cap 07 crescita endogena - Università degli studi di Pavia

Capitolo 7 Le teorie della crescita endogena
7.1 Il capitale umano, la crescita della produttività e le economie esterne: le nuove teorie della
crescita
Sappiamo già che la principale conclusione del modello di crescita di Solow (lezione 5) può
essere sintetizzata in questi termini: l’accumulazione capitalistica non garantisce di per sé, senza
cioè l’intervento di un progresso tecnico esogeno, una crescita persistente del reddito pro capite. Si
tratta a ben pensarci di una conclusione assolutamente contro-intuitiva. Infatti: perché disponiamo
di un reddito pro capite (e quindi di un benessere materiale) superiore a quello dei nostri padri? E
perché i nostri padri hanno potuto disporre di un reddito pro capite mediamente superiore a quello
dei nostri nonni? La risposta più immediata che tutti siamo tentati di dare (e che è effettivamente
stata data da tutti i grandi economisti classici: Smith, Ricardo, Marx) è la seguente. I nostri nonni,
che per ipotesi facevano i contadini, invece di consumare l’intero reddito che con il loro sudore si
guadagnavano annualmente, ne risparmiavano una parte. Il risparmio, a sua volta, non veniva
tesaurizzato (cioè messo sotto il materasso), ma investito, cioè impiegato per acquistare capitale:
per esempio un altro aratro, in modo tale che anche il fattore, prima impiegato in faccende
relativamente improduttive, potesse arare i campi. L’aratro aggiuntivo così ottenuto (ottenuto dal
sacrificio, dalla rinuncia al consumo corrente) permetteva ai nostri nonni di produrre un reddito
annuale più elevato, vuoi perché in questo modo essi erano in grado di coltivare più terra, vuoi
perché potendo coltivare la stessa quantità di terra più velocemente (grazie all’impiego più
produttivo del fattore), essi trovavano il tempo di dedicarsi a qualche altra attività ad integrazione
del loro reddito. Il risparmio e il corrispondente investimento, l’atto iniziale di rinuncia al consumo
corrente, sembrano dunque essere ciò che spiega la crescita del reddito pro capite nel corso del
tempo. Lo stesso dicasi, mutatis mutandis, per i nostri padri. Essi erano, per esempio, operai in una
impresa automobilistica. Per tutelarsi dalle incertezze del futuro e poter far fronte a qualsiasi
evenienza, o anche semplicemente per godersi una piccola rendita in età avanzata, essi pure hanno
rinunciato a spendere mensilmente tutto il loro salario, risparmiandone una parte e depositando tale
somma in un libretto di risparmio, così da poter percepire un interesse. Le banche, il cui mestiere è
quello di prestare denaro dietro pagamento di un interesse, hanno utilizzato i risparmi dei nostri
padri per erogare crediti, diciamo all’impresa automobilistica in cui i nostri padri lavoravano. A sua
volta l’impresa, grazie a questi prestiti, ha potuto acquistare nuove unità di macchinario su cui i
lavoratori potevano trasferirsi nei tempi morti, ciò che ha contribuito ad accrescere la produttività
degli stessi lavoratori e dunque ha permesso all’impresa di pagare loro salari reali più elevati1.
Riepiloghiamo: ancora una volta l’atto di risparmio del lavoratore (che ha reso possibile
l’investimento dell’impresa) è all’origine dell’aumento del reddito percepito dal lavoratore stesso.
Il risparmio e l’investimento, cioè a dire l’accumulazione di capitale, sembrano quindi
essere all’origine della crescita persistente del reddito pro capite che si è potuta osservare, almeno
nei paesi avanzati, a partire dalla Rivoluzione Industriale.
Il modello di Solow contesta tuttavia questa conclusione. Esso predice che, per quanto ci si
possa affannare a risparmiare ed investire in nuove unità di capitale, presto o tardi il processo di
crescita economica (di crescita del reddito pro capite) si arresterà in uno steady state, cioè in uno
stato stazionario nel quale anno dopo anno il reddito pro capite continua a rimanere invariato. Come
è noto, tale conclusione di Solow dipende in modo essenziale dall’esistenza di rendimenti marginali
decrescenti del capitale2: per capirsi, se è vero che l’acquisto di un nuovo macchinario permette di
1
Il processo che si sta descrivendo con molte semplificazioni non è stato affatto automatico e indolore. Gli straordinari
incrementi di produttività del lavoro realizzatisi nel corso dei decenni precedenti non si sono mai tradotti
“automaticamente” in maggiori salari reali. I frutti della crescita della produttività sono sempre stati oggetto di un
conflitto sociale a volte molto aspro.
2
Ricordiamo che assumendo una generica funzione di produzione del PIL (bene composito) della forma Y = F(K,L), il
prodotto marginale del capitale non è che la derivata parziale di Y rispetto a K. Nel caso specifico della funzione di
1
accrescere la produttività dei lavoratori, dal momento che essi potranno impiegare i tempi morti per
lavorare su questo nuovo macchinario, è altrettanto vero che un simile processo non può continuare
all’infinito, con l’acquisto di altri macchinari, giacché prima o poi i lavoratori non avranno più
“tempi morti”! Detto in altri termini: data una certa disponibilità di lavoratori, quantità addizionali
di capitale (macchinario) contribuiscono in misura sempre inferiore (e al limite nulla) all’aumento
della produttività del lavoro. Questa è la ragione per cui, secondo Solow, la crescita persistente del
reddito pro capite, può essere spiegata soltanto dal progresso tecnico esogeno: dal fatto, cioè, che
per qualche ragione esterna alla logica degli incentivi economici individuali, si rendono disponibili
non tanto nuove unità di macchinario, ma macchinari migliori. Computers invece di macchine da
scrivere; macchinari agricoli invece che cavalli; e così via3. L’ipotesi di rendimenti marginali
decrescenti del capitale, che come abbiamo appena visto è del tutto ragionevole, è all’origine inoltre
di un’altra conclusione forte del modello di Solow, quella relativa alla cosiddetta “convergenza”.
Rendimenti marginali decrescenti del capitale significa infatti che l’incremento di produzione
dovuto alla messa in opera di una unità aggiuntiva di capitale (a parità di lavoro impiegato) è tanto
più piccolo quanto maggiore è la quantità di capitale di cui già si dispone. In altri termini:
l’incentivo ad investire acquistando unità aggiuntive di capitale produttivo, incentivo misurato dalla
quantità di prodotto finale aggiuntivo ottenibile dall’investimento, è tanto minore quanto maggiore
è il capitale di cui già si dispone. I paesi poveri, che per definizione dispongono di poco capitale,
tenderanno perciò, a parità di ogni altra condizione (tasso di risparmio, tasso di crescita della
popolazione, tasso di deprezzamento del capitale), a investire e crescere più dei paesi ricchi, i quali
al contrario sono abbondanti in capitale. Questa ipotesi teorica, detta della “convergenza
condizionale” (convergenza, perché se fosse vera i paesi poveri prima o poi convergerebbero allo
stesso reddito pro capite di quelli ricchi; condizionale, perché vera a condizione che i parametri
delle economie siano gli stessi), non è però confermata dai dati, o perlomeno lo è in modo ambiguo
e controverso. Se anche, cioè, facciamo finta che i parametri strutturali siano effettivamente gli
stessi, le regressioni econometriche non individuano una chiara tendenza dei paesi poveri a crescere
più rapidamente di quelli ricchi.
L’ipotesi che i rendimenti marginali del capitale siano decrescenti, per quanto assolutamente
ragionevole, è perciò all’origine di risultati che del tutto ragionevoli non sono, almeno guardando
alle statistiche esistenti.
I diversi contributi all’interno del filone delle “nuove teorie della crescita” hanno come
denominatore comune l’idea che il progresso tecnico sia endogeno e che questo determini sentieri di
sviluppo divergenti.
Nella realtà infatti i tassi di crescita possono divergere indefinitamente poiché nel sistema
economico esistono innumerevoli fonti che alimentano la crescita ed agiscono forze che alimentano
produzione
Cobb-Douglas
con
rendimenti
di
scala
costanti,
Y = K α L1−α (dove
0 < α < 1 ), avremo
∂Y
= α ( K L)α −1 . Questa espressione è positiva dal momento che per ipotesi α > 0 . Il fatto che il prodotto
∂K
marginale del capitale, benché positivo, sia decrescente, cioè che vi siano rendimenti marginali decrescenti del capitale,
∂ 2Y
= α (α − 1)( K L)α − 2 e che tale espressione è negativa dal momento che per
∂K 2
ipotesi α < 1 . Assumere in una Cobb-Douglas che α < 1 equivale perciò ad assumere che vi siano rendimenti
si può notare osservando che
marginali decrescenti del capitale. Si può inoltre dimostrare che il parametro α misura, in un’economia perfettamente
concorrenziale, la quota del PIL che va a remunerare il capitale (profitti). Se, per esempio, α = 0.3, ciò significa che il
30% del PIL viene distribuito nella forma di profitto ai detentori del capitale e che il restante 70% viene distribuito nella
forma di salario ai proprietari della forza-lavoro.
3
Il fatto che Solow qualificasse il progresso tecnico come “esogeno”, cioè come originato al di fuori della sfera
strettamente economica, merita qualche chiarimento. L’idea è che, per fare un esempio, è bensì vero che oggi le imprese
utilizzano Internet per motivi strettamente economici (per ridurre i costi della comunicazione; per ampliare le loro
strategie di marketing, ecc.), ma l’introduzione di Internet, che come si sa è stato sviluppato al Pentagono, rispondeva a
esigenze di carattere militare. Solo in un secondo tempo esso ha assunto una chiara dimensione economica.
2
il progresso tecnico (che non è più generato attraverso la ricerca di base condotta al di fuori del
settore produttivo e quindi indipendentemente dagli incentivi economici) in modo da
controbilanciare la tendenza a decrescere dei rendimenti del capitale fisco.
L’idea alla base dei teorici della crescita endogena è quindi quella di cercare queste fonti e le
forze che danno luogo ai cambiamenti tecnologici. L’evoluzione degli studi ha dato luogo alla
crescente importanza del ruolo giocato:
dal capitale umano
dall’esistenza di esternalità positive
dai rendimenti crescenti di scala associati all’accumulazione di capitale
intangibile, quale la conoscenza.
La sfida raccolta dai teorici della crescita endogena è perciò, almeno dal punto di vista
teorico, quelle di dimostrare che, benché per ciascuna singola impresa i rendimenti marginali del
capitale siano effettivamente decrescenti, per l’economia nel suo complesso i rendimenti marginali
del capitale possono essere costanti o addirittura crescenti. In tal caso non valgono più i risultati del
modello di Solow e, come vedremo, le implicazioni di politica economica ne risultano
profondamente mutate.
Fra i modelli di crescita endogena considereremo qui di seguito solo le soluzioni di stato
stazionario ( Steady State), cioè a tassi proporzionali di crescita costanti. In particolare
analizzeremo:
•
•
Il modello AK [ Sala-i-Martin 1990; Rebelo 1991]
Il modello di crescita endogena con rendimenti di scala costanti / crescenti [Romer
1986]
7.2 I modelli di crescita endogena
Consideriamo una funzione di produzione aggregata in cui il capitale è inteso in senso lato
in modo da comprendere il capitale umano, la conoscenza, le infrastrutture e tutti gli altri fattori
riproducibili. Con questa accezione di capitale (K), i fattori non accumulabili perdono quindi
importanza.
La funzione sarà quindi del tipo:
Y=AK
Dove A indica il livello della tecnologia presente nell’economia (A>0).
L’incremento dello stock di capitale è dato dall’investimento lordo al netto del
deprezzamento del capitale esistente. Possiamo quindi scrivere:
K&
= I - δK
dove K& è la derivata del capitale rispetto al tempo, cioè il suo tasso di variazione, δ è il
tasso di deprezzamento e I è l’ammontare degli investimenti.
L’equazione di equilibrio tra risparmi ed investimenti sarà:
sY = I
dove s è una costante esogena. Sostituendo, possiamo riscrivere:
sAK = I
In termini pro capite possiamo scrivere:
3
y = Ak
con
y=
Y
N
e
k=
K
N
Si noti che il prodotto marginale della funzione sarà f’(k) = A, che non è decrescente bensì
una costante positiva.
Il tasso di crescita del sistema economico sarà definito come
γy = γk =
k&
k
δk
k& =
=
δt
con
K
N = K& N − KN& = K& − K N&
δt
N N N
N2
δ( )
K
N&
= k e anche
= n ( cioè n è il tasso di crescita della popolazione e quindi,
N
N
essendoci piena occupazione, della forza lavoro), possiamo riscrivere l’espressione:
ed essendo
K&
I − δK
I
k& =
− kn =
− kn = − δk − nk
N
N
N
ricordandoci che γy = γk =
k&
e apportando le opportune sostituzioni, possiamo scrivere:
k
 sAk
 1 sAk − δk − nk
γy = γk = 
− δk − nk  =
= sA − δ − n
k
 N
k
Il tasso di crescita dipenderà positivamente dal tipo di tecnologia (A) e dal saggio di
risparmio (s) e negativamente dal tasso di deprezzamento (δ) e dal tasso di crescita della
popolazione (n).
Se dunque sA> (δ+n), la crescita del reddito pro capite può essere sostenuta nel tempo, il
che implica che non necessariamente si arriva ad una convergenza fra paesi ricchi e paesi poveri,
anche in assenza di progresso tecnico esogeno e con rendimenti di scala costanti (anche se non
ancora crescenti come vedremo nel prossimo paragrafo).
Graficamente, trascurando la possibilità di un deprezzamento, il modello può essere
rappresentato nel seguente modo:
γy ,γk
sA
γy>0
n
k
4
Un’economia arretrata potrà quindi aumentare il suo tasso di crescita stimolando i risparmi (
aumentando s) oppure aumentando gli investimenti in infrastrutture, in istruzione o nello sviluppo
delle istituzioni finanziarie (facendo crescere A) in modo da accrescere lo stock del fattore
propulsivo.
Al contrario, una riduzione del rendimento del capitale in senso lato ha un effetto depressivo
sul risparmio, sugli investimenti e sulla crescita.
7.3. Crescita endogena con rendimenti di scala costanti / crescenti
Il punto centrale di questa teoria, evidenziato in particolare da Roemer (1986), è che il
“capitale” non è solo capitale fisico, tangibile (computer, aratri, zappe, ecc.) ma anche capitale
intangibile, prima di tutto conoscenza. Le caratteristiche che definiscono il capitale sono infatti due:
a) si può immagazzinare nel tempo, nel senso che non è usato completamente nel corso di un
processo produttivo (il computer è capitale, il petrolio no; l’aratro è capitale, le sementi no); b) il
suo acquisto implica un atto di rinuncia al consumo corrente. Per comperare l’aratro il contadino
deve infatti astenersi dal consumo corrente (risparmio), rinunciare, per dire, all’acquisto di un
vestito da cerimonia.
In effetti la conoscenza impiegata nei processi produttivi presenta entrambe queste
caratteristiche. In questo momento, scrivendo questa dispensa, io sto producendo un servizio
remunerato, che come tale entra nel computo del PIL italiano. Per produrre tale servizio io sto
impiegando capitale fisico (un computer), lavoro (le ore di lavoro necessarie alla stesura materiale
di questa dispensa) e anche conoscenza (il contenuto della dispensa). Questa conoscenza, nella sua
qualità di input produttivo, non si esaurisce nel corso di questo processo produttivo (la utilizzerò
anche per gli studenti dell’anno prossimo, e comunque fino a che non sarà resa obsoleta
dall’emergere di nuova conoscenza). Inoltre, per acquisire tale conoscenza ho dovuto spendere delle
risorse (di tempo e di denaro, ma in fondo è la stessa cosa) che perciò ho sottratto al consumo
corrente.
Il “capitale”, dunque, è sia capitale fisico che conoscenza, aratri e conoscenza. Ora, è molto
importante realizzare che la produzione di conoscenza genera esternalità positive. Se un’impresa
investe denaro in Ricerca e Sviluppo (sottraendo risorse al consumo corrente, per esempio perché
per investire danaro in Ricerca e Sviluppo paga dividendi più bassi ai propri azionisti) e grazie a
tale investimento crea un nuovo modello di letti per ospedale allora, per quanto l’esistenza dei
brevetti le offra una parziale protezione, non sarà mai possibile impedire del tutto ad altre imprese
di imparare ed emulare. Altre imprese utilizzeranno, senza pagarla, la conoscenza generata
dall’impresa che invece ha investito in Ricerca e Sviluppo4.
In generale possiamo perciò affermare che la produzione di ciascuna impresa dipende a) dal
capitale fisico, b) dal lavoro, c) dalla conoscenza pagata (spese in Ricerca e Sviluppo) e d) dalla
conoscenza non pagata, quella di cui si beneficia grazie al meccanismo dell’esternalità appena
messo in luce. Immaginiamo allora un’economia popolata da M imprese, ciascuna delle quali
produce il medesimo bene, il cosiddetto “bene composito”5 (il nostro sarà perciò un modello
4
Un esempio può essere utile. Anni fa mio nonno, titolare di un’impresa che produceva arredamenti ospedalieri, andò a
visitare mia madre che era ricoverata in ospedale. Bene, dopo averla frettolosamente salutata, si è messo a spiare il letto
sul quale stava mia madre, cercando di carpire i segreti della sua manifattura. Non ci crederete, ma grazie a quella spiata
mio nonno inventò un modello del tutto simile che consentì alla sua azienda di realizzare molti profitti. Il tutto senza
aver speso neppure una lira in “Ricerca e Sviluppo”.
5
A prima vista il concetto di “bene composito” può apparire strano, ma in realtà quando si legge sui giornali che “il PIL
italiano è cresciuto del 2%” si sta utilizzando la medesima finzione concettuale: si mettono insieme mele, pere,
automobili, tagli di capelli, pranzi al ristorante, ecc., in un unico, grande bene (il bene composito, appunto) di cui si
possa dire che “è cresciuto del 2%”. Un piccolo esempio può ulteriormente chiarire il concetto. Supponiamo di
considerare un’economia che nel 2000 produce solo due beni, pere e mele. Diciamo che produce 10 mele e 20 pere.
Supponiamo anche che il prezzo delle mele sia di 100 lire l’una, quello delle pere di 150 lire l’una. In questo caso il
valore di mercato della produzione complessiva del 2000 è di 10x100 + 20x150 = 4000 lire. Ma qual è la produzione
complessiva? Come possiamo sommare le pere con le mele? Il trucco è semplice. Sul mercato, dati i prezzi prevalenti,
5
macroeconomico) con una tecnologia Cobb-Douglas rappresentabile dalla seguente funzione di
produzione a rendimenti di scala costanti (ma con rendimenti marginali del capitale decrescenti, si
veda la nota 2) rappresentabile dalla seguente funzione di produzione:
Y j = A' K αj L1l−α
dove il pedice j si riferisce all’impresa di volta in volta presa in considerazione (j = 1,
2….M). Kj comprende il capitale fisico e la conoscenza pagata (cui a volte ci si riferisce con il
termine “conoscenza specifica”), Lj è il lavoro impiegato nel processo produttivo e A’ indica invece
la conoscenza non pagata (a volte definita “conoscenza generale”).
L’impresa j sceglie Kj (quanti aratri comprare, quanto investire in Ricerca e Sviluppo) e
sceglie Lj (quanti lavoratori assumere). Essa tuttavia non sceglie A’, ed è per questo che A’ appare
come fattore moltiplicativo (di scala) nella funzione di produzione dell’impresa j. Esso è un
parametro esterno all’impresa, nel senso che il suo valore dipende da scelte compiute da altre
imprese. Se le altre imprese producono molta conoscenza “copiabile” senza costi, allora A’ è grande
e l’impresa j, per ogni data scelta su Kj e Lj, potrà produrre molto; se invece le altre imprese
producono poca conoscenza copiabile senza costi, allora A’ è piccolo e l’impresa j, date le stesse
scelte su Kj e Lj, potrà produrre di meno.
Supponiamo per pura semplicità che ci siano solo 2 imprese (M = 2). Come si può esprimere
l’output aggregato (Y = Y1 + Y2)? Diamo dei valori alle nostre variabili:
A’ = 2; K1 = 9; L1 = 16; K2 = 25; L2 = 44,44
α = 0,5
Avremo perciò, sostituendo nelle rispettive funzioni di produzione6:
Y1 = 2 9 16 = 24
Y2 = 2 25 44,44 = 66,66
L’output aggregato è perciò Y = Y1 + Y2 = 90,66. A questo punto è facile verificare che
Y = Y1 + Y2 = A'( K1 + K2 ) α ( L1 + L2 )1− α
Y = 24 + 66,6 = 2 9 + 25 16 + 44,44 = 90,66
Y j = A'
si può scambiare 1 mela con 1,5 pere; una mela cioè equivale a 1,5 pere. Ne segue che 10 mele equivalgono a 15 pere.
La produzione complessiva della nostra economia è dunque pari a: 15 pere (equivalente di 10 mele) + 20 pere = 35
pere. Siamo riusciti, esprimendo tutto in termini di un unico bene (il bene composito, in questo particolare esempio
coincidente con le pere), a misurare la produzione complessiva.
6
Si noti che non è affatto casuale, che il rapporto K/L sia lo stesso in entrambe le imprese del nostro modello:
(9/16)=(25/44,44). Il fatto che le due imprese scelgano di impiegare lavoro e capitale nelle stesse proporzioni è facile da
spiegare: entrambe producono il medesimo bene (il bene composito), con la medesima tecnologia (dunque con la stessa
funzione di produzione. Se, come nell’esempio, l’impresa 2 produce di più, ciò non significa che essa dispone di una
tecnologia migliore, ma che essa sta attivando la medesima tecnologia in modo più intensivo) e, operando nella
medesima economia, fronteggiando gli stessi prezzi dei fattori produttivi.
6
Cioè, indicando con K = K1 + K2 il capitale aggregato (il capitale di cui complessivamente
l’economia dispone) e con L = L1 + L2 il lavoro aggregato (il lavoro di cui complessivamente
l’economia dispone), vediamo che la funzione di produzione aggregata (per l’economia nel suo
complesso) ha esattamente la stessa forma delle funzioni di produzione delle singole imprese:
Y = A' K α L1− α
Ma che cos’è A’? Sappiamo che A’ è, per ciascuna singola impresa, conoscenza non pagata,
acquisita senza investire danaro in Ricerca e Sviluppo. Ma qualcuno questa conoscenza l’ha pagata!
Il concorrente di mio nonno aveva speso un sacco di soldi per pagare i designer che hanno inventato
il nuovo modello di letto per ospedale, poi mio nonno – malandrino! – glielo ha praticamente
copiato. In generale, benché A’ non faccia parte del Kj (che come ricorderete include la conoscenza
pagata) di mio nonno, esso è certamente parte del Kj di qualche altro imprenditore. Ne segue che A’
è una funzione crescente dei Kj dell’economia: quanto maggiori sono gli investimenti in ricerca e
sviluppo realizzati nell’economia, tanto maggiori saranno le opportunità per ciascun singolo
imprenditore di copiare, emulare, ispirarsi, in generale di acquisire conoscenza non pagata.
Dire che A’ è una funzione crescente dei Kj equivale a dire che A’ è una funzione crescente
di K, dal momento che K non è per definizione che la somma dei singoli Kj. E’ ragionevole
immaginare che la funzione assuma una forma simile alla seguente:
A’
K
Dal grafico si vede che se K = 0 (nessuno sta investendo in Ricerca e Sviluppo) allora anche
A’ = 0, dal momento che nessuno potrà beneficiare di alcuna esternalità (non c’è nulla da copiare).
Al crescere di K (e quindi, per ogni dato L, di K/L) cresce anche A’, poiché come abbiamo detto
crescono le possibilità per le singole imprese di acquisire conoscenza non pagata. Tuttavia, A’
cresce meno che proporzionalmente rispetto a K: è bensì vero, infatti, che se cresce il numero di
imprese che producono letti per ospedale crescono per mio nonno le possibilità di emulare, ma se il
numero di imprese passa da 1 a 2 tali possibilità raddoppiano, se passa da 299 a 300 esse aumentano
di un nonnulla. Questa è la ragione per cui la curva è una salita sempre meno ripida, che alla fine
diventa quasi pianura.
Una funzione matematica (di certo non la sola possibile, ma non è questo il punto che
interessava a Roemer) che dia luogo proprio alla curva tracciata nel grafico è:
A' = A( K L) β
Dove A rappresenta una costante, K ed L sono il capitale ed il lavoro aggregato e vale la
restrizione parametrica
0<β <1
Sostituendo nella funzione di produzione aggregata l’espressione per A’ otteniamo:
7
Y = A( K L) β K α L1− α
Sfruttando alcune semplici proprietà delle potenze, possiamo riscrivere:
Y = AK (α + β) L1− ( α + β)
Ora, è chiaro che non possiamo dire a priori se la somma degli esponenti (alfa + beta) sia
minore, uguale o maggiore di 1 (questo è un fatto empirico). Sappiamo però che, pur assumendo
che i rendimenti marginali del capitale per le singole imprese siano decrescenti (alfa<1, si veda la
nota 2) e pur assumendo, realisticamente, che le opportunità di emulare e beneficiare di esternalità
positive crescano meno che proporzionalmente rispetto allo stock di capitale aggregato (beta<1), è
assolutamente possibile che sia alfa + beta = 1 o addirittura alfa + beta > 1. Che cosa vuol dire?
Assumiamo che sia alfa + beta = 1. E’ immediato verificare che la funzione di produzione aggregata
si può riscrivere come
Y = AK, cioè, definendo le grandezze pro capite y = Y/L e k = K/L,
y = Ak
E’ chiaro che questa funzione di produzione aggregata pro capite non è altro che una retta
con inclinazione A
y
y=Ak
k
Essa presenta, cioè, rendimenti marginali costanti del capitale per l’economia nel suo
complesso, proprio come nel modello di Harrod e Domar (lezione 5). Un’unità aggiuntiva di
capitale per lavoratore produce sempre A unità aggiuntive di prodotto per lavoratore. La differenza
con il modello Harrod-Domar è che in questo caso i rendimenti costanti non sono stati assunti; essi
sono stati spiegati, ricorrendo ad un concetto più corretto di “capitale” e a un meccanismo
microeconomico molto diffuso quale è quello delle esternalità. Meglio ancora: per Harrod-Domar i
rendimenti marginali del capitale per l’economia sono costanti perché lo sono per ciascuna impresa
che dell’economia fa parte (che è un’assunzione piuttosto irrealistica); per Roemer e i teorici della
crescita endogena i rendimenti marginali del capitale sono costanti al livello dell’intera economia,
benché non lo siano per le imprese che ne fanno parte, a causa del fatto che esistono esternalità
positive nella produzione di conoscenza.
Se i rendimenti del capitale sono costanti (se fossero crescenti, se cioè fosse alfa + beta > 1,
le conclusioni che seguono ne uscirebbero rafforzate) allora saltano le conclusioni fondamentali del
modello di Solow e cambiano profondamente le implicazioni di politica economica. Infatti:
8
1) non è più vero che il meccanismo dell’accumulazione capitalistica conduca a uno stato
stazionario senza l’intervento di un progresso tecnico esogeno; né è vero che un aumento del
tasso di risparmio ha effetti sul tasso di crescita dell’economia soltanto nel breve periodo (come
in Solow). Al contrario, vale la conclusione di Harrod-Domar: il tasso di crescita del reddito pro
capite dipende sempre, e positivamente, dal tasso di risparmio. Il risparmio finanzia gli
investimenti; gli investimenti aggiungono allo stock di capitale esistente nuove unità di capitale;
le unità di capitale aggiuntivo rendono sempre possibile, quale che sia il rapporto capitalelavoro, un aumento della produzione.
2) Se i rendimenti del capitale sono costanti, allora non è più vero che l’incentivo ad investire, cioè
ad accumulare nuovo capitale, è tanto minore quanto maggiore è il capitale disponibile già
accumulato. Non è più vero, cioè, che il tasso di crescita del reddito pro capite di un paese tende
a ridursi mano a mano che il paese stesso diventa ricco. Non è più vero, detto in altri termini,
che esiste una tendenza verso la convergenza (condizionale o meno) del reddito pro capite dei
paesi poveri verso il livello di reddito pro capite dei paesi ricchi. Addirittura, se i rendimenti del
capitale fossero crescenti (alfa + beta > 1), l’incentivo ad investire sarebbe tanto maggiore
quanto più l’economia in questione è già sviluppata, e il divario fra paesi ricchi e paesi poveri
sarebbe in tal caso destinato ad aumentare.
3) I modelli di crescita endogena forniscono una giustificazione teorica per un attivo intervento
pubblico a sostegno della crescita. Infatti, ogni volta che un’attività genera esternalità positive,
essa sarà intrapresa in misura socialmente sub-ottimale se lasciata alle sole forze del mercato.
Nel decidere quanto investire in Ricerca e Sviluppo non terrò conto dei benefici di cui godrà
mio nonno (o chi per lui) grazie al mio investimento, ma solo dei miei (terrò conto dei benefici
privati, non di quelli sociali), e dunque investirò meno di quanto farebbe un pianificatore saggio
che abbia a cuore i benefici di tutti, i benefici sociali: miei, di mio nonno, e di chiunque altro
possa trarre giovamento dal mio investimento in ricerca e sviluppo. La teoria microeconomica
suggerisce il modo (un possibile modo) di correggere (internalizzare) questa esternalità: occorre
che l’autorità di governo riconosca un sussidio a chi, ai vari livelli, investe in conoscenza.
L’attività in Ricerca e Sviluppo delle imprese, l’accumulazione di conoscenza dei singoli
individui attraverso le spese per la formazione, ecc., devono, per ragioni di efficienza
microeconomica prima ancora che di equità, essere parzialmente sovvenzionate dal governo,
cioè dalle tasse dei contribuenti. Questa è una conclusione molto importante dei modelli di
crescita endogena, una conclusione che non reggerebbe nel contesto teorico di Solow.
Immaginiamo infatti un ministro dell’economia che deve decidere se imporre delle tasse ad
alcuni cittadini per poter in questo modo sovvenzionare alcune delle spese in Ricerca e Sviluppo
sostenute dalle imprese nazionali. Immaginiamo anche che questo ministro sia convinto che i
processi di crescita di lungo periodo dell’economia siano descritti in modo più appropriato dal
modello di Solow che da quello di Roemer. Bene, egli ragionerà in questo modo: l’investimento
in conoscenza non genera alcuna esternalità e quindi il mercato, senza necessità di alcun
intervento di politica economica, ne garantirà la quantità socialmente ottimale. Se va bene,
perciò, la tassazione non produrrà alcun effetto positivo; se va male ne produrrà di negativi. Non
solo: la tassazione inevitabilmente riduce l’incentivo dei privati a risparmiare7 e perciò il tasso
di risparmio dell’economia in questione8; se il tasso di risparmio si riduce allora, benché in un
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Facciamo un esempio concreto. Io, stanco di guadagnare 1,9 milioni al mese, decido di fare un sacrificio e risparmiare
ogni mese 500 mila lire per poter frequentare un corso di aggiornamento annuale grazie al quale avrò un lavoro da 2,1
milioni al mese. Bene, ipotizziamo che prima che io mi decida al grande passo venga approvata una legge in virtù della
quale viene aumentata l’aliquota di tassazione per i redditi superiori a 2 milioni al mese. Questa legge ridurrà perciò il
mio salario post-corso di aggiornamento a, diciamo, 2 milioni al mese. E’ chiaro che in questa nuova situazione avrò un
incentivo molto minore a risparmiare e seguire il corso di aggiornamento.
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In realtà, alla riduzione del risparmio privato potrebbe non corrispondere una riduzione del tasso di risparmio
dell’economia nel suo complesso se il gettito fiscale derivante dalla tassazione non venisse impiegato per scopi di
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contesto à la Solow non si produca alcun effetto negativo sul tasso di crescita di lungo periodo,
l’economia si posizionerà tuttavia in uno steady state caratterizzato da un reddito pro capite più
basso di quello cui si arriverebbe in assenza di tassazione (in altri termini si sperimenterebbe
una fase temporanea di minor crescita). Decisione finale: niente nuove tasse e niente sussidi a
chi investe in Ricerca e Sviluppo.
Immaginiamo ora che il ministro venga rimosso e che venga sostituito da un fervente seguace
della teoria della crescita endogena. Il nuovo ministro ragionerà così: l’investimento in
conoscenza genera delle esternalità positive e quindi il mercato, senza un intervento correttivo
di politica economica, ne garantirebbe una quantità socialmente sub-ottimale. I privati, cioè,
tenderebbero a risparmiare una quantità di fondi insufficiente a finanziare l’ammontare di
investimenti in conoscenza da considerarsi ottimale per l’economia nel suo complesso (e vale la
pena di ricordare che risparmiare troppo poco significa, automaticamente, consumare troppo).
E’ opportuno perciò prelevare ai privati, attraverso la tassazione, quell’eccesso di fondi che essi
destinerebbero al consumo e nel medesimo tempo indirizzare quei fondi, attraverso i sussidi, a
sostegno degli investimenti in Ricerca e Sviluppo delle imprese, delle spese in formazione e
istruzione degli individui, e così via.
Come si vede, il dibattito teorico non ha solo valenza accademica, ma anche diversissime
implicazioni di politica economica, diverse priorità nell’agenda del “che fare” di un ministro
dell’economia.
Bibliografia
Lucas R.E. 1988, On the mechanics of Economic Development, Journal of Monetary Economics,
n.1.
Romer, P.M., 1986, Increasing Returns and Long Run Growth, Journal of Political Economy,
vol.94, n.5: 1002-1037
Rebelo S.,1991, Long-Run Policy Analysis and Long-Run Growth, Journal of Political Economy,
vol.99, n.3
Sala-i-Martin X., 1990, Lecture Notes on Economic Growth, parte II. Working Paper Series,
n.3564, National Bureau of Economic Research, Cambridge, MA.
consumo (spesa pubblica corrente: pensioni, salari dei dipendenti pubblici, ecc.), ma per scopi di investimento (spesa
pubblica in conto capitale: strade, scuole, ospedali, ecc.).
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