Prefazione di Paolo Gulisano. Dal Mito alla Fiaba Nel corso del

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Prefazione di Paolo Gulisano. Dal Mito alla Fiaba
Nel corso del Novecento è stato possibile assistere ad un fenomeno letterario interessante e
sorprendente: il ritorno nella narrativa del Mito e dell’Epica. Accendendo ancora una volta la
fantasia degli uomini, chiamando nuovamente l’attenzione dei cantastorie su di sé, suscitando
nuove versioni di antiche narrazioni, il Mito, rappresentato, oltre che sulla carta, anche sul
grande schermo, ha dimostrato di essere vivo e vitale nella fantasia e nei sogni. Scrittori
anglosassoni come Chesterton, Tolkien, Lewis, ma anche tedeschi come Michael Ende, hanno
proposto ai lettori disincantati della Modernità le loro storie, leggende dai molti significati, dai
valori profondi, arcaici, strettamente intrecciati con la storia e i miti dell’Europa. Anni fa, in una
fortunata versione cinematografica del mito di Artù, Excalibur di John Boorman, il Mago Merlino
pronunciava queste suggestive parole: la maledizione degli uomini è che essi dimenticano. Una
frase quanto mai vera, e sulla quale riflettere. La memoria, sembra dirci Merlino, è tra le
risorse umane una delle più importanti: occorre coltivarla come una virtù, con amorevole
attenzione. Ci può salvare dalla superficialità di giudizio, dall’ingratitudine, da una vita senza
gusto e significato, facendoci invece considerare con più attenzione le realtà con le quali
bisogna sempre fare i conti: il bene e il male, il futuro e il passato, il mistero della vita. Le
storie di Tolkien, Lewis, Ende, o anche il discusso Harry Potter di Joanne Rowling o coloro,
come Mary Stewart, che hanno rivisitato le leggende medievali di Merlino, di Re Artù, dei
Cavalieri della Tavola Rotonda, nella loro fervida immaginazione, hanno il pregio di non
dimenticare queste questioni fondamentali. Sta tutto qui il loro fascino, quello che fa produrre
ancora nuove spettacolari versioni del mito: non è una pura evasione dalla realtà per rifugiarsi
nella fantasia, ma è forse l'occasione per volgere lo sguardo verso cose grandi, verso noi stessi
e la nostra anima assetata di Bellezza, verso le stelle, cercando i segni del nostro destino.
Come ha insegnato il grande creatore di miti J.R.R. Tolkien, la letteratura dell'immaginario può
essere lo specchio dei gusti, degli umori e addirittura della condizione psicologica dell'epoca
moderna, esprimendo i dubbi, le paure, le domande insoddisfatte, le esigenze profonde
dell’animo umano. I miti, i simboli, le leggende e le tradizioni ci rivelano noi stessi. Non è un
caso, probabilmente, che molti di questi grandi scrittori furono insigni medievisti: al centro di
tutto il Medio Evo infatti c’era il simbolo: la vita dell'uomo medievale era inscritta in un
universo simbolico, dove ogni forma del pensiero, artistica, mistica, teologica, si basava su di
esso. L'esperienza quotidiana era esperienza spirituale, nutrita dai simboli che la provocavano,
la animavano, le conferivano un valore profondo. L'abilità narrativa e la fervida immaginazione
di chi scolpiva le cattedrali gotiche, con i suoi mostri e le sue creature fantastiche, o di chi
scriveva la storia della Cerca del Santo Graal o le peripezie di un Re e della sua spada incantata
adoperavano il linguaggio del simbolo, che trasfigurava la realtà stessa, ed è stato capace di
mantenere la sua intensità e il suo valore, trascorrendo, inattaccabile, il tempo e la storia. Il
lettore disincantato di oggi viene quindi provocato opportunamente dal racconto fantastico, sia
che si tratti di fiaba o di narrazione epica, di leggenda come di racconto "gotico"; sospeso tra il
misterioso e il terribile, è sempre in qualche modo espressione umana sottesa tra il sacro e il
profano, a partire dal linguaggio, che reca sempre in sè le tracce di arcaici miti, fino ai
contenuti, che sono comunque e sempre quelli del fantastico, ossia dell'irruzione, oscura e
inquietante oppure solare e confortante di un evento soprannaturale nella realtà quotidiana.
Non c'è generazione di lettori (o di spettatori) la quale, a dispetto di tutte le mode, non senta
la suggestione dell' elemento fantastico, mitico, fiabesco: un tipo di letteratura portatrice di
una sapienza antichissima, che mimetizza i suoi contenuti nel linguaggio apparentemente
semplice ed infantile delle fiabe, o del folklore popolare. Il mito è necessario perché la realtà è
molto più grande della razionalità. Il mito è visione, è nostalgia per l’eternità. Il mito non è
metafora o allegoria, ma simbolo, ossia segno che rimanda ad un significato ultimo che l’uomo
deve riconoscere e interpretare. Il mito, nella storia dell’umanità, non è mai stato
contrapposto, come avviene oggi, alla realtà; il mito è sempre stato per sua stessa natura
vero, espressione della verità delle cose. Nel mito si veniva a contatto con qualcosa di vero che
si era pienamente manifestato nella storia, e questa manifestazione poteva fondare sia una
struttura del reale che un comportamento umano. Il mito è un mezzo per dare risposte a
questioni fondamentali come l’origine dell’uomo, il bene, il male, l’amore, la morte e per dare
spiegazioni ai fenomeni della natura. Se il mito è il nesso, il legame che l’uomo ha sempre
cercato con il senso della vita, esso non può quindi che essere considerato un’espressione
naturale ed antichissima del senso religioso che vive nel cuore dell’uomo. Nel corso della
Modernità, gli antichi miti d’Europa – celtici, norreni, greci e così via- si sono occultati nelle
fiabe. Un luogo nascosto, protetto, un luogo apparentemente per bambini. Roger Caillois
sostenne che “la fiaba è un racconto situato fin dal principio nel mondo fittizio degli incantatori
e dei geni. Le prime parole della prima frase sono già un avvertimento: In quel tempo oppure
C’era una volta… Per questo le fate e gli orchi non spaventano nessuno. L’immaginazione li
confina in un mondo lontano, fluido, impenetrabile, senza rapporto né comunicazione con la
realtà di ogni giorno nella quale è pressoché impensabile che essi possano fare irruzione. (…)
La differenza balza agli occhi - prosegue Caillois spingendosi nel fantasy così detto gotico o
anche horror - quando si tratta di fantasmi o di vampiri. Certo, anche loro sono esseri
immaginari, eppure li colloca in un mondo tutt’altro che immaginario; anzi, se li rappresenta
come creature che fanno le loro apparizioni nel mondo reale, apparizioni che sono per giunta
incomprensibili, terribili, invariabilmente funeste. (…) Così le manifestazioni del fantastico
derivano tutte dallo stesso principio. Esse sono tanto più terribili quanto più il loro scenario è
famigliare, le loro vie più subdole o fulminee, quanto più si presentano con un non so che di
fatale e d’irrimediabile che si sprigiona da una rigorosa concatenizzazione degli eventi.” La
fiaba dunque come un viaggio iniziatico, come una serie di tappe di un viaggio, di un’impresa.
Lo studio di Alessandra Tozzi che il lettore ha tra le mani è una guida preziosa per avventurarsi
su questo cammino, per riconoscere i segnali indicatori, per non smarrirsi nel labirinto, e
soprattutto per farci ritrovare e riassaporare il significato di un patrimonio culturale che va
conservato, difeso, valorizzato, e tramandato.
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