poverta`” dal punto di vista del servizio sociale

Gruppo di supporto alla F.C. Varese
Convegno
IL SERVIZIO SOCIALE DI FRONTEALLA SFIDA DELLE NUOVE POVERTA’: ANALISI DEL FENOMENO E
DIMENSIONE DEONTOLOGICA
MARTEDI’ 20 OTTOBRE 2015
Centro Congressi CASTELLO DI MONTERUZZO
via Guglielmo Marconi 1, Castiglione Olona (VA)
Dott.ssa Cecilia Menefoglio e Dott.ssa Claudia Pozzi: DEFINIZIONE DI “NUOVE
POVERTA’” DAL PUNTO DI VISTA DEL SERVIZIO SOCIALE
Il problema della povertà, l’impegno a fronteggiarlo, l’agire su di esso sollecitando la
responsabilità e le capacità di cambiamento delle persone, famiglie, i gruppi coinvolti si colloca nel
DNA del servizio sociale: ce lo dice il Titolo II art. 5 del Codice Deontologico
…e ce lo conferma l’evoluzione storica della professione sino ad oggi
MA COS’E’ LA POVERTA’?
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I vari dizionari di lingua italiana indicano la povertà come
1 Condizione di chi (persona o entità collettiva) è privo di sufficienti mezzi di sussistenza o ne ha in
maniera inadeguata SIN indigenza, miseria, bisogno:vivere in p. || voto di p., rinuncia al possesso
di qualsiasi bene personale, attuata da alcuni religiosi
2 estens. Mancanza o scarsità di determinate risorse o qualità SIN penuria,limitatezza: p. di
materie prime; p. di linguaggio
La suggestione che questi significati ci rimanda è che in fondo tutti noi possiamo essere, in
qualche senso e in quanto esseri umani, poveri cioè mancanti, se per povertà si intende appunto
una forma di inadeguatezza e carenza di risorse
Interessante considerare che la parola origina dal latino PAU-PER o PAU-PERUS (contrario di
OPI-PàRUS =ricco) che per gli etimologisti significa che produce, prepara, procaccia poco…
Se il povero dunque è colui che produce poco, sarebbe quindi inevitabilmente tale.
L’essere povero pare rimandare allora, in un’accezione etimologica, al fatto di trovarsi in una
condizione di scarsezza delle cose necessarie per vivere, avendovi però scarsamente provveduto,
come se lo status di povero contenesse una qualche forma di responsabilità (se non addirittura di
colpa) rispetto a quella stessa condizione dalla quale, in carenza di mezzi, con fatica e debolezza si
potrà forse uscire...
Pensiamo che nel linguaggio e pensiero comune con cui la professione non può non avere a che
fare, sia presente quindi una tensione ad attribuire in termini più o meno consapevoli alla
condizione di povertà in particolare materiale un giudizio morale, sulla responsabilità/colpa
connessa alle scelte del soggetto in causa o dall’altra parte un valore di commiserazione verso la
persona stessa; del resto le reazioni emotive che l’impatto con una condizione di povertà
soprattutto se estrema suscita, possono orientare il nostro agire di fronte a quella stessa
situazione.
E’ importante esserne consapevoli, confrontarci ed interrogarci tra operatori sul nostro
approccio dentro il servizio in cui operiamo, sullo “sguardo” verso le persone portatrici di
esperienze di povertà con le quali impattiamo quotidianamente.
Considerando invece la POVERTA’ COME FENOMENO SOCIALE, è da tempo studiata..
Non entriamo nel dettaglio dei vari modelli che sono stati elaborati sulla base di approcci teorici
differenti e varie dimensioni del fenomeno esaminate. Ci pare però significativo sintetizzare
quantomeno questi macro-passaggi:
In un primo momento, a partire da metà 800, viene elaborato il concetto di POVERTA’ ASSOLUTA
= stato di deprivazione sostanziale che rende il soggetto incapace di procurarsi un insieme di beni
e servizi ritenuti essenziali al soddisfacimento dei bisogni primari. Questo approccio parte dall’idea
di poter individuare un livello minimo di sussistenza, uno standard minimo di vita accettabile, al di
sotto del quale le possibilità di sopravvivenza sarebbero compromesse.
In seguito la definizione di povertà assoluta viene ampiamente criticata perché appare impossibile
misurare la povertà con criteri universali validi per qualsiasi società e periodo storico e per
l’inadeguatezza del concetto di sussistenza à viene affermata la RELATIVITA’ STORICA, SOCIALE E
CULTURALE DELLA POVERTA’ à la povertà non può essere definita in modo assoluto come
carenza di risorse in sé ma va valutata in relazione alle condizioni di vita medie entro uno specifico
contesto.
Si diffonde quindi il concetto di POVERTA’, DEPRIVAZIONE RELATIVA = essere poveri non è
disporre di uno standard di vita inferiore ad un minimo assoluto ma “avere meno”, disporre di
risorse talmente al di sotto di quelle della media della popolazione da non poter partecipare alle
attività abituali, approvate ed incoraggiate in una determinata società (il concetto di povertà
relativa può essere considerato sinonimo di disuguaglianza).
Riconoscere la relatività di una condizione di povertà significa anche riconoscere che i BISOGNI
delle persone SONO SOCIALMENTE e CULTURAMENTE DETERMINATI, così come l’idea legata alle
RISORSE necessarie per soddisfarli, e che non possono essere circoscritti a quelli legati al solo
sostentamento fisico à significa che la povertà ha anche una valenza SOGGETTIVA, con cui
dobbiamo mantenere aperto un confronto nel nostro riflettere ad agire professionale.
La POVERTA’ SOGGETTIVA quindi è la situazione di coloro che, nella percezione che hanno nelle
proprie condizioni di vita, si sentono poveri.
Richiamando il disegno della copertina del convegno, potremmo forse dire che quel sentirsi
poveri e quel COMUNICARE un vissuto e spesso una concreta condizione di povertà, con il quale
quasi ogni giorno impattiamo nei nostri ambiti di lavoro, ci può rimandare un’immagine cioè un
vissuto di carenza ed inadeguatezza nella capacità di risposta ….
Abbiamo trovato confermato nel confronto delle ne esperienze professionali anche in differenti
ambiti lavorativi, come la povertà relativa si connetta di fatto al concetto di ESCLUSIONE SOCIALE
(termine quest’ultimo utilizzato dall’Unione Europea in progressiva sostituzione del termina
povertà; il contrasto all’esclusione sociale è il cardine della piattaforma europea contro la povertà
e l'emarginazione contenuta nella “Strategia Europa 2020”). E’ socialmente escluso:
-
chi non riesce o non può accedere a diritti giuridici, economici, politici ecc fondamentali
(es. persone che hanno perso la residenza, stranieri senza autorizzazione al soggiorno)
chi fatica a realizzare forme di appartenenza e legami sociali significativi entro la propria
comunità (es. chi non conosce la lingua, chi vive condizioni di disagio mentale…)
Il concetto di esclusione sociale presenta il grande vantaggio di coinvolgere immediatamente ed
in prima persona sia le istituzioni che la società civile nella genesi e nelle strategie di contrasto
della povertà: se c’è infatti “esclusione sociale” vuol dire che esiste un “soggetto” che esclude e
questa semplice evidenza cambia drasticamente il volto del “welfare”, che non può più essere
unicamente concentrato nelle istituzioni, con un carattere “riparatorio” o di “tamponamento”; ma
deve, invece, coinvolgere in prima persona la società civile, non solo in quanto “principale”,
responsabile dell’esclusione sociale, ma soprattutto perché unico soggetto in grado di favorire e
rendere possibile inclusione, reintegrazione, coesione sociale delle persone afflitte da situazioni di
bisogno spiccatamente di tipo relazionale.
La CRISI DI SISTEMA che stiamo attraversando evidenzia COME l’esclusione sociale si concretizza,
cioè attraverso PROCESSI DI IMPOVERIMENTOà la condizione di povertà / esclusione sociale non
ci appare una situazione statica ma un percorso che richiede di essere riconosciuto, analizzato,
sviluppando con le persone anche in dimensione gruppale, una CONOSCENZA UTILE A
COMPRENDERE insieme cosa sia accaduto e cosa si possa mettere in campo per sollecitare le
capacità latenti che potrebbero, attraverso il progetto d’aiuto, stimolare, accompagnare,
sostenere la persona in difficoltà a ricostruire uno stato di benessere anche se differente da
quello “perduto”.
Peraltro, vediamo anche come nella ns società attuale, la “crisi di sistema” fa progressivamente sì
che anche cittadini socialmente inclusi possano non trovarsi o non sentirsi più al riparo dal
pericolo di “scivolamento”, in quanto in assenza di protezione sociale sono di fatto esposti al
rischio di perdere la propria condizione di relativo benessere = Molti più cittadini sono a rischio
(per particolari accadimenti del corso di vita, come la perdita di lavoro, la dissoluzione del legame
familiare, un peggioramento delle condizioni di salute..) cioè sperimentano una condizione di
VULNERABILITA’ SOCIALE, di più ampia esposizione al rischio di perdere i propri punti di
riferimento e sostentamento.
Le nostre difficoltà COME OPERATORI ci sembrano speculari (…sempre come nell’immagine della
locandina): di fronte ad un disagio in aumento per quantità e qualità e ad un assottigliamento
di risorse di bilancio, CI SENTIAMO PIU’ FRAGILI E VULNERABILI….
Come Gruppo di lavoro abbiamo condiviso:
-
che il confronto costante all’interno di un Gruppo di lavoro e formativo può essere di
sostegno e va maggiormente valorizzato
che l’approccio più concreto che può consentire in molte situazioni di superare questo
ostacolo, impasse è quello che pone AL CENTRO DELL’ANALISI LE PERSONE, i loro modi di
funzionare, le loro capacità, i contesti in cui vivono, spostando l’attenzione dalle risorse di
cui i soggetti sono privi, alle persone stesse: alle loro capacità personali e alla loro libertà
decisionale. Condividiamo l’ipotesi per cui attivando le capacità personali, le opportunità
reali di cui le persone-utenti dispongono, si possono convertire le risorse disponibili in
“funzionamenti” intesi come ciò che una persona riesce a fare o ad essere nel corso della
sua vita.
In questa logica, la povertà viene intesa non solo come un problema di scarsità di reddito ma
anche come PRIVAZIONE O PERDITA DELLE CAPACITA’ FONDAMENTALI, che richiedono di essere
riattivate o promosse.
Dal nostro confronto è risultato confermato che oggi, anche attraverso l’osservatorio dei nostri
servizi sociali, LE povertà sono dunque delle povertà composite, in quanto all’interno di questa
condizione convivono diversi livelli di bisogni (primari, secondari, relazionali…)
La coesistenza di bisogni così compositi ci dice che dobbiamo guardare con occhi nuovi il fenomeno
“povertà” e cercare nuovi strumenti per individuare le dinamiche dell’emergere dei bisogni, pena il rischio
di convogliare sforzi e risorse secondo logiche vecchie riproducendo inefficacia degli interventi, sprechi e
dispersioni.
Ed è sui bisogni relazionali che si costruiscono le NUOVE POVERTA’, povertà che potremmo
definire trans-materiali in quanto si collocano contemporaneamente all’interno ed all’esterno
della sfera materiale e sono anzi decisamente proiettate verso la “sfera immateriale” dei
comportamenti sociali.
……APPROFONDIMENTO CECILIA…….