APPUNTI SULLA MUSICA CAMERISTICA DI MENDELSSOHN E SCHUMANN [da R. Larry Todd, The chamber music of Mendelssohn, in 19th century chamber music, ed. by S. Hefling, Routledge, New York 2003, pp. 170-207; John Daverio, “Beautiful and abstruse conversations”. The chamber music of Robert Schumann, ivi, pp. 208-241) Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847) La musica da camera ha un ruolo centrale nell’attività compositiva e nella concezione estetica di Mendelssohn. Egli compose brani cameristici per tutta la vita; inoltre, partecipò come pianista a numerose esecuzioni di musica da camera. Nell’inverno 1831-2, per esempio eseguì a Parigi i concerti per pianoforte di Mozart con accompagnamento di quartetto; negli anni ‘40 a Lipsia prese parte con successo alle “musikalische Abendunterhaltungen” del Gewandhaus (una serie di concerti da camera che si aggiungevano alle regolari serie di concerti orchestrali per sottoscrizione) eseguendo composizioni di Mozart e Beethoven. Inoltre come violinista e violista prese parte a esecuzioni del suo Ottetto. La produzione cameristica di Mendelssohn può essere divisa in quattro fasi. 1) Nel 1824 Mendelssohn aveva già completato una gran quantità di composizioni di tutti i generi. Le composizioni cameristiche dei primi anni Venti rivelano l’influenza di Haydn e Mozart: si tratta di un Trio per pianoforte violino e viola, una Sonata per violino, un Quartetto con pianoforte in re minore (rimasto inedito, 1821-2, forse eseguito per Goethe a Weimar; ispirato ai due quartetti di Mozart K478 e 493, è la prima opera di Mendelssohn a esplorare il contrasto tematico in un movimento in forma sonata), un Quartetto per archi in mi bemolle maggiore, in 4 movimenti con il finale in forma di doppia fuga che riflette l’insegnamento di Zelter ma anche l’esempio dei quartetti op. 20 di Haydn e il K387 di Mozart. Troviamo anche fughe a 3 e 4 parti per violino e pianoforte e per quartetto d’archi, scritte per assimilare il contrappunto bachiano. Le prime composizioni che Mendelssohn decide di pubblicare, tra 1823 e 1825, sono, significativamente, composizioni cameristiche. Le opp. 1, 2 e 3 sono Quartetti con pianoforte: se l’op. 1 è ampiamente debitrice di Mozart, l’op. 2 costituisce dal punto di vista formale il primo vero confronto con la musica di Beethoven, mentre per la scrittura pianistica ricorda Hummel e Weber; e l’op. 3 in si minore, la più riuscita e impegnata opera giovanile, è caratterizzata da sperimentazione formale, ricerca di interrelazioni tematiche fra i movimenti, ricchezza di invenzione. Mendelssohn eseguì questo quartetto nel 1825 a Parigi, dove Cherubini lo apprezzò in modo particolare. Ai quartetti segue come op. 4 una Sonata per violino e pianoforte, che si muove nell’orbita dell’op. 3. Al 1823-24 risalgono anche alcune composizioni che Mendelssohn scelse di non pubblicare: una Sonata per viola e pianoforte (pubblicata nel 1966), una Sonata per clarinetto (pubblicata nel 1987), e un Sestetto con pianoforte pubblicato postumo come op. 110 nel 1868. Queste due ultime composizioni si ricollegano alle mode della vita concertistica berlinese. La sonata per clarinetto è quindi fortemente debitrice della musica di Weber. L’organico del Sestetto (violino, due viole, violoncello, contrabbasso e pianoforte) può essere collegato a simili composizioni di Hummel, e hummelesca è la parte pianistica. Ma la ripresa del minuetto nel finale, come coda spiritosa a tutta l’opera, è un gesto beethoveniano. 2). A metà ottobre 1825, pochi mesi dopo il ritorno a Berlino da Parigi, Mendelssohn completa quello che è considerato il suo primo capolavoro, l’Ottetto per archi. Esso rivela l’influsso della musica da camera di Spohr, che nel 1823 aveva composto il primo dei suoi 4 doppi quartetti, op. 65. I due compositori si erano incontrati a Cassel e a Berlino. Spohr però mette in luce che i suoi pezzi sono scritti a doppio coro, in modo antifonale, mentre in quello di Mendelssohn gli otto strumenti collaborano. È notevole nell’Ottetto l’espansione delle proporzioni formali (ridotte nella versione pubblicata nel 1832), l’arricchimento dei procedimenti modulanti e dello schema tonale, il carattere sinfonico del pezzo. Tutto ciò mostra l’assimilazione del linguaggio beethoveniano. Nel celebre Scherzo in sol minore, che Mendelssohn più tardi orchestrò come terzo movimento della sua Prima Sinfonia, l’eterea conclusione con la sua delicata scrittura unisona in pp, fu ispirata – secondo la sorella Fanny – da un passaggio dal Faust di Goethe, gli ultimi versi della Notte di Walpurga. Sempre Fanny nota che «il pezzo si suona staccato e pianissimo, i brividi dei tremoli, gli echi dei trilli che gettano dei lampi furtivi, tutto è nuovo, strano, eppure talmente affascinante e familiare che pare che un soffio leggero vi innalzi verso il mondo degli spiriti». È il primo esempio dello ‘scherzo fiabesco’ che troverà la sua più perfetta espressione l’anno successivo nell’Ouverture del Sogno di una notte di mezza estate. Ampiezza di struttura e preferenza per la complessità contrappuntistica caratterizzano anche il primo Quintetto per archi, completato il 31 maggio 1826. Mendelssohn lo eseguì privatamente a Parigi nel 1832 con Baillot, e dopo l’esecuzione sostituì il minuetto con un Intermezzo in memoria del suo amico d’infanzia Eduard Rietz. Il Quintetto venne pubblicato nel 1833 come op. 18. Agli anni 1827-1829 risalgono i due importanti Quartetti per archi op. 12 in Mi bemolle e op. 13 in La. Nelle lettere scritte in quel periodo al musicista svedese Adolf Lindblad troviamo Mendelssohn immerso negli ultimi quartetti di Beethoven (in particolare le opp. 130 e 131). In essi Mendelssohn scoprì come principio guida per sé la relazione organica delle parti con il tutto: «la relazione di tutte e quattro o tre o due o un movimento di una sonata con ciascuno degli altri e le loro parti rispettive, in modo che fin dall’inizio e per tutta l’esistenza del pezzo si può già conoscere il mistero che deve essere nella musica». L’impegno a collegare i quattro movimenti è molto evidente nel Quartetto op. 13, scritto nell’estate e autunno 1827. Come Mendelssohn scrive a Lindblad, questo quartetto fu ispirato dal Lied Frage op. 9 n. 1: «ascolterai le note del Lied risuonare nel primo e nell’ultimo movimento, e sentirai il suo sentimento in tutti e quattro». Composto come un Impromptu in una festa d’estate vicino a Potsdam, Frage servì come base espressiva e tematica per il quartetto, spingendo Mendelssohn a inserire citazioni esplicite del Lied nei movimenti esterni e impliciti riferimenti in quelli interni. Fugato, recitativo strumentale, contrasti improvvisi rimandano anch’essi a modelli del tardo stile beethoveniano. Nel Quartetto op. 12, completato nel 1829, Mendelssohn cerca di raggiungere l’unità strutturale con l’uso di tecniche cicliche: il turbolento finale (per la maggior parte in do minore) richiama materiale del primo, e conclude con una citazione estesa che ci riporta all’inizio del quartetto e rinsalda la tonalità di mi bemolle. In questi anni Mendelssohn scrisse alcune composizioni minori, rimaste inedite o pubblicate postume: una fuga per quartetto in mi bemolle, 1827; un Lied senza parole per arpa e pianoforte scritto nel 1829 per Thomas Attwood e sua figlia. Pubblicò invece le Variations concertantes per pianoforte e violoncello op. 17, 1829, scritte per il fratello Paul: pezzo virtuosistico convenzionale ma efficace. All’inizio degli anni Trenta Mendelssohn compone poca musica da camera: le sue energie sono rivolte soprattutto alla composizione sinfonica e all’oratorio. I soli brani cameristici sono i due Konzertstücke in fa minore e in re minore op. 113 e 114 per clarinetto, corno di bassetto e pianoforte, composti nel 1832-33 per i due virtuosi Heinrich Bärmann e il figlio Carl, e pubblicati solo nel 1869. Sono leggeri pezzi virtuosistici, in tre movimenti interconnessi; la struttura è presa a prestito dal Konzertstück di Weber per pianoforte e orchestra. Ampi contrasti di registro, figurazioni brillanti e stile cantabile dovevano mettere in mostra le qualità esecutive dei due Bärmann. 3) Mendelssohn torna alla musica da camera dopo qualche tempo, nel 1837. Nel 1835 era stato nominato direttore dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia; nel 1837 sposa Cécile Jeanrenaud. Tra l’estate del 1837 e l’estate del 1838 compone i tre Quartetti per archi op. 44, pubblicati da Breitkopf & Härtel nel 1839 dopo considerevoli revisioni. Molto levigati e meticolosamente composti, rivelano una fase decisamente nuova, classicheggiante: chiarezza di espressione e struttura, stile melodico non disturbato da forti contrasti, struttura formale attentamente equilibrata. A paragone delle opp. 12, 13 e dell’Ottetto, l’op. 44 è stata sentita come una emulazione conservatrice, quando non reazionaria, dell’ideale della musica da camera classica. Come se la felicità dei primi anni di matrimonio avesse portato Mendelssohn a produrre una musica serena, in qualche modo meno profonda dei più avventurosi esperimenti della sua giovinezza. Sempre nel 1838 Mendelssohn compone la Prima Sonata per violoncello e pianoforte, op. 45, in tre movimenti, pubblicata nel 1839. In questa sonata, scritta per il fratello come le Variazioni op. 17, il compositore evita i contrasti, non solo nell’ambito dei movimenti ma anche nel complesso della sonata. Per es. nel II movimento (Andante ABA) cerca di ridurre al minimo il contrasto tra la sezione scherzando in sol minore (A) e il cantabile Lied ohne Worte in sol maggiore (B) incorporando la caratteristica figura puntata di A nell’accompagnamento pianistico di B. Per di più, i movimenti esterni sono costruiti su temi in piano simili fra loro. La composizione più significativa di questo periodo è il Primo Trio con pianoforte op. 49, in re minore. Composto a Francoforte nel giugno e luglio 1839, fu immediatamente revisionato e nel settembre Mendelssohn produsse una seconda versione considerevolmente differente. Secondo Donald Mintz queste varianti dimostrano un fondamentale cambiamento nello stile e nella sintassi musicale. La parte del pianoforte venne poi riscritta nell’inverno 1839 prima di mandare il manoscritto a Breitkopf & Härtel nel gennaio 1840. Lo stimolo a questa operazione venne dall’amico Hiller. Questi rimase profondamente colpito dal fuoco e dallo spirito, dalla scorrevolezza e dalla maestria di questa composizione, ma giudicò fuori moda alcuni passaggi per pianoforte. Hiller aveva frequentato a Parigi Liszt e Chopin, ed era abituato alla ricchezza di passaggi che caratterizzava la nuova scuola pianistica. Mendelssohn decise quindi di riscrivere la parte del pianoforte secondo le idee di Hiller. Tutti e quattro i movimenti contengono passaggi del Mendelssohn più ispirato. Nel primo movimento, il nobile tema di apertura al violoncello è posto in una posizione scura di accordi bassi sincopati nel pianoforte. Quando il violino riprende il tema poche battute dopo, il caratteristico motivo del violoncello di una quarta ascendente (la-re) viene espanso a una sesta (la-fa), e quando il complesso tematico raggiunge il suo apice su un la acuto, il pianoforte abbandona momentaneamente il suo schema sincopato per unirsi al violoncello e al violino nel rinforzare il tema. Molto efficace l’inizio della ripresa, dove Mendelssohn pone contro il tema del violoncello un soggetto al violino che scende da quel la acuto udito nelle battute di apertura. Il secondo movimento è un Lied ohne Worte in forma ternaria ABA. Nella prima sezione, la melodia del pianoforte solo si alterna con frasi in duetto per violino e violoncello; la parte centrale è una sezione contrastante nel parallelo minore, in cui l’accompagnamento pianistico arpeggiato in sedicesimi è sostituito da accordi in terzine. Nella ritransizione al ritorno di A, riappare la figurazione in sedicesimi e M. riafferma due volte la dominante Fa maggiore attraverso un’espressiva armonia francese di sesta aumentata, una significativa progressione cromatica che rivela la sua conoscenza delle composizioni cameristiche di Schubert. Lo scherzo è del tipo già più volte proposto da Mendelssohn, vivace e fiabesco. La sua natura briosa viene affermata nel materiale di apertura al pianoforte solo, in cui la preferenza solita di Mendelssohn per frasi regolari cede il posto a una frase di 7 battute (3+4). Anche la forma è insolita, un rondò ABACABCA’. Finisce evaporando in pianissimo come l’Ottetto. Anche il finale è un rondò con lo stesso schema ma effetto molto diverso. Il tema interrogativo iniziale ottiene il suo carattere agitato destabilizzando la tonica. La sezione C liederistica fa rivivere lo stile da Lied ohne Worte del II movimento, e la versione finale di A in re maggiore fa un fuggevole riferimento allo scherzo prima della conclusione trionfante del pezzo. 4) A un primo sguardo, non ci sono tratti stilistici nuovi nelle opere degli anni Quaranta, eccetto che nel Quartetto in fa minore op. 80 dominato dal dolore per la morte della sorella nel maggio 1847. Tra il 1842 e il 1847 Mendelssohn compone brani per violoncello e pianoforte, trio con pianoforte, quartetto d’archi, quintetto d’archi. Questa musica riflette in gran parte le tendenze classicheggianti del periodo medio, benché ora raggiunga una maggiore profondità di espressione e più sperimentazione nella forma, nel trattamento della tonalità e dell’insieme cameristico. La seconda sonata per violoncello e pianoforte in re maggiore, op. 58, abbozzata nel 1841, fu completata nel 1842 e pubblicata nel 1843. La sonata è in quattro movimenti. Il secondo, uno Scherzo con sezione lirica contrastante, richiama un procedimento simile nel secondo movimento della Prima Sonata per violoncello, anche se lo schema ternario è qui espanso a ABABA. Il cuore della sonata è il terzo movimento, un espressivo Adagio in cui a un corale in Sol maggiore eseguito dal pianoforte in accordi arpeggiati risponde un passaggio in recitativo del violoncello. Poi i due elementi (corale e recitativo) si fondono. Nelle battute conclusive il pianoforte esegue la sua versione del recitativo, a cui si intreccia il tetracordo cromatico discendente, tradizionale simbolo del lamento. Il movimento finisce con accordi in pp, che portano attraverso un accordo di settima diminuita a un brillante rondo finale di bravura. Un’altra composizione per violoncello e pianoforte, probabilmente risalente al 1845, è il Lied ohne Worte in re maggiore, scritto per Lisa Cristiani, pubblicato postumo come op. 109 nel 1868. Ha forma ternaria con parte centrale contrastante nel parallelo minore, ed è ancora un esempio del tentativo di Mendelssohn di trasferire il popolarissimo genere pianistico nel dominio della musica da camera. L’ultima composizione di cui Mendelssohn poté seguire la pubblicazione è il Secondo Trio con pianoforte, in do minore, op. 66. Iniziato alla fine di aprile 1845, fu rielaborato e ritoccato durante l’estate, mentre lavorava all’Elijah. Dedicato a Spohr, venne pubblicato nel 1846. L’esordio scuro e in pianissimo è stato definito uno dei passaggi più ispirati di Mendelssohn, e l’esposizione del primo tempo una delle sue più riuscite applicazioni della forma-sonata. Il periodo iniziale è costruito su un motivo compatto arpeggiato che è ripetuto in progressione a differenti altezze: qui l’ascesa è per quarte (tonica, sottodominante, sensibile), e questo procedimento insolito conferisce una certa aura di mistero e instabilità. Dopo 20 battute. il violino presenta il primo vero materiale melodico, una breve frase presa a prestito dal Lied ohne Worte op. 102 n. 1 composto nel 1842. A questo punto l’Urmotiv è riesposto come accompagnamento pianistico, con un cambiamento ritmico a sedicesimi. Il secondo tema lirico, in mi bemolle maggiore, è in marcato contrasto con la struttura motivica del materiale iniziale. Infine, per la sezione conclusiva, Mendelssohn modula alla dominante sol minore e contrappone un robusto soggetto accordale nel pianoforte all’Urmotiv al violino e (in inversione a specchio) al violoncello. L’esposizione si espande così a tre complessi motivico-tematici e tre aree tonali, tonica, mediante e dominante minore – la tonalità dei primi tre movimenti del Trio. Come nell’op. 49, il secondo movimento è un Lied ohne Worte in forma ternaria, con una sezione centrale contrastante al parallelo minore. Usa un semplice stile omofono, come nel repertorio corale. Il terzo movimento è un capriccioso scherzo di imprevedibile forma a rondò (ABABCACA’). Lo scherzo nasce da una caratteristica anacrusi di due semicrome seguite da un battere accentato, un’idea ritmica che ricorre in ogni sezione del movimento, sia nel materiale tematico sia nell’accompagnamento. In modo tipico di Mendelssohn, lo scherzo svanisce dissolvendosi in una serie di leggeri accordi staccati. Anche il finale è un complesso rondò basato su tre idee: ABACABACB(coda). La parte più insolita è la sezione centrale C, dove Mendelssohn introduce un maestoso corale nel pianoforte, con brevi reminiscenze di A interpolate tra le frasi degli archi. Il Secondo Quintetto per archi op. 87 fu completato nel luglio 1845, ma l’autore scelse di non pubblicarlo perché non era soddisfatto del finale. Lo mise da parte e non fece in tempo a completarlo come desiderava prima della morte. Nel 1846 lo fece ascoltare a Moscheles, che lo trovò energico, e in verità il primo movimento, con le brillanti figurazioni del I violino spesso trova la grandeur e lo slancio dell’Ottetto. Anche l’espansione dello schema tonale può essere ricondotto al carattere sperimentale del capolavoro giovanile. I movimenti interni presentano il massimo contrasto: L’Andante scherzando in sol minore è uno scherzo senza pretese con due sezioni che si alternano in forma di rondò, mentre il successivo Adagio e lento in re minore è uno dei più commoventi movimenti lenti di Mendelssohn. L’ultima composizione cameristica di Mendelssohn è il Quartetto per archi op. 80, scritto negli ultimi mesi della sua vita, durante una grave crisi per la morte della sorella Fanny (maggio 1847). Il quartetto fu scritto nella vacanza svizzera a luglio e settembre. Poco dopo il ritorno a Lipsia Mendelssohn si ammalò e, impegnato nella correzione delle bozze di Elia, non fece a tempo a preparare il quartetto per la pubblicazione. Per molti aspetti quest’opera è agli antipodi dell’ideale classicheggiante del medio periodo. Vi troviamo uno stile dissonante con forti contrasti. Il motivo base del primo tempo serve come una specie di Urmotiv per l’intero quartetto, tiene insieme le parti disparate della composizione. Nello scherzo, che comincia in medias res con figure sincopate sulla dominante, la linea cromatica ascendente del basso (da Mi a Do) è presa dalla b. 2 del primo movimento. Negli ultimi mesi di vita Mendelssohn discusse molto con Moscheles dei suoi progetti compositivi. Alcuni brani per quartetto (due movimenti) furono pubblicati postumi come op. 81 n. 1 e 2, e rappresentano la fase più tarda della creatività di Mendelssohn. Il Quartetto op 80 ci fa pensare che Mendelssohn, se avesse vissuto più a lungo, si sarebbe probabilmente staccato da quella tradizione classica che aveva ereditato e padroneggiato nella sua musica da camera. Mendelssohn è stato considerato il rappresentante supremo dell’età della Restaurazione in Germania e del primo periodo vittoriano in Inghilterra. Difensore dei valori conservatori, non riformatore o innovatore, compone levigate musiche da camera che si inseriscono facilmente nei paradigmi classici (sonata per due strumenti, trio con pianoforte, quartetto e quintetto per archi), fiducioso che al massimo il compositore completo potrà maneggiare il suo materiale musicale “impercettibilmente meglio dei suoi immediati predecessori” (Lobe, Gespräche mit Mendelssohn, 1855). Al tempo di Mendelssohn la musica da camera era sempre più vista come una forma ideale di musica assoluta. Negli enigmatici quartetti per archi del tardo Beethoven, la nozione classica del genere come una spiritosa conversazione tra pari era stata riformulata per portare la musica da camera più vicina a un regno metafisico. Per Karl Reinhold von Koestlin (Die Musik, in F.T. Vischer, Aesthetik, Stuttgart 1857) la musica da camera è un hegeliano «dialogo dello spirito (assoluto) con se stesso”. Uno dei problemi che Mendelssohn (che frequentò le conferenze di Hegel a Berlino e che conosceva la metafisica di Schleiermacher) si trovò ad affrontare era come rendere significativa la musica da camera. Essa correva il rischio di diventare del tutto esoterica ritirandosi in un autonomo mondo di musica assoluta (sempre Koestlin). Mendelssohn rispose a questa sfida basandosi sulla chiarezza e sulla struttura formale per intensificare il potere emozionale della musica, e su modelli storici di grandezza musicale, la cui emulazione aiutava a mantenere valori estetici normativi. Il risultato fu un corpus significativo di musica da camera che si rivolgeva direttamente al pubblico e che entrò prontamente nel repertorio dopo Beethoven. Tuttavia, la notevole facilità comunicativa di Mendelssohn fu criticata come mancanza di originalità e di profondità, in ultima analisi un esperimento formalista e auto-limitante. I rappresentanti della ‘musica dell’avvenire’ ponevano dramma musicale wagneriano e poema sinfonico molto al di sopra della musica da camera nella gerarchia dei generi, e nell’ambiente degli anni post 48 la musica da camera venne vista da molti come un genere legato alla storia e simbolico del vecchio ordine musicale. Robert Schumann (1810-1856) Si tende a non considerare Schumann come un compositore di musica strumentale da camera nello stesso senso di Beethoven, Schubert o Brahms. Ma il genere cameristico incornicia tutta la sua carriera: fra le sue prime composizioni quasi completate troviamo un Quartetto con pianoforte in do minore; fra le ultime ci sono una serie di Fünf Romanzen per violoncello e pianoforte, distrutte da Clara all’inizio degli anni 90 (secondo quanto riferisce Brahms), poiché pensava che non fossero all’altezza della produzione schumanniana. La musica da camera compresa fra questi due estremi è di tipologie molto varie: opere nelle forme più ‘alte’, per soli archi o più spesso con parte concertante di pianoforte; pezzi di carattere; Hausmusik conviviale per una varietà di combinazioni; arrangiamenti con pianoforte di opere originariamente per violino solo o violoncello solo. Non sono categorie rigide: i movimenti centrali delle forme ‘alte’ spesso sono vicini al pezzo di carattere; e fra la poesia di questi ultimi e l’incanto facile della Hausmusik borghese corre una linea sottile. Inoltre, la musica cameristica di Schumann mostra di frequente caratteri associati ad altri generi: sinfonia, concerto, Lied. Il repertorio da camera è una specie di prisma attraverso il quale si riflettono i risultati ottenuti da Schumann in altri generi. Anche per la musica cameristica di Schumann possiamo identificare diverse fasi. 1) I primi contatti con la musica strumentale da camera avvengono durante l’adolescenza a Zwickau: i quartetti di Mozart con pianoforte K 478 e 493, il Quintetto con pianoforte op. 1 del principe Louis Ferdinand. Lo stesso Schumann si cimenta inizialmente con il Quartetto con pianoforte: e tra l’autunno 1828 e il marzo 1829 scrive un quartetto con pianoforte in do minore. Questo primo saggio nelle forme ‘alte’ nasce da un’atmosfera conviviale. Alla fine del 1828 Schumann aveva formato un quartetto con tre amici: J.F. Täglichsbeck violino, C. Sörgel viola e C. Glock violoncello, Schumann al pianoforte. Le loro esercitazioni avvenivano spesso alla presenza di un circolo di ascoltatori selezionati (tra cui Wieck). Per es. il 13 marzo 1829 Schumann registra sul suo diario la quattordicesima sessione di quartetto: «Beethoven Arciduca (bizzarro); Dussek Quartetto op. 57; Schumann do min. (andò bene); molta birra bavarese; lunghe conversazioni sulle associazioni di studenti e contadini; bella atmosfera; a tarda sera il I movimento del Trio di Schubert – musica molto nobile ….bella dormita». Il gruppo di amici eseguì nel 1829 alcune parti del quartetto. Schumann decise poi di usare il materiale del Quartetto per una sinfonia, cosa che però non avvenne. Questo quartetto rivela anche l’influenza del linguaggio schubertiano sul giovane compositore, sia negli scintillanti passaggi pianistici, sia nel linguaggio armonico: per es. l’immediato rilievo sulla napoletana nel movimento iniziale, le rapide modulazioni per terze nel Minuetto, e la mescolanza modale del finale. Allo stesso tempo, il Quartetto in do minore è legato agli interessi propri di Schumann. Venti anni dopo, riassumendo il suo sviluppo artistico, Schumann accordò all’opera un posto speciale: «Ricordo molto bene un punto in uno dei miei lavori … relativamente al quale mi dissi: questo è romantico; qui c’è uno spirito differente dalla mia precedente musica: una nuova vita poetica sembrò rivelarsi (il punto in questione era il trio di uno scherzo [sic] da un quartetto con pianoforte)». Il nuovo spirito ‘romantico’ del trio dal Minuetto emana da accentuati ritmi trocaici e dattilici, da piccanti appoggiature e, all’inizio della seconda metà del trio, da una semplice ma evocativa disposizione degli strumenti, in cui la melodia al violoncello è accompagnata da pizzicati negli archi acuti e da accordi palpitanti nel pianoforte. Questo passaggio a sua volta ha un ruolo chiave nel finale che, come scrive Schumann, «allegramente medita sul passato come da un altro mondo e trasporta il suo bassorilievo in questo». Schumann richiama il tema ‘romantico’ del trio nell’ultimo movimento del Quartetto, dove figura in una specie di parata delle idee ricorrenti da precedenti momenti del pezzo, compreso il secondo tema del primo movimento e il tema iniziale dell’Andante. Il tema del trio, comunque, serve come perorazione di questo procedimento di richiamo quando appare, trasformato in un ribollente do maggiore nella coda più presto del Finale. E qui si capisce che l’ossessivo ritmo dattilico del finale non è altro che una variante in tempo veloce dello stesso schema del trio. Per cui la “Nuova vita poetica” rivelata attraverso il grazioso ma semplice tema del trio viene intimamente collegata a una ricerca di coerenza su vasta scala. È significativo che questa ricerca – così importante per la futura musica di Schumann - venisse avviata attraverso il mezzo della musica strumentale da camera. 2) Negli anni Trenta, Schumann fu impegnato soprattutto a comporre musica per pianoforte. Ma il periodo 1836-1839 (in cui scrisse la Fantasia, Davidsbündlertänze, Kinderszenen e Kreisleriana) è cruciale anche per l’approfondimento del suo interesse per la musica da camera. Nell’agosto 1836 Schumann pensava di scrivere un Trio con pianoforte e un Quintetto con pianoforte, ma non realizzò poi il progetto. Nello stesso periodo assistette regolarmente (e talvolta ospitò) alle prove di un quartetto d’archi diretto da Ferdinand David, Konzertmeister dell’orchestra del Gewandhaus. Queste sessioni continuarono fino al 1838, Schumann scrisse in proposito dei vivaci articoli sulla Neue Zeitschrift für Musik. Il quartetto era ben noto per le sue esecuzioni degli ultimi quartetti di Beethoven, repertorio che affascinò Schumann: «sono opere [i Quartetti op. 127 e op. 131] per la cui grandezza non si possono trovare le parole. Mi sembrano rappresentare, accanto ad alcuni cori e opere originali di Johann Sebastian Bach, gli estremi limiti che l’arte e l’immaginazione umana possono aver raggiunto», scriveva il compositore nel 1838. Mentre molti suoi colleghi trovavano la musica tarda di Beethoven bizzarra e incomprensibile, Schumann fu colpito da suoi «sublimi voli di fantasia», dal «tono popolare», e dall’humor romantico. Furono i tardi quartetti di Beethoven che spinsero Schumann alla composizione di quartetti per archi (scrisse che il pianoforte era diventato troppo limitato per la sua creatività): nel 1838-39 troviamo una serie di tentativi in questo genere, che rimangono però allo stadio iniziale. Infatti inizia due composizioni nel 1838 (dopo aver ascoltato l’op. 131 di Beethoven); poi nel 1839, il 28 maggio, scrive al collega della Neue Zeitschrift für Musik Hirschbach che pensa di dedicare i mesi estivi alla composizione di quartetti per archi. Il 13 giugno scrive a Clara di aver iniziato due quartetti; e nel frattempo studia gli ultimi quartetti di Beethoven. Per tre anni non sentiamo più parlare di quartetti per archi. Schumann era impegnato su altri fronti: la causa con il suocero, l’inizio della vita matrimoniale e infine un anno dedicato alla composizione sinfonica. Ma il 1842 è finalmente l’anno della musica da camera, e i tentativi cedono il posto a una straordinaria creatività, grazie alla quale, a partire da giugno e fino ai primi mesi del 1843, scrive: tre Quartetti per archi op. 41, pubblicati nel 1848; il Quintetto con pianoforte op. 44 (scritto tra il 23 settembre e il 12 ottobre, pubblicato nel 1843); il Quartetto con pianoforte op. 47 (25 ottobre-26 novembre, pubblicato nel 1845); i Phantasiestücke per Trio con pianoforte op. 88 (completati dopo Natale e pubblicati ne 1850), l’Andante und Variationen per 2 pianoforti, 2 violoncelli e corno (scritti all’inizio del 1843 e pubblicati postumi in questa versione, e nel 1844 nella versione per 2 pianoforti come op. 46). Come si vede, si tratta di una ordinata esplorazione dei sottogeneri della musica strumentale da camera. Lo stile delicatamente inciso dei quartetti per archi cede ai tocchi più ampi del quintetto e quartetto con pianoforte; l’esperienza di compositore di pezzi di carattere si rivela nei Phantasiestücke e nell’Andante und Variationen, che precorrono il sapore borghese della Hausmusik dei tardi anni 40. Schumann scrisse a Raimund Haertel il 3 dicembre 1847 che i suoi quartetti avevano assunto per lui un significato speciale dopo la morte di Mendelssohn, a cui sono dedicati. Gli scritti di Schumann sul quartetto possono darci un accesso a questo ‘speciale significato’. Sono due gli aspetti dell’estetica di Schumann che si rivelano particolarmente importanti qui: 1) i compositori di quartetto devono mantenersi in limiti strettamente delimitati, e specialmente devono evitare il «furore sinfonico». «Ciascuno ha qualcosa da dire in un vero quartetto d’archi; è una bella conversazione, a volte anche artificiosamente intrecciata, tra quattro persone». Quindi il vero stile di quartetto incarna una qualità esoterica i cui correlati compositivi sono l’autosufficienza delle singole voci e l’integrità contrappuntistica del tutto 2) Il compositore di quartetti deve possedere una profonda conoscenza della storia del genere, che comprende i quartetti di Haydn, Mozart, Beethoven e Mendelssohn (benché apprezzasse molto il quartetto La morte e la fanciulla, lo schema storico di Schumann non comprende Schubert). Tuttavia, un’imitazione pedissequa dei modelli antichi doveva essere evitata. Entrambi questi aspetti sono realizzati nei quartetti op. 41. Per quanto riguarda il primo, i risultati del corso di contrappunto che Schumann si autoimpose nel marzo e aprile 1842 sono evidenti in tutti e tre i quartetti. Le tre principali funzioni associate allo stile sonatistico (esposizione, sviluppo, ripresa variata) sono arricchite attraverso il contrappunto. Per quanto riguarda il rapporto con la tradizione, nella recensione del primo dei Lebensbilder in einem Zyklus von Quartetten di Hirschbach, Schumann riconosceva che «alberi carichi di frutti si trovano anche nel giardino di Haydn e Mozart». Schumann aveva studiato la musica di Haydn e Mozart in marzo e aprile 1842, mentre Clara era in tournée a Copenhagen. Al ritorno la coppia lesse al pianoforte molte di queste partiture. L’influsso di Haydn riguarda l’approccio alla forma-sonata (monotematismo; dilazione della dominante alla fine dell’esposizione); quello di Mozart riguarda l’intreccio tra tra sviluppo e ripresa, e la flessibilità di trattamento. Però Schumann dichiara che, se ama Mozart, Beethoven lo venera come un dio. Ora Schumann è nella posizione di emulare Beethoven. Non ci sono soltanto evidenti allusioni, ma anche riferimenti più obliqui alle ultime opere di Beethoven, riferimenti di tono, scelte tonali, interrelazioni fra i movimenti. Ma c’è di più. Solo di Schumann è la continuazione nella ricerca di ‘nuove forme’ che ha caratterizzato la sua produzione pianistica degli anni Trenta. La struttura di variazioni strofiche dei movimenti lenti delle opp. 41/1 e 3 è praticamente senza precedenti nella letteratura quartettistica. Il finale dell’op. 41/3 si svolge come una successione di ritratti di carattere in miniatura (tipo le Novelletten op. 21) ma gli viene data forma attraverso uno schema parallelo (la musica delle bb. 112-84 richiama quella delle bb. 1-72, per la maggior parte una terza minore sopra) – si tratta di una variante della forma-sonata che si è rivelata importante nelle prime sonate per pianoforte di Schumann e nella Fantasia. L’individualità di Schumann si riconosce anche dalla distanza rispetto allo stile dei suoi contemporanei e specialmente di Mendelssohn. I quartetti di Mendelssohn sono più ‘leggibili’ e suonabili, sono stati concepiti per il diletto di bravi amateurs. Non così Schumann, molto difficile. Sia Mendelssohn che Schumann hanno raggiunto la maturità come compositori in un periodo in cui la musica da camera era arrivata a occupare una posizione intermedia tra intrattenimento pubblico e privato. Continuano a svolgersi esecuzioni private, riservate a pochi invitati, ma nello stesso tempo aumenta il pubblico ai concerti di musica da camera. La separazione tra la dimensione pubblica e quella privata si manifesta sempre di più nelle tessiture orchestrali che caratterizzano molti quartetti dell’Ottocento. Schumann tende invece a un discorso tra eguali. È uno degli ultimi rappresentanti della vera musica da camera, in cui ascoltatori ed esecutori sono la stessa persona. Nella musica da camera per pianoforte e archi l’ideale di Schumann (come dimostra la recensione al Trio di Mendelssohn op. 47) coincide in parte con quello del quartetto d’archi: «nessuno strumento domina, e ciascuno ha qualcosa da dire». Ma va raggiunto un equilibrio tra elementi sinfonici ed elementi propriamente cameristici, equilibrio che va di pari passo con una dialettica tra privato e pubblico. La mediazione è evidente nel Quintetto e nel Quartetto con pianoforte: le loro caratteristiche distintive si possono apprezzare in uno spazio a metà tra il salotto e la grande sala da concerto. Tovey giustamente scrive: «ogni nota parla, e gli strumenti sono vividamente caratterizzati malgrado il predominio del pianoforte per tutto il pezzo». I raddoppi per cui quest’opera è stata frequentemente criticata spesso creano un effetto quasi impressionistico, come nel primo episodio (Do maggiore) del movimento lento, dove le semiminime in terzine nel pianoforte (contro le crome di violino II e viola) colorano delicatamente la melodia del I violino e del violoncello. L’intreccio finemente organizzato delle linee contrappuntistiche che caratterizza i quartetti per archi cede il posto, nel Quintetto, a un contrappunto più estroverso, ‘pubblico’, specie nella perorazione del finale. Qui, dopo un enfatico arrivo sulla dominante, il tema di apertura del primo movimento, in valori aumentati, è combinato con il tema principale del finale, in una esposizione di doppia fuga brillantemente efficace. Qui Schumann ripropone la sua soluzione a un problema che aveva affrontato in varie opere sinfoniche del 1841: dar forma al finale di una composizione in più movimenti in modo che non solo sia completa in se stessa, ma fornisca anche la conclusione dell’intera composizione. Il carattere ‘pubblico’ del Quintetto deriva quindi anche dal suo impegno con un problema strutturale più prontamente associato con il più pubblico dei generi musicali, la sinfonia. Il Quartetto pianoforte e archi è per alcuni aspetti un doppio del Quintetto: entrambi in mi bemolle, entrambi per pianoforte + archi, entrambi usano il richiamo tematico, entrambi mostrano il lato estroverso ed esuberante di Schumann. Però non sono affatto due opere gemelle. Se nel Quintetto l’equilibrio tra carattere pubblico e carattere privato pende verso il primo, nel Quartetto è il contrario. La presenza di un solo violino produce un mondo sonoro più intimo il cui più ovvio emblema è il sontuoso solo del violoncello all’inizio dell’Andante cantabile. Inoltre, il carattere distintivo del Quartetto deriva da un tono neoclassico assente nel Quintetto. Ci sono molte assonanze con i Quartetti op. 59/3 e op. 74 e con il Trio l’Arciduca di Beethoven. Il Quartetto è più vicino del Quintetto al mondo intimo del Quartetto per archi. L’intimità distingue inoltre i due ultimi prodotti dell’anno cameristico: i Phantasiestücke op. 88 per Trio con pianoforte e l’Andante und Variationen. I pezzi fantastici, scrive lo stesso Schumann, hanno una natura molto più delicata rispetto alle altre sue composizioni per pianoforte e archi. Sono più vicini al pezzo di carattere, con struttura a sezioni. Il secondo tempo (Humoreske) è un miscuglio di miniature quasi indipendenti. Anche le Variazioni hanno un simile tono, si rifanno a pezzi come Kreisleriana, o Kinderszenen. Vi troviamo variazioni alla Florestano e variazioni alla Eusebio. 3). Nel 1847 nascono i due grandi Trii con pianoforte. Essi segnano una nuova tappa nella composizione cameristica di Schumann. Comincia una maniera di comporre del tutto nuova. Dal punto di vista stilistico ciò comportò un più raffinato uso della transizione e un modo di espressione più concentrato. In particolare, lo sviluppo lineare di linee melodiche cede in favore di una ricca rete di combinazioni motiviche sviluppate simultaneamente. La musica da camera è un mezzo naturale per un processo di questo tipo, i cui più significativi documenti sono appunto i Trii con pianoforte op. 63 e op. 80, concepiti come coppia fra giugno e novembre 1847. Il Trio in re minore triste e malinconico, quello in fa maggiore di tono più sereno, ma i procedimenti costruttivi sono gli stessi. 4) In una lettera a Hiller, Schumann definì il 1849 il suo anno più fruttuoso: rifugiarsi nel lavoro è l’antidoto ai terribili eventi esterni. Si tratta in genere di composizioni che possiamo definire con il termine di Hausmusik, un tipo di repertorio coltivato nel privato della casa borghese e inteso come mezzo per innalzare la consapevolezza culturale di chi la pratica. È un fenomeno Biedermeier: ritirarsi dal tumulto degli eventi esterni nello spazio più santificato, l’interno della casa. La Hausmusik di Schumann è destinata al duo con pianoforte: Phantasiestücke per clarinetto op. 73 Adagio und Allegro per corno op. 70 Fünf Stücke im Volkston per violoncello op. 102 Drei Romanzen per oboe op. 94 Insieme a Märchenbilder viola e pianoforte op. 113 (1851) e Märchenerzählungen per clarinetto, viola e pianoforte op. 132 (1853), queste composizioni costituiscono una sistematica esplorazione delle possibilità coloristiche del linguaggio strumentale a poche voci. Anche la possibilità di organico alternativo lega queste composizioni alla tradizione della Gebrauchsmusik dell’Ottocento. Eccetto l’Adagio und Allegro, sono cicli di miniature, unificate da una tonica centrale e da un profilo espressivo complessivo. Nei Phantasiestücke lo stretto legame dei pezzi è ulteriormente accentuato dalle indicazioni Attacca che legano i diversi movimenti e da una rete di connessioni tematiche. Ma con un sistema allusivo: un singolo stato d’animo (Stimmung) si rifrange in diversi momenti psicologici. Nei Fünf Stücke im Volkston le irregolarità metriche sono un mezzo di dare alla musica il carattere di una espressione parlata.Tutta la Hausmusik di Schumann proietta una qualità ineffabile di ‘c’era una volta’, un senso di narrazione anche se non sta narrando un determinato contenuto. Per Schumann anche la Hausmusik si dimostra un’attività poetica. Rinasce l’ispirazione capricciosa dei pezzi di carattere pianistici degli anni Trenta. 5) Il periodo tra il 1850 e il 1853 (Schumann diventa Musikdirektor a Düsseldorf) è un periodo di grande produttività. La musica tarda di Schumann riassume come in microcosmo i risultati di un’intera vita creativa. Vi troviamo il Musikdirektor, il narratore, il collezionista, il Davidsbündler. Lo stile ‘pubblico’ da Musikdirektor si rivela in serietà di tono, dimensioni espanse, integrazione tematica su larga scala. Lo troviamo nella Seconda Grande sonata per violino e pianoforte (in re minore), che tende alla profondità e al respiro delle opere sinfoniche. Scritta in pochi giorni nel 1851 fu poi a lungo rimaneggiata e pubblicata infine nel 1853, come op. 121. Il narratore si trova in Märchenerzälungen per clarinetto, viola e pianoforte op. 132. Sono racconti di tempi e luoghi lontani, di armonia e forma ambigue. Il collezionista si ritrova negli accompagnamenti pianistici alle composizioni di Bach per solo violino o solo violoncello. La scrittura dei giorni di gioventù compare nel Trio in sol minore op. 110 (forma sonata singolare, struttura che ricorda la costruzione a mosaico tipica dei pezzi di carattere). La Sonata in la minore per violino e pianoforte op. 105 è un ciclo di tre pezzi di carattere composti da Florestano ed Eusebio. La maniera più antica si rifrange in una sensibilità eminentemente ‘tarda’: «conversazioni belle ma artificiosamente intrecciate». APPUNTI SULLA PRODUZIONE LIEDERISTICA DI SCHUMANN [da Jürgen Thym, Schumann: reconfiguring the Lied, in The Cambridge companion to the Lied, ed. by James Parsons, Cambridge University Press, 2004, pp. 120-141] Schumann si dedicò al Lied in tre momenti della sua carriera di compositore: ai suoi inizi nel 1827-28; nell’anno 1840, tutto incentrato sul Lied; nel periodo post 1847, in cui Schumann cercò di rinnovarsi come artista. In ognuna di queste occasioni fu proprio il Lied a diventare il catalizzatore per la scoperta di sé e il rinnovamento. 1) Primi tentativi: 1827-28. Dopo la morte del padre nel 1826, Schumann trova sostegno nell’amicizia di una coppia musicofila. La moglie, Agnes Carus, fece conoscere a Schumann i Lieder di Schubert e lo spinse a comporre. Schumann si innamora di lei, e i suoi sentimenti confluiscono in una serie di Lieder, rimasti inediti. Schumann ne utilizzò alcuni come materiale di brani pianistici degli anni ’30. Rivelano un abile imitatore di Schubert. Usa testi di Goethe, Byron, e specialmente Kerner. Molti sono strofici, ma in alcuni casi Schumann crea forme ABA (ripetendo la prima strofa alla fine), oppure musica l’ultima strofa con musica diversa, o adotta una composizione non-strofica con minimi elementi ripetitivi. La texture è voce + accompagnamento pianistico. Frequenti inizi non sulla tonica. Qualche postludio che echeggia l’ultima frase della voce, ma più spesso che riarticola materiale introduttivo come materiale cadenzale. Nell’estate del 1828 Schumann inviò tre dei suoi Lieder su testo di Kerner a Gottlob Wiedebein, Kapellmeister e compositore a Braunschweig. Wiedebein critica alcuni aspetti della composizione ma li scusa per effetto della giovane età, e gli dice profeticamente che ha ricevuto molto dalla natura e quindi usi pure i suoi doni naturali e il mondo lo riconoscerà. 2) L’anno dei Lieder: 1840-41. Stupisce la produttività liederistica del 1840: infatti ancora nell’estate del 1839 Schumann aveva confessato a Hirschbach che aveva sempre considerato la musica per la voce inferiore alla musica strumentale e non l’aveva mai reputata grande arte. Sulla Neue Zeitschrift für Musik aveva delegato le recensioni dei Lieder al suo vice Oswald Lorenz. Il Liederjahr si spiega con circostanze biografiche: Schumann e Clara si sposano, dopo una lotta legale contro il padre di lei. Le circostanze ricche di emozioni di questo periodo contribuirono all’improvviso erompere della creatività di Schumann che trovò sbocco in Lieder spesso relativi all’amore in tutti i suoi aspetti: dall’agonia del rifiuto alla benedizione dell’appagamento. Lo stesso Schumann scrive a Clara nel maggio 1840, riferendosi al Liederkreis op. 39: «è il mio ciclo più romantico, e contiene molto di te». In termini più pratici: nel 1839, Schumann e Clara avevano cominciato a raccogliere poesie (perlopiù di poeti contemporanei) destinate ad essere musicate, in un libro che intitolarono Abschriften von Gedichten zur Composition. Era un progetto comune di due artisti che, nel periodo del fidanzamento, volevano essere legati da vincoli artistici e spirituali, anche quando erano fisicamente separati. La maggior parte delle poesie raccolte venne musicata da Robert, ma anche Clara contribuì con alcuni Lieder di Rückert pubblicati insieme a quelli di Robert in Liebesfrühling op. 37. L’opposizione di Wieck derivava dal timore che Schumann non avrebbe potuto offrire un avvenire decente alla figlia. Fino al 1839, Schumann aveva pubblicato solo opere pianistiche esoteriche e difficili, certo non bestseller. Lo stesso compositore era consapevole della difficoltà di comprensione delle sue opere (bizzarre giustapposizioni di miniature contrastanti) e della loro scarsa vendibilità. Nel giugno 1840 scrive a Rieffel: «vorrei trovare più gente che capisce il significato delle mie composizioni; spero di riuscire più facilmente con le composizioni vocali». Con quell’affermazione Schumann istituisce un legame fra le opere pianistiche e i Lieder. Nel 1845 Brendel mise in rilievo che i Lieder erano in realtà una continuazione dei suoi pezzi di carattere per pianoforte. E Wasielewski (il primo biografo di Schumann) sostenne che Schumann si era dedicato alla composizione di Lieder per una necessità di chiarezza espressiva. Edler e Daverio hanno sostenuto che il cuore della creatività di Schumann, sia che prendesse la forma di musica vocale, sia di musica strumentale, è la concezione di tradurre la poesia in musica, di inserire nelle composizioni musicali uno spirito poetico. Dopo il 1840, Schumann occasionalmente recensì dei Lieder per la Neue Zeitschrift für Musik, dandoci così l’opportunità di conoscere le sue idee relative alla composizione di Lieder. Nella recensione del 1843 a Lieder di Robert Franz Schumann sostenne che era giunta una nuova era. Schumann riteneva che non fosse stato Schubert ad inaugurare questo nuovo periodo, ma che Schubert avesse piuttosto preparato la strada, proseguendo sulla linea di Beethoven. (È singolare questa posizione, considerata l’enorme considerazione di Schumann per la musica strumentale di Schubert). La nuova era invocata da Schumann da una parte è basata sui progressi effettuati nella composizione per pianoforte (che a sua volta si rifà a Bach e Beethoven), e indica una nuova relazione tra voce e pianoforte; dall’altra su una nuova scuola poetica, i cui principali rappresentanti sono Eichendorff, Rückert, Heine e Uhland. Nel 1840, Schumann trasse i suoi testi da un’ampia varietà di fonti. Goethe figura poco (solo 5 testi in Myrthen), Schiller per niente. Nel 1840 Schumann era attratto da altri tipi di testi. Da una parte, colse con i 12 Lieder su testi di Eichendorff un tardivo fiore del Romanticismo letterario (le poesie di Eichendorff non furono pubblicate fino al 1837): dall’altra, si rivolse a poeti le cue poesie, in un modo o nell’altro, rappresentano una trasformazione dello spirito romantico. Heine, che prese le distanze dalle immagini e dal sentimento romantico attraverso l’ironia e lo spirito; Chamisso, Reinich, Rückert e in certa misura Kerner colgono nelle loro poesie la sensibilità Biedermeier del Vormärz: felicità domestica, amicizia, patriottismo, orgoglio regionale, e consolazione nella religione. Fra questri poeti emerge Rückert per la musicalità e il virtuosismo del suo linguaggio poetico, che certamente attrasse Schumann. Sono scelte che mostrano Schumann aderire ai valori culturali della borghesia tedesca negli anni precedenti alle rivoluz del 1848. Inoltre, Schumann compone anche su testi di poeti non tedeschi: Shakespeare, Burns, Moore, Byron, HC Andersen, Béranger. La maggior parte dei testi sono strofici, composti di quartine con versi perlopiù trimetri o tetrametri, e schemi di rima tipo abab oppure aabb. Il canto popolare (o ciò che si riteneva canto popolare in conseguenza del Knaben Wunderhorn di Arnim e Brentano) si fa sentire nelle strutture che i poeti usano per le loro liriche. Anche se nella produzione poetica usano anche forme più sofisticate (antichità classica, sonetto petrarchesco, ghazel persiano) nel Lied moderno gravitano sulle strutture del canto popolare. Da una parte ciò serviva a cogliere il Volkston, dall’altra queste forme offrivano uno scheletro per controllare le forze centrifughe legate ai procedimenti durch-komponiert e all’emancipazione dell’accomp strumentale. Strutture poetiche più complesse sono quindi un’eccezione in Schumann. Nel trattamento del testo Schumann non sempre è totalmente fedele: troviamo ripetizioni di versi o di un’intera strofa per mettere in rilievo un’affermazione commovente o per rinforzare una cadenza, procedimenti già in uso precedentem, come anche la ripetizione della prima strofa alla fine. Ma Schumann va anche oltre: talvolta omette una strofa, aggiunge, toglie o contrae sillabe o cambia le parole di un verso (per es. in In der Fremde dall’op. 39). Le sperimentazioni pianistiche degli anni precedenti portano i loro frutti nel Liederjahr. Il significato di Schumann come compositore di Lieder sta soprattutto nell’aver stabilito una nuova interdipendenza tra voce e pianoforte. Anche se Schubert già 15 anni prima aveva messo il pianoforte sullo stesso piano della voce, Schumann integra le due parti in grado fino allora sconosciuto, tanto che una non può esistere senza l’altra. La tradizionale struttura voce + accompagnamento si trova in molti Lieder di Schumann, specie in quelli in cui è in cerca di un tono popolare (Freisinn da Myrthen; Wanderlied di Kerner; Der frohe Wandersmann da Eichendorff). Qui il pianoforte funziona come supporto alla parte vocale, anche se a volte acquista una propria importanza con brevi preludi, interludi o postludi. Schumann usa talvolta accompagnamenti um-pa-pa (op. 24 n. 1 e 4, Die Rose die Lilie in Dichterliebe). Analogamente, la parte del pianoforte si limita a raddoppi sincopati della parte vocale in Intermezzo dell’op. 39, o in Ein Jungling da Dichterliebe, o nll’op. 24 n. 4). Talvolta accordi ripetuti al pianoforte per sostenere il cantante, con in Der Himmel hat da Liebesfrühling o in op. 35 n. 10. Altrove il piano ha una filigrana di arpeggi come in In der Fremde op. 39 n. 1 e Hör’ ich das Liedchen klingen e Am leuchtenden Sommermorgen entrambi da Dichterliebe. Ciò che a un primo sguardo sembra un’accompagnamento tradizionale, si rivela un ingegnoso intreccio di voci. Un motivo di richiamo di corno fatto di quarte e quinte ascendenti e discendenti emerge nelle parti vocali e strumentali della sezione mediana di In der Fremde, arricchendo la struttura e intensificando l’espressione di desiderio in un momento cruciale della poesia. E la melodia che una volta ‘era cantata dall’amata’ ritorna varie volte in Hör’ ich das Liedchen klingen nel pianoforte come un doloroso e ossessionante ricordo dell’antica felicità. L’ultima esposizione a übergrosses Weh [colossale sventura] inizia un postludio che presenta la pungente reminiscenza tre volte in canone, nascosta e intrecciata nella filigrana di accordi spezzati. Nel primo Lied di Dichterliebe si può vedere fino a che punto voce e pianoforte collaborano nell’articolare la texture del Lied: è una ingegnosa polifonia di ritardi e e risoluzioni arpeggiate, in cui voce e pianoforte sono collegate per inversione. Il contrappunto svolge un ruolo importante nel determinare la texture dei Lieder di Schumann. Per es. nell’evocazione modale di un paesaggio medievale (Auf einer Burg, da op. 39) o la descrizione ugualmente fuori moda della cattedrale di Colonia in Im Rhein (vero esercizio nel contrappunto delle specie), o la trasposizione della scrittura fugata di Bach in Zwielicht dall’op. 39. Un contrappunto veramente schumanniano, pieno di arpeggi e voci implicite (anche in figure di accomp) appare in Lieder con uno stile meno ‘storico’ (In der Fremde, Schöne Fremde, Frühlingsnacht da op. 39; Im wunderschönen Monat Mai, Hör’ ich das Liedchen klingen, Am leuchtenden Sommermorgen da Dichterliebe). Un’insolita relazione tra voce e pianoforte è presente in Ich hab im Traum geweinet (Dichterliebe). Nelle prime due strofe voce e pianoforte sono del tutto separati. Il pianoforte punteggia le varie frasi vocali tipo recitativo con lugubri accordi nel registro grave, dando al tutto una qualità funerea. Solo nella terza e ultima strofa uniscono le loro forze: la monotona esposizione vocale adesso è sostenuta da stridenti accordi dissonanti che non risolvono finché la voce non ha finito. Altrove Schumann rovescia la texture voce-accompagnamento. Per es. Das ist ein Flöten und Geigen è come un valzer nel pianoforte su cui la voce recita il testo poetico: è un pezzo di carattere per pianoforte con parte vocale obbligata. Un simile rovesciamento di ruoli non si ritrova in maniera così sistematica, ma in brevi tratti capita spesso. Per es. in Waldesgespräch le ansanti espressioni del cacciatore sono sovraimposte a una parte per pianoforte indipendente, che rende il paesaggio della foresta con una texture da corno da caccia. Nell’ultimo dei Dichterliebe la voce accompagna mentre il pianoforte fornisce la coerenza complessiva del discorso musicale. Può anche capitare il contrario: il pianoforte fa delle interiezioni in ciò che è un passaggio indipendente della voce sola (Ich hab im Traum geweinet). I Lieder di Schumann sono generalmente ordinati in gruppi o cicli: 6, 8, 9, 12, 16 o più Lieder connessi da un filo comune, poetico o musicale o da tutti e due. Talvolta il filo è vago, talvolta specifico. Ecco l’elenco dei cicli del 1840-41 Myrthen op. 25 Liederkreis op. 39 (testi di Eichendorff) Frauenliebe und -leben op. 42 (Amore e vita di donna, testi di Chamisso) Dichterliebe op. 48 (Amor di poeta, testi di Heine) Liederkreis op. 24 (testi di Heine) Kerner Lieder op. 35 Reinick Lieder op. 36 Liebesfrühling op. 37 (contiene anche tre Lieder di Clara). Myrthen op. 25 è la raccolta più lontana dall’idea del ciclo. Contiene 26 poesie di diversi poeti (fra cui Burns, Goethe e Rückert), senza un tema comune. Doveva essere un regalo per Clara, un bouquet di fiori regalato alla sposa nel giorno del matrimonio. In alcuni Lieder si trovano tracce di questo scopo. È incorniciato da Widmung, inno all’amata chiaramente con funzione introduttiva, e Zum Schluss che chiude con la dedica: «Qui … ho intrecciato per te una ghirlanda imperfetta, sorella, sposa». Contiene anche due Lieder accoppiati sempre su testi di Rückert, intitolati Lied der Braut, due barcarole veneziane di erotismo appena nascosto, e alcuni implicano un dialogo tra maschio e femmina. Anche se si può trovare una coerente successione di tonalità (i Lieder procedono per tonalità vicine) non c’è dubbio che Myrthen è una galleria di belle miniature senza una logica particolare. Liederkreis op. 24, Frauenliebe und -leben op. 42, Dichterliebe op. 48, sono invece coerenti per tema poetico, filo narrativo, motivi e immagini, e questi elementi comuni nella poesia sono rinforzati da elementi musicali di ripetizione e progressione. Poesie di un unico poeta, e tratte da un preesistente ciclo poetico. L’op. 24 (9 Lieder) è tratta dalla sezione Junge Leiden del Buch der Lieder di Heine; Frauenliebe und -leben è un ciclo di poesie di Chamisso (Schumann elimina l’ultima delle nove poesie del ciclo); Dichterliebe usa 16 delle 65 poesie del Lyrisches Intermezzo, sempre dal Buch der Lieder di Heine: anche se Schumann taglia drasticamente il ciclo poetico, mantiene l’ordinamento delle poesie di Heine e quindi il filo narrativo. Attraverso la successione delle poesie si stabilisce una logica narrativa che conferisce loro coerenza e unità. Op. 24: segue il soggetto lirico in una relazione amorosa infelice: disperazione e agitazione nei n. 1-3, separazione dall’amata 4-6, superamento dell’amarezza e recupero 7-9. Dichterliebe espande in certo modo questo schema narrativo: 1-6 il protagonista sprofonda nei momenti felici dell’amore tinti non raramente di dubbio e dolore. In 7-8 rabbia appena nascosta alla scoperta del tradimento; in 9-14 sfoga la sua delusione in ricordi di amarezza, sentimentalismo e auto-ironia. Infine, 15-16: trova consolazione nell’immaginare un’utopia in cui alla fine le memorie amare devono calmarsi. Frauenliebe und –leben sono otto quadretti dalla vita di una donna: 1-5 segreta adorazione del futuro marito, fidanzamento e matrimonio; 6-7 gravidanza e nascita del figlio; 8 morte del marito. È la cultura domestica del tempo. Schumann rinforza la coerenza di ciascun ciclo con mezzi musicali. In Frauenliebe und -leben c’è un piano attentamente calcolato nella successione delle tonalità, i primi cinque intorno a Si bemolle, con una specie di forma ad arco, i successivi tre (post matrimonio) in un mondo tonale differente ma in sé coerente. Materiale del primo Lied ritorna nell’ultimo, e il ciclo si conclude con un postludio in cui la protagonista ricorda l’inizio della relazione con il marito ora morto. L’unica volta in cui Schumann usa una tonalità lontana è tra 5 e 6, e con ciò Schumann marca il limite tra vecchia e nuova vita. Schumann inoltre ottiene unità con la ripetizione o la ripetizione variata di materiale melodico che permette riferimenti incrociati tra singoli numeri. Il Liederkreis op. 24 raggruppa i Lieder tre a tre secondo la narrazione. Tonalità per quinte discendenti o relativo maggiore/minore, o modo minore/maggiore della stessa tonalità. L’ultimo Lied riporta alla tonalità del primo. Dichterliebe si può suddividere in due sezioni, divisione determinata sia dal contenuto sia dalla struttura tonale. Rispetto ai due cicli sopra citati, Dichterliebe è tonalmente aperto e più sperimentale non solo nel singolo Lied ma in tutto il ciclo. Il primo Lied è ambiguo tonalmente. E così il nono con cui inizia la seconda metà del ciclo. Il postludio richiama materiale dei Lieder precedenti. Gli altri cicli stanno a metà tra la coerenza delle op. 24, 42 e 48 e l’eterogeneità di Myrthen. Kerner op. 35, Reinick op. 36, Liebesfrühling op. 37 e Eichendorff op. 39: tutti i Lieder sono dello stesso autore, ma manca per la maggior parte dei casi un vero filo narrativo, anche se i Lieder di Kerner discendono dal tema dei cicli Wanderlieder. Le poesie hanno un argomento comune: Liebesfrühling è una celebrazione dell’amore; amore ricambiato e felicità coniugale legano i Lieder di Reinick. Op. 39: 12 poesie di Eichendorff, alcune delle quali erano inserzioni liriche in racconti del poeta, e hanno la loro origine in contesti disparati. Molte poesie sono degli inni alla natura, evocazioni di paesaggi misteriosi soffusi di immagini naturali; si estendono da dolorosi ricordi sull’amore ad affermazioni giubilanti dei momenti di felicità amorosa. Due metà: 1-6 e 7-12 (più cupo). I Lieder che concludono ciascuna delle due metà sono articolati come affermazioni culminanti, e forniscono una chiusura delle rispettive sezioni. Si corrispondono musicalmente: la promessa di futura felicità e l’appagamento dell’amore sono messi in rilievo da musica simile. Un altro fattore ciclico dell’op. 39 è la successione tonale non complicata. Il primo Lied era un allegro Lied Der frohe Wandersmann, poi sostituito in occasione della II edizione del 1849 dal malinconico In der Fremde. Danno diverso carattere a ciò che segue. Invece è più interessante riconoscere le discontinuità e i rapidi cambiamenti di stato d’animo, e vedere queste caratteristiche come riverberi dei modi romantici di narrativa. «Una poesia dovrebbe stare come una sposa fra le braccia del cantante, liberamente, felicemente e pienamente. Allora suonerà come se venisse dal cielo». Questo scrive Schumann. Ci sono esempi di perfetta unione tra musica e poesia, per es. Im wunderschönen Monat Mai, Mondnacht e Zwielicht. Ma sono più delle eccezioni. In realtà Schumann si appropria dei suoi poeti, specie inserendo estesi commenti nel pianoforte e ordinando le poesie in cicli che sembrano avere poco a che fare con l’originario contesto poetico. Particolarm interessante l’abilità nei Lieder su testo di Heine evidente in Dichterliebe. Talvolta rende la poesia in modo idiosincratico. L’erotismo esplicito di Ich will meine Seele tauchen viene soppresso da Schumann che musica le due strofe con un accompagnamento pianistico meccanico. La qualità sensuale del testo è riconosciuta solo nel postludio pianistico che, attraverso una melodia più esuberante e il cromatismo in varie voci, coglie il momento della felicità amorosa ricordato nella poesia. Il successivo Lied Im Rhein (n. 6) prende forse troppo sul serio l’immagine della cattdrale di Colonia. La solenne evocazione (in contrappunto) mantenuta per tutta la poesia costituisce un’espressiva dissonanza rispetto al paragone quasi blasfemo del dipinto della Madonna con l’immagine dell’amata. Ma l’effetto è notevole: l’io lirico nasconde i suoi ordinari pensieri e continua la sua finto-pia processione attraverso la cattedrale nel postludio conclusivo. La musica di Ich grolle nicht n. 7 sembra contraddire la negazione del primo verso (che Schumann rinforza con ripetizioni); le crome martellanti su un movimento del basso in minime intensifica la discrepanza tra le parole e la forte passione a malapena nascosta. Spesso Schumann trova equivalenti musicali per gli effetti di distanziamento di Heine citando topoi stilistici: lo stile cavalleresco (Aus alten Märchen winkt es), il contrappunto arcaico di Im Rhein. Il nono e decimo Lied sono una parodia del valzer e della canzone narrativa da operetta presentata casualmente per rendere una storia che spezza il cuore su un triangolo amoroso; l’ottavo Lied dell’op. 24 (Anfangs wollt ich fast verzagen) è composto sulla melodia di corale Wer nur den lieben Gott … Quindi, Schumann coglie l’ironia e lo spirito delle poesie di Heine, e trova molti e immaginose vie per rendere la loro essenza. 3) Terza fase: 1849-1852. Schumann compose circa 50 Lieder nel 1849, è una creatività che prosegue fino al ciclo di Maria Stuarda del dicembre 1852. È una produttività sorprendente viste le rivoluzioni europee del 1848-9 (Schumann viveva allora a Dresda) e l’indebolimento della salute mentale di Schumann. Relativamente alle rivoluzioni scrive a Hiller che «sembra come se le tensioni esterne spingano le persone a volgersi all’interiorità, e solo lì io ho trovato una contromisura contro le forze che irrompono così terrificanti dall’esterno». Nel maggio 1849 si vede costretto a ritirarsi in campagna. Si può collegare questo ritiro dagli eventi mondani alla sua preferenza per generi più intimi, fra cui anche il Lied. Ma va sottolineato che i progetti compositivi di Schumann del 1849 possono essere visti come una forma di raggiungimento del suo pubblico borghese. I Liederspiele del 1849: Spanisches Liederspiel op. 74 e Spanische Liebeslieder op. 138 da Geibel, Minnespiel op. 101 da Rückert, rappresentano la convivialità Biedermeier. Il Liederalbum für die Jugend ha un chiaro scopo pedagogico; il rivolgersi a Goethe nelle poesie dal Wilhelm Meister e nelle Scene dal Faust si collega al centenario della nascita del poeta nel 1849. La salute mentale di Schumann comincia a declinare dopo il 1850. Ma non è vero che le caratteristiche delle opere tarde sono determinate da questo, anzi molte sono coscienti tentativi di risolvere problemi estetici e compositivi tipici di quegli anni. I suoi ultimi Lieder, come l’op. 90 (Lenau), i Wilhelm Meister, l’op. 104 (Kulmann) e il ciclo di Maria Stuarda op. 135 meritano di essere studiati come opere d’arte, non come documenti patologici. La scelta di testi con immagini pessimiste e legate alla morte può essere stata influenzata dalla biografia di Schumann, ma nel comporre tali testi Schumann trovò la strada per estendere la sua vita e creatività artistica. Nelle scelte poetiche mancano perlopiù i poeti che avevano ispirati il Liederjahr (Heine, Chamisso e Kerner). Ricompaiono Rückert e Geibel e Goethe. I testi di Fallersleben sono appropriati al tono pedagogico del Liederalbum für die Jugend. Molti testi non sono grande poesia (Neun, Geibel, Pfarrius, Kulmann) ma Schumann seppe riconoscere il significato di Mörike e il tono appassionato ed elegiaco di Lenau. Anche i testi di Maria Stuarda sono di qualità. La maggior parte dei testi sono lirici. Rispetto al 1840 diminuiscono delle poesie narrative (tipo ballata) e aumentano quelle drammatiche (Rollengedichte). Ciò si può collegare all’interesse e all’esperienza di Schumann nella composizione drammatica (compresa l’opera) nei suoi ultimi anni. Per molti aspetti, i tardi Lieder rivisitano argomenti e strutture del Liederjahr: il topos dei Wanderlieder: ecc. Il collegamento al Liederjahr può essere esteso a interi cicli, per es. l’op. 90 è una rivisitazione di Dichterliebe anche se senza l’ironia di Heine. Però ci sono anche importanti differenze. Alla fine degli anni ’40, Schumann aveva completato la sua ‘conquista’ dei generi musicali, compresa l’opera, e stava rivisitando il Lied nella piena consapevolezza delle sfide compositive ed estetiche che erano emerse in quel periodo. Si possono individuare due filoni contraddittori in questa terza fioritura liederistica, ed entrambi sono stati equivocati come manifestazioni delle diminuite facoltà creative. Da una parte si nota una tendenza alla semplificazione nel Liederalbum op. 79 (concepito insieme all’Album oer la gioventù op. 68 e altro), progetto pedagogico che riafferma il valore della Hausmusik come fondamento di una solida educazione musicale. Molti sono strofici (anche l’ultimo Kennst du das Land), melodie cantabili e pianoforte semplice, frasi 4+4. L’artistica semplicità d questa raccolta si riverbera anche sulle opp. 104 e 125. Dall’altra parte, gli ultimi Lieder mostrano una tendenza a una crescente differenziazione, che riflette la sua esperienza come compositore drammatico (Genoveva, Scene dal Faust di Goethe, Manfred) e la sua reazione al dibattito sulla declamazione appropriata nella musica vocale tedesca, discussione che ebbe luogo in riviste musicali a metà 800, con accenti nazionalisti anti-belcanto italiano considerato inadatto alla lingua tedesca. Una declamazione più realistica, addirittura drammatica si trova anche nel Liederjahr (Zwielicht conclus; Wenn ich in deine Augen seh, o Ich hab’ in Traum geweinet). Ma nei Lieder tardi è più frequente, e questo dà loro una sonorità proto-wagneriana. Solo pochi Lieder di Schumann possono essere classificati come interamente declamatori (per es. Melancholie), ma un più libero approccio alla declamazione, che a sua volta influenza la struttura pianistica e fraseologica, informa vari degli ultimi Lieder di Schumann, per es. i due sonetti del ciclo di Maria Stuarda. La nuova semplicità popolare e quella di diverso tipo dei Lieder più declamatori si alternano alla rivisitazione di precedenti topoi. Saranno Brahms, Cornelius e Liszt a trarre le conclusioni dallo stato dell’arte lasciato da Schumann.