) − f (ϕ (κ ) + q ) g (ϕ (κ ) + p )
g (ϕ (κ ) + p ) g (ϕ (κ ) + q )
f (ϕ (κ ) + q ) g (ϕ (κ ) + q ) − f (ϕ (κ ) + q ) g (ϕ (κ ) + p )
g (ϕ (κ ) + p ) ⋅ g (ϕ (κ ) + q )
+
f (ϕ (κ ) + q ) ⋅ g (ϕ (κ ) + q ) − g (ϕ (κ ) + p )
g (ϕ (κ ) + p) ⋅ g (ϕ (κ ) + q)
f γ
+
κ ⋅δ
2
+m+γ'
=
g (ϕ (κ ) + p ) ⋅ g (ϕ (κ ) + q )
f (ϕ (κ ) + p ) − f ( g (ϕ (κ ) + q)
=
g (ϕ (κ ) + p)
κ ⋅δ
2
f
g
κ ⋅δ 2
κ ⋅δ
κ ⋅δ 2
+p − f γ
+m+γ'
+q
2β
2
2β
g γ
κ ⋅δ
κ ⋅δ
2
+ m+γ'
κ ⋅δ 2
+p
2β
2
κ ⋅δ 2
κ ⋅δ
κ ⋅δ 2
+m+γ'
+p ⋅g γ
+ m+γ'
+q
2β
2
2β
1 κ ⋅δ
β κ ⋅δ 2 κ κ
⋅
+
⋅
= + = κ . In conclusione,
δ 2
δ ⋅ δ 2β
2 2
successione
+m+γ'
+
+
κ ⋅δ 2
κ ⋅δ
κ ⋅δ 2
κ ⋅δ
κ ⋅δ 2
+q ⋅ g γ
+ m+γ'
+ p −g γ
+m+γ'
+q
2β
2
2β
2
2β
g γ
≤
f γ
f (ϕ (κ ) + p) g (ϕ (κ ) + q ) − f (ϕ (κ ) + q ) g (ϕ (κ ) + q )
≤
≤
f
f
(ϕ (κ ) + p ) −
(ϕ (κ ) + q ) ≤ κ , vale a dire la
g
g
è di Cauchy.
Con simboli introdotti in precedenza si deve trovare η:
+→
tale che per ogni δ∈
+
e per ogni s∈ , si abbia
f
⋅ g (η (δ ) + s ) − f (η (δ ) + s ) ≤ δ . Dato che g ~/ j0, esistono β∈ + e m∈ , tali che per ogni q∈ , |g(m+q)|
g
- 64 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
> β, quindi g(m+p)
quindi g(η(ε)+p)
0. Basta porre per ogni x∈ +, η(x) = m. Infatti è sempre m ≤ η(ε)+p, qualunque sia ε∈ +;
0. Si ha
f
⋅ g (η (ε ) + p ) − f (η (ε ) + p ) =
g
f
f (m + p)
(m + p ) ⋅ g (m + p ) − f ( m + p ) =
⋅ g ( m + p ) − f (m + p) = =
g
g (m + p )
|f(m+p) - f(m+p)| = 0 ≤ ε.
Per la seconda affermazione preso ad arbitrio n∈
j
f
( n) = 0; 1 (n) = 0
g
g
e
f⋅
j1
g
j ( n)
f
f (n) j1
1
(n) =
;
(n) = 1
=
e
g
g ( n) g
g ( n ) g ( n)
si hanno due casi: g(n) = 0 ∨ g(n)
( n ) = f ( n) ⋅
f⋅
j1
g
j1
( n ) = f ( n) ⋅ 0 = 0 .
g
( n ) = f ( n) ⋅
Se
0. Nel primo si ha
g(n)
0,
allora
f ( n)
j1
j ( n)
1
( n ) = f ( n) ⋅ 1
= f (n) ⋅
=
.
g
g ( n)
g (n)
g (n)
f
g
La condizione g ~/ j0 è essenziale, perché dato che ha senso
qualunque sia g, si ha
f
⋅ j0 = j0 . Lo stesso avviene, a meno di equivalenza, se g∉ *. Anche imponendo che g
j0
~/ j0, moltiplicando il quoziente per il divisore non si ottiene il dividendo, ma una successione ad
esso equivalente. Infatti se esiste n∈
f
⋅ g (n) = 0 ⋅ g (n) = 0 , anche se f(n)
g
tale che g(n) = 0, anche se g ~/ j0, allora
0. Invece,
f⋅
j1
g
=
f
. Dunque se si vogliono
g
riottenere le proprietà algebriche consuete dei quozienti bisogna rinunciare all'eguaglianza e
sostituire ad essa l'equivalenza.
Restringendosi alle successioni di Cauchy si prova la sostitutività della relazione di equivalenza
rispetto alla divisione e quindi e definire in modo corretto, indipendente dai rappresentanti,
[f]
f
[j ]
j
=
, quando g ~/ j0. In particolare poi si può porre, se g ~/ j0, 1 = 1 .
[g]
g
[g]
g
I risultati fin qui provati permettono di definire la struttura algebrica non sulle successioni, in
quanto non compare l'eguaglianza ma la relazione di equivalenza, e neppure sulle successioni di
Cauchy, ma sulle classi di equivalenza di successioni di Cauchy. I risultati precedenti si
riassumono col concetto di campo:
TEOREMA (del campo ( ( )/~)). L'insieme ( ( )/~) con [j0], [j1] e le operazioni di addizione,
opposto, moltiplicazione e reciproco definite sulle classi di equivalenza è un campo. In esso
l'eguaglianza di classi è sostitutiva rispetto alle operazioni. Valgono inoltre le seguenti proprietà:
- 65 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
∀f∈
(0[f] = [j0]);
∀f∈
(1[f] = [f]);
∀f∈ ∀α,β∈
((α + β)[f] = (α[f]) + (β[f]))
(pseudodistributiva);
∀f∈ ∀α,β∈
((α·β)[f] = α(β[f]))
(pseudoassociativa);
∀f,g∈ ∀α∈
(α([f] + [g])) = (α[f]) + (α[g]))
(pseudodistributiva);
∀f∈ ∀α∈
(α[f] = [jα]·[f]).
Una volta provato questo risultato si possono utilizzare le proprietà delle operazioni di campo,
senza bisogno di dimostrarle in questo caso particolare. Le dimostrazioni sono lasciate al lettore
ma si tratta di sostituire nelle dimostrazioni delle proprietà analoghe per i numeri razionali i
nuovi simboli. Si noti poi che nella classe di equivalenza della successione jα è individuata
dall'unico α∈ .
Da un altro punto di vista, sulla base del Teorema di immersione delle costanti, la relazione di
equivalenza è quella associata, o meglio "generata" dall'ideale
( ) delle successioni
infinitesime, e pertanto gli elementi di ( ( )/~) non sono altro che i laterali di ( ) in ( ).
L'affermazione che ( ( )/~) è un campo permette di concludere che ( ) è un ideale massimale
dell'anello ( ). Questo può essere visto per via algebrica Sia infatti
che
) ⊂
divisione in
. Sia h∈(
, si ha
- ( )), quindi non infinitesima. Per il precedente Teorema della
j1
⋅h
h
∼ j1. Per definizione di ideale si ottiene
dall'equivalenza di tale successione con j1, si ha
=
e pertanto
non è un ideale proprio, cioè
massimale.
7. Ordine tra successioni e numeri reali.
- 66 -
j1
⋅h ∈
h
e
j1
⋅ h − j1 ∈ ( ) perciò si può scrivere j1
h
j1
⋅ h + g , con g successione infinitesima, quindi elemento di
h
un elemento di
un ideale di ( ) tale
Ne consegue che j1 è
= ( ). Di qui ( ) è un ideale
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
7.1. Relazione d’ordine tra successioni. Resta da introdurre la relazione di ordine. L'approccio
prescelto mediante le successioni permette una definizione tutto sommato semplice delle
operazioni, ma il problema di partenza non è relativo all'ordine e quindi l'ordine rimane
"estraneo". Ciò a giustificare la difficoltà intrinseca della nozione che ora si presenta e che di più
utilizza l'infinito.
DEFINIZIONE. Posto + = {f∈ | ∃α∈ + ∃n∈
∀p∈ (α < f(n+p))}, sia
definisce una relazione ≤, detta ordine naturale su
0+
= ( +∪ ). Si
ponendo, per ogni f,g∈ , f ≤ g sse (g -
f)∈ 0+. Si pone poi f < g sse (g - f)∈ +.
Si prova che la relazione di equivalenza è sostitutiva rispetto alla relazione d'ordine naturale e
questo permette di definire l'ordine sulle classi di equivalenza, cioè sui numeri reali. Tuttavia è
più semplice provare le proprietà dell'ordine sulle successioni.
Nella definizione di + è presente una condizione analoga a quella di limitazione inferiore ma
senza il valore assoluto. Si ha ( + ∩ ) = ∅. La condizione
∃n∈
∀p∈
(f(n+p) > α)
può esprimersi a parole dicendo che la successione è definitivamente maggiore di α. Verrebbe
voglia di indicare + come l'insieme delle successioni che sono definitivamente positive e
0+
come l'insieme delle successioni definitivamente non negative, però una tale scelta non è corretta
in quanto ad esempio la successione g definita per ogni n∈
da g(n) =
1
ha tutti i suoi
n +1
termini positivi ma non è elemento di +, dato che g ~ j0. D'altra parte la successione (–g) ha tutti
i termini negativi però è equivalente a j0, quindi (–g)∈ 0+. Se si vuole che l'insieme
0+
sia
chiuso per equivalenza bisogna accettare la definizione data.
Si noti però che se f∈ è tale che esiste s∈
tale che per ogni p∈
sia f(s+p) ≥ 0, allora f∈ 0+.
Si hanno infatti due casi: f ∼ j0, oppure f ~/ j0. Nel primo caso si ha immediatamente f∈ 0+. Nel
secondo caso esistono α∈ + e m∈
tali che per ogni p∈ , α < |f(m+p)|. Si ha in tale caso che
per ogni r∈ , α < |f(m+s+r)| = f(m+s+r), in quanto f(m+s+r)∈ + e ciò prova che f∈ +, per
cui, a maggior ragione, f∈ 0+.
L'ordine stretto in questo caso non è definito a partire dal minore, mediante la diversità, come
avviene solitamente in altri insiemi numerici; si ha immediatamente che f < g sse (g - f)∈ 0+ e (g
- 67 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
- f) ~/ j0, quindi compare una negazione e in essa il ruolo dell'equivalenza è esattamente quello
della eguaglianza. Pertanto le proprietà dell'ordine stretto si dimostrano esattamente come fatto
nei vari contesti numerici dato che ( + ∩ ) = ∅. In generale, l'enunciazione e la dimostrazione
di tali proprietà sono lasciate al lettore. Si provano poi proprietà dell'ordine del tutto simili a
quelle dell'ordine naturale.
TEOREMA (di
0+).
Si hanno le seguenti relazioni
∀α∈
((jα∈ 0+ ↔ α∈
∀f∈
((f∈ 0+ ∨ (–f)∈ 0+) ∧ (f∉ 0+ ↔ (–f)∈ +));
∀f∈
(f∈ + ∨ (–f)∈ + ∨ f ∼ j0);
∀f∈
((f∈ 0+ ∧ (–f)∈ 0+) ↔ f ∼ j0);
∀f,g∈
(f,g∈ 0+ → ((f + g)∈ 0+ ∧ (f·g)∈ 0+));
∀f,g∈
(f,g∈ + → ((f + g)∈ + ∧ (f·g)∈ +));
∀f∈ ∀n∈
((f∈ 0+ → (fn)∈ 0+) ∧ (f∈ + → (fn)∈
∀f∈
0+)
∧ (jα∈ + ↔ α∈ +)) (compatibilità con
);
));
j
f∈ +↔ 1 ∈ + ;
f
∀f∈
(|f|∈ 0+);
∀f,g∈
((f·g)∈ + ↔ ((f∈ + ∧ g∈ +) ∨ (f∉
∀f∈ ∀α∈
((αf)∈ + ↔ ((α∈ + ∧ f∈ +) ∨ (α∉
∀f,g∈
(((f2) + (g2)) ∼ j0 ↔ (f ∼ j0 ∧ g ∼ j0));
∀f∈
(f∉ 0+ ↔ f < j0);
∀f,g∈
((f∈ 0+ ∧ g∉ 0+) → g < f).
Traducendo le proprietà precedenti degli insiemi + e
0
0+
∧ g∉ 0+)));
0+
∧ f∉ 0+)));
con la relazione d'ordine si ha
TEOREMA (dell'ordine naturale su ). Si hanno le seguenti proprietà
∀α,β∈
(jα ≤ jβ ↔ α ≤
β)
∀f,f’,g,g’∈
((f ~ f’ ∧ g ~ g’)→ (f ≤ g ↔ f’ ≤ g’)) (sostitutiva di ~ rispetto all'ordine);
∀f,g∈
(f ~ g → f ≤ g)
(compatibilità con
(riflessiva);
- 68 -
);
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
∀f∈
( f ≤ f)
(riflessiva);
∀f,g∈
((f ≤ g ∧ g ≤ f) → f ~ g)
(antisimmetrica);
∀f,g,h∈
((f ≤ g ∧ g ≤ h) → f ≤ h)
(transitiva);
∀f,g∈
(f ≤ g ∨ g ≤ f)
(linearità);
∀f,g∈
(f ≤ g ↔ (f < g ∨ f ~ g));
∀f,g∈
((f ≤ g ↔ lim f ≤ lim g) ∧ (f < g ↔ lim f < lim g)). Si noti che le proprietà
riflessiva, antisimmetrica e transitiva che non richiedono che le successioni appartengano a .
Pertanto è possibile estendere questa parte a generiche successioni. La linearità però richiede in
modo essenziale l'ipotesi che le successioni siano di Cauchy.
In realtà non è corretto chiamare riflessiva o antisimmetrica una relazione in cui compare la
relazione di equivalenza invece che l'eguaglianza. Tuttavia da queste proprietà e dalla sostitutiva
della equivalenza rispetto alla relazione ≤ si ottengono le proprietà corrette riferite però a
Si ponga attenzione al fatto che date due successioni convergenti, f,g, se esiste m∈
.
tale che per
ogni p∈ , f(m+p) < g(m+p), si può concludere che per ogni p∈ , (g - f)(m+p) > 0. Da ciò si
trae che f ≤ g, e non già che f < g. Quindi il fatto che i termini della successione f siano
definitivamente strettamente maggiorati dai corrispondenti termini di g, non permette di
concludere che lim f < lim g, solo che lim f ≤ lim g.
7.2. Ordine sui numeri naturali.
DEFINIZIONE. Si definisce l'ordine naturale in
come segue: siano f,g∈
≤ g e [f] < [g] sse f < g. In tal modo si definiscono due relazioni su
{[f]∈
si pone [f] ≤ [g] sse f
. Si pone inoltre
| j(0) < [f]}, i cui elementi si dicono reali positivi o anche reali assoluti,
j(0) ≤ [f]}, i cui elementi si dicono reali positivi o nulli, e
- = {[f]∈
0+
+ =
= {[f]∈
|
| [f] < j(0)} i cui elementi
sono detti reali negativi.
Il nome di reali assoluti è dato in analogia ai razionali assoluti. Questi sono stati i primi ad essere
introdotti, come rapporto tra due grandezze omogenee. La necessità di un contesto numerico più
ampio di quello dei numeri razionali (assoluti) è dimostrato dal Teorema di Archita; essa è nata
in contesto geometrico per determinare mediante il Teorema di Pitagora la lunghezza della
diagonale del quadrato di lato unitario. Tale segmento esiste e deve avere quindi una lunghezza
- 69 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
che dovrebbe essere misurabile, invece risulta incommensurabile, cioè non si trova un numero
razionale assoluto che ne indichi la misura.
Resta aperto però un complesso problema se l'utilizzazione delle grandezze fornisce i reali
assoluti nel loro complesso. Questa è una possibilità che non è stata contemplata all'inizio, tra
quelle che servono per costruire i numeri reali. La risposta è assai articolata: se si considerano
solo le grandezze di cui si occupa la Geometria di Euclide, grandezze che sono costruibili con
riga e compasso, non si ritrovano i numeri reali assoluti, ad esempio resta esclusa la classe della
successione E. Questo risultato ha avuto una dimostrazione alla fine del XIX secolo. Talora su
testi preuniversitari si presentano, scorrettamente, i numeri reali come l'ambito numerico in cui è
possibile determinare le radici quadrate di numeri positivi. Questo avviene, ma ciò non basta a
caratterizzare i numeri reali.
I risultati precedenti, con qualche eccezione, si compendiano nel seguente
TEOREMA (dell'ordine naturale in
= {[f]∈
). Si ha
+ = {[f]∈
| f∈ +} ∧
0+ = {[f]∈
| f∈ 0+} ∧
| f∉ 0+}.
Valgono inoltre le seguenti proprietà:
∀α,β∈
(j(α) ≤ j(β) × α ≤ β);
∀x∈
((x∈ 0+ ∨ (–x)∈ 0+) ∧ (x∉ 0+ ↔ (–x)∈ 0+);
∀x∈
(x∈ + ∨ (–x)∈ + ∨ x = j(0));
∀x∈
((x∈ 0+ ∧ (–x)∈ 0+) ↔ x = j(0));
∀x,y∈
(x,y∈ 0+ → ((x + y)∈ 0+ ∧ (x·y)∈ 0+));
∀x,y∈
(x,y∈ + → (x + y)∈ + ∧ (x·y)∈ +);
∀x,y∈
((x·y∈ +) ↔ ((x∈ + ∧ y∈ +) ∨ (x∉ 0+ ∧ y∉ 0+))
(regola dei segni);
∀x∈ ∀α∈
(αx∈ + ↔ ((x∈ + ∧ α∈ +) ∨ (x∉ 0+ ∧ α∉ 0+)))
(regola dei segni);
∀x,y∈
(x2 + y2 = 0 ↔ (x = 0 ∧ y = 0) (legge della somma dei quadrati);
∀x∈
(x∉ 0+ ↔ x < j(0));
∀x∈ ∀n∈
((x∈ 0+ → xn∈ 0+) ∧ (x∈ + → xn∈ +));
∀x∈
(x∈ + ↔ (x–1)∈ +);
∀x,y∈
(x∈ 0+ ∧ y∉ 0+→ y < x);
∀x,x’,y,y’∈
(x = x’ ∧ y = y’ → (x ≤ y ↔ x’ ≤ y’))
- 70 -
-
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
(sostitutiva di = rispetto all'ordine);
∀x,y∈
(x = y → x ≤ y)
(riflessiva);
∀x∈
( x ≤ x)
(riflessiva);
∀x,y∈
(x ≤ y ∧ y ≤ x → x = y)
∀x,y,z∈
(x ≤ y ∧ y ≤ z → x ≤ z)
∀x,y∈
(x ≤ y ∨ y ≤ x)
∀x,y∈
(x ≤ y ↔ (x < y ∨ x = y))
(antisimmetrica);
(transitiva);
(linearità)
(caratterizzazione di <)
y2
∀x,y∈ ,∀z∈ * 2 xy ≤ x 2 z 2 + 2 ∧ x, y ∈
z
La relazione ≤ su
+
y2
y
∧ 2 xy = x 2 y 2 + 2 ↔ z 2 =
x
z
è una relazione di ordine lineare. Inoltre è compatibile con
.
, nella forma
indicata sopra. Le proprietà successive in gran parte si ottengono dalle proprietà sopra indicate
senza fare ricorso alla definizione di numero reale. Questo garantisce che se invece di utilizzare
questo approccio ai numeri reali se ne fosse scelto uno diverso, mantenendo la logica classica, in
risultato sarebbe lo stesso. In particolare per l'ordine stretto < valgono le osservazioni già
presentate.
Le dimostrazioni per provare proprietà dell'ordine sui reali con le stesse le dimostrazioni che si
possono utilizzare per i numeri razionali. Ad esempio si possono definire in modo del tutto
analogo le operazioni min e max, per le quali valgono i risultati consueti. Lo stesso per le
proprietà del valore assoluto.
7.3. Densità dell’ordine. La densità dell'ordine è presente anche nei numeri reali, però con una
importante proprietà aggiuntiva
TEOREMA (di densità). L'ordine naturale sui reali è denso:
∀x,y∈
(x < y → ∃z∈ (x < z ∧ z < y))
(densità);
∀x,y∈
(x < y → ∃α∈ (x < j(α) < y))
(densità di
in
).
DIMOSTRAZIONE. La prima parte non differisce da quanto si può fare per i numeri razionali. Siano x, y∈
tali che x
1
1
2y − x − y
1
< y. Si ha (y - x)∈ +. Posto z = ( x + y ) , si ha z < y, in quanto y - z = y - ( x + y ) =
= ( y − x) . Dato
2
2
2
2
1
1
1
che (y - x)∈ + e ∈ +, ( y − x) ∈ +, quindi (y - z)∈ +, pertanto z < y. Si ha poi z - x = ( x + y ) - x =
2
2
2
x + y − 2x 1
= ( y − x) . Dalle considerazioni precedenti si ha x < z. In conclusione x < z < y.
2
2
- 71 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
In questa dimostrazione si sono sfruttate le proprietà del campo dei numeri reali ed il fatto che esista una
moltiplicazione di un numero reale per un numero razionale, senza scendere nella costruzione dei numeri reali come
classi di equivalenza di successioni razionali di Cauchy.
Nella seconda parte serve invece la definizione di numero reale data mediante le successioni di Cauchy. Siano
x,y∈ , f,g∈ tali che x = [f] e y = [g], con x < y. Ciò significa f < g, vale a dire (g - f)∈ +. Esistono δ∈ + e m∈
+→
tali che per ogni p∈ , δ < g(m+p) - f(m+p). Dato che f,g∈ , esistono ϕ,γ:
δ
f m+ϕ
f m +ϕ
δ
δ
=
δ
δ
4
δ
2
+γ
δ
4
δ
2
δ
δ
δ
2
δ
4
δ
+γ
4
δ
4
pertanto
δ
4
δ
δ
4
+γ
δ
+q .
4
si
δ
4
(jα
ha
+γ
δ
4
δ
δ
δ
+γ
+ r − f m +ϕ
4
δ
4
f)∈ +,
δ
4
>
δ
2
−
δ
4
=
f
δ
δ
+γ
4
δ
4
δ
4
=
4
2
>
−
δ
4
4
δ
4
δ
+γ
δ
4
δ
5
+q =
4
≤ f m +ϕ
δ
≤ f m +ϕ
jα.
Per
4
ogni
+ r − f m +ϕ
4
+γ
δ
δ
<
perciò
+ r + f m+ϕ
+γ
<
5
+ r = g m +ϕ
4
−
Ma
-
δ
+ q − f m +ϕ
4
quindi
+ r − f m+ϕ
+γ
+γ
4
,
+ r − jα m + ϕ
4
δ
− f m +ϕ
+q
2
si ha jα m + ϕ
. Per ogni q∈
+q ≤
4
+ f m +ϕ
δ
+
4
+γ
4
g m +ϕ
>δ-
δ
+γ
4
− f m +ϕ
+
4
+γ
4
− f m+ϕ
g m +ϕ
δ
+γ
4
caratteri opportuni. Sia α =
δ
4
+γ
δ
4
δ
+
4
r∈
+
4
δ
+γ
+γ
4
+ r − f m +ϕ
δ
si
δ
−
4
+γ
δ
2
ha
δ
2
−
4
δ
δ
2
. Così (g - jα)∈ +, quindi jα < g. In
conclusione f < jα < g. Passando alle classi di equivalenza si ottiene x < j(α) < y.
7.4. Estremi superiori ed inferiori. Come conseguenza della densità dei razionali nei reali si
mostra che la costruzione dei numeri reali presentata risolve uno dei problemi insolubili in
,
cioè l'esistenza di estremo superiore per insiemi non vuoti superiormente limitati. Si presenta
però prima un caso particolare: quello delle semirette di Russell. Ricordo che a ⊆
∅ ∧ ∀x,y(x∈a ∧ y ≤ x → y∈a). L'insieme
semiretta se a
è una
è una semiretta, dato che non è
vuoto e ad esso appartengono tutti i numeri reali che sono minori od eguali di un numero reale.
Questo esempio è quello di una semiretta impropria. Nel seguito si considerano semirette
proprie, cioè insiemi a tali che ∅ ⊂ a ⊂
propria è offerto da
= {x∈
- = {x∈
∧ ∀x,y(x∈a ∧ y ≤ x → y∈a). Un esempio di semiretta
| x < 0}. Alcune semirette hanno massimo, come ad esempio
| x ≤ 0}, il cui massimo è 0, altre come
- non ha massimo dato che 0∉ -, ma 0 =
sup( -), quindi ha estremo superiore. Un esempio di "non" semiretta è offerto da
dall'insieme
⊂
0-
0+,
un altro
. Si vuole provare che ogni semiretta propria ha estremo superiore, mostrando
- 72 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
così che l'approccio dei numeri reali come completamento dello spazio metrico permette di
risolvere anche il problema dell'ordine dato dalla presenza di lacune in
.
7.4.1. Completezza.
TEOREMA (di completezza per semirette). Sia a ⊂
- a). Se x∈(
DIMOSTRAZIONE. Si consideri l'insieme (
una semiretta propria, allora esiste sup(a).
- a), per ogni y∈a si ha y < x, in quanto, altrimenti si
avrebbe, per la linearità, x ≤ y e per definizione di semiretta, sarebbe x∈a, in contrasto con la scelta di x in (
quindi ogni elemento di (
- a),
- a) è un maggiorante di a. Se a ha massimo, questo è il minimo maggiorante di a, cioè
ne è l'estremo superiore. Se a non ha massimo allora se x è un maggiorante di a, preso arbitrariamente y∈a, si ha y ≤
x. Se x∈a, a avrebbe massimo, contro l'ipotesi. Pertanto x∈(
l'insieme dei maggioranti di a. Si noti inoltre che se x∈(
- a) e z∈
dell'ordine naturale, anche z è un maggiorante di a, per cui z∈(
Sia ora x0∈(
- a). Se x0 è il minimo di (
Se x0 non è il minimo di (
- a), si ha j(α)∈a e j(β)∈(
di a e (
- a).
tali che y < j(α) < y’ < x < j(β) < x0. Per le proprietà
- a). Si definiscono due successioni f,g:
f(0) = α e g(0) = β . Sia poi γ = β - α e |f(0) - g(0)| = g(0) - f(0) = β - α = γ =
α +β
2
=
- a) è l'insieme dei maggioranti di a.
- a) tale che x < x0. Per ogni y∈a, dato che a non ha massimo, esiste
esistono α,β∈
in
- a) è
è tale che x ≤ z, allora per la transitiva
- a), si ha x0 = sup(a), dato che (
- a), esiste x∈(
y’∈a tale che y < y’. Per la densità di
- a) e da ciò si conclude che l'insieme (
→
γ
2
0
tali che f,g∈ , f ~ g. Si pone
. Si consideri
α+β
2
∈ . Si ha α <
f (0) + g (0)
α+β
α+β
< β . Sono possibili due casi: j
∈a ∨ j
∉ a . Nel primo si pone f(1) =
2
2
2
f (0) + g (0)
f (0) + g (0)
e g(1) = g(0); nel secondo f(1) = f(0) e g(1) =
. Con questa scelta che dipende da a, si ha
2
2
sempre α ≤ f(1) ∧ j(f(1))∈a ∧ j(g(1))∉a ∧ g(1) ≤ β. Si ha poi |f(1) - f(0)| = f(1) - f(0) ≤
analogamente |g(1) - g(0)| = g(0) - g(1) ≤
γ
1
2
; inoltre |f(1) - g(1)| = g(1) - f(1) =
γ
21
primo caso si pone f(n+1) =
2
-α=
β −α
2
γ
= 1 ed
2
. Supposto di avere definito f(n)
e g(n) tali che α ≤ f(n) ∧ j(f(n))∈a ∧ j(g(n))∉a ∧ g(n) ≤ β e |f(n) - g(n)| = g(n) - f(n) =
g(n+1) come segue: si consideri
α +β
γ
2n
, si definiscono f(n+1) e
f (n) + g (n)
f (n) + g (n)
f (n) + g (n)
, si hanno due casi: j
∈a∨ j
∉ a . Nel
2
2
2
f (n) + g (n)
f (n) + g (n)
e g(n+1) = g(n); nel secondo caso f(n+1) = f(n) e g(n+1) =
.
2
2
Come detto prima comunque vengano scelti f(n+1) e g(n+1), si ha α ≤ f(n+1) ∧ j(f(n+1))∈a ∧ j(g(n+1))∉a ∧
g(n+1) ≤ β e |f(n+1) - g(n+1)| = g(n+1) - f(n+1) =
f(n) =
γ
2
n +1
; di più si ha |f(n+1) - f(n)| = f(n+1) - f(n) ≤
f (n) + g (n)
2
g ( n) − f ( n) 1 γ
γ
γ
= ⋅ n = n +1 ed analogamente |g(n+1) - g(n)| = g(n) - g(n+1) ≤ n +1 . Dalla costruzione di
2
2 2
2
2
- 73 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
f e g si conclude, con una dimostrazione non complessa, che f∈ e f ~ g, per cui anche g∈ . Data l'equivalenza tra
tali successioni si ha [f] = [g].
Per ogni δ∈ , se j(δ)∈a, si ha j(δ) ≤ [f]. Infatti se, per assurdo, [f] < j(δ), allora è anche [g] < j(δ), da cui g < jδ. Ciò
significa (jδ - g)∈
per cui esistono ρ∈ + e m∈
tale che per ogni p∈ , 0 < ρ < jδ(m+p) - g(m+p) = δ -
g(m+p). Da questa disuguaglianza si ottiene g(m+p) < δ. Ma si ha j(g(m+p)) < jδ e [jδ]∈a, quindi j(g(m+p))∈a, in
quanto a è una semiretta, mentre per definizione si ha j(g(m+p))∉a. Da questo assurdo si conclude j(δ) ≤ [f]. In
modo analogo si prova che se δ∈
e j(δ)∉a allora [g] ≤ j(δ).
In base a queste affermazioni si ha che per ogni y∈a, è y ≤ [f]. Infatti l'insieme a non ha massimo, esiste quindi y”∈a
tale che y < y”. Per la densità di
esiste δ∈
in
tale che y < j(δ) < y”. Essendo a una semiretta, si ha j(δ)∈a. Ma
è y < j(δ) ≤ [f], per cui y ≤ [f]. Così [f] è un maggiorante di a, cioè [f]∈(
a), allora [g] ≤ x. Infatti da x
min(
- a) esiste x’∈(
- a). Per ogni x∈(
- a) tale che x’ < x. Per la densità di
- a), se x
in
min(
esiste δ∈
che x’ < j(δ) < x, quindi con j(δ)∉a. Per le considerazioni precedenti si ha [g] ≤ j(δ) < x. Ma [f] = [g]∈(
provando in tal modo che [f] è il minimo di (
-
tale
- a),
- a). E' così garantita l'esistenza dell'estremo superiore di a.
Dall'esistenza dell'estremo superiore per le semirette proprie si prova l'esistenza dell'estremo
superiore per un generico insieme non vuoto superiormente limitato:
TEOREMA (di completamento ad una semiretta). Comunque preso un insieme b
∅
superiormente limitato, esiste una semiretta propria a che contiene b ed è contenuta in ogni
semiretta che contiene b. Inoltre sup(a) = sup(b).
DIMOSTRAZIONE. Sia a = {x∈
| ∃y∈b(x ≤ y)}. Si prova che a è una semiretta che contiene b. Per la proprietà
riflessiva dell'ordine naturale si ha che se z∈b, allora z ≤ z, quindi esiste y∈b tale che z ≤ y, cioè z∈a. Per la
genericità di z∈b si ha b ⊆ a, provando così contemporaneamente che a
∅. Se z∈
è tale che z ≤ x, per un
opportuno x∈a, esiste y∈b tale che x ≤ y. Ma per la proprietà transitiva dell'ordine naturale si ha z ≤ y, quindi z∈a.
Ciò conclude la prova che a è una semiretta. Si tratta di una semiretta propria: siccome b è un insieme superiormente
limitato esiste u∈
che è un maggiorante di b. Se u∈b, si ha u∈a. Ma u è il massimo di b, quindi per ogni x∈a esiste
y∈b tale che x ≤ y ≤ u, pertanto u è il massimo di a. In questo caso sup(a) = max(a) = max(b) = sup(b) ed inoltre
essendo
privo di massimo esiste w∈
tale che u < w. Si ha w∉a, dato che u è il massimo di a, quindi a è una
semiretta propria. Se u∉b, allora u∉a, altrimenti da u∈a, esiste y∈b tale che u ≤ y ≤ u, così per antisimmetria
dell'ordine, u = y∈b, in contrasto con u∉b. Ciò permette di concludere che a è una semiretta propria. Esiste u0 =
sup(a). Essendo b ⊆ a, per ogni y∈b, si ha y∈a, quindi y ≤ u0, pertanto u0 è un maggiorante di b. Se z è un
maggiorante di b si hanno due casi z∈a ∨ z∉a. Il primo porta all'esistenza di y∈b tale che z ≤ y, ma y ≤ z, per cui,
grazie all'antisimmetria dell'ordine naturale, z = y, cioè z∈b, da cui z = sup(b) = max(b) = max(a) = sup(a) = u0. Se
z∉a, e z non è un maggiorante di a, allora esiste y∈a tale che z < y. Ma a è una semiretta, pertanto z∈a, assurdo. Ciò
comporta che z è un maggiorante di a, pertanto u0 ≤ z, provando in tal modo che u0 è il minimo maggiorante di b. Si
conclude quindi in ogni caso che u0 = sup(b).
- 74 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Se a’ è una semiretta che contiene b allora per ogni x∈a si ha che esiste y∈b tale che x ≤ y, ma y∈a’ per l'ipotesi b ⊆
a’, ed essendo a’ una semiretta si ha x∈a’, provando così, per la genericità di x∈a, che a ⊆ a’.
Grazie al teorema precedente si può formulare il seguente risultato che mostra come
sia la
costruzione in cui si risolvono i problemi dell'ordine.
TEOREMA (di completezza rispetto all'ordine). L'insieme
con l'ordine naturale è un insieme
ordinato completo, vale a dire in esso ogni sottoinsieme non vuoto superiormente limitato ha
estremo superiore ed ogni sottoinsieme non vuoto inferiormente limitato ha estremo inferiore.
7.4.2. Proprietà degli estremi e difficoltà didattiche. Credo che una delle difficoltà legate ai
risultati di completezza di
rispetto all'ordine stia nella non familiarità con i concetti di estremo
superiore ed inferiore. La natura della difficoltà è molteplice. Da un lato c'è il concetto di
massimo e minimo che ostacola la comprensione di quello di estremo superiore ed inferiore. Ci
si può rendere conto di ciò con un poco di esperienza didattica.
Un'altra ragione di difficoltà è più profonda e più filosofica. Come mostra l'analisi condotta da
Hermann Weyl (1885 - 1955), del concetto di estremo superiore di un insieme viene fornita una
definizione impredicativa (nel senso di Poincaré e Russell) vale a dire per dare tale numero
bisogna prima considerare un insieme di cui lui stesso è elemento e che è definito in sostanza
usando proprio quell'elemento. Secondo Poincaré e Russell l'uso di enti definiti in modo
impredicativo è all'origine di paradossi, quindi tali tipi di definizioni sono da evitare. Un esempio
di questa posizione si ha appunto nel testo di Weyl sul continuo, in cui l'autore tedesco
ricostruisce buona parte dell'Analisi evitando definizioni "illecite". Il risultato non è lo stesso che
si incontra sui testi anche scolastici. I problemi posti dalle definizioni impredicative trovano il
loro fondamento in una domanda difficile sulla natura degli enti matematici: la Matematica si
scopre o si inventa. Se si inventa, non è possibile usare oggetti per costruire i quali c'è bisogno
degli oggetti stessi. Se si scopre, in quanto è già data al di fuori di noi, il fatto di usare una
definizione poco "bella" non altera la natura dell'ente, ed è solo la limitazione umana che non ne
permette una migliore identificazione.
TEOREMA (delle proprietà degli estremi). Sia a ⊆
insieme limitato. Se b ⊆ a, allora b è limitato
e inf(a) ≤ inf(b) ≤ sup(b) ≤ sup(a).
- Se b,c ⊆
sono insiemi limitati, gli insiemi (b∩c) e (b∪c) sono limitati, inf(b) ≤ inf(b∩c)
≤ sup(b∩c) ≤ sup(b) e inf(b∪c) = min(inf(b),inf(c)) e sup(b∪c) = max(sup(b),sup(c))
- 75 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
- L'insieme b’ = {–x∈
| x∈b} è limitato e si ha –sup(b) = inf(b’) e –inf(b) = sup(b’).
- L'insieme a’ = {x+y | x∈b ∧ y∈c} è limitato e si ha inf(b) + inf(c) = inf(a’) ≤ sup(a’) = sup(b) +
sup(c).
DIMOSTRAZIONE. - Se a è limitato, nel senso che ha maggioranti e minoranti, allora anche ogni suo sottoinsieme è
limitato dato che ogni maggiorante di a è pure un maggiorante di b e che ogni minorante di a è pure un minorante di
b. La prima disuguaglianza ricorre molto spesso in varie considerazioni. La disuguaglianza centrale è ovvia: per ogni
x∈b si ha inf(b) ≤ x ≤ sup(b), dato che inf(b) è un minorante di b e sup(b) è un maggiorante di b. Se fosse inf(b) <
inf(a), allora esisterebbe y∈b tale che inf(b) ≤ y < inf(a). Ciò è assurdo dato che b ⊆ a, quindi esisterebbe y∈a tale
che y < inf(a). Da questo assurdo si conclude che inf(a) ≤ inf(b) ≤ sup(b). In modo analogo si prova poi che sup(b) ≤
sup(a).
- Se b,c ⊆
sono limitati, allora (b∩c) ⊆ b è pure limitato, come mostrano le considerazioni precedenti e la catena
di disuguaglianze discende da quella provata prima. Si ha poi che se β’,β ”,γ’,γ”∈
tali che per ogni x∈b, per ogni
y∈c, sia β ’ ≤ x ≤ β” e γ’ ≤ y ≤ γ”, allora posto δ’ = min(β ’,γ’) e δ” = max(β”,γ”) si ha per ogni z∈(b∪c), δ’ ≤ z ≤
δ”. Infatti se z∈b si ha δ’ ≤ β’ ≤ z ≤ β” ≤ δ”, mentre se z∈c, si ha δ’ ≤ γ’ ≤ z ≤ γ” ≤ δ”. Quindi in ogni caso (b∪c) ha
maggioranti e minoranti. Essendo b ⊆ (b∪c), e c ⊆ (b∪c), per la prima catena di disuguaglianze provate si ha
inf(b∪c) ≤ inf(b) ≤ sup(b) ≤ sup(b∪c) e inf(b∪c) ≤ inf(c) ≤ sup(c) ≤ sup(b∪c). Pertanto inf(b∪c) ≤
min(inf(b),inf(c)). Se fosse inf(b∪c) < min(inf(b),inf(c)), allora esiste z∈(b∪c) tale che inf(b∪c) ≤ z <
min(inf(b),inf(c)). Ma z∈b ∨ z∈c. Nel primo caso si avrebbe z < min(inf(b),inf(c)) ≤ inf(b) che è assurdo. Nel
secondo caso si ottiene, allo stesso modo, ancora un assurdo. pertanto inf(b≈c) = min(inf(b),inf(c)). La dimostrazione
per il sup è analoga.
- Le altre proprietà riguardano il comportamento degli estremi rispetto ad alcune operazioni. Se l'insieme b è
limitato, vale a dire superiormente ed inferiormente limitato, allora l'insieme b’ = {(–x)∈
elementi di b è ancora limitato. Infatti dato che b è superiormente limitato esiste α∈
Inoltre b è pure inferiormente limitato e pertanto esiste β∈
| x∈b} degli opposti degli
tale che per ogni x∈b, x ≤ α.
tale che per ogni y∈b, β ≤ y. E' sempre β ≤ x ≤ α, per
ogni x∈b. Da questa disuguaglianza si ha –α ≤ –x ≤ –β . Per la genericità di x∈b, e quindi di (–x)∈b’, si ha che b’ è
superiormente ed inferiormente limitato. Ha senso quindi considerarne gli estremi. Le considerazioni precedenti
mostrano che l'opposto di un maggiorante di b è un minorante di b’ e lo stesso scambiando i due tipi di estremi. In
particolare –sup(b) è un minorante di b’. Si ha pertanto –sup(b) ≤ inf(b’). Se fosse –sup(b) < inf(b’), di qui si
avrebbe –inf(b’) < sup(b). Esisterebbe pertanto x∈b tale che –inf(b’) < x ≤ sup(b). Dalla disuguaglianza –inf(b’) < x
passando agli opposti si ottiene –x < inf(b’) e ciò è assurdo, dato che (–x)∈b’. Pertanto è –sup(b) = inf(b’). In modo
analogo si prova l'altra eguaglianza. Si noti che attraverso l'opposto si scambiano gli estremi.
Per provare l'ultima affermazione si considera a’ = {x+y | x∈b ∧ y∈c}; siano β’,β”,γ’,γ”∈
tali che per ogni x∈b,
per ogni y∈c, sia β ’ ≤ x ≤ β” e γ’ ≤ y ≤ γ”. Per la monotonia dell'addizione si ha β’ + γ’ ≤ x + y ≤ β” + γ”. Per la
genericità di x∈b e di y∈c, ciò prova che l'insieme a’ è limitato. In particolare se β’ = inf(b), γ’ = inf(c) e β’”=
sup(b), γ” = sup(c), si ha inf(b) + inf(c) ≤ x + y ≤ sup(b) + sup(c). Di qui si ottiene subito inf(b) + inf(c) ≤ inf(a’) ≤
sup(a’) ≤ sup(b) + sup(c). Però se, ad esempio, sup(a’) < sup(b) + sup(c), allora sup(a’) - sup(c) < sup(b). Di qui
esiste x∈b tale che sup(a’) - sup(c) < x. Si ha quindi, sup(a’) - x < sup(c). Esiste allora y∈c tale che sup(a’) - x < y ≤
- 76 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
sup(c), da cui sup(a’) - x < y, quindi sup(a’) < x + y, mentre (x + y)∈a’, quindi x+y ≤ sup(a’). Da questo assurdo si
conclude sup(a’) = sup(b) + sup(c). In maniera del tutto simile si prova che inf(a’) = inf(b) + inf(c).
7.4.3. I numeri reali secondo Grandi e Arzelà. Le considerazioni precedenti possono essere
semplificate utilizzando successioni monotone crescenti o decrescenti, intendendo con questo
che la proprietà di monotonia sia "definitivamente" tale, ad esempio che esista m∈
tale che per
ogni p∈ , f(m+p) ≤ f(m+p+1). Le successioni monotone permettono una presentazione dei
numeri reali dovuta a Grandi e ad Arzelà che mescola l'approccio mediante le coppie di classi
contigue e le successioni ed identifica un numero reale con (la classe di equivalenza di) una
coppia ordinata di successioni f,g , tali che f sia monotona crescente, g sia monotona
decrescente, equivalenti secondo la nozione data sopra e tali che per ogni n∈ , f(n) ≤ g(n). Dalle
ipotesi poste e dal seguente teorema si ha che tale approccio è equivalente agli altri considerati.
Le difficoltà maggiori che presenta sono analoghe a quelle che si incontrano con le coppie di
classi contigue, vale a dire fornire una relazione di equivalenza tra coppie di successioni e
introdurre le operazioni, in particolare la moltiplicazione. Resta poi di complessa definizione
l'ordine naturale.
TEOREMA (delle successioni monotone). Sia f∈ ( ); se f è una successione monotona, allora f è
di Cauchy.
DIMOSTRAZIONE. Senza perdita di generalità si può supporre che la successione f sia crescente. Sia n∈
per ogni p,q∈ , si abbia f(n+p) ≤ f(n+p+q). Sia poi a = {f(n+p) | p∈ }. Banalmente a ⊆ rng(f) ⊆
tale che
e l'ipotesi di
limitazione permette di affermare che a è non vuoto e superiormente limitato in quanto esiste α∈ + tale che per
ogni q∈
si ha f(n+q) ≤ |f(n+q)| ≤ α. Se esiste β∈
tale che β = sup(a), allora per ogni ε∈ +, si ha β - ε < β .
Esiste allora γ∈a tale che β - ε ≤ γ ≤ β. Ma dire che si tratta di un elemento di a significa affermare che esiste s∈
tale che f(n+s) = γ. Si ha dunque β - ε ≤ f(n+s) ≤ β . Per ogni q∈
si ha pure β - ε ≤ f(n+s) ≤ f(n+s+q) ≤ β. Pertanto
si ha |f(n+s+q) - β| = β - f(n+s+q) ≤ β - (β - ε) = ε. La corrispondenza mf,β = { ε,r | ε∈ + ∧ r∈
- β| ≤ ε} è ovunque definita su
convergente in
+,
∧ ∀q∈ (|f(r+q)
perché basta porre r = n + s, per l'opportuno valore di s. Ciò significa che f è
e lim f = β, di conseguenza, f∈ ( ). Questi passaggi sono ripetibili anche se invece di
si
considerano successioni limitate a valori in un altro insieme.
Se l'insieme a non ha estremo superiore in
, allora si procede in modo analogo al precedente, ma lavorando
sull'insieme dei numeri reali visti come classi di equivalenza di successioni di Cauchy. Si consideri l'insieme a* =
{h∈ | ∃γ∈a(h ≤ jγ)} ⊆ ( ). L'insieme a* è non vuoto in quanto per ogni p∈
si ha jf(n+p)∈ e jf(n+p) ≤ jf(n+p),
perciò jf(n+p)∈a*. Inoltre a* è superiormente limitato: infatti per ogni h∈a*, si ha che esiste q∈
tale che h ≤ jf(n+q).
Ma f(n+q) ≤ α, come provato prima, quindi jf(n+q) ≤ jα e per proprietà transitiva si ha h ≤ jα. Sia ora a** = {[h] |
- 77 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
h∈a*} ⊆
. Anche tale insieme di numeri reali è non vuoto, dato che a* è non vuoto, e superiormente limitato da
j(α). Esiste allora l'estremo superiore [g] = sup(a**). Per ogni p∈ , si ha j(f(n+p)) ≤ [g], in quanto jf(n+p)∈a*,
quindi j(f(n+p))∈a**. Per ogni q∈ , si ha f(n+p) ≤ f(n+p+q). Si ha j(f(n+p)) ≤ j(f(n+p+q)) ≤ [g]. Per ogni ε∈ +,
si ha jε∈ +. Di conseguenza si ha (g - jε) < g, poiché (g - (g - jε)) = jε∈ + Si prova così che la corrispondenza cf =
{ ε,p | ε∈ + ∧ p∈
∧ ∀r,s∈
(|f(p+r) - f(p+s)| ≤ ε)} è ovunque definita su
h∈a* tale che [g - jε] < [h] < [g]. Perciò esiste m∈
Infatti per ogni ε∈ +, esiste
+.
tale che h ≤ jf(n+m). Sia p = n+m, per ogni r,s∈
e, senza
perdita di generalità, con r ≤ s; si ha f(n+m) = f(p) ≤ f(p+r) ≤ f(p+s), per cui, si ha [g - jε] < [h] ≤ j(f(p+r)) ≤
j(f(p+s)) ≤ [g], quindi j(f(p+s)) - j(f(p+r)) = j(f(p+s) - f(p+r)) ≤ [g] - [g - jε] = [jε] = j(ε). Passando dalle classi di
successioni costanti ai numeri razionali, si ottiene |f(p+r) - f(p+s)| = f(p+s) - f(p+r) ≤ ε.
Nella dimostrazione si prova di più di quanto affermato nell'enunciato: se f è una successione
è tale che per ogni r,s∈
si ha f(n+r) ≤ f(n+r+s), allora lim f =
sup({f(n+r) | r∈ }). Di conseguenza per ogni r∈
si ha pure f(n+r) ≤ lim f. Non si può
crescente e limitata e p∈
affermare che lim f = sup(rng(f)) perché una successione crescente è solo definitivamente tale,
quindi i valori di f(m) per m ≤ n possono essere arbitrari, anche maggiori del valore del limite.
Quanto visto per le successioni crescenti e l'estremo superiore si ripete in modo analogo per le
successioni decrescenti e l'estremo inferiore. Il teorema provato permette di affermare ora che la
R (0 ) = 1
successione R definita per ricursione
R (n + 1) =
2 R(n) + 2 è di Cauchy e non ha limite (in
R ( n) + 2
Per l'esempio in della successione E, data per ogni n∈
da E(n) = 1 +
1
n
).
n
si prova che si tratta
di una successione di Cauchy mostrando che è crescente e limitata.
La dimostrazione del teorema precedente mette in luce l'aspetto peculiare degli estremi superiori
ed inferiori in connessione con i limiti. Se rng(f), o meglio un suo appropriato sottoinsieme ha
estremo superiore e f è crescente, tale estremo superiore è limite. Questa proprietà non è valida
solo per successioni razionali, ma vale più in generale. Così si possono caratterizzare sia i limiti
con gli estremi, sia gli estremi con i limiti.
7.4.4. Radici quadrate. Grazie alla completezza è possibile rispondere in forma affermativa al
problema di Ippaso da Metaponto o se si preferisce, di Archita da Taranto: esiste un numero reale
il cui quadrato, cioè moltiplicato per se stesso, fornisce 2. Più in generale si ha:
- 78 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
TEOREMA (delle radici quadrate). Sia x∈ 0+, allora esiste un unico y∈ 0+ tale che x = y2 =
(-y)2.
DIMOSTRAZIONE. Se x = j(0) si ha y = j(0), per la legge del prodotto nullo, valida in ogni campo. Si suppone
x∈ +. Si considera l'insieme a = {z∈ + | x ≤ z2}; j(0)∉a, dato che j(0)∉ +. L'insieme a è inferiormente limitato,
dato che per ogni z∈a, j(0) < z ≤ z2. Inoltre x ≤ (j(1) + x)2 in quanto (j(1) + x)2 = (j(1) + x)·(j(1) + x) = (j(1) + x)·j(1)
+ (j(1) + x)·x ≥ (j(1) + x)·j(1) = j(1) + x ≥ x. Ciò prova che (j(1) + x)∈a, quindi a
∅. Per la completezza l'insieme
a ha estremo inferiore e sia u = inf(a). Per la linearità dell'ordine si hanno tre casi u2 < x ∨ x = u2 ∨ x < u2.
Ovviamente è j(0) ≤ u in quanto entrambi minoranti di a. Il secondo caso è ciò che si vuole provare. Nel terzo caso,
x < u2, si ha che j(0) < u. Si consideri il numero reale
x + u2
, esso è ottenuto come somma, prodotti e divisione di
2u
numeri reali non nulli, quindi è un numero reale positivo. Si ha u −
u2 − x
x + u2
> 0 , per cui
< u . Inoltre si ha
2u
2u
è
u2 − x
2u
2
> 0, per la regola dei segni, da cui x <
x + u2
2u
u2 + x
2u
x + u 2 2u 2 − x − u 2 u 2 − x
=
=
. Essendo x < u2,
2u
2u
2u
2
−x=
2
, pertanto
u 4 + 2u 2 x + x 2 − 4u 2 x
4u 2
=
u 4 − 2u 2 x + x 2
4u 2
=
x + u2
x + u2
∈a, ma contemporaneamente
2u
2u
< u, contraddicendo il fatto che u = inf(a). Questi passaggi sono ispirati al metodo delle tangenti, o metodo di
Newton, .
Nel primo caso u2 < x si procede ispirandosi al metodo delle secanti o metodo di Cotes. Si considera il numero reale
u + ux + x
u + ux + x
u + ux + x − u − u 2 − ux
x − u2
−u =
=
. Si ha
∈ +, in quanto il numeratore è
1+ u + x
1+ u + x
1+ u + x
1+ u + x
u + ux + x
positivo ed il denominatore è positivo (e u e x sono numeri razionali positivi). Pertanto u <
. D'altra parte
1+ u + x
positivo
si
x
ha
=
(
-
) (
u + ux + x
1+ u + x
x 1 + x + x2 − u 2 1 + x + x2
(1 + u + x) 2
u + ux + x
1+ u + x
2
2
=
x(1 + u 2 + x 2 + 2u + 2 x + 2ux) − (u 2 + u 2 x 2 + x 2 + 2u 2 x + 2ux + 2ux 2 )
) = ( x − u )(1 + x + x ) ∈
2
2
(1 + u + x) 2
(1 + u + x) 2
+.
Perciò
u + ux + x
1+ u + x
2
=
< x . Ma per ogni z∈a si ha
u + ux + x
< x ≤ z 2 . Per la monotonia della moltiplicazione, il numero reale
è un minorante di a,
1+ u + x
maggiore di u, che essendo l'estremo inferiore di a è il massimo minorante di a. Quindi anche in questo caso si ha un
assurdo. Si conclude che l'unico caso valido è il secondo: u2 = x.
Fin qui si è provata l'esistenza di un numero reale positivo y tale che y2 = x. Ma essendo, per la regola dei segni (–y)2
= y2 = x, si potrebbe pensare che anche –y soddisfa le condizioni. Ciò non avviene perché essendo y positivo, si ha
(-y)∉ +. Ma se z∈ + è tale che z2 = x = y2 e, per assurdo, y
z, allora per la linearità si ha y < z ∨ z < y. Si tratta un
solo caso, essendo l'altro analogo. Per la monotonia della moltiplicazione se y < z, si ha x = y·y < y·z < z·z = x, quindi
l'assurdo x < x, in quanto la relazione < è irriflessiva.
- 79 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Grazie alla presenza delle radici quadrate, definite come numeri reali non negativi, è possibile
giungere alla risoluzione delle equazioni di secondo grado nel caso di discriminante non
negativo, con i procedimenti algebrici ben noti.
Può avere un certo interesse calcolare le radici quadrate con i metodi indicati sopra confrontando
l'efficacia degli algoritmi, e soprattutto con l'algoritmo che viene insegnato nella scuola media
che ha i seguenti difetti: è lento, mnemonico e non generalizzabile. Le formule qui attribuite a
Newton e a Cotes, anch'esse da apprendere a memoria, permettono di calcolare la radice
quadrata, in modo molto più efficiente dell'algoritmo che viene insegnato normalmente nella
scuola media e sono generalizzabili al calcolo di altre radici. Formule di approssimazione delle
radici si trovano già in documenti mesopotamici, in un periodo che spazia dal 2000 al 600 a.C.
Per il calcolo della radice quadrata le formule di Newton coincidono con quelle attribuite a Erone
di Alessandria, (I o II sec. d.C.). Se si deve determinare il valore della radice quadrata di x∈ +,
u 2+x
si considera un valore u1 = j(1) + x o un arbitrario u1 tale che x < u12. Si pone poi u2 = 1
e
2u1
si itera il procedimento ponendo un+1 =
un 2 + x
. Col metodo delle secanti, sia v1 un arbitrario
2un
numero reale tale che v12 ≤ x, e sia u un arbitrario numero reale tale che x < u2, si pone v2 =
v1(u 2 − x) − u (v12 − x)
u
2
− v12
e, più in generale vn+1 =
(
) (
vn u 2 − x − u vn 2 − x
2
u − vn
2
) . Ad esempio si può
v +v ⋅x+ x
prendere u = x + j(1), e in tal caso l'espressione si semplifica in quanto si ha v2 = 1 1
e
j (1) + v1 + x
v +v ⋅x+ x
in generale vn+1 = n n
, ma la "velocità" di convergenza al valore cercato è maggiore
j (1) + vn + x
se i valori v1 e u1 sono abbastanza prossimi tra loro ed al valore della radice cercata sia col
metodo delle tangenti che il metodo delle secanti. Si noti inoltre che queste formule applicate a
numeri razionali forniscono numeri razionali.
7.4.5. Radici ennesime. Per le più generali radici n-esime, si prova che per ogni x∈ 0+ per ogni
n∈ , con 2 < n esiste un unico y∈ 0+ tale che x = yn, procedendo con qualche piccola
variazione come prima. A parte il caso banale x = j(0), si considera a = {z∈ + | x ≤ zn}. Tale
insieme è limitato inferiormente da j(0) e non è vuoto: per induzione si prova che per ogni
n∈ *, si ha x ≤ (j(1) + x)n. La base induttiva è l'affermazione x ≤ j(1) + x, verificata per la
crescenza dell'addizione, essendo j(0) < j(1). Assunta l'ipotesi induttiva per la definizione di
- 80 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
potenza x ≤ (j(1) + x)n si ha (j(1) + x)n+1 = (j(1) + x)n·(j(1) + x) = (j(1) + x)n·j(1) + (j(1) + x)n·x
(j(1) + x)n·j(1) = (j(1) + x)n
x, sfruttando la monotonia e crescenza dell'addizione e per la
∅. Per la completezza a ha estremo
regola dei segni. Ciò prova che (j(1) + x)∈a, quindi a
inferiore, sia u = inf(a) e tale valore è la radice cercata. La dimostrazione però si complica
all'aumentare di n. Grazie a questo risultato si definiscono le radici n-esime. Per determinare il
valore numerico approssimato del radicale n-esimo di x si procede col metodo delle tangenti
considerando il numero reale u1 =
x + (n − 1)u n
nu n −1
, e poi si calcola u2 =
x + (n − 1)u1n
nu1n −1
, e così via.
Questi valori forniscono approssimazioni per eccesso del valore. La "velocità" di convergenza
dipende anche dal primo valore prescelto. Si può comunque sempre scegliere u = x + j(1). Le
approssimazioni per difetto dello stesso radicale sono ottenute dal metodo delle secanti,
prendendo arbitrari valori z, u tali che zn < x < un e poi date dalla formula z1 =
(
) (
z un − x − u zn − x
un − zn
);
z2
=
(
) (
z1 u n − x − u z1n − x
u n − z1n
),
ecc.
Sarebbe
possibile
ottenere
un'approssimazione utilizzando anche il metodo di bisezione, partendo da due valori z0 e u0 tali
che
z0n
<x≤
zk + u k
2
z +u
z +u
e poi scegliendo con z1 = z0 e u1 = 0 0 se x ≤ 0 0
2
2
z0 + u0
2
u1 = u0, se
≤
u0n
n
n
n
z +u
e z1 = 0 0 e
2
< x e procedendo iterativamente: zk+1 = zk e uk+1 =
z + uk
e zk+1 = k
e uk+1 = uk, se
2
zk + u k
2
n
zk + uk
se x
2
< x. Si può provare che comunque si
scelgano i valori iniziali il metodo di bisezione converge. In generale la "velocità"
dell'approssimazione di tale metodo è inferiore ai risultati ottenuti coi metodi delle tangenti o
delle secanti.
Per meglio valutare le espressioni indicate si confrontano i singoli passi di calcolo delle radici
quadrate, col metodo appreso a scuola Media, con il metodo di Erone di Alessandria, e quello di
Cotes, esemplificando il calcolo di 17 = 4,123105626. Si ha
- 81 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
17,00.00.00.00
4,1231
u1 = 18
v1 = 4 , u = 5
16
4·4 = 16
u2 = 9,47 2
v2 = 4 , 1
100
4·2 = 8
u3 = 5,633472
v3 = 4,1219512
81
10:8 = 1
u4 = 4,325575
v4 = 4,1229947
1900
81·1 = 81
u5 = 4,127844
v5 = 4,1230950
1644
41·2 = 82
u6 = 4,123108
v6 = 4,1231046
25600
190:82 = 2
u7 = 4,123106
v7 = 4,1231055
24729
822·2 = 1644
u8 = 4,123105626
v8 = 4,123105547
87100
412·2 = 824
82461
2560:824 = 3
4639
8243·3 = 24729
4123·2 = 8246
8710:8246 = 1
82461·1 = 82461
Nella scuola Media non si introducono formule per il calcolo delle radici n-esime. Talora c'è
necessità di determinare la radice cubica. Si ovvia al problema utilizzando le tavole numeriche.
Qui di seguito si calcola la radice quinta di 130, partendo da approssimazioni per difetto e per
eccesso, 2 e 3 utilizzando i metodi di Newton e di Cotes, confrontandoli col metodo di bisezione.
Con un calcolatore si trova
5
130 = 2,64721168070537.
Newton
Cotes
Bisezione
u1 = 3
v1 = 2
a1 = 2
b1 = 3
u2 = 2,720987654
v2 = 2,464454976
a2 = 2,5
b2 = 3
u3 = 2,651105346
v3 = 2,602104105
a3 = 2,5
b3 = 2,75
u4 = 2,647223101
v4 = 2,636535745
a4 = 2,625
b4 = 2,75
u5 = 2,647211681
v5 = 2,644711547
a5 = 2,625
b5 = 2,6875
v6 = 2,646627663
a6 = 2,625
b6 = 2,65625
v7 = 2,647075338
a7 = 2,640625
b7 = 2,65625
v8 = 2,647179855
a8 = 2,640625
b8 = 2,6484375
v9 = 2,647204252
a9 = 2,64453125
b9 = 2,6484375
v10 = 2,647209947
a10 = 2,64648438
b10 = 2,6484375
v11 = 2,647211276
a11 = 2,64648438
b11 = 2,64746094
v12 = 2,647211586
a12 = 2,64697266
b12 = 2,64746094
Il fatto che esistano le radici è "inaspettato" perché il punto di partenza in questo approccio è il
problema di Cantor. Come detto in precedenza il problema di determinare le radici, problema che
- 82 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
può formularsi in termini finiti assegnando il solo radicando (se si considerano le radici
quadrate), oppure una coppia data dall'indice e dal radicando, non basta per passare dai razionali
ai reali, ma permette solo di costruire l'insieme dei numeri reali algebrici.
La presenza delle radici con indice naturale permette di estendere per i numeri reali non nulli la
potenza con esponente intero alla potenza con esponente razionale. Per evitare noiose distinzioni
tra indici pari e dispari ed anche alcuni altri problemi più delicati, si considerano solo numeri
reali positivi. Ciò ha lo scopo di evitare diversi problemi. Se n,r∈ *, si può porre
n
j (0) r = j(0),
mentre, al solito, j(0)0 = j(1). Non ha senso considerare la potenza di 0 con esponente negativo
perché ciò richiede la divisione con divisore 0.
7.4.6. Radici di numeri negativi. Se si considera una numero reale negativo, nascono altri
problemi: ad esempio se x∈ -, si può considerare 3 x , che è un numero reale negativo. Però
bisogna capire se "tradotta" la radice con l'esponente, tale esponente è una frazione o un numero
razionale. Credo che questo sia un caso in cui non è lecito identificare i due concetti, in quanto
1 2
6
= , ma l'uguaglianza 3 x = x 2 è falsa perché il primo membro è un numero reale negativo,
3 6
mentre il secondo è positivo in quanto per la regola dei segni x2 è un numero reale positivo.
Inoltre non esiste la radice quadrata di un numero negativo e neppure la radice quarta e così via.
Perciò bisogna analizzare attentamente la parità dell'indice in rapporto al segno del radicando.
Limitandosi ai reali positivi tutti questi problemi non si pongono e si possono estendere, in modo
naturale, le proprietà consuete delle potenze.
Bisogna inoltre prestare attenzione al fatto che per dare significato alla scrittura del radicale
l'indice deve essere maggiore di 2. Inoltre se x∈ +, r,s∈ * e s ≥ 2, si ha dalla definizione
r
xs
scritture
x
−
−r
r
r
=
= − , ma usando l'esponente razionale non tutte le
s
−s
s
s
= x r . Ora è ben noto che
r
s
=
hanno
r −1
xs
senso.
1
1
= r =
=
s r
x
xs
quanto la scrittura
s
Si
1
xr
s
= x
può
−r
=
−r
xs .
scrivere
x
−
r
s
=
−r
xs ,
Ma non è possibile scrivere x
−s r
x è priva di senso. Analogamente, anche se
- 83 -
dato
−
r
s
=
che
r
−
x s
, in
r −r
=
, non si ha certamente
s −s
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
r
xs
=
−r
x −s
, dato che la seconda espressione è priva di senso. In conclusione si può affermare che i
numeri che compaiono come esponenti in luogo dei radicali di fatto non sono numeri, ma
frazioni; e anche se è comodo, per semplificare i calcoli, utilizzarli come numeri, questa
identificazione è fondamentalmente scorretta.
7.5. Risolubilità dei problemi insolubili. Resta da mostrare che la costruzione di
mediante le
successioni di Cauchy risponde al problema di Cantor, cioè quello di individuare il limite per le
successioni di Cauchy. Ma per ripetere in
la nozione di successione di Cauchy e di successione
convergente bisogna introdurre il valore assoluto o ancora meglio il valore assoluto della
differenza per dotare
di struttura di spazio metrico. La cosa è semplice, dato che si può definire
per ogni f,g∈ ( ), |[f]| = [|f|] e |[f] - [g]| = [|f - g|]. Con questa definizione si estendono a
le
proprietà valide sui numeri razionali, rendendolo spazio metrico in cui vale inoltre il Principio di
Archimede e grazie a questo è possibile inoltre definire la parte intera di un numero reale, in
piena analogia a quanto avviene per i razionali.
Riassumendo si vede che le condizioni per l'applicazione del metodo degli elementi ideali sono
tutte verificate:
1) Si è fissato un tipo omogeneo di problemi, la determinazione del limite per successioni di
Cauchy di numeri razionali. L'insieme
rappresenta i vari problemi, mentre l'insieme individua
i problemi che sono risolubili.
2) Si sono reinterpretati gli elementi del contesto di partenza, come esempi di problemi del
tipo fissato, in quanto ogni numero razionale dà luogo ad una successione costante che ha limite.
3) Si sono identificati in modo opportuno, problemi dello stesso tipo che avrebbero la stessa
soluzione, qualora essa esistesse. Perciò bisogna esibire una relazione di equivalenza. Questa
relazione deve identificare in modo corretto anche i problemi di quel tipo che invece hanno
soluzione. Ciò è ottenuto mediante la relazione di equivalenza tra successioni. Grazie ad essa i
problemi risolubili, cioè gli elementi di sono equivalenti sse hanno la stessa soluzione.
4) Si sono strutturati convenientemente i problemi, meglio le classi di problemi, cioè gli
elementi ideali, con operazioni e relazioni, se si vogliono ottenere dei numeri, o, più in generale,
con una struttura simile a quella che esiste nel contesto da cui i problemi sono presi. Questo
avviene in vari passi.
Si è soddisfatta l'ultima richiesta:
C'è uniformità, in termine tecnico un'estensione, tra il contesto da cui il problema è sorto e quello
ottenuto con l'aggiunta degli elementi ideali, come è mostrato grazie alla presenza di
- 84 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
→
j:
.
Manca il penultimo punto:
5) La scelta della struttura deve essere tale che i problemi che nel contesto precedente non
avevano soluzione ora l'abbiano e che i problemi che avevano soluzione ora non ne abbiano di
nuove. Ma bisogna che problemi dello stesso tipo, nel nuovo contesto, abbiano sempre
soluzione. Ciò è provato grazie ad un teorema successivo.
Per realizzare il punto 5), bisogna introdurre le definizioni di successione, di successione di
Cauchy e di successione convergente. Il modo più semplice, senza ripetere cose già viste, è
riscrivere le definizioni date in precedenza sostituendo ovunque
con
. Il calcolatore esegue
in modo assai semplice questo compito e si confida che anche il lettore sia in grado di eseguire la
sostituzione.
Un primo risultato che mostra che i problemi insolubili in
sono ora solubili è il seguente.
TEOREMA (del limite delle successioni razionali). Sia x∈
consideri la successione (j°f): →
e sia f∈ ( ) tale che x = [f]. Si
definita per ogni n∈
da (j°f)(n) = j(f(n)) = [jf(n)]. La
successione (j f) è convergente e lim (j°f) = x. In particolare per ogni f∈ ( ), la successione
(j°f)∈ ( ) e lim (j f) = j(lim f).
DIMOSTRAZIONE. Sia ε∈ +, allora esiste una successione razionale e:
esistono allora β ∈ + e m∈
esiste η:
+→
tali che per ogni p∈ , si ha β < e(m+p), quindi e(m+p)∈ +. Siccome f∈ ( ),
tale che per ogni α∈ +, per ogni p,q∈ , |f(η(α)+p) - f(η(α)+q)| ≤ α. Si pone ora λ:
β
definita da λ(ε) = η
j
f η
=e η
f) η
(j
β
2
β
2
+r
−f
β
+r −x = j f η
2
+
→
. Infatti per ogni ε∈ +, esistono β∈ + e m∈ , che dipendono da ε come indicato sopra e
2
per ogni r∈ , si prova che |(j°f)(λ(ε)+r) - x| = ( j
si ha
tale che ε = [e]. Si ha e∈ +( );
→
≤
+m+ p − j
e.
f η
Per
β
2
+r
ogni
η
β
2
β
2
f) η
β
2
+r
−[ f ] =
p∈ ,
eη
+m+n − f η
+ r − x ≤ ε. Ciò si ottiene passando alle successioni:
j
β
2
β
2
- 85 -
f η
− f
β
+r
2
+m+ p −
+m+n
j
. Si prova quanto richiesto se
f η
= eη
β
2
β
2
+r
− f
η
+m+ p +
β
2
+m+ p
=
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
f η
β
2
+r − f η
disuguaglianza j
=
(j
f)η
β
2
f η
β
2
β
2
+m+ p > β −
+r
β
2
=
β
2
- f
2 +r - f
2 +m+p
> β - 2 = 2 . Così si ha la
− f ≤ e, da cui passando alle classi di equivalenza di successioni, |(j°f)(λ(ε)+r) - x)| =
+ r − x ≤ ε. Ciò prova che lim (j°f) = x, quindi (j°f) è successione di Cauchy in
.
Nel caso particolare di una successione costante jα, con α∈ , si ha (j°jα) = jj(α). Infatti per ogni n∈
[
]
si ha (j°jα)(n)
= j jα ( n ) = [ jα ] = j(α); si ha quindi una successione a valori reali, costante, di valore j(α).
Se f∈ ( ), e sia lim f = l, f∈ ( ). Da quanto precede si ha lim (j°f) = [f]. Ma f ~ jl, quindi [f] = j(l). Pertanto lim
(j°f) = j(l) = j(lim f).
Nella dimostrazione gioca un ruolo fondamentale il fatto che per ogni numero reale positivo ε si
sappiano trovare un numero razionale positivo β e un numero naturale m che servono per
esprimere il fatto che il numero reale è positivo. Ma essi vengono scelti volta per volta, solo dopo
aver individuato un rappresentante di ε. Cambiando il rappresentante essi possono cambiare.
Quindi, più dettagliatamente, dato ε, si deve scegliere nella classe di equivalenza una successione
e, poi determinare β e m. Di numeri razionali positivi ve ne sono infiniti. Una volta scelto tale
β si individua m, ad esempio mediante il Principio di buon ordine, e al variare di β può cambiare
m. Ma si rifletta che solo m è perfettamente individuato, una volta assegnati e e β. Uno strumento
analogo per individuare il numero razionale β e la successione e non c'è. Se questa scelta ci fosse
da fare un'unica volta non ci sarebbero difficoltà: ogni classe di equivalenza di successioni è non
vuota, quindi si può trovare un rappresentante; l'insieme dei β corrispondenti, si passi questo
modo abbreviato di indicarlo, è infinito, per la densità, quindi non vuoto, perciò si può trovarne
un elemento. Tutta questa costruzione però non si può estenderla correttamente ad infiniti casi,
come serve nella dimostrazione, uno per ogni ε∈ +. La comprensione che questa richiesta non è
logica, ma un vero e proprio principio insiemistico, noto col nome di assioma di scelta, è
attribuita al matematico B. Levi, (1875 - 1961) che ha insegnato a Parma dal 1912 al 1928. Tale
richiesta è presente, in molte altre formulazioni equivalenti, in vari ambiti matematici.
La forma dell'assioma di scelta qui utilizzato è la richiesta che per ogni a, b, f, tali che f: a → b
sia suriettiva su b esiste g: b → a tale che (f°g) = id(b) e tale asserto è applicato a can: ( ) →
.
- 86 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Il risultato fondamentale che soddisfa la richiesta 5) del metodo degli elementi ideali è dato dal
seguente
TEOREMA (di Cauchy-Cantor). ( ) ⊆ ( ).
DIMOSTRAZIONE. Sia Ψ:
→
una successione di Cauchy di numeri reali. E' dato pertanto un carattere η:
+
→
. Si deve trovare che la successione Ψ converge esibendone il limite ed un carattere. Tale limite è un numero reale,
cioè una classe di equivalenza di una successione di Cauchy di numeri razionali. La dimostrazione quindi consiste
nel costruire una successione razionale e mostrare che è di Cauchy e si conclude provando che la classe di tale
successione è il limite cercato. Grazie all'assioma di scelta, nella forma presentata sopra, per ogni n∈
esiste λ(n):
associare una successione razionale f(n) tale che Ψ(n) = [f(n)]. Pertanto per ogni n∈
per ogni ε∈
+,
per ogni s∈ ,
(
)
(
+
→
si può
tale che
)
j f ( n) (λ( n) (ε ) + s) − [ f ( n ) ] = j f ( n) (λ( n) (ε ) + s) − Ψ (n) ≤ ε.
(*)
La successione che risolve il problema, che verrà indicata con g:
altre due successioni di numeri naturali r,s:
g (0) = f (0) (0)
r (0) = 0
; e per n
s (0) = 0
→
→
, si costruisce per ricursione assieme ad
. Si pone
g (n) = f ( r ( n −1)) ( s (n − 1))
0, r ( n) = max n, r (n − 1),η j
1
3(n + 1)
s (n) = max s (n − 1), r (n)λ( r (n )) j
.
1
3(n + 1)
Si prova che g∈ ( ), prima però, si dimostra per induzione che per ogni p∈ , r(n) ≤ r(n+p) e s(n) ≤ s(n+p). Ciò è
banale per p = 0. Supposto l'asserto per p, si ha r(n) ≤ r(n+p) e s(n) ≤ s(n+p) e r(n+p+1) =
max n + p + 1, r (n + p),η j
1
3(n + p + 2)
max s ( n + p ).r ( n + p + 1), λ( r ( n + p +1)) j
, quindi r(n+p) ≤ r(n+p+1), per cui r(n) ≤ r(n+p+1). Da s(n+p+1) =
1
3(n + p + 2)
si ha s(n+p) ≤ s(n+p+1), quindi s(n) ≤ s(n+p+1). E' poi
immediato dalla definizione che per ogni n∈ , r(n) ≤ s(n).
Si definisce γ:
Int
1
α
≤
1
α
+
< Int
→
1
α
1
1
, per ogni α∈ +, come γ(α) = Int
+ 2 , osservando che da 0 < α, è pure 0 <
,e
α
+ 1 quindi γ(α) > Int
1
α
+ 1 ≥ 1 , perciò γ(α)∈ * e
α
1
<
γ (α )
Int
1
1
α
< α. Si ha per ogni
+1
p,q∈ , |g(γ(α)+p) - g(γ(α)+q)| =
= f ( r (γ (α ) + p −1) ( s (γ (α ) + p − 1) − f ( r (γ (α ) + q −1) ( s (γ (α ) + q − 1) . Per le classi di equivalenza si ottiene j(|g(γ(α)+p)
- g(γ(α)+q)|) = |j(f(r(γ(α)+p-1))(s(γ(α)+p-1))) - j(f(r(γ(α)+q-1))(s(γ(α)+q-1))| ≤ |j(f(r(γ(α)+p-)(s(γ(α)+p-1) – Ψ(r(γ(α)+p-1))|
+ |Ψ(r(γ(α)+p-1) - Ψ(r(γ(α)+q-1)| +|j(f(r(γ(α)+q-1))(s(γ(α)+q-1))) – Ψ(r(γ(α)+q-1))|. Dalle definizioni e dai risultati
- 87 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
precedenti r(γ(α)+p-1) ≤ s(γ(α)+p-1); pertanto si può scrivere s(γ(α)+p-1) = r(γ(α)+p-1) + r’, per un opportuno
r’∈
1
3(γ (α ) + p)
ed inoltre, tenendo conto che γ(α)+p-1+1 = γ(α)+p si ha λ(r(γ(α)+p-1) j
s(γ(α)+p-1) = λ(r(γ(α)+p-1) j
1
3(γ (α ) + p )
≤ s(γ(α)+p-1) da cui
+s’, per un opportuno s’∈ . Operando sul primo addendo si ha
j ( f ( r (γ (α ) + p −1)) ( s(γ (α ) + p − 1)) − Ψ ( r (γ (α ) + p − 1))
j f ( r (γ (α ) + p −1)) λ( r (γ (α ) + p −1)) j
α
j
3
η j
1
3(γ (α ) + p )
=
− Ψ (r (γ (α ) + p − 1)) ≤ j
+ s'
1
3(γ (α ) + p )
1
3γ (α )
≤ j
. Senza perdita di generalità si può supporre che q ≤ p, pertanto r(γ(α)+q-1) ≤ r(γ(α)+q-1). Inoltre si ha
1
3(γ (α ) + q
≤ r(γ(α)+q-1), quindi esiste un opportuno q’∈
q’. Dalla disuguaglianza η j
r(γ(α)+p-1) = η j
Ψ η j
1
3(γ (α ) + q )
1
3(γ (α ) + q )
1
3(γ (α ) + q )
λ(r(γ(α)+q-1) j
(
1
3(γ (α ) + q )
1
3(γ (α ) + q )
+ q'
≤ j
+
s”,
1
3(γ (α ) + q
1
3(γ (α ) + q)
per
un
≤ j
1
3γ (α )
≤ j
α
3
≤ s(γ(α)+q-1) pertanto s(γ(α)+q-1) =
opportuno
s”∈ .
Si
)
= j f ( r (γ (α ) + q − 1)) λ (r (γ (α ) + q − 1)) j
≤ j
α
3
tale che
. Il terzo
j f (r (γ (α ) + q −1)) (s (γ (α ) + q − 1) ) − Ψ (r (γ (α ) + q − 1))
1
3γ (α )
+
+ p’. Il secondo addendo è dato da |Ψ(r(γ(α)+p-1) - Ψ(r(γ(α)+q-1)| =
+ p' − Ψ η j
1
3(γ (α ) + q )
tale che r(γ(α)+q-1) = η j
≤ r(γ(α)+q-1) ≤ r(γ(α)+p-1), esiste un opportuno p’∈
addendo si tratta in analogia al primo dato che λ(r(γ(α)+q-1) j
≤ j
≤
ha
=
1
3(γ (α ) + q)
+ s"
− Ψ (r (γ (α ) + q − 1)) ≤ j
. In conclusione si ha j(|g(γ(α)+p) - g(γ(α)+q)|) ≤ j
|g(γ(α)+p) - g(γ(α)+q)| ≤ α. Ma ciò prova che g∈ ( ) con il carattere γ:
Resta da provare che lim Ψ = [g]. Per il Teorema precedente esiste λ:
p∈ , |j(g(λ(ε)+p) – [g]| ≤ ε.
- 88 -
+→
+
→
α
+ j
3
α
3
1
3(γ (α ) + q )
+ j
α
3
= j(α), da cui
.
tale che per ogni ε∈ +, per ogni
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
1
Preso ad arbitrio κ∈ +, sia δ(κ) = Int
+ 1. Si ha δ(κ)∈ *, in quanto 0 <
κ
j Int
per
1
1
<
+1
κ
= κ . Sia σ:
+
1
3δ (κ )
definito per ogni κ∈ + da σ(κ) = max λ j
→
+,
per
(
ogni
q∈ ,
|Ψ(σ(ε)+q)
) (
-
|Ψ(σ(ε)+q)
≤
[g]|
≤ δ(κ) e j
κ
κ
ε∈
ogni
1
1
1
=
, r (δ (κ )) , si ha
Ψ(r(σ(ε)+q))|
-
)
1
δ (κ )
+
+ Ψ ( r (σ (ε ) + q )) − j f ( r (σ (ε ) + q )) ( s (σ (ε ) + q )) + j f ( r (σ (ε ) + q )) ( s (σ (ε ) + q )) − [ g ] .
Si considerano separatamente i tre addendi. Si ha σ(ε)+q
1
3(δ (ε ) + 1)
che σ(ε)+q = η j
η j
1
3(δ (ε ) + 1)
Ψ η j
1
3(δ (ε ) + 1)
successione
di
+ q*. Dato poi che r(σ(ε)+q)
q#.
+
Si
+ q* −Ψ η j
Cauchy
con
λ( r (σ (ε ) + q)) j
1
3(σ (ε ) + q + 1)
λ( r (σ (ε ) + q )) j
1
3(σ (ε ) + q + 1)
1
3(δ (ε ) + 1)
carattere
η.
+
s’,
addendo
si
(
sviluppa
tenendo
sviluppare
quindi
per
esiste
σ(ε)+q esiste q#∈
il
secondo
s’∈
+ s'
≤ j
j g λ j
1
3δ (ε )
m∈ ,
+m
σ(ε) + q + 1 =
− [g] ≤ j
λ j
=
che
si
osserva
che
s(σ(ε)+q)
=
)
=
1
1
1
≤ j
≤ ε . Il
3(σ (ε ) + q + 1)
3σ (ε )
3
f(r(σ(ε)+q))(s(σ(ε)+q))
)
opportuno
addendo
tale
j f ( r (σ (ε ) + q )) ( s (σ (ε ) + q )) − [ g ] = |j(g(σ(ε)+q+1)) - [g]|. Ma dato che σ(ε)
un
Ψ(r(σ(ε)+q))|
-
(
che
tale
tale che r(σ(ε)+q) =
Ψ (r (σ (ε ) + q) − j f ( r (σ (ε ) + q )) ( s (σ (ε ) + q ))
cui
1
3(σ (ε ) + q + 1)
conto
, quindi esiste q*∈
1
1
1
≤ j
≤ ε , in quanto Ψ è una
3(δ (ε ) + 1)
3δ (ε )
3
+ q# ≤ j
Per
≤ s(σ(ε)+q),
1
3(δ (ε ) + 1)
η j
|Ψ(σ(ε)+q)
ha
Ψ (r (σ (ε ) + q ) − j f ( r (σ (ε ) + q )) λ( r (σ (ε ) + q )) j
terzo
r(δ(ε))
1
3δ (ε )
+ m,
λ j
quindi
=
g(σ(ε)+q+1),
1
3δ (ε )
quindi
si può scrivere, per
|j(g(σ(ε)+q+1))
-
[g]| =
1
1
1
1
1
≤ ε . In conclusione |Ψ(σ(ε)+q) - [g]| ≤ ε + ε + ε = ε. Ciò
3δ (ε )
3
3
3
3
prova l'asserto.
Il Teorema di Cauchy-Cantor conclude la verifica che i vecchi problemi nel nuovo contesto sono
tutti risolubili. L'approccio ai numeri reali mediante successioni mantiene quindi le promesse e
permette inoltre di risolvere anche il problema posto dalla presenza di lacune in
- 89 -
. In particolare
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
fa sparire il problema stesso, così come avviene con la sottrazione in
caso particolare di addizione, o la divisione in
che viene vista come un
, che viene vista come caso particolare della
moltiplicazione.
In realtà l'esigenza che ha spinto Cauchy a determinare un criterio per la convergenza senza avere
a disposizione il valore del limite dipende dal fatto che talora è assai complesso trovare il limite e
risulta più semplice dimostrare la validità del criterio di Cauchy. Per questo motivo si utilizzano
le successioni di Cauchy, nei vari contesti numerici o no, anche quando tale condizione implica
la convergenza.
La risoluzione dei due problemi avviene con metodi diversi. Per mostrare la completezza, che è
una proprietà specificamente dell'ordine, si usa in particolare la densità di
in
. Per provare
che ogni successione di Cauchy ha limite ciò non serve. Serve il valore assoluto della differenza,
che soddisfi la disuguaglianza triangolare e in generale le proprietà degli spazi metrici. Si noti
inoltre che il ruolo dell'ordine è "esterno" al valore assoluto. La dimostrazione del teorema di
Cauchy-Cantor è pertanto generalizzabile ad altri contesti matematici interessanti. Bisogna
osservare il ruolo dell'assioma di scelta risultato ampiamente utilizzato nella dimostrazione del
teorema di Cauchy-Cantor.
Nella parte fin qui trattata si è posta attenzione nel distinguere i numeri razionali dalle classi di
equivalenza ad esse associate. Cioè se α∈ , il corrispondente numero reale è dato da j(α)∈ ,
ove j(α) = [jα]. Questa distinzione importante per comprendere il ruolo della costruzione di
Cantor è però in contrasto con la pratica. Si noti che un problema analogo c'è quando si
considerano i numeri interi relativi ed i numeri razionali. Se ad esempio si accetta la costruzione
dei numeri interi relativi, al numero naturale 3 è associata la classe [ 3,0 ], mentre il numero
razionale corrispondente è [ 3,1 ]. Tale posizione è però superata anche dall'uso nella pratica.
Si osservi inoltre che, nel trattamento delle successioni, la pratica consueta non mette in evidenza
i caratteri. Ma senza questa esplicita ‘nominalizzazione’ è molto più difficile trattare il Teorema
della densità di
in
ed il Teorema di Cauchy-Cantor (con le sue proposizioni preparatorie),
quando si ha solo una quantificazione esistenziale.
D’altra parte è importante osservare ancora una volta il ruolo dell’assioma di scelta, senza il
quale sarebbe assai difficile districarsi tra le varie successioni e tra i vari modi di introdurre i
numeri reali (che senza l’assioma di scelta sarebbe difficile dimostrare equivalenti).
8. Altre presentazioni.
- 90 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
Una volta provata l'esistenza dei numeri reali e delle loro proprietà si può riassumere la
trattazione in pochi principi ed è importante che, con tutte le cautele e le prese di posizione
epistemologiche dette, con qualunque approccio si giunge alla verifica delle proprietà indicate
sinteticamente nelle definizione seguente che si può fare rientrare nella presentazione
assiomatica di Hilbert.
8.1. Reali secondo Weierstrass e Soschino. Prima di introdurre quest'ultima nozione di numero
reale, vale la pena di ricordare brevemente l'approccio ai numeri reali di Weierstrass e Soschino.
Esso è basato sulla scrittura di un numero reale come numero decimale, scrittura che dovrebbe
essere appresa dalla scuola media, Infatti già in tale scuola si introducono i numeri decimali con
"infinite" cifre, come risposta al problema di determinare in forma decimale i numeri razionali.
Si trova infatti che un numero razionale ha sempre una scrittura decimale corrispondente. Se la
frazione è ridotta ai minimi termini, vale a dire il numeratore ed il denominatore sono primi tra
loro, il numero razionale si può scrivere come numero decimale in cui si adoperano solo un
numero finito di cifre se il denominatore è prodotto di una potenza di 2 e di 5, mentre ciò non
avviene se sono presenti altri fattori primi. Anzi sui testi della scuola media si trova, senza
dimostrazione, che il numero decimale è "illimitato" periodico senza antiperiodo se il
denominatore si esprime come prodotto di fattori primi diversi da 2 e da 5, mentre è decimale
illimitato periodico con antiperiodo se il denominatore è prodotto di fattori primi tra cui 2 oppure
5 e altri fattori primi. In queste dizioni "illimitato" significa con infinite cifre decimali
significative, cioè diverse dalla cifra 0, perché 0,5 = 0,50 , e quindi anche questa con infinite cifre
che però, dato che lo zero "non conta" si omettono. Attenzione: dire che un corpo pesa 5,3
grammi o che pesa 5,300 grammi sono affermazioni diverse. Il numero delle cifre esprime la
sensibilità dello strumento usato per la misura e quindi sono significative! Anche con gli euro, le
cifre decimali sono sempre in centesimi, quindi si scrive 3,20 e non 3,2.
Viene fornito l'algoritmo per "tornare" dal numero decimale alla frazione: si scrive una frazione
in cui il numeratore è dato dalla differenza del numero scritto senza virgola cui si il numero che
precede il periodo, il denominatore è invece ottenuto considerando tanti 9 quante sono le cifre del
periodo e tanti 0 quante sono le cifre dell'antiperiodo cioè le cifre tra la virgola ed il periodo. Ad
esempio sia dato 4,2512195121951219512195… che si scrive 4,2512195 , mettendo in evidenza
il periodo. Si ha 4,2512195 =
4,2512195 − 425 42511770
. Per ridurre la frazione a quella
=
9999900
9999900
ridotta ai minimi termini, bisogna determinare il Massimo comune divisore del numeratore e del
denominatore. Con numeri di questo tipo, l’algoritmo della fattorizzazione in fattori primi può
- 91 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
essere dispendioso. E’ consigliabile utilizzare l’algoritmo euclideo delle divisioni successive (di
fatto Euclide lavora per sottrazioni successive). Si ha 42511770 = 4·9999900 + 2512170;
9999900 = 3·2512170 + 2463390; 2512170 = 1·2463390 + 48780; 2463390 = 50·48780 + 24390;
48780 = 2·24390 + 0. Quindi MCD(42511770,9999900) = 24390 e 42511770 =
1743·24390; 9999900 = 410·24390, per cui 4,2512195 =
42511770 1743
. Se si pone
=
9999900
410
attenzione alla scrittura poteva esprimersi lo stesso numero come 4,251219 , ma anche come
4,2512195121951 . Quindi si ha 4,251219 =
4251219 − 42 4251177 2439 ⋅1743 1743
ed
=
=
=
999990
999990
2439 ⋅ 410
410
anche
4,2512195121951 =
42512195121951 − 4251 42512195117700 27100271 ⋅1473 1473
=
=
=
.
9999999999000
9999999999000
27100271 ⋅ 410
410
Come si vede il "risultato" non cambia anche se la scrittura è diversa.
Ma il tema della diversità di scrittura e di uguaglianza di “valore” comporta la stipula della
relazione di equivalenza ed un ulteriore problema. Si consideri ad esempio il numero decimale
illimitato
4,239 =
periodico
4,239 .
Applicando
ad
esso
l'algoritmo
indicato
si
ha
4239 − 423 3816 36 ⋅106 106
=
=
=
= 4,24. Si trova così che un numero decimale
900
900
36 ⋅ 25
25
limitato si può scrivere in forma illimitata periodica con periodo 9. Ciò dovrebbe fare
comprendere che la nozione di equivalenza che bisogna imporre non è banale 1. L’uso dei numeri
decimali illimitati periodici può dare qualche informazione su come si comportino i numeri
decimali illimitati rispetto alle operazioni.
Si considerino ad esempio i numeri 3,1052 e 2,8179 . Per controllare come ci si deve comportare
rispetto alle operazioni aritmetiche, prima si “uniformano” nel senso che si considerano numeri
con lo stesso numero di cifre di antiperiodo e di ugual numero di cifre di periodo (il minimo
comune
multiplo
dei
3,10525252 + 2,81791791 =
0<
numeri
delle
cifre
dei
rispettivi
periodi,
scrivendo
310525252 − 310 281791791 − 281 592317043 − 591
+
=
=
99999900
99999900
99999900
592317044 − 592
= 5,92317044 . Si è resa necessaria la correzione della somma dei
99999900
sottraendi in modo da avere le prime cifre della somma dei minuendi.
1 A questo proposito sono interessanti le considerazioni del Capitolo 5 di Gilbert T. & Rouche N., 2004, L’infinito
matematico tra mistero e ragione – Intuizioni, Paradossi, Rigore, Pitagora Editrice, Bologna
- 92 -
C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
In questo modo la parte intera è somma delle parti intere (con eventuale riporto); tranne l’ultima
cifra del periodo esse sono la somma delle cifre dei periodi ‘prolungati’. Per la sottrazione ci si
comporta in modo analogo. Di fatto si procede in modo simile all’algoritmo tradizionale di
addizione, partendo dalla prima cifra a destra. Per quanto riguarda la moltiplicazione le cose si
complicano un poco, dato che il numero di cifre aumenta. Ovviamente in questo caso si può
procedere con le frazioni generatrici.
3,1052 =
31052 − 310 30742 15371
28179 − 28 2851
=
=
.
; 2,8179 =
=
9900
9900
4950
9990
9990
Il prodotto dei due numeri è dato da 3,1052 ⋅ 2,8179 =
15371 28151 5794867
. Il risultato è un
⋅
=
4950 9990
668250
numero periodico, in cui 8,705 è la cifra delle unità e l’antiperiodo, mentre il periodo è
3467305689527911750133972359619457841680063902286124508, come si vede di ‘facile’
identificazione, soprattutto se si lavora con carta e penna. Non c’è quindi una regola semplice per
stabilire l’espressione del prodotto.
Più ‘facile’ è la divisione, in quanto i denominatori sono della stessa ‘forma’. Ad esempio
3,1052 : 2,8179 =
15371 28151 15371 9990 1706181
:
=
⋅
=
. Per vedere quale sia il periodo si
4950 9990
4950 28151 1548305
sono calcolati i primi 800 resti, senza trovare il periodo.
Dunque i numeri razionali possono essere descritti come frazioni o come allineamenti decimali
(eventualmente infiniti); per le frazioni l’operazione più semplice da eseguire è la
moltiplicazione (e la divisione), mentre per gli allineamenti decimali è più semplice operare con
l’addizione e la sottrazione.
Tornando alla proposta di Weierstrass e Soschino, un numero reale è individuato da una serie
della forma a +
∞
ah
, ove a∈
h
h =1 10
e ah∈{0,1,2,3,4,5,6,7,8,9}. Dato che
termini non negativi e limitata, essendo poi
è di Cauchy, pertanto in
∞
ah
h =1 10
h
∞
ah
h =1 10
h
è una serie a
≤ 1, si ha che come serie di numeri razionali
converge. Quindi ogni serie di questo tipo rappresenta un numero
reale, Con questo approccio non è banale definire la relazione di equivalenza e le operazioni, in
particolare la moltiplicazione dato che bisogna considerare il prodotto alla Cauchy di due serie
(ed applicare il Teorema di Mertens sul prodotto di serie). Anche la definizione dell'ordine
naturale non è banale e un ‘assaggio’ di cosa può accadere con queste espressioni dei numeri
reali, si è cercato di darlo operando con quei particolari numeri reali che sono i numeri razionali.
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C. Marchini - Appunti di Didattica della Matematica II/1 - Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario
8.2. Trattazione assiomatica. La definizione più spesso utilizzata, soprattutto in ambito
universitario, è quella assiomatica. Si può far risalire ad Hilbert come ispirazione e come
presenza nel suo trattato del 1899 sui fondamenti della Geometria.
DEFINIZIONE. L'insieme dei numeri reali, che si indica con il simbolo
è un sistema di enti,
detti numeri reali, tra i quali sono definite delle ralzioni ed operazioni che soddisfano i seguenti
assiomi:
I Gruppo: Assiomi delle operazioni elementari:
a) Sono dati su
un'operazione binaria "+"; un'operazione unaria "–" ed un elemento
privilegiato "0"; con
* si indica l'insieme (
b) Sono dati su
una seconda operazione binaria "·", un elemento privilegiato "1" ed
un'operazione unaria parziale –1:
*→
- {0}).
*.
II Gruppo: Assiomi del calcolo:
,+,·,–, –1,0,1 è un campo.
III Gruppo: Assiomi dell'ordinamento:
E' data una relazione binaria, "≤" su
compatibile con le operazioni, in modo che
tale che ≤ è relazione d'ordine, lineare (o totale),
sia un campo ordinato.
IV Gruppo: Assiomi di continuità:
a) Vale il principio di Archimede, vale a dire per ogni x∈ + esiste n∈
b) Assioma d'integrità: Non è possibile aggiungere ad
tale che x ≤ n.
un altro sistema di enti, così che nel
sistema risultante valgano ancora gli assiomi precedenti.
L'assioma di integrità può essere sostituito affermando che in
mancano le lacune, vale a dire
ogni insieme superiormente limitato ammette estremo superiore.
L’assiomatizzazione non è al primo ordine, e quando si vuole ricondursi al primo ordine bisogna
rinunciare a qualcosa, e questo è la completezza 1.
1 Un esempio di assiomatizzazione al primo ordine, più che sufficiente per svolgere tutta la Geometria analitica affine si può
trovare in Gruppo Zeroallazero, 2005, Oltre ogni limite – Percorsi didattici per insegnanti spericolati, Pitagora Editrice,
Bologna.
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