Il primo dopoguerra La crisi politica In tutta Europa nel primo dopoguerra si affermarono tendenze politiche autoritarie. Le ragioni furono molteplici. In primo luogo, il cambiamento della società iniziato con la Belle Époque aveva fatto aumentare il desiderio della gente di partecipare alla vita politica; erano ormai nati i partiti di massa, di stampo cattolico o socialista. Tuttavia i governi liberali erano impreparati ad affrontare questi cambiamenti ed entrarono in crisi. Inoltre i partiti comunisti di molti paesi europei, volendo seguire l’esempio della Rivoluzione Russa, provocarono scioperi e disordini di ogni tipo, a cui i governi risposero con la forza. La guerra, infine, aveva introdotto nelle persone una certa familiarità con l’uso della violenza: il tipo di vita condotta al fronte, fondata sulla gerarchia e sull’odio verso il nemico, venne spesso trasferita dalle trincee all’esistenza quotidiana e all’azione politica. La situazione nei paesi europei In Ungheria e in Polonia andarono al potere due militari e si affermano governi autoritari, come pure negli stati baltici e in Finlandia (paesi nati dopo il crollo dell’Impero Russo). L’Austria, dopo la dissoluzione dell’Impero Asburgico, divenne una repubblica. Il partito di maggioranza era quello cattolico, ma ricevevano molti consensi anche i nazionalisti che premevano per la creazione di un grande stato tedesco costituito da Germania e Austria. Questo fatto avrebbe avuto un peso cruciale soprattutto dopo l’avvento di Hitler e del partito Nazista. In Francia, nazione molto provata dal conflitto, la ricostruzione fu rapida: tra1919 e il 1930 il paese riuscì a ritornare al precedente benessere economico. La situazione politica era però instabile e nacquero diverse formazioni estremiste, come il Partito Comunista Francese. Nel 1936, per la prima volta, diventerà Presidente del Consiglio un socialista, ma il suo governo durerà poco. La Gran Bretagna nel primo dopoguerra perse il suo primato industriale e commerciale a vantaggio degli Stati Uniti. Politicamente però restò stabile, anche perché nella classe operaia inglese prevalevano le idee riformiste rispetto a quelle rivoluzionarie. Anche le classi più povere iniziarono a partecipare alla vita politica grazie all’introduzione, nel 1918, del suffragio universale (sia maschile che femminile). Si giunse inoltre a una parziale risoluzione della questione irlandese: dopo aver combattuto una guerra d’indipendenza, l’Irlanda ottenne una larga autonomia (1921) dal Regno Unito. Tuttavia il nord del paese (Ulster) rimase sotto il diretto controllo britannico, in quanto a maggioranza protestante, e ciò non piacque ai nazionalisti irlandesi più intransigenti, che avrebbero voluto un paese unito. Iniziò così una fase di guerra civile tra i moderati e i membri più estremisti dell’IRA (Irish Republican Army), che vennero sconfitti nel 1923. L’Irlanda restò così divisa in due parti; la Repubblica d’Irlanda divenne completamente indipendente nel 1937, ma nell’Ulster non cessò la guerriglia dell’IRA, divenuta una vera e propria organizzazione terroristica. Anche l’impero coloniale britannico si dissolse, con la nascita del Commonwealth nel 1931: Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa divennero paesi indipendenti, accomunati solo da una formale fedeltà alla corona britannica e da una cooperazione economica. La Turchia di Atatürk: finisce la Storia dell’Impero Ottomano Nell’Impero Ottomano, ormai ridotto alla sola Turchia dopo i trattati di pace, l’eroe di guerra Mustafà Kemal attuò un colpo di stato, deponendo il sultano e proclamando la repubblica. Diede inizio poi ad un’opera di modernizzazione del paese, ridimensionando il ruolo dell’Islam. Si guadagnò così il titolo di Atatürk (“padre dei Turchi”), perché è considerato il “padre” della Turchia moderna. Questo cambiamento fu però attuato in modo autoritario e assegnando grande potere alle forze armate: il popolo, rimasto in buona parte legato alle tradizioni islamiche, considerò le riforme un’imposizione dall’alto. Inoltre Atatürk era favorevole ad un nazionalismo estremo, che già da tempo era diffuso negli ambienti militari turchi e che, durante la Prima guerra mondiale, aveva dato origine al genocidio degli Armeni. La nascita della società di massa Nel primo dopoguerra, anche per venire incontro alle esigenze della ricostruzione, l’industria ebbe un nuovo impulso. Crebbe anche il settore terziario, con lo sviluppo di una serie di nuove figure professionali indispensabili ormai per la vita moderna (ingegneri, elettricisti, centralinisti, impiegati statali). Tutti costoro costituivano il cosiddetto “ceto medio” che attenuava la netta divisione tra grande borghesia e proletariato. La diffusione di nuovi beni di consumo e di svaghi per il tempo libero, iniziata durante la Belle Époque, rese però la popolazione sempre più omologata nei comportamenti e negli acquisti, anche perché di ogni prodotto esistevano sul mercato poche tipologie. Si creò così un modello di società in cui ogni bisogno veniva soddisfatto in modo uniforme. La massa finì per prevalere sull’individuo. Anche il lavoro in fabbrica, con l’avvento della catena di montaggio, non contribuiva certo a valorizzare le capacità individuali dei singoli operai. Così come in trincea il singolo soldato non contava nulla, anche nell’industria l’individuo era ridotto ad un “ingranaggio” della catena di produzione. In questa situazione i grandi partiti, caratterizzati da programmi semplici e slogan d’effetto ripetuti in manifestazioni di piazza, sembrarono a molti un buon modo per uscire dall’anonimato e diventare protagonisti della società.