NOTE ALBANESE Robert Schumann (1810-1856) Fantasia in do maggiore op. 17 La geniale Fantasia in Do maggiore di Robert Schumann venne alla luce da un intricato intreccio di rapporti sia personali sia musicali: nell’estate del 1836, quando l’amata Clara fu allontanata dal padre, deciso a rompere la relazione tra la figlia e il giovane musicista, nacque Ruinen, un pezzo che bene esprime il senso di desolazione e la rassegnata disperazione vissuti da Schumann in quel momento. Ruinen costituì il primo abbozzo di un lavoro concepito come contributo per il progetto del monumento commemorativo a Beethoven, da erigersi a Bonn, e venne completato nel dicembre del 1836. Offerto a vari editori con il titolo Ruinen, Trophäen, Palmen. Große Sonate venne rifiutato e in seguito, soprattutto l’ultimo movimento con il velato riferimento alla Settima di Beethoven, rimaneggiato in modo considerevole prima di essere pubblicato come Phantasie op.17 nell’aprile del 1839, con dedica a Franz Liszt; in tutta l’opera restano, comunque, molto forti i richiami alla musica beethoveniana. Il primo movimento della Fantasia, il cui motto iniziale è un perpetuo divenire simile a un urlo di dolore che esprime il modo appassionato e incerto con cui l’autore viveva la proprie esperienze, si chiude significativamente con una citazione dal lied An die ferne Geliebte (All’amata lontana). Il movimento centrale presenta, invece, una sorta di marcia eroica -che in una prima stesura venne pensata come “Arco di Trionfo” in omaggio a Beethoven- dai forti rimandi al Fidelio; la sonata si chiude con un Lento e sostenuto finale che svela il lato notturno e sensuale della musica schumanniana e in cui sono rintracciabili richiami alla Sonata al chiaro di luna e al concerto Emperor. L’op.17 è, comunque, un grande inno d’amore per Clara, a cui scrisse: “non puoi capire la Fantasia se non ritorni con la mente a quella infelice estate in cui rinunciai a te; ora non ho più ragione di scrivere composizioni così melanconiche e così infelici. Il primo movimento è quanto ho scritto di più appassionato, è un profondo lamento per te". Resta controverso, in un lavoro così esplicitamente riferito all’amata, il significato della dedica a Liszt che forse reca un velato rimprovero alla stessa Clara; la quale, del resto, evitò fino al 1866 (quindi per trent’anni) di interpretare in pubblico l’indiscusso capolavoro pianistico del marito. Béla Bartók (1881-1945) "Szabadban" (All'aria aperta), suite Sz 81 La grandezza di Béla Bartók, musicista ed etnomusicologo, va ricercata nell’avere capito quali fossero le enormi potenzialità delle risorse musicali popolari; basandosi su una ricerca condotta con rigore scientifico, andando in giro nelle campagne ungheresi e trascrivendo centinaia di melodie, il compositore scoprì quali ricercatezze melodiche –nate da una grande stratificazione culturale- si possono nascondere nel canto di un pastore o di un contadino. Fu grazie ai suoi studi che la musica colta si arricchì di vocaboli della tradizione popolare e per la prima volta i luoghi deputati all’esecuzione della musica colta, ovvero i conservatori, le sale da concerto e i teatri, aprirono le loro porte a questa nuova “riflessione sulle culture”. La suite Szabadban ci racconta proprio di questo mondo rurale, un mondo all’aperto, in libertà, dove in uno spazio sconfinato si possono udire echi di musica popolare. La suite venne composta nel 1926, anno assai produttivo che vide l’inizio della stesura di Mikrokosmos -uno dei più importanti metodi per pianoforte del secolo scorso- la composizione d’un grande lavoro come il Concerto n.1 per pianoforte e orchestra, di pezzi più brevi come la Sonata per pianoforte, e, appunto, Szabadban. I cinque movimenti che compongono questa suite poggiano su un tessuto dai forti caratteri popolari, che trae ispirazione della natura. Grazie allo straordinario sfruttamento timbrico della tastiera, Bartók riesce a descrivere varie situazioni sonore, tra cui il richiamo di pifferi e tamburi in Sippal, Dobbal, dove è aiutato da un pianismo tipicamente percussivo (indicazione del movimento è Pesante), i misteriosi suoni di una notte intensa in Az éjszaka zenéje o l’eco di una battuta di caccia, e l’inseguimento della preda, in Hajsza. La Barcarolla e Musettes sono due ballabili tipicamente popolareschi. Una curiosità su Musettes: in origine, era un tema Moderato appartenente all’ultimo movimento della Sonata per pianoforte, poi rimosso perché contrastante con il resto del brano. Franz Liszt (1811-1886) Vincenzo Bellini (1801-1835) Réminiscences de Norma Indubbiamente Franz Liszt fu una persona musicalmente eclettica: considerato l’iniziatore del moderno metodo di studio del pianoforte, nonché rivoluzionatore della tecnica pianistica; conobbe fama e onori anche per la sua attività di compositore e come grande animatore della vita musicale tedesca nella seconda metà dell’Ottocento. Definito come uno dei più grandi compositori romantici e il più grande pianista di tutti i tempi, amò dedicarsi alle trascrizioni per pianoforte di pezzi altrui: fantasie e parafrasi che tuttora vengono considerate dai concertisti un ideale traguardo. Al 1835 risalgono le prime trascrizioni da Rossini e Donizetti, seguite nel ’36 da Bellini e nel ’38 da Mercadante: possiamo considerare questo tipo di composizioni come una sorta di laboratorio nel quale vengono analizzati –con grande intelligenza musicale- i pregi, le caratteristiche e i vezzi della prassi compositiva ed esecutiva del melodramma sperimentando forme complesse e molto ben articolate. Numerosissime sono le fantasie e le parafrasi che Liszt ha prodotto, obbedendo (quasi senza pudore) a quella che oggi chiamiamo “legge di mercato”, per assecondare le sempre più pressanti richieste del pubblico; tra queste ricordiamo le fantasie su Robert le diable di Meyerbeer, su Don Giovanni di Mozart, su Lucrezia Borgia di Donizetti e, appunto, su Norma. Ma la grandezza del compositore si riconosce proprio nel modo di rileggere la musica altrui, facendone un nuovo e inconfondibile prodotto marcato “Liszt”. Réminiscences de Norma, del 1846, è la lunga fantasia ispirata a sette brani dell’opera e divisa in due grandi sequenze: la scena di apertura e la parte finale. L’interpretazione lisztiana punta il dito sul grande conflitto vissuto da Norma, la Sacerdotessa druidica divisa tra l’amore e il dovere, riuscendo a rendere piena giustizia alla musica di Bellini grazie ad un pianismo lirico, fluido e insieme virtuosistico. Le melodie sono, infatti, arricchite da difficili espedienti pianistici, che fanno ricordare come le Réminiscences fossero state composte per Marie Pleyel, la grande pianista che volle dal compositore un pezzo di bravura da concerto. Da notare, nella seconda metà e dopo il recitativo di transizione, il carattere percussivo di “Qual cor tradisti” e del coro “Guerra! Guerra!”; ma è nella sezione di chiusura che il grande virtuosismo di Liszt emerge pienamente, quando si sovrappongono l’una sull’altra le diverse melodie. Marilisa Lazzari