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Scheda informativa sulla Malattia di Parkinson
Che cos’è la Malattia di Parkinson?
Quali sono i sintomi?
Quali sono le cause?
Quali sono i trattamenti?
Qual è la prognosi?
Cosa sta facendo l’AFaR?
Che cos’è la Malattia di Parkinson?
La Malattia di Parkinson (PD, Parkinson’s Disease) è un disturbo degenerativo del sistema nervoso
centrale. E’ stata descritta per la prima volta nel 1817 dal medico inglese James Parkinson in un
articolo dedicato alla “paralisi agitante”, di cui individuò i sintomi principali (tremori, rigidità,
acinesia o rallentamento motorio). Quarant’anni più tardi il neurologo francese Charcot diede alla
condizione clinica individuata da Parkinson il nome, appunto, di “morbo di Parkinson”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che in Europa circa lo 0,5% della popolazione totale
sia affetta dalla malattia (circa 1 milione e 200 mila pazienti). Secondo l’Istituto Superiore di Sanità
in Italia il PD colpirebbe il 2% della popolazione con più di 65 anni (circa 220.000 persone) e, visto
il progressivo innalzarsi dell’età media, questi numeri sono destinati ad aumentare.
La malattia colpisce maggiormente alcune categorie di persone: più gli uomini che le donne (circa
la metà in più), le persone che vivono nei paesi cosiddetti sviluppati, coloro che vivono in aree
rurali, anche se i fattori specifici di rischio sono ancora poco chiari.
Altro elemento di rischio importante è l’età (l’età media di esordio è 60 anni); tuttavia, una
percentuale che va dal 5 al 10% del totale dei casi mostra un esordio precoce, prima dei 50 anni. Si
tratta in questi casi di forme con elevata ereditarietà.
In casi molto rari, sintomi parkinsoniani possono comparire prima dei 20 anni (Parkinsonismo
giovanile). Sono forme riscontrate in prevalenza in Giappone, ma anche in altri paesi, e sembrano
legate in modo significativo a fattori genetici.
Quali sono i sintomi?
I primi sintomi sono sfumati e si presentano gradualmente. Le persone possono avvertire lievi
tremori o avere difficoltà ad alzarsi dalla sedia, oppure notare che parlano con tono di voce più
basso o che la scrittura è lenta e appare poco leggibile o con caratteri troppo piccoli. Possono inoltre
sentirsi stanche, irritabili o depresse senza una ragione apparente. Questo primo periodo può durare
molto a lungo prima che appaiono i sintomi classici e più evidenti.
Amici e parenti possono essere i primi ad accorgersi di un cambiamento, notando ad esempio una
mancanza di espressività nel viso del congiunto o dell’amico, o che questo muove una gamba o un
braccio con minore scioltezza, o che la persona sembra rigida, instabile o inusualmente lenta.
Col progredire della malattia, il tremore ed il rallentamento cominciano a interferire con le attività
quotidiane. Si comincia a maneggiare con minor scioltezza gli utensili o a faticare a leggere il
giornale per l’impossibilità di tenerlo fermo.
Le persone in molti casi cominciano ad assumere la cosiddetta “andatura parkinsoniana”: si
manifesta la tendenza a piegarsi in avanti, a fare passi piccoli e veloci come se si stesse rincorrendo
il proprio baricentro (festinazione) e una ridotta oscillazione delle braccia. Si può anche avere
difficoltà a iniziare un movimento (esitazione a partire), o l’arresto improvviso mentre si cammina
(congelamento o freezing).
Il PD non si manifesta in tutti i soggetti nello stesso modo, e il tasso di progressione differisce da
paziente a paziente. Se per alcuni il tremore è il sintomo principale , per altri esso non è affatto
presente o lo è in modo poco rilevante.
I sintomi in genere cominciano in un lato del corpo, per poi, nel corso della malattia, a volte colpire
entrambe le parti, mantenendosi tuttavia in questo caso spesso più gravi su un lato e meno sull’altro.
I quattro sintomi primari del PD sono:
-
Tremore
Il tremore associato al PD ha un aspetto caratteristico. Tipicamente, prende la forma di un
movimento ritmico con 4-6 battute al secondo tipo “contare monete”. Può coinvolgere il
pollice e l’indice, spesso comincia in una mano, altre volte al piede o alla mandibola.
E’ più evidente quando la mano è a riposo o quando la persona è sotto stress.
Il tremore scompare durante il sonno e di solito migliora con il movimento intenzionale.
-
Rigidità
La rigidità si definisce come resistenza al movimento. Un principio generale del movimento
del corpo è che tutti i muscoli hanno un muscolo opposto e antagonista: il movimento è
possibile non solo perché un muscolo si attiva, ma perché il muscolo opposto si rilassa.
Nella Malattia di Parkinson si ha la rigidità quando si altera il delicato equilibrio tra i
muscoli opposti. I muscoli rimangono costantemente in tensione e contratti e la persona
avverte dolore o si sente tesa e impacciata. La rigidità diventa evidente quando un’altra
persona tenta di muovere il braccio del paziente e questo si muove con una escursione
ridotta e a scatti (rigidità a ruota dentata).
-
Bradicinesia
Consiste nel rallentamento fino alla perdita del movimento spontaneo e automatico, ed è
particolarmente frustrante poiché rende difficoltosa a volte anche l’esecuzione dei compiti
più semplici. Attività un tempo svolte in modo semplice e veloce (come lavarsi o vestirsi),
possono adesso richiedere diverse ore di tempo.
-
Instabilità posturale
La compromissione dell’equilibrio può determinare con facilità la caduta. Le persone
tendono ad inclinare la testa in avanti e ad avere le spalle curve.
Ai quattro sintomi principali se ne aggiungono altri, variabili per paziente e per gravità. Tali sintomi
sono detti “ non motori”. Tra questi: depressione, modificazioni emotive, difficoltà a deglutire e a
masticare, problemi nel linguaggio, problemi urinari o intestinali, problemi della pelle (seborrea),
problemi del sonno, demenza o altre problematiche cognitive, ipotensione ortostatica, crampi
muscolari e distonia, dolore, affaticamento e perdita di energia, disfunzioni sessuali.
Oltre a quelli succitati sono frequentemente riscontrabili, fin dalle fasi iniziali della malattia, in
modo più sfumato nei primi tempi e via via più ingravescenti, i disturbi cognitivi. Essi
sostanzialmente riguardano la capacità ad esempio di prestare attenzione in modo continuativo, di
eseguire compiti mentali complessi, di pianificare un evento o una sequenza di azioni, di problem
solving, o di condurre contemporaneamente due azioni, ad esempio, camminare e rispondere al
telefono. Talvolta questi disturbi sono accompagnati da riduzione della memoria e della capacità di
gestione delle informazioni ambientali (ad esempio evitare gli ostacoli, passare attraverso strettoie o
soglie di porta, o considerare un cambiamento improvviso della direzione di marcia).
In alcuni casi, spesso in probabile associazione con l'assunzione di alcuni farmaci, i pazienti con
malattia di Parkinson, sviluppano, come effetto collaterale, un disturbo del controllo degli impulsi
che si manifesta come gioco d'azzardo patologico, ipersessualità, shopping e hobbismo compulsivi.
Viene infine anche osservata con una certa frequenza la presenza di modificazioni della personalità,
caratterizzate da rigidità mentale, ipercoscienziosità, ridotto interesse verso il nuovo, scarsa empatia
e riduzione dell'iniziativa. In altri casi sono frequenti fenomeni allucinatori visivi e dispercezioni, e
disturbi del pensiero di tipo delirante.
Disturbi diversi dal PD possono avere sintomi simili. Tra questi disturbi, alcuni reversibili, citiamo i
seguenti:
- Parkinsonismo postencefalitico
- Parkinsonismo indotto da sostanze
- Parkinsonismo indotto da tossine
- Parkinsonismo vascolare
- Parkinsonismo post-traumatico
- Tremore essenziale
- Idrocefalo normoteso
- Paralisi sopranucleare progressiva
- Atrofia multisistemica
- Demenza a corpi di Lewy
Quali sono le cause?
La Malattia di Parkinson si verifica quando le cellule nervose di un’area del cervello nota come
substantia nigra (o sostanza nera di Sömmering), muoiono o si indeboliscono. Normalmente, questi
neuroni producono un’importante sostanza chimica cerebrale, la dopamina. Questa è un
neurotrasmettitore che si occupa di trasmettere i segnali nervosi tra la sostanza nera e la successiva
“stazione di collegamento”, il corpus striatum (corpo striato), al fine di produrre il movimento fine
e intenzionale. La perdita di dopamina (gli studi scientifici parlano di una riduzione del 60-80%
delle cellule dopaminergiche) dà luogo alla riduzione delle capacità motoriee, a causa della
disfuzione del tratto cortico-striatale (responsabile della trasmissione dell'informazione dai nuclei
striati alla corteccia cerebrale), anche alla presenza dei tipici disturbi cognitivi e di regolazione del
comportamento.
Studi recenti hanno evidenziato la perdita di terminazioni nervose che producono un altro
neurotrasmettitore, la norepinefrina. Questa, strettamente collegata alla dopamina, è il messaggero
chimico principale del sistema nervoso simpatico, la parte del sistema nervoso che controlla molte
funzioni automatiche del corpo quali il battito cardiaco o la pressione sanguigna. La riduzione di
norepinefrina può aiutare a spiegare alcuni dei sintomi non motori presenti nel PD, quali
l’affaticamento o le anomalie nella regolazione pressoria.
Il cervello di una persona con PD contiene spesso i cosiddetti corpi di Lewy, depositi o accumuli
anomali della proteina alfa-sinucleina, oltre che di altre proteine. Non è ancora ben chiaro perché si
formino i corpi di Lewy o quale sia il loro ruolo nello sviluppo della malattia.
Sono state individuate diverse mutazioni genetiche associate al PD. Molti studi sono in corso per
individuare i geni coinvolti sia nelle forme ereditarie che nelle forme sporadiche.
Nonostante vi sia crescente evidenza dell’importanza dei fattori genetici, un ruolo importante va
cercato nell’esposizione a determinate sostanze ambientali. Anche nei casi con acclarata familiarità,
l’esposizione a tossine o altri fattori ambientali può influenzare l’esordio dei sintomi, il modo in cui
questi si manifesteranno o la progressione della malattia.
Alcune tossine, quali l’1-metil-4-fenil-1,2,3,6-tetraidropiridina (MPTP), rinvenibile in alcuni tipi di
eroina sintetica, possono causare sintomi parkinsoniani. Altri, ancora sconosciuti, fattori ambientali
possono causare il PD in individui geneticamente suscettibili.
Un altro possibile agente ambientale è costituito dai virus. Coloro che hanno sviluppato
un’encefalopatia dopo l’influenza pandemica del 1918 hanno successivamente mostrato sintomi
gravi e progressivi simili a quelli del Parkinson. Un gruppo di donne taiwanesi ha sviluppato
sintomi analoghi dopo aver contratto un’infezione dal virus dell’herpes. I sintomi, successivamente
scomparsi, erano legati a un’infiammazione temporanea della sostanza nera.
Altre linee di ricerca si focalizzano sul ruolo dei mitocondri. Questi sono i produttori di energia
delle cellule e la principale sorgente di radicali liberi, molecole che danneggiano le membrane, le
proteine, il DNA e altre parti della cellula. E’ il cosiddetto stress ossidativo, i cui effetti, incluso il
danno da radicale libero al DNA, sono stati spesso riscontrati nel cervello dei pazienti con PD.
Infine, alcuni studi parlano di un inceppamento del meccanismo di smaltimento delle proteine
cellulari, con accumulo delle stesse a livelli pericolosi fino a causare la morte cellulare.
Quali sono i trattamenti?
Si possono distinguere trattamenti farmacologici e non farmacologici.
I trattamenti farmacologici si dividono in tre categorie:
-
Farmaci che direttamente o indirettamente incrementano i livelli di dopamina nel cervello.
Sono i farmaci maggiormente utilizzati. Tra questi, la levodopa, un precursore della
dopamina che attraversa la barriera ematica cerebrale e viene quindi convertita in dopamina.
Altre sostanze “mimano” la dopamina (agonisti della dopamina), oppure ne rallentano o
prevengono la diminuzione (inibitori MAO-B e inibitori COMT).
-
Farmaci che agiscono su neurotrasmettitori diversi dalla dopamina, al fine di alleviare alcuni
dei sintomi. Tra questi, i farmaci anticolinergici, sostanze in grado di interferire con la
produzione o il rilascio del neurotrasmettitore acetilcolina. Sono farmaci utili a ridurre i
tremori e la rigidità muscolare, che possono essere effetto di una prevalenza nel cervello dei
livelli di acetilcolina su quelli della dopamina, ma che hanno effetti a lungo termine sulle
performance cognitive e sono per questo oggi poco utilizzati.
-
Farmaci che aiutano a controllare i sintomi non motori, come ad esempio la depressione.
Poiché non esistono due pazienti che reagiranno allo stesso modo a un determinato farmaco o
regime terapeutico, la messa a punto della terapia per il PD può richiedere tempo e pazienza prima
di poter raggiungere il regime terapeutico e le dosi ottimali per ciascun paziente.
Una volta messa a punto, tuttavia, la terapia è efficace sul controllo dei sintomi, garantendo per anni
buoni livelli di autonomia per i pazienti.
I trattamenti non farmacologici includono la chirurgia e la Stimolazione Cerebrale Profonda.
-
Trattamenti chirurgici. Molto diffusa prima della scoperta della levodopa, la chirurgia è stata
successivamente riservata a pochi casi. Nell’ultimo decennio le tecniche chirurgiche hanno
visto una notevole evoluzione, e la chirurgia è stata di nuovo usata nelle persone con
patologia avanzata e per le quali la terapia farmacologia non è più sufficiente.
La procedura più comune è la pallidotomia, attraverso cui viene distrutta una parte del
cervello chiamata globus pallidus (globo pallido). L’operazione migliora il tremore, la
rigidità e la bradicinesia, probabilmente a causa dell’interruzione dei collegamenti tra il
globo pallido e il corpo striato o il talamo. E’ stato in alcuni casi riscontrato anche un
miglioramento nell’andatura e nell’equilibrio e una possibile riduzione della quantità di
levodopa necessaria per il paziente, riducendo di conseguenza la probabilità che si
verifichino alcuni effetti collaterali del farmaco, quali le discinesie e le distonie. Una
procedura collegata alla pallidotomia è la talamotomia, ovvero la distruzione di una parte
del talamo. La tecnica è utile principalmente per ridurre il tremore.
-
Stimolazione Cerebrale Profonda (DBS). Questa tecnica utilizza un elettrodo
chirurgicamente impiantato in una parte del cervello. Gli elettrodi sono collegati da un cavo
sottocutaneo a una piccola centralina elettrica (generatore di impulsi) collocata nel petto
sotto la clavicola. Il generatore di impulsi e gli elettrodi stimolano in modo indolore il
cervello, contribuendo a bloccare molti sintomi del PD. La tecnica, recentemente approvata
dall’americana Food and Drug Administration, può essere usata su un solo lato del cervello
o su entrambi: se usata su una sola parte, andrà ad agire sulla parte opposta del corpo.
Sebbene utile in molti casi, e con il vantaggio della reversibilità rispetto alla chirurgia
tradizionale, la DBS non è applicabile a tutti i pazienti. Non, ad esempio, ai pazienti che
mostrano problemi di memoria, allucinazioni, scarsa risposta alla levodopa, depressione
grave, paralisi sopranucleare progressiva o parkinsonismo post-traumatico o, ancora, che
sono molto in là con gli anni, anche se a volte persone anziane in buona salute possono
trarne grossi benefici.
Qual è la prognosi?
Di per sé la Malattia di Parkinson non è una malattia mortale, anche se con il tempo tende a
peggiorare. L’aspettativa di vita di una persona con il PD è in genere uguale a quella di una persona
senza la malattia.
Gli ultimi stadi, tuttavia, possono causare complicazioni, quali tosse alterazioni respiratorie, cadute,
che possono comportare un esito fatale.
La progressione dei sintomi può svilupparsi in un arco di tempo di 20 anni o più, anche se in alcune
persone la malattia progredisce più rapidamente. Se non c’è modo di predire il corso della malattia
per la singola persona, in termini generali la scala di Hoehn e Yahr ben descrive come i sintomi si
evolvono:
-
Stadio 1
Sintomi presenti su un lato del corpo
Stadio 2
Sintomi su entrambi i lati del corpo. Equilibrio conservato
Stadio 3
Problemi all’equilibrio. Malattia da lieve a moderata. Paziente fisicamente indipendente
Stadio 4
-
Grave disabilità, ma il paziente è ancora in grado di camminare o di stare in piedi senza
assistenza
Stadio 5
Paziente sulla sedia a rotelle o allettato a meno che non venga assistito
Altra scala molto usata è la Unified Parkinson’s Disease Rating Scale (UPDRS), meno immediata
della Hoehn e Yahr e maggiormente orientata all’analisi approfondita dei domini coinvolti:
funzionamento mentale, comportamento, tono dell’umore, attività della vita quotidiana, funzione
motoria.
Con un trattamento appropriato, la maggior parte delle persone con PD possono vivere una vita
produttiva per diversi anni dopo la diagnosi. Considerando, infatti, il numero di farmaci a
disposizione per questa patologia, essa può essere considerata la malattia neurologica maggiormente
controllabile.
Tuttavia, pur se usualmente ben controllata dai farmaci, la Malattia di Parkinson rimane ancora una
patologia da cui non si guarisce e la cui progressione, specie nelle fasi avanzate, può compromettere
in modo serio la qualità della vita di chi ne è colpito.
Cosa sta facendo l’AFaR? (a cura del dr. Matteo Signorini)
L'AFaR è da anni impegnata nella ricerca sulla Malattia di Parkinson attraverso un ricco lavoro di
studio e collaborazione scientifica nazionale e internazionale. I campi nei quali maggiormente
l'AFaR ha visto impegnati i propri ricercatori è quello della NeuroRiabilitazione dei disturbi del
movimento e dello studio dei disturbi cognitivi e della personalità. In particolare, presso l'Ospedale
Provinciale Fatebenefratelli San Raffaele Arcangelo di Venezia, vengono studiati e sviluppati
modelli teorici e clinici che cercano di spiegare come le informazioni vengono elaborate dal
cervello quando un paziente ha la Malattia di Parkinson e di quali siano le conseguenze sulla
gestione dei compiti mentali quotidiani e sulle caratteristiche della personalità. Attraverso questo
lavoro clinico e di ricerca vengono anche ideati ed applicati materiali e metodi di stimolazione
cognitiva, scientificamente impostata, per la riabilitazione di questi disturbi (attenzione,
pianificazione, memoria ecc.). Accanto alla riabilitazione delle funzioni intellettive, anche il
movimento è uno dei punti di interesse dei ricercatori. Gli studi affrontati riguardano infatti
l'approfondimento delle capacità di questi pazienti di apprendere nuovi schemi di movimento e
modi di muoversi, o di ripristinare il movimento “naturale”, di ridurre il fenomeno del freezing e di
gestire il cammino in ambienti complessi. Lo studio di queste variabili del movimento infatti ha
evidenziato il ruolo fondamentale della componente cognitiva di questi fenomeni. In tal senso la
ricerca AFaR si sta impegnando nell'isolare queste componenti cognitive coinvolte
nell'apprendimento motorio e nell'adattamento del movimento alle variazioni ambientali, al fine di
progettare metodi riabilitativi sempre più raffinati e multidisciplinari, da affiancare agli interventi
farmacologici o chirurgici.