Il Romanticismo. Uno sguardo d`insieme.

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Il Romanticismo. Uno sguardo d’insieme.
A cura del prof. Spagnolli
Il Romanticismo è annunziato dallo Sturm und Drang (1770-1780), traducibile con “Tempesta e
impeto”. Gli autori di tale movimento sono Goethe, Herder, Schiller.
Da tale movimento il Romanticismo riceve il riconoscimento del valore del sentimento.
Lo Sturm und Drang contrappone il sentimento, così come la fede, l’intuizione mistica o l’azione,
alla ragione, ritenuta incapace, nei limiti che ad essa aveva posto Kant, di attingere alla sostanza (la
cosiddetta “cosa in sé”) o le cose superiori e divine.
Ma per lo Sturm und Drang, la ragione continuava ad essere, come per l’Illuminismo, una forza
umana FINITA, capace però di trasformare in modo graduale il mondo, benché trovandosi spesso in
lotta con questa realtà non essendo questa ragione assoluta né onnipotente.
Il Romanticismo invece nasce nel momento in cui questo concetto della ragione viene abbandonato
e per “ragione” si viene ad intendere una forza INFINITA, ONNIPOTENTE, che abita il mondo e
lo domina e perciò costituisce la sostanza stessa del mondo.
Tale passaggio viene affrontato da Fichte che identifica la ragione con l’Io infinito o Autocoscienza
assoluta e ne fa la forza dalla quale l’intero mondo è prodotto.
Si vedrà a proposito dell’idealismo le diverse interpretazioni di questo principio infinito.
Quando si parla di Romanticismo si intende quell’ampio e profondo sommovimento delle idee e
della sensibilità che accompagnò e segnò il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea, tra
la seconda metà del XVIII secolo e la prima del XIX, in tutta Europa e in tutti i campi.
Ci fu un romanticismo inglese, francese e un romanticismo italiano che si lega al Risorgimento con
autori come Silvio Pellico (Le mie prigioni, 1832), Ippolito Nievo (Le confessioni di un italiano,
1858).
L’aggettivo “romantic” compare nella metà del ‘600 in Inghilterra con un significato negativo per
indicare racconti irreali come quelli cavallereschi che hanno tanta fortuna in quell’epoca.
Il termine in senso positivo viene ripreso da Rousseau per descrivere un paesaggio suggestivo, per
indicare il sentimento che questo paesaggio suscita.
Il termine Romanticismo fu utilizzato da Friedrich Schlegel per definire il movimento sorto intorno
al circolo di Jena (Turingia) (Novalis, Schleiermacher, Schelling) e alla rivista Atheneum (1798 –
1800) che presenta un’identità filosofico estetica ben precisa1.
1
F. Schlegel nel 1797, dopo aver rotto con Schiller e in polemica con l’illuminismo, fonda il Circolo di Berlino dove
nasce la rivista Atheneum. Nel 1808 Schlegel si converte al cattolicesimo e si trasferisce a Vienna dove diventa
collaboratore del Cancelliere Metternich e partecipa al Congresso di Vienna divenendo così uno dei teorici della
1
Parlare del Romanticismo in generale è alquanto complesso, perché il Romanticismo non è
semplicemente una corrente letteraria o filosofica, bensì è un fenomeno di civiltà complessiva.
Il Romanticismo è un momento di civiltà paragonabile al Rinascimento italiano, che trova
espressione nei campi più svariati dell’arte, dalla pittura alla musica, oltre che nella letteratura, nella
filosofia (ma sono molto importanti e interessanti anche la scienza romantica e la medicina
romantica, con Christian Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia moderna).
La tempesta della rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche fa crollare non solo molte
istituzioni ma anche molte certezze del passato, già minate in parte in sede culturale
dall’illuminismo, senza però sostituirvene delle altre altrettanto ferme.
D’altra parte l’avvio della rivoluzione industriale (1780 in Inghilterra) e il sempre più ampio ricorso
al lavoro salariato radicalizzarono la divisione del lavoro e in particolare la separazione tra lavoro
intellettuale e lavoro manuale (e tra scienza e tecnica), esaltando il primo come avulso dalla
materialità della produzione di merci e deprimendo il secondo a mero strumento di guadagno a fini
di sussistenza.
Da qui l’idea di “liberazione” dell’attività artistica e intellettuale dai condizionamenti
economici, fino all’esaltazione del genio povero e sprezzante del denaro,
Il Romanticismo appare però fortemente contraddittorio; la sua stessa natura più autentica e
profonda, anzi, può essere individuata nella compresenza di aspetti divergenti e contrastanti.
Preceduto da molteplici segnali nel Settecento (preromanticismo), esso si manifestò palesemente
nelle varie espressioni artistiche appunto con l’apparente antiteticità della loro ispirazione:
-
appello ai sentimenti personali più
profondi, all'inconscio e al diritto a
sognare
rivalutazione del mistero e
dell'irrazionale in polemica con
l’illuminismo
-
ma anche rappresentazione senza
veli della realtà concreta
-
ma anche fiducia nel progresso
tecnologico e nella creatività
dell’uomo
Il significato storico complessivo del Romanticismo consiste essenzialmente proprio nella presa di
coscienza, da parte di ampi settori della cultura e delle scienze europee, di una rottura col passato e
quindi in un più profondo approccio al concetto stesso di rottura storica e di storicità, vuoi per
patrocinare un recupero della tradizione (segnatamente del Medioevo cristiano, individuato come
culla del sublime artistico, del trascendente e delle individualità nazionali) vuoi per sognare un
utopico futuro di armonia e di concordia fra gli individui, le nazioni e le classi.
Contro ogni appiattimento dettato da sistemi di regole e di leggi razionali, ne scaturisce il
riconoscimento dell’individualità dell’esperienza non solo personale ma dei popoli.
restaurazione.
2
Nei testi e nelle introduzioni sintetiche e scolastiche si tende a dare una lettura limitata del
Romanticismo a causa del fatto che talvolta il Romanticismo a scuola si studia solo sotto l’aspetto
letterario, limitando la sua portata a semplice rivalutazione del mondo del sentimento e
contrapponendolo all’Illuminismo come espressione del mondo della ragione.
In realtà il Romanticismo è un movimento a più facce, per certi aspetti da un lato è vicino alla
rivoluzione francese (soprattutto il cosiddetto primo romanticismo), da un lato si avvicina alla
Restaurazione che viene sancita con il Congresso di Vienna (1815), da un altro lato esso si salda
con i movimenti di indipendenza nazionale che si registrano in Europa nel post Congresso di
Vienna.
Di solito, ad ogni modo, questa è la dicotomia che viene presentata:
All’astrattezza della ragione illuministica, che avrebbe manifestato i suoi limiti con il regresso
succeduto alla Rivoluzione francese, fa seguito una specie di rivincita del sentimento, del cuore, e
comunque di tutto ciò che in qualche modo è antitetico alla ragione, l’irrazionale.
Ma questa interpretazione del Romanticismo, non tiene conto del fatto che filosofi come Fichte,
Schelling ed Hegel, che sono pienamente parte del romanticismo, se proprio c’è una cosa che non
fanno è la svalutazione della ragione.
Allora in che cosa consiste l’opposizione tra Illuminismo e Romanticismo?
L’Illuminismo era l’esaltazione della ragione, ma di una ragione che si dava limiti precisi (vedi
Kant), cioè la conoscenza solo del finito.
Possiamo a questo proposito prendere ad esempio l’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, il
progetto più ambizioso dell’Illuminismo.
Nell’Enciclopedia si affronta il problema di riunire tutto lo scibile, ma lo si mette in ordine
alfabetico, cioè in sostanza in un ordine qualsiasi, il che significa che non si vede la realtà come un
tutto, come una totalità organica, bensì come una serie di elementi finiti.
La ragione illuministica si limita alla conoscenza di segmenti della realtà, poi, al massimo del suo
sforzo, nel progetto dell’Enciclopedia, riunisce tutti questi segmenti finiti e li mette in un ordine che
è un ordine arbitrario, l’ordine alfabetico. La ragione illuministica è una ragione che ripudia
nettamente la possibilità di conoscere l’infinito la totalità, l’assoluto, e si limita deliberatamente alla
conoscenza del finito.
Questa è ad esempio la conoscenza come l’abbiamo conosciuta nel pensiero di Kant, che in questo
senso dobbiamo vedere come il culmine dell’Illuminismo.
Per Kant la conoscenza è sempre una conoscenza frammentaria, una conoscenza di piccole parti
della realtà. Quando, al di sopra dell’intelletto con le sue categorie, abbiamo trovato in Kant la
ragione, abbiamo visto che essa illecitamente si forma le tre idee sintetiche di Dio, di anima e di
mondo, ma a quelle tre idee non corrisponde nessuna conoscenza.
3
Per l’Illuminismo si possono conoscere soltanto elementi particolari della realtà tratti fuori dall’insieme.
Il problema dell’insieme, della totalità, dell’infinito, dell’assoluto, è fuori di discussione.
Il Romanticismo, possiamo dire seppur in maniera schematica, è invece il tentativo, è l’affermazione
orgogliosa da parte dell’uomo di poter cogliere l’assoluto, l’infinito: l’assoluto, l’infinito non sono visti
come qualche cosa che va espunto dalle possibilità di conoscenza. Questo caratterizza il Romanticismo.
Ma ritorniamo al romanticismo. Caratteri principali del Romanticismo.
1)
Rivalutazione del sentimento.
L’uomo viene concepito e considerato come “a tutto tondo”, non solo come puro essere razionale
ma dotato di una psiche complessa, dotata di sentimenti e passioni, dinamiche inconsce.
Il Romanticismo si caratterizza per la forte fiducia nell’uomo di poter cogliere l’infinito. Questo
tentativo di cogliere l’infinito può avvenire in diverse maniere, e a questo proposito rispunta il
sentimento: le vie che la poesia soprattutto, ma anche una certa filosofia romantica, vedranno come
vie d’accesso all’infinito sono l’intuizione, lo slancio sentimentale, il volo di fantasia, il salto
fideistico.
E così alla religione, come al sentimento e all’arte viene riconosciuta anche una funzione
conoscitiva.
Invece i grandi filosofi idealisti, che rientrano pienamente nella civiltà romantica, tentano un
approccio razionale all’assoluto, all’infinito.
L’albero del Romanticismo, come tentativo di approccio all’assoluto, si divide in due grandi rami,
un ramo di carattere irrazionalistico, che è quello che poi persiste per tutto l’800 e si esprime
soprattutto nella letteratura, e il ramo filosofico, caratterizzato dal tentativo di approccio razionale
all’assoluto, che è quello dei grandi idealisti.
L’approccio degli idealisti all’assoluto avviene non in base alla razionalità dell’intelletto, cioè la
razionalità limitata, la razionalità che può cogliere soltanto frammenti di realtà come quella
kantiana, ma in base ad una ragione superiore all’intelletto, che è una ragione dialettica o
speculativa. Questo lo vedremo soprattutto in Hegel.
2)
L’idea di nazione e popolo nel Romanticismo.
Il singolo appartiene ad una tradizione e alla storia del proprio popolo. Ciò che fa di un gruppo di
individui un popolo è la continuità tra passato e presente, il che implica, per tenere insieme passato
e presente, un recupero delle tradizioni, dei costumi, della storia, della cultura e dell’identità
nazionale
Lo Sturm und Drang eredita dalla rivoluzione francese la nozione di popolo (la cosiddetta volontà
generale di Rousseau) ma con una declinazione diversa.
In una raccolta curata da Goethe e Herder Intorno al carattere e all’arte dei tedeschi (1773) si parla
di nozione di popolo (Volk) e di poesia popolare.
4
Johann G. Herder (1744-1803) in Canti popolari interpreta il linguaggio e la cultura dei popoli in
riferimento alle condizioni ambientali e ai contesti storici, dando il via ad una nuova filosofia della
storia.
La lingua comune, condivisa da un intero popolo, è una costruzione storica, cioè è il frutto della
storia che esprime e determina una profonda integrazione fra gli uomini e da questa integrazione
sorge un comune sentire e una comune visione del mondo.
Questo far coincidere la lingua e identità culturale è anche un tema di Fichte (vedi lettura T12, pp.
104-105 del vostro manuale) .
Questo “comune sentire” si fa organismo unitario, cioè lo “spirito del popolo” (Volksgeist) e ogni
popolo segue un proprio itinerario specifico. In questo viene rivalutata la poesia e la letteratura
popolare.
La storia dei popoli va concepita, intesa, come un unico grande organismo, pervaso da uno spirito
vitale. E la storia dei popoli va intesa come proseguimento di un processo vivo e unitario verso
forme sempre più elevate dell’eticità, del sapere e dell’arte.
L’educazione del genere umano che la tradizione registra nel sentimento nazionale e popolare, nelle
fiabe, nei canti, nelle musiche e nelle danze, non avviene entro un blocco indifferenziato ma
avviene attraverso la SPECIFICITÁ degli spiriti dei popoli.
Tale Weltanschauung cozza contro la nozione illuministica del progresso come successo evolutivo
di tutta l’umanità verso un’affermazione della ragione.
Va però sottolineato che per Herder non è corretto ravvisare in lui una visione nazionalistica intesa
come contrasto al cosmopolitismo in quanto nazione e umanità coesistono, si arricchiscono nel loro
libero scambio.
Al pensiero di Herder si richiama il pensiero di Karl Wilhelm von Humboldt (1767-1835).
Dedicatosi allo studio del linguaggio e delle lingue dei diversi popoli (Sulla lingua kawi nell’isola
di Giava, Piano di un’antropologia comparativa), in von Humboldt sono centrali le nozioni di
popolo e di identità nazionale.
Il linguaggio è un prodotto spirituale di un soggetto collettivo determinato storicamente il quale
proprio nel linguaggio esprime la propria visione del mondo, la propria Weltanschauung.
Parallelamente il linguaggio forma il pensiero trasmettendo la visione del mondo propria di un
popolo ai propri membri e determinando quindi un’identità comune.
Il linguaggio pertanto è come un orizzonte per l’individuo che definisce i limiti del suo mondo2.
Anche von Humboldt però non pone una gerarchia tra i popoli, per cui ogni popolo con il proprio
linguaggio partecipa dell’umanità intera.
2
“I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”, potremmo dire usando le parole di Ludwig Wittgenstein che
troviamo nel Tractatus logico-philosophicus, 1918.
5
Sarà Fichte a parlare invece di superiorità dei tedeschi ma in un contesto ben preciso e
comprensibile.
Fichte tiene dal dicembre del 1807, in una Berlino occupata dai francesi, una serie di conferenze
raccolte poi nell’opera Discorsi alla nazione tedesca del 1807.
Fichte rivendica un’egemonia tedesca di tipo culturale: i Francesi guidati da Napoleone sono
superiori sul piano politico-militare, sostiene Fichte, ma ciononostante i Tedeschi possono
rivendicare una superiorità di natura culturale.
L’Europa, infatti, è nata dal crollo dell’Impero Romano, intorno alla Germania e alle nazioni
“barbariche” che han posto fine al dominio romano. Ne consegue, dice Fichte, che il cuore culturale
dell’Europa sarà costituito non dalle popolazioni neolatine (quali i Francesi), bensì da quelle
germaniche (i Tedeschi in primis).
Il discorso di Fichte, del resto, ha un senso se lo inquadriamo in quegli anni, in cui il mondo
culturale era dominato a pieno titolo dal mondo tedesco (soprattutto in campo filosofico). In questa
prospettiva, i Tedeschi risultano superiori culturalmente poichè si son mantenuti più prossimi alla
matrice europea germanica; ne consegue, tra l'altro, l’assurdità di ogni forma di nazionalismo
militaristico. Che senso può avere, nell’ottica fichtiana, combattere per occupare altri territori? Così
facendo ci si mescola con altre tradizioni e si smarrisce la propria purezza culturale: e con questo
Fichte nega l’imperialismo che sarà proprio del nazismo.
Quella dei Tedeschi è un’egemonia puramente culturale e tale deve essere, senza sfociare in manie
espansionistiche: sarà invece Hegel a sostenere che all’egemonia culturale debba corrispondere
un’egemonia politico-militare, senza però mai macchiarsi di razzismo.
Sia per Fichte sia per Hegel quella tedesca è una superiorità culturale (e per Hegel va integrata con
quella militare), ma non razziale (come sarà per i nazisti): e del resto sono filosofi idealisti, in cui la
dimensione materiale non consta di esistenza autonoma e per cui la superiorità deve per forza essere
sempre fondata su elementi spirituali (quali la cultura) e non materiali (quali la razza)3.
Legato al tema dell’idea di nazione vi è poi la rivalutazione del passato che invece l’Illuminismo
aveva criticato in quanto essenzialmente caratterizzato da pregiudizi, violenze, errori.
Il passato per il romanticismo non deve essere abbandonato o perduto ma contiene in sé tanto il
presente quanto il futuro. Per questo le istituzioni che il passato ha prodotto e che ci ha tramandato
come lo Stato, la Chiesa, ai romantici appaiono come dotate di valore assoluto e destinate
all’eternità. Da ciò deriva la rivalutazione del Medioevo, anche se idealizzato e talvolta reinventato
rispetto alla realtà storica.
3) Il titanismo.
L’uomo romantico si sente un titano in grado di sfidare gli dei e di poter raggiungere l’assoluto.
3
Fatto sta che all’inizio del ‘900 (nel 1914) nascerà il Deutsche Fichte Bund, un’associazione pangermanista
nazionalista che durante il nazismo ebbe un importante ruolo propagandistico.
6
Il culto e l’esaltazione dell’infinito porta con sé l’insofferenza per il finito, e quindi conduce ad una
ribellione verso tutto quello che costituisce un limite o una regola.
Il mito di Prometeo è assunto dai romantici a simbolo di questo titanismo in quanto colui che ha
sfidato il fato. Ad esempio Goethe nella poesia Prometeo scrive:
«Copri il tuo cielo, o Giove, con vapori di nuvole e, simile al fanciullo che decapita cardi, esercitati
con querce e con vette di monti. Ma non devi toccare a me la mia terra e la mia capanna, che tu non
costruisti ed il mio focolare, la fiamma del quale tu mi invidi».
E poi: «Io non conosco, sotto il sole, niente di più povero di voi, o iddii! Voi nutrite miseramente,
con tributi di vittime e fiato di preghiere, la vostra maestà e vivreste nell’indigenza, se non ci
fossero bimbi e mendicanti, speranzosi pazzi».
L’uomo è creatore del suo mondo, del mondo della storia. Il mondo della storia è creazione
dell’uomo, e lo stesso Giove, la stessa divinità non può toccarla.
Ancora Goethe: «Io non conosco, sotto il sole, niente di più povero di voi, o iddii! Voi nutrite
miseramente, con tributi di vittime e fiato di preghiere, la vostra maestà e vivreste nell’indigenza, se
non ci fossero bimbi e mendicanti, speranzosi pazzi… Quando ero bimbo non sapevo dove
rivolgermi; volgevo il mio errante occhio al sole, come se lassù fosse un orecchio che udisse il mio
lamento, un cuore, come il mio, che avesse pietà dell’oppresso. Chi mi aiutò contro la prepotenza
dei titani? Chi mi salvò dalla morte e dalla schiavitù? Non hai compiuto tu stesso tutto, tu, cuore,
che sacramente ardi? E ardevi, giovane, buono ed illuso, fiamme di ringraziamento per la tua
salvezza al dormiente, lassù? Io te onorare? Perché? Hai tu mai mitigato i dolori dell’oppresso? Hai
tu mai chetato le lacrime dell’afflitto? Non mi han plasmato uomo il tempo onnipossente e l’eterno
destino, miei e tuoi padroni? Supponevi tu forse ch’io dovessi odiare la vita, fuggir nei deserti
perché non tutti i sogni del tempo dei fiori maturarono?».
Addirittura è la divinità che dipende dall’uomo, perché le offerte e i sacrifici vengono da coloro che
vivono di speranza.
Goethe è consapevole che non tutti i sogni maturano, ma se maturano è per merito umano: è forse
questa la più decisa espressione del titanismo.
4) L’individuo e l’Assoluto.
L’estetica romantica vive una tensione tra la centralità del soggetto, recuperato in tutta la sua
ricchezza interiore e l’insufficienza dell’individuo a se stesso. La coscienza di tale manchevolezza
richiede l’andare verso una totalità indifferenziata e imprecisata che i romantici chiamano infinito e
che in filosofia verrà precisato e definito come ASSOLUTO in quanto non richiama ad altro, non
dipende da altro né sul piano conoscitivo né della esistenza: Assoluto come infinito che costituisce
il principio originario da cui deriva tutta la realtà.
Ad esempio l’individuo non è assoluto perché per la propria esistenza dipende dagli altri,
dall’ambiente nel quale vive, dai genitori che lo hanno posto in essere, così come per la propria
conoscenza e comprensione abbisogna di concetti.
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Diversamente l’Assoluto ha in se stesso la ragione della propria esistenza e i principi della propria
spiegazione.
Per molti romantici l’Assoluto coincide con la totalità della natura, intesa come un unico organismo
provvisto di una razionalità. La natura è dotata di un senso generale del quale l’uomo è parte. In
questo ci ricorda Kant e la sua visione teleologica della natura presente nella Critica del Giudizio
dove egli parla dell’uomo come fine ultimo del mondo.
In altri l’Assoluto è identificato con la storia dell’umanità e in maniera specifica del popolo, dove
l’individuo è insieme prodotto e attore.
Oppure per altri esso è la visione del mondo e il sentimento comune che lega il singolo alla nazione
a cui appartiene.
Nella seconda fase del Romanticismo, l’Assoluto assumerà un significato religioso, identificandosi
con Dio.
5) Sehnsucht e streben.
Sehnsucht: traducibile con “male di desiderio”, “nostalgia dell’infinito”: in buona sostanza con tale
termine si vuole indicare il fatto che l’uomo non basta - non si esaurisca in sé, oltrepassa se stesso
rapportandosi con il tutto e al tempo stesso può solo trattarsi di una tensione al ricongiungimento
con la totalità alla quale appartiene.
Questo sentimento nostalgico si riferisce alla conciliazione tra spirito e materia, tra finito ed
infinito, tra soggetto ed oggetto, che era avvenuta in un epoca del passato, ovvero nella Grecia
classica: per questo i romantici si sentono esuli.
Gli uomini romantici si sentono esuli da una terra dell’armonia, da una terra in cui il cielo e la terra
erano congiunti, il divino e l’umano erano uniti, gli dei erano simili a uomini e c’era un perfetto
accordo tra lo spirituale ed il materiale.
Scrive il poeta romantico di Hölderlin nel componimento La Grecia: «Laggiù all’ombra dei platani
dove tra i fiori correva il Cefiso e i giovani sognarono la gloria, dove Socrate conquistava i cuori,
dove Aspasia incedeva in mezzo ai mirti, dove un grido alto di fraterna gioia dall’agorà sonora si
levava, e creò il mio Platone Paradisi [Platone creò la grande teoria delle idee, i grandi dialoghi],
dove inni solenni ravvivavano la primavera e fiumi di entusiasmo calavano dal monte sacro a
Pallade – omaggio alla divina protettrice –, dove in mille dolci ore di poesia la vecchiezza svaniva
come un sogno divino, là t’avessi io incontrato come da tempo ti incontrò il mio cuore».
Due elementi sono riscontrabili in questo componimento. Ci sono da una parte Socrate, Platone, la
caratterizzazione di momenti della storia in riferimento all’agorà, dall’altra parte c’è la natura della
penisola ellenica. Anche in questi primi versi va rilevato lo stretto collegamento tra una natura mite
e la fioritura di una grande civiltà: natura e cultura non sono spaccate, scisse, opposte l’una all’altra,
ma sono una cosa sola nel pensiero romantico, cioè nella Grecia quale viene interpretata e
vagheggiata dai romantici.
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Si diceva quindi che l’individuo è una parte della totalità ma che non potrà mai raggiungere. È un
cammino continuo che l’uomo intraprende.
Tale irrequietezza romantica è presente in Schiller nella poesia Il pellegrino:
«Ero ancora nella giovinezza della mia vita e partii, le liete danze della giovinezza lasciai nella casa
paterna».
Si presenta qui un altro carattere del Romanticismo: l’abbandono delle sicurezze.
Schelling afferma con risolutezza che l’essere umano, per essere degno di questo nome, deve
rompere con la routine, si direbbe oggi, deve introdurre nuove finalità nel mondo. L’uomo in quanto
tale è colui che, per i romantici, e anche per Schelling, non si ferma al dato, ma cerca di andare oltre
il dato. Nel Pellegrino Schiller esprime benissimo questo spirito di trascendenza, l’esigenza di
andare oltre la situazione data. Il poeta vive tranquillo nella casa paterna, ma, dice, lascia le danze
della giovinezza.
«Tutta la mia eredità, ogni mio avere gettai via gioiosamente, pieno di fiducia e, con spensieratezza
di fanciullo, me ne andai col leggero bastone del pellegrino. Perché mi spingeva una forte speranza
ed una misteriosa parola di fede. Và, diceva, la via è aperta, và sempre verso oriente, finché tu
arriverai ad una porta d’oro, là entrerai perché ciò che è della terra sarà colà eternamente del cielo».
Ciò che è della terra, il finito, viene quindi iscritto pienamente nell’infinito, tutto quello che è
contingente viene visto alla luce del suo significato pieno all’interno dell’assoluto.
«Calò la sera e spuntò il mattino, non mi arrestai mai, ma quello che io cerco, quello che voglio
rimane sempre celato. Montagne stavano sulla mia strada, fiumi furono di impedimento al mio
cammino, buttai passerelle al di sopra degli abissi e ponti al di sopra del fiume impetuoso. E
pervenni alle rive di un fiume che scorreva verso il mattino; affidandomi lietamente al suo corso, mi
gettai nel suo seno. Il gioco delle sue onde mi trascinò sino ad un grande mare; esso giace davanti a
me in vasta solitudine, non sono più vicino alla meta». Dopo tutti questi travagli il punto di arrivo è
identico al punto di partenza, c’è un oceano sconfinato davanti. «Ah!, non una passerella mi
condurrà là, ah! il cielo al di sopra di me non toccherà mai la terra ed il là non sarà mai qua».
Tra individuo e Assoluto esiste quindi una tensione positiva in quanto l’Assoluto è il fine verso cui
l’attività dell’individuo è indirizzata.
L’individuo deve porsi in relazione con l’assoluto, ricongiungersi con l’infinito.
Due termini che esprimono questo rapporto sono:
Entusiasmo (dal greco en theòs = in dio) che designa il momento in cui l’individuo avverte la
tensione verso l’infinito ed è quindi indotto a voler trascendere, soprattutto nella creazione artistica,
i limiti del finito.
Ironia (dal greco eironeia: simulazione - dissimulazione) nella poesia romantica indica
l’inadeguatezza avvertita dall’artista di ogni suo tentativo rispetto all’infinito ridendo di se stessi per
questo obiettivo irraggiungibile.
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Un altro elemento legato al titanismo è lo streben (cercare di, aspirare a…) come tensione continua
a migliorare se stessi attraverso l’azione e trasformando le cose. Un esempio di questo streben ci
viene fornito dal personaggio del Faust di Goethe, che nella sua prima stesura (Urfaust) rappresenta
l’aspirazione insaziabile dell’uomo a sempre nuove esperienze e realizzazioni, facendo dell’uomo
faustiano l’archetipo dell’uomo moderno.
6) Poesia e l’arte come organo della filosofia.
Un altro carattere del romanticismo è il primato riconosciuto alla poesia e in generale all’arte nei
confronti della scienza, della filosofia e in generale dell’attività razionale.
Dato che l’arte è espressione del sentimento, e dato che l’infinito è sentimento, l’espressione
migliore dell’infinito è nell’arte.
Schelling, come abbiamo visto, vede nel mondo l’opera d’arte dell’Assoluto e considera
l’esperienza estetica come la migliore via d’accesso ad intendere l’Assoluto stesso.
A questo proposito ricordiamo come Friedrich Schiller si pone in contrapposizione rispetto alla
concezione della morale in Kant, dove la razionalità controlla, si impone sulla sensibilità.
Schiller parla invece di “anima bella” dove la sensibilità di una persona contribuisce alla sua
moralità anziché contrastarla (vedi lettura T13 p. 105).
La sensibilità della persona contribuisce quindi alla sua moralità anziché contrastarla.
In quest’ottica il sentimento viene armonizzato con la ragione, per cui l’educazione estetica ci
conduce a non volere il male o a non fare il male non solo perché c’è un poliziotto interno (quello
kantiano) ma perché dal punto di vista estetico sentiamo, cogliamo il lato estetico turpe, brutto del
male.
Pertanto in Schiller l’arte ha una funzione educatrice in quanto rende l’uomo migliore attraverso il
sentimento e il cuore. Attraverso l’educazione artistica è possibile tradurre in azione la legge e il
dovere in quanto la legge e il dovere diventano un sentimento e, in particolare, sentimento di
popolo.
7) Individualità.
Abbiamo accennato anche alla riscoperta dell’individualità nel senso che l’individuo viene
considerato nella sua interiorità, con la sua storia, la sua psiche.
Diversamente dai romanzi settecenteschi dove il personaggi hanno un ruolo didascalico rispetto alla
tesi dell’autore, nei nuovi romanzi il personaggio possiede una propria vita, un propria personalità e
complessità.
Nascono nuovi generi: dal romanzo autobiografico I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe a
quello di formazione Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1796), sempre di Goethe.
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8) Naturphilosophie e concezione panteistica spiritualistica della natura.
Goethe, ma non solo, è un sostenitore della spiritualità della natura che si fa vero e proprio
panteismo, ma dal quale deriva un approccio scientifico organicistico e vitalistico.
La natura è pertanto vista come grande organismo animato da una forza divina presente in ogni sua
parte.
Il mondo è “la veste viva e variopinta di Dio” scrive Goethe.
Da questo punto di vista il romanticismo e l’idealismo sono molto vicini alla Naturphilosophie,
teoria filosofica che interpreta la natura in maniera parascientifica, negando quindi i presupposti
della scienza tradizionale e in particolare il meccanicismo e il materialismo.
Tale Naturphilosophie nega la materia in quanto tale ma la considera come manifestazione di
energie che agiscono su punti inestesi.
Per questo la Naturphilosophie suscitò un grande interesse per le nuove scienze dell’epoca come
l’elettrologia, il magnetismo e la biologia.
Ad esempio la Naturphilosophie utilizza il concetto di polarità – principio della teoria del
magnetismo - in maniera “mitologica” in quanto il suo significato viene esteso dalla natura
all’ambito sociale e culturale.
La polarità diviene pertanto il principio unificante del mondo naturale e di quello umano.
In un certo senso e in forma elaborata, la dialettica hegeliana prende ispirazione da questo
descrizione delle dinamiche naturali e Schelling ne fa un paradigma per la spiegazione dell’intera
natura.
Hölderlin (poeta): la spiritualità pervade la natura intesa come Assoluto, al cui interno l’uomo si
colloca come spiritualità cosciente. (Questa è la posizione di Schelling).
Novalis (scrittore): la natura è l’immagine dell’uomo. La spiritualità della natura deriva dall’uomo
che la plasma riconducendola a sé. (Questa è la posizione di Fichte).
9) La fede.
Il romanticismo si caratterizza per una riaffermazione della fede.
Ad esempio Friedrich Jacobi (1743-1819) riafferma la fede contro la razionalità illuministica in
quanto solo la fede ci consente di affermare, sulla base di un sentimento immediato, l’esistenza di
Dio, la libertà umana e di un mondo reale distinto dal soggetto.
Per Jacobi il problema centrale è quello della libertà e della morale ponendosi contro il
determinismo secondo cui ogni cosa ha delle cause meccaniche che implicano la non libertà.
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A l’idealismo però, e in particolare a Fichte, Jacobi rimprovera il fatto che non riesca ad uscire da
questo determinismo, che attraverso la deduzione lega in modo necessario ogni cosa alla sua causa,
perché deduce la realtà da un principio soggettivo (l’Io puro).
Pertanto, al metodo deduttivo proprio dell’intelletto che lega in maniera deterministica ogni cosa ad
una causa, Jacobi sostituisce l’intuizione della ragione.
La libertà umana si rivela come certezza dell’intuizione, come un sapere immediato che è la fede.
Il sovrasensibile, Dio, non può essere compreso dall’intelletto ma è conoscibile dalla ragione
intuitiva che rende possibile la conoscenza del bello, del buono, del vero in sé.
Un altro esponente della religiosità romantica è Schleiermacher (1768-1834) il quale interpreta la
religione come intuizione dell’infinito attraverso il sentimento.
La religione pertanto si traduce sul piano esistenziale come sentimento di dipendenza in quanto
l’uomo si avverte, percepisce come insufficiente a se stesso e incapace di comprendere se stesso.
La religione ha come fine quello di intuire l’infinito e di cogliere l’uomo come appartenente alla
totalità, come sintesi di finito e infinito.
Nei Discorsi sulla religione (1799) Schleiermacher sostiene che l’infinito è la totalità dell’essere la
cui spiritualità è espressa dal concetto di Dio. Dio pervade tutte le cose e non può esistere
separatamente dall’universo.
Tale visione panteistica (il “Deus sive natura” di Spinoza) è quella che caratterizza il primo
romanticismo come ad esempio il pensiero di Friedrich Hölderlin (1770-1843), secondo cui
l’amore è una forza unificatrice del singolo con l’infinito (idea poi ripresa da Hegel negli scritti
giovanili).
Nella Grecia classica – altro tema centrale di Hegel a proposito della figura della coscienza infelice
– Hölderlin ritrova la definizione del rapporto uno-tutto quale fondamento dell’essere e si traduce
per l’uomo nell’unità con la natura. Nella Grecia classica, infatti, il materiale e lo spirituale sono
conciliati, umano e divino sono una sola cosa, gli dei restano nel bel mezzo dell’umano.
Ciò lo si ritrova nel romanzo Iperione ovvero l’eremita in Grecia (1797-1799).
Testi e riferimenti bibliografici
Antonio Gargano, L’idealismo Tedesco. Schelling.
http://www.iisf.it/scuola/idealismo/schelling.htm
E. Ruffaldi, U. Nicola, Il pensiero plurale. Filosofia: storia, testi e questioni. L’Ottocento,
Loescher, 2013.
Vittorio Mathieu, Storia della Filosofia, Vol. 3, La scuola editrice, 1967.
Nicola Abbagnano, Storia della filosofia. 3, Utet, 2003.
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Pagine da studiare sul manuale
E. Ruffaldi, U. Nicola, Il pensiero plurale. Filosofia: storia, testi e questioni. L’Ottocento,
Loescher, 2013.
-pp. 14-24
-pp. 26- 37
- p. 38: Schleiermacher: il rapporto tra finito e infinito (prime 14 righe).
- pp. 61-62: Fichte “I Discorsi alla nazione tedesca”
Letture consigliate dal manuale: T 3: Novalis: La natura come specchio dell’uomo (p. 89); T 5:
Schelling: la natura come Spirito visibile (pp. 92-93); T 11: Fichte: La spiritualità del popolo (p.
103); T 12: Fichte: La lingua del popolo (p. 104); T 13: Schiller: Il gusto e la legge morale (pp.
105-106).
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