La pace che preparò una nuova guerra Le trattative di pace furono condotte dai vincitori con la volontà di punire il nemico. In particolare alla Germania vennero imposte condizioni pesantissime: ritorno dell'Alsazia e della Lorena alla Francia, a cui era anche concesso per 15 anni lo sfruttamento dei giacimenti minerari tedeschi della Saar. La Germania dovette anche cedere ampi territori alla Polonia, che tornò a essere indipendente. Le colonie tedesche furono spartite tra Francia, Inghilterra, Belgio e Giappone. L’esercito fu ridotto e la Germania venne costretta a pagare ai vincitori una cifra enorme, che avrebbe impedito per anni la ripresa economica dello stato tedesco. Finì l'impero asburgico. Sorsero nuovi stati: Cecoslovacchia e Jugoslavia, che raggruppava la Serbia, il Montenegro, la Croazia, la Slovenia e la Bosnia-Erzegovina. Austria e Ungheria furono ridotte a repubbliche di dimensioni all'incirca pari a quelle attuali. Fu smembrato l'Impero ottomano, i cui territori in Medio Oriente furono affidati al mandato francese (il Libano e la Siria) e inglese (la Palestina, la Transgiordania, l'Iraq). L’Italia ottenne la Venezia Giulia, il Trentino e l'Alto Adige (dove c'era e c'è tuttora una forte componente di popolazione tirolese di lingua tedesca). Era poco rispetto alle promesse del Patto di Londra, che non fu mantenuto soprattutto per poter dare la Dalmazia alla Jugoslavia. Le condizioni inflitte ai paesi vinti e il malcontento di paesi vincitori (come l'Italia) crearono subito nuovi rancori e desideri di rivincita. Per iniziativa di Wilson (presidente USA), alla Conferenza di pace di Parigi venne creata la Società delle nazioni, un organismo internazionale che prevedeva, da parte degli stati membri, la rinuncia alla guerra come mezzo per la soluzione dei contrasti. 1 Questi dovevano essere risolti con la trattativa diplomatica ed erano previste sanzioni economiche contro gli stati che non avessero rispettato tali criteri. Ma la Società delle nazioni nacque debole perché ne rimasero esclusi i paesi sconfitti, la Russia e inaspettatamente gli stessi Stati Uniti, in quanto il parlamento americano respinse la proposta di Wilson. La capacità di reale intervento per impedire future guerre fu quindi assai ridotta. La pace appena conclusa rischiava di durare poco. La Grande guerra non determinò soltanto un terribile massacro, ma in Europa fu anche all'origine di una gravissima crisi economica e sociale. Durante la guerra, le nazioni europee avevano sostenuto spese fortissime per le operazioni militari e ora erano indebitate in modo pesante soprattutto con gli Stati Uniti. Gli USA, poiché la guerra era stata combattuta in Europa, avevano potuto mantenere intatte le loro industrie, anzi le avevano potenziate quasi in ogni settore. All'inizio degli anni Venti oltre il 45% della produzione industriale mondiale proveniva dalle fabbriche statunitensi. In Europa il paese più provato dal conflitto era la Germania. Avendo perso alcuni dei suoi territori più ricchi di risorse e dovendo pagare una cifra enorme come risarcimento per i danni di guerra, questo paese precipitò in una profonda crisi economica. L’inflazione raggiunse livelli elevatissimi, tanto che, per fare un minimo di spesa, occorrevano milioni di marchi (il marco era la moneta tedesca) e nell' arco di qualche giorno la cifra raddoppiava o triplicava. La crescita dei prezzi, che in modo più limitato riguardò anche gli altri paesi europei, distrusse la sicurezza economica di molte categorie di cittadini. I risparmiatori che avevano depositi in 2 banca videro ridursi giorno dopo giorno il valore dei loro soldi. I lavoratori salariati, dal canto loro, riscuotevano paghe che di fatto avevano un valore inferiore a quelle del periodo precedente la guerra. Verso la fine della guerra per risollevare il morale delle truppe molti stati (fra cui l'Italia) avevano promesso ai soldati la distribuzione delle terre. Dopo il conflitto, però, le promesse non furono mantenute, suscitando un profondo malcontento tra i reduci. Inoltre durante la guerra le donne avevano sostituito gli uomini in molte attività: adesso, però, si poneva il problema di reinserire nel mondo del lavoro quanti tornavano dal fronte. Costoro, dopo aver rischiato per anni la vita, aver condotto la durissima esistenza della trincea e aver riportato in molti casi ferite e mutilazioni, «pretendevano» un posto di lavoro. Il problema della disoccupazione era aggravato dal fatto che molte industrie durante la guerra erano state adattate alla produzione di armi Ora bisognava riconvertirle a una produzione di pace, il che richiedeva tempo e molto denaro. Infine chi al fronte aveva avuto posizioni di comando (gli ufficiali) si adattava con fatica a tornare a un lavoro subordinato. Sorsero così associazioni di ex combattenti, che sostenevano gli interessi dei reduci e appoggiavano i partiti che prendevano le loro difese. La crisi nel primo dopoguerra fu aggravata anche dalla violentissima epidemia di influenza, nota come la spagnola, che tra il 1918 e il 1919 provocò oltre 21 milioni di morti, in tutti i continenti. In Italia la Grande guerra, sebbene vittoriosa, aveva lasciato dietro di sé pesanti conseguenze. Lo stato aveva contratto debiti enormi per le spese militari e l'inflazione 3 era elevatissima: i prezzi dal 1913 al 1921 all'incirca quintuplicarono. Inoltre durante la guerra alcuni settori industriali erano cresciuti enormemente sotto la spinta della continua richiesta di materiali bellici, ma ora avevano gravi problemi per la riconversione a una produzione di pace. Le classi sociali avevano tutte motivi di scontento e lo manifestavano in forme più o meno dure. I contadini reclamavano la terra loro promessa in tempo di guerra. Soprattutto nel Centro-Sud avvennero occupazioni di latifondi e il governo nel 1919 finì per accettarle, obbligando però i contadini a pagare un risarcimento ai proprietari. La classe operaia con una serie di scioperi tentò non solo di recuperare il potere d'acquisto dei salari, che era notevolmente diminuito a causa dell' aumento dei prezzi, ma anche di acquisire maggiore potere di decisione nelle fabbriche. I ceti medi, e soprattutto la piccola borghesia, spesso avevano perso gran parte dei loro risparmi a causa dell'inflazione. Inoltre proprio dai ceti medi veniva la maggioranza degli ufficiali che avevano combattuto durante la guerra e ora mal si adattavano a tornare a lavori di ufficio monotoni e noiosi, il più delle volte malpagati o - peggio - alla disoccupazione. Si affermarono i grandi movimenti di massa (socialisti e cattolici), dall'altro gli stessi ceti imprenditoriali (industriali, agrari) talora preferirono affidarsi, anziché ai liberali, ai più energici movimenti nazionalisti e di estrema Destra per frenare la crescita dei socialisti. Per quanto riguarda i partiti di massa, nel dopoguerra venne meno il rifiuto cattolico di partecipare all' attività politica, che si era mantenuto, sebbene con qualche eccezione, dal tempo della presa di Roma. Nel gennaio del 1919 fu fondato dal sacerdote siciliano don Luigi Sturzo il Partito popolare italiano (PPI), che proponeva 4 un programma ispirato ai princìpi della democrazia e del cattolicesimo. Pur dichiarando di essere laico, in realtà era profondamente legato alle gerarchie ecclesiastiche. Il PPI ebbe subito un largo successo e alle elezioni del novembre del 1919 ottenne il 20% dei voti. Parallelamente a quella dei popolari si ebbe una crescita impetuosa del Partito socialista italiano (PSI) e degli iscritti al sindacato della CGL (Confederazione generale del lavoro). I socialisti alle elezioni del 1919 raggiunsero quasi il 32% dei voti. 5