Pagina 1 - Il Secolo XIX

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la bevanda nera
Storia del caffè
Genova ed il caffè: una relazione
commerciale a doppio filo che
intreccia da secoli le attività del
porto ligure alla diffusione di un
prodotto dalle caratteristiche
universali. La storia del caffè inizia in Oriente nei tempi più antichi, con un consumo talmente
diffuso da aggirare le barriere
legate all’appartenenza sociale.
La disputa sul luogo d’origine
delle prelibate bacche gemelle
affonda parte delle sue ragioni
nelle numerose leggende che
nutrono la mitologia legata alla
bevanda. I primi semi attecchirono sugli altopiani del Caffa, in
Etiopia, dove ancor oggi cresce
spontaneamente. Ma è dal vicino
Yemen, noto ai tempi come Arabia Felix che, dal X secolo, gli
arabi traggono i chicchi per la
preparazione della bevanda nera.
Proprio all’emirato sono così legate alcune delle testimonianze
sulle caratteristiche “magiche”
della pozione: la scoperta delle
doti eccitanti o l’apprezzamento
di Maometto verso una pozione
nera come la Pietra Nera, preparata da Allah e consegnata al profeta dall’Arcangelo Gabriele per
sconfiggere un’improvvisa malattia del sonno e ridonargli vigore
e forza in guerra e in amore. Il
caffè insomma era apprezzato
per le stesse doti corroboranti
che ne favorirono la diffusione
tra i religiosi arabi: un aiuto provvidenziale rimanere svegli durante le preghiere notturne. Da
queste zone partì quella che in
seguito sarebbe stata una conquista trionfale d’ogni angolo del
mondo grazie alla vivacità mercantile di cui il crocevia di Genova è stato indiscutibile baluardo. Le prime testimonianze certe
riferite ad una misteriosa bevanda nera ed amara con virtù eccitanti, risalgono all’anno 800 e
sono confermate intorno al Mille
dall’uso come farmaco da parte
del medico arabo Avicenna. A
partire dal XIV secolo il qahwah,
valorizzato dalla messa a punto
dei procedimenti di stagionatura
e torrefazione, si diffonde sempre più, tanto da destare preoccupazione nel ceto religioso e
dispute sugli effetti eccitanti. Ma
il consumo di caffè, chiamato
“vino arabo” per le sue virtù
tonificanti, in realtà non fu mai
proibito.Tra il XV ed il XVI secolo se ne incrementò anzi il commercio. Crebbero le piantagioni
prima in Arabia, poi in India, e la
maggiore quantità di prodotto
disponibile affinò il fiuto dei mercanti. Risalgono ad allora, infatti,
le prime esportazioni, con l’invio
di partite oltre il Mar Rosso,
verso i grandi mercati egiziani,
verso Alessandria, Il Cairo,
Smirne. Occorre aspettare il
Cinquecento perché la storia dei
grandi porti europei, tra i quali
Genova, cominci ad intrecciarsi
con quella del “caffè coloniale”,
protagonista del traffico commerciale e di una nuova cultura.
Non a caso, la diffusione
dell’Islam ebbe grande importanza nella storia del nuovo costume, legata a ragioni politiche,
in Africa, Europa e Asia Meridionale. Ufficialmente il caffè arrivò in Europa come retaggio
commerciale della contesa tra
musulmani e cristiani, tra impero
turco e spagnolo, avvenuta proprio nel Cinquecento.
La raccolta
Il tempo del raccolto è collegato alla situazione geografica, alle condizioni del clima ed all’altitudine. In Brasile si compie da maggio a
settembre, in Africa da marzo a settembre. La maturazione non
avviene contemporaneamente per tutte le bacche; la raccolta si protrae quindi per varie settimane attraverso più fasi intermedie. I frutti maturi possono essere recisi a mano o accuratamente staccati
con rastrelletti e poi deposti in ceste e panieri. Questo metodo
consente di ottenere chicchi di grande qualità. Oppure possono
essere perticati, con l’ausilio di teloni di plastica stesi sotto le piante. Il rischio è mischiare al raccolto bacche parassitarie, terra, pietre
ed impurità varie. Oggi apposite raccoglitrici automatiche possono
compiere l’opera in maniera del tutto automatizzata, sebbene centinaia di persone si dedichino comunque nella fazenda a staccare le
preziose bacche rosse.
La classificazione
Dai porti ai magazzini
La classificazione è una nozione indispensabile per
determinare chiaramente le caratteristiche ed il
valore del prodotto. Per una normale valutazione si
prendono in considerazione l’origine, la specie
botanica (Arabica o Robusta) l’annata di raccolto
(importante per il diverso valore di caffè nuovo e
caffè vecchio); e ancora il metodo di lavorazione
(dal lavato al naturale al depellicolato), la diversa
forma del chicco e la sua grandezza, il tipo, dipendente dai difetti insiti nel caffè e dai corpi estranei
di varia natura presenti nella partita, il colore (da cui
si può risalire anche all’anzianità), la tostatura e, per
finire, il colore ed il gusto in tazza.
Dalle aziende di produzione il caffè verde o crudo viene avviato
ai porti d’imbarco con svariati mezzi: stradali, ferroviari, fluviali.
Qui, con l’ausilio di gru e sacchi, i chicchi vengono caricati sulle
navi. La destinazione sono i principali porti dotati di magazzini di
stoccaggio, come Genova, Napoli, Trieste e Venezia. Una volta
lasciati i porti, i chicchi vengono conservati in particolari silos che
ne garantiscono la perfetta conservazione. Oppure accatastati in
appositi magazzini asciutti, arieggiati e poco luminosi, dove possono sostare a lungo senza subire alterazioni, ma, anzi, migliorando le loro caratteristiche. Sia nei magazzini sia durante il trasporto verso i paesi consumatori, le partite di caffè verde devono rimanere lontane da merci fortemente odoranti poichè il
chicco assorbe facilmente odori e sapori. La conseguenza inevitabile sarebbe compromettere le proprietà specifiche del caffè.
Il caffè arriva in Italia
L’introduzione del caffè in Italia
va a merito di Prospero Alpino,
medico e botanico padovano
che nel 1570 portò alcuni sacchi
di chicchi bruni come souvenir
di un viaggio in Oriente. Le conseguenze sull’organismo suggerirono inizialmente un uso farmaceutico, come antidoto dal
prezzo salatissimo a molti mali.
Il debutto in società sotto forma di bevanda risale invece al
1638, a Venezia. Nella Serenissima Repubblica, poco più di un
secolo dopo, si contavano già
206 locali per la sua degustazione: i caffè, appunto.
È nel Seicento che si arriva a
comprenderne la potenzialità di
mercato, testimoniata dal successo travolgente del nuovo
costume. Già nel 1676 il senato
veneziano s’industriava a ricavare quattrini dal commercio del
“vino arabo”, seguito a ruota
dalla Repubblica di Genova,
autrice nel 1683 della delibera
che assoggettava la vendita ad
una concessione, per facilitarne
lo sfruttamento da un punto di
vista fiscale. Grazie al porto, Genova ha infatti da subito il ruolo
di tappa obbligata e di terminale
privilegiato delle rotte mondiali
della diffusione del caffè. Una
storia di traffici, non solo mate-
riali ma anche culturali.
Se il Cinquecento fu il secolo
della scoperta e il Seicento della
prima diffusione, il Settecento
sancì il pieno gradimento del
pubblico verso la bevanda nera.
Un fenomeno che dall’Italia percorre tutta l’Europa, imponendosi con la forza di una vera e
propria moda. In Francia divenne uno status symbol dell’aristocrazia e della ricca borghesia
visto il gradimento di Luigi XIV:
il Re Sole amava infatti prepararlo personalmente agli amici.
La diffusione capillare interessa
in pochi anni quasi tutto il vecchio continente. I mercanti inglesi che solcano il Mediterraneo fiutano l’aroma dell’affare
già nel ‘600 e, a fine secolo, gli
austriaci festeggiano a Vienna
non solo la fine dell’assedio
turco ma anche l’abbandono di
numerosi sacchi di caffè.
Tornando all’Italia, l’espansione
partì dalle botteghe, la prima
fondata a Venezia, proprio nel
1683, e molte sorte subito dopo
a Genova,Torino, Milano, Firenze, Roma e Napoli. La curiosità
per la bevanda produsse un irrefrenabile dilagare di altri esercizi per sperimentare le virtù
dell’accattivante infuso nero.
Nel 1716, viste le oltre duecento caffetterie presenti sul
suolo veneziano, fu addirittura
stilato un opuscolo in difesa del
caffè e delle sue caratteristiche:
una prima forma di pubblicità.
Alcuni esponenti della Chiesa di
Roma, affatto entusiasti di quella che ormai era una vera e propria moda, tentarono, come già
il clero arabo secoli prima, di
interdirne il consumo. La miglior
risposta fu il commento del
Pontefice Clemente VIII dopo
l’assaggio: “Questa bevanda è
così deliziosa che sarebbe un
peccato lasciarla bere solo ai
miscredenti!”. Una piena legittimazione che, se possibile, fece
ulteriormente crescere la popolarità del caffè e, con essa, quella dei luoghi di consumo, divenuti punti d’incontro e d’aggregazione frequentatissimi.
Il blocco napoleonico e la decadenza della Repubblica di
Venezia segnarono un rallentamento nel consumo del caffè
ma, superata questa fase, nuovi
porti e nuovi commerci assunsero un rilievo ben maggiore del
passato. E’ così che verso la fine
dell’Ottocento nacquero le
prime associazioni di categoria,
tra cui, nel 1901, l‘Assocaf,
Associazione di Importatori di
Caffè e Coloniali che nasceva
proprio a Genova, porto fondamentale sulla ragnatela di rotte
tessuta grazie al commercio e al
gradimento del caffè.
La lavorazione
Il caffè è un prodotto delicato. Dopo la raccolta i chicchi vanno
estratti nel giro di pochi giorni, eliminando la polpa e le varie pellicole che li circondano. I semi possono essere estratti a secco, con
lo spargimento delle bacche raccolte su spiazzi destinati all’essiccazione per 15 o 20 giorni.
È questo il metodo più economico, cui segue la sgusciatura in specifiche macchine.
Ma esiste anche l’estrazione a umido con l’introduzione delle bacche in grandi serbatoi d’acqua per una notte prima della spelatura. I
chicchi vanno infine lavati per eliminare ogni residuo in attesa della
torrefazione, che porterà ad un ulteriore stadio il prodotto crudo.
Il caffè verde in chicchi viene oggi immesso in silos dove la tostatura avviene ad aria calda forzata, nel giro di 3-6 minuti. La temperatura ideale è di 200-240°.
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