Cibo di oggi, cibo di domani. Dal nutrimento abbinato al piacere del presente alla priorità di wellness del futuro, dalla convivialità non dissociata dalla tradizione di oggi alla tecnologia non necessariamente salvifica di domani. È l’evoluzione che traccia la ricerca Coop curata da Doxa che mette a confronto i cittadini di 8 Paesi del mondo: Italia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Cina, India e Brasile. Nel piatto del futuro? Troveremo ogm (il 72% del campione mostra piena consapevolezza sulla loro diffusione), molte pillole (75%) e carne sintetica (60%), non mancheranno insetti e alghe comunque cibi dalle proprietà nutrizionali bilanciate. I più eclettici e aperti al cambiamento del gusto gli indiani, i cinesi e i brasiliani, ma anche un 70% di italiani potrebbe provare il cibo in pillole e il 44% dei nostri connazionali non si tirerebbe indietro nemmeno davanti a un insetto. A fronte di ciò, per tutti prevale comunque la paura sulla possibile manipolazione del cibo (il 60%) e il timore per un pianeta sempre meno controllabile o sull'orlo del precipizio ambientale (53%). Il 43% indica invece come la sua paura più grande sia un cibo troppo costoso. Cibo di oggi, cibo di domani. La fotografia scattata sulle tavole di 8 Paesi del mondo e le aspettative verso il 2050 è opera di Coop, partner tematico di Expo con il Future Food District ed è curata da Doxa (6400 le interviste realizzate a persone tra i 18 e i 54 anni di età). Ne emerge un quadro molto vario delle differenti culture alimentari attuali dei diversi Paesi, legate come sono a stili e consapevolezze particolari (gli italiani la fanno da padroni sulla percezione del cibo come piacere unito al gusto della convivialità e a un pizzico di tradizione). Ma se dal presente ci si muove verso il domani si registrano forti e imprevedibili allineamenti. 2015, il presente Sulla via della globalizzazione ma al tempo stesso caratterizzati da un proprio stile alimentare, come dichiara quasi la metà del campione (esattamente il 45%). E’ il primo macroscopico dato. Le forti differenze nell’approccio al cibo iniziano fin dalla preparazione del pasto, a cui si dedica in media 1,3 ore al giorno, ma con valori nettamente più alti per Paesi come il Brasile, l’India e la Russia. Gli italiani non sono da meno e si distaccano in questo dai vicini europei, analogamente si mostrano meno attratti dal take away e dal consumare cibo fuori casa. La vocazione all’'home made' è in qualche modo giustificata dalla poliedricità della dieta italiana, affine a quella cinese e indiana con una varietà di utilizzo di carboidrati, di frutta e verdura. Il consumo di carne si concentra invece naturalmente sui Paesi anglosassoni, ma anche in Cina e Brasile. D’altro canto emergono anche stili alimentari alternativi e in qualche modo trasnazionali. I Foodies (cibo tipico e di qualità) sono il 13% ma occupano posizioni di rilevo anche la dieta ipocalorica (10%), il credo salutista (10%), vegano (8%) o biologico (8%). Solo una minima parte del Pianeta sembra restia alla contaminazione, se è vero che appena il 22% del campione dichiara di non mangiare mai cibo etnico e quasi un quarto afferma invece di consumarlo spesso. Il 90% di tedeschi e inglesi dichiara infatti di mangiare etnico spesso o qualche volta, i più diffidenti sono i brasiliani e gli italiani. E’ inevitabile che, a dispetto di alcuni tratti comuni, però, a seconda delle latitudini le differenze si impennano: l’India svetta su tutti e l'84% dei suoi cittadini confessa di avere a tavola un comportamento particolare. Se il 31% subisce l'influenza del Paese e il 21% ammette di venire condizionato dalla religione, è qui che il credo vegetariano o vegano affonda le sue radici tanto da professarsi tale il 35% del campione. Ma anche il Brasile supera la media con il 51% dei suoi cittadini votati a stili alimentari (qui la tradizione e il localismo dominano), i cinesi e i tedeschi si professano invece più reducetariani (coloro che riducono il quantitativo di carne) della media, il 14% dei russi si sottopone a diete salutiste e i vegetariani o vegani, pur in minoranza, sono l'8% degli abitanti del Regno Unito. Dall'essere vegano poi al consumare vegano si nota una evidente difformità: l'8% del campione si dichiara tale, ma ad acquistare prodotti vegani è una cifra ben più consistente pari al 20% e la stessa differenza si nota per il biologico (33%) e per i cibi etici (17%). Certamente differenti sono anche i significati che le diverse culture nazionali cercano nel cibo. Nei paesi di cultura anglosassone emerge una concezione razionale del cibo come nutrimento e benessere, il tema salutistico è l'elemento di maggiore significato per i cinesi e gli indiani e i brasiliani. I tedeschi sembrano bilanciare con più nettezza nutrimento e piacere. E gli italiani si confermano votati al cibo come piacere unito al gusto della convivialità e a un pizzico di tradizione. 2050, il domani Alla domanda su come sarà il futuro del Pianeta il mondo professa il suo ottimismo: per il 15% del campione la situazione potrebbe decisamente migliorare e il 32% seppur più cauto conferma il dato sul miglioramento, solo il 7% si dichiara inguaribilmente pessimista. Qui però non tutti la vedono allo stesso modo e sorridono al futuro i Paesi che godono di una condizione attuale più favorevole e sono economie e società in ascesa: la Cina (84% di giudizi positivi sul futuro) e l'India 74%, decisamente più cauti gli abitanti del vecchio Continente. E su tutti a vedere il bicchiere mezzo vuoto più degli altri sono proprio gli italiani: la quota dei pessimisti assoluti si attesta sul 12% seguita dal 9% di tedeschi e inglesi. Tutti però si mostrano consapevoli del cambiamento che ci aspetta quando si parla di cibo: solo il 2% afferma che non ci saranno cambiamenti in futuro, per il 46% invece sarà molto diverso, per il 18% radicalmente diverso e per la rimanente parte (un buon 34%) comunque cambierà anche se solo in parte. Ed è veramente sorprendente come tale consapevolezza accomuni i cittadini di tutto il mondo. Ma che cos'è che renderà diverso il cibo del futuro e quali sono i cambiamenti attesi? Qui entrano in gioco due fattori fondamentali: l'esatta metà del campione chiama in causa le nuove tecnologie come il fattore che farà la differenza (soprattutto per russi e cinesi ma è comunque un dato comune). Il mondo però mostra anche una straordinaria coscienza verde: il 42% indica nei mutamenti climatici la causa primaria del cambiamento e il 34% affina il tiro individuando come causa l'inquinamento e la disponibilità delle risorse naturali. Il 30% infine non dimentica l'aumento della popolazione e di conseguenza la minore disponibilità di cibo. Questi fattori di cambiamento, nella percezione del campione intervistato, impatteranno significativamente soprattutto sulla naturalità del cibo (64%) sulla sua qualità e sicurezza (62%), sulla stessa tipologia di alimenti (60%). Proprio l'attesa di tali forti cambiamenti induce specifici timori sulla manipolazione degli alimenti che mangeremo (60%) e sugli effetti indotti dall'inquinamento ambientale (53%). In alcuni Paesi prevalgono al contrario i timori di un innalzamento del costo del cibo (Usa 57% Brasile 61%), un cibo meno democratico e solo per pochi, e del rischio di una futura scarsità alimentare (Brasile 63%). Il 72% del campione mostra infine piena consapevolezza sulla diffusione del cibo ogm. Peraltro a livello mondiale i consumatori intervistati non prevedono una riduzione delle quantità consumate (solo in Uk e Germania si pronostica una riduzione nella frequenza di consumo di carne) mentre la dieta sembra spostarsi su una maggiore varietà con maggior ricorso a carboidrati, frutta e verdura. Il cibo di domani sarà quindi manipolato dalla tecnologia, certamente pratico e veloce, nutrizionalmente bilanciato e si rafforzeranno stili alimentari globali. In questo i consumatori dimostrano una inaspettata disponibilità al cambiamento, peraltro trasversale ai diversi contesti nazionali. L'80% degli intervistati non ha preclusione per cibarsi di alghe, il 75% accetta il cibo prodotto in laboratorio. Più della metà del campione inoltre si dichiara disponibile a mangiare la carne sintetica e gli insetti: i più eclettici e inclini al cambiamento sono gli indiani, i cinesi e i brasiliani, ma anche un 70% di italiani potrebbe provare il cibo in pillole e il 44% dei nostri connazionali non si tirerebbe indietro di fronte a un insetto. Detto questo, se al campione si chiede di immaginare un supermercato del futuro non si va molto lontano da quanto Coop ha creato nel Future Food District, almeno in parte. Il 42% infatti confessa la sua predilezione per i temi della freschezza e della naturalità e si aspetta di trovare tra le corsie piccole serre e allevamenti, il 37% vorrebbe conoscere la storia del prodotto, il 30% lo vorrebbe a sua immagine e somiglianza. E per il 16% la presenza di un robot come assistente per la spesa non guasterebbe. Le dichiarazioni "Ci confortano i dati che abbiamo raccolto -sostiene Marco Pedroni, presidente Coop Italia- perchè sono una conferma che proiettandoci verso il 2050 nella progettazione del Supermercato del Futuro in Expo, anche con l'ausilio di Carlo Ratti, abbiamo ideato un ambiente in linea con le aspettative dei consumatori di domani. Del resto in questi primi 20 giorni il gradimento ci è testimoniato anche dalle visite che stanno superando le 10.000 presenze giornaliere. Siamo convinti e consapevoli che il ruolo di Coop, la sua capacità di garantire accesso al cibo di qualità a prezzi contenuti sia un messaggio valido oggi, e stando ai timori espressi dai cittadini del mondo nella ricerca persino più valido domani”. "C'è molto da lavorare per Coop riflettendo su questi dati -conferma Stefano Bassi presidente Ancc Coop- Crediamo però di avere le carte in regola per rispondere alle attese di un mondo in continuo divenire: l' offerta di cibo etico, trasparente e a prezzo equo è il diktat di Coop. Con questa presentazione della ricerca curata da Doxa vogliamo raccogliere in un certo senso la sfida che è ora in essere. L’Expo è solo una vetrina? Noi siamo qui impegnati a metterci i nostri contenuti e i nostri valori. In primo luogo abbiamo dato voce ai cittadini di tutto il mondo, i veri protagonisti del Pianeta”. -Coop è marchio leader nella grande distribuzione organizzata del nostro Paese (una quota di mercato del 18,4%, un fatturato di oltre 12 miliardi di euro, 1200 strutture di vendita, oltre 52.000 addetti ) e si configura sempre di più come un leader interamente italiano, presente capillarmente sul territorio dal nord al sud del Paese, in un contesto sempre più affollato di competitor esteri (attualmente pari al 45% del mercato grocery). Ma Coop è anche una rete di imprese che appartiene a oltre 8 milioni e 400.000 soci con una percentuale di crescita del 3,1% rispetto al 2013. Le cooperative di consumatori sono riuscite a creare in Italia una solida e capillare rete in grado di coniugare le logiche di mercato con la responsabilità sociale. Per informazioni: Silvia Mastagni – responsabile ufficio stampa Coop Tel. 06 441811– [email protected] Simonetta Cotellessa –tel. 3383341831 Dati riferiti al Bilancio Preconsuntivo 2014