Marco Tullio Tirone «la mano destra» di Cicerone

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Marco Tullio
L
’Intersteno (Federazione internazionale
per il trattamento dell’informazione),
che sta organizzando l’imponente incontro
di Roma (15-19 luglio 2003) con la partecipazione di quaranta nazioni (v. n. 57 della
«Rivista degli Stenografi»), ha rinfocolato
l’interesse per la storica figura di Marco
Tullio Tirone, proto-stenografo, segretario
di Cicerone. A tal proposito, Giampaolo Trivulzio, responsabile della manifestazione romana, ci scrive: «Per il prossimo Congresso
ci siamo richiamati, forse ingenuamente, al
nome di Tirone, come figura emblematica ed
universale della stenografia. Ma, da vari
messaggi, arrivati dall’America, dalla Cecoslovacchia, dalla Svizzera e da altre nazioni, sembra che siano in molti a chiedersi: Tirone, chi era costui? Tra l’altro, la traduzione esatta in tedesco e in inglese è Tiro, con
risultati facilmente immaginabili in chi è
andato a vedere che cosa significasse “tiro”
in italiano. Riterrei pertanto utile che la biografia di Tirone venisse ancora trattata dalla Rivista degli Stenografi, insostituibile
veicolo di conoscenza anche all’estero».
Aderiamo pertanto volentieri alla richiesta, riproponendo l’esauriente articolo di
Francesco Giulietti su Tirone, già pubblicato in caratteri stenografici sulla «Rivista degli Stenografi» n. 5 del 1968 e nella trascrizione in chiaro sul n. 9 del 1989, tratto da
«Storia delle scritture veloci» (cap. II,
pag. 48).
T
irone nacque nel 103 o nel 100
a.C., in Arpino (Napoli), da una
schiava del cavaliere romano Marco
Tullio Cicerone, il quale nel 96 si trasferì con la famiglia a Roma per l’istru-
zione dei figli, Marco Tullio, nato nel
106, e Quinto. È incerto se anche il padre di Tirone fosse romano, schiavo o
di origine greca. Incerta è anche la nazionalità della madre. Tirone, che cresceva bene, di natura delicata, partecipò
ai loro studi e fu prediletto di Marco
Tullio, che ne divenne il patrono alla
morte del padre, accaduta nel 64. Egli
lo trattò sempre con affezione ed amicizia e lo affrancò nel 53, dandogli, come
si usava, il suo nome e facendolo così di
diritto cittadino romano.
Nel periodo degli studi (79-77) viaggiarono insieme in Grecia, in Asia Minore, a Rodi, dove frequentarono la
scuola del retore Apollonio Molone. Si
suppone che apprendessero in quel
tempo le abbreviature greche e che sorgesse in loro l’idea, che poi Tirone attuò, di una riforma delle abbreviature
latine. È infatti sintomatico che le prime manifestazioni di tachigrafia pratica
in Roma si avessero poco dopo (70 a.C.)
per i discorsi di Cicerone.
In breve, Tirone, con l’aumentare
dell’attività di Cicerone, si rese a lui indispensabile, tanto che Cicerone, durante una sua assenza, scriveva che tutto era muto nella casa quando egli
mancava. Nel 51, andato Cicerone governatore in Cilicia, Tirone lo accompagnò ma cadde ammalato e dovette
restare a Patrasso. Durante questa lontananza, Cicerone si interessò continuamente alla sua salute, scrivendogli anche da Roma tre volte al giorno affettuose lettere, nelle quali usa commosse
espressioni di rammarico per l’assenza
del suo fido segretario. Nel 49 tornaro-
di FRANCESCO
GIULIETTI
RIVISTA DEGLI STENOGRAFI
Tirone
«la mano destra» di Cicerone
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no in Grecia, partecipando alla guerra
fra Cesare e Pompeo. Tornato a Roma,
nel 47, Tirone si adoprò per la conciliazione di Cesare con Cicerone mediante
i buoni uffici del genero Dolabella. Poi
si ritirò nella villa di Cicerone, a Tuscolo, dove, completamente risanato, riordinò la biblioteca, tradusse una tragedia
di Sofocle e ne scrisse una propria a cui
Cicerone allude (45 a.C.).
Ma con l’uccisione di Cesare, avvenuta in Senato il 15 marzo 44, volsero le
fortune di Cicerone che, allontanatosi da
Roma, dovette ricorrere frequentemente alla fedeltà e all’abilità di Tirone per
l’amministrazione del suo patrimonio e
per i rapporti coi suoi familiari, che pure
avevano per il liberto stima ed affetto.
Tirone era la mano destra di Cicerone: «il suo compito – scrive il Boissier –
era grande nella casa di Cicerone e le
sue attribuzioni molto varie. Egli vi
rappresentava l’ordine e l’economia che
non erano qualità proprie del padrone.
Le cure che poneva negli affari più importanti non gli impedivano di essere
impiegato anche nei piccoli: lo mandavano a sorvegliare i giardini, a spronare
gli operai, a visitare le costruzioni; perfino la sala da pranzo era nelle sue attribuzioni. Ma soprattutto come segretario rendeva a Cicerone i massimi servigi. Scriveva quasi con la rapidità della
parola ed egli solo poteva leggere la
scrittura del suo padrone che i soliti copisti non decifravano. Era per lui più
che segretario; fu confidente e quasi
collaboratore».
Nel 43 si formò il triunvirato di Otta-
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Locuzioni
in note tironiane
(da «Storia delle
scritture veloci»
di Giulietti,
pag. 48)
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viano, Antonio e Lepido; Cicerone, in
seguito alla lotta politica condotta contro Marco Antonio, fu proscritto e poscia, per tradimento (dice Plutarco) del
liberto Filologo, catturato e decapitato a
Gaeta il 7 dicembre di quell’anno. Tirone, rimasto a Roma per tutelare i beni
del proscritto, non fu ricercato e quindi,
custodendo le carte di Cicerone, si ritirò
in una villa che lo stesso gli aveva lasciato a Capo Miseno, presso Pozzuoli, ove
visse fra i ricordi del suo amico e patrono. Raccolse, commentò e pubblicò le
sue opere e orazioni, specialmente le
«Verrine» e le «Lettere familiari», forse
in collaborazione con Attico. Fece pure
una raccolta di epigrammi o detti arguti
di Cicerone, in tre volumi (che fu però
considerata più lunga di quanto non
meritasse – N.d.R.: annotazione dedotta
da Quintiliano) e ne scrisse una biografia, in quattro libri, cui attinse lo stesso
Plutarco. Compose vari libri sull’uso
della lingua latina e un’opera enciclopedica, nella quale si crede che esponesse
il suo sistema di note, «contenente ogni
sorta di cose e di dottrina».
T
irone morì nel 4 a.C., a cento anni,
come ne dà nota San Girolamo nella traduzione del «Chronicon» di Eusebio, dove annota sotto l’anno 2013 di
Abramo (4 a.C.):
«Marcus Tullius Tiro, Ciceronis libertus», qui primus notas commentus est, in
Puteolano praedio usque ad centesimum
annum consenescit».
Invecchiò nel podere di Pozzuoli
fino al centesimo anno.