Roberto Nava – ANNIVERSARIO PRIMA GUERRA MONDIALE

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Roberto Nava – ANNIVERSARIO PRIMA GUERRA MONDIALE - 5
L’EUROPA RIDISEGNATA
Il dopoguerra
di Francesco Traniello
Si sfaldano tre grandi imperi, nascono nuovi Stati. In tanti casi i vincitori creano i presupposti per
nuovi conflitti: i trattati di pace hanno creato nuovi punti di tensione per ragioni territoriali e nazionali. Nel
1939 ci sarà un’altra guerra, ma non dipenderà dalla prima.
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Una delle conseguenze più rilevanti della Prima guerra mondiale fu senza dubbio la ri-definizione
dello spazio politico-territoriale europeo. Ciò avvenne, prima di tutto, in seguito di nuovi sette Stati
(Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Polonia, Cecoslovacchia, Jugoslavia) generati dallo sfaldamento dei
tre grandi sistemi imperiali - l’impero russo, l’impero austro-ungarico e l’impero tedesco - che prima della
guerra gravitavano sulla parte centrale e orientale del continente; ma anche per il fatto che alcuni degli stati
già esistenti, come Francia, Italia, Romania e Grecia, appartenenti al novero dei vincitori, estesero i propri
confini territoriali.
In entrambi i casi la Guerra mondiale potè apparire come il compimento di un processo storico iniziato
da oltre un secolo, consistente nella creazione o nel
consolidamento degli “Stati nazionali”: vale a dire
di quella particolare forma politica che postulava la
coincidenza tra gli Stati e le nazioni. Questo era
anche uno degli obiettivi che aveva giustificato
l’intervento di guerra degli Stati Uniti contro gli
imperi centrali. Nelle intenzioni del presidente
americano Woodrow Wilson, che se ne era fatto
promotore, tale obiettivo doveva essere completato
dalla costituzione di una organizzazione per la
collaborazione internazionale e la salvaguardia
della pace, detta Società delle Nazioni.
La situazione, tuttavia, già durante la
conferenza di pace tenutasi a Parigi nel 1919-1920,
si rivelò molto più intricata del previsto.
The New York Times dà la notizia dell’attentato all’arciduca
Ferdinando e a sua moglie, 29 giugno 1914
Le divisioni problematiche
Anzitutto la delimitazione delle molteplici nazionalità esistenti in Europa era estremamente
problematica, perché in molte aree esse si trovavano mescolate e, per così dire, sovrapposte. Di conseguenza,
non pochi degli Stati Nazionali in cui si era suddiviso lo spazio europeo avevano finito per includere nei loro
confini minoranze più o meno consistenti di altra e diversa nazionalità. Ciò era avvenuto, in particolare, nel
caso della Polonia, della Cecoslovacchia, della Jugoslavia, della Romania, della Grecia, dell’Italia. Sulla
delimitazione territoriale di molti “Stati nazionali” i vincitori della guerra si erano aspramente divisi durante
le trattative di pace.
Le questioni territoriali avevano alimentato i movimenti nazionalisti. Il Regno d’Italia, per esempio,
non si era esteso solamente, grazie all’acquisizione delle “terre irredente”, su popolazioni di nazionalità
italiana, ma aveva anche inglobato minoranze tedesche e slave. Il caso della città di Fiume, occupata
militarmente nel 1919 da squadre armate irregolari agli ordini di Gabriele D’Annunzio, aveva dato un primo
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drammatico segnale della difficoltà di tracciare un ben definito confine “nazionale”. In Italia i nazionalisti
avevano propagandato il messaggio ingannevole, ma destinato a raccogliere consenso, della “vittoria
mutilata”, cioè di un mancato raggiungimento degli obiettivi per i quali la nazione aveva pagato un alto
tributo di sangue. Il movimento dei fasci italiani di combattimento, fondato a Milano nel 1919, per quanto
privo ancora di un seguito significativo, si era rapidamente impadronito di quel messaggio.
Un'altra ragione di dissenso tra i vincitori della guerra, che aveva complicato le attività di pace (dalle
quali erano stati esclusi i Paesi sconfitti) riguardò le condizioni di pace da imporre alla Germania, dove il
regime imperiale era stato sostituito dal governo democratico-parlamentare della Repubblica di Weimar.
Tra chi, come il governo francese, mirava all’annientamento della Germania, incluso un suo
smembramento territoriale, e chi, come il governo britannico o americano, intendeva invece preservarne a
certe condizioni la fisionomia di Stato indipendente e sovrano, si era addivenuti a soluzioni intermedie.
Alla Germania fu attribuita l’intera colpa della guerra (anche perché l’impero austro-ungarico si era
nel frattempo dissolto), sottoponendola al pagamento di pesanti “riparazioni” di tipo finanziario, a forti
restrizioni sul piano militare, alla smilitarizzazione della Renania, alla perdita delle colonie. Inoltre i suoi
confini furono profondamente ridisegnati: sia a Occidente, in seguito alla cessione di vaste aree già
appartenenti all’impero germanico a vantaggio dei nuovi Stati polacco e cecoslovacco. Ne era tra l’altro
conseguita la separazione geografica della regione tedesca della Prussia orientale dal resto della Germania, in
seguito all’interposizione tra le due aree di una fascia di territorio assegnato alla Polonia, e alla erezione della
città di Danzica, a maggioranza tedesca, in “città libera”.
Mappa delle alleanze militari in Europa nel 1914
Panorama sconvolto nel dopoguerra
I trattati di pace che avevano ridisegnato il volto dell’Europa avevano dunque moltiplicato, e non
ridotto, i punti di tensione per ragioni territoriali e nazionali. Ma a queste ragione se ne aggiungevano altre
di non minore importanza. Va considerato che la guerra, ancora prima della sua conclusione, aveva
esacerbato in tutta l’Europa i conflitti sociali, sfociati in taluni casi in movimenti rivoluzionari: questo fu
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determinato sia dai sacrifici umani e materiali imposti dalla guerra e divenuti insostenibili per le
popolazioni, sia dalla poderosa crescita degli apparati industriali provocata dalle esigenze belliche, sia dalla
svalutazione delle monete nazionali causata dai debiti di guerra e aggravatasi nel dopoguerra.
A fare da detonatore era stata la “rivoluzione di ottobre” con cui, nel 1917, il partito bolscevico, poi
denominato Partito comunista, aveva conquistato il potere in Russia. Esso aveva instaurato una “dittatura
proletaria” sotto forma di repubblica sovietica (cioè basata, almeno in teoria, sui soviet o consigli), aveva
firmato un trattato di pace separata con la Germania (a prezzo di vaste perdite territoriali) e aveva poi
affrontato vittoriosamente una lunga guerra civile, nella quale erano anche intervenute, per combattere contro
il governo bolscevico, truppe di altri Stati. L’esempio della rivoluzione di ottobre era stato contagioso, tanto
che l’onda rivoluzionaria si era propagata in gran parte dell’Europa, investendo in modo particolare, tra il
1918 e il 1919, la Germania e l’Ungheria.
Ma, a parte i casi estremi di movimenti rivoluzionari ispirati
dal modello bolscevico, il panorama politico dell’Europa fu
totalmente sconvolto dalla guerra. Quasi ovunque si verificò nel
dopoguerra un’ascesa di partiti socialisti, appoggiati da agguerriti
movimenti sindacali in forte crescita numerica, e in taluni Paesi (la
Germania, l’Italia) dei partiti a base cattolica. Dal ceppo del
socialismo si erano successivamente distaccati i nuovi partiti
comunisti sorti in molti Paesi europei e coordinati
dall’Internazionale comunista (Comintern) costituita a Mosca nel
1919.
Nel contempo avevano fatto la loro apparizione gruppi e
movimenti adusi alla violenza armata, di confusa ispirazione
ideologica ma tutti contrassegnati da un radicale nazionalismo e
dalla dichiarata ostilità nei riguardi sia dei partiti socialisti (e
comunisti), sia delle istituzioni parlamentari. Il movimento dei
“fasci di combattimento”, già ricordato, trasformato nel 1921 in
Partito nazionale fascista dal suo leader Benito Mussolini, ne fu
uno dei primi esempi; un altro parzialmente analogo, fu la
formazione
fondata in Germania da Adolf Hitler con il nome di
Benito Mussolini 1883-1945
Partito nazional-socialista tedesco dei lavoratori. In molti Stati
europei, anche vincitori della guerra, le istituzioni parlamentari si trovarono nel dopoguerra in crescenti
difficoltà e i governi che si basavano su tali istituzioni sostanzialmente indeboliti. Non mancavano i segnali
che facevano presagire una possibile diffusione in Europa di regimi autoritari.
Guerra dei trent’anni?
C’è ancora un aspetto dello scenario post bellico che occorre menzionare, riguardante la limitata
incidenza esercitata nell’ordine internazionale dalla Società delle Nazioni. Essa fù bensì costituita, secondo
la proposta americana, nel 1919, ma, paradossalmente, senza includere gli Stati Uniti (il cui elettorato si era
espresso in senso contrario ai disegni del Presidente Wilson e a favore dell’isolazionismo), oltre a escludere,
nei suoi primi anni di vita, i rappresentanti degli Stati sconfitti - come la Germania – e della Russia
sovietica. Ne derivò un predominio della Francia e della Gran Bretagna sugli orientamenti della SdN che,
unitamente alla scarsità dei suoi strumenti operativi, rese molto arduo il raggiungimento degli obiettivi di
pace e di equilibrio teoricamente assegnati all’organizzazione.
Tenuto conto di questi molteplici elementi, c’è da chiedersi se hanno ragione quegli storici di varia
nazionalità i quali affermano che fu la Prima guerra mondiale a creare le condizioni dello scoppio della
Seconda, nel 1939, sino a considerare i due terrificanti avvenimenti bellici quasi due episodi di un’unica
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guerra durata all’incirca trent’anni (cioè dal 1914 al 1945). Senza pretendere di dare una risposta univoca a
tale domanda, ci limiteremo ad osservare che la situazione dell’Europa (e del mondo) nel 1939 era
radicalmente mutata rispetto a quella del primo dopoguerra; e che tali mutamenti non stavano
necessariamente iscritti negli assetti che, pur faticosamente, ne erano conseguiti.
Basterà rilevare, in proposito, le circostanze, allora imprevedibili, in cui, nel 1933, prese il potere in
Germania il regime nazionalsocialista, che fu la principale causa scatenante del Secondo conflitto mondiale;
o rammentare la formazione dello spazio euro-asiatico di grande potenza a regime comunista, l’Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche (URSS), sotto la ferrea e sanguinaria dittatura stalinista; o ancora fare
riferimento alla politica imperialista messa in atto, negli anni ’30, dal regime fascista italiano. Senza poi
trascurare il fatto che i due maggiori alleati della Germania nella Seconda guerra mondiale, il Giappone e
l’Italia, si erano schierati, nella prima, proprio dell’altra parte.
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