la bevanda nera Storia del caffè Genova ed il caffè: una relazione commerciale a doppio filo che intreccia da secoli le attività del porto ligure alla diffusione di un prodotto dalle caratteristiche universali. La storia del caffè inizia in Oriente nei tempi più antichi, con un consumo talmente diffuso da aggirare le barriere legate all’appartenenza sociale. La disputa sul luogo d’origine delle prelibate bacche gemelle affonda parte delle sue ragioni nelle numerose leggende che nutrono la mitologia legata alla bevanda. I primi semi attecchirono sugli altopiani del Caffa, in Etiopia, dove ancor oggi cresce spontaneamente. Ma è dal vicino Yemen, noto ai tempi come Arabia Felix che, dal X secolo, gli arabi traggono i chicchi per la preparazione della bevanda nera. Proprio all’emirato sono così legate alcune delle testimonianze sulle caratteristiche “magiche” della pozione: la scoperta delle doti eccitanti o l’apprezzamento di Maometto verso una pozione nera come la Pietra Nera, preparata da Allah e consegnata al profeta dall’Arcangelo Gabriele per sconfiggere un’improvvisa malattia del sonno e ridonargli vigore e forza in guerra e in amore. Il caffè insomma era apprezzato per le stesse doti corroboranti che ne favorirono la diffusione tra i religiosi arabi: un aiuto provvidenziale rimanere svegli durante le preghiere notturne. Da queste zone partì quella che in seguito sarebbe stata una conquista trionfale d’ogni angolo del mondo grazie alla vivacità mercantile di cui il crocevia di Genova è stato indiscutibile baluardo. Le prime testimonianze certe riferite ad una misteriosa bevanda nera ed amara con virtù eccitanti, risalgono all’anno 800 e sono confermate intorno al Mille dall’uso come farmaco da parte del medico arabo Avicenna. A partire dal XIV secolo il qahwah, valorizzato dalla messa a punto dei procedimenti di stagionatura e torrefazione, si diffonde sempre più, tanto da destare preoccupazione nel ceto religioso e dispute sugli effetti eccitanti. Ma il consumo di caffè, chiamato “vino arabo” per le sue virtù tonificanti, in realtà non fu mai proibito.Tra il XV ed il XVI secolo se ne incrementò anzi il commercio. Crebbero le piantagioni prima in Arabia, poi in India, e la maggiore quantità di prodotto disponibile affinò il fiuto dei mercanti. Risalgono ad allora, infatti, le prime esportazioni, con l’invio di partite oltre il Mar Rosso, verso i grandi mercati egiziani, verso Alessandria, Il Cairo, Smirne. Occorre aspettare il Cinquecento perché la storia dei grandi porti europei, tra i quali Genova, cominci ad intrecciarsi con quella del “caffè coloniale”, protagonista del traffico commerciale e di una nuova cultura. Non a caso, la diffusione dell’Islam ebbe grande importanza nella storia del nuovo costume, legata a ragioni politiche, in Africa, Europa e Asia Meridionale. Ufficialmente il caffè arrivò in Europa come retaggio commerciale della contesa tra musulmani e cristiani, tra impero turco e spagnolo, avvenuta proprio nel Cinquecento. La raccolta Il tempo del raccolto è collegato alla situazione geografica, alle condizioni del clima ed all’altitudine. In Brasile si compie da maggio a settembre, in Africa da marzo a settembre. La maturazione non avviene contemporaneamente per tutte le bacche; la raccolta si protrae quindi per varie settimane attraverso più fasi intermedie. I frutti maturi possono essere recisi a mano o accuratamente staccati con rastrelletti e poi deposti in ceste e panieri. Questo metodo consente di ottenere chicchi di grande qualità. Oppure possono essere perticati, con l’ausilio di teloni di plastica stesi sotto le piante. Il rischio è mischiare al raccolto bacche parassitarie, terra, pietre ed impurità varie. Oggi apposite raccoglitrici automatiche possono compiere l’opera in maniera del tutto automatizzata, sebbene centinaia di persone si dedichino comunque nella fazenda a staccare le preziose bacche rosse. La classificazione Dai porti ai magazzini La classificazione è una nozione indispensabile per determinare chiaramente le caratteristiche ed il valore del prodotto. Per una normale valutazione si prendono in considerazione l’origine, la specie botanica (Arabica o Robusta) l’annata di raccolto (importante per il diverso valore di caffè nuovo e caffè vecchio); e ancora il metodo di lavorazione (dal lavato al naturale al depellicolato), la diversa forma del chicco e la sua grandezza, il tipo, dipendente dai difetti insiti nel caffè e dai corpi estranei di varia natura presenti nella partita, il colore (da cui si può risalire anche all’anzianità), la tostatura e, per finire, il colore ed il gusto in tazza. Dalle aziende di produzione il caffè verde o crudo viene avviato ai porti d’imbarco con svariati mezzi: stradali, ferroviari, fluviali. Qui, con l’ausilio di gru e sacchi, i chicchi vengono caricati sulle navi. La destinazione sono i principali porti dotati di magazzini di stoccaggio, come Genova, Napoli, Trieste e Venezia. Una volta lasciati i porti, i chicchi vengono conservati in particolari silos che ne garantiscono la perfetta conservazione. Oppure accatastati in appositi magazzini asciutti, arieggiati e poco luminosi, dove possono sostare a lungo senza subire alterazioni, ma, anzi, migliorando le loro caratteristiche. Sia nei magazzini sia durante il trasporto verso i paesi consumatori, le partite di caffè verde devono rimanere lontane da merci fortemente odoranti poichè il chicco assorbe facilmente odori e sapori. La conseguenza inevitabile sarebbe compromettere le proprietà specifiche del caffè. Il caffè arriva in Italia L’introduzione del caffè in Italia va a merito di Prospero Alpino, medico e botanico padovano che nel 1570 portò alcuni sacchi di chicchi bruni come souvenir di un viaggio in Oriente. Le conseguenze sull’organismo suggerirono inizialmente un uso farmaceutico, come antidoto dal prezzo salatissimo a molti mali. Il debutto in società sotto forma di bevanda risale invece al 1638, a Venezia. Nella Serenissima Repubblica, poco più di un secolo dopo, si contavano già 206 locali per la sua degustazione: i caffè, appunto. È nel Seicento che si arriva a comprenderne la potenzialità di mercato, testimoniata dal successo travolgente del nuovo costume. Già nel 1676 il senato veneziano s’industriava a ricavare quattrini dal commercio del “vino arabo”, seguito a ruota dalla Repubblica di Genova, autrice nel 1683 della delibera che assoggettava la vendita ad una concessione, per facilitarne lo sfruttamento da un punto di vista fiscale. Grazie al porto, Genova ha infatti da subito il ruolo di tappa obbligata e di terminale privilegiato delle rotte mondiali della diffusione del caffè. Una storia di traffici, non solo mate- riali ma anche culturali. Se il Cinquecento fu il secolo della scoperta e il Seicento della prima diffusione, il Settecento sancì il pieno gradimento del pubblico verso la bevanda nera. Un fenomeno che dall’Italia percorre tutta l’Europa, imponendosi con la forza di una vera e propria moda. In Francia divenne uno status symbol dell’aristocrazia e della ricca borghesia visto il gradimento di Luigi XIV: il Re Sole amava infatti prepararlo personalmente agli amici. La diffusione capillare interessa in pochi anni quasi tutto il vecchio continente. I mercanti inglesi che solcano il Mediterraneo fiutano l’aroma dell’affare già nel ‘600 e, a fine secolo, gli austriaci festeggiano a Vienna non solo la fine dell’assedio turco ma anche l’abbandono di numerosi sacchi di caffè. Tornando all’Italia, l’espansione partì dalle botteghe, la prima fondata a Venezia, proprio nel 1683, e molte sorte subito dopo a Genova,Torino, Milano, Firenze, Roma e Napoli. La curiosità per la bevanda produsse un irrefrenabile dilagare di altri esercizi per sperimentare le virtù dell’accattivante infuso nero. Nel 1716, viste le oltre duecento caffetterie presenti sul suolo veneziano, fu addirittura stilato un opuscolo in difesa del caffè e delle sue caratteristiche: una prima forma di pubblicità. Alcuni esponenti della Chiesa di Roma, affatto entusiasti di quella che ormai era una vera e propria moda, tentarono, come già il clero arabo secoli prima, di interdirne il consumo. La miglior risposta fu il commento del Pontefice Clemente VIII dopo l’assaggio: “Questa bevanda è così deliziosa che sarebbe un peccato lasciarla bere solo ai miscredenti!”. Una piena legittimazione che, se possibile, fece ulteriormente crescere la popolarità del caffè e, con essa, quella dei luoghi di consumo, divenuti punti d’incontro e d’aggregazione frequentatissimi. Il blocco napoleonico e la decadenza della Repubblica di Venezia segnarono un rallentamento nel consumo del caffè ma, superata questa fase, nuovi porti e nuovi commerci assunsero un rilievo ben maggiore del passato. E’ così che verso la fine dell’Ottocento nacquero le prime associazioni di categoria, tra cui, nel 1901, l‘Assocaf, Associazione di Importatori di Caffè e Coloniali che nasceva proprio a Genova, porto fondamentale sulla ragnatela di rotte tessuta grazie al commercio e al gradimento del caffè. La lavorazione Il caffè è un prodotto delicato. Dopo la raccolta i chicchi vanno estratti nel giro di pochi giorni, eliminando la polpa e le varie pellicole che li circondano. I semi possono essere estratti a secco, con lo spargimento delle bacche raccolte su spiazzi destinati all’essiccazione per 15 o 20 giorni. È questo il metodo più economico, cui segue la sgusciatura in specifiche macchine. Ma esiste anche l’estrazione a umido con l’introduzione delle bacche in grandi serbatoi d’acqua per una notte prima della spelatura. I chicchi vanno infine lavati per eliminare ogni residuo in attesa della torrefazione, che porterà ad un ulteriore stadio il prodotto crudo. Il caffè verde in chicchi viene oggi immesso in silos dove la tostatura avviene ad aria calda forzata, nel giro di 3-6 minuti. La temperatura ideale è di 200-240°. 1