RIVISTA STORICA DELL'ANTICHITÀ
DIRETTORI
GIOVANNI DRIZZI - GABRIELLA POMA
ANNOXLI/2011
Estratto
PATRON
EDITORE
BOLOGNA
2011
TOMMASO GNOLI
LA BATTAGLIA DELLE EGADI.
A PROPOSITO DI RITROVAMENTI RECENTI
Abstract
The discovery of some rams off the Egades Islands, near Trapani, allows a new
reconstruction of the dynamics of the battle which put an end to the First Punic War, in
241 B.C. Of utmost importance is an inscribed Roman ram, the short 4 line inscription
of which matches some information by Polybius 1.59.1-8 about a public voluntary loan
by the higher classes in 243 B.C. in order to set up the fleet of Lutatius Catulus. The
comparison between the tradition by Zonaras (Cassius Dio) and Polybius shows that the
new Romanfleetwas different from the preceding ones: the Roman naval engineers were
able to nil the gap with their Punic colleagues building ships that were almost identical
to the fast punic quadriremes of Hannibal the Rhodian employed during the siege of
Lilybaeum, as the perfect resemblance of the Roman and the Punic ram clearly shows.
Keywords: First Punic war, rams,fleet,navigation, economy (3rd century B. C.)
L'eccezionale scoperta nei pressi di Trapani di alcuni reperti certamente
relativi agli episodi conclusivi della Prima Guerra Punica consente di ripercorrere
quegli eventi aggiungendo qualche punto fermo, utile a verificare la bontà di
alcune ipotesi finora formulate senza possibilità di conferme. Si tratta, in
particolare, del rinvenimento di tre rostri, di un elmo e di alcune ancore, che
consentono di accertare con sicurezza l'effettiva dinamica della battaglia delle
Egadi. A questi ritrovamenti se ne aggiungono altri, noti da qualche anno, ma
finora non adeguatamente valorizzati, provenienti dalle pendici del monte Erice,
uno dei teatri principali degli scontri che posero fine alla guerra nel 241 a.C.
Due dei rostri sopra citati sono iscritti, uno (Egadi 1), con un'iscrizione latina
su quattro righe, che ho pubblicato altrove, l'altro (Egadi 3) recante una formula
d'imprecazione contro i nemici in punico. L'ordinata iscrizione latina è un punzone inteso a garantire la congruità dell'operazione di fusione che aveva prodotto
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TOMMASO G N O U
l'arma, e, verosimilmente, il peso: «C. Sestio, figlio di Publio, e Q. Salonio, figlio
di Quinto, seviri, hanno effettuato il collaudo del rostro». Che differenza con la
scomposta formula di maledizione incisa disordinatamente sul fendente del rostro cartaginese1!
Non si potrebbe avere dimostrazione migliore e più eloquente della differenza di mentalità che separava quei due popoli che stavano per affrontarsi, quel 10
marzo 241 a.C, ancora per una volta. Come ebbe a scrivere con enfasi partigiana
Jules Michelet:
Non è senza ragione se la memoria delle Guerre Puniche è rimasta cosi popolare e
così viva. Non fu soltanto una lotta per decidere il fato di due città o di due imperi; fu una
lotta per decidere quale delle razze, l'indo-germanica o la semitica, avrebbe dominato il
mondo .... Da una parte, il genio dell'eroismo, dell'arte e della legge; dall'altra, lo spirito
dell'industria, della navigazione e del commercio .... Gli eroi combatterono - senza tregua - i loro industriosi e perfidi vicini. Erano operai, fabbri, minatori, maghi. Amavano
l'oro, i giardini pensili, i magici palazzi.... Avevano costruito con ambizione titanica torri
che le spade dei guerrieri spezzavano e cancellavano dalla terra2.
Poco importa che oggi nessuno sottoscriverebbe più quelle parole figlie di
un'epoca diversa3, fatto sta che la portata epocale delle Guerre Puniche vi è solennemente celebrata. I quasi centovent'anni anni dello scontro mortale tra Roma
e Cartagine, dal 264 al 146 a.C., ebbero proprio nella battaglia al largo delle Egadi il loro momento decisivo di svolta.
Non è un caso che proprio quelli siano anche gli anni in cui, a parere del
più grande storico antico dell'età repubblicana, Polibio, Roma acquisì l'àôiiptxoç
1
Ho in pubblicazione l'iscrizione su Epigraphica. La pubblicazione completa del rostro Egadi
1, con analisi metallografica, ingegneristica etc. è in fase avanzata, in una monografia a cura della
Soprintendenza del Mare della Sicilia. All'allora Soprintendente, oggi Soprintendente dei Beni
archeologici della Provincia di Trapani, Prof. Sebastiano Tusa, va il mio sincero ringraziamento per
avermi consentito di pubblicare questa importante iscrizione. Questo breve testo consente rilevanti
considerazioni anche su un passo della cena di Trimalchione, nel Satyricon di Petronio, e sulle
fonti della Prima Guerra Punica. A questi temi dedicherò un articolo di prossima pubblicazione
su Eikasmós. Egadi 3 è stato ripescato nel 2010, ed è appena finita la fase di pulitura. Anch'esso
verrà pubblicato con una monograna apposita dalla Soprintendenza del Mare di Palermo. Il Prof.
Giovanni Garbini sta studiando l'iscrizione punica. Quando non specificato diversamente tutte le
traduzioni di Polibio sono di Manuela Mari, dalla recente edizione per la Biblioteca Universale
Rizzoli, annotata da John Thornton e diretta dal compianto Maestro, Domenico Musti.
2
J. MICHELET, Histoire romaine, Bruxelles 1835, p. 457 della trad, italiana.
3
Sugli aspetti che qui più interessano dell'opera storica di Michelet, cfr. P. VIALLANEK, La
voie ravale. Essai sur l'idée de peuple dans l'oeuvre de Michelet, Paris 1971. Cfr. anche quanto
detto su Michelet in L. LORETO, La grande insurrezione libica contro Cartagine del 241-237 a.C,
Una storia politica e militare, CÉFR 211, Rome 1995, pp. 2-3.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
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é^ovGÍa, la 'autorità incontestabile' su tutto il Mediterraneo4. Il confronto con
Cartagine, quindi, da una parte provocò, dall'altra accompagnò la crescita e lo
sviluppo dell'imperialismo romano.
Recenti posizioni storiografiche hanno in vario modo tentato di ridimensionare il problema, a lungo dibattuto, delle cause del conflitto. Il dibattito si era
acceso già presso i contemporanei: come in ogni guerra vi fu da parte dei contendenti il tentativo di scaricare sull'avversario il peso delle responsabilità. Furono
le ragioni del vincitore del conflitto a prevalere su quelle del perdente. Tuttavia,
l'evidente speciosità dell'argomentazione polibiana (3,26,5), che negava con
forza valore alla testimonianza di Filino di Agrigento relativamente al trattato
romano-cartaginese firmato forse nel 3065, fece proseguire senza sosta fino ai
giorni nostri il dibattito sulle responsabilità. Oggi si può esser d'accordo sul fatto
che il problema della responsabilità sia tutto sommato secondario. Una guerra
che, senza soluzione di continuità, si protrae per tutta la durata di una generazione, indica la chiara, piena e convinta partecipazione al conflitto di entrambe le
parti. A questo punto l'individuazione delle esatte responsabilità nel casus belli
rientra in quelle che Tucidide aveva chiamato Trpoípáaeic, 'pretesti', non riguarda
certo l'eziologia del conflitto. Lo scontro epocale tra civiltà ha sempre sollecitato spiegazioni fortemente attualizzanti, evidenziando così la portata dell'evento,
come nella sopra riportata citazione di Michelet. Può darsi che la spiegazione
che oggi viene preferibilmente fornita dagli storici, che cioè la ragione principale
del conflitto vada ricercata nel confronto oramai sempre più ravvicinato tra due
imperialismi, diversi eppure in concorrenza tra loro, sia frutto di questa nostra
età post-imperialista, e che un domani sembrerà altrettanto sgradevolmente fuori
luogo quanto quella sopra riportata di Jules Michelet.
Segnali di tali insofferenze nei confronti della tesi oggi prevalente si hanno
già ora, in tre recenti e autorevoli monografie. Secondo Dexter Hoyos sia la Prima
sia la Seconda Guerra Punica sono state 'unplanned wars,' frutto pertanto non
di visioni strategiche conflittuali, ma di fraintendimenti, errori, talvolta anche
biechi interessi personali, ma nulla comunque che possa in qualche modo riferirsi all'imperialismo romano6. L'analisi che Bruno Bleckmann ha condotto della
4
J. THORNTON, La conquista del Mediterraneo, in G. TRAINA ed., // mondo antico. Voi. V
La res publica e il Mediterraneo, Roma 2008, p. 123.
5
S. MAZZARINO, Introduzione alle guerre puniche, Saggi e ricerche 13, Catania 1947, 56-66,
che identifica questo «trattato di Filino», in quello riferito da Livio 9,43,26. Una recente presa di
posizione contro l'autenticità, generalmente ammessa, del trattato cosiddetto «di Filino», è ora in
L. LORETO, Sui trattati romano-cartaginesi, «Bollettino dell'Istituto di Diritto Romano». 98-99,
1995, 806-809.
6
B.D. HOYOS, Unplanned wars: the origins of the first and second Punic wars, Untersuchungen zur antiken Literatur und Geschichte 50, Berlin 1998.
50
TOMMASO GNOLI
nobilitas romana durante la Prima Guerra Punica è in larga misura concordante
con la tesi di Hoyos. Secondo lo studioso tedesco il Senato di Roma sarebbe stato
profondamente diviso da odi reciproci e da una concorrenza spietata per l'accesso alle più alte magistrature7. Tutto ciò avrebbe prodotto effetti devastanti anche
sulla condotta della guerra, che altrimenti avrebbe potuto essere più efficace e
breve. Se accettate integralmente, queste due tesi aboliscono completamente la
possibilità di individuare le 'cause profonde' del conflitto tra Roma e Cartagine, semplicemente perché tali cause non esisterebbero. Secondo Hoyos la guerra
sarebbe scoppiata solamente a causa di un accumulo di accidenti, mentre Bleckmann nega l'esistenza, almeno a Roma, di una 'testa pensante', ovvero di una
classe dirigente concorde nelle grandi linee della politica estera, in grado di indirizzare in maniera univoca gli eventi secondo una determinata visione strategica.
La terza monografia, di Luigi Loreto, è quella più chiaramente «di rottura»,
con una tradizione storiografica unanime, antica e moderna8. Secondo la sua formulazione icastica, i Romani non avrebbero vinto la Prima Guerra Punica, ma, al
più, sarebbero riusciti a non perderla. Tale sorprendente assunto è reso possibile
dal fatto che il piano dell'analisi di Loreto è macrostrategico, e riguarda non tanto
gli aspetti militari della vicenda punica, quanto la visione geopolitica e macrostrategica esistente nella classe dirigente romana negli anni a cavallo della metà
del III secolo a.C. In questa prospettiva i risultati della guerra non sarebbero stati
congruenti con le aspettative e con le esigenze di chi la guerra l'aveva provocata.
Accettando la richiesta di aiuto di Messina nel 264 il Senato di Roma non cercava
una guerra decisiva contro il vecchio alleato di un tempo, Cartagine, ma, al più,
una guerra limitata, di portata locale, contro la grande, potente e minacciosa vicina meridionale, Siracusa. Sarebbero stati gli imprevedibili errori commessi dai
consoli del 264, e segnatamente da Appio Claudio Caudex, a provocare Vescalation militare che presto divenne inarrestabile9. L'errore del Senato, che inevita7
B. BLECKMANN, Die römische Nobilitai im Ersten Pimischen Krieg. Untersuchungen zur
aristokratischen Konkurrenz in der Republik, Klio, Beiträge zur Alten Geschichte 5, Berlin 2002;
la posizione di Bleckmann non è orginale nell'ambito della storiografia tedesca, risalendo al filone
di studi prosopografici che ebbe in Matthias Gelzer uno dei suoi più raffinati interpreti: cfr. già A.
LlPPOLD, Cónsules: Untersuchungen zur Geschichte des römischen Konsulates von 264 bis 201
v. Chr, Antiquitas. Reihe 1., Abhandlungen zur alten Geschichte, Bonn 1963, seppure con minore
enfasi. In Italia F. CASSOLA, I gruppi politici romani nel III secolo a.C, Trieste 1962 ebbe già
modo di indicare la complessità delle posizioni politiche espresse a Roma dalla nobilitas, anche
se non giunse alle conclusioni di Bleckmann.
8
L. LORETO, La grande strategia di Roma nell'età della prima guerra punica (ca. 273 - ca.
229 a.C): L'inizio di un paradosso. Storia politica costituzionale e militare del mondo antico,
Napoli 2007.
9
Non sfuggiranno i punti di contatto, su questo, tra la ricostruzione di LORETO e quella di
HOYOS, Unplanned wars: the origins of the first and second Punic wars, cit. Tuttavia, rispetto a
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
51
bilmente ci fu, fu quello di affidare un eccessivo ruolo ai comandanti militari che
si trovavano sul teatro di operazione, ai men-on-the-spot, in termini strategici.
Parallelamente a questa trasformazione della situazione militare nel teatro delle
operazioni avvenne a Roma un ulteriore mutamento, profondo ed importante,
che Loreto chiama «rivoluzione macrostrategica del 264»10. E fu proprio questa
rivoluzione macrostrategica, errata nei presupposti e incongruente con la precedente storia di Roma, unitamente alla pessima gestione della situazione di crisi
generatasi all'indomani dello sbarco in Sicilia, la sola causa della guerra punica11.
La prospettiva di Loreto è, dal punto di vista metodologico, diametralmente
opposta a quelle di Hoyos o Bleckmann. Mentre infatti per questi ultimi vi sarebbero una pluralità di posizioni pari al numero degli attori della vicenda a Roma
- cioè tutti i protagonisti rifulgerebbero con proprie personalità ben definite e
determinate, fino a polverizzare gli eventi (e le cause) in una galassia prosopografica - nella ricostruzione di Loreto le individualità rischiano invece di perdersi.
La critica che può muoversi a questa impostazione - che resta tuttavia fertilissima
di indicazioni importanti, quando non realmente rivelatrice - è in effetti proprio
un eccesso di astrazione12.
Tutte queste posizioni colgono naturalmente elementi di verità, eppure tutte
difettano, a parere di chi scrive, per lo stesso motivo: sono visioni unilaterali
del problema. La Prima e la Seconda Guerra Punica sono guerre non pianificate
esattamente come lo sono state tutte le guerre combattute da Roma, almeno fino
a quando non si sono affermati i grandi comandi straordinari pluriennali dell'età
tardo-repubblicana. La struttura stessa delle magistrature romane - collegiali e
annuali - impediva ogni possibilità di vera pianificazione di eventi militari che
si annunciavano pluriennali. Non vi poteva essere alcuna certezza sul fatto che il
magistrato che sarebbe subentrato l'anno successivo al comando delle operazioni
avrebbe agito come si pensava avrebbe agito il suo predecessore. E con questo
giungiamo a rispondere a Bleckmann. È vero, infatti, che tali certezze non erano possibili, vista la costituzione repubblicana, ma è anche vero che le guerre
vennero intraprese in età repubblicana, e furono guerre sempre vittoriose, anche
quest'ultimo, Loreto continua a ritenere la strategia romana frutto di una visione unitaria, nonostante i singoli errori individuali.
10
LORETO, La grande strategia di Roma, cit., 9-43.
11
Ibid., 31: «La causa della guerra punica è una sola: la rivoluzione macrostrategica del 264.
La guerra, avvertiamo subito, però non è la risposta razionale - nel senso di intenzionalmente perseguita - e immediata a tale percezione ... ma la conseguenza involontaria e non calcolata di essa».
12
Per quanto riguarda il pericolo di astrazione, che Loreto non sempre riesce a evitare, si
vedano alcune pagine della parte III «Quadranti e meccanismi», (pp. 75-169), dove alcune delle
considerazioni geopolitiche sono condotte sulla base della cartografia moderna, non sulla percezione
dello spazio geografico che gli antichi possedevano, e della quale occorre tener conto.
52
TOMMASO GNOLI
nei casi più difficili. Sempre, anche di fronte a sanguinose sconfitte, l'azione del
Senato di Roma ebbe una coesione sufficiente a garantire il successo finale. La
conflittualità intema evidenziata da Bleckmann è certamente una permanente caratteristica del Senato di Roma. L'apparente mancanza di conflittualità - meglio
sarebbe dire attenuazione di conflittualità - nel precedente periodo (V-IV secolo
a.C.) è dovuta più alla carenza di fonti affidabili che non a un'effettiva concordia
intema al Senato. Ciò che però ha consentito al sistema di operare con un'efficacia tale da garantire la totale ammirazione di un Polibio, fu proprio la concezione
di 'classe' che la nobilitas romana ebbe sempre di sé. Al di là delle differenze politiche, della competizione talvolta esasperata per il cursus honorum, dei legittimi
o meno legittimi interessi economici e di clan, nella nobilitas romana ha sempre
prevalso, forte, il senso dello Stato, e dell'appartenenza a un gruppo privilegiato,
tendenzialmente chiuso e geloso delle proprie prerogative. È stata questa coesione di classe - che ha quasi sempre prevalso anche nei momenti più acuti del confronto durante le sanguinose vicende delle guerre civili - che ha garantito gli esiti
di conflitti difficilissimi per Roma, come le due grandi guerre contro Cartagine.
1. La fase finale della Prima Guerra Punica
La Prima Guerra Punica mise di fronte due potenze imperialistiche che esercitavano un'attività espansiva diversa, eppure in forte concorrenza reciproca. Si
sono a lungo enfatizzate le pretese differenze strutturali delle due economie, quella cartaginese e quella romana, che avrebbero evitato qualsiasi forma di contrasto
diretto: il dominio cartaginese, basato esclusivamente sullo sfruttamento delle
risorse locali e sulla loro commercializzazione nel Mediterraneo tramite il controllo delle rotte commerciali, non avrebbe, in questa prospettiva, costituito una
minaccia per l'imperialismo romano, che, al contrario, mosso dagli interessi di
una classe di grandi proprietari terrieri, si sarebbe piuttosto concentrato sull'acquisizione di territori, atti a ingrandire Vager publicus, e quindi, indirettamente,
le possibilità di accrescimento delle già importanti proprietà agrarie dei più ricchi
tra i grandi proprietari romani. Recenti indagini archeologiche hanno però nuovamente evidenziato quanto fosse meccanica e unilaterale tale visione, riscoprendo
verità importanti relative al mondo punico: anche i Cartaginesi, come i Romani,
mangiavano, e anche loro avevano necessità di acquisire territori agricoli da poter
sfruttare a fini economici. L'idea di fondaci fenici costituenti vere e proprie isole
in mari indigeni, all'esterno della madrepatria africana, è fiiorviante ed erronea13.
13
Molto importanti in proposito sono i lavori di PETER VAN DOMMELEN: Punic farms and
Carthaginians colonists: surveying Punic rural settlement in the central Mediterranean, JRA 2006,
La battaglia delle Egadi. A proposito dì ritrovamenti recenti
53
Le vicende di questa lunghissima guerra sono abbastanza ben note, nel loro
svolgimento generale, ma presentano ancora lati oscurissimi, sui quali non è possibile farsi un'idea precisa, visto lo stato della nostra documentazione. Quest'ultima può contare su un numero non esiguo di fonti differenti. Tuttavia è proprio
questa pluralità di fonti tra loro spesso inconciliabili sui dettagli, a costituire un
problema per la ricostruzione puntuale degli eventi. In particolare risulta non
sempre conciliabile con le altre fonti Polibio, che rappresenta per noi il resoconto migliore, ancorché sintetico14, sulla totalità del venticinquennio circa che
ci interessa. Le altre fonti, infatti, sono o incomplete15, oppure eccessivamente
compendiose16, tali da impedire la conoscenza dei dettagli della guerra. Le incongruenze sono particolarmente gravi anche per l'ultima parte dello scontro, quella
successiva ai grandi disastri navali subiti dai Romani nel 249 a.C.
Secondo Polibio, fu solamente grazie alla «ambizione per il dominio universale». ((piX,OTi|j,ia xcov oÀ,cov: 1,52,4) che caratterizzava la classe dirigente romana,
che si decise a Roma di reagire alla durissima sconfitta subita presso Trapani da
Publio Claudio Pulcro a opera di Aderbale. Si decise quindi d'inviare una flotta
in soccorso alle truppe di terra impegnate in un pluriennale assedio di Lilibeo per
il tramite dell'altro console del 249, Lucio Giunio Pullo, al comando di una squadra navale di scorta composta da 60 navi da guerra. Costui scelse Siracusa come
punto per ammassare il maggior numero possibile di navi onerarie e da guerra per
poter svolgere la sua missione con il massimo dell'efficacia, ma invano: mentre
7-28 , di cui si consulterà con profitto anche P. VAN DOMMELEN, Punic persistence: colonialism
and cultural identities in Roman Sardinia, in R. LAURENCE e J. BERRY eds., Cultural identity in
the Roman Empire, London - New York 1998, 25-48, cui va il merito di aver nuovamente posto
l'accento, a livello internazione, su aspetti dell'economia punica che possono considerarsi ovvi in
Italia, dopo l'alto magistero di Sabatino Moscati. L'espressione volutamente paradossale che ho
impiegato nel testo vuole sottolineare la mancanza di concretezza in chi ritiene di poter sostenere
l'esistenza di comunità che, nel mondo antico, potessero effettivamente basare la loro potenza e
prosperità esclusivamente sugli scambi commerciali. Al contrario, i volumi degli scambi non sono
mai stati tali da poter realmente sopperire a un'effettiva debolezza nella produzione agricola in
rapporto alla popolazione. Ciò è stato generalmente riconosciuto nei casi di Roma e di Atene entrambe sopperirono alle loro carenze tramite la creazione di un «impero» - ma non a Cartagine,
per la quale si è pensato di poter utilizzare un differente «modello», di città e di organizzazione
economica e sociale: cfr. p. es. J.-P. BRISSON, Carthage ou Rome? Paris 1973, 7: «mais, trait
propre à la cité punique, aucune paysannerie d'origine phénicienne; les paysans auxquels Carthage
aura affaire ne seront jamais que des indigènes assujettis, les Libyens», e in generale tutto il cap.
I «Des adversaires mal assortis», incentrato su questi concetti.
14
Molto opportuno appare il richiamo su questo punto in Loreto, La grande strategia di
Roma, cit., 4-5.
15
Particolarmente grave è lo stato in cui sono giunti i libri XXII-XXIV di Diodoro Siculo,
nonché i Sikeliká di Appiano. Livio, naturalmente, è perduto.
16
Cassio Dione (Zonara), Floro, Orosio, Eutropio.
TOMMASO GNOLI
54
Aderbale, il vincitore di Trapani, riorganizzava le sue forze, spedendo in patria
un gran numero di prigionieri e attaccando con successo le imbarcazioni romane
che bloccavano Lilibeo, il console mosse da Siracusa con la grande flotta, ma solo
per naufragare miseramente nei pressi di Capo Pachino, messo in difficoltà dalle
manovre di Cartalone e di Aderbale (1,54).
A questo punto la situazione vide un vero e proprio dominio marittimo cartaginese, per la prima volta dopo molti anni, e addirittura la possibilità di contendere a Roma la supremazia terrestre (1,55). Tali speranze vennero però frustrate
da un fortunato colpo di coda del depresso Giunio Pullo, che riuscì a occupare la
sommità del monte Erice, con il tempio di Venere Ericina, e le pendici del monte
dalla parte di Trapani (xfiv ànò Apejictvcov TrpOGßotGiv 1,55,10). Tale azione, come
si vedrà, si rivelerà decisiva nella successiva dinamica degli avvenimenti. Certo è
che nessuno poteva immaginare un esito più favorevole a Cartagine per gli eventi
di quel denso 24917.
Si è giustamente rilevato che Polibio compie un errore nel racconto di queste
vicende, definendo Giunio Pullo successore, e non collega, di Publio Claudio
Pulcro. Fu Gaetano De Sanctis a rendere significativo questo enore con la sua
persuasiva spiegazione, che individua il problema nelle fonti seguite dallo storico
di Megalopoli:
lo scrittore [Polibio], che fin qui ha solo inserito talora nello schema annalistico del racconto fabiano estratti più o meno ampi da Filino, abbandona Fabio quasi del tutto fino
alla spedizione di Lutazio Catulo e riassume dallo storico greco. Il segno estemo di ciò
è nella omissione, d'ora innanzi, dei nomi dei consoli, ai quali due volte viene sostituita
la indicazione dell'anno della guerra (41,3. 56,2). Soltanto pel 249 in questo periodo
entrambi i consoli son menzionati, P. Claudio e L. Giunio; ma lo storico dà il secondo
come successore, non come collega del primo (e. 52,6): errore scusabile in un Greco che
lo vide prender dopo l'altro il comando in Sicilia, impossibile ad un Romano che aveva
sott'occhio i fasti consolari18.
Tale spiegazione è certamente conetta. Tuttavia non è sufficiente a spiegare
quanto segue, cioè la difformità dei racconti di Polibio e Zonara19.
17
LORETO, La grande strategia di Roma, cit., 64 parla di annus mirabilis per Cartagine.
G. DE SANCTIS, Storia dei Romani ULI L'età delle guerre puniche. Il pensiero storico 38,
Torino 1916, 222 dell'ed. del 1967 dalla quale sempre si citerà in seguito.
19
In quanto segue si è deciso di analizzare le due linee narrative, tra loro evidentemente
distinte, presenti in Polibio e in Zonara, il quale, com'è noto, epitoma Cassio Dione. Si sono tralasciati i frammenti di Diodoro Siculo, il quale segue la stessa tradizione di Polibio, largamente
debitrice nei confronti di Filino di Agrigento, seppure con differenze anche sostanziali, che sono
state molto bene analizzate da DE SANCTIS, SR IUI, cit., 225-229 alle considerazioni del quale
nulla di nuovo mi sembra di poter aggiungere. Lo stesso dicasi per le altre fonti minori.
18
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
55
Seguendo Polibio, negli anni dal 249 al 242 i Romani, concentratisi sulla
guena di tena dopo i disastri navali, s'impegnarono a tenere le posizioni guadagnate dai consoli del 254, A. Afilio Calatino e Cn. Comelio Scipione Asina.
L'eparchia punica in Sicilia praticamente non esisteva più, Agrigento, Cefalù,
Palermo, Solunto, Tindari, Trapani vennero occupate dai Romani, senza che la
tradizione storiografica registri grandi scontri. Dopo la vittoriosa difesa di Palermo da parte di Cecilio Metello nel 250, non sembra che vi siano stati ulteriori
tentativi da parte dei Cartaginesi di rioccupare stabilmente le loro principali piazzeforti. Quando nel 247 Amilcare Barca sbarcò in Sicilia egli non aveva posizioni
da tenere, ma era completamente libero di agire all'offensiva. Lo fece con grande
astuzia, inaugurando una nuova fase della guena. Per descrivere la situazione dei
contendenti in questa fase dello scontro Polibio utilizza una metafora sportiva:
Come, infatti, nel caso dei pugili eccellenti sia per valore sia per destrezza, quando,
in competizione per la stessa corona, lottano portandosi colpo su colpo, incessantemente,
non è possibile né ai combattenti né agli spettatori tenere conto o prevedere ciascun attacco e ciascun colpo, ma si può, dall'energia complessiva degli uomini e dall'impegno
di ciascuno dei due, farsi un'idea sufficientemente chiara sia della loro abilità, sia della
loro forza, nonché del loro coraggio, così è anche per i comandanti di cui ora si parla20.
Amilcare occupò due posizioni particolarmente forti, non custodite, ma strategicamente molto importanti per mettere a repentaglio il controllo romano nella
Sicilia occidentale. Si trattava di due località lontane tra loro, certamente in comunicazione con il mare, facilmente difendibili da un numero esiguo di soldati.
Amilcare tenne queste posizioni per diversi anni, non rinunciando mai ad attaccare da lì perfino il tenitorio italico. È merito di Loreto aver messo bene in evidenza come quest'attività navale di Amilcare, lungi da essere un'appendice alla
sua azione tenestre - cosi la presenta Polibio - fosse in realtà l'azione strategica
principale di Cartagine, perfettamente conforme alla macrostrategia cartaginese
tutta incentrata sul sea-power2\
La prima posizione a essere occupata fu xòv èia xr[q EipKxfiç ^eyofrevov TóJIOV,
«il luogo detto 'all'Eircte'», che viene descritto prima «nel territorio di Palermo».
(Tipòc xfiv Havopimiv), quindi, subito dopo, «che si trova tra Erice e Palermo, sul
mare», (oc Ksixai [lèv 'EpuKoç Kai Havopixon iiexaÇù jtpoç Ga^axxrj). L'identificazione del luogo oscilla tra il Monte Pellegrino, subito a nord-ovest di Palermo, il
Monte Castellaccio, collocato subito a ovest del Pellegrino, alle spalle dell'Isola
delle Femmine, e il Monte Pecoraro, collocato più a ovest, proprio in prossimità
20
21
POLYB. 1,57,1-2.
LORETO, La grande strategia di Roma, cit., 57-62.
56
TOMMASO GNOLI
dell'Aeroporto intemazionale di Punta Raisi, che delimita, con il Monte Cofano
all'estremità opposta, l'ampia insenatura di Castellammare del Golfo.
La recente indagine condotta sull'argomento da B. Dexter Hoyos, pur non
riuscendo a risolvere tutte le contraddizioni della descrizione polibiana, sembra
abbastanza convincente nel perorare la causa del Monte Castellaccio22. Particolarmente efficace mi sembra l'annotazione che, nei pressi del Monte Pellegrino,
non vi sarebbero porti naturali importanti se non Mondello, la cui posizione risulta però molto difficile da difendere, e il fatto che non sembrano esserci agevoli
discese a mare dalla sommità del monte, mentre, nel caso del Monte Pecoraro, il
Golfo di Carini presenta caratteristiche molto più soddisfacenti23.
Qualunque fosse effettivamente il «luogo presso Eircte»., Polibio (1,56,11)
sostiene che di lì i Cartaginesi provocarono a battaglia i Romani «per circa tre
anni». Dal momento che lo sbarco di Amilcare in Sicilia si può collocare con
certezza almeno alla primavera del 24724, ne consegue che egli tenne la posizione
dal 247 al 245/4 a.C.
Polibio prosegue quindi la sua nanazione raccontando dell'occupazione della
«città degli Ericini» da parte di Amilcare Barca, senza soluzione di continuità.
Dal momento che quest'ultimo episodio è la diretta introduzione alla decisiva
battaglia navale che si svolse al largo delle Egadi, mi riprometto di tornarvi nel §
3. Per ora sia sufficiente rilevare come il silenzio di Polibio su altri eventi che dovettero nel frattempo accadere altrove, specialmente in Africa, rende di difficile
comprensione anche quanto avvenne in Sicilia: non si capisce, in particolare, perché i Cartaginesi non abbiano in alcun modo approfittato dell'insperato vantaggio
acquisito sul mare dopo i disastri romani del 24925.
22
D. HOYOS, Identifying Hamilcar Barcas Heights of Heirate, «Historia» 50,2001,490-495 .
Ciò non toglie che, anche nella ricostruzione di Hoyos, permangano delle difficoltà: una fra
tutte quella che riguarda l'interpretazione di POLYB. 1,56,4: ecm yòp ópoc Trepixopov è^ovEOTTiKÒc
éK xfiç 7tepiKsipévT|ç xrâpaç eiç v\\ioq iicavóv. TOUTOU 5' f) 7tepi|i£Tpoç rfiç avto (rrecpavriç où Xevnei
TMV éKoiTÒv crraôicov, ù(p' ijç ò Tteptexonevoç TOTIOç eößoroc ÚTtápxsi Kai yecopyiicniroç, Ttpoç pèv
ràç neXayiovq jrvoiàç Evxpucoç Ksipevoç, Oavaaincov ôè Oripúov eiç xéXoq &|ioipoç. «È, infatti, un
monte dirupato, che si innalza sul territorio circostante per un'altitudine notevole. Il perimetro
del suo ciglio superiore non è inferiore ai cento stadi, e sotto di esso la zona circostante è ricca
di pascoli e coltivabile, favorevolmente esposta al soffio dei venti marini, nonché completamente
libera da animali pericolosi». Secondo Hoyos l'espressione úcj)' fjç 6 îiepiexopevoç TOTIOç andrebbe
invece intesa «the site enclosed by (the crest)», Ibid., 493. Meno significativa è invece la questione
dell'alternativa Monte Castellaccio/Monte Pecoraro.
24
POLYB. 1,56, 2: STOç 5' rjv àtcrcoKaiôéKaTov z& jroÀé|xcp «Era il diciottesimo anno di guerra»
= 248/7 a.C.
25
Una spiegazione a questo interrogativo la offre LORETO, La grande strategia di Roma,
cit., 70-74: i Cartaginesi non avrebbero approfittato dei successi del 249 perché avevano già ottenuto quel che cercavano: il pieno controllo del quadrante navale delle operazioni, considerato
strategicamente l'unico veramente rilevante per Cartagine. Questa spiegazione è persuasiva di
23
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
57
Al contrario, Zonara, pur nella brevità e superficialità del suo racconto, inserisce episodi del tutto assenti in Polibio. Di particolare importanza per noi è la
descrizione delle imprese di pirateria sulle coste africane compiute da squadre
navali private:
L'anno successivo [247] i Romani ufficialmente si ritirarono dalla guerra per mare, a
motivo dei rovesci e delle spese, ma alcuni individui privati chiesero delle navi a condizione di restaurarle e di appropriarsi di tutto il bottino depredato; e tra gli altri danni che
essi inflissero al nemico essi salparono verso Ippona, una città africana, e li ridussero in
cenere tutte le navi e molti edifici. Gli abitanti misero catene all'imboccatura del porto
e gli invasori si trovarono chiusi, ma riuscirono a salvarsi con furbizia e buona fortuna.
Essi si lanciarono rapidamente contro le catene, e proprio nel momento in cui i rostri
delle navi stavano per impigliarcisi, i membri dell'equipaggio andarono indietro verso la
poppa, e cosi le prue, essendosi alleggerite, superarono le catene; poi di nuovo, correndo
verso le prore, le poppe delle navi furono sufficientemente sollevate in aria. Così costoro
effettuarono la loro fuga, e successivamente, presso Palermo, batterono i Cartaginesi con
queste navi26.
È lecito ritenere che la fonte di Cassio Dione (Zonara) fosse più esplicita sulla
guena corsara messa in piedi da Roma in questo frangente. L'unico appiglio che
resta oggi per la comprensione di questi interessanti eventi è l'opposizione tra gli
avverbi, ôr||j,oaig e i5ig, che introducono questo racconto: vi sarebbe stata una decisione ufficiale, pubblica, di ritirarsi dalle attività marinaresche, e nel contempo
un'incentivazione ai privati (forse per lo più sodi navales?) ad intraprendere attività corsare? Zonara è l'unico a parlarcene, in due luoghi, e non è possibile dire di
più al riguardo. Nonostante il fatto che l'episodio riportato, relativo alla fuga da
Ippona, sia del tutto incredibile, non pare vadano messe in dubbio l'esistenza di
attività corsare sulle coste libiche. D'altro canto, sembra pure anischiato ritenere
che dei privati potessero sfidare più o meno apertamente la rinnovata talassocrazia cartaginese.
per sé, ma non spiega come mai in quegli anni i Cartaginesi abbiano accettato di buon grado un
ruolo evidentemente subalterno, e limitato sulla difensiva, e comunque su azioni di disturbo, in
Sicilia. La spiegazione di Loreto, pertanto, va a mio avviso integrata con quanto si sostiene qui.
26
ZON. 8,16 (II 219, 20-220, 6 Dindorf): T& 6' éi;f|ç STSI TOù Oa^axTÍou TcoXenou 8T)noaia
|xèv oi 'Pconaioi ajiécxovTO olà ràç àmxiaç Kai 5ià xà avaMjuara, loia ôé TIVSç vf\ac, ainÎGavTEç,
(SUT' sKEÎvaç pèv àTtoKaTaarnaai, rfiv X^lav ôè oÎKeubaaaôai, âXka TS TOùç JIOàEIIîOUç eKáKcoaav,
Kai èç 'Iroicôva Aißuicfiv Jió^-iv eioTt^euaavTeç Tó TE nXoXa nàvza Kaì TtoXÀà TCOV oùcooourmÓTCOv
Karéjipriaav. TCDV 5' ÈTtixcopicov Tò aTÓ|xa TOû Xipévoç SiaXaßovrcov àtóceaiv, év TiepicTácEi èyévovro,
aoqna 5È Kaì xúxn îtspieyévovm aTtouSfj yap Taîç átóoeai TipoovteoovTSC, ETISí jtpoaá\|/ao9ai
aÙTCôv eps^-ov oí epßoXoi TCöV vt\&v, p8TeöTT|cav sc ràç Ttpúpvac oí TOù TtfoiprópaTOC, Kaì otkcoç
ai jiprôpai KoiKpiaOsioai wiepfípav ràç aÀuasiç, aiSôiç 5' éç ràç Ttpœpaç aÙTcav (ieTa7tri5r|aávT©v
ai 7ipú|j,vai TWV oKa(pc&v eixsTscopíoGriaav. Kaì Ste^éSpapov, Kai liera TOûTO Ttepì Tò návop^ov
vancí KapxtlSoviouç svíicrioav.
58
TOMMASO GNOLI
Certo è che la fonte di Zonara per le vicende navali dell'ultima parte del conflitto era pessima: all'episodio inverosimile27 sopra riportato fa infatti appendant
il prodigio, nanato successivamente e sempre in contesti nanativi molto distanti
da Polibio, che si sarebbe verificato subito prima della battaglia delle Egadi, con
le squadre navali disposte in ordine di battaglia. Anche quello, come questo, è
del tutto incredibile, e presuppone uno svolgimento dei fatti incompatibile con la
dinamica oramai accertata del grande scontro navale.
Dopo aver indugiato sull'assedio di Trapani e sui combattimenti che portarono al controllo dell'isoletta chiamata Pelias, oggi Colombaia, Zonara inserisce
alcune considerazioni che spiegavano proprio nell'annualità dei comandi militari
romani la scarsa efficacia delle operazioni militari che in quel periodo vennero
intraprese («i comandanti se ne andavano proprio nel momento in cui avevano
appreso l'arte del comando»)28. Solo a questo punto viene ripreso il discorso dei
privati (iôuaxai) che avevano armato le navi:
i Galli, che combattevano come alleati dei Cartaginesi, e li odiavano, perché i loro padroni li maltrattavano, cedettero ai Romani per denaro una fortezza che era stata loro affidata.
I Romani accettarono il servizio mercenario dei Galli e di altri tra gli alleati di Cartagine
che si erano rivoltati contro il loro servizio; mai prima di allora essi avevano accettato
stranieri nell'esercito. Resi euforici da tutto ciò, e inoltre per la devastazione dell'Africa
da parte di privati cittadini che avevano armato delle navi, essi non volevano più disinteressarsi del mare, e misero insieme di nuovo una flotta29.
Secondo Cassio Dione/Zonara, la decisione di ricostruire una flotta sarebbe
intervenuta grazie all'esempio delle fortunate imprese fomite dai privati, e in
concomitanza di un evento insperato: il tradimento di un gruppo di mercenari
al servizio di Cartagine. Benché non sia detto in modo esplicito, dovette esservi
27
Non mi sembra che il fatto che FRONTINO, Strat. 1,5,6, attribuisca lo stesso episodio al
console Duellius, che ne sarebbe stato il protagonista nel porto di Siracusa, sia significativo per
il nostro discorso. Né il fatto che F.W. WALBANK, A Historical Commentary on Polybius; vol.
1: Commentary on Books I-VI, Oxford 1957, 108 sia riuscito a trovare un parallelo negli archivi
della Royal Navy aggiunge credibilità al racconto: la chiusura dei porti con catene era pratica
sicurissima e utilizzatissima fino in età moderna (si cfr., a titolo d'esempio, la chiesa di S. Maria
della Catena, situata all'imboccatura del porto antico di Palermo). D E SANCTIS, SR III, 1, cit.,
233. attribuisce l'episodio alla «annalistica recente».
28
ZON. 8,16 (II220, 29-30 DlNDORF): apri ôè Tf)v arparriytav [xavOavovrac rflc âpxfiç STiauov.
29
ZON. 8,16 (II 220, 32-221, 9 DINDORF): O í Takázm ôè TOîç Kapxnôovioiç crupuaxonvTsç,
Kaì lucowteç aùroùç on KaKrâç perexeipiÇovro ocpaç, (ppoupiou TIVôç <puA,aKf|v EpmoTsnOevTsc,
TOîç 'Pcopaioiç amò TipoiÍKavTO éjtí xpiíl^otci. psTacravraç ôè aitò TôV Kapxtiôovicov Fa^araç Kat
hXïxmq TCOV ocprôv crumiaxcov Tivàç oí 'Pco|iaîoi èm. piaOocpopa jtpooe^aßovTO, pfjita) jipÓTspov
TpécpovTsç ÇeviKov. TCWTOIç ouv sjiaipófievoi, Kaì on oí ràç vaûç EXOVTSç ioiàmu TTJV Aißw|v
ejtópOricav, OùKéTI àpsXeîv Tfjç SataksOTiç qOs^ov, aXkh Kai auOtç vaxmKÔv cruvscrrrioavTO.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
59
una decisione formale del Senato, che è possibile intrawedere dietro l'anodina
espressione oùicéxt à^ieXeiv xfjç Ga^áocrric TíOSXOV. Tale decisione è esplicitamente testimoniata da Polibio e dall'iscrizione rinvenuta nel nuovo rostro30.
Resta tuttavia il fatto che è molto difficile farsi un'idea esatta degli avvenimenti successivi ai naufragi romani del 249, a parte la guena di posizione impegnata in Sicilia da Amilcare Barca, sulla quale si diffonde Polibio. Quest'ultimo
non cita in alcun modo le vicende africane, ma è l'unica fonte a fomire dettagli
rilevanti sulla decisione del Senato di riprendere la guena per mare del 243. Tali
dettagli, inoltre, sono perfettamente confermati dall'iscrizione recentemente scoperta. D'altro canto, Cassio Dione, nella semplificata versione di Zonara, fomisce
elementi importanti sulle operazioni navali degli anni tra il 249 e il 243, ma si
limita a un oscurissimo accenno per quanto riguarda la decisione del Senato del
243, che solo il confronto con Polibio, e ora con la nuova iscrizione, rende perspicuo.
Non solo, altro elemento di differenza tra Polibio e Cassio Dione/Zonara è
rappresentato dal completo silenzio del primo, nel luogo appropriato, sul tradimento dei Galli a servizio di Cartagine. È significativo che una delle migliori
e più dettagliate ricostruzioni moderne di quegli avvenimenti, quella fornita da
Gaetano De Sanctis per tramite di un'attentissima e completissima escussione di
tutte le fonti allora disponibili, dimentichi a sua volta l'episodio. Eppure il breve
cenno di Zonara sopra riportato indica che la cessione della fortezza da parte dei
mercenari Galli di Cartagine aveva una certa importanza nell'economia del racconto dioneo: fu per l'ottimismo suscitato «da tutte queste notizie» - cioè dalla
diserzione dei mercenari Galli e dai successi delle flotte corsare - che il Senato
(non menzionato esplicitamente) decise oÙKéxt à^is^eiv xfjç OaAaaaric. Certamente ha nuociuto all'importanza data dai modemi all'episodio la sciatteria di Zonara
che, nell'ansia di abbreviare il testo dioneo, ha addirittura omesso di indicare la
posizione deiphroiirion consegnato dai Galli ai Romani, rendendo questa vicenda del tutto inutile alla ricostruzione degli avvenimenti. Eppure, se inquadrata
nell'insieme dello scarno resoconto di Zonara, essa non è inutile. In realtà Polibio
non tace sull'episodio, ma sembra dimenticarsene nel luogo appropriato. Solo
successivamente, parlando nel secondo libro della rivolta dei mercenari di Cartagine, si soffermerà sull'episodio (2,7,6-11), e allora, come suo solito, sarà molto
più esplicito, chiaro e utile di Zonara: questa banda di circa 3.000 Galli al servizio
di Cartagine venne dapprima impiegata come parte della guarnigione cartaginese
di Agrigento, nel 261. Lì essi ebbero un molo di rilievo durante i disordini che
si verificarono a causa del mancato pagamento del soldo. Quindi, circa 1.000 di
loro, nel 242, provarono a tradire cedendo la loro piazzaforte ai Romani sul monCfr. infra § 2.
.
60
TOMMASO GNOLI
te Erice. Quando videro che questo piano era oramai fallito, passarono senz'altro
al nemico, che li impiegò a guardia del tempio di Venere Ericina, in cima al
monte, ma questa masnada indisciplinata saccheggiò anche l'antico santuario,
cosicché, finita la guena contro Cartagine, i Romani li espulsero dall'Italia. 800
di loro vennero quindi reclutati dalla popolazione della città di Phoinike, in Epiro,
ma tradirono anche loro, consegnandoli agli Illiri. Frattanto altri 2.000, al comando di Autarito, tomarono in Africa e presero parte al grande ammutinamento dei
mercenari. Molti di loro vennero uccisi in battaglia combattendo contro il loro
comandante di un tempo, Amilcare Barca (2,78,12), e il loro capo Autarito venne
alla fine crocifisso (2,86, 4)31.
Possiamo essere quindi certi che il vago accenno di Zonara sia da identificarsi
con il decontestualizzato (dal punto di vista cronologico) racconto polibiano, e
che il luogo del tradimento dei Galli sia stato «all'Erice». Appare anche certo
quanto dice Zonara riguardo all'importanza di questo avvenimento che, per la
prima volta, sembrava sbloccare una situazione incancrenita in una guena di posizione che sembrava non poter avere una fine prossima. L'enfasi di Zonara appare del tutto giustificata, mentre è veramente sorprendente il silenzio polibiano
sulla vicenda, nel suo luogo.
A parte le grandi differenze nella qualità delle informazioni che sull'episodio
fomiscono Polibio e Zonara, resta il fatto che Polibio non sottolinea la circostanza che a Roma «mai prima d'allora si era assoldato un esercito straniero». (|j,f|Jico
jrpóxepov xpécpovxeç ^eviKÓv). Non c'è da sorprendersi. Per chi scriveva una storia di Roma negli anni '40 del secondo secolo a.C. l'episodio dei Galli armolati
da Roma poteva sembrare un episodio circoscritto e perfettamente inquadrabile
nell'economia di quella particolarissima fase della guena: nulla che fosse degno
di particolari considerazioni sul piano istituzionale, nel quale, com'è noto, Roma
era fortemente connotata, sul piano militare, dal suo esercito cittadino32. Ben diverso il discorso invece per chi scriveva la sua storia trecento anni dopo, quando
l'impiego di gentes externae nelle file degli ausiliari cominciava a diventare un
uso inquietante, tanto comune che un re straniero poteva dire, dopo aver vinto le
31
L. LORETO, La grande insurrezione lìbica contro Cartagine del 241-237 a.C: Una storia
politica e militare. Collection de l'École française de Rome Rome 1995; J.F. LAZENBY, The First
Punic War, A military history, London 1996, 149-150; A.C. FARISELLI, I mercenari dì Cartagine,
Biblioteca della Rivista di studi punici 1, La Spezia 2002.
32
G. BRIZZI, Il guerriero, l'oplita, il legionario. Gli eserciti nel mondo classico. Universale
Paperbacks 433, Bologna 2002. Ha ragione Loreto, La grande insurrezione libica, cit., 4-7; a
rilevare la vera e propria ossessione che Polibio nutriva nei confronti degli eserciti mercenari, ai
quali attribuiva buona parte delle disgrazie che colpivano le monarchie ellenistiche dei suoi tempi,
rendendole militarmente inferiori a Roma. Tuttavia questo accenno all'arruolamento di mercenari
transfughi cartaginesi all'interno dell'esercito romano non viene ripreso in alcun punto della superstite opera polibiana, circostanza che autorizza, a mio parere, le conclusioni espresse nel testo.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
61
legioni romane in campo aperto, di aver combattuto «contro un esercito di Romani, di Goti e di Germania»33.
Credo pertanto che nella sopra riportata frase di Zonara si nasconda un'aggiunta autonoma di Cassio Dione, che evidentemente, in questo luogo, si lasciava
andare a considerazioni di contenuto moraleggiante, che l'asciutto riassunto del
tardo compilatore non è riuscito del tutto a cancellare. A un'attenta rilettura delle
vicende degli anni dal 249 al 241, cosi come sono state riassunte da Zonara, non
è questa l'unica aggiunta dionea individuabile.
La prima digressione è rappresentata dalla già menzionata annotazione
dell'incapacità dei Romani a condune con efficacia la guena, visti i continui
cambiamenti al vertice imposti dall'ordinamento costituzionale repubblicano.
Pur rimanendo incerte le fonti di Cassio Dione, è altamente improbabile che una
simile considerazione trovasse posto in un autore di età repubblicana, mentre appare molto più consona all'ideologia («severiana», seppure mitigata da echi filorepubblicani molto prudenti) di Cassio Dione, così come la possiamo ricostruire
su basi sicure (Dio, libro 52). De Sanctis preferisce pensare a una fonte estranea
al mondo romano, cioè a Filino34, ma mi sembra una soluzione poco probabile.
La notizia è collocata immediatamente dopo quella dello scambio di prigionieri che avrebbe avuto luogo tra Roma e Cartagine, e immediatamente prima del
brano relativo alla rivolta dei mercenari Galli che abbiamo sopra riportato e commentato. Mi sembra molto più probabile, pertanto, che sia la critica alla discontinuità del comando, sia quella relativa all'annoiamento di transfughi cartaginesi
possano essere considerate come aggiunte autonome di Cassio Dione recepite da
Zonara, e che non fossero presenti nelle fonti più antiche.
Anche la terza notizia che riscontriamo nel solo Zonara può senz'altro essere
attribuita alla penna di Cassio Dione. Si tratta del prodigio che sarebbe avvenuto
subito prima dello scontro navale al largo delle Egadi: una meteora, apparsa a
sinistra dei Cartaginesi «una volta che le due flotte si erano disposte in ordine di
battaglia», sarebbe caduta sullo schieramento punico35.
33
L'espressione è riportata nell'iscrizione commemorativa delle imprese del Gran Re persiano Säbuhr I, messa in opera attorno al 270 d.C. nella Ka'ba di Zarathustra, in Iran. Il passo fa
riferimento alla battaglia di Misiche, dove venne ferito a morte l'imperatore Gordiano III (244
d.C). Su questo passo attirò l'attenzione S. MAZZARINO, L'Impero romano, Roma-Bari 1973;
cfr. ora A. PIRAS, / Germani nell'iscrizione sassanìde Res gestae divi Saporìs, in A. Zironi ed.,
Wentilseo. I Germani sulle sponde del Mare Nostrum. Atti del Convegno Internazionale di Studi.
Padova, 13-15 ottobre 1999, 2001, 71-82; G. GNOLI, Rostovtzeff, Mazzarino e le Res Gestae Divi
Saporis, «MedAnt». 7, 2004, 181-193.
34
DE SANCTIS, SR III, 1, cit., 175 n. 78. cfr. però la contraddizione a p. 231: «Non è per
esempio di Dione ma d'un acuto osservatore contemporaneo l'avvertenza sugli inconvenienti del
mutar generale ogni anno che facevano i Romani».
35
Su questo credo possano nutrirsi pochi dubbi. Cfr. ad es. quanto detto da F. MILLAR, A
62
TOMMASO GNOLI
Riassumendo quanto finora esposto sulle fonti relative agli anni che vanno
dai grandi naufragi romani del 249 alla battaglia delle Egadi del 241, i due filoni
che fanno capo rispettivamente a Polibio e a Zonara/Cassio Dione sono fra loro
indipendenti. Vengono addirittura scelti episodi diversi di questa complicata e
lunghissima guena, cosa che non può stupire, dal momento che in questi anni le
azioni belliche si polverizzano, venendo a mancare una decisa strategia da entrambe le parti36. E tuttavia non ci si può limitare a questo. Zonara sembra seguire
una fonte ben consapevole dello svolgimento delle attività belliche da parte di
Cartagine in Africa, a seguito degli sconquassi che la spedizione di Afilio Regolo
vi aveva prodotto nei rapporti tra la città dominante e le comunità indigene, mentre Polibio non si cura affatto di questo. Egli si concentra sugli scontri in Sicilia,
ma, nel far ciò, giunge a pregiudicare la comprensione stessa degli eventi che
gli stanno a cuore. Nonostante questo marcato interesse «africano», di Zonara e
«siciliano», di Polibio, non si può dire che le fonti del primo fossero in qualche
modo filo-cartaginesi. Anzi. Zonara è l'unico che lasci intrawedere con qualche
rapido accenno il dissidio intemo che si era venuto a creare a Roma all'indomani
dei naufragi, con le conseguenti decisioni di ritirarsi «pubblicamente» dalla guerra sul mare, consentendola, però, «privatamente» a chi fosse in grado di armare
le imbarcazioni. Polibio, al contrario, pur nanando con impegno le vicende siciliane, non fa menzione di nulla di tutto ciò. Tuttavia, come di consueto, quando
egli deciderà di spostare il suo sguardo su Roma e sulle decisioni del Senato, le
sue informazioni saranno dettagliate, precise, e del massimo valore37. Il problema
di Polibio, quindi, non è certo rappresentato dalle notizie a sua disposizione o
da mancanza d'informazione, ma, evidentemente, da precise strategie nanative
presenti nelle sue fonti.
Le fonti di Polibio sono state da lungo tempo individuate38. Egli utilizza, nel
study of Cassius Dio, Oxford 1964, 77: «Narrative ruled supreme and Dio's comments are mere
adornments to it. The same is in part true of the immense number of prodigies and portents which
fill his pages. They could serve a literary and dramatic aim in forming a prelude to a great event
or, alternatively, light relief and contrasting detail ... he really believed in them ... None the less
it would be going much too far to say that divine intervention functions as an altemative type of
historical explanation in his History ... his use of prodigies and portents is harmless and trivial, not
affecting his treatment of events, and hardly deserving the scom which some have poured on it».
36
Sulla scelta di raccontare episodi diversi di questa lunghissima guerra cfr. quanto detto molto
giustamente da DE SANCTIS, SR III, I, cit., 124 n. 66: «La prima punica fu del resto ricchissima
di combattimenti; e il trovare in una delle fonti menzionato taluno di cui le altre non fanno parola
non deve far meraviglia; ne farebbe, anzi, il contrario».
37
Cfr. quanto si dirà in seguito riguardo al prestito forzoso del 243/2.
38
C. DAVIN, Beiträge zur Kritik der Quellen des ersten punischen Krieges, Grossherzogliches Gymnasium Fridericianum Schwerin 1889; DE SANCTIS, SR III, 1, cit., 218-240., 218: «Due
fonti ebbe innanzi a sé Polibio scrivendo nel primo libro delle sue storie intomo alla prima guerra
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
63
primo libro delle sue Storie, e nel racconto di questi anni in particolare, Fabio
Pittore e Filino di Agrigento. Si è discusso a lungo, e si continuerà, per cercare
di attribuire questa o quella notizia all'una o all'altra fonte, ma i dati generali
della costruzione del primo libro delle Storie di Polibio sembrano oramai certi.
In particolare, per quanto riguarda gli eventi che qui ci interessano, si può dire
che a Filino risalgono molti dei dettagli topografici relativi agli scontri combattuti
sull'Eirkte prima, a Palermo, Trapani, Lilibeo e sull'Erice poi, mentre di derivazione certamente fabiana sono tutte le notizie relative alle decisioni che vennero
intraprese a Roma nel 243/2 a.C. in vista della ricostmzione della flotta da guer39
ra .
È naturale che, nel descrivere con la massima fedeltà possibile i luoghi teatro
di questi interminabili e inconcludenti combattimenti Polibio abbia scelto la fonte che sembrava offrire maggiori garanzie in questo campo, cioè Filino. Se così
fosse, allora è possibile ritenere che le notizie relative ai corsari che agivano per
conto di Roma sulle coste africane fossero parte della nanazione di Fabio Pittore,
e che Polibio le abbia trascurate, così come ha generalmente trascurato Fabio nel
racconto degli eventi di questi anni.
2.1 rostri, le navi e il prestito del 243/2
Se quindi, come si è visto, è possibile individuare diversi filoni nelle fonti
relative agli anni conclusivi della Prima Guena Punica, c'è un punto importante sul quale tutte le fonti a nostra disposizione concordano: la flotta che venne
costruita a Roma su iniziativa pubblica nel 243/240 fu composta prevalentemente da quinquiremi, costmite prendendo a modello un'imbarcazione punica, che
punica, e due sole, l'annalista romano Fabio Pittore e Filino di Agrigento. Egli avvertì facilmente
la parzialità del primo per Roma, del secondo per Cartagine. Ma, simili i due storici in questo,
pel rimanente Filino, spettatore dei fatti che narrava ... doveva essere assai meglio informato di
Fabio, contemporaneo della seconda punica. Poiché, quando non attingeva a Filino stesso o a
documenti come i Fasti trionfali e le note dei pontefici, Fabio disponeva solo di tradizioni orali
o della narrazione di Nevio, la quale pel suo carattere poetico, non poteva, quanto ai particolari
e alla cronologia, esser molto attendibile».
39
Ibid., 223.
40
Come si vedrà oltre, ci fu una deliberazione ufficiale del Senato. La datazione di tale deliberazione è incerta, ma sembra molto verosimile ritenere che tutte le operazioni connesse alla
decisione, il prestito, la costruzione della fiotta, l'addestramento delle ciurme, il trasferimento
delle imbarcazioni nel teatro di operazioni, infine il lungo addestramento al quale Lutazio Catulo
sottopose le ciurme sul luogo, abbiano necessitato di un certo tempo, tale da rendere plausibile
una datazione all'inverno 243 della deliberazione del Senato; così anche LAZENBY, The First
Punic War, cit., 29, 150.
64
TOMMASO GNOLI
era servita a un certo Annibale, detto Rodio, che l'aveva utilizzata per forzare il
blocco romano stretto attorno a Lilibeo. Su questo punto le differenze riguardano
solamente i dettagli.
Secondo Polibio i Romani per due volte avrebbero copiato le navi dei Cartaginesi41. La prima volta lo avrebbero fatto proprio all'inizio della guena, quando si
sarebbero impossessati di una quinquiremi cartaginese che si era arenata durante
le operazioni navali miranti a sventare lo sbarco romano a Messina (1,20,15-16):
Poiché appunto in questa circostanza i Cartaginesi li attaccarono nello stretto e una
loro nave coperta, nello slancio, si spinse avanti, fino ad incagliarsi e cadere nelle mani
dei Romani, essi, allora, usando questa come modello, sulla base di essa costruirono tutta
laflotta,sicché, se ciò non fosse avvenuto, è chiaro che il loro disegno sarebbe stato impedito del tutto dall'inesperienza42.
Si è ben presto riconosciuta la falsità di questa notizia, inserita in un paragrafo di scarsissimo valore, e che per di più presenta una patente contraddizione
intema43. Le motivazioni di questa falsificazione possono ben derivare a Polibio
da Fabio Pittore, dal momento che si tratta di un aperto ed entusiastico panegirico delle capacità e dell'inventiva dei Romani, ma tuttavia dubito che Fabio
41
È possibile che tale tradizione, della duplice cattura di navi cartaginesi utilizzate come
modelli dai Romani, fosse presente anche nella versione di Cassio Dione. Zonara (8,15) infatti,
mostra una confusione tra Annibale Rodio e Annone, che viene così interpretata da D E SANCTIS,
5 M I I . l , c i t . , 166 n. 58.
42
POLYB. 1,20,15-16: sv cp of) Kaiprà TCöV Kapxnôovicov Kara TòV TiopOpòv éîiavaxOÉVTCûv
aÙTOÎç, Kaì piaç VEòC KaTacppáKTOU olà rfiv Tipoônpiav TipOTtsaouoriç, ràor' ÈiroKsiXaaav ysvéaOat
TOîç 'Pconaioiç ùìio/sipiov, TOóTTI jiapaÔEÎypan xprànsvoi TòTE Tipòc raúrriv ETIOIOöVTO riiv roß
jtavTÒc axökov vaujrriyíav, ràç si nf| TOùTOCTUVéPT)yEVÉaôai, ôfjXov à ç ôià riiv àîisipiav sic TS^Oç
av SKmXúOricav Tfjc ETtißoAric.
43
La contraddizione è rappresentata dal fatto che in 1,20,9 i Romani vengono definiti «costruttori di navi del tutto inesperti nella fabbricazione di quinquiremi, per il fatto che fino ad
allora in Italia nessuno aveva utilizzato mai tali navi», mentre subito dopo, in 1,20,14, si dice
che «prese a prestito da Tarantini e Locresi, nonché da Eleati e Napoletani, quinquiremi e triremi,
audacemente trasportarono gli uomini su di esse». J.H. THIEL, A History of Roman Sea-Power
before the Second Punic War, Amsterdam 1954, 171-178 si schiera contro la communis opinio,
cercando di difendere il racconto polibiano, che egli fa derivare con sicurezza da Fabio Pittore, cfr.
p. 171 - cosa possibile ma non certa. Non mi sembra, tuttavia, che la sua difesa sia persuasiva,
soprattutto quando sostiene che non c'è motivo di dubitare delle parole di Polibio quando afferma
(p. 174) che le navi delle città magnogreche erano esclusivamente triremi, e non quinquiremi, e che
pertanto i Romani non ne avevano né sarebbero stati in grado di procurarsene senza la fortunata
cattura della nave punica. Polibio, però, come già evidenziato, dopo aver sostenuto questa tesi
(1,20,9) dice esattamente il contrario: 1,20,14: àXkà napa Tapavrivcov Kaì AoKpœv ETI ô ' E^Earràv
Kaì NsaìioXraòv CTuyxpriaáiiEvoi 7isvTT|KOVTÓpoi)c Kaì rpuipsiç EJIì TOúTOV TtapaßoXcoc oiEKÓpiaav
TOùç âvôpaç. Non comprendo neanche la difesa di POLYB. 1,20,9 tentata da LORETO, La grande
strategia di Roma, cit., 50-51.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
65
avrebbe potuto inconere in una così palesemente assurda pretesa di originalità. È
forse dagli ultimi decenni del IV secolo, ma comunque certamente, dai primi del
III, che a Roma veniva coniata moneta di bronzo recante sul rovescio la pma di
una nave da guena44. L'istituzione, ricordata da Livio (9,30,4, cfr. anche 40,18,7;
41,1,2-3), di duoviri navales classis omandae reficiendaeque causa, sono prove
inequivoche della preesistenza di una flotta da guena a Roma, rispetto all'impresa di Messina. In simili condizioni, sembra strano che uno scrittore romano
potesse ideare una simile invenzione, mentre sembra più probabile attribuire tutto
il paragrafo 20 a Polibio stesso, che ritiene in questo modo di essere risalito alle
origini della marineria romana45.
A prescindere dal problema della patemità di questa notizia, certo è che essa
è assurda e inverosimile anche dal punto di vista tecnico. Marco Bonino ha esaurientemente mostrato come i corvi che giganteggiavano sulle prore delle imbarcazioni la cui costmzione è descritta da Polibio nei termini che si son visti, sono
del tutto incompatibili con le imbarcazioni di tipo punico che egli dice sarebbero
state il modello per gli architetti navali romani. In realtà la flotta che sfidò i Cartaginesi a Milazzo e che diede per la prima volta a Roma la supremazia sui mari
siciliani, dovette essere costituita da navi costmite secondo modelli greco-ellenistici, non punici46. Si trattava, cioè, d'imbarcazioni la cui patemità è difficile
stabilire (greco-italiote? Romano-campane?), ma certamente non cartaginesi. La
notizia, inventata da Polibio a maggior gloria di Roma, è falsa47.
44
Si tratta dello aes grave libralis del tipo testa di Giano al dritto/prora rostrata al rovescio:
H. A. GRUEBER, Coins of the Roman Republic in the British Museum, I, London 1910, 5-10
n. 1-69; il tipo verrà riprodotto anche sull'agi trientalis, durante la Prima guerra punica, Ibid.
16-26 n. 19-184. Di difficilissima datazione risulta anche un aes signatum, CRAWFORD, Roman
Republican Coinage, tav. C, n. 12/1, che rappresenta D/due polli che beccano per terra con due
stelle al centro/R. due tridenti (o rostri?) affrontati, con due delfini al centro, con datazioni che
oscillano tra il 310 a.C. (L. PEDRONI, Ricerche sulla prima monetazione dì Roma, Napoli 1993)
e il 260-42 (CRAWFORD, RRC, cit. 42).
45
Questa stessa convinzione è condivisa da LORETO, La grande strategia dì Roma, cit., 2 n. 11.
46
La discussione sui corvi è quanto mai vasta. Io ho consultato con profitto i seguenti lavori:
E. DE SAINT-DENIS, Une machine de guerre maritime: le corbeau de Duilius, «Latomus» 5, 1946,
359-367, contra J.H. THIEL, Studies on the History of Roman Sea-Power in Republican Times,
Amsterdam 1946,432-447; TmEL, A History ofRoman Sea-Power, cit., 101-128.1 lavori di Bonino
ai quali alludo nel testo sono M. BONINO, Argomenti di architettura navale antica. San Giuliano
Terme 2005 e M. BONINO, Navi fenicie e puniche. Temi di archeologia punica 6, Lugano 2009,
41-43. Il testo principale sul quale si discute è naturalmente Polyb. 1,22.
47
Su questo punto non c'è concordia tra gli studiosi. P. es. nel suo eccellente lavoro sulla
marineria cartaginese, l'amico Stefano Medas sembra accettare la notizia polibiana: S. MEDAS, La
marineria cartaginese: le navi, gli uomini, la navigazione, Sardegna archeologica. Scavi e ricerche
2, Sassari 2000, 142: «copiarono probabilmente una pentera con un solo ordine remiero, cioè il
tipo più largo e con il ponte più ampio, quello che avrebbe meglio consentito l'installazione dei
'corvi'», cfr. anche L. BASCH, Le musée imaginaire de la marine antique, Athènes 1987, 353-354.
TOMMASO GNOLI
66
Non conosciamo la fortuna che i corvi ebbero durante la lunga guena contro
Cartagine. Polibio li nomina un'altra volta soltanto (1,27,12 nell'ambito della
battaglia di Capo Ecnomo)48, e sembra certo che essi non ebbero un molo di rilievo in altre grandi battaglie navali. Tuttavia il resoconto polibiano di due distinti
episodi durante la guena chiarisce il gap tecnico esistente tra le navi puniche
e quelle romane. Si tratta della forzatura del blocco navale romano di Lilibeo
da parte dei Cartaginesi e della immediatamente successiva dinamica dell'unica
grande sconfitta navale subita da Roma durante la guena, nei pressi di Trapani.
, In entrambi gli episodi viene fatto rilevare l'impaccio nella manovra e la lentezza
generale delle navi romane rispetto ai vascelli cartaginesi49. A Trapani sarà l'incapacità di girare su se stesse per uscire dal porto nel quale si erano avventurate
le navi romane a generare il gravissimo disastro.
In particolare però è utile il resoconto dettagliato delle imprese della flotta
punica per scardinare il blocco navale romano di Lilibeo per poter meglio comprendere la dinamica del successivo scontro delle Egadi.
Secondo Polibio il blocco navale stretto da Roma attorno a Lilibeo venne
forzato dai Cartaginesi diverse volte. Dapprima fu Annibale, figlio di Amilcare, a
forzare con un'intera flotta il blocco navale (1,44), quindi, ripetutamente, un altro
Annibale, detto Rodio, e qualificato come xtç àvfip TCOV évÔoÇcov, «uno dei notabili (46,4)», riuscì a superare con un'unica nave il blocco portato da ben dieci navi
48
La battaglia è descritta con molta attenzione ai dettagli da POLYB. 1,26-28, che accenna
ai rostri solamente una volta. THIEL, A History of Roman Sea-Power, cit., 212-223 esprime molte
riserve di carattere tecnico riguardo alla descrizione polibiana, e alla strategia decisa dai consoli
romani, di portare con sé le navi da carico, che avrebbero rallentato e impacciato la manovra delle
navi da guerra. Lasciando da parte le considerazioni più tecniche, sulle quali mi è impossibile
pronunciarmi, la tattica romana diventa perfettamente comprensibile se Marco Attilio Regolo e
Lucio Manlio Vulsone Longo, i due consoli, fossero stati consapevoli della maggiore lentezza delle
navi da guerra romane, oltre a tutto appesantite dai corvi, e avessero impostato lo scontro non
sull'agilità e le qualità nautiche delle imbarcazioni, bensì sulla compattezza dello schieramento,
raccolto attorno alle navi da carico, che è esattamente quanto dichiara Polibio, seppure con qualche
oscurità. Certo, questa ricostruzione contrasta con la convinzione di Thiel che i Romani si sarebbero
dotati di imbarcazioni di qualità nautiche pari a quelle puniche. D'altro canto, la lentezza delle
imbarcazioni romane rispetto a quelle cartaginesi è esplicitamente ricordata da Polibio in questo
frangente (1,26,10: TOùç ôè jtoX^píonc TaxuvouTsiv, cfr. anche 27,5; 27,11).
49
Cfr. in particolare POLYB. 1,51,3-4, descrivendo la battaglia di Trapani: «sempre più prevalevano i Cartaginesi, poiché, considerando il combattimento nel suo insieme, godevano di molti
vantaggi. Erano, infatti, molto superiori nella velocità di navigazione per le differenze costruttive
(olà Tf|v ôiacpopàv rfiç vawniyiaç) e per la capacità degli equipaggi (trad. M. Mari, con modifiche)». Non si potrebbe avere dichiarazione più esplicita del gap tecnico esistente tra le due flotte
nel 249. Raramente si tiene conto di questi problemi nella descrizione della battaglia di Trapani:
cfr. ad es. BRISSON, Carthage ou Rome?, cit., 86: «Claudius crut que son arrogance patricienne
pouvait suppléer à ces modestes qualités ... Ce bassin où le consul croyait entrer en vainqueur
se changeait en une véritable nasse. Claudius donna alors toute la mesure de son incompétence».
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti
recenti
67
romane50. La tecnica utilizzata dai Cartaginesi era sempre la stessa, e si basava
sull'occupazione delle isole Egadi come base di partenza per forzare il blocco.
Polibio lo dice esplicitamente quando racconta l'impresa di Annibale, figlio di
Amilcare: «Egli, salpato con diecimila soldati e approdato alle cosiddette Egusse
(év xatç Ka^onirévaiç AiyoÙGoaiç), situate tra Lilibeo e Cartagine, aspettava il
momento per la navigazione» (44,2). L'isola di Egussa indica l'attuale Favignana, la più grande e la più meridionale delle tre isole che compongono l'arcipelago
delle Egadi51. Riferendosi invece all'impresa del Rodio, Polibio è meno preciso:
«Egli [Annibale Rodio], messa in assetto la propria nave, salpò: e, compiuta la
traversata fino a una delle isole situate davanti a Lilibeo (icaì ôiapaç eiç riva xrâv
jipó ron AtAußaton Ket|xévcov vfjocov)... entrò nel porto». (1,46,6). È chiaro che
«una delle isole posta davanti a Lilibeo» non può essere che Favignana. Era Favignana, pertanto, la chiave per «aprire» il blocco romano su Lilibeo.
Ciò è dovuto alle modalità con le quali si poteva attuare un blocco navale
nell'antichità. Le navi assedianti non potevano far altro che rimanere alla fonda
nei pressi dell'imboccatura del porto52. La ciurma, a tena, doveva essere rapidamente radunata in caso di necessità, cioè di forzatura del blocco. Questo tipo
d'intervento era efficace, in rapporto alla navigazione antica, nella maggior parte
dei casi: è ovvio che i tempi di reazione delle navi assedianti non dovevano essere
minimi, ed erano tali da garantire una buona copertura dei bracci di mare più vicini alla costa, da una parte e dall'altra dell'imboccatura del porto, dove erano alla
fonda le navi assedianti, e dove sarebbero dovute passare le navi che tentavano la
forzatura del blocco, vista la navigazione sotto costa, che imponeva un certo tipo
di rotta e ne escludeva, normalmente, altri. La presenza di un'isola a una distanza relativamente esigua dalla costa apriva un braccio di mare che gli assedianti
Romani non erano in grado di controllare con efficacia, tanto più che erano dotati
di navi lente. Il lungo assedio romano avrà certamente dato agio agli assedianti
di calcolare con sufficiente approssimazione la capacità di reazione e di chiusura
delle rotte che conducevano al porto di Lilibeo, sulla base della velocità delle navi
puniche, che i Romani ormai ben conoscevano. Tuttavia Polibio è molto esplicito
50
Secondo L. BASCH, Le musée imaginaire de la marine antique, Athènes 1987, 354, la nave
di Annibale Rodio sarebbe stata di sua proprietà, e diversa dalle altre navi da guerra cartaginesi.
Nulla nel testo di Polibio autorizza queste conclusioni. Al contrario, come spero di aver dimostrato
nel testo, tutte le navi cartaginesi «di seconda generazione» impegnate nella battaglia di Trapani
condividevano gli stessi accorgimenti nel remeggio con quella del Rodio.
51
A. CORRETTI, Favignana (isola), «Bibliografia topografica della colonizzazione greca in
Italia e nelle isole tirreniche» VII, 1989, 418-427. Sulle difficoltà offerte dal passo di Polibio cfr.
M.I. GULLETTA, Navi romane fra gli Specola Lilybitana e le Aegades Gemìnae? Note per una
ricostruzione topografica della battaglia delle Egadi, in S. TUSA ed., // mare delle Egadi, Storia,
itinerari e parchi archeologici subacquei, Palermo 2005, 71-82 e quanto affermato infra.
52
Cfr. POLYB. 1,46,
\
9.
TOMMASO GNOLI
68
al riguardo: le navi puniche impiegate nella forzatura del blocco erano particolarmente veloci, e la loro velocità derivava dalla «velocità del remeggio» (xò xaxoç
xfjç slpsoiaç 46,12). La velocità era tale da rendere difficilmente intercettabile
una nave che forzasse il blocco provenendo dal largo, e non da una rotta sotto
costa; che impegnasse, cioè, una rotta il più possibile perpendicolare alla linea di
costa, e meno difendibile da parte degli assedianti. Finalmente, dopo molti tentativi, i Romani riuscirono a ostmire l'imboccatura del porto e a far arenare una
delle navi che oramai impunemente si facevano ogni giomo beffe del blocco. Tale
nave era una quadriremi ed era «diversa per la qualità della costmzione navale»
(xexpiipriç ... ôtacpépoDoa xfi KmaoKenfi xfjç vaujrriyiaç 47,5). Da cosa differiva
la quadriremi catturata a Lilibeo? Naturalmente dalle altre navi puniche, ben note
ai Romani, che, nelle varie naumachie combattute e vinte fino a quel momento,
ne avevano catturate a decine. Navi che appartenevano alla generazione precedente, le uniche che fossero in quel momento note ai Romani. Questa novità non
poteva essere altro che qualcosa legato, per così dire, alla «propulsione» delle
nuove navi puniche, qualcosa che garantiva loro una maggiore velocità.
Lucien Basch ha ipotizzato quale potesse essere questa novità: un nuovo sistema di voga, che metteva cinque rematori su ogni remo e garantiva una maggiore velocità rispetto al sistema precedente, che era caratterizzato da gmppi di voga
costituiti da cinque rematori che operavano su due remi ravvicinati e sfalsati in
altezza. Tale nuova disposizione dei rematori era resa possibile da una modificazione degli apposticci53, una sorta di balconate costmite lungo le murate dell'imbarcazione, che consentivano una maggior larghezza fuori acqua, e, contemporaneamente, un restringimento della chiglia, con conseguente miglioramento delle
vie d'acqua dello scafo54. È molto probabile che, in realtà, l'innovazione ci sia
53
La dimostrazione di questa innovazione è il punto più delicato dell'ipotesi di Basch. Essa si
basa sull'analisi della prora di nave rappresentata su monete emesse a Cartagine a partire da alcuni
anni dopo la fine della guerra, e poi ripetutamente in età annibalica (cfr. p. es. G. B. JENKINS,
R. B. LEWIS, Carthaginian Gold and Electrum Coins, London 1963, pi. 22 n° 461). Per quanto
mi sia sforzato, non sono riuscito a individuare su queste monete le innovazioni immaginate da
Lucien Basch. Resta comunque valida la tesi di fondo - essere cioè le migliorie apportate alle
imbarcazioni puniche legate alla propulsione e introdotte in questa fase della guerra - anche per
le ragioni espresse nel testo, che integrano quelle squisitamente tecniche di Basch, ampiamente
riprese nella letteratura tecnica successiva.
54
Sia che l'ipotesi di BASCH, Le musée imaginaire, cit., 353-354 sia corretta o no, l'affermazione di HINARD, Histoire romaine, cit., 371, che la flotta sarebbe stata costruita almeno in parte
a Cosa, non ha alcun riscontro nelle fonti. Al contrario, l'introduzione di delicate innovazioni
strutturali rende molto più verosimile l'esistenza di cantieri specializzati, accentrati sotto la guida
di esperti architetti navali, che saranno stati necessariamente in numero esiguo, vista la novità delle
soluzioni adottate. Mi sembra che tutto deponga a favore dei navalia sul Tevere. Sulle difficoltà
legate al concepimento di novità costruttive è fondamentale L. BASCH, Construction privée et
La battaglia
delle Egadi.
A proposito
di ritrovamenti
recenti
69
stata, ma fosse diversa da quella immaginata da Basch: Bonino fa rilevare che la
soluzione con cinque rematori su ogni remo sarebbe stata la peggiore, dal punto
di vista dinamico, con una perdita di potenza di circa '/a rispetto al sistema di voga
3 + 2. È per questo che egli preferisce pensare a un sistema 2 + 2 + 1, che, sempre
tramite una modifica sostanziale degli apposticci, avrebbe consentito una potenza
di remeggio molto maggiore55.
Questa innovazione, importantissima, non è però sufficiente da sola a spiegare il successo inisorio con il quale i Cartaginesi riuscivano a eludere il blocco
navale romano, se non integrando questa informazione con l'altra alla quale si
è già accennato: grazie al punto di partenza costituito dall'isola di Favignana, i
Cartaginesi giungevano sul porto di Lilibeo inaspettatamente dal punto più distante dalla costa, seguendo una rotta quasi perpendicolare alla linea di costa.
Non seguivano, cioè, la navigazione costiera tipica del modo di navigare antico,
ma «piombavano» su Lilibeo provenendo dal largo, dopo aver atteso il vento più
adatto, con le vele spiegate, riuscendosi pertanto ad incuneare nel conidoio che
più difficilmente poteva essere controllato dalle navi romane appostate lungo la
costa. Per far questo era necessario avere un eccellente sistema di triangolazione
per calcolare la rotta di modo che essa portasse direttamente e infallibilmente
all'intemo del porto. Un enore di un grado e la rotta avrebbe portato su un altro
punto della costa, in bocca al lupo romano, che attendeva ai lati del porto. È questo ciò a cui allude Polibio in alcune frasi rese oscure dalla difficoltà di esprimere
in modo efficace questo concetto, senza riconere a tecnicismi eccessivi:
Moltissimo giovava alla sua (di Annibale Rodio) audacia il fatto che, con l'esperienza, aveva segnato accuratamente il punto di accesso al porto attraverso le secche; fatta la
traversata, infatti, e apparendo in seguito come se venisse dalla parte dell'Italia, teneva di
fronte alla prua la torre posta sul mare, così da coprire tutte le torri della città rivolte verso
la Libia; soltanto in questo modo è possibile centrare l'imboccatura del porto, nel punto
di accesso, navigando con vento favorevole56.
construction d'état dans l'antiquité, in E. RlETH ed., Concevoir et construire les navires: de la
trière au picoteaux, Ramonville Saint 1998, 35-36.
55
BONINO, Argomenti di architettura navale, cit.
56
POLYB. 1,47,1-2: (iéyiaTa ôè auvEßaXXsTO Ttpoç Tf)v roXpav aùron Tò ôià TCöV Ttpoßpaxscov
ëK rfiç épîtsipiaç aKptßwc asarinEiñoOat TòV sïajtXow ÚJtEpápac yàp Kaì (paivopsvoç EJISIT' av
òTTO Tòv Kara rffv 'Ixakiav pspaw EXaiißavE TòV ém Tfjc OaXarrnc núpyov Kara jtpràppav oiktoç
(fl0TË TOîç Ttpoç Ttyv Aißurjv TETpappsvoiç Trupyoïç tfiç Tiok&tûq ÈTcucpocjOsiv ajtaof ôt' où rpÓTiou
povwç SCTî ôuvarov s^ oùpiaç TOû Kara TòV EïOTIXOW OTOparoç EùGTOXEîV. Il significato del brano
è reso complicato dal fatto che Polibio, verosimilmente, non ha capito in tota la sua fonte. Può
anche darsi che si tratti di una corruttela successiva, frutto di una maldestra interpretazione del
brano. Insensata appare l'allusione alla rotta per l'Italia. Immagino debba intendersi come una rotta
genericamente proveniente da nord, ma si deve tenere presente che la percezione della geografia
della Sicilia presso i geografi antichi era distorta proprio dal fatto che da Lilibeo partiva la rotta
70
TOMMASO GNOLI
La quadriremi catturata a Lilibeo servì da modello quando, nel 243, il Senato
decise di costruire la flotta per affrontare ancora una volta, «pubblicamente», i
Cartaginesi per mare. Tuttavia a Roma non si costruirono quadriremi, ma duecento quinquiremi, come afferma esplicitamente ancora una volta Polibio, «la
cui costmzione condussero sul modello della nave del Rodio» (sTiotiiaavxo xfiv
vaoTiriyiav Tipòc 7tapaÔ8iy|xa xfiv xoù 'Poòiou vañv 59, 8). In che senso, quindi, i
Romani presero a modello delle loro quinquiremi la quadriremi del Rodio? Naturalmente, nell'unico senso possibile, cioè produssero quinquiremi che si avvalevano del nuovo sistema di voga, tramite l'applicazione dei nuovi apposticci alle
murate di imbarcazioni che, pertanto, potevano essere più strette nella chiglia,
e quindi più veloci e maneggevoli, non soltanto grazie al migliorato sistema di
propulsione, ma anche per un'ottimizzazione delle vie d'acqua.
Naturalmente non fu un'operazione breve né semplice. Probabilmente la strana forma della quadriremi catturata avrà richiesto un qualche studio da parte degli
architetti navali Romani, certo è che l'efficacia delle nuove soluzioni tecniche
adottate a Cartagine apparve in tutta la sua terribile evidenza poco tempo dopo la
cattura dell'imbarcazione del Rodio, durante la battaglia navale di Trapani, dove
risulta con tutta chiarezza lo straordinario gap tecnico esistente tra le due flotte57.
Il ritrovamento dei tre rostri dal quale ha preso origine questo lavoro ha dimostrato come sia certamente conetta la notizia, che troviamo sia in Polibio sia in
Zonara, che la nave cartaginese catturata a Lilibeo sia servita da modello alle imbarcazioni romane. Dei tre rostri, il primo ad essere stato scoperto, è frutto di un
sequestro dei Carabinieri, che lo hanno prelevato nello studio di un professionista
di Trapani. Si tratta di Egadi 1, del rostro che successivamente, a seguito di un
lungo lavoro di pulitura dalle incrostazioni sottomarine, ha rivelato l'iscrizione
latina riportata all'inizio e che ho pubblicato altrove58. Gli altri due rostri, invece,
sono stati ritrovati successivamente in situ, sul luogo dove avvenne il grande e
decisivo scontro navale. Il ritrovamento di questi ultimi è frutto della felice intuizione dell'allora Soprintendente del Mare di Palermo, Sebastiano Tusa, che è
riuscito a individuare il braccio di mare dove avvenne lo scontro, in una posizione
molto diversa da quella tradizionalmente ritenuta come più probabile59. Degli
che portava in Africa, cioè a sud. Polibio si mostra ben consapevole del corretto orientamento
di Lilibeo, che guarda a occidente (1,42,1-6). Mi sembra però che il dato certo da mantenere del
brano sia il fatto che Annibale aveva degli ottimi punti di riferimento elevati a terra, qui definiti
sommariamente pyrgoi, torri, che gli consentivano di calcolare con esattezza la rotta di avvicinamento alla costà provenendo dal largo. L'utilità di punti di riferimento per la triangolazione della
rotta sarebbe stato molto inferiore nel caso di una navigazione sotto costa.
57
Cfr. il testo cit.ato supra n.49.
58
Cfr. supra n. 1.
59
Cfr. infra, il § 3, dedicato alla dinamica dello scontro.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
71
altri due rostri, uno, Egadi 2, è molto danneggiato e non ha conservato alcuna
delle parti che risultano iscritte negli altri due rostri. Egadi 3, invece, ha rivelato
l'esistenza di una breve iscrizione punica, contenente formule di maledizione
contro i nemici. Egadi 1 e Egadi 3 sono talmente simili per forma, qualità di
costmzione, proporzioni etc. che tutti coloro che li hanno visti hanno ritenuto
possibile che provenissero dalla medesima officina. Se non si fossero trovate le
iscrizioni nessuno avrebbe potuto pensare di esser di fronte a rostri appartenenti
alle due flotte avversarie!
Non ci può essere prova più evidente dell'altissimo grado di standardizzazione raggiunto dai due contendenti - in questo caso da Roma - sempre pronti ad
appropriarsi di quanto di buono era stato escogitato dagli avversari. La straordinaria somiglianza tra i due rostri implica necessariamente una pari somiglianza
delle imbarcazioni alle quali erano connessi.
Dunque, possiamo essere certi che effettivamente, per annullare il vantaggio
conseguito dai Cartaginesi grazie al nuovo metodo di voga, a Roma si decise,
dopo oltre cinque anni di pausa nella lotta sul mare «pubblicamente», di costruire
duecento quinquiremi secondo i nuovi dettami tecnici. La nuova disposizione
dei rematori richiedeva, con ogni probabilità, una lunga fase di esercitazione per
trovare una sincronia nella voga che doveva risultare ignota non solo ai rematori,
ma agli stessi navarchi romani. La notizia di Polibio delle esercitazioni alla voga
condotte a tena prima della partenza della flotta, e poi ancora, minuziosamente,
alle Egadi, in attesa dello scontro, sono tutt'altro che inverosimili, con buona
pace di Gaetano De Sanctis 60 .
Ancora una volta, Polibio è l'unico a darci informazioni importanti al riguardo. La citazione è molto lunga, ma tutto quanto viene detto in questo luogo è
importante ai nostri fini:
Allo stesso modo i Romani, combattendo disperatamente, benché avessero completamente rinunciato, ormai da quasi cinque anni, alle operazioni sul mare a causa dei rovesci
subiti e per il fatto che si erano convinti di decidere la guerra con le sole forze di terra,
ora, vedendo che l'impresa non riusciva secondo i loro calcoli, e soprattutto per l'audacia
del comandante cartaginese, decisero per la terza volta di riporre le loro speranze nelle
forze navali, ritenendo che solo così, grazie a questa decisione, se avessero posto mano
all'impresa nel modo opportuno, avrebbero potuto dare alla guerra una conclusione positiva. E questo, alla fine, fecero. La prima volta, infatti, si erano ritirati dal mare cedendo ai
disastri dovuti alla fortuna, la seconda perché sconfìtti nella battaglia navale di Drepana,
e ora facevano questo terzo tentativo, in virtù del quale, essendo riusciti vincitori e avendo tagliato fuori le truppe cartaginesi all'Erice dal rifornimento per mare, posero fine a
tutta la guerra. L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non
c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti: tuttavia, grazie alla generosità
Critiche in DE SANCTIS, SR III. 1, cit., 161.
72
TOMMASO GNOLI
verso lo stato e alla nobiltà d'animo dei primi cittadini, si trovò ancora quanto serviva per
la sua realizzazione. A seconda della prosperità dei loro patrimoni, infatti, uno per uno,
due a due o tre a tre si impegnavano a fomire una quinquiremi equipaggiata, a condizione
che avrebbero recuperato la spesa, una volta che le operazioni fosseroriuscitesecondo i
calcoli. In tal modo, essendo state rapidamente approntate duecento navi a cinque ordini
di remi, la cui costruzione condussero sul modello della nave del Rodio, in seguito, eletto
comandante Gaio Lutazio, lo fecero partire all'inizio dell'estate61.
Della durata dell'assenza dal mare di una flotta ufficiale romana si è già detto:
è verosimile che la decisione del Senato alla quale allude Polibio fosse stata presa
sul finire del 243, il che porterebbe comunque a un enore di un anno da parte di
Polibio, che ne calcola solo «quasi cinque».62 L'enfasi posta da Polibio sulla decisione del Senato è molto forte: essa è introdotta da un breve riassunto delle varie
fasi della guena, e Polibio ricone per ben due volte al raro termine \|/Dxo|j,ax8(û/
\(/DXO|j,axía, «combattimento disperato, all'ultimo respiro»63.
Segue ora il punto per noi centrale, nel quale Polibio utilizza termini piuttosto generici, che hanno prestato il fianco a interpretazioni contrastanti e, probabilmente, a un enore d'interpretazione di una frase, che solo l'iscrizione incisa
su Egadi 1 consente di coneggere. Dal momento che nelle casse dello stato (év
61
P O L Y B . 1 , 5 9 , 1 - 8 : ô t à r à ç j t o X u x p o v i o u ç sicKpopàç K a ì ô a j t a v a ç . opoicoç ô è ' P c o p a î o i
\|A)Xopaxot)VTËÇ, KaijtEp ETTI GXEôOV fjôr| TIEVTE TCOV K a r a QáXaxxav TtpaypáTcov ô ^ o c x s p à j ç
àepsaTTiKOTEÇ 5 i á TS r à ç itspuiSTSiaç KUî ô i à TO j t s u s i a O a i ô t ' aÛTC&v TQîV TCEÇIKCDV ôuvapscov Kpivsìv
TòV Jtó^spov, TòTE (juvopcûVTSÇ où TtpoxcopoCv aÙTOÎç Toùpyov K U T ù T O ù ç ÊKXoyiapoùç Kai ¡xakiaxa
ô i à Tf|v xóX\iav xov TCöV Kapxîlôovicov fiyspovoç, EKpivav T ò r p í r o v à v T i T t o n i c a a o a i T ô V ëV r a i ç
v a u n K a î ç ô n v a | i E a i v èhii5(ùv, ujro>.a|j,ßavovTsc ô i à Tfjç èiiivoiaç Taùrriç, s i Kaipicoç w\iaivxo Tfjç
sjnßoXijc, |iovcoç â v OùTCOç î i é p a ç ÈTiiOËÎvai TCO TioXé\uiy crupcpépov. ô Kaì Té^-Oç 67:oÍT|oav. T ò p s v
y à p Ttpc&Tov é^Excópriaav Tfjç QákáxxT\q sKjavTsç TOîç EK rfiç TÙxnç cn)|j,7iT(üpaoiv, T ò ô è ôsUTEpov
ÈXaTTraOsvTsç rfj KEçî xà A p é j i a v a v a u p a x i o f TòTE ô è r p i n i v ETTOIOWTO r a ú c r i v Xì]V E3tißoA,fiv, ô i '
r^ç vucfiaavTËÇ Kaì r à jiEpì T ò V " E p w c a arpaTÓTTEOa TC5V Kapxnôovicov àTioKXsiaavTEç TTJç K a r a
Bá^aTTav xopriyiaç xëhoq ËTréôriKav TOîç O^-OIç. f|v ô è Tfjc EjnßoArjc T ò tikelov v|n)xopaxía. xopriyía
pÈV y à p OÙX ÙTTfjpXE TtpÒC TTIV 3tpOÔË0lV ËV TOÎÇ KOIVOÎÇ, OÙ pflV àXÌA
Ôlà Tf)V T(BV JipOËOTMTCOV
à v ô p ô v sic r à Koivà (piA,on|úav Kaì yswaiÓTriTa TtpocsupsOri Ttpòc Tf)v cruvréX^iav. K a r a y à p r à ç
T ò V ßicov ËÙKaipiaç K a 9 ' ë v a Kaì ô ù o Kaì rpEtç úcpíaTavTO Jiapé^siv jcsvifipTi KatripTicpEvriv, sep'
(S Tf|v oajtávrjv K o j u o n v r a i , K a r a X,óyov TWV j i p a y n a r c o v TtpoxcoptiaávTcov. x& ô è TOIOùTCO xpóna
raxécoç ETOipacOsvTcov ôiaKoaicov TIXOííOV 3t£VTr|piKrôv, rov ETüoníaavTO Tf|v van7CT|yíav Tipòc Tiapáô s i y p a riiv T O û ' P o o í o u v a ñ v , p s r a xavxa a r p a n i y ò v KaTacTf|oavTsç F a ï o v A u r á n o v E^éjiEpvi/av
à p x o p é v r i ç rfiç Ospsiaç.
62
M i s e m b r a n o a c c e t t a b i l i le c o n s i d e r a z i o n i di T H I E L , A History of the Roman
Sea-Power,
cit., 3 0 2 n . 7 7 7 , c h e d a t a al 2 4 3 la d e l i b e r a z i o n e d e l S e n a t o di ricostruire la flotta, così a n c h e
L A Z E N B Y , The First Punic War, cit., 150. Q u e s t a p r e s e il m a r e n e l l a b e l l a s t a g i o n e d e l 2 4 2 e a t t e s e
a l u n g o i C a r t a g i n e s i al l a r g o di T r a p a n i .
63
Cfr. q u a n t o v i e n e d e t t o d a F.W. WALBANK, Polybius,
Philinus,
and the First Punic
War,
« T h e C l a s s i c a l Q u a r t e r l y » . 3 9 , 1 9 4 5 , 6-9 circa la t r a t t a z i o n e « t r a g i c a » d e g l i e v e n t i n e l p r i m o libro
delle Storie di P o l i b i o .
'
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti
recenti
73
xoîç Kotvotç) non c'erano le risorse necessarie ai propositi, si decise di procedere
ad un prestito tra i cittadini più eminenti, fidando sulla loro generosità verso lo
stato (olà xfiv eiç xà KOIVò qnA,oxi|j,iav). Costoro, consorziandosi, se necessario,
a gmppi di due o tre, in base ai loro patrimoni (Kaxà xàç xôv ßicov eÙKaipiaç),
armarono le quinquiremi, a patto di recuperare la spesa. A questo punto l'editore
di Polibio, Büttner-Wobst, mi sembra che interpreti il testo ponendo una virgola
dopo KO[j,toñvxai, considerando quindi il successivo Kaxà ^óyov come riferito a
ciò che segue, cioè alle vicende che si sarebbero concluse. Si tratterebbe, quindi,
di una variante rispetto al di poco precedente Kaxà xoùç SK^oyicpoúc. Non credo
che, alla luce dell'iscrizione Egadi 1, questa interpretazione sia conetta.
Dalla nostra iscrizione, infatti, risulta che il Senato, per reperire le risorse
necessarie all'allestimento della flotta tramite il prestito riferito da Polibio, procedette alla nomina di una commissione di sei membri, che presero l'incarico
con il nome di sex viri. Ne conosciamo due, C. Sestio, figlio di Publio, e Quinto
Salonio, figlio di Quinto. Costoro non possono essere due degli «uomini eminenti» che, consorziandosi in piccoli gmppi, provvidero ad allestire le navi, dei quali
parla Polibio. Il compito svolto dai due seviri, infatti, è riferito esplicitamente
al rostro, enbolum probavere64. Non solo, ma la posizione stessa dell'iscrizione, molto piccola - le lettere sono alte appena un centimetro - e posta in avanti
rispetto allo scafo, sotto il pelo dell'acqua, non poteva avere valore commemorativo sulla totalità dell'imbarcazione, ma solamente il valore di un punzone,
volto a garantire la bontà della lega di bronzo utilizzata per la fusione del pezzo,
non diversamente da quanto accade per un punzone di gioielleria. L'esistenza di
tale punzone presuppone l'esistenza di un registro sul quale venivano annotate
le spese, le quantità di materiale, i «donatori» di tali materiali, tanto più che si
era promessa la restituzione di quanto prestato. Compito del collegio dei seviri
sarà stato appunto quello di registrare tutto ciò e di garantire con la loro «firma»
il conetto uso delle risorse. Si ricordi, in proposito, che il bronzo veniva normalmente monetato, e che pertanto la garanzia apposta su questo materiale era una
questione particolarmente delicata.
Il Senato procedette quindi alla creazione di una commissione di sei uomini
per gestire il prestito, che Thiel si avventura a calcolare in tre milioni di denarii65.
Circa due anni dopo avrebbe proceduto a creare un'altra commissione, questa
volta composta da dieci uomini, sulla quale siamo un po' meglio informati66.
64
Benché sul rostro rimanga solamente enfbolum] \ probavfere, ho mostrato su «Epigraphica»
come mai questa integrazione debba considerasi certa.
65
THIEL, A History of Roman Sea-Power, cit., 304 n. 783.
66
Si tratta, ovviamente, dei dieci legati inviati dal Senato dopo che i comizi avevano respinto
la pace conclusa da Lutazio Catulo, in seguito alla vittoria delle Egadi, nel 241 (POLYB. 1,63,6).
74
TOMMASO GNOLI
Purtroppo s'ignora il rango di questi sedici senatori. A rigore, sarebbe anche possibile ipotizzare che i seviri del rostro Egadi 1 non fossero senatori, ma mi sembra
ipotesi poco probabile. I gentilizi, Sestio e Salonio, dei due ignoti personaggi,
sono antichi, e attestati a Roma già da molto tempo, ma non sono certo portati
da personaggi di spicco nelle vicende politiche dell'epoca, l'ultimo Sestio di una
qualche importanza essendo stato L. Sestio Laterano, cos. 366.
Polibio sembra ritenere che il prestito fosse volontario, visto il richiamo alla
«generosità verso lo stato» già ricordato. Fu certamente questa forte espressione
polibiana a sollecitare una bella pagina di Theodor Mommsen, con il quale polemizzò, tra gli altri, Gaetano De Sanctis:
Diese Tatsache, daß eine Anzahl Bürger im dreiundzwanzigsten Jahre eines schweren
Krieges zweihundert Linienschiffe mit einer Bemannung von 60000 Matrosen freiwillig
dem Staate darboten, steht vielleicht ohne Beispiel da in den Annalen der Geschichte67.
Sulla natura del prestito, quindi, l'iscrizione non ci illumina, ma ci conferma
in modo evidente e palese quanto riportato da Polibio: cioè che si trattava non di
una donazione ma di un prestito, e che quanto offerto alla patria sul finire del 243
sarebbe stato restituito alla conclusione del conflitto. A questo punto l'espressione polibiana, che l'editore di Polibio, Büttner-Wobst, aveva inteso èty cb xqv
ôaTtdvqv KO|rtoñvxai, Kaxà À,óyov xròv Tcpayiiàxcov îipoxœpqaàvxcov, diventerebbe molto più perspicua, informativa e meno ridondante letta è(|)' (p xqv ôaiiavqv
KO|iiot)vxat Kaxà A,óyov, xcov Tipayiráxcov npoxopqoávxaiv, con il Kaxà Xóyov riferito a quanto precede, e non al genitivo assoluto conclusivo. Cosa significherebbe
infatti in questo contesto «compiute le imprese secondo i piani»? Polibio non ha
parlato precedentemente di piani, se non, in modo molto generico, dell'intenzione da parte di Roma di riconquistare l'egemonia marittima per pone fine alla
guena. In questo caso, allora, l'espressione sarebbe stata analoga a un «secondo
gli auspici» o simili, il che è una forzatura del significato. Riferito invece a quanto precede l'espressione indica una restituzione delle sostanze «in proporzione»
a quanto prestato, che è frase molto meno banale. Una simile lettura del passo
67
TH. MOMMSEN, Römische Geschichte I, Berlin 18562, 507. Curiosamente i modemi hanno
spesso implicitamente messo in dubbio la notizia di Polibio, senza alcuna spiegazione, oltre De
Sanctis, parlano di prestito forzoso Y. LE BOHEC, Histoire militaire des guerres puniques, Monaco 1996, 100. H.H. SCULLARD, Carthage and Rome, in CAH2 VII. 2, Cambridge 1989, 564
si mostra dubbioso circa la generosità dei ricchi Romani; G. DRIZZI, Storia di Roma, Bologna
1997, 158 e F. HINARD, Histoire romaine, 1. Des origines à Auguste, Paris 2000, 371 non si
esprimono al riguardo. Correttamente LAZENBY, The First Punic War, cit., 150 difende il testo
di Polibio e afferma che non esiste prova alcuna che il debito venisse ripagato con gli interessi
(ma cfr. quanto si dice infra).
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
75
polibiano, infine, consentirebbe di rispondere alla domanda posta da molti dei
commentatori modemi: il prestito sarebbe stato restituito con gli interessi? La
risposta sarebbe certamente positiva: il Kaxà Xóyov infatti indicherebbe non la
restituzione di una certa somma fissa, pari a quanto versato, ma una somma da
versare «in proporzione». Tale proporzione non poteva essere altro che il frutto
dei due fattori: il capitale anticipato e il tempo per il quale era stato prestato, che
non poteva certo essere determinato in anticipo68.
Il prestito del 243, pertanto, fu un prestito che venne richiesto dal Senato
di Roma ai più ricchi tra i cittadini. Non possiamo essere certi su questo punto,
ma è possibile che tale prestito fosse su base volontaria, dal momento che la
restituzione prevedeva il pagamento da parte dello stato anche degli interessi.
Non è possibile conoscere il tasso di questi interessi, ma sta di fatto che non ci
furono particolari difficoltà ad armare duecento quinquiremi costmite secondo
i più modemi ed evoluti criteri di architettura navale. Per la registrazione delle
somme prestate, per il calcolo degli interessi sulla base dei tassi predisposti, per la
garanzia del conetto utilizzo delle risorse e per il collaudo delle armi che vennero
costmite si procedette alla creazione di un'apposita commissione di sei uomini.
3. La battaglia
Dopo una lunga fase in cui la guena sembrava oramai risolversi rapidamente
a favore di Roma, due momenti estremamente negativi per l'Urbe misero nuovamente in equilibrio i destini del conflitto. La lunga serie di vittorie romane che
aveva caratterizzato lo svolgimento della guena sul suolo e sulle acque di Sicilia
sembrava oramai quasi del tutto vanificata dai disastri navali del 249: la sconfitta
subita dal console P Claudio Pulcro al largo di Trapani, e il naufragio della flotta dell'altro console, L. Giunio Pullo, nei pressi di Camarina. A partire dal 249
Roma non ha più la supremazia navale, mentre Cartagine non sfrutta il momento
favorevole, perché duramente impegnata in patria contro le popolazioni indigene.
Le vicende avvenute al largo di Lilibeo e di Trapani avevano impietosamente
mostrato il vantaggio tecnico che gli architetti navali Cartaginesi erano riusciti
a conseguire sui loro colleghi Romani. Come conseguenza di questo gap, lo si è
visto, a Roma viene presa la decisione di ritirarsi dal mare, affidandosi alle teme-
68
THIEL, A History of the Roman Sea-Power, cit., 303 ipotizza la restituzione degli interessi,
cfr. anche N. BAGNALE, The Punic Wars, Rome, Carthage and the Struggle for the Mediterranean,
Pimlicol999, 95. Evita di prendere posizione sul punto H. H. SCULLARD, Carthage and Rome, in
CAH1 VII. 2, Cambridge 1989, 564.
76
TOMMASO GNOLI
rarie imprese di corsari che agivano per proprio conto, mentre nel frattempo ci si
concentra nella guena di tena in Sicilia.
Qui, però, le cose non andavano bene per Roma: Amilcare aveva occupato
una posizione molto forte tra Palermo e Trapani, donde, grazie al completo dominio dei mari ottenuto nel 249, poteva minacciare impunemente le coste italiane,
ed essere rifomito dalla madrepatria in tutta sicurezza. Fu molto probabilmente
per dare un po' di respiro alle guamigioni puniche chiuse in Lilibeo e a Trapani
oramai da diversi anni che egli decise, nel 247/6, di spostare la sua base di operazioni in una località molto più vicina a quest'ultimo importante porto. Con
un'operazione a sorpresa della quale s'ignora tutto egli s'impossessò di quella
che Polibio chiama la nóXiq 'EpuKÍvcov, «la città degli Ericini», l'attuale Valderice. L'identificazione di questa località è certa. Riferendo infatti delle iniziative
prese dal console Lucio Giunio Pullo dopo il naufragio del 249, Polibio spiega:
L'Erice è un monte presso il mare di Sicilia, sulla costa sita dalla parte dell'Italia, tra
Drepana e Panormo, più vicino e anzi confinante con Drepana, in altezza di gran lunga
superiore agli altri monti della Sicilia, eccetto l'Etna. Proprio sulla sua sommità, che è
piana, si trova il santuario di Afrodite Ericina, che è, a giudizio di tutti, il più insigne dei
santuari della Sicilia per la ricchezza e per la magnificenza sotto tutti gli altri punti di
vista. Avendo, dunque, stanziato una guamigione sulla sommità del monte, e allo stesso
modo una anche sull'accesso dalla parte di Drepana, sorvegliava con grande attenzione
entrambi i luoghi, e in particolare quello della salita, convinto che così avrebbe tenuto
sotto controllo senza problemi sia la città, sia la montagna nel suo insieme69.
L'accesso dalla parte di Trapani è la zona dell'attuale Ospedale civile di Trapani/Erice, nel quartiere di Casa Santa. È il lato della montagna dal quale si inerpicano la Strada Statale 187 e la funivia: il lato di sud-ovest, quello che guarda
verso Trapani. Giunio Pullo divise la sua guamigione tra lì e la sommità del
monte, tra la zona dell'Ospedale civile e il centro storico di Erice.
Descrivendo la nuova posizione che Amilcare andò ad occupare dopo il 245
Polibio dice:
Amilcare, infatti, mentre i Romani sorvegliavano l'Erice sia sulla sommità sia alla
base, come abbiamo detto, occupò la città degli Ericini, che si trovava tra la sommità e gli
uomini accampati alla base del monte. Ne conseguiva che quei Romani che occupavano
69
Ixakiav
P O L Y B . 1,55,7-9: ó ô ' "EpuÇ ë O T I \ièv o p o ç Ttapà QáXaxxav
KEipévri iiXeupà
xà Apénava,
rfiç ZuceXiaq
èv xf\ napà
xf\v
pETa^ù Apsiiávaiv Kaì H a v o p p o u , p à X l o v ô ' ö p o p o v Kai cruvajrtov n p o ç
psyÉOEt ô è Ttapà jioW) ôtacpépov TCOV K a r a Tf|V S I K E W O V o p œ v KXr\v xr\q AÏTvrjç.
TOúTOU ô ' ëTI' aÙTfjç pÈv Tfjç Kopuipfjç, ofiariç ËJiiTtÉôou, KsÎTai T ò rfiç AcppoôÎTriç rfiç 'EpuKÎvriç
í s p ó v , öjisp opoA,oyoupév(Dç síiupavéaTaTÓv ë O T I X& TE TZXOòXCù Kaì rfl ^.ouifl TcpocTaaia TCöV
K a r a riiv XiKsXiav ispcöv f) ô è nóXiq i m ' a ù r i ì v riyv Kopucpfiv TÉraKTai, Ttávu p a K p à v Ë x o u a a Kai
jipoaávTr) roxvTaxóOEV rifv a v a ß a a i v .
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
77
la sommità sopportassero rischiosamente e affrontassero il pericolo di venire assediati, e
che invece, incredibilmente, i Cartaginesi resistessero, benché i nemici sopraggiungessero da tutte le parti e i rifornimenti non fossero facilmente trasportatifinoa loro, dato che
erano collegati al mare in un solo punto e attraverso un unico accesso™.
La topografia del luogo non ammette incertezze. I Cartaginesi bloccarono i
Romani inserendosi in una località intermedia tra il quartiere di Casa Santa e la
sommità del monte di Erice. Questa località deve essere individuata in base ai
seguenti requisiti:
1. Una dimensione accettabile, giacché l'esercito di Amilcare assommava a
circa 10.000 uomini
2. Rifornimento idrico
3. Una posizione atta a bloccare quanto meno uno degli accessi alla sommità
del monte, in modo da far sentire «assediati» i difensori del santuario
4. Essere ad un'altezza intermedia tra la base del monte e la sua sommità
5. Avere un accesso al mare difendibile soprattutto dal lato di Trapani, dove
era accampato il grosso dell'esercito Romano.
Questa località non può essere, appunto, che nei pressi dell'attuale comune di
Valderice. Da lì era possibile accedere al mare nei pressi di Tonnara di Bonagia,
un luogo che presenta una discreta possibilità di approdo. Numerose indagini
archeologiche tese a individuare i resti delle fortificazioni puniche e romane sulle
pendici del Monte Erice hanno oramai individuato con sufficiente certezza nel
sito di case Cosenza - San Matteo, immediatamente sopra l'approdo della Tonnara vecchia di Bonagia71, il campo principale cartaginese, mentre il promontorio
dell'Egitallo, nominato da Polibio e da Diodoro, principale base di operazione
dei Romani, è da riconoscersi sull'altro versante del monte, verso Trapani, esattamente nel sito della Fortezza del Calderaro e del Pizzo Argenteria72.
L'accesso alla località di Tonnara di Bonagia è reso facilmente difendibile
70
POLYB. 1,58,2-3: ó yàp A p ö x a c , TCöV Tcopalcöv TòV TîpuKa TtipoúvTcov ETIí TE Tfjc Kopixpfjç
Kaì Ttapà riiv piÇav, KaSáTCEp sìnopEV, KaTsXaßsTO riiv TIóX-IV TCöV 'EpuKÍvcov, TîTIç fjv pEra^ù rfiç
TS Kopucpfiç Kai TCOV îtpoç Tfï px(,x\ oTpaTOTisôsuoavTfflv. ÈÇ on crwsßaivE iiapaßoX.coc pÈv wiopsvEiv
Kaì ÔiaKlVÔUVEUElV TloA-lOpKOUpEVOUC TOÙÇ TTIV KOpUÇTlV KOTÈXOVTaÇ TCOV 'PcûpaÎWV, ÙTlÎaTCOÇ ÔÈ TOÙÇ
Kapxnôovionç úVTéXEIV, TCOV TE TtoXspicov navTaxoÖEV TipoaKEipÉvcov Kai TCöV xopriyicöv où paôiaiç
aÙTOÎç TiapaKopiÇopÉvcov, à ç àv rfiç OaMrTriç Ka6' ëva TóHOV Kaì píav npocroôov àvTSxopévoic.
71
L'identificazione dell'approdo di Amilcare con la Tonnara di Bonagia è già data per certa da
D E SANCTIS, SR III, I, cit., 179, per il resto un p o ' sommario su questa precisa fase della guerra.
72
Per le indagini archeologiche sul Monte Erice cfr. l'ampia sintesi in A. FILIPPI, Le fortificazioni militari sul monte Erice durante la prima guerra punica, in S. TUSA ed., // mare delle
Egadi, cit., 83-94, con discussione di tutta la bibliografia precedente. L'accampamento cartaginese
a case Cosenza - San Matteo è da considerarsi certo: da lì proviene una moneta cartaginese del
tipo d. testa di Ninfa, r. cavallino, rinvenuta nel 1927 e attualmente al Museo Pepoli di Trapani
(inv. n. 5558).
TOMMASO GNOLI
78
dal lato di Trapani dalla mole scoscesa della montagna di Erice, che in località
Crocefissello si protende quasi a picco sul mare. Una piccola guamigione Cartaginese ben disposta poteva agevolmente bloccare eventuali tentativi di attacco
provenienti dal grosso dell'esercito romano accampato presso Casa Santa. Quanto precede non è una ricerca emdita fine a se stessa. Walbank, il massimo commentatore di Polibio, pensava che i Cartaginesi avessero bloccato Erice sul lato
di Trapani, nei pressi dell'attuale quartiere di San Giuliano73.
Se così fosse, il luogo di accampamento dei Cartaginesi - così come il già
citato unico punto di approdo che consenti loro di tenere la posizione per due anni
- sarebbe da ricercare a ovest del monte Erice, mentre secondo la ricostmzione
sopra esposta, il punto di approdo dei Cartaginesi dovrebbe essere cercato a est
della montagna, nei pressi di Tonnara di Bonagia.
La conetta individuazione dell'obiettivo della flotta cartaginese comandata
da Annone (il lato nord-est del monte Erice, e non quello meridionale, verso Trapani) che doveva portare i sospirati rinforzi all'esercito di Amilcare, è importante
per tentare di ricostruire la dinamica dello scontro navale che decise la guena. Si
conosce, infatti, il punto di partenza della flotta cartaginese: l'isola di Marettimo
(l'isola «Sacra» di Polibio)74, ma si ignorava con sicurezza il punto di approdo
previsto della flotta di Annone. Come scrisse Sebastiano Tusa:
L'evanescenza del possibile teatro delle operazioni era ancora più difficile da identificare poiché gli studi e le fonti da cui essi scaturivano erano vaghi circa la localizzazione
della meta dei cartaginesi, indicata genericamente in Drepanum, mentre era certo che il
sito fortificato dai Punici fosse il monte Erice. Non era chiaro se l'approdo prescelto fosse
nell'attuale area portuale di Trapani o in un imprecisato punto della costa settentrionale
che va dal capoluogo trapanese verso Nord75.
Se si deve intendere, come mi sembra certo, che la meta di Annone fosse
l'area della Tonnara di Bonagia, subito a nord-ovest del monte Erice, allora risulterà evidente che la rotta più verosimile seguita dalla flotta cartaginese sarà passata a nord di Levanzo e non tra quest'isola e la prospiciente Favignana, dove la
tradizione locale era solita collocare lo scontro navale. Secondo i pescatori di Favignana, infatti, la splendida baia collocata all'estremità nord-orientale dell'isola
di Favignana, Cala Rossa, dovrebbe il suo nome al sangue dei Cartaginesi che
73
WALBANK, A Historical Commentary on Polybius; vol. 1: Commentary on Books I-VI, cit.
A. CORRETTI, Marettimo (isola), «Bibliografia topografica della colonizzazione greca in
Italia e nelle isole tirrenich». IX, 1991, 357-359.
75
S. TUSA, Sintesi storico-archeologica e potenzialità della ricerca, in S. TUSA ed., // mare
delle Egadi, cit., 64.
74
La battaglia
delle Egadi.
A proposito
di ritrovamenti
recenti
79
l'avrebbero colorata in quel fatidico 10 marzo 24176. Una simile evenienza potrebbe essersi verificata solamente ipotizzando una rotta Marettimo - Trapani che
passasse in mezzo alle isole di Favignana e Levanzo. Tale rotta sarebbe di gran
lunga la più breve, se l'obiettivo dei Cartaginesi fosse stato il porto di Trapani, ma
avrebbe esposto la flotta punica a gravissimi pericoli, dal momento che i Romani
controllavano l'isola di Favignana.
Oggi sappiamo che la flotta di Lutazio Catulo ha atteso Annone al riparo
dell'isola di Levanzo, protetta dall'alta e ripida scogliera che si protende verso
Capo Grosso, l'estremità settentrionale dell'isola, e che lo scontro avvenne a circa 8 km (4,3 miglia marine) a N-NW di Capo Grosso. I rostri e l'elmo testimoniano il luogo dello scontro, mentre una grande quantità di ancore in piombo sono
state rinvenute negli anni passati dai pescatori lungo la costa orientale dell'isola
di Levanzo, lungo l'impraticabile scogliera orientale di Capo Grosso77.
Tale ricostmzione, oltre che comprovata dai ritrovamenti, è perfettamente
congmente con il racconto di Polibio:
[Annone], salpato e sbarcato all'isola chiamata Sacra, faceva di tutto per portarsi
all'Elice senza che i nemici se ne accorgessero, per sbarcare i rifomimenti, alleggerire le
navi e cosi, una volta presi con sé come soldati di marina quei mercenari che risultavano
idonei e con loro Barca, scontrarsi con i nemici78.
A cosa può riferirsi l'espressione XaGròv ôtaKO^iaOfjvat «venir trasportato di
nascosto», se non a una rotta la più lontana possibile da Favignana? Una flotta
cartaginese come avrebbe potuto passare «di nascosto» tra Favignana e Levanzo?
Prosegue Polibio:
Lutazio, che seppe dell'arrivo di Annone e dei suoi e intuì il loro progetto, prese
76
La data è riferita da EUTROPIO 2,27,2 e ha un che di convenzionale. Vi sono in realtà non
pochi problemi connessi sia alla data in sé, sia alla rispondenza tra i calendari. Vi è comunque
generale accordo tra gli studiosi a mantenere una data molto alta rispetto alla data di inizio della
navigazione mercantile nel Mediterraneo, che - com'è noto - veniva interrotta nei mesi invernali.
È pertanto possibile continuare a utilizzare l'unica data che la tradizione antica ha riportato per
l'evento, cioè appunto il 10 marzo.
77
IBID., 63: «Chi va alle Egadi e si ferma a parlare con pescatori e con subacquei locali,
dopo aver vinto un'iniziale diffidenza, ascolterà una storia che è ormai leggenda. Sentirà parlare
del rinvenimento di centinaia di ancore in piombo nei pressi dell'orlata continentale di Levanzo,
nel tratto di mare compreso tra punta Altarella e Capo Grosso, purtroppo allora decontestualizzate
e fuse per ricavarne piombo da reti».
78
POLYB. 1,60,3: ôç àvaxOsìc KUì Karàpaç ÈTtì TIìV 'Ispàv Katarupsvriv vfjaov EöTIEUOE TOùç
Tio^Epionç XaOròv ôiaKopiaOfivai Tipòc TòV "Epwca Kaì r à ç pÈv àyopàç àTioOÉaOai Kaì Kotxpioai
ràç vaûç, TipooXaßcöv ô' STiißarac èK TCöV piaOocpopcov TOùç ëHITTIôEîOUç Kai BápKav PET' aÙTwv,
OùTCOç auppicrysiv TOîç ÙTisvavriotc.
80
TOMMASO GNOLI '
con sé d a l l ' e s e r c i t o di terra gli u o m i n i migliori e n a v i g ò v e r s o l'isola di E g u s s a , situata
davanti a Lilibeo 7 9 .
L'espressione di Polibio, l'unica fonte che nomini un qualche particolare geografico riferito allo scontro, è stata ritenuta inequivoca fin da De Sanctis80. Ha
tuttavia ragione Gulletta ad affermare che «l'identificazione dell'Aigussa polibiana con l'attuale Favignana.... è oggi molto meno scontata di quanto la letteratura
storica sulle guene puniche abbia mai lasciato intendere». Secondo la studiosa,
infatti
se la «Aigussa di fronte a Lilibeo» fosse da intendersi la «Aigussa quella che è davanti
a Lilibeo», l'esigenza di un tale chiarimento topografico, da parte della fonte di Polibio,
non si spiegherebbe se non con la necessità di indicare non la più grande e la più nota delle isole, quella che dà il nome all'arcipelago (Favignana), bensì la sua gemella, l'Aigussa
più piccola, la Phorbantia di Tolomeo, quella Levanzo legata all'antico ricordo di mari
tempestosi lungo le rotte rodie e fenicie verso il Tirreno81.
È senz'altro possibile intendere l'espressione polibiana come una precisazione topografica, una determinazione per designare con precisione una delle isole
dell'arcipelago, che, come sappiamo da Silio Italico (6,684-5), era noto anche col
nome di Aegates geminae. Resta il fatto che questa spiegazione va proprio in senso contrario a quello che Gulletta vuol dimostrare - trattarsi qui di Levanzo anziché di Favignana. Navigare Jipòc Tf|V AlyoÙGGav vfjoov ifiv Tipo TOù AiXußaion
Ketp-évq (cioè a differenza dell'altra Aigussa, che non giace innanzi a Lilibeo, a
sud) indicherebbe il fatto che la flotta romana si recò nella più meridionale delle
isole Egadi, quella posta sulla rotta per Lilibeo/Marsala, quindi nell'isola di Favignana82. Se Gulletta, come credo, ha ragione nelle sue conclusioni - trattarsi
quindi di Levanzo e non di Favignana ~, si deve invece intendere il participio sì in
79
POLYB. 1,60,4: ô è A m m i o ç CTUVEîç riiv Tiapouoiav TCOV Tispì TòV Äwcova Kaì ouÀXoyioapevoç
riiv ÈTiivoiav aÙTCov, avaXaßov ùTIò TOù TIëÇOù arpaTsúparoc TOùç àpioTouç âvôpaç ETiXsuas Ttpòc
riiv Aiyoùoaav vpoov TTIV Tipo TOù AtXußaiou KEipÉvriv.
80
DE SANCTIS, SR III, I, cit., 183 n. 93: «Di Egussa parla qui il solo Polibio: sulla identificazione con Favignana, essendo Tipo TOù Aitoßatou KstpÉvri, non corre dubbio», segue DE SANCTIS
CORRETTI, Favignana (isola), cit.
81
GULLETTA, Navi romane fra gli Specola Lilybitana e le Aegades Geminae?, in TUSA ed.,
// mare delle Egadi, cit., 73- 74.
82
A meno, naturalmente, di non voler intendere che dietro il toponimo 'Lilibeo' potesse celarsi il nome punico di Erice, secondo un'ipotesi autorevole (G. NENCI, Pentatlo ed i capi Lilibeo
e Pachino in Pausania, «Annali della Scuola Normale di Pisa» s. III, 18, 1988, 317-323 ), ma
estremamente improbabile per quanto riguarda questo specifico passo: non risulta che Polibio abbia
mai confuso altrove Erice e Lilibeo; poche righe prima egli si esprime anzi molto chiaramente circa
le intenzioni di Annone, il quale EOTIEUôE TOùç TioXspiouç AxxÖcöv ôiaKoptaOfivai Tipòc TòV "Epwca.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
81
posizione attributiva, ma dando al singolare xfiv Aiyoñoaav vfjoov un valore più
generale di 'arcipelago delle Egadi'. In questo caso la determinazione 'davanti
a Lilibeo' sarebbe da intendersi molto banalmente come una semplice designazione geografica per illustrare la posizione di tutto l'arcipelago, e non di una sua
isola specifica, ad un pubblico di lettori vasto e ignaro dei luoghi83.
Resta da spiegare come mai i Cartaginesi siano caduti nell'imboscata tesa
loro da Lutazio. Il modus operandi di Annone era quello consueto già utilizzato per rifomire la guamigione di Lilibeo, che, come ora Amilcare all'Elice,
subiva il blocco navale romano84. Questa volta, però, Roma fece tesoro delle
precedenti esperienze: Lutazio non si accontentò di effettuare il blocco dei due
approdi. Trapani e la Tonnara Bonagia, perché era chiaro che il controllo di Favignana e delle Egadi avrebbe reso tale blocco inefficace, come era avvenuto
per Lilibeo, o comunque molto difficile. Certo, Lutazio poteva ora contare su
una flotta costituita da navi veloci, uguali, in quanto a remeggio, alle «nuove»
imbarcazioni puniche sperimentate alcuni anni prima a Lilibeo e a Trapani, ma
occoneva comunque qualcosa che desse alla flotta romana un vantaggio tattico
decisivo. Da qui l'occupazione di Favignana, che era stata la base d'appoggio
indispensabile per Annibale Rodio. Perché la forzatura del blocco potesse aver
successo, infatti, era necessario che le navi puniche attendessero al largo il vento
propizio indispensabile per dar loro quella velocità di navigazione che i soli remi
non potevano garantire loro. Polibio in due luoghi insiste esplicitamente su questo punto capitale85. L'attesa doveva avvenire in un posto abbastanza vicino alla
costa, perché una navigazione troppo lunga, iniziata con venti favorevoli, poteva
non finire allo stesso modo.
I Cartaginesi non potevano ignorare che Favignana, e la vicina e importuosa
Levanzo, non erano più a loro disposizione per tentare l'impresa di forzare il
blocco navale romano nuovamente costituitosi dopo l'anivo della flotta di Lutazio Catulo da Roma. Questo costrinse l'ammiraglio cartaginese Annone a scegliere l'unica base di partenza possibile per tentare un'impresa che si rivelava
più difficile del precedente sblocco di Lilibeo: Marettimo, la più lontana delle
isole dell'arcipelago (60,3). Le navi cartaginesi approdarono lì, e in quella piccola isola lontana attesero le condizioni meteorologiche necessarie all'impresa.
83
Non credo sia indicativo il fatto che a 1,44,2 Polibio utilizzi il plurale (KaOopptcQslç èv
raîç KaXoupEvaic Alyoùcoatç) per designare l'arcipelago in un'espressione quasi del tutto analoga a quella qui evidenziata. Mi sembra che questa difficoltà sia molto inferiore alle aporie che
emergono dalla spiegazione di Gulletta (a meno di non intendere che la fonte di Polibio desse
delle indicazioni geografiche errate sulla dinamica dello scontro).
84
Cf. supra, § 2.
85
POLYB. 1,44,2-3 in riferimento a Lilibeo (forzatura del blocco da parte di Annibale, figlio
di Amilcare); 46,6 (forzatura del blocco da parte di Annibale Rodio).
82
TOMMASO GNOLI '
Quest'ultima si presentava sì più difficile, vista la presenza romana a Favignana/
Levanzo, ma certamente non impossibile. I Cartaginesi pensavano di conoscere
perfettamente la velocità e le capacità nautiche delle quinquiremi romane e potevano pertanto calcolare con una certa precisione una rotta che permettesse loro
di giungere, «di nascosto» dalla flotta romana, all'Erice. Si trattava di disegnare
una rotta che descrivesse una sorta di semicerchio, passando al largo a nord di
Levanzo, la più settentrionale delle Egadi; quindi, poggiando a babordo, puntare
verso la Tonnara di Bonagia, dove era accampato Amilcare. In questa operazione
sarebbero stati guidati con assoluta certezza dall'alta mole del monte Erice, sicurissimo punto che avrebbe consentito di triangolare la rotta con grande facilità
e precisione, fatto che escludeva la possibilità della navigazione notturna, nonostante la necessità della segretezza. L'ampiezza della curva era determinata dalla
forza del vento favorevole che Annone avrebbe avuto alle spalle. Come si vede,
non si trattava di un piano impossibile, anzi. Annone poteva legittimamente pensare di avere un buon margine di sicurezza, dal momento che non era prevedibile
che una flotta delle dimensioni di quella di Lutazio, con duecento quinquiremi,
potesse rimanere ormeggiata a lungo a Levanzo. Era lecito pensare che la base
della flotta fosse a Favignana, cosa che avrebbe ulteriormente aumentato i tempi
di reazione romani.
Le cose andarono in maniera del tutto diversa: fu molto probabilmente un capolavoro della intelligence romana quello di riuscire a dissimulare perfettamente
i piani di Lutazio Catulo. Costui fece attraccare la flotta al riparo di Capo Grosso,
la punta più settentrionale dell'isola di Levanzo, evidentemente perché aveva
perfettamente intuito che la flotta cartaginese si sarebbe diretta all'Elice, e non a
Trapani86. Anche questo però non basterebbe a spiegare il successo dell'operazione. Le navi romane non avrebbero potuto rimanere a lungo in quella posizione.
La costa davanti a Capo Grosso è costituita da una ripida scogliera, utilissima a
nascondere le navi per l'imboscata, ma del tutto priva di ripari, e di acqua dolce
per gli equipaggi. I Romani sapevano perfettamente quale sarebbe stato il giomo
scelto da Annone. Molto verosimilmente lo sapevano per aver studiato con attenzione il modus operandi di Annibale Rodio. Verificate le condizioni meteorologiche ottimali per tentare l'impresa, con il vento da ovest che avrebbe sospinto
86
Questo è un punto critico della ricostruzione. Come poteva sapere Lutazio Catulo qual'era
l'obiettivo della flotta di soccorso punica? Gli eserciti cartaginesi in zona erano addirittura tre. Oltre
a Amilcare vi erano infatti le guamigioni di Trapani e di Lilibeo. Tutti e tre erano raggiungibili da
Marettimo, ma naturalmente questo avrebbe richiesto rotte del tutto diverse, che circumnavigavano
a nord o a sud le due isole Favignana/Levanzo. L'unica soluzione per il rebus è pensare a una
«soffiata» che aveva messo Lutazio sulla buona strada. Per il ruolo della intelligence, ma in un
senso più ampio di quello puntuale qui utilizzato, cfr. LORETO, La grande strategia di Roma, cit.,
123-135, in particolare 129-130 per l'episodio che qui ci interessa.
La battaglia delle Egadi. A proposito di ritrovamenti recenti
83
la flotta cartaginese a tutta velocità verso l'Erice, i Romani salparono le ancore
di buon mattino da Favignana per la vicina Levanzo (60,6). Lì si ancorarono, in
attesa che le vedette poste in cima a Pizzo Monaco, un mammellone alto circa m
300 slm., dessero il segnale87.
A questo punto i calcoli Cartaginesi non potevano più essere efficaci: le navi
romane erano considerevolmente più veloci di quanto l'esperienza aveva insegnato, ma Annone non poteva saperlo. Confidando nella bontà del piano e nel
vento a favore, un libeccio che Polibio definisce cpopóv, Kaxappéovxa e XanTipóv,
ha continuato a fare rotta verso le pendici settentrionali del monte Erice, non
cambiando una virgola di quanto immaginato a tavolino. In mancanza di binocoli, di radar e di precisi stmmenti di triangolazione era impossibile rilevare la
velocità di navigazione della flotta romana. Le battaglie navali dell'antichità dovevano assomigliare a frenetiche guene al rallentatore. Passavano ore prima che
le vele avvistate all'orizzonte acquistassero consistenza nei dettagli e anivassero
finalmente a tiro. Nel frattempo solo l'estenuante fatica dei muscoli dei rematori,
che bmciano nello sforzo di ridune quel tempo d'attesa. Quando Annone capì
che il piano era fallito e non c'era più alcuna possibilità di sfuggire all'imboscata
tesagli da Lutazio Catulo era oramai troppo tardi88. Le imbarcazioni cartaginesi
avranno cercato di assumere una qualche disposizione difensiva, ma il vantaggio
romano a quel punto era tale da rendere impossibile ogni seria resistenza. Oltre a
tutto le navi erano a ranghi ridotti, per far posto alle provviste necessarie all'esercito punico in Sicilia, e contavano di rifomirsi di soldati proprio all'Erice89.
Se si accetta questa ricostruzione degli eventi, credo ci siano tutti i dati utili
per rispondere ad alcuni quesiti che hanno da lungo tempo affaticato gli studiosi
della marineria antica. Qual'era la velocità di una quinquiremi in assetto da guerra, sottoposta al massimo sforzo dell'equipaggio? Si conosce il punto di partenza
delle due flotte, il punto d'anivo previsto della flotta cartaginese, il braccio di
87
È assolutamente ovvio pensare alla presenza di vedette romane poste in cima a Pizzo
Monaco, la punta più alta di Levanzo e al Monte Santa Caterina, la punta più alta di Favignana.
Si tratta di sommità di circa 300 m di altezza slm. che, di fatto, impedivano ogni possibilità alla
flotta cartaginese che partiva da Marettimo, di passare inosservata, volendo approdare a Tonnara
Bonagia o a Lilibeo. Il raggio di osservazione delle vedette doveva aggirarsi attorno alle 20 miglia
nautiche (circa 40 km) a nord e a sud dell'arcipelago (devo questa osservazione al collega Stefano
Medas, che ringrazio), fatto che esclude la possibilità della sorpresa e obbliga a pensare che la
rotta fosse pensata per passare fuori dalla portata prevista degli intercettori romani (lo scontro
avvenne, è bene ricordarlo, a 4 miglia a NW di Capo Grosso).
88
La flotta cartaginese aveva oltre a tutto il vento alle spalle, cosa che rendeva difficilissima
una conversione a U. Tale conversione fu resa possibile, ed ebbe successo, solamente nel pomeriggio, quando il vento cambiò direzione.
89
Tutto questo contraddice quanto riferito brevemente da Zonara/Cassio Dione, e l'incredibile
racconto del prodigio, su cui si è detto supra, p. 61.
84
TOMMASO GNOLI '
mare in cui questa venne intercettata dalle quinquiremi romane. In negativo è
possibile anche dedune quale fosse la diversa velocità delle quinquiremi romane
precedenti le innovazioni cartaginesi, dal momento che la rotta di Annone era
studiata proprio per evitare queste navi, che si ritenevano fuori portata.
Simili calcoli, con il pesante uso della matematica e della geometria che comportano, nonché della conoscenza pratica delle tecniche della navigazione antica,
sono del tutto al di là delle mie competenze90. Ad altri il compito di calcolare questi dati, che si annunciano in grado di ampliare non di poco le nostre conoscenze
del modo di navigare degli Antichi.
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90
Si troveranno questi calcoli in un contributo recentemente presentato ad un convegno
tenuto ad Heidelberg nel 2011 da Sebastiano Tusa, che ringrazio per avermelo anticipato, con la
sua équipe: S. TUSA, J. ROYAL, C. A. BUCCELLATO, S. ZANGARA, Rams, warships and sea-battles
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