A002734, 1 A002734 FONDAZIONE INSIEME onlus. Da PSICOLOGIA CONTEMPORANEA del 15/4/13, <<IL SENSO DELLA COLPA>> di Laurent Begue, (vedi nota in fondo al pezzo). Per la lettura completa del pezzo si rinvia al mensile citato. Il senso di colpa rafforza i legami sociali e favorisce l’empatia. È dunque un’emozione sgradevole ma necessaria, e nel bambino si forma quando i genitori lo aiutano a capire le conseguenze delle proprie azioni. <<Mi sento in colpa>>, ci dice a volte qualcuno dei nostri amici. Tanto meglio, bisognerebbe rispondere; infatti le persone che non provano sensi di colpa sono una minaccia per la vita sociale. Per esempio il serial killer statunitense Ted Bundy non provava alcun senso di colpa dopo avere ucciso diverse decine di persone. <<Il senso di colpa non risolve niente, fa solo del male>>, spiegava. In effetti è un’esperienza emotiva sgradevole, che suscita tensione, ansia e agitazione, in ragione di quanto si è fatto o di quanto non si è fatto. Come le altre emozioni dette autocoscienti per esempio, la vergogna che si prova quando si è imbarazzati -il senso di colpa implica che l’individuo si auto valuti-, ossia che dia un giudizio dei suoi comportamenti. La risonanza magnetica funzionale e altre tecniche di visualizzazione cerebrale hanno rivelato che esistono regioni cerebrali specificamente associate al senso di colpa, e che queste regioni si trovano a cavallo delle zone in cui vengono elaborate le informazioni autoreferenziali, concernenti precisamente l’autovalutazione dei comportamenti. A volte il senso di colpa è la conseguenza di una disfunzione dovuta, per esempio, a pensieri ricorrenti (o rimuginamenti) che paralizzano il soggetto, benché egli non abbia fatto nulla che giustifichi questa emozione esasperata. Così il senso di colpa può tormentare il genitore di un bambino affetto da una grave malattia o il superstite di una catastrofe naturale o di una guerra. A volte la disfunzione è collettiva; si tratta allora di una sorta di debito psicologico che un gruppo può provare di fronte a un individuo o a un altro gruppo, e che ha effetti negativi a lungo termine sulle relazioni sociali del gruppo che ne è colpito. L’IDENTIKIT DI UN’EMOZIONE. Perciò, tralasciati alcuni casi particolari, e molto prima di costituire una manifestazione psicopatologica, il senso di colpa è un segno di buona salute psicologica o morale, importante nelle relazioni sociali. A002734, 2 Esaminiamo in che modo questa sgradevole emozione sia a priori una risorsa per la vita in società. Un primo indizio a sostegno della tesi che il senso di colpa sia un’emozione socialmente utile è fornito da uno studio di Rebecca Shaumberg e Francis Flynn, della Stanford University. Shaumberg e Flynn hanno dimostrato che le persone con una tendenza ad avere sensi di colpa più forti della media adottano più facilmente un comportamento da leader in un gruppo. Inoltre i giovani dirigenti di varie aziende statunitensi sono considerati di più dai loro colleghi se tendono ad avere un livello di senso di colpa elevato, probabilmente connesso con la tendenza a sentirsi responsabili degli altri. Nella vita quotidiana il senso di colpa si impone quando si procurano lesioni a qualcuno o quando si viene meno ai propri obblighi. Rappresenta un fattore importante nel ripristino delle relazioni con la persona alla quale si sia fatto un torto, e contribuisce a rafforzare le relazioni sociali per tre ragioni. Innanzitutto, prima di agire ci accade di prevedere l’effetto che l’azione produrrebbe sul nostro stato emotivo. Se immaginiamo che ci sentiremo colpevoli, possiamo decidere di non tradire il partner. Poi si tratta di dire all’altro che ci si sente colpevoli per avergli fatto un torto manifesto, che si è preoccupati per il rapporto che ci lega a lui e rattristati per il torto che gli si è inflitto. Questo approccio contribuisce a rafforzare il legame sociale. Quando ci si sente colpevoli, si presentano scuse o ci si sforza di capire come si potrebbe riparare il torto, due atteggiamenti che hanno entrambi la potenzialità di ripristinare pacifiche relazioni sociali. Vari studi sperimentali mostrano che, dopo aver fatto qualcosa di male, per esempio dopo avere mentito o truffato, le persone tendono a collaborare di più se gliene viene offerta l’opportunità. In uno studio, alcuni soggetti che, nel corso di un esperimento, avevano in precedenza somministrato scariche elettriche a un complice degli sperimentatori -le scariche erano false ma loro non lo sapevano- hanno mostrato in seguito un comportamento molto più amichevole nei suoi confronti. UNO STIMOLO ALL’ALTRUISMO. Diversi studi hanno dimostrato che chi prova un senso di colpa cerca di riparare al torto causato agendo sia direttamente verso la vittima sia verso qualcun altro, anche se si tratta di uno sconosciuto. In uno studio compiuto in un museo, uno sperimentatore camuffato da dipendente ammoniva i visitatori che toccavano le opere esposte, sottolineando il degrado che quel comportamento causava al patrimonio artistico. A002734, 3 Successivamente si osservava l’atteggiamento degli stessi visitatori in una sala vicina, dove un altro sperimentatore faceva cadere al loro passaggio un sacco contenente vari oggetti. I ricercatori hanno poi confrontato il comportamento delle persone che erano state ammonite con quello delle persone che non lo erano state. Le prime si mostravano più altruiste verso gli sconosciuti, aiutandoli con maggiore impegno a raccogliere le cose che erano loro cadute. Quando è difficile, o impossibile, riscattare la trasgressione, e il senso di colpa è insopportabile, gli individui mettono spesso in atto comportamenti altruistici o di assistenza a favore di sconosciuti. Questi atteggiamenti permettono loro di attenuare il senso di colpa e la <cattiva coscienza>. Queste considerazioni valgono anche nel campo del razzismo. In un’altro studio veniva detto ai partecipanti che nel corso dell’esperimento si sarebbero registrate le onde cerebrali attivate in individui bianchi alla vista di fotografie di persone di colore. In seguito si faceva loro credere che le registrazioni avevano rivelato una loro risposta di tipo razzista. I partecipanti si sentivano in colpa, e quando avevano la possibilità di avere un comportamento riparatorio, erano maggiormente disposti ad aiutare i neri e a cercare di avvicinarsi a loro. “Le persone che sentono maggiormente il senso di colpa per le azioni commesse hanno anche un più forte senso di responsabilità nei confronti degli altri.” NIENTE A CHE FARE CON LA VERGOGNA. Abbiamo già ricordato che esistono varie emozioni autocoscienti, ma due di esse -il senso di colpa e la vergognavengono spesso confuse; in realtà sono emozioni distinte. La vergogna provoca sentimenti incentrati soprattutto su se stessi, ma anche ostilità verso gli altri. Le persone che contravvengono un ideale provano vergogna, hanno la mente offuscata dai loro problemi e fuggono lo sguardo altrui. Al contrario, gli individui che provano senso di colpa sono più disponibili a prestare attenzione agli altri. Il senso di colpa è un’emozione più relazionale, che emerge quando si contravviene a una norma morale, e suscita un’azione volta a riparare il male commesso, cosa che non avviene quando si prova vergogna. Eppure a volte le due emozioni sembrano sovrapporsi. In uno studio alcuni ricercatori hanno chiesto a un gruppo di donne cattoliche praticanti di leggere un testo presentato come la narrazione di un sogno. A002734, 4 Il testo conteneva passi dai toni esplicitamente sessuali, e si supponeva che la lettura di questi brani potesse attivare in loro un senso di colpa. Le donne dovevano poi guardare quelli che venivano presentati loro come <lampi di luce>, che erano in realtà un fondo bianco, il viso di un uomo o quello di Giovanni Paolo II. Il tempo di presentazione delle foto era in realtà troppo breve perché potessero percepirle coscientemente. Successivamente hanno risposto a questionari che permettevano di valutare la loro moralità e il loro livello di ansia. Pur non avendo alcuna coscienza dell’immagine che avevano percepito, le donne che erano state esposte all’immagine del papa giudicavano se stesse meno morali e più ansiose di quelle alle quali era stato presentato in modo subliminale un volto qualsiasi o un fondo bianco. Il senso di colpa nasce dunque dalla trasgressione di una norma sociale. Abbiamo visto che il senso di colpa favorisce i rapporti sociali, l’empatia e l’altruismo e che, nonostante tutto, è un dolore morale. Nelle relazioni sociali il senso di colpa sta all’integrità morale come il dolore sta all’integrità fisica. È risultato però che il dolore è un prezioso segnale che ci avvisa e ci evita guai maggiori: quando si sente il dolore causato da una fiamma, si ritira rapidamente la mano prima che subisca danni gravi. Anche il senso di colpa è stato modulato nel corso del tempo dai riferimenti sociali, come hanno dimostrato gli storici. In Occidente, per esempio, la religione medievale ha coltivato il senso di colpa in modo <quasi ossessivo>, secondo l’espressione dello storico Jean Delumeau, del Collège de France. Il senso di colpa è codificato nei nostri geni, come l’empatia o il senso morale? Se non è escluso che abbia una componente innata legata all’ansia, il senso di colpa si sviluppa naturalmente attraverso il tramite dell’educazione parentale. I bambini i cui genitori manifestano un’importante vicinanza affettiva e relazionale nei loro confronti sono più inclini degli altri a provare sensi di colpa quando fanno male a qualcuno. Accade spesso che i genitori tentino di incoraggiare un determinato comportamento (per esempio quello di rendere un favore) o di impedirne un altro (non rompere i giocattoli del fratellino): questo tipo di raccomandazione rappresenta addirittura più del 70 per cento degli scambi fra i genitori e i figli fra i due e i dieci anni. A002734, 5 SENSO DI COLPA E SENSO MORALE VANNO DI PARI PASSO? Il senso di colpa è un’emozione complessa; benché alcuni filosofi non la considerino indispensabile, per altri sarebbe la base del senso morale. di Frédérique de Vignemont Le emozioni sono spesso considerate nemiche della ragione e pericolose per il senso morale. Trascinati dalle emozioni, perderemmo facilmente di vista quello che dobbiamo fare. Ma questo vale per ogni emozione? Alcune, in realtà, sembrano svolgere la funzione di una guida al quotidiano, ossia sembrano avere un ruolo essenziale per guidarci a un comportamento moralmente appropriato. Ciò sarebbe vero soprattutto per il senso della colpa, che fa parte delle emozioni cosiddette morali, perché percepite in reazione ad azioni che giudichiamo giuste o sbagliate, siano esse compiute da altri (in questo caso proviamo riconoscenza o, al contrario, a seconda della qualità dell’azione, disprezzo, rabbia o disgusto) o da noi stessi (in tal caso proviamo fierezza o, al contrario, vergogna o senso di colpa). Ci si sente colpevoli dunque solo se si pensa, a torto o a ragione, di avere agito in maniera sbagliata. Ma il senso di colpa è davvero essenziale al senso morale? Abbiamo bisogno di questo sentimento per comportarci bene verso gli altri, in modo preventivo (inibendo azioni che, se fossero compiute, ci farebbero in seguito sentire colpevoli) o curativo (cercando di riparare ai nostri errori per non sentirci più colpevoli)? Per capire meglio il legame fra il senso di colpa e il senso morale, cominciamo innanzitutto con il definire la natura di questo sentimento e dei legami con altre emozioni simili. In primo luogo il senso di colpa va distinto dal semplice rammarico. Posso infatti rammaricarmi per avere spostato la mia regina in una certa zona della scacchiera, ma questo fatto non ha niente a che vedere con la sensazione di aver fatto qualcosa di male. UN BAROMETRO AFFETTIVO. Il senso di colpa è più simile alla vergogna, perché entrambe queste emozioni si fondano su un’autovalutazione. Colpa e vergogna funzionano come una sorta di barometro affettivo, che ci indicherebbe il nostro grado di moralità. Esse sono spesso associate, ma il loro vissuto e le conseguenze che provocano sono molto diversi. Provare vergogna significa immaginare lo sguardo negativo degli altri, sentirsi messi in discussione (ci si vergogna di se stessi). A002734, 6 Il senso di colpa, invece, è in parte indipendente da ciò che pensano gli altri, e riguarda un atteggiamento o un comportamento preciso (ci si sente colpevoli di aver fatto qualcosa, ma raramente di quel che si è). Infine, colpa e vergogna conducono a comportamenti distinti: per esempio, la dissimulazione per la vergogna e le scuse per il senso di colpa. L’empatia è un altro motore morale con il quale si può confrontare il senso morale. Una delle ragioni per le quali evito di far soffrire altre persone è la mia capacità di immaginare la loro sofferenza come se fosse la mia. L’empatia, più <elementare> del senso di colpa, implica semplicemente di provare quel che provano gli altri sapendo al tempo stesso distinguere fra le proprie emozioni e quelle altrui. IL SENSO DI COLPA: UN’AUTOPUNIZIONE Al contrario il senso di colpa è un sentimento complesso. Esso richiede di sentirsi responsabili delle conseguenze delle proprie azioni, di avere determinati modelli di comportamento e di avere la capacità di valutare le proprie azioni in confronto a questi modelli. A causa di questa complessità ci si può facilmente ingannare, con il rischio di diventare vittime di un senso di colpa ingiustificato. In altri termini, dobbiamo saper valutare correttamente se siamo o no responsabili della sofferenza altrui. Secondo alcune teorie, all’origine del senso di colpa ci sarebbe in parte anche l’empatia. In effetti, per potersi sentire responsabili della sofferenza degli altri occorre innanzitutto rendersi conto che essi soffrono, e nulla meglio dell’empatia può farcelo percepire immediatamente. Infine, il senso di colpa è simile, più che a qualsiasi altra cosa, a un profondo rimorso. Abbiamo l’impressione.—giustificata o no- di avere agito male moralmente. Per qualcuno questo malessere comprende anche la convinzione di meritare una punizione. In effetti il fatto di sentirsi colpevoli è già di per sé una punizione, poiché questa emozione è molto spossante. Al contrario, se sentissimo di esserci comportati bene, un sentimento di fierezza potrebbe essere la nostra ricompensa. Ora che abbiamo capito meglio il significato del senso di colpa, possiamo valutare la natura delle sue relazioni con il senso morale. Notiamo che la maggior parte delle cosiddette emozioni morali possono essere percepite in contesti totalmente neutri: ci si può, per esempio, vergognare per una macchia sui pantaloni o ci si può esasperare contro il proprio computer che si ostina a non funzionare, ma il senso di colpa conserva sempre una connotazione morale. A002734, 7 Inoltre numerosi studi realizzati con bambini e studenti mostrano che il senso di colpa costituisce una minaccia efficace per evitare comportamenti sbagliati. Le statistiche rivelano dunque che quanto più una persona tende a sentirsi colpevole, tanto meno adotta comportamenti antisociali o rischiosi. Notiamo però che non vale lo stesso per le persone che provano facilmente un senso di vergogna. Ma il legame fra senso di colpa e senso morale si spinge ancora più lontano? I filosofi si domandano se il primo sia davvero una condizione necessaria del secondo. In altri termini, possiamo comportarci in modo giusto anche se non ci siamo mai sentiti colpevoli? Che cosa possiamo dire delle persone prive di senso morale: non provano alcun senso di colpa? UNA DISCUSSIONE APERTA. È quanto afferma il neurologo Antonio Damasio, dell’Università della California a San Diego, che ha studiato psicopatici e bambini affetti da una lesione cerebrale o da una malformazione. Queste situazioni permettono di stabilire un legame fra moralità e senso di colpa? L’equazione non è così semplice. L’assenza di senso morale negli psicopatici può spiegarsi anche con la loro incapacità di provare empatia, come ha spiegato lo psicologo James Blair, del National Institute of Mental Health a Washington. In contrasto con queste affermazioni, il filosofo Gilbert Harman, della Princeton University, sostiene che alcune persone, fra cui lui stesso, non si sentono mai colpevoli, mentre il loro comportamento morale è perfettamente <normale>. È però legittimo domandarsi fino a che punto dobbiamo crederlo. Si può per esempio immaginare che egli abbia potuto sentirsi a volte colpevole quando era bambino, anche se sostiene che oggi non gli accade più. In queste condizioni, quel senso di colpa provato nell’infanzia sarebbe stato sufficiente a costituire il fondamento del suo senso morale. La discussione rimane ancora aperta. **FREDERIQUE DE VIGNEMONT è ricercatrice in filosofia al Centre National de la Recherche Scientifique, Institut Jean Nicod, a Parigi. A002734, 8 IMPARARE IL SENSO DI COLPA. Quando il bambino raggiunge l’età di sette anni, i genitori intervengono su di lui ogni 6-9 minuti nel corso della giornata. I genitori usano tre <tecniche>, spesso combinate, per esortare i figli a comportarsi diversamente da come avrebbe suggerito loro il primo impulso. La prima tecnica, l’affermazione del potere, è un sistema essenzialmente coercitivo che si fonda sul ricorso alla minaccia, sull’uso della forza fisica o sulla proibizione di usare giocattoli, la televisione o il computer. L’uso della forza fisica può essere punitivo (una sculacciata) o coercitivo (l’ordine dato al bambino di ritirarsi nella sua camera). Il secondo metodo, che consiste nel negare al bambino ogni affettuosità, ricorre a un diverso registro: esso conduce il bambino a sottomettersi alla norma parentale per fare piacere all’adulto o per evitargli un dispiacere. Quando il bambino si discosta dal comportamento atteso, l’adulto lo ignora, gli volge le spalle o rifiuta di parlargli. Infine l’ultima tecnica, chiamata ragionamento induttivo, consiste nello spiegare in modo sempre più complesso all’avanzare dell’età le conseguenze del comportamento del bambino sugli altri. Valutando l’interiorizzazione dei principi morali o la capacità di provare sensi di colpa, Martin Hoffman, dell’Università di New York, ha mostrato che l’affermazione del potere esercita un effetto negativo sulle acquisizioni morali, e che la tecnica del ritiro dell’affetto è quasi inutile. Di contro, il ragionamento induttivo stimola il desiderio di assomigliare ai genitori, rafforza l’interiorizzazione delle norme morali e stimola le capacità empatiche. Così, quando si spiegano al bambino le conseguenze del suo comportamento inadatto sullo stato fisico o psicologico della vittima, egli capisce di essere responsabile della sofferenza provocata, e questa consapevolezza suscita in lui empatia e senso di colpa. Secondo varie ricerche, i genitori che riescono a dirigere l’attenzione del figlio sulla vittima (<<Guarda, sta piangendo perché gli hai rotto il giocattolo>>) hanno più successo nel suscitare nel figlio comportamenti cooperativi e uno sviluppo a lungo termine dell’empatia. LA VIRTÙ DELL’ESEMPIO. Anche senso di colpa e capacità di imitazione sociale sono connessi nel bambino. David Forman, della Minnesota University, ha chiesto ad alcune madri di compiere volontariamente diversi gesti semplici come mettere in ordine dei giocattoli, o riempire un bicchiere d’acqua- davanti ai loro figli, esortandoli poi a ripetere gli stessi gesti. A002734, 9 Gli psicologi hanno osservato che certi figli erano più inclini di altri a imitare la madre. Due anni dopo, i ricercatori hanno notato che i bambini che avevano imitato meglio la madre rispettavano di più una proibizione, per esempio quella di toccare alcuni giocattoli o di aprire una certa scatola. Questi bambini manifestavano, inoltre, sensi di colpa acuiti quando rompevano un giocattolo che era stato loro affidato e che era stato predisposto per rompersi facilmente quando veniva manipolato. Questi esperimenti confermano che il senso di colpa è un’emozione sociale, che si apprende soprattutto per imitazione. LE EMOZIONI AUTOCOSCIENTI Ci sono tre emozioni morali autocoscienti che ci permettono di valutare il nostro comportamento: **_ Il senso di colpa attivato dalla trasgressione di una norma morale che riguarda anche altre persone. Il soggetto cerca di riparare al male commesso. **_ La vergogna innescata dalla violazione di un’aspirazione o di un ideale. Il soggetto manifesta la sua vergogna sfuggendo lo sguardo altrui. **_ L’imbarazzo scatenato dalla trasgressione di una convenzione sociale. Il soggetto manifesta il suo imbarazzo porgendo delle scuse. IL LEGAME FRA MENTE E CORPO. Il senso di colpa è influenzato dall’atteggiamento degli altri, ma anche dal corpo. La disciplina che studia lo stretto legame tra mente e corpo si chiama cognizione incarnata, ed è in pieno sviluppo. Chen Zhong, dell’Università di Toronto, e Katie Lijenquist, della Brigham Young University di Chicago, hanno mostrato che gli individui sentono più spesso il bisogno di lavarsi quando si chiede loro di ricordare un’azione immorale commessa nel passato. Il fatto di lavarsi le mani ridurrebbe il senso di colpa e il comportamento attivato dall’autocondanna.. A questo proposito abbiamo formulato l’ipotesi che anche il semplice fatto di vedere qualcuno che si lava potrebbe produrre lo stesso effetto. Per confermarlo, abbiamo organizzato uno studio all’Università di Grenoble, suscitando un senso di colpa in partecipanti a cui avevamo chiesto di ricordare un torto di cui erano stati responsabili in passato e di raccontare per iscritto quell’episodio della loro vita. A002734, 10 In seguito alcuni hanno ricevuto il compito di passarsi una salvietta su ciascun dito delle mani rispettando un ordine prestabilito, mentre altri guardavano un film in cui si vedeva una persona che si puliva le dita. Altri, infine, guardavano un video in cui si vedevano le dita di qualcuno che battevano sulla tastiera di un computer. Poi, in una parte apparentemente indipendente del protocollo, i partecipanti hanno avuto la possibilità di aiutare una studentessa che doveva rispondere alle domande di un questionario: pensavamo che le persone con una cattiva coscienza sarebbero state più disponibili ad aiutare gli altri. I risultati hanno mostrato effettivamente che il comportamento cooperativo e il senso di colpa erano minori nei partecipanti che si erano lavati le mani; poi venivano i partecipanti che avevano guardato un video in cui qualcuno si lavava le mani. I partecipanti che avevano guardato un video in cui le dita di qualcuno battevano sulla tastiera di un computer avevano il senso di colpa più forte ed erano più pronti ad aiutare il loro prossimo. Questi risultati suggeriscono che il semplice fatto di osservare qualcuno che <se ne lava le mani> può cancellare il senso di colpa di una persona che si sente colpevole e indurla a comportarsi in modo antisociale. Altre strategie permettono di liberarsi del senso di colpa dopo un atto violento. La prima strategia, quella di prendere le distanze, consiste, per un aggressore, nell’accrescere il più possibile la somiglianza che percepisce fra se stesso e la vittima. Accade così, per esempio, nel caso in cui l’aggressore prova un senso di superiorità favorito da un’ideologia. Se la vittima non appartiene alla medesima sfera morale dell’aggressore, quest’ultimo si sente meno colpevole delle conseguenze del suo atto. L’aggressore può ridurre il suo senso di colpa anche usando espressioni che attenuino il peso delle parole. Ciò gli evita di essere messo a confronto con la realtà della vittima. Accade così che i militari parlino di <danni collaterali> in riferimento all’uccisione di civili o di <azioni chirurgiche> per definire bombardamenti più o meno <mirati>. Analogamente l’espressione <soluzione finale> permetteva ai nazisti di non parlare di sterminio, e la parola <trasferimento> attenuava l’orrore della deportazione. IL BENEFICIO DELLA VITTIMA. Il senso di colpa viene attenuato anche quando l’autore di un comportamento violento può giustificarlo con un presunto beneficio per le vittime: un senatore degli Stati Uniti dell’Ottocento affermava che la schiavitù era una <benedizione sociale, morale e politica> per i popoli oppressi. A002734, 11 L’italiano Riccardo Orizio, autore, reporter e guida di safari in Kenya, ha intervistato nel libro Parola del diavolo. Sulle tracce degli ex dittatori (Laterza, 2002) sette dittatori: Amin Dada, Jean-Claude Duvalier, Jean-Bédel Bokassa e altri. Tutti questi despoti hanno affermato che gli atti di cui erano accusati (avere torturato o assassinato oppositori, avere impedito libere votazioni, avere affamato i loro concittadini, saccheggiato le ricchezze dei loro paesi e scatenato guerre genocide) erano stati compiuti solo in vista del bene collettivo. Anche denigrare la vittima è una strategia ben nota. Il serial killer John Gacy sosteneva di essere una vittima, cosa che probabilmente gli permetteva di neutralizzare il senso di colpa. Infine, nel caso di un’aggressione di gruppo, il dissolvimento della responsabilità individuale conduce ogni partecipante ad addossare al gruppo la responsabilità morale, permettendogli di non sentirsi individualmente responsabile. Le strategie di questo tipo mirano a ridurre il senso di responsabilità, e quindi l’intensità del senso di colpa. Infine affrontiamo un’ultima domanda: l’esperienza della colpa è influenzata dalle circostanze? Vedremo che questo senso di colpa dipende dal nostro stato di fatica mentale, poiché la colpa richiede energia mentale; se siamo troppo stanchi mentalmente non la percepiamo più. In uno studio sono stati mostrati ad alcuni volontari raccapriccianti video di animali uccisi per usarne la carne o la pelliccia. Alcuni individui hanno dovuto inibire le proprie emozioni, mentre altri erano in grado di esprimerle. Soffocare le emozioni è un compito mentalmente spossante, che richiede uno sforzo emotivo. “Per senso morale nei bambini è necessario spiegare loro le conseguenze” RISORSE COGNITIVE Abbiamo poi suscitato in questi soggetti un senso di colpa, facendoli partecipare a un gioco in cui si supponeva che un loro compagno ricevesse choc sonori dolorosi ogni volta che al soggetto veniva sottratto un punto per non essere riuscito a svolgere il compito che gli era stato dato; per esempio, contare le figure proiettate su uno schermo. In seguito i volontari partecipavano a un gioco nel quale potevano lasciare del denaro al giocatore successivo, ma potevano anche offrire denaro per una raccolta contro l’AIDS. I risultati hanno dimostrato che i partecipanti le cui risorse cognitive erano esaurite sentivano meno senso di colpa dei partecipanti non spossati, e presentavano un comportamento prosociale poco marcato. A002734, 12 Perciò proviamo meno senso di colpa quando siamo mentalmente affaticati. In altri termini, il senso di colpa consuma energia mentale: esso richiede infatti che si rifletta sul proprio comportamento, che si riesamini il proprio processo decisionale e che si traggano conseguenze su ciò che sarebbe accaduto se si fosse tenuto un comportamento diverso. Le ricerche sulle emozioni morali sono in pieno sviluppo. Altri aspetti del senso di colpa meritano di essere studiati. Per esempio la sua funzione nella manipolazione mentale: il senso di colpa viene usato a volte per influenzare il comportamento altrui. Uno studio ha mostrato che, ricordando ai cittadini che certe azioni irresponsabili hanno un impatto negativo sul pianeta, si favorisce il diffondersi di un senso di colpa per il progressivo deterioramento dell’ambiente, cosa che induce le persone coinvolte a esprimere l’intenzione di cambiare le proprie abitudini. Così neuroscienziati e psicologi esplorano con crescente attenzione le forme che assume questa emozione, pur sgradevole, di cui la società non potrebbe fare a meno. ----------------IN PIÙ XU H., BEGUE L. e BUSHMAN B., Too Fatigued to Care: Ego Depletion, Guilt and Prosocial Behavior, in «Journal of Experimental Social Psychology», Vol. 48, pp. 1183-1186, 2012. BEGUE L., Psychologie du bien et du mal, Odile Jacob, Parigi, 2012. L’AUTORE. LAURENT BEGUE insegna psicologia sociale all’Università di Grenoble, dove dirige il Laboratorio interuniversitario di psicologia (EA 4145). -----------------