IL SENSO DELLA COLPA - Fondazione Insieme onlus

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FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA del 15/4/13, <<IL SENSO DELLA COLPA>>
di Laurent Begue, (vedi nota in fondo al pezzo).
Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato.
Il senso di colpa rafforza i legami sociali e favorisce
l’empatia.
È dunque un’emozione sgradevole ma necessaria, e nel bambino
si forma quando i genitori lo aiutano a capire le conseguenze
delle proprie azioni.
<<Mi sento in colpa>>, ci dice a volte qualcuno dei nostri
amici.
Tanto meglio, bisognerebbe rispondere; infatti le persone
che non provano sensi di colpa sono una minaccia per la vita
sociale.
Per esempio il serial killer statunitense Ted Bundy non
provava alcun senso di colpa dopo avere ucciso diverse decine di
persone.
<<Il senso di colpa non risolve niente, fa solo del male>>,
spiegava.
In effetti è un’esperienza emotiva sgradevole, che suscita
tensione, ansia e agitazione, in ragione di quanto si è fatto o di
quanto non si è fatto.
Come le altre emozioni dette autocoscienti per esempio, la
vergogna che si prova quando si è imbarazzati -il senso di colpa
implica che l’individuo si auto valuti-, ossia che dia un giudizio
dei suoi comportamenti.
La risonanza magnetica funzionale e altre tecniche di
visualizzazione cerebrale hanno rivelato che esistono regioni
cerebrali specificamente associate al senso di colpa, e che queste
regioni si trovano a cavallo delle zone in cui vengono elaborate
le informazioni autoreferenziali, concernenti precisamente
l’autovalutazione dei comportamenti.
A volte il senso di colpa è la conseguenza di una disfunzione
dovuta, per esempio, a pensieri ricorrenti (o rimuginamenti) che
paralizzano il soggetto, benché egli non abbia fatto nulla che
giustifichi questa emozione esasperata.
Così il senso di colpa può tormentare il genitore di un
bambino affetto da una grave malattia o il superstite di una
catastrofe naturale o di una guerra.
A volte la disfunzione è collettiva; si tratta allora di una
sorta di debito psicologico che un gruppo può provare di fronte a
un individuo o a un altro gruppo, e che ha effetti negativi a
lungo termine sulle relazioni sociali del gruppo che ne è colpito.
L’IDENTIKIT DI UN’EMOZIONE.
Perciò, tralasciati alcuni casi particolari, e molto prima di
costituire una manifestazione psicopatologica, il senso di colpa è
un segno di buona salute psicologica o morale, importante nelle
relazioni sociali.
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Esaminiamo in che modo questa sgradevole emozione sia a
priori una risorsa per la vita in società.
Un primo indizio a sostegno della tesi che il senso di colpa
sia un’emozione socialmente utile è fornito da uno studio di
Rebecca Shaumberg e Francis Flynn, della Stanford University.
Shaumberg e Flynn hanno dimostrato che le persone con una
tendenza ad avere sensi di colpa più forti della media adottano
più facilmente un comportamento da leader in un gruppo.
Inoltre i giovani dirigenti di varie aziende statunitensi
sono considerati di più dai loro colleghi se tendono ad avere un
livello di senso di colpa elevato, probabilmente connesso con la
tendenza a sentirsi responsabili degli altri.
Nella vita quotidiana il senso di colpa si impone quando si
procurano lesioni a qualcuno o quando si viene meno ai propri
obblighi.
Rappresenta un fattore importante nel ripristino delle
relazioni con la persona alla quale si sia fatto un torto, e
contribuisce a rafforzare le relazioni sociali per tre ragioni.
Innanzitutto, prima di agire ci accade di prevedere l’effetto
che l’azione produrrebbe sul nostro stato emotivo.
Se
immaginiamo che ci sentiremo colpevoli, possiamo decidere di non
tradire il partner.
Poi si tratta di dire all’altro che ci si sente colpevoli per
avergli fatto un torto manifesto, che si è preoccupati per il
rapporto che ci lega a lui e rattristati per il torto che gli si è
inflitto.
Questo approccio contribuisce a rafforzare il legame sociale.
Quando ci si sente colpevoli, si presentano scuse o ci si
sforza di capire come si potrebbe riparare il torto, due
atteggiamenti che hanno entrambi la potenzialità di ripristinare
pacifiche relazioni sociali.
Vari studi sperimentali mostrano che, dopo aver fatto
qualcosa di male, per esempio dopo avere mentito o truffato, le
persone tendono a collaborare di più se gliene viene offerta
l’opportunità.
In uno studio, alcuni soggetti che, nel corso di un
esperimento, avevano in precedenza somministrato scariche
elettriche a un complice degli sperimentatori -le scariche erano
false ma loro non lo sapevano- hanno mostrato in seguito un
comportamento molto più amichevole nei suoi confronti.
UNO STIMOLO ALL’ALTRUISMO.
Diversi studi hanno dimostrato che chi prova un senso di
colpa cerca di riparare al torto causato agendo sia direttamente
verso la vittima sia verso qualcun altro, anche se si tratta di
uno sconosciuto.
In uno studio compiuto in un museo, uno sperimentatore
camuffato da dipendente ammoniva i visitatori che toccavano le
opere esposte, sottolineando il degrado che quel comportamento
causava al patrimonio artistico.
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Successivamente si osservava l’atteggiamento degli stessi
visitatori in una sala vicina, dove un altro sperimentatore faceva
cadere al loro passaggio un sacco contenente vari oggetti.
I ricercatori hanno poi confrontato il comportamento delle
persone che erano state ammonite con quello delle persone che non
lo erano state.
Le prime si mostravano più altruiste verso gli sconosciuti,
aiutandoli con maggiore impegno a raccogliere le cose che erano
loro cadute.
Quando è difficile, o impossibile, riscattare la
trasgressione, e il senso di colpa è insopportabile, gli individui
mettono spesso in atto comportamenti altruistici o di assistenza a
favore di sconosciuti.
Questi atteggiamenti permettono loro di attenuare il senso di
colpa e la <cattiva coscienza>.
Queste considerazioni valgono anche nel campo del razzismo.
In un’altro studio veniva detto ai partecipanti che nel corso
dell’esperimento si sarebbero registrate le onde cerebrali
attivate in individui bianchi alla vista di fotografie di persone
di colore.
In seguito si faceva loro credere che le registrazioni
avevano rivelato una loro risposta di tipo razzista.
I partecipanti si sentivano in colpa, e quando avevano la
possibilità di avere un comportamento riparatorio, erano
maggiormente disposti ad aiutare i neri e a cercare di avvicinarsi
a loro.
“Le persone che sentono maggiormente il senso di colpa per le
azioni commesse hanno anche un più forte senso di responsabilità
nei confronti degli altri.”
NIENTE A CHE FARE CON LA VERGOGNA.
Abbiamo già ricordato che esistono varie emozioni
autocoscienti, ma due di esse -il senso di colpa e la vergognavengono spesso confuse; in realtà sono emozioni distinte.
La vergogna provoca sentimenti incentrati soprattutto su se
stessi, ma anche ostilità verso gli altri.
Le persone che contravvengono un ideale provano vergogna,
hanno la mente offuscata dai loro problemi e fuggono lo sguardo
altrui.
Al contrario, gli individui che provano senso di colpa sono
più disponibili a prestare attenzione agli altri.
Il senso di colpa è un’emozione più relazionale, che emerge
quando si contravviene a una norma morale, e suscita un’azione
volta a riparare il male commesso, cosa che non avviene quando si
prova vergogna.
Eppure a volte le due emozioni sembrano sovrapporsi.
In uno studio alcuni ricercatori hanno chiesto a un gruppo di
donne cattoliche praticanti di leggere un testo presentato come la
narrazione di un sogno.
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Il testo conteneva passi dai toni esplicitamente sessuali, e
si supponeva che la lettura di questi brani potesse attivare in
loro un senso di colpa.
Le donne dovevano poi guardare quelli che venivano presentati
loro come <lampi di luce>, che erano in realtà un fondo bianco, il
viso di un uomo o quello di Giovanni Paolo II.
Il tempo di presentazione delle foto era in realtà troppo
breve perché potessero percepirle coscientemente.
Successivamente hanno risposto a questionari che permettevano
di valutare la loro moralità e il loro livello di ansia.
Pur non avendo alcuna coscienza dell’immagine che avevano
percepito, le donne che erano state esposte all’immagine del papa
giudicavano se stesse meno morali e più ansiose di quelle alle
quali era stato presentato in modo subliminale un volto qualsiasi
o un fondo bianco.
Il senso di colpa nasce dunque dalla trasgressione di una
norma sociale.
Abbiamo visto che il senso di colpa favorisce i rapporti
sociali, l’empatia e l’altruismo e che, nonostante tutto, è un
dolore morale.
Nelle relazioni sociali il senso di colpa sta all’integrità
morale come il dolore sta all’integrità fisica.
È risultato però che il dolore è un prezioso segnale che ci
avvisa e ci evita guai maggiori: quando si sente il dolore causato
da una fiamma, si ritira rapidamente la mano prima che subisca
danni gravi.
Anche il senso di colpa è stato modulato nel corso del tempo
dai riferimenti sociali, come hanno dimostrato gli storici.
In Occidente, per esempio, la religione medievale ha
coltivato il senso di colpa in modo <quasi ossessivo>, secondo
l’espressione dello storico Jean Delumeau, del Collège de France.
Il senso di colpa è codificato nei nostri geni, come
l’empatia o il senso morale?
Se non è escluso che abbia una componente innata legata
all’ansia, il senso di colpa si sviluppa naturalmente attraverso
il tramite dell’educazione parentale.
I bambini i cui genitori manifestano un’importante vicinanza
affettiva e relazionale nei loro confronti sono più inclini degli
altri a provare sensi di colpa quando fanno male a qualcuno.
Accade spesso che i genitori tentino di incoraggiare un
determinato comportamento (per esempio quello di rendere un
favore) o di impedirne un altro (non rompere i giocattoli del
fratellino): questo tipo di raccomandazione rappresenta
addirittura più del 70 per cento degli scambi fra i genitori e i
figli fra i due e i dieci anni.
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SENSO DI COLPA E SENSO MORALE VANNO DI PARI PASSO?
Il senso di colpa è un’emozione complessa; benché alcuni
filosofi non la considerino indispensabile, per altri sarebbe la
base del senso morale.
di Frédérique de Vignemont
Le emozioni sono spesso considerate nemiche della ragione e
pericolose per il senso morale.
Trascinati dalle emozioni, perderemmo facilmente di vista
quello che dobbiamo fare.
Ma questo vale per ogni emozione?
Alcune, in realtà, sembrano svolgere la funzione di una guida
al quotidiano, ossia sembrano avere un ruolo essenziale per
guidarci a un comportamento moralmente appropriato.
Ciò sarebbe vero soprattutto per il senso della colpa, che fa
parte delle emozioni cosiddette morali, perché percepite in
reazione ad azioni che giudichiamo giuste o sbagliate, siano esse
compiute da altri (in questo caso proviamo riconoscenza o, al
contrario, a seconda della qualità dell’azione, disprezzo, rabbia
o disgusto) o da noi stessi (in tal caso proviamo fierezza o, al
contrario, vergogna o senso di colpa).
Ci si sente colpevoli dunque solo se si pensa, a torto o a
ragione, di avere agito in maniera sbagliata.
Ma il senso di colpa è davvero essenziale al senso morale?
Abbiamo bisogno di questo sentimento per comportarci bene
verso gli altri, in modo preventivo (inibendo azioni che, se
fossero compiute, ci farebbero in seguito sentire colpevoli) o
curativo (cercando di riparare ai nostri errori per non sentirci
più colpevoli)?
Per capire meglio il legame fra il senso di colpa e il senso
morale, cominciamo innanzitutto con il definire la natura di
questo sentimento e dei legami con altre emozioni simili.
In primo luogo il senso di colpa va distinto dal semplice
rammarico.
Posso infatti rammaricarmi per avere spostato la mia
regina in una certa zona della scacchiera, ma questo fatto non ha
niente a che vedere con la sensazione di aver fatto qualcosa di
male.
UN BAROMETRO AFFETTIVO.
Il senso di colpa è più simile alla vergogna, perché entrambe
queste emozioni si fondano su un’autovalutazione.
Colpa e
vergogna funzionano come una sorta di barometro affettivo, che ci
indicherebbe il nostro grado di moralità.
Esse sono spesso
associate, ma il loro vissuto e le conseguenze che provocano sono
molto diversi.
Provare vergogna significa immaginare lo sguardo negativo
degli altri, sentirsi messi in discussione (ci si vergogna di se
stessi).
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Il senso di colpa, invece, è in parte indipendente da ciò che
pensano gli altri, e riguarda un atteggiamento o un comportamento
preciso (ci si sente colpevoli di aver fatto qualcosa, ma
raramente di quel che si è).
Infine, colpa e vergogna conducono a comportamenti distinti:
per esempio, la dissimulazione per la vergogna e le scuse per il
senso di colpa.
L’empatia è un altro motore morale con il quale si può
confrontare il senso morale.
Una delle ragioni per le quali evito di far soffrire altre
persone è la mia capacità di immaginare la loro sofferenza come se
fosse la mia.
L’empatia, più <elementare> del senso di colpa, implica
semplicemente di provare quel che provano gli altri sapendo al
tempo stesso distinguere fra le proprie emozioni e quelle altrui.
IL SENSO DI COLPA: UN’AUTOPUNIZIONE
Al contrario il senso di colpa è un sentimento complesso.
Esso richiede di sentirsi responsabili delle conseguenze
delle proprie azioni, di avere determinati modelli di
comportamento e di avere la capacità di valutare le proprie azioni
in confronto a questi modelli.
A causa di questa complessità ci si può facilmente ingannare,
con il rischio di diventare vittime di un senso di colpa
ingiustificato.
In altri termini, dobbiamo saper valutare correttamente se
siamo o no responsabili della sofferenza altrui.
Secondo alcune teorie, all’origine del senso di colpa ci
sarebbe in parte anche l’empatia.
In effetti, per potersi sentire responsabili della sofferenza
degli altri occorre innanzitutto rendersi conto che essi soffrono,
e nulla meglio dell’empatia può farcelo percepire immediatamente.
Infine, il senso di colpa è simile, più che a qualsiasi altra
cosa, a un profondo rimorso.
Abbiamo l’impressione.—giustificata o no- di avere agito male
moralmente.
Per qualcuno questo malessere comprende anche la
convinzione di meritare una punizione.
In effetti il fatto di
sentirsi colpevoli è già di per sé una punizione, poiché questa
emozione è molto spossante.
Al contrario, se sentissimo di
esserci comportati bene, un sentimento di fierezza potrebbe essere
la nostra ricompensa.
Ora che abbiamo capito meglio il significato del senso di
colpa, possiamo valutare la natura delle sue relazioni con il
senso morale.
Notiamo che la maggior parte delle cosiddette emozioni morali
possono essere percepite in contesti totalmente neutri: ci si può,
per esempio, vergognare per una macchia sui pantaloni o ci si può
esasperare contro il proprio computer che si ostina a non
funzionare, ma il senso di colpa conserva sempre una connotazione
morale.
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Inoltre numerosi studi realizzati con bambini e studenti
mostrano che il senso di colpa costituisce una minaccia efficace
per evitare comportamenti sbagliati.
Le statistiche rivelano dunque che quanto più una persona
tende a sentirsi colpevole, tanto meno adotta comportamenti
antisociali o rischiosi.
Notiamo però che non vale lo stesso per le persone che
provano facilmente un senso di vergogna.
Ma il legame fra senso di colpa e senso morale si spinge
ancora più lontano?
I filosofi si domandano se il primo sia davvero una
condizione necessaria del secondo.
In altri termini, possiamo
comportarci in modo giusto anche se non ci siamo mai sentiti
colpevoli?
Che cosa possiamo dire delle persone prive di senso morale:
non provano alcun senso di colpa?
UNA DISCUSSIONE APERTA.
È quanto afferma il neurologo Antonio Damasio,
dell’Università della California a San Diego, che ha studiato
psicopatici e bambini affetti da una lesione cerebrale o da una
malformazione.
Queste situazioni permettono di stabilire un legame fra
moralità e senso di colpa?
L’equazione non è così semplice.
L’assenza di senso morale
negli psicopatici può spiegarsi anche con la loro incapacità di
provare empatia, come ha spiegato lo psicologo James Blair, del
National Institute of Mental Health a Washington.
In contrasto con queste affermazioni, il filosofo Gilbert
Harman, della Princeton University, sostiene che alcune persone,
fra cui lui stesso, non si sentono mai colpevoli, mentre il loro
comportamento morale è perfettamente <normale>.
È però legittimo domandarsi fino a che punto dobbiamo
crederlo.
Si può per esempio immaginare che egli abbia potuto sentirsi
a volte colpevole quando era bambino, anche se sostiene che oggi
non gli accade più.
In queste condizioni, quel senso di colpa provato
nell’infanzia sarebbe stato sufficiente a costituire il fondamento
del suo senso morale.
La discussione rimane ancora aperta.
**FREDERIQUE DE VIGNEMONT è ricercatrice in filosofia al
Centre National de la Recherche Scientifique, Institut Jean Nicod,
a Parigi.
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IMPARARE IL SENSO DI COLPA.
Quando il bambino raggiunge l’età di sette anni, i genitori
intervengono su di lui ogni 6-9 minuti nel corso della giornata.
I genitori usano tre <tecniche>, spesso combinate, per
esortare i figli a comportarsi diversamente da come avrebbe
suggerito loro il primo impulso.
La prima tecnica, l’affermazione del potere, è un sistema
essenzialmente coercitivo che si fonda sul ricorso alla minaccia,
sull’uso della forza fisica o sulla proibizione di usare
giocattoli, la televisione o il computer.
L’uso della forza fisica può essere punitivo (una
sculacciata) o coercitivo (l’ordine dato al bambino di ritirarsi
nella sua camera).
Il secondo metodo, che consiste nel negare al bambino ogni
affettuosità, ricorre a un diverso registro: esso conduce il
bambino a sottomettersi alla norma parentale per fare piacere
all’adulto o per evitargli un dispiacere.
Quando il bambino si discosta dal comportamento atteso,
l’adulto lo ignora, gli volge le spalle o rifiuta di parlargli.
Infine l’ultima tecnica, chiamata ragionamento induttivo,
consiste nello spiegare in modo sempre più complesso all’avanzare
dell’età le conseguenze del comportamento del bambino sugli altri.
Valutando l’interiorizzazione dei principi morali o la
capacità di provare sensi di colpa, Martin Hoffman,
dell’Università di New York, ha mostrato che l’affermazione del
potere esercita un effetto negativo sulle acquisizioni morali, e
che la tecnica del ritiro dell’affetto è quasi inutile.
Di contro, il ragionamento induttivo stimola il desiderio di
assomigliare ai genitori, rafforza l’interiorizzazione delle norme
morali e stimola le capacità empatiche.
Così, quando si spiegano al bambino le conseguenze del suo
comportamento inadatto sullo stato fisico o psicologico della
vittima, egli capisce di essere responsabile della sofferenza
provocata, e questa consapevolezza suscita in lui empatia e senso
di colpa.
Secondo varie ricerche, i genitori che riescono a dirigere
l’attenzione del figlio sulla vittima (<<Guarda, sta piangendo
perché gli hai rotto il giocattolo>>) hanno più successo nel
suscitare nel figlio comportamenti cooperativi e uno sviluppo a
lungo termine dell’empatia.
LA VIRTÙ DELL’ESEMPIO.
Anche senso di colpa e capacità di imitazione sociale sono
connessi nel bambino.
David Forman, della Minnesota University, ha chiesto ad
alcune madri di compiere volontariamente diversi gesti semplici come mettere in ordine dei giocattoli, o riempire un bicchiere
d’acqua- davanti ai loro figli, esortandoli poi a ripetere gli
stessi gesti.
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Gli psicologi hanno osservato che certi figli erano più
inclini di altri a imitare la madre.
Due anni dopo, i ricercatori hanno notato che i bambini che
avevano imitato meglio la madre rispettavano di più una
proibizione, per esempio quella di toccare alcuni giocattoli o di
aprire una certa scatola.
Questi bambini manifestavano, inoltre, sensi di colpa acuiti
quando rompevano un giocattolo che era stato loro affidato e che
era stato predisposto per rompersi facilmente quando veniva
manipolato.
Questi esperimenti confermano che il senso di colpa è
un’emozione sociale, che si apprende soprattutto per imitazione.
LE EMOZIONI AUTOCOSCIENTI
Ci sono tre emozioni morali autocoscienti che ci permettono
di valutare il nostro comportamento:
**_ Il senso di colpa attivato dalla trasgressione di una
norma morale che riguarda anche altre persone.
Il soggetto cerca
di riparare al male commesso.
**_ La vergogna innescata dalla violazione di un’aspirazione
o di un ideale.
Il soggetto manifesta la sua vergogna sfuggendo
lo sguardo altrui.
**_ L’imbarazzo scatenato dalla trasgressione di una
convenzione sociale.
Il soggetto manifesta il suo imbarazzo
porgendo delle scuse.
IL LEGAME FRA MENTE E CORPO.
Il senso di colpa è influenzato dall’atteggiamento degli
altri, ma anche dal corpo.
La disciplina che studia lo stretto legame tra mente e corpo
si chiama cognizione incarnata, ed è in pieno sviluppo.
Chen Zhong, dell’Università di Toronto, e Katie Lijenquist,
della Brigham Young University di Chicago, hanno mostrato che gli
individui sentono più spesso il bisogno di lavarsi quando si
chiede loro di ricordare un’azione immorale commessa nel passato.
Il fatto di lavarsi le mani ridurrebbe il senso di colpa e il
comportamento attivato dall’autocondanna..
A questo proposito abbiamo formulato l’ipotesi che anche il
semplice fatto di vedere qualcuno che si lava potrebbe produrre lo
stesso effetto.
Per confermarlo, abbiamo organizzato uno studio
all’Università di Grenoble, suscitando un senso di colpa in
partecipanti a cui avevamo chiesto di ricordare un torto di cui
erano stati responsabili in passato e di raccontare per iscritto
quell’episodio della loro vita.
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In seguito alcuni hanno ricevuto il compito di passarsi una
salvietta su ciascun dito delle mani rispettando un ordine
prestabilito, mentre altri guardavano un film in cui si vedeva una
persona che si puliva le dita.
Altri, infine, guardavano un video in cui si vedevano le dita
di qualcuno che battevano sulla tastiera di un computer.
Poi, in una parte apparentemente indipendente del protocollo,
i partecipanti hanno avuto la possibilità di aiutare una
studentessa che doveva rispondere alle domande di un questionario:
pensavamo che le persone con una cattiva coscienza sarebbero state
più disponibili ad aiutare gli altri.
I risultati hanno mostrato effettivamente che il
comportamento cooperativo e il senso di colpa erano minori nei
partecipanti che si erano lavati le mani; poi venivano i
partecipanti che avevano guardato un video in cui qualcuno si
lavava le mani.
I partecipanti che avevano guardato un video in cui le dita
di qualcuno battevano sulla tastiera di un computer avevano il
senso di colpa più forte ed erano più pronti ad aiutare il loro
prossimo.
Questi risultati suggeriscono che il semplice fatto di
osservare qualcuno che <se ne lava le mani> può cancellare il
senso di colpa di una persona che si sente colpevole e indurla a
comportarsi in modo antisociale.
Altre strategie permettono di liberarsi del senso di colpa
dopo un atto violento.
La prima strategia, quella di prendere le distanze, consiste,
per un aggressore, nell’accrescere il più possibile la somiglianza
che percepisce fra se stesso e la vittima.
Accade così, per esempio, nel caso in cui l’aggressore prova
un senso di superiorità favorito da un’ideologia.
Se la vittima
non appartiene alla medesima sfera morale dell’aggressore,
quest’ultimo si sente meno colpevole delle conseguenze del suo
atto.
L’aggressore può ridurre il suo senso di colpa anche usando
espressioni che attenuino il peso delle parole.
Ciò gli evita di
essere messo a confronto con la realtà della vittima.
Accade così che i militari parlino di <danni collaterali> in
riferimento all’uccisione di civili o di <azioni chirurgiche> per
definire bombardamenti più o meno <mirati>.
Analogamente l’espressione <soluzione finale> permetteva ai
nazisti di non parlare di sterminio, e la parola <trasferimento>
attenuava l’orrore della deportazione.
IL BENEFICIO DELLA VITTIMA.
Il senso di colpa viene attenuato anche quando l’autore di un
comportamento violento può giustificarlo con un presunto beneficio
per le vittime: un senatore degli Stati Uniti dell’Ottocento
affermava che la schiavitù era una <benedizione sociale, morale e
politica> per i popoli oppressi.
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L’italiano Riccardo Orizio, autore, reporter e guida di
safari in Kenya, ha intervistato nel libro Parola del diavolo.
Sulle tracce degli ex dittatori (Laterza, 2002) sette dittatori:
Amin Dada, Jean-Claude Duvalier, Jean-Bédel Bokassa e altri.
Tutti questi despoti hanno affermato che gli atti di cui
erano accusati (avere torturato o assassinato oppositori, avere
impedito libere votazioni, avere affamato i loro concittadini,
saccheggiato le ricchezze dei loro paesi e scatenato guerre
genocide) erano stati compiuti solo in vista del bene collettivo.
Anche denigrare la vittima è una strategia ben nota.
Il
serial killer John Gacy sosteneva di essere una vittima, cosa che
probabilmente gli permetteva di neutralizzare il senso di colpa.
Infine, nel caso di un’aggressione di gruppo, il
dissolvimento della responsabilità individuale conduce ogni
partecipante ad addossare al gruppo la responsabilità morale,
permettendogli di non sentirsi individualmente responsabile.
Le strategie di questo tipo mirano a ridurre il senso di
responsabilità, e quindi l’intensità del senso di colpa.
Infine affrontiamo un’ultima domanda: l’esperienza della
colpa è influenzata dalle circostanze?
Vedremo che questo senso di colpa dipende dal nostro stato di
fatica mentale, poiché la colpa richiede energia mentale; se siamo
troppo stanchi mentalmente non la percepiamo più.
In uno studio sono stati mostrati ad alcuni volontari
raccapriccianti video di animali uccisi per usarne la carne o la
pelliccia.
Alcuni individui hanno dovuto inibire le proprie emozioni,
mentre altri erano in grado di esprimerle.
Soffocare le emozioni è un compito mentalmente spossante, che
richiede uno sforzo emotivo.
“Per senso morale nei bambini è necessario spiegare loro le
conseguenze”
RISORSE COGNITIVE
Abbiamo poi suscitato in questi soggetti un senso di colpa,
facendoli partecipare a un gioco in cui si supponeva che un loro
compagno ricevesse choc sonori dolorosi ogni volta che al soggetto
veniva sottratto un punto per non essere riuscito a svolgere il
compito che gli era stato dato; per esempio, contare le figure
proiettate su uno schermo.
In seguito i volontari partecipavano a un gioco nel quale
potevano lasciare del denaro al giocatore successivo, ma potevano
anche offrire denaro per una raccolta contro l’AIDS.
I risultati hanno dimostrato che i partecipanti le cui
risorse cognitive erano esaurite sentivano meno senso di colpa dei
partecipanti non spossati, e presentavano un comportamento
prosociale poco marcato.
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Perciò proviamo meno senso di colpa quando siamo mentalmente
affaticati.
In altri termini, il senso di colpa consuma energia mentale:
esso richiede infatti che si rifletta sul proprio comportamento,
che si riesamini il proprio processo decisionale e che si traggano
conseguenze su ciò che sarebbe accaduto se si fosse tenuto un
comportamento diverso.
Le ricerche sulle emozioni morali sono in pieno sviluppo.
Altri aspetti del senso di colpa meritano di essere studiati.
Per esempio la sua funzione nella manipolazione mentale: il
senso di colpa viene usato a volte per influenzare il
comportamento altrui.
Uno studio ha mostrato che, ricordando ai cittadini che certe
azioni irresponsabili hanno un impatto negativo sul pianeta, si
favorisce il diffondersi di un senso di colpa per il progressivo
deterioramento dell’ambiente, cosa che induce le persone coinvolte
a esprimere l’intenzione di cambiare le proprie abitudini.
Così neuroscienziati e psicologi esplorano con crescente
attenzione le forme che assume questa emozione, pur sgradevole, di
cui la società non potrebbe fare a meno.
----------------IN PIÙ
XU H., BEGUE L. e BUSHMAN B., Too Fatigued to Care: Ego
Depletion, Guilt and Prosocial Behavior, in «Journal of
Experimental Social Psychology», Vol. 48, pp. 1183-1186, 2012.
BEGUE L., Psychologie du bien et du mal, Odile Jacob, Parigi,
2012.
L’AUTORE.
LAURENT BEGUE insegna psicologia sociale all’Università di
Grenoble, dove dirige il Laboratorio interuniversitario di
psicologia (EA 4145).
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