Appunti sulla produzione cameristica di alcuni compositori dell

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APPUNTI SULLA MUSICA CAMERISTICA DI MENDELSSOHN E SCHUMANN
[da R. Larry Todd, The chamber music of Mendelssohn, in 19th century chamber music,
ed. by S. Hefling, Routledge, New York 2003, pp. 170-207; John Daverio, “Beautiful and abstruse conversations”. The chamber music of Robert Schumann, ivi, pp. 208-241)
Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847)
La musica da camera ha un ruolo centrale nell’attività compositiva e nella
concezione estetica di Mendelssohn. Egli compose brani cameristici per tutta la vita;
inoltre, partecipò come pianista a numerose esecuzioni di musica da camera.
Nell’inverno 1831-2, per esempio eseguì a Parigi i concerti per pianoforte di Mozart con
accompagnamento di quartetto; negli anni ‘40 a Lipsia prese parte con successo alle
“musikalische Abendunterhaltungen” del Gewandhaus (una serie di concerti da camera
che si aggiungevano alle regolari serie di concerti orchestrali per sottoscrizione)
eseguendo composizioni di Mozart e Beethoven. Inoltre come violinista e violista prese
parte a esecuzioni del suo Ottetto.
La produzione cameristica di Mendelssohn può essere divisa in quattro fasi.
1) Nel 1824 Mendelssohn aveva già completato una gran quantità di
composizioni di tutti i generi. Le composizioni cameristiche dei primi anni Venti
rivelano l’influenza di Haydn e Mozart: si tratta di un Trio per pianoforte violino e
viola, una Sonata per violino, un Quartetto con pianoforte in re minore (rimasto inedito,
1821-2, forse eseguito per Goethe a Weimar; ispirato ai due quartetti di Mozart K478 e
493, è la prima opera di Mendelssohn a esplorare il contrasto tematico in un movimento
in forma sonata), un Quartetto per archi in mi bemolle maggiore, in 4 movimenti con il
finale in forma di doppia fuga che riflette l’insegnamento di Zelter ma anche l’esempio
dei quartetti op. 20 di Haydn e il K387 di Mozart. Troviamo anche fughe a 3 e 4 parti
per violino e pianoforte e per quartetto d’archi, scritte per assimilare il contrappunto
bachiano.
Le prime composizioni che Mendelssohn decide di pubblicare, tra 1823 e 1825,
sono, significativamente, composizioni cameristiche. Le opp. 1, 2 e 3 sono Quartetti con
pianoforte: se l’op. 1 è ampiamente debitrice di Mozart, l’op. 2 costituisce dal punto di
vista formale il primo vero confronto con la musica di Beethoven, mentre per la
scrittura pianistica ricorda Hummel e Weber; e l’op. 3 in si minore, la più riuscita e
impegnata opera giovanile, è caratterizzata da sperimentazione formale, ricerca di
interrelazioni tematiche fra i movimenti, ricchezza di invenzione. Mendelssohn eseguì
questo quartetto nel 1825 a Parigi, dove Cherubini lo apprezzò in modo particolare. Ai
quartetti segue come op. 4 una Sonata per violino e pianoforte, che si muove nell’orbita
dell’op. 3. Al 1823-24 risalgono anche alcune composizioni che Mendelssohn scelse di
non pubblicare: una Sonata per viola e pianoforte (pubblicata nel 1966), una Sonata per
clarinetto (pubblicata nel 1987), e un Sestetto con pianoforte pubblicato postumo come
op. 110 nel 1868. Queste due ultime composizioni si ricollegano alle mode della vita
concertistica berlinese. La sonata per clarinetto è quindi fortemente debitrice della
musica di Weber. L’organico del Sestetto (violino, due viole, violoncello, contrabbasso
e pianoforte) può essere collegato a simili composizioni di Hummel, e hummelesca è la
parte pianistica. Ma la ripresa del minuetto nel finale, come coda spiritosa a tutta
l’opera, è un gesto beethoveniano.
2). A metà ottobre 1825, pochi mesi dopo il ritorno a Berlino da Parigi,
Mendelssohn completa quello che è considerato il suo primo capolavoro, l’Ottetto per
archi. Esso rivela l’influsso della musica da camera di Spohr, che nel 1823 aveva
composto il primo dei suoi 4 doppi quartetti, op. 65. I due compositori si erano
incontrati a Cassel e a Berlino. Spohr però mette in luce che i suoi pezzi sono scritti a
doppio coro, in modo antifonale, mentre in quello di Mendelssohn gli otto strumenti
collaborano. È notevole nell’Ottetto l’espansione delle proporzioni formali (ridotte nella
versione pubblicata nel 1832), l’arricchimento dei procedimenti modulanti e dello
schema tonale, il carattere sinfonico del pezzo. Tutto ciò mostra l’assimilazione del
linguaggio beethoveniano. Nel celebre Scherzo in sol minore, che Mendelssohn più
tardi orchestrò come terzo movimento della sua Prima Sinfonia, l’eterea conclusione
con la sua delicata scrittura unisona in pp, fu ispirata – secondo la sorella Fanny – da un
passaggio dal Faust di Goethe, gli ultimi versi della Notte di Walpurga. Sempre Fanny
nota che «il pezzo si suona staccato e pianissimo, i brividi dei tremoli, gli echi dei trilli
che gettano dei lampi furtivi, tutto è nuovo, strano, eppure talmente affascinante e
familiare che pare che un soffio leggero vi innalzi verso il mondo degli spiriti». È il
primo esempio dello ‘scherzo fiabesco’ che troverà la sua più perfetta espressione
l’anno successivo nell’Ouverture del Sogno di una notte di mezza estate.
Ampiezza di struttura e preferenza per la complessità contrappuntistica
caratterizzano anche il primo Quintetto per archi, completato il 31 maggio 1826.
Mendelssohn lo eseguì privatamente a Parigi nel 1832 con Baillot, e dopo l’esecuzione
sostituì il minuetto con un Intermezzo in memoria del suo amico d’infanzia Eduard
Rietz. Il Quintetto venne pubblicato nel 1833 come op. 18.
Agli anni 1827-1829 risalgono i due importanti Quartetti per archi op. 12 in Mi
bemolle e op. 13 in La. Nelle lettere scritte in quel periodo al musicista svedese Adolf
Lindblad troviamo Mendelssohn immerso negli ultimi quartetti di Beethoven (in
particolare le opp. 130 e 131). In essi Mendelssohn scoprì come principio guida per sé
la relazione organica delle parti con il tutto: «la relazione di tutte e quattro o tre o due o
un movimento di una sonata con ciascuno degli altri e le loro parti rispettive, in modo
che fin dall’inizio e per tutta l’esistenza del pezzo si può già conoscere il mistero che
deve essere nella musica».
L’impegno a collegare i quattro movimenti è molto evidente nel Quartetto op.
13, scritto nell’estate e autunno 1827. Come Mendelssohn scrive a Lindblad, questo
quartetto fu ispirato dal Lied Frage op. 9 n. 1: «ascolterai le note del Lied risuonare nel
primo e nell’ultimo movimento, e sentirai il suo sentimento in tutti e quattro».
Composto come un Impromptu in una festa d’estate vicino a Potsdam, Frage servì
come base espressiva e tematica per il quartetto, spingendo Mendelssohn a inserire
citazioni esplicite del Lied nei movimenti esterni e impliciti riferimenti in quelli interni.
Fugato, recitativo strumentale, contrasti improvvisi rimandano anch’essi a modelli del
tardo stile beethoveniano. Nel Quartetto op. 12, completato nel 1829, Mendelssohn
cerca di raggiungere l’unità strutturale con l’uso di tecniche cicliche: il turbolento finale
(per la maggior parte in do minore) richiama materiale del primo, e conclude con una
citazione estesa che ci riporta all’inizio del quartetto e rinsalda la tonalità di mi bemolle.
In questi anni Mendelssohn scrisse alcune composizioni minori, rimaste inedite
o pubblicate postume: una fuga per quartetto in mi bemolle, 1827; un Lied senza parole
per arpa e pianoforte scritto nel 1829 per Thomas Attwood e sua figlia. Pubblicò invece
le Variations concertantes per pianoforte e violoncello op. 17, 1829, scritte per il
fratello Paul: pezzo virtuosistico convenzionale ma efficace.
All’inizio degli anni Trenta Mendelssohn compone poca musica da camera: le
sue energie sono rivolte soprattutto alla composizione sinfonica e all’oratorio. I soli
brani cameristici sono i due Konzertstücke in fa minore e in re minore op. 113 e 114 per
clarinetto, corno di bassetto e pianoforte, composti nel 1832-33 per i due virtuosi
Heinrich Bärmann e il figlio Carl, e pubblicati solo nel 1869. Sono leggeri pezzi
virtuosistici, in tre movimenti interconnessi; la struttura è presa a prestito dal
Konzertstück di Weber per pianoforte e orchestra. Ampi contrasti di registro, figurazioni
brillanti e stile cantabile dovevano mettere in mostra le qualità esecutive dei due
Bärmann.
3) Mendelssohn torna alla musica da camera dopo qualche tempo, nel 1837. Nel
1835 era stato nominato direttore dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia; nel 1837
sposa Cécile Jeanrenaud. Tra l’estate del 1837 e l’estate del 1838 compone i tre
Quartetti per archi op. 44, pubblicati da Breitkopf & Härtel nel 1839 dopo considerevoli
revisioni. Molto levigati e meticolosamente composti, rivelano una fase decisamente
nuova, classicheggiante: chiarezza di espressione e struttura, stile melodico non
disturbato da forti contrasti, struttura formale attentamente equilibrata. A paragone delle
opp. 12, 13 e dell’Ottetto, l’op. 44 è stata sentita come una emulazione conservatrice,
quando non reazionaria, dell’ideale della musica da camera classica. Come se la felicità
dei primi anni di matrimonio avesse portato Mendelssohn a produrre una musica serena,
in qualche modo meno profonda dei più avventurosi esperimenti della sua giovinezza.
Sempre nel 1838 Mendelssohn compone la Prima Sonata per violoncello e
pianoforte, op. 45, in tre movimenti, pubblicata nel 1839. In questa sonata, scritta per il
fratello come le Variazioni op. 17, il compositore evita i contrasti, non solo nell’ambito
dei movimenti ma anche nel complesso della sonata. Per es. nel II movimento (Andante
ABA) cerca di ridurre al minimo il contrasto tra la sezione scherzando in sol minore (A)
e il cantabile Lied ohne Worte in sol maggiore (B) incorporando la caratteristica figura
puntata di A nell’accompagnamento pianistico di B. Per di più, i movimenti esterni sono
costruiti su temi in piano simili fra loro.
La composizione più significativa di questo periodo è il Primo Trio con
pianoforte op. 49, in re minore. Composto a Francoforte nel giugno e luglio 1839, fu
immediatamente revisionato e nel settembre Mendelssohn produsse una seconda
versione considerevolmente differente. Secondo Donald Mintz queste varianti
dimostrano un fondamentale cambiamento nello stile e nella sintassi musicale. La parte
del pianoforte venne poi riscritta nell’inverno 1839 prima di mandare il manoscritto a
Breitkopf & Härtel nel gennaio 1840. Lo stimolo a questa operazione venne dall’amico
Hiller. Questi rimase profondamente colpito dal fuoco e dallo spirito, dalla
scorrevolezza e dalla maestria di questa composizione, ma giudicò fuori moda alcuni
passaggi per pianoforte. Hiller aveva frequentato a Parigi Liszt e Chopin, ed era abituato
alla ricchezza di passaggi che caratterizzava la nuova scuola pianistica. Mendelssohn
decise quindi di riscrivere la parte del pianoforte secondo le idee di Hiller. Tutti e
quattro i movimenti contengono passaggi del Mendelssohn più ispirato. Nel primo
movimento, il nobile tema di apertura al violoncello è posto in una posizione scura di
accordi bassi sincopati nel pianoforte. Quando il violino riprende il tema poche battute
dopo, il caratteristico motivo del violoncello di una quarta ascendente (la-re) viene
espanso a una sesta (la-fa), e quando il complesso tematico raggiunge il suo apice su un
la acuto, il pianoforte abbandona momentaneamente il suo schema sincopato per unirsi
al violoncello e al violino nel rinforzare il tema. Molto efficace l’inizio della ripresa,
dove Mendelssohn pone contro il tema del violoncello un soggetto al violino che scende
da quel la acuto udito nelle battute di apertura. Il secondo movimento è un Lied ohne
Worte in forma ternaria ABA. Nella prima sezione, la melodia del pianoforte solo si
alterna con frasi in duetto per violino e violoncello; la parte centrale è una sezione
contrastante nel parallelo minore, in cui l’accompagnamento pianistico arpeggiato in
sedicesimi è sostituito da accordi in terzine. Nella ritransizione al ritorno di A, riappare
la figurazione in sedicesimi e M. riafferma due volte la dominante Fa maggiore
attraverso un’espressiva armonia francese di sesta aumentata, una significativa
progressione cromatica che rivela la sua conoscenza delle composizioni cameristiche di
Schubert. Lo scherzo è del tipo già più volte proposto da Mendelssohn, vivace e
fiabesco. La sua natura briosa viene affermata nel materiale di apertura al pianoforte
solo, in cui la preferenza solita di Mendelssohn per frasi regolari cede il posto a una
frase di 7 battute (3+4). Anche la forma è insolita, un rondò ABACABCA’. Finisce
evaporando in pianissimo come l’Ottetto. Anche il finale è un rondò con lo stesso
schema ma effetto molto diverso. Il tema interrogativo iniziale ottiene il suo carattere
agitato destabilizzando la tonica. La sezione C liederistica fa rivivere lo stile da Lied
ohne Worte del II movimento, e la versione finale di A in re maggiore fa un fuggevole
riferimento allo scherzo prima della conclusione trionfante del pezzo.
4) A un primo sguardo, non ci sono tratti stilistici nuovi nelle opere degli anni
Quaranta, eccetto che nel Quartetto in fa minore op. 80 dominato dal dolore per la morte
della sorella nel maggio 1847. Tra il 1842 e il 1847 Mendelssohn compone brani per
violoncello e pianoforte, trio con pianoforte, quartetto d’archi, quintetto d’archi. Questa
musica riflette in gran parte le tendenze classicheggianti del periodo medio, benché ora
raggiunga una maggiore profondità di espressione e più sperimentazione nella forma,
nel trattamento della tonalità e dell’insieme cameristico.
La seconda sonata per violoncello e pianoforte in re maggiore, op. 58, abbozzata
nel 1841, fu completata nel 1842 e pubblicata nel 1843. La sonata è in quattro
movimenti. Il secondo, uno Scherzo con sezione lirica contrastante, richiama un
procedimento simile nel secondo movimento della Prima Sonata per violoncello, anche
se lo schema ternario è qui espanso a ABABA. Il cuore della sonata è il terzo
movimento, un espressivo Adagio in cui a un corale in Sol maggiore eseguito dal
pianoforte in accordi arpeggiati risponde un passaggio in recitativo del violoncello. Poi i
due elementi (corale e recitativo) si fondono. Nelle battute conclusive il pianoforte
esegue la sua versione del recitativo, a cui si intreccia il tetracordo cromatico
discendente, tradizionale simbolo del lamento. Il movimento finisce con accordi in pp,
che portano attraverso un accordo di settima diminuita a un brillante rondo finale di
bravura.
Un’altra composizione per violoncello e pianoforte, probabilmente risalente al
1845, è il Lied ohne Worte in re maggiore, scritto per Lisa Cristiani, pubblicato
postumo come op. 109 nel 1868. Ha forma ternaria con parte centrale contrastante nel
parallelo minore, ed è ancora un esempio del tentativo di Mendelssohn di trasferire il
popolarissimo genere pianistico nel dominio della musica da camera.
L’ultima composizione di cui Mendelssohn poté seguire la pubblicazione è il
Secondo Trio con pianoforte, in do minore, op. 66. Iniziato alla fine di aprile 1845, fu
rielaborato e ritoccato durante l’estate, mentre lavorava all’Elijah. Dedicato a Spohr,
venne pubblicato nel 1846. L’esordio scuro e in pianissimo è stato definito uno dei
passaggi più ispirati di Mendelssohn, e l’esposizione del primo tempo una delle sue più
riuscite applicazioni della forma-sonata. Il periodo iniziale è costruito su un motivo
compatto arpeggiato che è ripetuto in progressione a differenti altezze: qui l’ascesa è per
quarte (tonica, sottodominante, sensibile), e questo procedimento insolito conferisce una
certa aura di mistero e instabilità. Dopo 20 battute. il violino presenta il primo vero
materiale melodico, una breve frase presa a prestito dal Lied ohne Worte op. 102 n. 1
composto nel 1842. A questo punto l’Urmotiv è riesposto come accompagnamento
pianistico, con un cambiamento ritmico a sedicesimi. Il secondo tema lirico, in mi
bemolle maggiore, è in marcato contrasto con la struttura motivica del materiale
iniziale. Infine, per la sezione conclusiva, Mendelssohn modula alla dominante sol
minore e contrappone un robusto soggetto accordale nel pianoforte all’Urmotiv al
violino e (in inversione a specchio) al violoncello. L’esposizione si espande così a tre
complessi motivico-tematici e tre aree tonali, tonica, mediante e dominante minore – la
tonalità dei primi tre movimenti del Trio. Come nell’op. 49, il secondo movimento è un
Lied ohne Worte in forma ternaria, con una sezione centrale contrastante al parallelo
minore. Usa un semplice stile omofono, come nel repertorio corale. Il terzo movimento
è un capriccioso scherzo di imprevedibile forma a rondò (ABABCACA’). Lo scherzo
nasce da una caratteristica anacrusi di due semicrome seguite da un battere accentato,
un’idea ritmica che ricorre in ogni sezione del movimento, sia nel materiale tematico sia
nell’accompagnamento. In modo tipico di Mendelssohn, lo scherzo
svanisce
dissolvendosi in una serie di leggeri accordi staccati. Anche il finale è un complesso
rondò basato su tre idee: ABACABACB(coda). La parte più insolita è la sezione
centrale C, dove Mendelssohn introduce un maestoso corale nel pianoforte, con brevi
reminiscenze di A interpolate tra le frasi degli archi.
Il Secondo Quintetto per archi op. 87 fu completato nel luglio 1845, ma l’autore
scelse di non pubblicarlo perché non era soddisfatto del finale. Lo mise da parte e non
fece in tempo a completarlo come desiderava prima della morte. Nel 1846 lo fece
ascoltare a Moscheles, che lo trovò energico, e in verità il primo movimento, con le
brillanti figurazioni del I violino spesso trova la grandeur e lo slancio dell’Ottetto.
Anche l’espansione dello schema tonale può essere ricondotto al carattere sperimentale
del capolavoro giovanile. I movimenti interni presentano il massimo contrasto:
L’Andante scherzando in sol minore è uno scherzo senza pretese con due sezioni che si
alternano in forma di rondò, mentre il successivo Adagio e lento in re minore è uno dei
più commoventi movimenti lenti di Mendelssohn.
L’ultima composizione cameristica di Mendelssohn è il Quartetto per archi op.
80, scritto negli ultimi mesi della sua vita, durante una grave crisi per la morte della
sorella Fanny (maggio 1847). Il quartetto fu scritto nella vacanza svizzera a luglio e
settembre. Poco dopo il ritorno a Lipsia Mendelssohn si ammalò e, impegnato nella
correzione delle bozze di Elia, non fece a tempo a preparare il quartetto per la
pubblicazione. Per molti aspetti quest’opera è agli antipodi dell’ideale classicheggiante
del medio periodo. Vi troviamo uno stile dissonante con forti contrasti. Il motivo base
del primo tempo serve come una specie di Urmotiv per l’intero quartetto, tiene insieme
le parti disparate della composizione. Nello scherzo, che comincia in medias res con
figure sincopate sulla dominante, la linea cromatica ascendente del basso (da Mi a Do) è
presa dalla b. 2 del primo movimento.
Negli ultimi mesi di vita Mendelssohn discusse molto con Moscheles dei suoi
progetti compositivi. Alcuni brani per quartetto (due movimenti) furono pubblicati
postumi come op. 81 n. 1 e 2, e rappresentano la fase più tarda della creatività di
Mendelssohn.
Il Quartetto op 80 ci fa pensare che Mendelssohn, se avesse vissuto più a lungo,
si sarebbe probabilmente staccato da quella tradizione classica che aveva ereditato e
padroneggiato nella sua musica da camera.
Mendelssohn è stato considerato il rappresentante supremo dell’età della
Restaurazione in Germania e del primo periodo vittoriano in Inghilterra. Difensore dei
valori conservatori, non riformatore o innovatore, compone levigate musiche da camera
che si inseriscono facilmente nei paradigmi classici (sonata per due strumenti, trio con
pianoforte, quartetto e quintetto per archi), fiducioso che al massimo il compositore
completo potrà maneggiare il suo materiale musicale “impercettibilmente meglio dei
suoi immediati predecessori” (Lobe, Gespräche mit Mendelssohn, 1855).
Al tempo di Mendelssohn la musica da camera era sempre più vista come una
forma ideale di musica assoluta. Negli enigmatici quartetti per archi del tardo
Beethoven, la nozione classica del genere come una spiritosa conversazione tra pari era
stata riformulata per portare la musica da camera più vicina a un regno metafisico. Per
Karl Reinhold von Koestlin (Die Musik, in F.T. Vischer, Aesthetik, Stuttgart 1857) la
musica da camera è un hegeliano «dialogo dello spirito (assoluto) con se stesso”. Uno
dei problemi che Mendelssohn (che frequentò le conferenze di Hegel a Berlino e che
conosceva la metafisica di Schleiermacher) si trovò ad affrontare era come rendere
significativa la musica da camera. Essa correva il rischio di diventare del tutto esoterica
ritirandosi in un autonomo mondo di musica assoluta (sempre Koestlin). Mendelssohn
rispose a questa sfida basandosi sulla chiarezza e sulla struttura formale per intensificare
il potere emozionale della musica, e su modelli storici di grandezza musicale, la cui
emulazione aiutava a mantenere valori estetici normativi. Il risultato fu un corpus
significativo di musica da camera che si rivolgeva direttamente al pubblico e che entrò
prontamente nel repertorio dopo Beethoven. Tuttavia, la notevole facilità comunicativa
di Mendelssohn fu criticata come mancanza di originalità e di profondità, in ultima
analisi un esperimento formalista e auto-limitante. I rappresentanti della ‘musica
dell’avvenire’ ponevano dramma musicale wagneriano e poema sinfonico molto al di
sopra della musica da camera nella gerarchia dei generi, e nell’ambiente degli anni post
48 la musica da camera venne vista da molti come un genere legato alla storia e
simbolico del vecchio ordine musicale.
Robert Schumann (1810-1856)
Si tende a non considerare Schumann come un compositore di musica
strumentale da camera nello stesso senso di Beethoven, Schubert o Brahms. Ma il
genere cameristico incornicia tutta la sua carriera: fra le sue prime composizioni quasi
completate troviamo un Quartetto con pianoforte in do minore; fra le ultime ci sono una
serie di Fünf Romanzen per violoncello e pianoforte, distrutte da Clara all’inizio degli anni 90
(secondo quanto riferisce Brahms), poiché pensava che non fossero all’altezza della
produzione schumanniana. La musica da camera compresa fra questi due estremi è di
tipologie molto varie: opere nelle forme più ‘alte’, per soli archi o più spesso con parte
concertante di pianoforte; pezzi di carattere; Hausmusik conviviale per una varietà di
combinazioni; arrangiamenti con pianoforte di opere originariamente per violino solo o
violoncello solo. Non sono categorie rigide: i movimenti centrali delle forme ‘alte’
spesso sono vicini al pezzo di carattere; e fra la poesia di questi ultimi e l’incanto facile
della Hausmusik borghese corre una linea sottile. Inoltre, la musica cameristica di
Schumann mostra di frequente caratteri associati ad altri generi: sinfonia, concerto,
Lied. Il repertorio da camera è una specie di prisma attraverso il quale si riflettono i
risultati ottenuti da Schumann in altri generi. Anche per la musica cameristica di
Schumann possiamo identificare diverse fasi.
1) I primi contatti con la musica strumentale da camera avvengono durante
l’adolescenza a Zwickau: i quartetti di Mozart con pianoforte K 478 e 493, il Quintetto
con pianoforte op. 1 del principe Louis Ferdinand. Lo stesso Schumann si cimenta
inizialmente con il Quartetto con pianoforte: e tra l’autunno 1828 e il marzo 1829 scrive
un quartetto con pianoforte in do minore. Questo primo saggio nelle forme ‘alte’ nasce
da un’atmosfera conviviale. Alla fine del 1828 Schumann aveva formato un quartetto
con tre amici: J.F. Täglichsbeck violino, C. Sörgel viola e C. Glock violoncello,
Schumann al pianoforte. Le loro esercitazioni avvenivano spesso alla presenza di un
circolo di ascoltatori selezionati (tra cui Wieck). Per es. il 13 marzo 1829 Schumann
registra sul suo diario la quattordicesima sessione di quartetto: «Beethoven Arciduca
(bizzarro); Dussek Quartetto op. 57; Schumann do min. (andò bene); molta birra
bavarese; lunghe conversazioni sulle associazioni di studenti e contadini; bella
atmosfera; a tarda sera il I movimento del Trio di Schubert – musica molto nobile
….bella dormita». Il gruppo di amici eseguì nel 1829 alcune parti del quartetto.
Schumann decise poi di usare il materiale del Quartetto per una sinfonia, cosa che però
non avvenne.
Questo quartetto rivela anche l’influenza del linguaggio schubertiano sul
giovane compositore, sia negli scintillanti passaggi pianistici, sia nel linguaggio
armonico: per es. l’immediato rilievo sulla napoletana nel movimento iniziale, le rapide
modulazioni per terze nel Minuetto, e la mescolanza modale del finale.
Allo stesso tempo, il Quartetto in do minore è legato agli interessi propri di
Schumann. Venti anni dopo, riassumendo il suo sviluppo artistico, Schumann accordò
all’opera un posto speciale: «Ricordo molto bene un punto in uno dei miei lavori …
relativamente al quale mi dissi: questo è romantico; qui c’è uno spirito differente dalla
mia precedente musica: una nuova vita poetica sembrò rivelarsi (il punto in questione
era il trio di uno scherzo [sic] da un quartetto con pianoforte)». Il nuovo spirito
‘romantico’ del trio dal Minuetto emana da accentuati ritmi trocaici e dattilici, da
piccanti appoggiature e, all’inizio della seconda metà del trio, da una semplice ma
evocativa disposizione degli strumenti, in cui la melodia al violoncello è accompagnata
da pizzicati negli archi acuti e da accordi palpitanti nel pianoforte. Questo passaggio a
sua volta ha un ruolo chiave nel finale che, come scrive Schumann, «allegramente
medita sul passato come da un altro mondo e trasporta il suo bassorilievo in questo».
Schumann richiama il tema ‘romantico’ del trio nell’ultimo movimento del Quartetto,
dove figura in una specie di parata delle idee ricorrenti da precedenti momenti del
pezzo, compreso il secondo tema del primo movimento e il tema iniziale dell’Andante.
Il tema del trio, comunque, serve come perorazione di questo procedimento di richiamo
quando appare, trasformato in un ribollente do maggiore nella coda più presto del
Finale. E qui si capisce che l’ossessivo ritmo dattilico del finale non è altro che una
variante in tempo veloce dello stesso schema del trio. Per cui la “Nuova vita poetica”
rivelata attraverso il grazioso ma semplice tema del trio viene intimamente collegata a
una ricerca di coerenza su vasta scala. È significativo che questa ricerca – così
importante per la futura musica di Schumann - venisse avviata attraverso il mezzo della
musica strumentale da camera.
2) Negli anni Trenta, Schumann fu impegnato soprattutto a comporre musica per
pianoforte. Ma il periodo 1836-1839 (in cui scrisse la Fantasia, Davidsbündlertänze,
Kinderszenen e Kreisleriana) è cruciale anche per l’approfondimento del suo interesse
per la musica da camera. Nell’agosto 1836 Schumann pensava di scrivere un Trio con
pianoforte e un Quintetto con pianoforte, ma non realizzò poi il progetto. Nello stesso
periodo assistette regolarmente (e talvolta ospitò) alle prove di un quartetto d’archi
diretto da Ferdinand David, Konzertmeister dell’orchestra del Gewandhaus. Queste
sessioni continuarono fino al 1838, Schumann scrisse in proposito dei vivaci articoli
sulla Neue Zeitschrift für Musik. Il quartetto era ben noto per le sue esecuzioni degli
ultimi quartetti di Beethoven, repertorio che affascinò Schumann: «sono opere [i
Quartetti op. 127 e op. 131] per la cui grandezza non si possono trovare le parole. Mi
sembrano rappresentare, accanto ad alcuni cori e opere originali di Johann Sebastian
Bach, gli estremi limiti che l’arte e l’immaginazione umana possono aver raggiunto»,
scriveva il compositore nel 1838. Mentre molti suoi colleghi trovavano la musica tarda
di Beethoven bizzarra e incomprensibile, Schumann fu colpito da suoi «sublimi voli di
fantasia», dal «tono popolare», e dall’humor romantico. Furono i tardi quartetti di
Beethoven che spinsero Schumann alla composizione di quartetti per archi (scrisse che
il pianoforte era diventato troppo limitato per la sua creatività): nel 1838-39 troviamo
una serie di tentativi in questo genere, che rimangono però allo stadio iniziale. Infatti
inizia due composizioni nel 1838 (dopo aver ascoltato l’op. 131 di Beethoven); poi nel
1839, il 28 maggio, scrive al collega della Neue Zeitschrift für Musik Hirschbach che
pensa di dedicare i mesi estivi alla composizione di quartetti per archi. Il 13 giugno
scrive a Clara di aver iniziato due quartetti; e nel frattempo studia gli ultimi quartetti di
Beethoven.
Per tre anni non sentiamo più parlare di quartetti per archi. Schumann era
impegnato su altri fronti: la causa con il suocero, l’inizio della vita matrimoniale e
infine un anno dedicato alla composizione sinfonica. Ma il 1842 è finalmente l’anno
della musica da camera, e i tentativi cedono il posto a una straordinaria creatività, grazie
alla quale, a partire da giugno e fino ai primi mesi del 1843, scrive:
tre Quartetti per archi op. 41, pubblicati nel 1848;
il Quintetto con pianoforte op. 44 (scritto tra il 23 settembre e il 12 ottobre,
pubblicato nel 1843);
il Quartetto con pianoforte op. 47 (25 ottobre-26 novembre, pubblicato nel
1845);
i Phantasiestücke per Trio con pianoforte op. 88 (completati dopo Natale e
pubblicati ne 1850), l’Andante und Variationen per 2 pianoforti, 2 violoncelli e corno
(scritti all’inizio del 1843 e pubblicati postumi in questa versione, e nel 1844 nella
versione per 2 pianoforti come op. 46).
Come si vede, si tratta di una ordinata esplorazione dei sottogeneri della musica
strumentale da camera. Lo stile delicatamente inciso dei quartetti per archi cede ai
tocchi più ampi del quintetto e quartetto con pianoforte; l’esperienza di compositore di
pezzi di carattere si rivela nei Phantasiestücke e nell’Andante und Variationen, che
precorrono il sapore borghese della Hausmusik dei tardi anni 40.
Schumann scrisse a Raimund Haertel il 3 dicembre 1847 che i suoi quartetti
avevano assunto per lui un significato speciale dopo la morte di Mendelssohn, a cui
sono dedicati. Gli scritti di Schumann sul quartetto possono darci un accesso a questo
‘speciale significato’.
Sono due gli aspetti dell’estetica di Schumann che si rivelano particolarmente
importanti qui: 1) i compositori di quartetto devono mantenersi in limiti strettamente
delimitati, e specialmente devono evitare il «furore sinfonico». «Ciascuno ha qualcosa
da dire in un vero quartetto d’archi; è una bella conversazione, a volte anche
artificiosamente intrecciata, tra quattro persone». Quindi il vero stile di quartetto incarna
una qualità esoterica i cui correlati compositivi sono l’autosufficienza delle singole voci
e l’integrità contrappuntistica del tutto 2) Il compositore di quartetti deve possedere una
profonda conoscenza della storia del genere, che comprende i quartetti di Haydn,
Mozart, Beethoven e Mendelssohn (benché apprezzasse molto il quartetto La morte e la
fanciulla, lo schema storico di Schumann non comprende Schubert). Tuttavia,
un’imitazione pedissequa dei modelli antichi doveva essere evitata.
Entrambi questi aspetti sono realizzati nei quartetti op. 41. Per quanto riguarda il
primo, i risultati del corso di contrappunto che Schumann si autoimpose nel marzo e
aprile 1842 sono evidenti in tutti e tre i quartetti. Le tre principali funzioni associate allo
stile sonatistico (esposizione, sviluppo, ripresa variata) sono arricchite attraverso il
contrappunto.
Per quanto riguarda il rapporto con la tradizione, nella recensione del primo dei
Lebensbilder in einem Zyklus von Quartetten di Hirschbach, Schumann riconosceva che
«alberi carichi di frutti si trovano anche nel giardino di Haydn e Mozart». Schumann
aveva studiato la musica di Haydn e Mozart in marzo e aprile 1842, mentre Clara era in
tournée a Copenhagen. Al ritorno la coppia lesse al pianoforte molte di queste partiture.
L’influsso di Haydn riguarda l’approccio alla forma-sonata (monotematismo; dilazione
della dominante alla fine dell’esposizione); quello di Mozart riguarda l’intreccio tra tra
sviluppo e ripresa, e la flessibilità di trattamento. Però Schumann dichiara che, se ama
Mozart, Beethoven lo venera come un dio. Ora Schumann è nella posizione di emulare
Beethoven. Non ci sono soltanto evidenti allusioni, ma anche riferimenti più obliqui alle
ultime opere di Beethoven, riferimenti di tono, scelte tonali, interrelazioni fra i
movimenti.
Ma c’è di più. Solo di Schumann è la continuazione nella ricerca di ‘nuove
forme’ che ha caratterizzato la sua produzione pianistica degli anni Trenta. La struttura
di variazioni strofiche dei movimenti lenti delle opp. 41/1 e 3 è praticamente senza
precedenti nella letteratura quartettistica. Il finale dell’op. 41/3 si svolge come una
successione di ritratti di carattere in miniatura (tipo le Novelletten op. 21) ma gli viene
data forma attraverso uno schema parallelo (la musica delle bb. 112-84 richiama quella
delle bb. 1-72, per la maggior parte una terza minore sopra) – si tratta di una variante
della forma-sonata che si è rivelata importante nelle prime sonate per pianoforte di
Schumann e nella Fantasia.
L’individualità di Schumann si riconosce anche dalla distanza rispetto allo stile
dei suoi contemporanei e specialmente di Mendelssohn. I quartetti di Mendelssohn sono
più ‘leggibili’ e suonabili, sono stati concepiti per il diletto di bravi amateurs. Non così
Schumann, molto difficile. Sia Mendelssohn che Schumann hanno raggiunto la maturità
come compositori in un periodo in cui la musica da camera era arrivata a occupare una
posizione intermedia tra intrattenimento pubblico e privato. Continuano a svolgersi
esecuzioni private, riservate a pochi invitati, ma nello stesso tempo aumenta il pubblico
ai concerti di musica da camera. La separazione tra la dimensione pubblica e quella
privata si manifesta sempre di più nelle tessiture orchestrali che caratterizzano molti
quartetti dell’Ottocento. Schumann tende invece a un discorso tra eguali. È uno degli
ultimi rappresentanti della vera musica da camera, in cui ascoltatori ed esecutori sono la
stessa persona.
Nella musica da camera per pianoforte e archi l’ideale di Schumann (come
dimostra la recensione al Trio di Mendelssohn op. 47) coincide in parte con quello del
quartetto d’archi: «nessuno strumento domina, e ciascuno ha qualcosa da dire». Ma va
raggiunto un equilibrio tra elementi sinfonici ed elementi propriamente cameristici,
equilibrio che va di pari passo con una dialettica tra privato e pubblico. La mediazione è
evidente nel Quintetto e nel Quartetto con pianoforte: le loro caratteristiche distintive si
possono apprezzare in uno spazio a metà tra il salotto e la grande sala da concerto.
Tovey giustamente scrive: «ogni nota parla, e gli strumenti sono vividamente
caratterizzati malgrado il predominio del pianoforte per tutto il pezzo». I raddoppi per
cui quest’opera è stata frequentemente criticata spesso creano un effetto quasi
impressionistico, come nel primo episodio (Do maggiore) del movimento lento, dove le
semiminime in terzine nel pianoforte (contro le crome di violino II e viola) colorano
delicatamente la melodia del I violino e del violoncello.
L’intreccio finemente organizzato delle linee contrappuntistiche che caratterizza
i quartetti per archi cede il posto, nel Quintetto, a un contrappunto più estroverso,
‘pubblico’, specie nella perorazione del finale. Qui, dopo un enfatico arrivo sulla
dominante, il tema di apertura del primo movimento, in valori aumentati, è combinato
con il tema principale del finale, in una esposizione di doppia fuga brillantemente
efficace. Qui Schumann ripropone la sua soluzione a un problema che aveva affrontato
in varie opere sinfoniche del 1841: dar forma al finale di una composizione in più
movimenti in modo che non solo sia completa in se stessa, ma fornisca anche la
conclusione dell’intera composizione. Il carattere ‘pubblico’ del Quintetto deriva quindi
anche dal suo impegno con un problema strutturale più prontamente associato con il più
pubblico dei generi musicali, la sinfonia.
Il Quartetto pianoforte e archi è per alcuni aspetti un doppio del Quintetto:
entrambi in mi bemolle, entrambi per pianoforte + archi, entrambi usano il richiamo
tematico, entrambi mostrano il lato estroverso ed esuberante di Schumann. Però non
sono affatto due opere gemelle. Se nel Quintetto l’equilibrio tra carattere pubblico e
carattere privato pende verso il primo, nel Quartetto è il contrario. La presenza di un
solo violino produce un mondo sonoro più intimo il cui più ovvio emblema è il sontuoso
solo del violoncello all’inizio dell’Andante cantabile. Inoltre, il carattere distintivo del
Quartetto deriva da un tono neoclassico assente nel Quintetto. Ci sono molte assonanze
con i Quartetti op. 59/3 e op. 74 e con il Trio l’Arciduca di Beethoven. Il Quartetto è più
vicino del Quintetto al mondo intimo del Quartetto per archi.
L’intimità distingue inoltre i due ultimi prodotti dell’anno cameristico: i
Phantasiestücke op. 88 per Trio con pianoforte e l’Andante und Variationen. I pezzi
fantastici, scrive lo stesso Schumann, hanno una natura molto più delicata rispetto alle
altre sue composizioni per pianoforte e archi. Sono più vicini al pezzo di carattere, con
struttura a sezioni. Il secondo tempo (Humoreske) è un miscuglio di miniature quasi
indipendenti. Anche le Variazioni hanno un simile tono, si rifanno a pezzi come
Kreisleriana, o Kinderszenen. Vi troviamo variazioni alla Florestano e variazioni alla
Eusebio.
3). Nel 1847 nascono i due grandi Trii con pianoforte. Essi segnano una nuova
tappa nella composizione cameristica di Schumann. Comincia una maniera di comporre
del tutto nuova. Dal punto di vista stilistico ciò comportò un più raffinato uso della
transizione e un modo di espressione più concentrato. In particolare, lo sviluppo lineare
di linee melodiche cede in favore di una ricca rete di combinazioni motiviche sviluppate
simultaneamente. La musica da camera è un mezzo naturale per un processo di questo
tipo, i cui più significativi documenti sono appunto i Trii con pianoforte op. 63 e op. 80,
concepiti come coppia fra giugno e novembre 1847. Il Trio in re minore triste e
malinconico, quello in fa maggiore di tono più sereno, ma i procedimenti costruttivi
sono gli stessi.
4) In una lettera a Hiller, Schumann definì il 1849 il suo anno più fruttuoso:
rifugiarsi nel lavoro è l’antidoto ai terribili eventi esterni. Si tratta in genere di
composizioni che possiamo definire con il termine di Hausmusik, un tipo di repertorio
coltivato nel privato della casa borghese e inteso come mezzo per innalzare la
consapevolezza culturale di chi la pratica. È un fenomeno Biedermeier: ritirarsi dal
tumulto degli eventi esterni nello spazio più santificato, l’interno della casa. La
Hausmusik di Schumann è destinata al duo con pianoforte:
Phantasiestücke per clarinetto op. 73
Adagio und Allegro per corno op. 70
Fünf Stücke im Volkston per violoncello op. 102
Drei Romanzen per oboe op. 94
Insieme a Märchenbilder viola e pianoforte op. 113 (1851) e
Märchenerzählungen per clarinetto, viola e pianoforte op. 132 (1853), queste
composizioni costituiscono una sistematica esplorazione delle possibilità coloristiche
del linguaggio strumentale a poche voci. Anche la possibilità di organico alternativo
lega queste composizioni alla tradizione della Gebrauchsmusik dell’Ottocento. Eccetto
l’Adagio und Allegro, sono cicli di miniature, unificate da una tonica centrale e da un
profilo espressivo complessivo. Nei Phantasiestücke lo stretto legame dei pezzi è
ulteriormente accentuato dalle indicazioni Attacca che legano i diversi movimenti e da
una rete di connessioni tematiche. Ma con un sistema allusivo: un singolo stato d’animo
(Stimmung) si rifrange in diversi momenti psicologici.
Nei Fünf Stücke im Volkston le irregolarità metriche sono un mezzo di dare alla
musica il carattere di una espressione parlata.Tutta la Hausmusik di Schumann proietta
una qualità ineffabile di ‘c’era una volta’, un senso di narrazione anche se non sta
narrando un determinato contenuto. Per Schumann anche la Hausmusik si dimostra
un’attività poetica. Rinasce l’ispirazione capricciosa dei pezzi di carattere pianistici
degli anni Trenta.
5) Il periodo tra il 1850 e il 1853 (Schumann diventa Musikdirektor a
Düsseldorf) è un periodo di grande produttività. La musica tarda di Schumann riassume
come in microcosmo i risultati di un’intera vita creativa. Vi troviamo il Musikdirektor,
il narratore, il collezionista, il Davidsbündler.
Lo stile ‘pubblico’ da Musikdirektor si rivela in serietà di tono, dimensioni
espanse, integrazione tematica su larga scala. Lo troviamo nella Seconda Grande sonata
per violino e pianoforte (in re minore), che tende alla profondità e al respiro delle opere
sinfoniche. Scritta in pochi giorni nel 1851 fu poi a lungo rimaneggiata e pubblicata
infine nel 1853, come op. 121.
Il narratore si trova in Märchenerzälungen per clarinetto, viola e pianoforte op.
132. Sono racconti di tempi e luoghi lontani, di armonia e forma ambigue.
Il collezionista si ritrova negli accompagnamenti pianistici alle composizioni di
Bach per solo violino o solo violoncello.
La scrittura dei giorni di gioventù compare nel Trio in sol minore op. 110 (forma
sonata singolare, struttura che ricorda la costruzione a mosaico tipica dei pezzi di
carattere). La Sonata in la minore per violino e pianoforte op. 105 è un ciclo di tre pezzi
di carattere composti da Florestano ed Eusebio. La maniera più antica si rifrange in una
sensibilità eminentemente ‘tarda’: «conversazioni belle ma artificiosamente intrecciate».
APPUNTI SULLA PRODUZIONE LIEDERISTICA DI SCHUMANN
[da Jürgen Thym, Schumann: reconfiguring the Lied, in The Cambridge companion to
the Lied, ed. by James Parsons, Cambridge University Press, 2004, pp. 120-141]
Schumann si dedicò al Lied in tre momenti della sua carriera di compositore: ai
suoi inizi nel 1827-28; nell’anno 1840, tutto incentrato sul Lied; nel periodo post 1847,
in cui Schumann cercò di rinnovarsi come artista. In ognuna di queste occasioni fu
proprio il Lied a diventare il catalizzatore per la scoperta di sé e il rinnovamento.
1) Primi tentativi: 1827-28. Dopo la morte del padre nel 1826, Schumann trova
sostegno nell’amicizia di una coppia musicofila. La moglie, Agnes Carus, fece
conoscere a Schumann i Lieder di Schubert e lo spinse a comporre. Schumann si
innamora di lei, e i suoi sentimenti confluiscono in una serie di Lieder, rimasti inediti.
Schumann ne utilizzò alcuni come materiale di brani pianistici degli anni ’30. Rivelano
un abile imitatore di Schubert. Usa testi di Goethe, Byron, e specialmente Kerner. Molti
sono strofici, ma in alcuni casi Schumann crea forme ABA (ripetendo la prima strofa
alla fine), oppure musica l’ultima strofa con musica diversa, o adotta una composizione
non-strofica con minimi elementi ripetitivi. La texture è voce + accompagnamento
pianistico. Frequenti inizi non sulla tonica. Qualche postludio che echeggia l’ultima
frase della voce, ma più spesso che riarticola materiale introduttivo come materiale
cadenzale. Nell’estate del 1828 Schumann inviò tre dei suoi Lieder su testo di Kerner a
Gottlob Wiedebein, Kapellmeister e compositore a Braunschweig. Wiedebein critica
alcuni aspetti della composizione ma li scusa per effetto della giovane età, e gli dice
profeticamente che ha ricevuto molto dalla natura e quindi usi pure i suoi doni naturali e
il mondo lo riconoscerà.
2) L’anno dei Lieder: 1840-41. Stupisce la produttività liederistica del 1840:
infatti ancora nell’estate del 1839 Schumann aveva confessato a Hirschbach che aveva
sempre considerato la musica per la voce inferiore alla musica strumentale e non
l’aveva mai reputata grande arte. Sulla Neue Zeitschrift für Musik aveva delegato le
recensioni dei Lieder al suo vice Oswald Lorenz.
Il Liederjahr si spiega con circostanze biografiche: Schumann e Clara si
sposano, dopo una lotta legale contro il padre di lei. Le circostanze ricche di emozioni
di questo periodo contribuirono all’improvviso erompere della creatività di Schumann
che trovò sbocco in Lieder spesso relativi all’amore in tutti i suoi aspetti: dall’agonia del
rifiuto alla benedizione dell’appagamento. Lo stesso Schumann scrive a Clara nel
maggio 1840, riferendosi al Liederkreis op. 39: «è il mio ciclo più romantico, e contiene
molto di te». In termini più pratici: nel 1839, Schumann e Clara avevano cominciato a
raccogliere poesie (perlopiù di poeti contemporanei) destinate ad essere musicate, in un
libro che intitolarono Abschriften von Gedichten zur Composition. Era un progetto
comune di due artisti che, nel periodo del fidanzamento, volevano essere legati da
vincoli artistici e spirituali, anche quando erano fisicamente separati. La maggior parte
delle poesie raccolte venne musicata da Robert, ma anche Clara contribuì con alcuni
Lieder di Rückert pubblicati insieme a quelli di Robert in Liebesfrühling op. 37.
L’opposizione di Wieck derivava dal timore che Schumann non avrebbe potuto
offrire un avvenire decente alla figlia. Fino al 1839, Schumann aveva pubblicato solo
opere pianistiche esoteriche e difficili, certo non bestseller. Lo stesso compositore era
consapevole della difficoltà di comprensione delle sue opere (bizzarre giustapposizioni
di miniature contrastanti) e della loro scarsa vendibilità. Nel giugno 1840 scrive a
Rieffel: «vorrei trovare più gente che capisce il significato delle mie composizioni;
spero di riuscire più facilmente con le composizioni vocali».
Con quell’affermazione Schumann istituisce un legame fra le opere pianistiche e
i Lieder. Nel 1845 Brendel mise in rilievo che i Lieder erano in realtà una continuazione
dei suoi pezzi di carattere per pianoforte. E Wasielewski (il primo biografo di
Schumann) sostenne che Schumann si era dedicato alla composizione di Lieder per una
necessità di chiarezza espressiva. Edler e Daverio hanno sostenuto che il cuore della
creatività di Schumann, sia che prendesse la forma di musica vocale, sia di musica
strumentale, è la concezione di tradurre la poesia in musica, di inserire nelle
composizioni musicali uno spirito poetico.
Dopo il 1840, Schumann occasionalmente recensì dei Lieder per la Neue
Zeitschrift für Musik, dandoci così l’opportunità di conoscere le sue idee relative alla
composizione di Lieder. Nella recensione del 1843 a Lieder di Robert Franz Schumann
sostenne che era giunta una nuova era. Schumann riteneva che non fosse stato Schubert
ad inaugurare questo nuovo periodo, ma che Schubert avesse piuttosto preparato la
strada, proseguendo sulla linea di Beethoven. (È singolare questa posizione, considerata
l’enorme considerazione di Schumann per la musica strumentale di Schubert). La nuova
era invocata da Schumann da una parte è basata sui progressi effettuati nella
composizione per pianoforte (che a sua volta si rifà a Bach e Beethoven), e indica una
nuova relazione tra voce e pianoforte; dall’altra su una nuova scuola poetica, i cui
principali rappresentanti sono Eichendorff, Rückert, Heine e Uhland.
Nel 1840, Schumann trasse i suoi testi da un’ampia varietà di fonti. Goethe
figura poco (solo 5 testi in Myrthen), Schiller per niente. Nel 1840 Schumann era
attratto da altri tipi di testi. Da una parte, colse con i 12 Lieder su testi di Eichendorff un
tardivo fiore del Romanticismo letterario (le poesie di Eichendorff non furono
pubblicate fino al 1837): dall’altra, si rivolse a poeti le cue poesie, in un modo o
nell’altro, rappresentano una trasformazione dello spirito romantico. Heine, che prese le
distanze dalle immagini e dal sentimento romantico attraverso l’ironia e lo spirito;
Chamisso, Reinich, Rückert e in certa misura Kerner colgono nelle loro poesie la
sensibilità Biedermeier del Vormärz: felicità domestica, amicizia, patriottismo, orgoglio
regionale, e consolazione nella religione. Fra questri poeti emerge Rückert per la
musicalità e il virtuosismo del suo linguaggio poetico, che certamente attrasse
Schumann. Sono scelte che mostrano Schumann aderire ai valori culturali della
borghesia tedesca negli anni precedenti alle rivoluz del 1848. Inoltre, Schumann
compone anche su testi di poeti non tedeschi: Shakespeare, Burns, Moore, Byron, HC
Andersen, Béranger.
La maggior parte dei testi sono strofici, composti di quartine con versi perlopiù
trimetri o tetrametri, e schemi di rima tipo abab oppure aabb. Il canto popolare (o ciò
che si riteneva canto popolare in conseguenza del Knaben Wunderhorn di Arnim e
Brentano) si fa sentire nelle strutture che i poeti usano per le loro liriche. Anche se nella
produzione poetica usano anche forme più sofisticate (antichità classica, sonetto
petrarchesco, ghazel persiano) nel Lied moderno gravitano sulle strutture del canto
popolare. Da una parte ciò serviva a cogliere il Volkston, dall’altra queste forme
offrivano uno scheletro per controllare le forze centrifughe legate ai procedimenti
durch-komponiert e all’emancipazione dell’accomp strumentale. Strutture poetiche più
complesse sono quindi un’eccezione in Schumann. Nel trattamento del testo Schumann
non sempre è totalmente fedele: troviamo ripetizioni di versi o di un’intera strofa per
mettere in rilievo un’affermazione commovente o per rinforzare una cadenza,
procedimenti già in uso precedentem, come anche la ripetizione della prima strofa alla
fine. Ma Schumann va anche oltre: talvolta omette una strofa, aggiunge, toglie o contrae
sillabe o cambia le parole di un verso (per es. in In der Fremde dall’op. 39).
Le sperimentazioni pianistiche degli anni precedenti portano i loro frutti nel
Liederjahr. Il significato di Schumann come compositore di Lieder sta soprattutto
nell’aver stabilito una nuova interdipendenza tra voce e pianoforte. Anche se Schubert
già 15 anni prima aveva messo il pianoforte sullo stesso piano della voce, Schumann
integra le due parti in grado fino allora sconosciuto, tanto che una non può esistere
senza l’altra.
La tradizionale struttura voce + accompagnamento si trova in molti Lieder di
Schumann, specie in quelli in cui è in cerca di un tono popolare (Freisinn da Myrthen;
Wanderlied di Kerner; Der frohe Wandersmann da Eichendorff). Qui il pianoforte
funziona come supporto alla parte vocale, anche se a volte acquista una propria
importanza con brevi preludi, interludi o postludi. Schumann usa talvolta
accompagnamenti um-pa-pa (op. 24 n. 1 e 4, Die Rose die Lilie in Dichterliebe).
Analogamente, la parte del pianoforte si limita a raddoppi sincopati della parte vocale in
Intermezzo dell’op. 39, o in Ein Jungling da Dichterliebe, o nll’op. 24 n. 4). Talvolta
accordi ripetuti al pianoforte per sostenere il cantante, con in Der Himmel hat da
Liebesfrühling o in op. 35 n. 10. Altrove il piano ha una filigrana di arpeggi come in In
der Fremde op. 39 n. 1 e Hör’ ich das Liedchen klingen e Am leuchtenden
Sommermorgen entrambi da Dichterliebe.
Ciò che a un primo sguardo sembra un’accompagnamento tradizionale, si rivela
un ingegnoso intreccio di voci. Un motivo di richiamo di corno fatto di quarte e quinte
ascendenti e discendenti emerge nelle parti vocali e strumentali della sezione mediana di
In der Fremde, arricchendo la struttura e intensificando l’espressione di desiderio in un
momento cruciale della poesia. E la melodia che una volta ‘era cantata dall’amata’
ritorna varie volte in Hör’ ich das Liedchen klingen nel pianoforte come un doloroso e
ossessionante ricordo dell’antica felicità. L’ultima esposizione a übergrosses Weh
[colossale sventura] inizia un postludio che presenta la pungente reminiscenza tre volte
in canone, nascosta e intrecciata nella filigrana di accordi spezzati.
Nel primo Lied di Dichterliebe si può vedere fino a che punto voce e pianoforte
collaborano nell’articolare la texture del Lied: è una ingegnosa polifonia di ritardi e e
risoluzioni arpeggiate, in cui voce e pianoforte sono collegate per inversione. Il
contrappunto svolge un ruolo importante nel determinare la texture dei Lieder di
Schumann. Per es. nell’evocazione modale di un paesaggio medievale (Auf einer Burg,
da op. 39) o la descrizione ugualmente fuori moda della cattedrale di Colonia in Im
Rhein (vero esercizio nel contrappunto delle specie), o la trasposizione della scrittura
fugata di Bach in Zwielicht dall’op. 39. Un contrappunto veramente schumanniano,
pieno di arpeggi e voci implicite (anche in figure di accomp) appare in Lieder con uno
stile meno ‘storico’ (In der Fremde, Schöne Fremde, Frühlingsnacht da op. 39; Im
wunderschönen Monat Mai, Hör’ ich das Liedchen klingen, Am leuchtenden
Sommermorgen da Dichterliebe).
Un’insolita relazione tra voce e pianoforte è presente in Ich hab im Traum
geweinet (Dichterliebe). Nelle prime due strofe voce e pianoforte sono del tutto separati.
Il pianoforte punteggia le varie frasi vocali tipo recitativo con lugubri accordi nel
registro grave, dando al tutto una qualità funerea. Solo nella terza e ultima strofa
uniscono le loro forze: la monotona esposizione vocale adesso è sostenuta da stridenti
accordi dissonanti che non risolvono finché la voce non ha finito.
Altrove Schumann rovescia la texture voce-accompagnamento. Per es. Das ist
ein Flöten und Geigen è come un valzer nel pianoforte su cui la voce recita il testo
poetico: è un pezzo di carattere per pianoforte con parte vocale obbligata. Un simile
rovesciamento di ruoli non si ritrova in maniera così sistematica, ma in brevi tratti
capita spesso. Per es. in Waldesgespräch le ansanti espressioni del cacciatore sono
sovraimposte a una parte per pianoforte indipendente, che rende il paesaggio della
foresta con una texture da corno da caccia. Nell’ultimo dei Dichterliebe la voce
accompagna mentre il pianoforte fornisce la coerenza complessiva del discorso
musicale. Può anche capitare il contrario: il pianoforte fa delle interiezioni in ciò che è
un passaggio indipendente della voce sola (Ich hab im Traum geweinet).
I Lieder di Schumann sono generalmente ordinati in gruppi o cicli: 6, 8, 9, 12, 16
o più Lieder connessi da un filo comune, poetico o musicale o da tutti e due.
Talvolta il filo è vago, talvolta specifico. Ecco l’elenco dei cicli del 1840-41
Myrthen op. 25
Liederkreis op. 39 (testi di Eichendorff)
Frauenliebe und -leben op. 42 (Amore e vita di donna, testi di Chamisso)
Dichterliebe op. 48 (Amor di poeta, testi di Heine)
Liederkreis op. 24 (testi di Heine)
Kerner Lieder op. 35
Reinick Lieder op. 36
Liebesfrühling op. 37 (contiene anche tre Lieder di Clara).
Myrthen op. 25 è la raccolta più lontana dall’idea del ciclo. Contiene 26 poesie
di diversi poeti (fra cui Burns, Goethe e Rückert), senza un tema comune. Doveva
essere un regalo per Clara, un bouquet di fiori regalato alla sposa nel giorno del
matrimonio. In alcuni Lieder si trovano tracce di questo scopo. È incorniciato da
Widmung, inno all’amata chiaramente con funzione introduttiva, e Zum Schluss che
chiude con la dedica: «Qui … ho intrecciato per te una ghirlanda imperfetta, sorella,
sposa». Contiene anche due Lieder accoppiati sempre su testi di Rückert, intitolati Lied
der Braut, due barcarole veneziane di erotismo appena nascosto, e alcuni implicano un
dialogo tra maschio e femmina. Anche se si può trovare una coerente successione di
tonalità (i Lieder procedono per tonalità vicine) non c’è dubbio che Myrthen è una
galleria di belle miniature senza una logica particolare.
Liederkreis op. 24, Frauenliebe und -leben op. 42, Dichterliebe op. 48, sono
invece coerenti per tema poetico, filo narrativo, motivi e immagini, e questi elementi
comuni nella poesia sono rinforzati da elementi musicali di ripetizione e progressione.
Poesie di un unico poeta, e tratte da un preesistente ciclo poetico. L’op. 24 (9 Lieder) è
tratta dalla sezione Junge Leiden del Buch der Lieder di Heine; Frauenliebe und -leben
è un ciclo di poesie di Chamisso (Schumann elimina l’ultima delle nove poesie del
ciclo); Dichterliebe usa 16 delle 65 poesie del Lyrisches Intermezzo, sempre dal Buch
der Lieder di Heine: anche se Schumann taglia drasticamente il ciclo poetico, mantiene
l’ordinamento delle poesie di Heine e quindi il filo narrativo. Attraverso la successione
delle poesie si stabilisce una logica narrativa che conferisce loro coerenza e unità.
Op. 24: segue il soggetto lirico in una relazione amorosa infelice: disperazione e
agitazione nei n. 1-3, separazione dall’amata 4-6, superamento dell’amarezza e recupero
7-9. Dichterliebe espande in certo modo questo schema narrativo: 1-6 il protagonista
sprofonda nei momenti felici dell’amore tinti non raramente di dubbio e dolore. In 7-8
rabbia appena nascosta alla scoperta del tradimento; in 9-14 sfoga la sua delusione in
ricordi di amarezza, sentimentalismo e auto-ironia. Infine, 15-16: trova consolazione
nell’immaginare un’utopia in cui alla fine le memorie amare devono calmarsi.
Frauenliebe und –leben sono otto quadretti dalla vita di una donna: 1-5 segreta
adorazione del futuro marito, fidanzamento e matrimonio; 6-7 gravidanza e nascita del
figlio; 8 morte del marito. È la cultura domestica del tempo.
Schumann rinforza la coerenza di ciascun ciclo con mezzi musicali. In
Frauenliebe und -leben c’è un piano attentamente calcolato nella successione delle
tonalità, i primi cinque intorno a Si bemolle, con una specie di forma ad arco, i
successivi tre (post matrimonio) in un mondo tonale differente ma in sé coerente.
Materiale del primo Lied ritorna nell’ultimo, e il ciclo si conclude con un postludio in
cui la protagonista ricorda l’inizio della relazione con il marito ora morto. L’unica volta
in cui Schumann usa una tonalità lontana è tra 5 e 6, e con ciò Schumann marca il
limite tra vecchia e nuova vita. Schumann inoltre ottiene unità con la ripetizione o la
ripetizione variata di materiale melodico che permette riferimenti incrociati tra singoli
numeri.
Il Liederkreis op. 24 raggruppa i Lieder tre a tre secondo la narrazione. Tonalità
per quinte discendenti o relativo maggiore/minore, o modo minore/maggiore della
stessa tonalità. L’ultimo Lied riporta alla tonalità del primo.
Dichterliebe si può suddividere in due sezioni, divisione determinata sia dal
contenuto sia dalla struttura tonale. Rispetto ai due cicli sopra citati, Dichterliebe è
tonalmente aperto e più sperimentale non solo nel singolo Lied ma in tutto il ciclo. Il
primo Lied è ambiguo tonalmente. E così il nono con cui inizia la seconda metà del
ciclo. Il postludio richiama materiale dei Lieder precedenti.
Gli altri cicli stanno a metà tra la coerenza delle op. 24, 42 e 48 e l’eterogeneità
di Myrthen. Kerner op. 35, Reinick op. 36, Liebesfrühling op. 37 e Eichendorff op. 39:
tutti i Lieder sono dello stesso autore, ma manca per la maggior parte dei casi un vero
filo narrativo, anche se i Lieder di Kerner discendono dal tema dei cicli Wanderlieder.
Le poesie hanno un argomento comune: Liebesfrühling è una celebrazione dell’amore;
amore ricambiato e felicità coniugale legano i Lieder di Reinick.
Op. 39: 12 poesie di Eichendorff, alcune delle quali erano inserzioni liriche in
racconti del poeta, e hanno la loro origine in contesti disparati. Molte poesie sono degli
inni alla natura, evocazioni di paesaggi misteriosi soffusi di immagini naturali; si
estendono da dolorosi ricordi sull’amore ad affermazioni giubilanti dei momenti di
felicità amorosa. Due metà: 1-6 e 7-12 (più cupo). I Lieder che concludono ciascuna
delle due metà sono articolati come affermazioni culminanti, e forniscono una chiusura
delle rispettive sezioni. Si corrispondono musicalmente: la promessa di futura felicità e
l’appagamento dell’amore sono messi in rilievo da musica simile. Un altro fattore
ciclico dell’op. 39 è la successione tonale non complicata. Il primo Lied era un allegro
Lied Der frohe Wandersmann, poi sostituito in occasione della II edizione del 1849 dal
malinconico In der Fremde. Danno diverso carattere a ciò che segue. Invece è più
interessante riconoscere le discontinuità e i rapidi cambiamenti di stato d’animo, e
vedere queste caratteristiche come riverberi dei modi romantici di narrativa.
«Una poesia dovrebbe stare come una sposa fra le braccia del cantante,
liberamente, felicemente e pienamente. Allora suonerà come se venisse dal cielo».
Questo scrive Schumann. Ci sono esempi di perfetta unione tra musica e poesia, per es.
Im wunderschönen Monat Mai, Mondnacht e Zwielicht. Ma sono più delle eccezioni. In
realtà Schumann si appropria dei suoi poeti, specie inserendo estesi commenti nel
pianoforte e ordinando le poesie in cicli che sembrano avere poco a che fare con
l’originario contesto poetico.
Particolarm interessante l’abilità nei Lieder su testo di Heine evidente in
Dichterliebe. Talvolta rende la poesia in modo idiosincratico. L’erotismo esplicito di
Ich will meine Seele tauchen viene soppresso da Schumann che musica le due strofe con
un accompagnamento pianistico meccanico. La qualità sensuale del testo è riconosciuta
solo nel postludio pianistico che, attraverso una melodia più esuberante e il cromatismo
in varie voci, coglie il momento della felicità amorosa ricordato nella poesia. Il
successivo Lied Im Rhein (n. 6) prende forse troppo sul serio l’immagine della cattdrale
di Colonia. La solenne evocazione (in contrappunto) mantenuta per tutta la poesia
costituisce un’espressiva dissonanza rispetto al paragone quasi blasfemo del dipinto
della Madonna con l’immagine dell’amata. Ma l’effetto è notevole: l’io lirico nasconde
i suoi ordinari pensieri e continua la sua finto-pia processione attraverso la cattedrale nel
postludio conclusivo. La musica di Ich grolle nicht n. 7 sembra contraddire la negazione
del primo verso (che Schumann rinforza con ripetizioni); le crome martellanti su un
movimento del basso in minime intensifica la discrepanza tra le parole e la forte
passione a malapena nascosta.
Spesso Schumann trova equivalenti musicali per gli effetti di distanziamento di
Heine citando topoi stilistici: lo stile cavalleresco (Aus alten Märchen winkt es), il
contrappunto arcaico di Im Rhein. Il nono e decimo Lied sono una parodia del valzer e
della canzone narrativa da operetta presentata casualmente per rendere una storia che
spezza il cuore su un triangolo amoroso; l’ottavo Lied dell’op. 24 (Anfangs wollt ich
fast verzagen) è composto sulla melodia di corale Wer nur den lieben Gott …
Quindi, Schumann coglie l’ironia e lo spirito delle poesie di Heine, e trova molti
e immaginose vie per rendere la loro essenza.
3) Terza fase: 1849-1852. Schumann compose circa 50 Lieder nel 1849, è una
creatività che prosegue fino al ciclo di Maria Stuarda del dicembre 1852. È una
produttività sorprendente viste le rivoluzioni europee del 1848-9 (Schumann viveva
allora a Dresda) e l’indebolimento della salute mentale di Schumann. Relativamente alle
rivoluzioni scrive a Hiller che «sembra come se le tensioni esterne spingano le persone a
volgersi all’interiorità, e solo lì io ho trovato una contromisura contro le forze che
irrompono così terrificanti dall’esterno». Nel maggio 1849 si vede costretto a ritirarsi in
campagna. Si può collegare questo ritiro dagli eventi mondani alla sua preferenza per
generi più intimi, fra cui anche il Lied. Ma va sottolineato che i progetti compositivi di
Schumann del 1849 possono essere visti come una forma di raggiungimento del suo
pubblico borghese. I Liederspiele del 1849: Spanisches Liederspiel op. 74 e Spanische
Liebeslieder op. 138 da Geibel, Minnespiel op. 101 da Rückert, rappresentano la
convivialità Biedermeier. Il Liederalbum für die Jugend ha un chiaro scopo pedagogico;
il rivolgersi a Goethe nelle poesie dal Wilhelm Meister e nelle Scene dal Faust si
collega al centenario della nascita del poeta nel 1849.
La salute mentale di Schumann comincia a declinare dopo il 1850. Ma non è
vero che le caratteristiche delle opere tarde sono determinate da questo, anzi molte sono
coscienti tentativi di risolvere problemi estetici e compositivi tipici di quegli anni. I suoi
ultimi Lieder, come l’op. 90 (Lenau), i Wilhelm Meister, l’op. 104 (Kulmann) e il ciclo
di Maria Stuarda op. 135 meritano di essere studiati come opere d’arte, non come
documenti patologici. La scelta di testi con immagini pessimiste e legate alla morte può
essere stata influenzata dalla biografia di Schumann, ma nel comporre tali testi
Schumann trovò la strada per estendere la sua vita e creatività artistica.
Nelle scelte poetiche mancano perlopiù i poeti che avevano ispirati il Liederjahr
(Heine, Chamisso e Kerner). Ricompaiono Rückert e Geibel e Goethe. I testi di
Fallersleben sono appropriati al tono pedagogico del Liederalbum für die Jugend. Molti
testi non sono grande poesia (Neun, Geibel, Pfarrius, Kulmann) ma Schumann seppe
riconoscere il significato di Mörike e il tono appassionato ed elegiaco di Lenau. Anche i
testi di Maria Stuarda sono di qualità.
La maggior parte dei testi sono lirici. Rispetto al 1840 diminuiscono delle poesie
narrative (tipo ballata) e aumentano quelle drammatiche (Rollengedichte). Ciò si può
collegare all’interesse e all’esperienza di Schumann nella composizione drammatica
(compresa l’opera) nei suoi ultimi anni.
Per molti aspetti, i tardi Lieder rivisitano argomenti e strutture del Liederjahr: il
topos dei Wanderlieder: ecc. Il collegamento al Liederjahr può essere esteso a interi
cicli, per es. l’op. 90 è una rivisitazione di Dichterliebe anche se senza l’ironia di Heine.
Però ci sono anche importanti differenze. Alla fine degli anni ’40, Schumann
aveva completato la sua ‘conquista’ dei generi musicali, compresa l’opera, e stava
rivisitando il Lied nella piena consapevolezza delle sfide compositive ed estetiche che
erano emerse in quel periodo. Si possono individuare due filoni contraddittori in questa
terza fioritura liederistica, ed entrambi sono stati equivocati come manifestazioni delle
diminuite facoltà creative. Da una parte si nota una tendenza alla semplificazione nel
Liederalbum op. 79 (concepito insieme all’Album oer la gioventù op. 68 e altro),
progetto pedagogico che riafferma il valore della Hausmusik come fondamento di una
solida educazione musicale. Molti sono strofici (anche l’ultimo Kennst du das Land),
melodie cantabili e pianoforte semplice, frasi 4+4. L’artistica semplicità d questa
raccolta si riverbera anche sulle opp. 104 e 125.
Dall’altra parte, gli ultimi Lieder mostrano una tendenza a una crescente
differenziazione, che riflette la sua esperienza come compositore drammatico
(Genoveva, Scene dal Faust di Goethe, Manfred) e la sua reazione al dibattito sulla
declamazione appropriata nella musica vocale tedesca, discussione che ebbe luogo in
riviste musicali a metà 800, con accenti nazionalisti anti-belcanto italiano considerato
inadatto alla lingua tedesca. Una declamazione più realistica, addirittura drammatica si
trova anche nel Liederjahr (Zwielicht conclus; Wenn ich in deine Augen seh, o Ich hab’
in Traum geweinet). Ma nei Lieder tardi è più frequente, e questo dà loro una sonorità
proto-wagneriana. Solo pochi Lieder di Schumann possono essere classificati come
interamente declamatori (per es. Melancholie), ma un più libero approccio alla
declamazione, che a sua volta influenza la struttura pianistica e fraseologica, informa
vari degli ultimi Lieder di Schumann, per es. i due sonetti del ciclo di Maria Stuarda.
La nuova semplicità popolare e quella di diverso tipo dei Lieder più declamatori
si alternano alla rivisitazione di precedenti topoi. Saranno Brahms, Cornelius e Liszt a
trarre le conclusioni dallo stato dell’arte lasciato da Schumann.
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