“Miti e pregiudizi” laboratorio di educazione interculturale Scuola Media Statale “P. Gaspari” di Latisana Glossario Il nostro giudizio sugli altri spesso s’innesca molto prima di ogni effettiva conoscenza. Catalogare il mondo in maniera rigida è semplice e “economico”: ci consente di leggere la realtà senza troppa fatica. Ma è davvero la realtà quella che vediamo attraverso degli “occhiali” che altri hanno costruito per noi? 1_ Stereotipo e pregiudizio. Gli stereotipi sono immagini mentali, delle semplificazioni quasi sempre molto rigide (infatti in greco stereos significa fisso, rigido e tipos modello) che nascono perché la mente umana non è in grado di comprendere ed elaborare l’infinita varietà di sfumature e la complessità con cui il mondo si presenta. Forniscono in questo modo dei modelli culturali che guidano conoscenze e comportamenti sociali delle persone. Si tratta di modelli raramente modificabili da parte di chi li utilizza per segnalare caratteristiche presunte delle altre culture, rischiando di azzerare la storia e la singolarità di ogni individuo. Lo stereotipo necessita di un bersaglio, identificato da una etichetta linguistica (ad esempio: albanesi, italiani, marocchini, tedeschi, zingari, ...). Attorno al bersaglio vengono organizzate un insieme di caratteristiche (dall’aspetto fisico - i tedeschi sono biondi - alle modalità tipiche di comportamento - gli italiani gesticolano mentre parlano, ecc.). Lo stereotipo, in ultima analisi, schematizza e cristallizza una realtà in movimento rifiutandosi, nel contempo, di cogliere l’evoluzione che contraddistingue lo stesso gruppo bersaglio. Il pregiudizio indica invece un giudizio precedente all’esperienza, cioè emesso in assenza di dati sufficienti, concepito non per conoscenza diretta di un fatto, di una persona o di un gruppo sociale, quanto piuttosto in base alle opinioni comuni o alle voci. Viene di solito considerato come un giudizio errato, ossia non corrispondente alla realtà oggettiva; tendenzialmente si riferisce non tanto a fatti ed eventi, quanto piuttosto a specifici gruppi sociali. Risulta di solito sfavorevole: l’errore di valutazione tende più a penalizzare che non a favorire l’oggetto del giudizio stesso. 2_ Il mito: un’infinità di significati. - Il termine mito deriva dalla parola greca mythos che significava “discorso”: nell’antica Grecia i miti erano quei racconti i cui protagonisti di solito erano dei ed eroi. - Il mito è una struttura che appartiene a tutte le civiltà: ogni popolazione ha i suoi miti, ossia i suoi racconti legati alla religione, alla spiritualità, alla tradizione. Generalmente la loro funzione è di spiegare l’origine di particolari fatti, persone, elementi: ad esempio, tutte le culture hanno dei miti che spiegano l’origine della terra o la figura dell’uomo o l’opposizione tra il bene e il male. Il mito ci offre quindi una via privilegiata per conoscere la cultura degli altri, contenendo insieme sia aspetti e funzioni comuni alle diverse civiltà, sia elementi specifici e differenti da cultura a cultura. Di fatto il mito racchiude in sé un prezioso valore interculturale : offre la possibilità di un confronto reciproco tra le culture. - Oggi la parola mito ha un’infinità di significati; accanto ai miti della religione e della tradizione vi sono i “miti” che le nostre società producono nel tempo, costruendo tramite essi la propria identità. In questo senso i miti sono valori, credenze, opinioni, affermazioni di significati che hanno in sé stessi la propria affermazione: non derivano dunque direttamente dalle scienze o dalle religioni. Costituiscono quello che si definisce l’immaginario collettivo di una cultura. Ecco alcuni esempi di miti della nostra società: il mito della ricchezza (per molti i soldi sono l’obbiettivo più importante della vita, e dunque le macchine lussuose, i vestiti costosi, i gioielli...) o della giovinezza (tutti dobbiamo essere eternamente giovani e usiamo tutti i mezzi per esserlo, interventi di chirurgia estetica, creme e cosmetici, abbigliamento giovanile...) o di un certo tipo di bellezza (tutte le donne, ad esempio, devono essere come le modelle dei giornali: alte, magre, con labbra carnose...). - Nel contatto con gli altri e con le altre culture, quando non ci mettiamo davvero in gioco, può accadere che utilizziamo dei miti presenti e diffusi nella nostra cultura, ossia dei modi di pensare pre-confezionati che usiamo per definire l’identità degli altri e difendere la nostra. Invece di conoscere effettivamente chi ci sta di fronte, nella sua differenza ed unicità, ci facciamo influenzare da opinioni comuni, prive di alcun effettivo fondamento, che circolano nella nostra società. Queste idee sono accettate passivamente dalla gente, senza essere messe in discussione. - Nella storia questo uso del mito è stato strumentalizzato anche per diffondere e affermare posizioni razziste, basti pensare come per secoli il mito della presunta ”superiorità dell’uomo bianco” abbia giustificato aberranti fenomeni sociali dalla tratta degli schiavi fino ai moderni ghetti delle metropoli contemporanee. Come ci si libera di stereotipi, pregiudizi e miti, meccanismi mentali e costruzioni sociali che ci impediscono di metterci in relazione con gli altri e anche con noi stessi? Certamente non è un’operazione semplice ed immediata. Non basta averne coscienza. E’ necessario mettersi radicalmente in discussione, ossia cercare di uscire dai confini abituali del nostro modo di pensare per spingersi al di là, verso gli altri. Solo da una disposizione alla conoscenza autentica degli altri può nascere un dialogo umano e democratico, e dunque possibilità di comunicazione e cooperazione.