Dispensa di Nefrologia per Le professioni sanitarie Prof. Luigi Amoroso Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento Università “G.D’Annunzio” Chieti-Pescara UOC Nefrologia-Emodialisi Ospedale “SS Annunziata” Chieti 1 Cenni di anatomia del rene Anatomia Macroscopica I reni sono organi pari simili a due fagiuoli che si trovano nella parte posteriore dell’addome ai due lati della colonna vertebrale tra T12 e L3. Il rene dx è posizionato leggermente più in basso del rene controlaterale. Nell’adulto il rene presenta un diametro bipolare di circa 11-12 cm, largo da 5 a 7 cm e spesso 2.5-3 cm. Il suo peso è variabile da 120-170 gr. nell’uomo e 110-150 gr. nella donna. Ciascun rene presenta due poli uno superiore arrotondato ed in rapporto con la ghiandola surrenalica ed uno inferiore immerso nel tessuto adiposo perirenale, due margini uno esterno uniformemente convesso ed uno mediale concavo con al centro una depressione denominata ilo renale ove penetrano i vasi sanguigni renali, i nervi e i vasi linfatici ed una faccia anteriore ed una posteriore. I reni sono avvolti da una fascia renale che origina da uno sdoppiamento della lamina sottosierosa del peritoneo ed è costituita da tessuto connettivo denso. In prossimità del margine laterale del rene la fascia si sdoppia in due foglietti uno posteriore (fascia dello Zuckerkandl) ed uno anteriore (fascia di Gerota). I due foglietti in alto si uniscono al di sopra della ghiandola surrenale e si fissano al diaframma. Medialmente il foglietto posteriore si fissa alla colonna vertebrale mentre quello anteriore si unisce al foglietto controlaterale. La fascia perirenale è a sua volta circondata da grasso bianco dello spazio pararenale. I reni presentano una certa mobilità in relazione agli atti del respiro; durante l’inspirazione profonda essi si abbassano per poi risalire durante l’espirazione con un escursione di circa un corpo vertebrale. 2 Il rene dx contrae rapporti con il fegato, con la flessura dx del colon e medialmente con la II porzione del duodeno. Il rene sx contrae rapporti con la faccia posteriore dello stomaco, con la coda del pancreas, con la milza e con il colon discendente, con la flessura duodeno-digiunale e con le anse del tenue. Nella loggia lombare il rene è adagiato posteriormente sul pilastro lombo-costale del diaframma (in proiezione sulla XI e XII costa a sx e XII a dx), sul muscolo quadrato dei lombi, sul muscolo ileo-psoas. Sulla superficie del rene sezionato si possono distinguere due regioni diverse: una regione più esterna di colore più chiaro, di aspetto granuloso, denominata corticale ed una regione interna più scura, di aspetto striato chiamata midollare. La sostanza midollare è costituita da 8-18 segmenti a tronco di cono, con la base in alto a confine con la zona corticale, chiamati piramidi del Malpighi. L’apice si estende verso l’ilo renale fino a formare una papilla renale. Sulla sommità di ciascuna papilla vi sono 10-25 piccoli fori che rappresentano le terminazioni distali dei dotti collettori di Bellini. La sostanza corticale ha una spessore di 1-1,5 cm; essa forma un involucro sulla base di ogni piramide renale e si estende all’interno, tra le singole piramidi formando le cosiddette colonne renali del Bertin. La porzione corticale è la più ricca di glomeruli. Ogni papilla è circondata da un calice minore che ha una forma a “coppa di Champagne” che si continua in un segmento tubulare chiamato collo o infundibulo prima di riunirsi ad altri calici minori per confluire in tre sistemi caliceali maggiori (superiore medio ed inferiore) che confluiscono in un serbatoio denominato pelvi renale (fig.1) che si continua con l’uretere lungo 28-34 cm; il punto di passaggio tra le due strutture è denominato giunto pielo-ureterale. Così l’urina raccolta dalla pelvi viene convogliata 3 nell’uretere e successivamente nella vescica attraverso delle contrazioni ritmiche delle strutture muscolari Fig.1 Struttura esterna ed interna del rene Vascolarizzazione del rene I reni presentano una ricca vascolarizzazione che si sviluppa nel suo complesso per circa 160 Km di lunghezza. Nei reni circolano mediamente 1.100 ml di sangue al minuto. I principali vasi arteriosi sono costituiti dalle due arterie renali (dx e sx) di grosso calibro (5-7 mm) che originano dall’aorta quasi ad angolo retto ognuna delle quali entra nell’ilo renale e successivamente si divide in un ramo anteriore (prepielico) ed uno posteriore (retropielico). Questi a loro volta si dividono in rami sempre più piccoli: arterie segmentali, lobari, interlobari, arcuate, interlobulari, arterie glomerulari afferenti che raggiungono i propri glomeruli e si risolvono in una rete capillare (capillari glomerulari) che poi riunendosi darà origine all’arteriola efferente (rete mirabilis arteriosa). Dalle arteriole efferenti originano le arterie rette spurie che insieme a quelle vere contribuiscono alla irrorazione della midollare renale. Questi vasi si dirigono radialmente nella midollare per poi tornare verso la corticale e sboccare in 4 una vena arciforme o interlobulare. Le arteriole efferenti si sfioccano nella rete capillare peritubulare che circondano il tubulo in tutta la sua lunghezza. Dai capillari peritubulari originano rami venosi che formeranno le vene interlobulari che seguono le arterie in senso inverso fino a formare i rami venosi del seno e la vena renale posta anteriormente all’arteria renale che si getta nella vena cava inferiore. (Fig.2) Fig.2 La Vascolarizzazione Renale Anatomia Microscopica La struttura microscopica del rene è costituita da unità morfologiche e funzionali denominate nefroni. Ogni rene contiene 0.4-1.2 milioni di nefroni che tuttavia si riducono progressivamente con l’età. Ogni nefrone è costituito da un corpuscolo renale o del Malpighi (glomerulo e capsula di Bowman) che ha una funzione uropoietica e da un sistema di dotti escretori (tubuli) i quali convogliano l’urina verso l’apice delle piramidi e provvedono anche a modificarne la composizione. Il glomerulo è formato da una matassa di capillari costituita da uno strato fenestrato di cellule endoteliali, in stretto contatto con l’interposizione della membrana basale 5 con le cellule dell’epitelio viscerale, da una regione centrale di cellule mesangiali immerse nella matrice mesangiale e dal foglietto parietale della capsula di Bowman che è un calice a doppia parete e rappresenta l’estremità espansa e a fondo cieco di un tubulo renale che avvolge la matassa di capillari glomerulari. Il diametro del glomerulo è di circa 200µ. I due foglietti della capsula di Bowman delimitano uno spazio denominato urinario che si continua con il lume tubulare. (Fig.3) Fig. 3 Il glomerulo renale Il tubulo renale veicola il filtrato dallo spazio urinario sino al dotto collettore. Origina dal polo urinifero della capsula di Bowman tramite il tubulo contorto prossimale il quale scende inferiormente nelle piramidi midollari e continua con la porzione tubulare chiamata ansa di Henle (tratto discendente) che forma una curva ad U con la concavità rivolta verso la corticale per poi risalire (tratto ascendente) e continuarsi nel tubulo retto distale che risale nella corticale interna fino a costituire il tubulo contorto distale che si immette nel dotto collettore. Il dotto collettore è una struttura tubulare che accoglie l’urina da più tubuli renali e che successivamente sbocca nel dotto papillare. Il tubulo contorto prossimale ha la funzione di riassorbire 6 l’80-90% del filtrato glomerulare. Nell’ansa di Henle avvengono i principali processi di concentrazione delle urine. (Fig.4) Fig.4 Il nefrone 7 Le funzioni del rene Il rene assolve alle seguenti funzioni: 1) Funzione escretoria consistente nella produzione di urina 2) Funzione endocrina coinvolgente la sintesi e la degradazione di alcuni ormoni Funzione escretoria Attraverso la produzione di urina il rene provvede alla eliminazione di sostanze come urea, creatinina, ecc. e di prodotti esogeni quali farmaci. Provvede altresì a mantenere costante l’equilibrio idro-elettrolitico ed acido-base. La funzione escretoria avviene attraverso la filtrazione glomerulare (ultrafiltrazione) ed il trasporto tubulare. La filtrazione glomerulare è determinata dalla pressione di filtrazione (Pf) derivante dalla pressione idrostatica vigente nei capillari glomerulari (Pg) meno la pressione oncotica del plasma (Po) e la pressione all’interno della capsula di Bowman (Pc). Per cui: Pf=Pg-(Po+Pc). Poiché Pg e di 80-90 mmHg, Po è 25 mmHg e Pc è 15 mmHg, deriva che la pressione di filtrazione glomerulare è di 40-50 mmHg. Dei 600 ml di plasma che circolano nei reni in un minuto, circa il 20% è sottoposto a filtrazione glomerulare. Il volume del filtrato glomerulare (VFG) è infatti di 125 ml/min. La parete dei capillari glomerulari rappresenta la superficie dove ha luogo la filtrazione del plasma. Essa risulta costituita da tre strati: endotelio, membrana basale ed epitelio viscerale (Fig.5). Il filtrato glomerulare contiene sostanze con le medesime concentrazioni 8 rispetto al plasma. Solo le proteine ed i grassi si trovano in concentrazione nettamente inferiori. L’urina definitiva è priva di proteine pertanto la presenza di proteinuria è espressione di alterazioni strutturali a carico del glomerulo ed in una percentuale minore ad alterazioni di riassorbimento tubulare. Significative riduzioni della pressione di filtrazione glomerulare (<30 mmHg) portano ad una insufficienza escretoria. Fig.5 Struttura della pareti dei capillari glomeruli Circa 170 litri di acqua (preurina) sono filtrati giornalmente dai glomeruli, mentre la quantità di urina giornaliera non supera normalmente i 1000-1500 cc. Questo sottolinea l’entità del lavoro dei tubuli affinché venga mantenuta una omeostasi idroelettrolitica. Trasporto tubulare: le funzioni dei tubuli sono quelle di riassorbimento, escrezione e secrezione che si esplicano nei suoi vari segmenti (Fig. 6). Il riassorbimento tubulare 9 può richiedere energia (riassorbimento attivo) come per il sodio o seguire un gradiente di concentrazione (riassorbimento passivo) come per l’acqua. Fig. 6 I tubuli renali Le cellule del tubulo prossimale sono molto ricche di sistemi enzimatici e svolgono un notevole lavoro attivo; la composizione del fluido tubulare a tale livello, iso-osmotico con il plasma, viene notevolmente modificata rispetto al plasma. Glucosio, potassio, acido urico e amminoacidi vengono infatti completamente riassorbiti così come il 65% dell’acqua e sodio filtrati. Superato il tubolo prossimale il fluido tubulare (circa il 30% dell’iniziale filtrato) entra nell’ansa di Henle costituita da una porzione discendente ed una parte più spessa denominata porzione ascendente. In questa porzione avvengono ulteriori modifiche del filtrato. Il fluido tubulare raggiunge successivamente il tubulo distale le cui cellule compiono un notevole lavoro osmotico riassorbendo grosse quantità di Na+, Cl- ed altri soluti. Ioni potassio ed idrogenioni e 10 l’urea sono attivamente secreti. Arrivato ai tubuli collettori, il filtrato glomerulare si presenta nettamente modificato rispetto alle sezioni tubulari precedenti sia nel volume (1-2 ml/min) che nella osmolarità (1200 mOsm) e nel pH nettamente più acido (fino a 4.5). Funzione endocrina Per alcuni aspetti il rene può essere paragonato ad una vera e propria ghiandola endocrina. Esso è in grado di sintetizzare sostanze o fattori ad azione simil-ormonale. - La renina viene formata dalle cellule juxta-glomerulari contenute nell’arteriola afferente prima del suo ingresso nel glomerulo. La renina è in grado di scindere l’angiotensina I in angiotensina II che rappresenta un potente vasocostrittore. Il rene giuoca un ruolo importante nel controllo della pressione arteriosa non solo attraverso la sintesi della renina ma anche di altri fattori ad azione vasodilatatrice come le prostaglandine (PGI2 e PGE2). - L’eritropoietina (EPO) stimola l’eritropoiesi midollare. La sua produzione è stimolata dall’ipossia renale. Il deficit di sintesi di tale ormone è la causa più importante dell’anemia nel paziente con insufficienza renale. - Il calcifediolo (25OHD3) prodotto a livello epatico, subisce nel rene un nuovo processo di idrossilazione con la formazione di calcitriolo (1,25OHD3) che rappresenta il principio attivo della vitamina D di importanza fondamentale per l’assorbimento intestinale di calcio e per la normale mineralizzazione dell’osso. 11 Semeiotica Renale Il paziente affetto da patologie renali può presentare una serie di segni e sintomi che andiamo brevemente a ricordare. Dolore: la sintomatologia dolorosa a carico dell’apparato urinario rappresenta una delle condizioni più frequenti che spinge il paziente a consultazione medica. Spesso egli confonde il dolore di semplice origine muscolo-scheletrica con un dolore a partenza dal rene. Il dolore renale puro è di tipo viscerale, sordo, continuo e di lunga durata. Come sede è riferito nella regione lombare oppure nella regione del fianco o al di sopra dell’ombelico. Il dolore renale puro non ha tendenza ad irradiarsi a meno che non vi sia il contemporaneo interessamento della via escretrice urinaria. Le cause più frequenti del dolore sono rappresentate dai processi flogistici acuti renali (pielonefrite acuta), infarto renale, distensione acuta della capsula renale (emorragie), accrescimento rapido di masse tumorali. Il dolore da stasi cronica delle vie urinarie superiori risulta invece caratterizzato da una sensazione dolorosa modesta, sorda, localizzata nelle regioni latero-dorsali dei fianchi. Il dolore da colica renale è uno dei più intensi riferiti in ambito medico; esordisce in genere con un dolore lombare sordo a cui fa rapidamente seguito un dolore violento, lacerante con andamento parossistico ed accessionale. Nelle pause intervallari residua, in genere, un senso di tensione. Il dolore è dovuto alla dilatazione acuta del tratto urinario ed è localizzata in sede lombare o al fianco con irradiazione lungo il decorso dell’uretere fino ai testicoli o alle grandi labbra o alla punta del pene. Il paziente si presenta agitato, irrequieto e spesso si associa vomito. 12 Disturbi della minzione: un soggetto sano urina, generalmente, 200-300 ml di urina ogni 4-6 ore con un numero di minzioni di 4-6 volte ripartite nel periodo di veglia. Solo eccezionalmente vi è la necessità di alzarsi durante la notte per urinare. I disturbi della minzione possono riguardare le alterazioni della dinamica minzionale e le anomalie del volume urinario. Alterazioni del ritmo minzionale La pollachiuria identifica una condizione caratterizzata da un significativo incremento delle minzioni con emissione di piccole quantità di urine. Frequentemente si associa a disuria (difficoltà all’emissione di urine) o tenesmo vescicale. La pollachiuria può essere espressione di una ridotta capacità vescicale (neoplasie, ristagno urinario vescicale, nefrolitiasi, calcolosi vescicale, patologie prostatiche) o da irritazione del muscolo detrusore (infezioni della vescica). La disuria identifica la difficoltà nell’emissione dell’urina. Spesso nel maschio è descritta come una riduzione del getto urinario o come necessità di uno “sforzo di spingere” al fine di ottenere la minzione o di aumentarne la quantità. Numerose sono le cause responsabili della disuria tra queste le più frequenti sono rappresentate dalle infezioni dell’apparato urinario, dall’ostacolo al deflusso di urina (ipertrofia prostatica, calcolosi ureterale, stenosi dell’uretra), malattie sistemiche (Sindrome di Behcet). La stranguria è una condizione caratterizzata da una minzione dolorosa. Le cause di questo sintomo sono generalmente dovute ad infezioni delle basse vie urinarie. Alla stranguria si accompagna la disuria ed il tenesmo vescicale che identifica la fastidiosa sensazione di un nuovo ed urgente desiderio di urinare. 13 La nicturia identifica la necessità di urinare più di una volta durante la notte. Le cause possono essere ascrivibili ad una eccessiva assunzione di liquidi alla sera, terapia diuretica, scompenso cardiaco, insufficienza renale cronica, patologia prostatica. L’enuresi in genere notturna viene definita come l’emissione involontaria di urine durante la notte. Nei bambini è spesso espressione di disturbi psicologici anche se vanno escluse alterazioni dell’apparato uro-genitale, patologie del sistema nervoso e la poliuria. L’incontinenza urinaria è l’involontaria emissione di urine conseguenza di una alterazione dell’equilibrio tra tono del muscolo detrusore e tono dello sfintere ureterale esterno. Frequentemente responsabili di tale sintomo sono il cistocele, il prolasso uterino (incontinenza da sforzo), infezioni, patologie neurologiche. Anomalie del volume urinario Poliuria: il volume urinario varia nelle 24 ore da 500 a 2000 ml, con valore medio di 1500 cc. Ovviamente esso risente dalla quantità di liquidi ingeriti, dalla traspirazione cutanea e da eventuali perdite (vomito, diarrea). La poliuria identifica un volume urinario giornaliero superiore a 2500-3000 cc. Essa può essere causata da una aumentata assunzione di acqua, da un aumento della perdita di acqua con le urine (diabete insipido), da sostanze ad azione osmotica (urea, glucosio, mannitolo) o da un alterato riassorbimento tubulare (tubulopatie). L’oligo-anuria: emissione di urine nelle 24 ore < 500 ml. Per anuria si intende un volume urinario < 100 ml/24 ore. E’ espressione di IRA nelle sue varie forme. Può tuttavia essere una condizione fisiologica che riflette una ridotta assunzione di liquidi. 14 Principali esami di laboratorio di interesse nefrologico L’esame delle urine L’esame delle urine è un esame di fondamentale importanza nell’inquadramento del paziente nefropatico. Rappresenta un esame facilmente eseguibile, con costi bassissimi e le informazioni che si possono ottenere sono enormi. L’importanza di tale esame, tuttavia, è spesso sottovalutata se non addirittura ignorata. L’esame delle urine consta di un esame chimicofisico e di un esame del sedimento urinario. Per eseguire l’esame delle urine standard vengono utilizzati campioni di urine emesse al mattino. Analisi chimico-fisica L’esame chimico-fisico delle urine può essere effettuato in ambulatorio mediante sticks multipli a lettura colorimetrica diretta. Si valutano i seguenti parametri: Colore. Le urine sono normalmente di un colore giallo paglierino anche se l’intensità del colore risente del suo peso specifico. In numerose patologie si può avere una variazione del colore. Le urine possono essere di colore rosso, espressione frequentemente di sangue (macroematuria). Una colorazione rossastra può essere presente in corso di mioglobinuria, porfirinuria o a seguito dell’assunzione di alcuni farmaci (rifampicina, amidopirina) o di coloranti (barbabietole, rabarbaro). Una colorazione arancione è generalmente evidenziabile a seguito di assunzione di farmaci (nitrofuranici) o in corso di patologie epatiche. Un colore scuro (coca-cola) è 15 caratteristico della presenza di emoglobina (ematuria a partenza dal rene o dalle alte vie escretrici). Odore. L’odore dell’urina, normalmente denominata “sui generis” è leggermente acidulo ed è dovuto alla presenza dell’urinoide. Urine maleodoranti associate ad un aspetto torbido sono espressione di una infezione delle vie urinarie. Aspetto. Le urine sono limpide e trasparenti. La torbidità può apparire in corso di infezioni delle vie urinarie per la presenza di grandi quantità di leucociti oppure in corso di aumentata escrezione di fosfato o urato. Le urine schiumose sono espressione di marcata proteinuria. Peso specifico. Il peso specifico presenta ampie oscillazioni; esso può variare tra 1005 e 1032. Esso è strettamente in funzione del tipo e della concentrazione delle sostanze in essa disciolte. Esprime la capacità del rene a concentrare l’ultrafiltrato ed in condizioni fisiologiche è indice dello stato di idratazione dell’organismo. Un incremento del peso specifico si può evidenziare in corso di disidratazione, glicosuria, proteinuria massiva. Una riduzione è caratteristica di una riduzione cronica della funzione renale, da una iperidratazione e nel diabete insipido. pH. Indica il grado di acidificazione delle urine e rappresenta la regolazione dell’equilibrio acido-base da parte del rene. Le urine sono normalmente acide con pH tra 5-6. Stati febbrili, digiuno prolungato, acidosi possono incrementare l’acidità delle urine mentre un incremento del pH urinario si documenta in corso di dieta vegetariana, infezioni delle vie urinarie, assunzione di bicarbonato di sodio, alcalosi, acidosi tubulare renale. La determinazione del pH urinario risulta di estrema utilità nei pazienti affetti da calcolosi renale. Glucosio. Le urine non contengono quantità misurabili di glucosio. La sua presenza è espressione di elevati valori glicemici nel sangue (diabete mellito) o in rari casi di diabete renale secondario a ridotta soglia di riassorbimento tubulare. Possono 16 verificarsi delle false glicosurie per la presenza nelle urine di sostanze con potere riducente (lattosio, fruttosio). Proteine. A livello glomerulare vengono filtrate la maggior parte delle proteine con Peso Molecolare <50000 Dalton che vengono pressochè totalmente riassorbite nel tratto del tubulo prossimale. Nel soggetto normale l’escrezione di proteine urinarie è inferiore a 150 mg/24 ore. Una proteinuria superiore ai livelli di normalità è espressione di una nefropatia. Esistono tuttavia alcune condizioni fisiologiche come la prolungata stazione eretta, un intenso sforzo fisico, in corso di febbre ove è possibile documentare la presenza di una modesta proteinuria dosabile che non supera 1 g/24 ore e che scompare una volta risolte le condizioni che l’hanno determinata. Proteinurie elevate sono sempre l’espressione di un danno glomerulare con alterata permeabilità della parete capillare glomerulare. Si è soliti distinguere: - Proteinuria nefrosica quando la quantità di proteine è > 3.5 g/24 ore - Proteinuria non nefrosica quando la quantità di proteine è < 3.5 g/24 ore - Microalbuminuria quando la quantità di proteine non è identificabile attraverso il normale esame delle urine. La quantità di albumina nelle urine è compresa tra 30 e 300 mg/24 ore. E’ espressione di danno renale precoce. Emoglobina. Il riscontro di emoglobinuria è espressione di sangue nelle urine o di emoglobina filtrata a livello glomerulare come si verifica in corso di emolisi intravascolare. La presenza di emoglobina in associazione con il riscontro di eritrociti al livello del sedimento urinario è espressione di ematuria. Si distinguono due forme di ematuria: microscopica e macroscopica. La prima è documentabile solo attraverso l’esame delle urine mentre la seconda è visibile ad occhio nudo. Poiché l’emoglobina si trasforma in ematina nell’urina acida, la macroematuria di origine renale sarà solitamente color thè carico o coca-cola a differenza di una macroematuria di pertinenza della bassa via escretrice urinaria che presenterà un colore rosso vivo. 17 Pigmenti biliari (urobilina ed urobilinogeno). Si riscontrano solitamente in corso di epatopatie associate ad ittero. Bilirubina. Normalmente assente nel urine o riscontrabile in piccolissima quantità. Si riscontra in corso di epatopatie, ittero, talassemia, anemia emolitica Corpi chetonici. Sono scorie acide prodotte dall’organismo in particolari situazione di stress metabolico (digiuno, febbre elevata). Di norma sono assenti nelle urine. Caratteristica è la loro presenza in corso di scompenso diabetico (chetoacidosi diabetica, coma diabetico). Nitriti. La presenza di nitriti nelle urine è espressione di una infezione delle vie urinarie. Si associa a leucocituria e alla presenza di esterasi leucocitaria. Esterasi leucocitaria. Rileva la presenza di esterasi un enzima rilasciato dai leucociti. Il suo riscontro, soprattutto se associato a alla positività per i nitriti urinari fornisce un eccellente screening per identificare una infezione delle vie urinarie. Esame microscopico del sedimento urinario L’esame viene effettuato su urine fresche con centrifugazione a bassa velocità (1000 rpm per 5-10’) per evitare la rottura dei globuli rossi e dei cilindri. Dopo ave eliminato il sopranatante, si aspira con una pipetta una goccia di urina posta nel fondo della provetta che viene depositata su un vetrino ed esaminata al microscopio con ingrandimento (200-400 x) valutando diversi campi. Gli elementi figurati che possono essere valutati alla osservazione del sedimento urinario sono: Globuli rossi: (vn <2 GR/per campo microscopico) appaiono come lenti biconcave. Possono avere un contorno uniforme (se di origine dalle basse vie urinarie) (Fig. 7A) o 18 avere un aspetto dismorfico (se di origine glomerulare) (Fig. 7B). Il loro riscontro identifica la presenza di microematuria. Fig. 7 A Globuli rossi isomorfi nel sedimento urinario B Globuli rossi distrofici nel sedimento B A Globuli bianchi: (vn < 3 GB/per campo microscopico). La presenza di una significativa quantità di leucociti si osserva tipicamente nelle infezioni delle vie urinarie, nella calcolosi urinaria o in alcune nefropatie tubulo-interstiziali (Fig. 8) Fig. 8 Leucociti nel sedimento urinario Cellule epiteliali: di pertinenza della via escretrice urinaria sono cellule voluminose di aspetto poligonale. Queste cellule sono abbondanti in corso di infezioni. (Fig. 9) Fig.9 Cellule epiteliali nel sedimento urinario Cilindri: (vn < 1/ogni due campi microscopici) sono aggregati di forma cilindrica (stampo del lume tubulare) e sono costituiti da una matrice proteica nella quale 19 possono essere inclusi o adesi elementi cellulari come globuli rossi, leucociti e cellule epiteliali. Quelli di maggiore riscontro sono: - Ialini: costituiti prevalentemente da mucoproteine. Possono essere presenti anche nel soggetto sano dopo intenso sforzo. (Fig. 10) Fig. 10 Cilindri ialini nel sedimento urinario - Granulosi: presenza di matrice proteica. La loro presenza è fortemente indicativa di nefropatia. (Fig. 11) Fig. 11 Cilindro granuloso nel sedimento urinario - Eritrocitari: presenti in corso di glomerulonefriti. Hanno un colore marroncinogiallastro. - Leucocitari: formati dall’aggregazione di globuli bianchi sono indicativi di infezione del parenchima renale o in corso di alcune forme di nefropatia tubulointerstiziale. - Epiteliali: si formano per adesione di cellule desquamate dal tubulo. Si possono osservare nella necrosi tubulare acuta. 20 - Cristalli: possono essere di acido urico, ossalato di calcio, fosfato di calcio, cistina, fosfato ammonio-magnesiaco (fig. 12). La presenza di una cristalluria intensa pone il sospetto di una nefrolitiasi. A B C Fig. 12 Cristalli di acido urico (A), Ossalato di Calcio (B), Cistina (C), Fosfato ammonio magnesiaco (D) D Urinocoltura Questo esame consente di individuare la presenza di batteri nelle urine, di precisarne il germe e la carica batterica. L’urinocoltura rappresenta l’esame diagnostico principale nel sospetto di una infezione delle vie urinarie. Il campione da esaminare deve essere prelevato rispettando una serie di accorgimenti per limitare la possibilità di inquinamento: lavaggio accurato dei genitali, urine del risveglio prelevando il mitto intermedio, utilizzo di un contenitore sterile. Sono possibili altre metodiche per il 21 prelievo delle urine come il cateterismo vescicale, l’uso di condom, puntura sovrapubica. L’urinocoltura si definisce positiva quando la carica batterica e ≥ 100000 batteri/ml di urina. L’esame colturale delle urine viene completato dall’antibiogramma che definisce la sensibilità del germe identificato nei confronti dei vari antibiotici. Nel sospetto di una infezione tubercolare si esegue la ricerca del bacillo di Koch su tre campioni distinti di urine prelevati in 3 giorni differenti. Indagini Immunologiche Molte malattie nefrologiche, in particolar modo le glomerulo nefriti, riconoscono come fattori patogenetici, alterazioni del sistema immunitario. Pertanto la determinazione di alcuni dei principali parametri immunologici riveste grande significato nell’inquadramento del paziente nefropatico. Protidemia totale ed elettroforesi siero proteica: Le proteine nel sangue ed in particolar modo l’albumina sierica, rivestono un ruolo fondamentale nel mantenimento della pressione oncotica plasmatica, nel trasporto di sostanze nutritive, di farmaci e di altre sostanze biologicamente attive. I valori normali nel sangue sono compresi tra i 6-8 g/100 ml. L’elettroforesi siero proteica (fig. 13) è in grado di valutare le varie frazioni proteiche. Si identificano 5 frazioni: l’albumina (50-60%), le alfa1-globuline (3-5%), le alfa2-globuline (5-10%), le beta-globuline (10-15%) e le gamma-globuline (15-20%). Alterazioni dell’elettroforesi siero-proteica sono evidenti in corso di Sindrome nefrosica, nelle malattie sistemiche autoimmunitarie (LES), epatopatie croniche, stati infiammatori e nel plasmocitoma. 22 Fig. 13 Elettroforesi sieroproteica nel soggetto normale e nel soggetto con sindrome nefrosica Complemento: è costituito da una serie di proteine plasmatiche che si attivano in corso di risposta immunitaria e giuoca un ruolo determinante nei processi di lisi cellulare, chemiotassi delle cellule fagocitarie e l’opsonizzazione di microorganismi patogeni. Determinante è la sua azione nella patogenesi di numerose glomerulonefriti. Immunocomplessi: sono aggregati costituiti da molecole antigeniche e da molecole anticorpali prodotte dall’organismo in risposta alla stimolazione antigenica. Come per il sistema complementare, gli immunocomplessi circolanti rivestono un ruolo fondamentale nelle glomerulonefriti. 23 Esplorazione Funzionale del Rene La valutazione del volume del filtrato glomerulare (VFG) è il più utile indicatore della massa nefronica funzionante. Per la sua stima, si ricorre alla valutazione delle clearances (volume di plasma totalmente depurato da una determinata sostanza in 1 minuto), di alcune sostanze. Il calcolo della clearance di una sostanza espressa in ml/min è data dalla seguente formula: U X V/P ove U (mg/ml) è la concentrazione della sostanza nelle urine, V è il volume nell’unità di tempo (es. una diuresi giornaliera di 1800 cc il volume espresso in ml/min (1800/1440) risulta pari a 1,25 ml/min) e P è la concentrazione plasmatica della sostanza (mg/ml). La clearance della creatinina è nella pratica clinica utilizzata come indice del filtrato glomerulare (vn: 90-140 ml/min/1,73 m2). La creatinina viene eliminata quasi esclusivamente per filtrazione glomerulare e solo in minima parte per secrezione tubulare. Per la determinazione della clearance della creatinina (CCr) sono necessari una raccolta esatta delle urine delle 24 ore per calcolare il V (volume in ml/min) e la creatininuria (mg/ml) ed un prelievo di sangue a digiuno per determinare la concentrazione della creatininemia (mg%). La raccolta delle urine delle 24 ore può rappresentare un ostacolo alla esatta determinazione della clearance della creatinina pertanto si ricorre all’utilizzo di alcune formule matematiche che tengono conto soltanto della concentrazione ematica della creatinina. La formula di gran lunga più utilizzata è quella di Cockroft e Gault: (140-età) x peso corporeoin Kg/ (72 x creatininemia in mg%) tale risultato deve essere moltiplicato per 0.85 nella donna. Tuttavia questa formula presenta due variabili (il peso corporeo e l’età) che possono inficiare una stima accurata della clearance della creatinina. Pertanto attualmente 24 formule più attendibili della Cockroft e Gault sono rappresentate rispettivamente dalla MDRD (Modification Diet Renal Disease) semplificata: 186 x (creatinina sierica/1,154 x età/ 0,203) x 0,742 se femmina e x 1,210 se africano e la CKD-EPI. Entrambe queste formule non tengono in considerazione il peso corporeo del paziente. Queste formule sono facilmente scaricabili da internet. Nella pratica clinica una rapida stima della funzione renale può essere fatta dalla valutazione dei livelli di creatininemia. Un incremento di tale valore identifica la presenza di una ridotta funzione renale. Un nuovo marcatore della funzione renale più sensibile della creatinina ma sicuramente più costoso e non eseguibile in tutti i laboratori è la cistatina C, una proteina non glicosilata appartenente alla famiglia degli inibitori delle proteasi cisteiniche che viene prodotta e rilasciata con una velocità costante da tutte le cellule nucleate e non viene influenzata dal sesso, età e massa muscolare come avviene per la creatinina. I valori normali sono compresi tra 0.53-0.95 mg/L. 25 Esami strumentali di interesse nefrologico La biopsia renale Rappresenta una indagine fondamentale per la diagnosi di numerose nefropatie soprattutto glomerulari e riveste un ruolo importante nella valutazione prognostica e terapeutica. Consiste nel prelevare sotto guida ecografica con aghi speciali automatici e semi automatici di calibro variabile (14-18 Gauge), per via trans-cutanea ed in anestesia locale, un frustolo renale di circa 10 mm e processarlo per la microscopia ottica, per l’immunofluorescenza ed in casi selezionati per la microscopia elettronica. Il prelievo viene effettuato, con paziente in posizione prona, a carico del polo inferiore del rene di sx. Le lesioni che si evidenziano sono speculari a quelle del rene contro laterale poiché le patologie in cui è indicata l’esecuzione della biopsia renale interessano contemporaneamente entrambi i reni. Indicazioni alla biopsia renale: 1) Sindrome nefrosica 2) Sindrome nefritica acuta 3) Reperti urinari isolati 4) Alcune forme di Insufficienza Renale Acuta 5) Insufficienza Renale Cronica di incerta origine (fase iniziale) 6) Macroematuria recidivante non urologica 7) Trapianto renale (disfunzioni precoci e tardive) Controindicazioni alla biopsia renale: 1) Diatesi emorragiche non correggibili o farmacologicamente indotte 26 2) Pazienti non collaboranti 3) Presenza di rene unico 4) Ipertensione arteriosa severa 5) Gravidanza 6) Presenza di cisti multiple Complicanze: 1) Macroematuria (5-6%) 2) Ematoma perirenale (1-20%) 3) Anemizzazione importante (0.1-0.5%) 4) Fistola artero-venosa (1-15%) Le informazioni ottenibili con la biopsia renale dipendono dalla adeguatezza del campione prelevato. Un campione risulta tecnicamente idoneo quando contiene almeno 7-10 glomeruli. Prima di eseguire la biopsia renale il paziente deve sottoscrivere il consenso informato. (Fig. 14, Fig. 15) Fig. 15 Sindrome di Goodpasture - Immunofluorescenza Fig. 14 Glomerulonefrite a lesioni minime - Microscopia Ottica 27 Ecografia Renale E’ un esame largamente utilizzato nella pratica clinica che fornisce numerose ed importanti informazioni riguardante il numero, la forma, le dimensioni dei reni, la presenza di masse renali sia solide che cistiche, di calcoli, di ostruzioni della via escretrice. Il riscontro di reni di dimensioni ridotte, con riduzione dello strato esterno ipoecogeno (corticale) è indicativo di una insufficienza renale cronica. A tale metodica può essere associato l’esame eco-color-doppler per lo studio della vascolarizzazione renale. Urografia endovenosa Esame molto utilizzato in passato è oggi sostituito dalla TAC. Questo esame grazie alla somministrazione di mezzo di contrasto consente di valutare l’anatomia della via escretrice urinaria (calici, pelvi, ureteri, vescica ed uretra). Oltre alla presenza di anomalie di forma e dimensioni delle vie urinarie si possono evidenziare dei difetti di riempimento o differenze funzionali tra i due reni in rapporto all’acquisizione e alla eliminazione del mezzo di contrasto. Angiografia Renale e Angio TC Sono metodiche radiologiche per evidenziare la vascolarizzazione renale. Tomografia Assiale Computerizzata (TAC) Visualizza un immagine che deriva dall’analisi di un fascio di raggi X che è trasmesso attraverso il paziente ed è ricostruita al computer. La capacità di risoluzione spaziale di contrasto aumentata dalla somministrazione di mezzo di contrasto, pongono la TAC come esame fondamentale nella diagnosi di numerose patologie dell’apparato urinario. 28 Essa rappresenta il gold standard nella diagnosi della pielonefrite acuta e nei processi neoplastici. Risonanza Magnetica Nucleare Questo esame non prevede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti ma campi magnetici. I principali vantaggi sono rappresentati dall’elevato potere di contrasto e di risoluzione e dalla possibilità di acquisizione delle immagini multiplanaria. Si possono impiegare mezzi di contrasto paramagnetici (es Gadolinio). Indagini radioisotopiche Le metodiche di medicina nucleare con l’impiego di traccianti (99mTc-DPTA, 99mTCMAG3, 123 I e 131 I-OIH) consentono lo studio della fisiopatologia del rene e delle vie urinarie. Anche se non sono molto utilizzate nella pratica clinica, esse forniscono utili informazioni sui disordini reno-vascolari, sulla valutazione della funzione renale sia per le patologie mono che bilaterali, sulle infezioni renali (reflusso vescicoureterale). 29 Classificazione delle nefropatie In rapporto alla localizzazione delle lesioni le nefropatie possono essere suddivise in: 1) Nefropatie glomerulari (glomerulonefriti) 2) Nefropatie tubulari 3) Nefropatie interstiziali 4) Nefropatie vascolari Nefropatie Glomerulari Per glomerulonefrite si intende una malattia infiammatoria che colpisce primitivamente ed elettivamente il glomerulo renale e successivamente può interessare le altre strutture renali (tubuli, interstizio e vasi). Sono condizioni morbose che interessano i reni bilateralmente in maniera reversibile o irreversibile. Si distinguono in forme primitive (virali, batteriche, idiopatiche) e secondarie in corso di malattie sistemiche (lupus eritematoso, diabete, amiloidosi, ecc.). La patogenesi delle glomerulonefriti non è stata ancora definitivamente chiarita. Nella maggior parte dei casi la patogenesi è da ricondurre all’attivazione del sistema immunitario in grado di generare immunocomplessi circolanti (ICC), immunocomplessi che si formano direttamente nelle strutture del rene, anticorpi anti-strutture glomerulari (autoimmunità) o a seguito di una aberrante attivazione dell’immunità cellulo-mediata. La formazione in situ di immunocomplessi o la deposizione di essi a livello renale, provoca l’attivazione del sistema complementare con conseguente 30 risposta infiammatoria e produzione di sostanze enzimatiche che generano un danno a carico delle strutture glomerulari. In alcune forme di glomerulonefriti (in corso di diabete, amiloidosi) non è stato riconosciuto un meccanismo immunologico sicuro. Indipendentemente dai meccanismi patogenetici responsabili e dalle lesioni morfologiche che ne caratterizzano le varie forme, le nefropatie glomerulari si manifestano clinicamente con un numero limitato di sindromi derivanti dalla combinazione di alcune conseguenze fisiopatologiche del danno glomerulare come l’ematuria, la proteinuria, l’ipertensione arteriosa e la riduzione della funzione renale. Le principali sindromi cliniche in corso di glomerulonefriti sono: 1) Sindrome nefrosica 2) Sindrome nefritica 3) Reperti urinari isolati 4) Macroematuria ricorrente 5) Glomerulonefrite rapidamente evolutiva 6) Sindrome glomerulare cronica Sindrome nefrosica Tre fondamentali segni clinico-laboratoristici caratterizzano e definiscono la sindrome nefrosica: a) Proteinuria b) Ipodisprotidemia c) Edemi 31 La proteinuria nella sindrome nefrosica è > ai 3.5 g/die e in alcuni casi severi può arrivare ai 25g/die. Essa consegue all’aumentata permeabilità della membrana basale glomerulare alle proteine plasmatiche soprattutto all’albumina. Le alterazioni più tipiche del profilo proteico sono rappresentate da una riduzione delle proteine totali < 6 g%, da una riduzione dell’albuminemia < 3g%, da un incremento delle alfa2 e beta-globuline e da una riduzione delle gamma-globuline <10% in particolar modo della frazione delle IgG. Queste alterazioni sono caratteristicamente evidenziabili all’esame elettroforetico delle proteine sieriche (fig. 13). L’edema rappresenta un accumulo di liquidi negli spazi interstiziali. La presenza dell’edema è il segno più caratteristico della sindrome nefrosica. Esso è riscontrabile nelle porzioni declivi, come negli arti inferiori dove può essere imponente (edemi colonnari), in regione sacrale e allo scroto. Nei casi più severi l’accumulo di liquidi piò essere documentato anche a livello delle cavità sierose configurando lo stato anasarcatico. La patogenesi dell’edema è da riferire alla riduzione di livelli circolanti di albumina a cui consegue riduzione della pressione oncotica con “trasudazione” di liquido dallo spazio intravascolare a quello extravascolare. La relativa ipovolemia che ne consegue induce una attivazione dei meccanismi favorenti la ritenzione sodica, in particolare la secrezione di aldosterone (iperaldosteronismo secondario) con successivo riassorbimento tubulare del sodio ed aggravamento dello stato edemigeno. Importante è il monitoraggio della diuresi giornaliera e dell’andamento del peso corporeo che rappresentano i parametri clinici fondamentali per monitorare la risposta alla terapia medica. La funzione renale in corso di sindrome nefrosica è generalmente normale. Nella sindrome nefrosica inoltre è presente un quadro di iperlipemia caratterizzato prevalentemente dall’incremento dei livelli dei trigliceridi ed in maniera più significativa del colesterolo totale, mentre il colesterolo HDL è normale o lievemente 32 ridotto. Alla genesi dell’iperlipemia concorrono la riduzione dell’attività della lipasi lipoproteica e l’ipoalbuminemia. Le complicanze della sindrome nefrosica sono: • Trombosi venose (cavale, vena renale) a causa di uno stato di ipercoagulabilità (aumento del fibrinogeno, dei fattori V e VIII, dell’aggregabilità delle piastrine e delle riduzione plasmatica dell’antitrombina III). • Aumentata suscettibilità alle infezioni dovute ad una alterazione dell’immunità umorale conseguente alla perdita urinaria di immunoglobuline. • Complicanze aterosclerotiche favorite dalla iperlipemia. • Malnutrizione indotta dalla notevole perdita proteica. I principali presidi terapeutici nel trattamento della sindrome nefrosica, sono rappresentati dalla terapia nei riguardi della nefropatia glomerulare responsabile della proteinuria e da una serie di farmaci finalizzati alla mobilizzazione dell’edema come i diuretici, la riduzione dell’apporto di sale con la dieta e gli antialdosteronici. L’infusione dell’albumina non è in grado di ripristinare i livelli circolanti ma in associazione alla terapia diuretica può potenziarne l’azione a riguardo l’incremento della diuresi. Da un punto di vista istologico le glomerulonefriti che maggiormente sono responsabili della sindrome nefrosica sono: la glomerulonefrite membranosa, la glomerulonefrite a lesioni minime, la glomerulosclerosi focale e segmentale e la glomerulonefrite membrano-proliferativa. 33 Sindrome nefritica acuta E’ caratterizzata dai seguenti segni clinici e reperti urinari: • Ematuria • Proteinuria < 3 g/die • Edemi perimalleolari e periorbitali • Ipertensione arteriosa • Insufficienza renale acuta oligurica Le cause più frequente sono rappresentate dalla glomerulonefrite acuta postinfettiva, dalla porpora di Schonlein-Henoch, dalle vasculiti quali lupus. L’ematuria è generalmente macroscopica (macroematuria) con emissione di urine color rosso brunastro (coca-cola). La proteinuria non raggiunge mai l’intensità presente nella sindrome nefrosica. Essa può concorrere alla formazione dell’edema alla cui genesi tuttavia concorre la ritenzione idro-sodica secondaria alla ridotta funzione renale con oliguria. Esse sono espressione del danno glomerulare che deriva dalla infiammazione della membrana basale glomerulare e del mesangio. Reperti urinari isolati Con questo termine si fa riferimento ad una peculiare presentazione delle nefropatie glomerulari caratterizzate da: • Anamnesi silente per affezioni dell’apparato urinario • Assenza di segni e sintomi clinici riferibili a nefropatia o a malattie sistemiche 34 • Riscontro incidentale, in pieno benessere, di una modesta microematuria o a proteinuria (< 1-1,5 g/die) che compaiono isolatamente o in associazione tra loro e funzione renale normale Tale condizione merita estrema attenzione poiché i reperti urinari isolati sono frequentemente la spia di una nefropatia glomerulare che se non diagnosticata e trattata precocemente, può evolvere verso la progressiva perdita della funzione renale. Qualora a seguito di ripetuti controlli delle urine venisse confermata la presenza di reperti urinari isolati vi è l’indicazione a sottoporre il paziente a biopsia renale. Macroematuria ricorrente E’ caratterizzata dalla comparsa di urine macroematuriche che si ripete più volte nel tempo in pieno benessere o preceduti da episodi flogistici infettivi più frequentemente a carico delle vie aeree superiori (dopo 1-2 giorni) oppure possono comparire dopo sforzo intenso. Il colore delle urine, rosso-scuro o francamente ematiche può sommariamente indirizzarci verso la sede della lesione responsabile della macroematuria. Inoltre la contemporanea presenza all’esame urine di cilindri e proteinuria dosabile, specie se persistente anche tra un episodio di macroematuria e l’altro, è indicativo di una nefropatia glomerulare (es. glomerulonefrite di Berger). Anche di fronte ad una macroematuria ricorrente, cosi come nei reperti urinari isolati è importante non minimizzare tali manifestazioni cliniche che possono essere ascrivibili ad affezioni del glomerulo. Qualora l’esame urine documenti solo la presenza di emazie vanno prese in considerazione anche le altre patologie della via escretrice renale o le malformazioni vascolari. Pertanto può risultare utile, in corso di macroematuria ed in casi selezionati, l’effettuazione di una cistoscopia che ci evidenzia la provenienza delle urine ematiche. 35 Glomerulonefrite rapidamente evolutiva Rappresenta sicuramente la forma più severa di presentazione delle nefropatie glomerulari. Si manifesta come una sindrome nefritica acuta o come una insufficienza renale acuta. La perdita definitiva della funzione renale avviene nel giro di alcune settimane se non opportunamente e tempestivamente trattata. Le glomerulonefriti che più frequentemente possono manifestarsi sotto tale forma sono quelle in corso di malattie vascolari sistemiche, la Sindrome di Goodpasture, la porpora di SchonleinHenoch, nelle malattie sistemiche, la glomerulonefrite di Berger. L’elemento istologico caratterizzante la glomerulo nefrite rapidamente progressiva è la presenza di “semilune” dovute alla proliferazione in strati multipli delle cellule epiteliali capsulari che interessano l’intera circonferenza del glomerulo con successiva compressione e collasso della matassa capillare del glomerulo. Sindrome glomerulare cronica Essa rappresenta l’evoluzione di tutte le forme di glomerulonefrite. Clinicamente si manifesta con i segni e sintomi dell’insufficienza renale cronica in particolar modo: ipertensione arteriosa, la nicturia, l’anemia. All’esame urine è documentabile una microematuria e proteinuria associata al riscontro di un incremento della creatinina e dell’urea sierica. Generalmente non vi è indicazione ad eseguire una biopsia renale che non risulta diagnostica per lo stadio avanzato delle lesioni. 36 Nefropatie Tubulo-Interstiziali Le nefropatie tubulo-interstiziali (NTI) rappresentano un gruppo eterogeneo di malattie renali, a diversa eziopatogenesi, le cui alterazioni istologiche sono documentabili primitivamente ed elettivamente nell’interstizio e nei tubuli renali. Le nefropatie tubulo-interstiziali sulla base dei meccanismi eziopatogenetici vengono classificate: • Da cause infettive (Pielonefrite acuta e cronica) • Da cause immunologiche (forma immunoallergica) • Da cause tossiche (farmaci, metalli pesanti) • In corso di malattie metaboliche (acido urico, ossalato, ipercalcemia) • Forme congenite e/o ereditarie (rene policistico) • In corso di malattie neoplastiche (mieloma, linfomi, leucemie) • In corso di malattie granulomatose (sarcoidosi) • In corso di malattie immunologiche sistemiche (LES, Sindrome di Sjogren) • Altre cause (radiazioni ionizzanti, virus di Epstein-Barr) Trattandosi di forme prevalentemente croniche, nella maggior parte dei casi il paziente è asintomatico. Nelle forme caratterizzate da una elevata perdita di sodio o potassio, può essere presente poliuria associata ad astenia e tendenza all’ipotensione arteriosa. Quando con il tempo si sviluppa una riduzione della funzione renale, sono presenti i caratteristici segni e sintomi clinici dell’insufficienza renale cronica. 37 Da un punto di vista laboratoristico a seconda del segmento tubulare interessato si osserverà: • Aumento della perdita urinaria di bicarbonato di sodio, glucosio, aminoacidi, fosfato ed acido urico (danno del tubulo prossimale) • Poliuria, aumentata perdita di sodio con le urine ed acidosi metabolica (danno tubulo distale) • Modesta proteinuria (non superiore a 1-1,5 g/die), lieve microematuria e leucocituria, alterazioni elettrolitiche, aumento della creatinina ed azotemia in corso di IRC. • Anemia (quando compare una riduzione della funzione renale) Pielonefrite Acuta La pielonefrite acuta (PNA) è una infezione batterica acuta che interessa in maniera concomitante il parenchima e la pelvi renale. E’ una condizione morbosa in netto aumento che interessa soprattutto le donne giovani che sono colpite 5 volte più frequentemente degli uomini ma presentano una minore mortalità. Siamo soliti riconoscere una forma primitiva quando non sono presenti fattori di rischio per le Infezioni delle Vie Urinarie (IVU) ed una forma secondaria o complicata quando tali fattori predisponenti sono identificabili. Fattori di rischio I fattori di rischio per le PNA secondarie sono: • Età avanzata (>70 aa) 38 • Anomalie anatomiche e/o funzionali della via escretrice urinaria (reflusso vescico-ureterale, calcolosi renale/ureterale e vescicale, megauretere, patologia prostatica e del collo vescicale) • Diabete mellito • Stato di immunodepressione • Gravidanza • Attività sessuale (>3 atti sessuali/settimana, frequenti partner) • Uso di spermicidi • Precedenti IVU • Familiarità per IVU da parte della madre Agenti patogeni e patogenesi Nell’80-90% l’agente eziologico è rappresentato dall’Escherichia Coli (Gram -) seguito da Enterococchi, Proteus Mirabilis, Klebsiella, Pseudomonas Aeruginosa. Nelle donne sane i patogeni urinari (tipicamente l’E.Coli) sono presenti come agenti saprofiti nella flora intestinale. Alcuni ceppi dotate di Fimbrie P aderiscono tenacemente all’urotelio e quindi vi è una risalita del germe fino ai reni. Possono contribuire a questo processo anche dei fenomeni di reflusso vescico-ureterale misconosciuto. Una volta raggiunta la via escretrice urinaria questi germi determinano una risposta infiammatoria a cui conseguono le classiche manifestazioni cliniche delle infezione delle vie urinarie e della pielonefrite acuta. Manifestazioni cliniche Lo spettro delle manifestazioni cliniche della PNA è ampio, da sintomi di malattia di media severità a una sindrome settica. 39 Il dolore lombare e la febbre rappresentano le manifestazioni cliniche invariabilmente presenti in corso di PNA. La febbre in un terzo delle persone anziane può non essere presente. Il dolore è generalmente localizzato al fianco e spesso irradiato posteriormente o lungo il decorso dell’uretere omolaterale. La febbre è di tipo settico con brividi scuotenti. Si associa malessere generale e può essere presente vomito. Disturbi minzionali come disuria, pollachiuria e stranguria non sono di frequente riscontro ma possono comparire in maniera transitoria nei giorni precedenti. La diagnosi differenziale va posta con le patologie acute intraddominali in particolar modo con la malattia infiammatoria pelvica, la colecistite, l’appendicite, la perforazione intestinale ed i prodromi dell’infezione da Herpes Zoster. E’ presente una leucocitosi neutrofila con incremento della VES e PCR. La funzione renale generalmente risulta normale. All’esame delle urine si documenta leucocituria. L’urinocoltura è negativa (70% dei casi) se i pazienti hanno assunto nei giorni precedenti una terapia antibiotica. Diagnosi Gli esami strumentali che consentono di identificare le classiche lesioni pielonefriti che sono la TC addome con mdc e la Risonanza Magnetica Nucleare. Le lesioni all’esame TC sono caratterizzate da multiple aree di ipocaptazione del mezzo di contrasto. Tali aree possono essere multiple e bilaterali. L’ecografia presenta una bassa sensibilità e specificità e può risultare di aiuto, nelle prime fasi, per escludere una condizione di idronefrosi o calcolosi renale. Nelle forme più eclatanti può evidenziare un incremento volumetrico del rene interessato, ispessimento dell’uretere ed aree di disomogeneità parenchimale (in genere iperecogenicità). 40 Terapia La terapia si basa sull’utilizzo di antibiotici somministrati inizialmente per via parenterale (chinolonici, cefalosporine, aminoglicosidi, carbapenemici). La terapia medica va proseguita per 2-3 settimane. Nei casi più severi è necessaria una terapia di supporto idratante. Le complicanze più frequenti sono rappresentate dall’evoluzione ascessuale che richiede un drenaggio solo se di grandi dimensioni. L’evoluzione nel tempo della PNA è benigna. Una percentuale non trascurabile di pazienti (15-20%) possono sviluppare delle cicatrici corticali con evoluzione verso la pielonefrite cronica. Pielonefrite Cronica Con il termine di pielonefrite cronica si identifica una condizione morbosa caratterizzata da un punto di vista anatomo-patologico da una infiltrazione linfocitaria del tessuto interstiziale associata a sclerosi con deformità dei tubuli ed ispessimento delle membrane basali tubulari spesso secondarie ad infezioni ripetute. E’ tuttavia importante sottolineare che la pielonefrite cronica può occorrere in assenza di infezioni recidivanti, come conseguenza di ripetuti insulti patogeni in particolar modo legati all’assunzione cronica di farmaci (es analgesici). I reni risultano di dimensioni ridotte con margini irregolari. Spesso sono presente delle incisure (fenomeni di cicatrizzazione) sul profilo esterno. I sintomi presentati dal paziente possono variare, a seconda o meno se sono presenti delle infezioni del tratto urinario recidivanti. In assenza di infezioni, la sintomatologia è pressoché silente. Quando compare l’insufficienza renale cronica il paziente presenta le caratteristiche manifestazioni clinico-laboratoristiche della malattia renale cronica. 41 La malattia può evolvere negli anni verso l’uremia terminale. La terapia è rivolta a curare l’affezione responsabile della pielonefrite cronica. Si rimanda al capitolo della IRC quando questa è presente. Nefropatia tubulo-interstiziale immuno-allergica farmacologicamente indotte Questa condizione morbosa è determinata da una idiosincrasia (reattività geneticamente determinata) verso uno o più farmaci con conseguente reazione allergica cellulo-mediata dovuta ad una componente del farmaco che funge da antigene. Tale reazione non è dose dipendente e si manifesta con reazione cutanea (eritema, maculo-papule), febbre ed insufficienza renale acuta generalmente a diuresi conservata. Caratteristico è il riscontro di eosinofilia ed aumento delle IgE sieriche. L’esame delle urine è caratterizzato da micro/macroematuria e proteinuria inferiore ai 2g/die. Tale sintomatologia regredisce con la sospensione del farmaco responsabile della reazione allergica e con la terapia cortisonica. Nefropatia tubulo-interstiziale da acido urico Tale condizione morbosa è determinata da anomalie del metabolismo dell’acido urico. Si riconoscono due forme: a) Acuta: dovuta alla improvvisa e massiva precipitazione intratubulare di cristalli di acido urico. Tale forma è di riscontro in casi di improvvisi e sensibili aumenti dell’uricemia (> 14 mg%) a seguito di lisi cellulare o malattie neoplastiche. Il quadro clinico è quella dell’insufficienza renale acuta oligurica da ostruzione tubulare che generalmente si risolve a seguito di alcalinizzazione delle urine con bicarbonato di sodio in grado di solubilizzare i cristalli di acido urico, di somministrazione di diuretici ed inibitori della produzione di acido urico (allopurinolo, flebuxostat). 42 b) Cronica: caratterizzata da una deposizione di cristalli di acido urico nell’interstizio della midollare renale che si verifica sovente nei pazienti con elevati valori di uricemia persistenti da molto tempo spesso associati ad attacchi gottosi. La forma cronica se non si controlla l’iperuricemia evolve in maniera lenta verso l’insufficienza renale cronica. Le malattie cistiche renali Le malattie cistiche del rene si distinguono in: • Forme acquisite (cisti renali semplici, rene a spugna, rene multi cistico del neonato) • Forme genetiche (rene policistico dell’adulto e del bambino, nefronoftisi, sclerosi tuberosa) Per semplicità di trattazione si prenderà in considerazione le cisti renali semplici ed il rene policistico. Cisti renali semplici Le cisti renali sono estroflessioni di aspetto sacciforme che si sviluppano nel contesto del parenchima renale (corticale del rene). Esse sono a contenuto liquido e si originano come dilatazione di nefroni preesistenti, dotti collettori o elementi embrionali di entrambe le strutture. Sono in genere sferiche, uniloculari. Presentano una capsula di collagene fibroso con epitelio tubulare monostratificato ed il contenuto liquido sieroso, color giallo-ambra che può raramente divenire ematico per rottura di qualche 43 vaso parietale. Non sono in comunicazione con la via urinaria. Possono essere uni o bilaterali singole o multiple e le dimensioni variano da pochi millimetri a 20-25 cm. Esse sono molto frequenti nell’adulto. Tendono ad un lento e progressivo incremento delle dimensioni negli anni. Decorrono nella stragrande maggioranza dei casi in maniera asintomatica e sono riscontrate occasionalmente in corso di ecografia addominale o di TC. Le cisti di significative dimensioni possono causare una vaga lombalgia o febbre e dolore franco in caso di infezione o emorragia intracistica. Sono consigliabili controlli ecografici seriati negli anni. Le cisti di dimensioni considerevoli che danno origine a fenomeni compressivi possono essere evacuate attraverso puntura percutanea eco guidata con successiva iniezione di un liquido sclerosante nella cavità cistica per evitarne la riformazione; ciò nonostante esse recidivano di frequente. Possono essere impiegati interventi chirurgici poco invasivi (laparoscopia) che garantiscono un successo più duraturo. Le cisti renali complesse possono essere multiloculari (divisi da setti in varie aree), multi lobulari (conglomerati di diverse cisti) con pareti ispessite, calcifiche a contenuto disomogeneo con caratteristiche simili a tumori renali. Malattia Policistica Renale Si tratta di una malattia ereditaria caratterizzata dalla presenza di multiple formazione cistiche renali che interferiscono in varia misura con la funzionalità renale. Distinguiamo principalmente due forme: Malattia policistica renale infantile con modalità di trasmissione autosomica recessiva Malattia policistica renale dell’adulto con modalità di trasmissione autosomica dominante Rene policistico infantile 44 La malattia policistica renale infantile è una condizione rara (1 su 40000 nati vivi). Entrambi i genitori sono portatori del gene della malattia. La forma più frequente (perinatale) è caratterizzata da insufficienza renale intrauterina associata a deficit della funzione epatica e respiratoria. Generalmente la morte avviene alla nascita o entro pochi giorni. Rene policistico dell’adulto Si tratta di una malattia renale ereditaria di gran lunga più diffusa rispetto alla forma infantile in quanto è sufficiente che uno solo dei genitori ne risulti affetto. Colpisce 1 persona su 1000. La malattia è caratterizzata dalla presenza di multiple formazioni cistiche in entrambi i reni che aumentano progressivamente di numero e di dimensioni, sostituendo progressivamente il parenchima funzionante dei reni portando il paziente allo sviluppo di una insufficienza renale cronica irreversibile che si evidenzia, generalmente, dopo i 40 anni di età. Il 10-15% di pazienti in dialisi sono affetti da rene policistico dell’adulto. Generalmente oltre all’interessamento del rene, vi è la presenza di cisti a carico di altri organi come fegato, pancreas, polmoni, ovaie, testicoli. Concomita inoltre una incidenza più elevata di aneurismi intracranici (poligono del Willis) ed il riscontro di altre anomalie cardio-vascolari come valvulopatie cardiache, aneurismi dell’aorta, diverticoli intestinali. L’eziopatogenesi nell’85% dei casi è da ascrivere alla mutazione del gene PKD1 (braccio corto del cromosoma 16 posizione 13.3) che codifica per la policistina-1 nel 10% a mutazioni del gene PKD2 (braccio lungo del cromosoma 4 posizione 21) che codifica per la policistina-2 e nel restante 5% si evidenzia una mutazione del gene PKD3 non ancora definitivamente identificata. La malattia decorre asintomatica per molti anni (20-30). In questi anni una ecografia addominale eseguita per altri motivi, evidenzia la presenza di reni aumentati di volume con multiple formazioni cistiche spesso presenti anche a livello epatico. 45 Nei primi 20-30 anni la funzione renale generalmente risulta nella norma. E’ spesso presente una ipertensione arteriosa dovuta principalmente ad una attivazione del sistema renina-angiotensina. Possono essere presenti, con il progressivo incremento del volume dei reni, fenomeni dispeptici, inappetenza da “senso di pienezza”, dolore sordo al fianco. All’esame obiettivo spesso i reni sono palpabili con aspetto a “sacchetto di noci”. Generalmente dai 40 anni in poi si assiste ad una progressiva riduzione della funzione renale. L’andamento della malattia è molto più lento nella forma (PKD2). Il rene policistico dell’adulto può essere gravato da una serie di complicanze: 1) Rottura delle cisti 2) Infezioni delle cisti 3) Calcolosi renale 4) Degenerazione neoplastica delle cisti 5) Massiva epatomegalia (con insufficienza epatica) 6) Emorragie cerebrali La diagnosi viene posta con un attento esame anamnestico e con l’esecuzione di metodiche di imaging come l’ecografia e la TC addome, Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) che evidenziano la presenza di cisti bilaterali (almeno 4 per ogni rene). Purtroppo non esiste una cura specifica per il rene policistico dell’adulto. L’introduzione di nuove strategie terapeutiche che tendono a limitare la crescita delle cisti come la rapamicina, l’everolimus, il sirolimus o i vaptani (antagonista del recettore V2 della vasopressina) sembrano fornire risultati incoraggianti. Ancora da divenire è la terapia genica. 46 Nefropatia tubulo-interstiziale immunoallergica Queste rappresentano la forma patogenetica più frequente delle nefropatie tubulointerstiziali su base immunologica. Sono determinate da una idiosincrasia (reattività anomala geneticamente determinata verso uno o più farmaci, con conseguente reazione allergica immunologica di quarto tipo (cellulo-mediata) dovuta ad un componente del farmaco che funge da antigene. Le manifestazioni cliniche caratteristiche sono rappresentate da febbre, rash cutaneo (maculo-papule) ed insufficienza renale acuta. L’esame emocromocitometrico evidenzia un incremento degli eosinofili. La terapia consiste nella sospensione tempestiva del farmaco e dalla somministrazione di steroidi. Nefropatie tubulo-interstiziali da cause tossiche Il rene per le sue caratteristiche anatomo-fisiologiche rappresenta un organo estremamente suscettibile all’azione tossica di numerose sostanze chimiche e biologiche. I principali agenti nefrotossici sono rappresentati da: - Analgesici - Antibiotici - Farmaci immunosoppressori - Farmaci antineoplastici - Sali di litio - Mezzo di contrasto radiologico 47 - Metalli pesanti Il danno, generalmente, è dose dipendente e si esplica mediante una nefrotossicità diretta sull’epitelio tubulare ed è generalmente reversibile con la sospensione del farmaco. La presentazione clinica può variare dalla comparsa di insufficienza renale acuta o una insufficienza renale cronica. Nefropatie vascolari Esse indicano una serie di condizioni morbose che colpiscono in maniera elettiva la vascolarizzazione del rene. Si distinguono: - Da cause immunologiche (vasculiti) - Da cause non immunologiche (processi degenerativi della parete vascolare, processi ostruttivi della parete vascolare) In questo capitolo verranno prese in considerazione le vasculiti non immunologiche: - Nefroangiosclerosi benigna e maligna - Malattia reno-vascolare Esiste uno stretto rapporto tra rene ed ipertensione arteriosa. Poiché la pressione arteriosa è la risultante della gittata cardiaca per le resistenze vascolari periferiche, il rene sia in condizioni fisiologiche che patologiche può agire sempre su entrambi i fattori: a) Regolando l’equilibrio idro-sodico esplica una azione sulla volemia e quindi sulla gittata cardiaca 48 b) Attraverso l’increzione di sostanze vasoattive (renina, prostaglandine) agisce sulle resistenze vascolari periferiche Il rene può pertanto essere “vittima” (nefropatia ipertensiva) di uno stato ipertensivo (nefroangiosclerosi benigna) o essere responsabile (nefropatie ipertensivanti) dell’aumento dei valori pressori (malattia reno-vascolare, insufficienza renale cronica). Nefroangiosclerosi benigna Rappresenta l’insieme delle alterazioni a livello delle arteriole renali indotte da uno stato ipertensivo che dura da molti anni. Le alterazioni più caratteristiche sono rappresentate da una sclero-ialinosi arteriolare con ispessimento delle pareti e restringimento del lume. Tale condizione con il tempo porta ad una progressiva sclerosi dei glomeruli con insorgenza di insufficienza renale. A livello urinario è caratteristico il risconto di una proteinuria modesta e microematuria. Il danno renale indotto dall’ipertensione arteriosa è simile a quello riscontrabile anche a livello di altri organi bersaglio come retina (incroci artero-venosi, emorragie ed essudati), cuore (ipertrofia ventricolare sinistra, scompenso cardiaco) e cervello (encefalopatia ipertensiva, ictus). Risulta di fondamentale importanza al fine di prevenire tali lesioni, un controllo ottimale della pressione arteriosa. Ipertensione reno-vascolare Viene definita ipertensione reno-vascolare quella forma di ipertensione arteriosa secondaria conseguente ad ipoafflusso arterioso renale per anomalie (stenosi) acquisite, mono o bilaterali delle arterie renali in grado di determinare importanti modificazioni funzionali a carico di uno o di entrambi i reni. Le cause principali sono rappresentate da: 49 1) Stenosi aterosclerotica dell’arteria renale (75% dei casi) 2) Malattia fibrodisplasica dell’arteria renale (15% dei casi) La condizione necessaria perché si instauri una ipertensione arteriosa nefrovascolare è che la stenosi sia tale da determinare una riduzione del flusso sanguigno del 70%. La conseguente riduzione pressoria nel distretto vascolare renale attiva il Sistema Renina-Angiotensina-Aldosterone con conseguente iperreninemia ed incremento dell’angiotensina II e vasocostrizione sistemica. Al di sopra dei 60 anni (specie nei maschi) la causa più comune di stenosi dell’arteria renale è data da una placca ateromasica che interessa il tratto ostiale. Sotto i 40 anni (specie nelle femmine) la causa è una displasia fibromuscolare a livello della “media”, di solito nei 2/3 distali dell’arteria renale. Il quadro clinico è caratterizzato da una ipertensione ad insorgenza improvvisa o da un repentino deterioramento di una ipertensione preesistente. Caratteristica è la severità dell’ipertensione arteriosa soprattutto con un incremento significativo della diastolica, spesso refrattaria alla terapia medica. A livello laboratoristico frequente è il riscontro di ipopotassiemia conseguente all’iperaldosteronismo secondario (da stimolo reninico). Può essere presente, nei soggetti anziani, una compromissione della funzione renale. All’esame obiettivo può essere riscontrato un soffio addominale paraombelicale. Il sospetto di stenosi dell’arteria renale viene posto attraverso degli esami non invasivi come ecocolordoppler, Angio-TC, Angio-RMN che documentano la riduzione di calibro dell’arteria segmentale (placca ateromasica) a “corona di rosario” (fibrodisplasia) spesso associata ad una riduzione volumetrica del rene omolaterale. La terapia consiste nella rivascolarizzazione dell’arteria renale interessata mediante angioplastica percutanea o mediante terapia medica con impiego di farmaci in grado di 50 ridurre gli effetti dell’angiotensina II (sartani, ACE-inibitori). E’ tuttavia da sottolineare che la rivascolarizzazione dell’arteria renale risulta quasi sempre curativa nelle forme di fibrodisplasia mentre nelle forme di stenosi dell’arteria renale da placca ateromasica può contribuire a migliorare il controllo pressorio o a ridurre l’assunzione dei farmaci antiipertensivi. In alcuni casi tale metodica ha un effetto benefico sull’evoluzione dell’insufficienza renale. Le infezioni delle vie urinarie L’infezione delle vie urinarie (IVU) è caratterizzata dalla presenza di germi all’interno dell’apparato urinario (rene, via escretrice superiore, vescica ed uretra). Questa può manifestarsi solamente con il riscontro di batteriuria asintomatica o sotto forma di malattia da infezione urinaria quando l’aggressione batterica causa una risposta infiammatoria dell’urotelio con comparsa di sintomatologia clinica. Il numero minimo di batteri per definire una batteriuria deve essere ≥ 100000 UFC/ml di urina. Le infezioni delle vie urinarie possono essere classificate secondo criteri differenti in rapporto alla sede, alla sintomatologia e al decorso clinico. A riguardo della sede distinguiamo: - Infezioni delle vie urinarie alte: pielonefriti, pieliti - Infezioni urinarie basse: cistiti, uretriti, prostatiti Tale classificazione tuttavia spesso non corrisponde alla realtà poiché la sola sintomatologia clinica non rappresenta un criterio attendibile per stabilire la sede. Le infezioni delle vie urinarie possono essere ulteriormente distinte in: - Complicate: quando sono presenti fattori di rischio che facilitano l’insorgenza dell’infezione o la possono aggravare (diabete, età avanzata, calcolosi, uropatia 51 ostruttiva, alterazioni morfologiche e/o funzionali dell’apparato urinario, manovre endourologiche, ecc) - Non complicate: quando l’infezione delle vie urinarie insorgono in un soggetto sano senza fattori di rischio predisponenti In rapporto al decorso distinguiamo le forme: - Acute: singolo episodio - Croniche ricorrenti: presenza di ≥ 4 episodi infettivi /anno. Le forme ricorrenti possono essere determinate da una: a) recidiva: infezione ricorrente causata sempre dallo stesso germe: b) reinfezione: determinata da un germe patogeno diverso dal precedente Epidemiologia Le Infezioni delle vie urinarie sono le infezioni più frequenti dopo quelle dell’apparato respiratorio. Rappresentano il 40% delle infezioni nosocomiali e circa il 15% degli antibiotici prescritti, sono dispensati per la presenza di tale patologia. Le infezioni delle vie urinarie sono di gran lunga più frequenti nelle donne a causa della costituzione anatomica dell’uretra ( di lunghezza più breve, sbocco uretrale nel vestibolo vaginale) e per le gravidanze. L’incidenza nell’uomo aumenta significativamente al di sopra dei 60 anni per la comparsa di patologie che interferiscono con lo svuotamento vescicale determinando stasi urinaria, prima fra tutte la patologia prostatica, con curve di frequenza tra maschi e femmine che tendono a sovrapporsi dopo i 65 anni. Negli anziani la prevalenza delle infezioni delle vie urinarie aumenta con la disabilità e con l’istituzionalizzazione. 52 % Eziologia La stragrande maggioranza delle infezioni delle vie urinarie sono provocate da batteri Gram-negativi appartenenti alle Enterobacteriacee propri della flora intestinale. Tra essi l’E.Coli è responsabile dell’80-90% di tutte le infezioni urinarie non complicate. Altri germi responsabili sono: Proteus Mirabilis, Klebsiella, Pseudomonas aeruginosa, Enterobacter. Questi germi patogeni possono raggiungere la via escretrice urinaria attraverso una: - via ascendente: risalendo l’uretra provenienti dalla zona perineale. Questa è la modalità più frequente di penetrazione dei germi uropatogeni. - via linfatica: dovuta alla presenza di connessioni linfatiche tra l’apparato intestinale ed urinario. Tale via risulta implicata in special modo nei pazienti con stitichezza. - via ematogena: molto rara, secondaria a metastatizzazione di germi in corso di batteriemie. Tutti i germi uropatogeni presentano molteplici fattori di virulenza in grado di determinare l’avvio del processo infiammatorio a livello dell’apparato urinario con conseguente comparsa della sintomatologia clinica. Il più importante fattore di virulenza batterica sono le adesine localizzate alle estremità distali di sottili filamenti chiamati fimbrie. Grazie all’azione delle adesine e delle fimbrie i batteri aderiscono 53 tenacemente all’urotelio resistendo anche alla trazione prodotta dal passaggio dell’urina. Altri fattori di virulenza sono le emolisine e le citolisine. A questa virulenza batterica, si contrappongono i fattori di difesa dell’ospite come la lunghezza dell’uretra, le minzioni, la diluizione batterica da parte dell’urina, il pH urinario acido, la secrezione di glicosaminoglicani (GAGs) e la risposta immunitaria. Fattori predisponenti le infezioni delle vie urinarie Alterazioni anatomiche e/o funzionali della via escretrice urinaria sono fattori predisponenti alle infezioni urinarie complicate e/o ricorrenti. Essi sono rappresentati da: - fattori generali: età avanzata, gravidanza, insufficienza renale cronica, diabete mellito, stati di immunodepressione - fattori locali: tutte le malattie dell’apparato urinario a cui si associa di frequente una stasi urinaria (ipertrofia prostatica, malformazioni e neoplasie della via escretrice, calcolosi renale e vescicale, ecc), manovre strumentali endourologiche (cateterizzazione vescicale, cistoscopia, stent ureterali, nefrostomie, ecc.), rapporti sessuali. Sintomatologia delle infezioni delle vie urinarie Quando l’infezione urinaria è localizzata a livello vescicale la sintomatologia clinica è rappresentata dai “sintomi urinari”: pollachiuria, stranguria, tenesmo vescicale, dolore sovrapubico ed in alcuni casi ematuria macroscopica (cistite emorragica). Quando l’infezione urinaria è localizzata nella pelvi renale nei calici e nel parenchima renale, la sintomatologia assume caratteristiche sistemiche riportate nel capitolo della pielonefrite acuta. 54 La diagnosi di infezione urinaria è posta mediante l’esecuzione di un esame delle urine corredato da una urinocoltura. Terapia delle infezioni delle vie urinarie La terapia delle infezioni delle vie urinarie, deve tenere in considerazione tre aspetti fondamentali; 1) chi/non trattare 2) quali farmaci utilizzare 3) durata della terapia In generale possiamo affermare che vanno sottoposti a terapia antibiotica i pazienti con infezioni delle vie urinarie isolate, complicate e ricorrenti. La terapia antibiotica non è indispensabile nelle batteriurie asintomatiche ad eccezione delle donne in gravidanza, nella preparazione ad interventi endourologici ove è previsto un sanguinamento e nei casi di resezione prostatica trans-ureterale. Un caso particolare rivestono i pazienti portatori di catetere vescicale a permanenza. In questi casi l’incidenza delle IVU si incrementa approssimativamente del 5% al giorno il che significa che dopo 20-30 giorni più dell’85% dei pazienti hanno un riscontro di positività all’esame colturale delle urine e che è impossibile tentare una sterilizzazione permanente. In questi pazienti il trattamento antibiotico deve essere effettuato solo nei casi di una sospetta pielonefrite acuta o in casi di infezione sintomatica. Utile risulta un trattamento profilattico al momento della sostituzione del catetere vescicale. La durata della terapia antibiotica in corso di infezione urinaria della bassa via escretrice (cistite) è generalmente di 5 giorni. Più complicato e controverso risulta il trattamento delle cistiti ricorrenti. I questi casi possono essere necessari cicli 55 di terapia antibiotica (2-3) con agenti diversi in rapporto alla risposta dell’antibiogramma. Un'altra strategia terapeutica è basata sull’assunzione giornaliera serale di antibiotici a dosaggio ridotto (metà dose o ¼ di dose) da tre a 8 mesi. Nelle cistiti ricorrenti presidi terapeutici come l’assunzione di estratto di mirtillo, applicazione vaginale di lattobacilli, somministrazione di singola dose di antibiotico dopo un rapporto sessuale sono in grado di ridurre del 10%-15% le infezioni delle vie urinarie ricorrenti. Nei casi di infezioni delle vie urinarie complicate o nella pielonefrite acuta, la terapia antibiotica va proseguita per almeno due settimane. Nelle infezioni delle vie urinarie ricorrenti è mandatorio escludere la presenza di fattori predisponenti di tipo anatomico e/o funzionale della via escretrice urinaria. La terapia antibiotica si basa, ove possibile, sull’identificazione del germe patogeno urinario attraverso l’urinocoltura e l’antibiogramma (terapia antibiotica mirata). A tal riguardo il sistema di raccolta del campione urinario è di fondamentale importanza al fine di evitare fenomeni di contaminazione batterica. Il metodo più seguito è quello del getto intermedio della minzione previo accurato lavaggio dei genitali esterni. L’urina si raccoglie in appositi contenitori sterili. L’antibiotico ideale nel trattamento delle infezioni delle vie urinarie deve possedere le seguenti caratteristiche: - rapida azione, attività battericida, ottima tollerabilità e facilità di somministrazione; - elevata escrezione renale, bassa nefrotossicità, efficacia selettiva contro i germi Gam-negativi e possibilmente bassi costi. 56 I farmaci di gran lunga più utilizzati sono i chinolonici (ciprofloxacina, levofloxacina). Tuttavia un uso sconsiderato e ripetuto di questi farmaci sta facendo emergere un preoccupante problema di resistenza antibiotica. Altri farmaci come le cefalosporine, gli aminoglicosidi, gli antibiotici beta-lattamici e i carbapenemici vanno riservati nei casi di infezioni gravi delle vie urinarie o nei casi di antibiotico resistenza ai fluorochinolonici. Insufficienza Renale Acuta L’insufficienza Renale Acuta (IRA) è una sindrome clinico-metabolica caratterizzata da un rapido (da ore a giorni) decremento della funzione renale, nella maggioranza dei casi reversibile, con conseguente accumulo nel sangue di urea, creatinina ed improvvisa incapacità del rene a regolare l’equilibrio idro-elettrolitico ed acido base con effetti su molti organi e apparati. Spesso si associa a contrazione della diuresi (oliguria) e ad una elevata morbidità e mortalità in rapporto alla severità della malattia causale e all’alta frequenza di complicanze. In rapporto alle cause che determinano l’insufficienza renale acuta, si distinguono tre quadri principali: 1) IRA pre-renale (funzionale) secondaria ad inadeguata perfusione del parenchima renale in assenza di alterazioni morfologiche delle strutture renali. Rappresenta circa il 50-60% di tutte le forme di insufficienza renale acuta; 2) IRA renale (organica) causata da un danno acuto di una o più componenti anatomiche del rene (glomeruli, tubuli, interstizio, vasi). Rappresenta circa il 40% delle cause di insufficienza renale acuta; 57 3) IRA post-renale (ostruttiva) dovuta alla presenza di una ostruzione della via escretrice urinaria comune. E’ la forma meno frequente di insufficienza renale acuta (5%) ma tale percentuale aumenta in maniera significativa nei pazienti di sesso maschile di età > 70 anni. Insufficienza renale acuta pre-renale E’ dovuta ad una riduzione acuta e prolungata della perfusione ematica renale secondaria a numerose condizioni emodinamiche come l’ipovolemia, la riduzione della gittata cardiaca, la vasodilatazione sistemica, la vasocostrizione selettiva del distretto vascolare renale. Deplezione del volume intravascolare - Ustioni - Emorragie - Vomito - Diarrea - Disidratazione - Insufficienza epatica Riduzione della gittata cardiaca - Grave scompenso cardiaco - Infarto miocardico - Grave aritmia - Embolia polmonare 58 - Tamponamento cardiaco Vasodilatazione sistemica - Shock settico - Shock anafilattico - Eccesso di farmaci antiipertensivi Sequestro di liquidi nel “terzo spazio” - Peritoniti - Pancreatite acuta - Sindrome nefrosica - Ascite - Occlusione intestinale Ostruzione dei vasi renali - Trombosi Venosa - Dissezione aortica - Embolia delle arterie renali Patogenesi Il flusso renale ematico ed il volume del filtrato glomerulare grazie alla modulazione delle resistenze delle arteriole afferenti ed efferenti, hanno la capacità di rimanere costanti entro ampie variazioni di pressione di perfusione (70-140 mmHg) grazie ad un efficiente sistema di “autoregolazione renale”. Questa proprietà intrinseca del rene ha il fine di salvaguardare il patrimonio idro-elettrolitico dell’organismo. Per diminuzione del flusso ematico nell’arteriola afferente, avremo vasodilatazione della 59 stessa con conseguente aumento del flusso di sangue nel glomerulo. I meccanismi di autoregolazione sono complessi e coinvolgono numerosi fattori che agiscono in correlazione tra loro (barocettori intrarenali, recettori tubulari per il sodio, innervazione simpatica renale, sistema renina-angiotensina). Nel corso di insufficienza renale acuta da ipoperfusione renale (forma pre-renale) se i valori di pressione di perfusione si riducono al disotto dei 60-70 mmHg, condizione che generalmente è presente nelle gravi alterazioni dell’emodinamica sistemica nelle condizioni sovra menzionate, la capacità di autoregolazione viene superata e si assiste ad una progressiva riduzione del volume del filtrato glomerulare e della portata ematica renale con conseguente contrazione della diuresi (oliguria) ed incremento dei valori di creatinina e di urea. In questa fase non sono presenti alterazioni di carattere anatomico delle strutture renali (forma funzionale). La successiva evoluzione dell’insufficienza renale acuta pre-renale è condizionata dall’entità e dalla persistenza dell’evento ischemico. Se la condizione patologica responsabile dell’ipoperfusione renale viene tempestivamente riconosciuta e trattata, si assiste ad un rapido ritorno alla norma della funzione renale se invece persiste o si aggrava si possono verificare lesioni cellulari di entità progressiva fino alla necrosi dell’epitelio tubulare (necrosi tubulare acuta). Le manifestazioni cliniche sono da ascrivere alla condizione morbosa di base responsabile dell’insufficienza renale. Questa forma è generalmente transitoria e raramente necessita di terapia dialitica. E’ importante monitorizzare quotidianamente la diuresi, il peso corporeo e la pressione arteriosa. La terapia consiste nella correzione, ove possibile, dell’alterazione dell’emodinamica generale mediante ripristino della volemia (liquidi, sangue, plasma expander) e di amine vasoattive. INSUFFICIENZA RENALE ACUTA RENALE (ORGANICA) 60 L’IRA organica riconosce come fattori eziologici numerose patologie intrinseche del parenchima renale in grado di determinare delle lesioni anatomo-funzionali delle strutture del rene con conseguente riduzione delle funzioni renali. Le cause principali sono: Vascolari - Vasculiti immunologicamente mediate - Necrosi corticale - Microangiopatia trombotica Glomerulari - GN acute post-infettive - GN rapidamente progressiva - Collagenopatie Interstiziali - Necrosi papillare - Nefrite interstiziale immuno-allergica - Patologie infiltrative (linfomi, leucemie) Ostruzione tubulare da precipitazione di - Ossalato - Acido urico - Paraproteine Necrosi Tubulare Acuta (NTA) 61 - Cause ischemiche (tutte le condizioni dell’IRA pre-renale) - Cause tossiche: a) tossine esogene (farmaci, mezzi di contrasto radiologici, veleni, agenti chimici) b) tossine endogene (mioglobina, emoglobina, acido urico, bilirubina) In questo capitolo ci occuperemo della Necrosi Tubulare Acuta e della Nefropatia da mezzo di contrasto radiologico. Necrosi Tubulare Acuta Si identificano tutte le forme di IRA, generalmente a carattere reversibile, nelle quali il danno predominante è rappresentata dalla morte (necrosi) delle cellule dell’epitelio tubulare (prossimale e/o distale). La NTA rappresenta circa L’80% dei casi di IRA organica. Con la rigenerazione dell’epitelio tubulare, spesso i pazienti riprendono una funzione renale normale. Le due cause principali sono rappresentate dalla forma ischemica che riconosce tutte quelle condizioni elencate nell’IRA pre-renale ed una forma tossica in cui la necrosi dell’epitelio tubulare è indotta da una serie di sostanze endogene o esogene che inducono una tossicità cellulare diretta, un ostruzione del lume tubulare o una intensa vasocostrizione intraparenchimale. Possono concorrere anche alterazioni del sistema immunitario. Gli agenti tossici sono molteplici; in particolar modo i farmaci (antibiotici FANS, chemioterapici, mezzi di contrasto iodati) sono quelli più frequentemente responsabili della NTA. L’entità del danno renale dipende dalla concentrazione, dalla durata di esposizione a tali sostanze tossiche e dalla contemporanea presenza di fattori predisponenti come l’età avanzata, il diabete, lo scompenso cardiaco e la preesistente presenza di nefropatia. Il decorso clinico della NTA può essere istinto in 4 fasi: 62 1) Fase oligurica. Ha una durata media di 10-14 giorni. Il paziente presenta una condizione di oligo-anuria. In questa fase predominano i segni di tipo ritentivo come conseguenza della ridotta eliminazione urinaria di cataboliti azotati, acqua, elettroliti ed acidi. L’incremento giornaliero di azoto ureico è mediamente di 2030 mg/dl e della creatinina di 0.5-1.5 mg/dl. La ritenzione idrica può essere aggravata da terapia infusionali e da mancata restrizione idrica durante le prime fasi quando l’IRA può essere misconosciuta. I reperti clinici di sovraccarico idrico sono caratterizzati dalla presenza di edemi declivi, aumento del peso corporeo, ipertensione fino a quadri eclatanti come l’edema polmonare acuto. L’iperkaliemia è un reperto di frequente riscontro e può essere aggravato dalla contemporanea assunzione di farmaci come gli inibitori del sistema reninaangiotensina e dagli antialdosteronici. Per valori di kaliemia > 6.5 mEq/L possono comparire alterazione ECGgrafiche (onde T a tenda, QRS allargato) fino al blocco A-V completo, aritmie ventricolari ed arresto cardiaco. L’iperkaliemia severa rappresenta una urgenza nefrologica. L’iperfosforemia, l’ipocalcemia e l’incremento dell’acido urico sono quasi sempre presenti. L’acidosi metabolica, con gap anionico aumentato, è causata dalla mancata eliminazione renale di idrogenioni (H+). L’anemia di tipo normocromica, normocitica è attribuibile alla riduzione della produzione di eritropoietina e allo stato di emodiluizione. Frequente è il riscontro di una tendenza al sanguinamento ed una aumentata suscettibilità alle infezioni queste ultime dovute sia ad una condizione di relativa immunosoppressione caratteristica dello stato uremico sia alle ripetute manovre strumentali come il posizionamento di cateteri venosi centrali, vescicali ed eventuali presidi per la ventilazione meccanica. Da un punto di vista terapeutico in questa fase oltre ad una terapia di supporto ed un adeguato apporto nutrizionale il paziente va sottoposto a trattamento emodialitico che almeno nelle prime fasi va effettuato con cadenza giornaliera. 63 2) Fase diuretica caratterizzata precoce. Questa fase, che dura circa 4-5 giorni, è da una rigenerazione dell’epitelio tubulare. Clinicamente ricompare la diuresi (fino a 1-1,5 l/die). Tuttavia essa è inefficace. I valori di azotemia, creatininemia permangono elevati persistendo una ridotta escrezione dei cataboliti azotati. In questa fase, pur in presenza di una diuresi, va proseguito il trattamento dialitico. 3) Fase diuretica tardiva.Dopo alcuni giorni dalla ripresa della diuresi, il volume urinario aumenta progressivamente fino a superare i 4 L/die. Tale fase denominata fase poliurica persiste per 7-10 giorni. La poliuria consegue sia ad una persistente ridotta funzione tubulare poiché nonostante la rigenerazione dell’epitelio dei tubuli, le cellule non hanno ancora ripreso a pieno le loro funzioni, sia ad una azione osmotica dei soluti accumulatisi nella fasi precedenti. I valori di azotemia e creatinina si riducono progressivamente e vi è la possibilità di interrompere il trattamento dialitico. In questa fase cruciale il paziente va monitorizzato attentamente per il rischio di disidratazione indotta dalla poliuria e per la deplezione salina a cui possono conseguire gravi squilibri elettrolitici in particolar modo l’ipokaliemia con alterazioni del ritmo cardiaco (fibrillazione atriale). 4) Fase della convalescenza. In questa fase si assiste ad una completa normalizzazione della funzione renale. In alcuni pazienti possono persistere per alcuni mesi dopo la risoluzione dell’IRA, alterazioni della funzione tubulare come una ridotta capacità di concentrazione urinaria (ipostenuria) ed acidificazione delle urine (pH tendenzialmente alcalino). Insufficienza Renale Acuta da mezzo di contrasto radiologico (NMC) 64 La nefropatia da mezzo di contrasto iodato viene definita da un incremento della creatinina sierica in valore assoluto ≥ 0.5 mg% o relativo ≥25% rispetto al valore basale dopo 48-72 ore dalla somministrazione del mezzo di contrasto (per via endovenosa e/o endoarteriosa), non correlabile ad altre cause. Negli ultimi anni l’utilizzo di procedure radio-diagnostiche necessitanti del mezzo di contrasto è aumentato sia grazie ai processi tecnologici sia all’estensione delle indicazioni a pazienti sempre più anziani con numerosi fattori di comorbidità. I soggetti che sviluppano una nefropatia da mezzo di contrasto sono generalmente asintomatici e ritornano a valori di creatinina sierica basali nel giro di 5-10 giorni. Alcuni presentano solo un recupero parziale della funzione renale, in una minoranza dei casi in particolar modo nei soggetti con una funzione renale più severamente compromessa, si rende necessario ricorrere al trattamento dialitico. La patogenesi è dovuta ad un meccanismo di tossicità diretta al livello dell’epitelio tubulare associato ad una intensa vasocostrizione intrarenale. Fattori di rischio - Insufficienza renale preesistente - Diabete mellito - Dose e tipologia del mezzo di contrasto - Età avanzata >70 anni - Scompenso cardiaco - Ipovolemia - Contemporanea assunzione di farmaci nefrotossici - Infarto miocardico acuto - Esami contrastografici ripetuti (entro 3-5 giorni) 65 La più grave condizione clinica di rischio della nefropatia da mezzo di contrasto è rappresentata dalla contemporanea presenza di insufficienza renale preesistente e diabete mellito. In tali casi la percentuale di incidenza può arrivare al 50%. La nefropatia da mezzo di contrasto è pressoché assente nei pazienti con funzione renale normale. L’elevata osmolarità e la quantità di mdc (>130 ml) somministrato, rappresentano fattori di rischio determinanti. La nefropatia da mezzo di contrasto rappresenta una delle poche forme di IRA ove è potenzialmente possibile mettere in atto una strategia di prevenzione. Nel tempo numerosi farmaci sono stati utilizzati nella prevenzione della NMC con risultati spesso deludenti (dopamina, calcio-antagonisti, fenoldopam). Attualmente la strategia generale di prevenzione si basa sui seguenti cardini: - Identificazione dei pazienti a rischio - Collaborazione con i radiologi per la pianificazione delle metodiche di imaging - Evitare ripetuti esami contrastografici nell’arco di pochi giorni - Evitare l’esecuzione di esami contrastografici se vi è negli ultimi giorni un progressivo incremento della creatinina sierica - Sospendere temporaneamente farmaci potenzialmente nefrotossici - Utilizzare la minima dose di mezzo di contrato privilegiando quelli non ionici ed ipoosmolari - Idratazione del paziente con Soluzione fisiologica 0.9% 1 ml/kg/ora x 6-12 ore prima e dopo l’esame contrasto grafico (compatibilmente con lo stato cardiocircolatorio) 66 - Acetilcisteina (azione antiossidante) 1200 mg due volte al giorno (il giorno prima e lo stesso giorno dell’esame contrastografico) - Bicarbonato 1 M 100-200 cc da infondere 1 ora prima della somministrazione del mdc (alcalinizzazione delle urine) - Controllo della creatinina sierica dopo 24-72 ore dal termine dell’esame contrasto grafico. Nei pazienti in trattamento emodialitico non vi è la necessità di istaurare una strategia di prevenzione della NMC. E’ buona regola dializzare il paziente dopo l’esecuzione dell’esame contrastografico al fine di prevenire l’insorgenza di una “iperkaliemia translocazionale” dovuta all’azione osmotica del mezzo di contrasto che richiama potassio dalle cellule. 67 INSUFFICIENZA RENALE CRONICA L’insufficienza renale cronica (IRC) identifica una condizione patologica caratterizzata dalla riduzione cronica (da almeno 3-4 mesi) ed irreversibile della funzione renale (espressa come riduzione del Volume del filtrato glomerulare, aumento della creatinina sierica) indipendentemente dalla nefropatia causale a cui consegue la progressiva incapacità del rene ad espletare le sue funzioni escretorie ed endocrine. Nelle fasi terminali richiede il ricorso al trattamento dialitico o al trapianto renale. La definizione di IRC si basa concettualmente sui valori di creatinina nel sangue. Più recentemente si è accertato che nelle malattie che causano la riduzione della funzione renale vi sono delle alterazioni renali iniziali pur in presenza di valori di creatinina nella norma ed è quindi opportuno porre una diagnosi precoce al fine di prevenire o rallentare la progressiva perdita dei nefroni. Per questo oggi si preferisce utilizzare la Velocità di filtrazione glomerulare per porre diagnosi di una condizione morbosa più generale definita con il termine di Malattia Renale Cronica (MRC) che comprende anche l’IRC. La malattia renale cronica è oramai emersa come un problema di salute pubblica di prima grandezza su scala mondiale. Si stima che, sebbene la percentuale sia più bassa che negli USA dove la frequenza della MRC è dell’ordine del 20% (per una maggiore incidenza di diabete ed ipertensione arteriosa), nella popolazione italiana adulta circa 1 individuo ogni 7 (13%) abbia un grado d’insufficienza renale moderata, cioè una funzione renale (espressa come VFG) dimezzata o più che dimezzata rispetto alla norma. Tale problema è virtualmente sconosciuto alla popolazione e largamente 68 sottovalutato dai medici e dagli organi di governo della salute pubblica. Significativi sono i risvolti dei costi sociali ed economici della malattia renale cronica. Classificazione della Malattia Renale Cronica Stadio 1: riscontro di alterazioni all’es. urine (microematuria, proteinuria) con VFG ≥ 90 ml/min Stadio 2: alterazioni urinarie associate ad una lieve riduzione del VFG 60-89 ml/min Stadio 3: moderata riduzione del VFG 30-59 ml/mi Stadio 4: forte diminuzione del VFG 15-29 ml/min Stadio 5: insufficienza renale terminale con VFG < 15ml/min Quando si instaura un danno renale, accanto ai nefroni danneggiati e non più funzionanti, i nefroni sani vanno incontro ad un aumento di volume (ipertrofia compensatoria) con incremento al di sopra della norma di flusso ematico, filtrazione e funzioni tubulari. Queste modificazioni sono in grado di mantenere valori di creatinina nella norma anche a fronte di una perdita della massa nefronica del 40-50%. Ciò rende ragione di come la creatinina che rappresenta il marcatore più utilizzato per la stima della funzione renale, sia poco sensibile alle variazione del VFG e spesso inficiata dalle varie metodiche di misurazione e dai diversi range di riferimento adottati dai laboratori di analisi cliniche. Un indicatore valido della stima del VFG è la clearance della creatinina misurata sulle urine delle 24 ore; tale metodo risulta spesso imprecisa per una inaccurata raccolta delle urine e pertanto non utilizzabile routinariamente. Attualmente si utilizzano delle stime indirette della funzione renale utilizzando, principalmente, due equazioni (MDRD semplificata e CKD-EPI) che sebbene presentino ancora dei limiti di attendibilità, possono essere routinariamente impiegati nella pratica clinica o fornite automaticamente (CKD-EPI) dal laboratorio analisi. 69 Cause principali di MRC - Glomerulonefriti 22% - Diabete Mellito 15% - Nefropatie ereditarie 11% 0) Nefropatie vascolari 21% - Nefropatie tubulo-interstiziali 7% - Nefropatie non diagnosticate 18% - Altre 6% Decorso della Malattia Renale Cronica La caratteristica della MRC è rappresentata dalla sua evoluzione progressiva fino allo stadio terminale. Essa è più rapida nelle glomerulonefriti e malattie vascolari rispetto alle nefropatie tubulo-interstiziali. Nell’ambito dei fattori di progressione vanno distinti dei fattori intrinseci alla malattia responsabile dell’insufficienza renale (proteinuria, alterazioni immunologiche, alterazioni morfologiche strutturali) e dei fattori sistemici come l’ipertensione arteriosa (il più importante di tutti), l’iperlipidemia, l’iperuricemia, l’elevato prodotto calcio-fosforo, infezioni sistemiche, assunzione di sostanze nefrotossiche, patologie cardiache. Manifestazioni cliniche La presenza di una malattia renale cronica nelle fasi avanzate comporta l’insorgenza di manifestazioni cliniche-laboratoristiche ascrivibili al alterato funzionamento dei numerosi organi e/o apparati (sindrome uremica). Alterazioni del bilancio idrico-elettrolitico 70 Nell’IRC la capacità di concentrazione e diluizione delle urine progressivamente si riducono. Il rene conserva una sufficiente capacità di regolazione del bilancio idrico fino alla fase predialitica della malattia renale cronica. La diuresi è generalmente aumentata (poliuria osmotica) a causa di una aumentata escrezione frazionaria dell’acqua filtrata dai nefroni residui, all’effetto osmotico legato all’aumento della frazione di escrezione di molti soluti (fosfato, urea) che trascinano con se una quantità di liquidi. Le urine presentano un peso specifico ridotto (< 1012). Per valori di VFG <10 ml/min clinicamente può comparire una riduzione della diuresi giornaliera. Anche a riguardo del bilancio sodico, questo viene mantenuto in un accettabile equilibrio fino a livelli più avanzati di riduzione della funzione renale. Ciò avviene sia grazie ad un incremento progressivo del sodio filtrato a livello dei nefroni residui, sia ad una riduzione della frazione riassorbita a livello tubulare. La sodiemia si mantiene pressoché nei limiti della norma. Una iposodiemia può verificarsi, generalmente, a seguito di un eccesso di acqua spesso indotta da una eccessiva introduzione di acqua. Pertanto il paziente uremico non va spinto a bere notevoli quantità di acqua. Generalmente una adeguata introduzione idrica è data da una quantità pari al volume di diuresi giornaliera aumentata di 300-400 cc a copertura delle perdite insensibili. Il bilancio del potassio viene mantenuto pressoché nella norma fino agli stadi più avanzati della malattia renale cronica (VFG 10-20 ml/min) anche in questo caso grazie ad un progressivo aumento della sua secrezione tubulare da parte dei nefroni superstiti. Un brusco incremento della potassiemia (> 6 mEq/L) può verificarsi a seguito di: - Ulteriore riduzione della funzione renale con riduzione della diuresi (< 500 ml/die) - Eccessiva introduzione con la dieta (frutta e verdura) - Ipercatabolismo (febbre, traumi) 71 - Peggioramento dell’acidosi metabolica - Cause iatrogene (assunzione di Sali di potassio, antialdosteronici, trasfusioni di sangue, ACEI, sartani, FANS) In queste condizioni di frequente è necessario ricorrere al trattamento dialitico. Oltre a rimuovere la causa scatenante l’iperpotassiemia si somministrano delle resine (Kayexalate) che consentono di chelare, a livello intestinale, gli ioni potassio scambiandoli con gli ioni sodio. Equilibrio acido-base Il rene gioca un ruolo determinante del mantenimento dell’equilibrio acido-base attraverso il riassorbimento del bicarbonato a livello dei tubuli prossimali e l’escrezione di ioni idrogeno sotto forma di ammonio e fosfati. A differenza dell’equilibrio idro-elettrolitico la capacità di mantenere entro i limiti fisiologici l’equilibrio acido-base risulta compromessa in una fase più precoce della malattia renale cronica con a partire da VFG attorno ai 40 ml/min. Tuttavia i meccanismi di compenso ventilatorio consentono di mantenere entro valori normali il pH ematico. Al mantenimento dei valori del pH ematico, partecipano anche i sali tampone dell’osso (carbonato di calcio) con importanti ripercussioni sulla struttura dell’osso stesso. Con il peggioramento della funzione renale compare una acidosi metabolica, conseguente alla ridotta ammonio genesi tubulare, che tuttavia è generalmente asintomatica e non necessita di correzione. La dieta ipoproteica riducendo il carico di idrogenioni derivanti dal metabolismo delle proteine, è in grado di migliorare l’acidosi metabolica. Alterazioni del bilancio calcio-fosforo Il bilancio calcio-fosforo è regolato dall’attività del paratormone (PTH) prodotto dalle ghiandole paratiroidi poste nel collo in prossimità della paratiroide e dalla Vitamina D. 72 Il paratormone promuove: - La mobilizzazione di fosfato di calcio dall’osso; - Stimolazione alla produzione di Vitamina D (1-25 D3); - Aumento del riassorbimento tubulare di calcio e della escrezione renale di fosfati La vitamina D induce: - Inibizione della sintesi di PTH; - Aumento del riassorbimento intestinale di calcio - Mineralizzazione dell’osso. Pertanto PTH e Vitamina D agiscono, fisiologicamente, in maniera sinergica per mantenere costante il metabolismo calcio-fosforo. Con il progressivo deteriorarsi della funzione renale in corso di malattia renale cronica si verificano sostanzialmente tre condizioni in grado di determinare significative alterazioni del metabolismo calcio-fosforo: Ritenzione dei fosfati Riduzione dei livelli della forma attiva della Vitamina D (1,25 OH2 D3, CALCITRIOLO) Aumento dei livelli circolanti di Fibroblast Growth Factor 23 (FGF-23) La progressiva riduzione del VFG si accompagna ad una parallela riduzione dell’escrezione urinaria di fosforo. Ne consegue pertanto un aumento dei livelli ematici di fosforemia. Consensualmente si verifica, in una fase relativamente precoce della Malattia renale cronica (VFG 60 ml/min) una riduzione dei livelli medi di Vit D in forma attiva che diventa carente per VFG compresi tra 30 e 40 ml/min. L’ipocalcemia 73 e l’iperfosfatemia sono reperti caratteristici della MRC con VFG tra 30-40 ml/min e diventano conclamate al di sotto di un VFG di 30 ml/min. Nei pazienti con VFG < 20 ml/min la frequenza di ipocalcemia è del 20-30% e quella di iperfosforemia del 5060%. L’aumento della fosforemia, rappresenta uno stimolo alla produzione di FGF-23. Questa proteina secreta dagli osteoblasti ed osteoclasti, ha la funzione principale di regolare la concentrazione di fosfati nel plasma, inibendo il riassorbimento tubulare dei fosfati. Inoltre elevati valori di FGF-23 inducono una riduzione dei livelli circolanti della Vit D. Livelli ridotti di calcio, di calcitriolo in associazione ad aumentati livelli di FGF-23 e di fosforo ematico inducono un incremento del paratormone (PTH). Si instaura, in tal modo, una condizione di iperparatiroidismo secondario documentabile a livello biochimico sin dalle fasi precoci della MRC (VFG 60-80 ml /min) con conseguenti alterazioni ossee che vanno sotto il nome di “osteodistrofia uremica” e che comprende vari e distinti aspetti patologici: 1) Osteite fibrosa: aumentato riassorbimento osseo. I segni radiografici caratteristici sono rappresentati da erosioni sottoperiostiali specialmente sulle falangi e sulle clavicole. 2) Osteosclerosi: lesione poco frequente caratterizzata di accumulo di tessuto osseo trabecolare non mineralizzato. Radiologicamente si presenta con una aumentata densità ossea soprattutto delle vertebre. 3) Osteomalacia: deficiente mineralizzazione della matrice ossea con aumento del tessuto osteoide non mineralizzato e ridotta estensione del fronte di calcificazione. Radiologicamente è presente un aumento della trasparenza dell’osso, fratture spontanee o aree di microfratture (zona di Looser). 4) Calcificazioni vascolari: che interessano principalmente la tonaca media (sclerosi di Monckeberg) e la tonaca intima delle grosse arterie. Sono caratterizzate da deposizione di calcio sotto forma di lamine sia dure che friabili a cui si associa una sensibile aumentata mortalità per eventi cardio74 vascolari. Queste calcificazioni possono essere documentate da una radiografia dell’addome (calcificazione aorta addominale) o da un Rx torace (calcificazioni coronariche). Alterazioni metaboliche L’eliminazione dei cataboliti azotati (urea, creatinina, acido urico) nella malattia renale cronica, si riduce consensualmente alla riduzione della filtrazione glomerulare. L’urea è un prodotto del metabolismo epatico delle proteine introdotte con la dieta. In condizioni normali viene eliminata per oltre il 90% con le urine ed il rimanente è escreto nell’intestino sotto forma di ammonio ad opera della flora batterica. Nelle fasi avanzate della malattia renale cronica i valori di urea possono aumentare sensibilmente associandosi a sintomi gastro-intestinali come nausea e vomito. La creatinina proviene prevalentemente dal metabolismo delle proteine endogene (soprattutto muscoli scheletrici) e la sua concentrazione plasmatica, a differenza dell’urea, non è significativamente influenzata dall’apporto proteico con gli alimenti. L’acido urico rappresenta il terzo maggior prodotto terminale del catabolismo azotato, in particolare delle purine. L’iperuricemia di per sé rappresenta un fattore di rischio per la progressione della malattia renale cronica e oggi è ritenuto un fattore di rischio per le malattie cardio-vascolari. Pertanto, nella malattia renale cronica si assiste ad un progressivo incremento di questi cataboliti azotati. E’ tuttavia da sottolineare che un incremento isolato sia dell’urea che dell’acido urico non accompagnati da elevati valori della creatinina, non sono rappresentativi di una riduzione della funzione renale. Infatti un modesto incremento dei valori di urea si possono evidenziare in corso di terapia diuretica (spesso associata anche ad iperuricemia), steroidea e negli stati di ipercatabolismo. L’iperuricemia di per sé può essere presente nei pazienti gottosi. Nei pazienti con MRC il metabolismo glicidico risulta moderatamente alterato per una presenza di una intolleranza al glucosio che si evidenzia attraverso una curva da carico 75 orale di glucosio. I pazienti diabetici in trattamento insulinico, con il progredire della MRC vanno spesso incontro ad una riduzione della quantità di insulina assunta poiché vi è una ridotta clearance renale di tale ormone. Il profilo lipidico dei pazienti con MRC è caratterizzato, prevalentemente, da una ipertrigliceridemia con valori di colesterolo totale nella norma o moderatamente aumentati. Alterazioni cardio-vascolari Le alterazioni cardio-vascolari rappresentano la causa principale di morbidità e mortalità dei pazienti con MRC. L’ipertensione è documentabile in più del 90% dei pazienti con uremia terminale e compare nelle prime fasi della MRC. La presenza di elevati valori pressori a sua volta rappresenta un fattore determinante di progressione del danno renale. I principali fattori determinanti l’insorgenza di ipertensione arteriosa sono l’espansione del volume extracellulare per ritenzione idro-sodica (ipertensione volume-dipendente) e per l’attivazione del Sistema Renina-Angiotensina (SRA) più evidente nelle nefropatie vascolari e nelle glomerulonefriti (ipertensione reninica). L’insufficienza cardiaca (scompenso cardiaco) può verificarsi principalmente nelle fasi avanzate della MRC. La persistenza di ipertensione arteriosa, la ritenzione idro-salina l’anemia e le alterazioni miocardiche su base aterosclerotica, quest’ultima marcatamente accelerata nel paziente uremico, rappresentano i fattori più importanti nel determinismo dello scompenso. La pericardite uremica oggi è un evento molto raro grazie al precoce trattamento dialitico. 76 Alterazioni ematologiche Sono caratterizzate prevalentemente dal riscontro di anemia, alterazione funzionali dei leucociti e delle piastrine. L’anemia è un riscontro quasi costante nella MRC a partire da valori di VFG < 50 ml/min. Fanno, generalmente, eccezione i pazienti affetti da rene policistico dell’adulto ove a parità di riduzione della funzione renale hanno una crasi ematica meglio conservata rispetto a pazienti affetti da altre nefropatie. L’anemia (valori di Hb < 11 g% nelle donne e < 12 g% negli uomini) è di tipo normocromico (MCHC normale), normocitico (MCV normale) e rientra nelle anemie da difetto di produzione (iporigenerativa). L’anemia nella MRC è dovuta a: 1. Ridotta produzione renale di eritropoietina; 2. Ridotta sopravvivenza degli eritrociti (50-60 gg) dovuta alla ritenzione in circolo di “tossine uremiche” 3. Inibizione della eritropoiesi anch’essa ascrivibile a fattori tossici intrinseci allo stato uremico 4. Perdite ematiche sub-cliniche dall’apparato gastro-enterico in particolare dallo stomaco 5. Alterazioni del metabolismo del ferro 6. Iperparatiroidismo secondario In corso di malattia renale cronico risultano alterate sia la risposta chemio tattica che quella fagocitaria dei leucociti con conseguente maggiore suscettibilità alle infezioni che rappresentano una delle principali cause di morte del paziente uremico. 77 Anche la funzionalità delle piastrine (aggregazione ed adesione) risulta compromessa esponendo il paziente ad una aumentata facilità di sanguinamento. Alterazioni gastroenterologiche Esse compaiono nelle fasi avanzate della MRC. Caratteristico è il riscontro di una “gastrite uremica” caratterizzata dalla presenza di ulcerazioni superficiali della mucosa gastro-duodenale spesso dovute ad un incremento della secrezione acida (ipergastrinemia). Da un punto vista clinico possono essere presenti l’alito uremico, la nausea e vomito che rappresentano una indicazione ad iniziare un trattamento dialitico. Alterazioni neurologiche Queste comprendono manifestazioni sia a carico del sistema nervoso centrale (encefalopatia uremica) che periferico (polineuropatia periferica). L’encefalopatia uremica oramai, con l’avvento precoce della terapia dialitica è di raro riscontro. La neuropatia periferica è relativamente frequente anche se nella maggior parte dei pazienti è asintomatica e può essere evidenziata con indagini elettrofisiologiche. Le “tossine uremiche” e l’iperparatiroidismo sono ritenuti responsabili dell’insorgenza delle suddette alterazioni. Alterazioni endocrine Tra le alterazioni endocrine, evidenti risultano quelle interessanti gli ormoni della sfera sessuale. Nell’uomo un ipogonadismo primitivo con oligospermia è riscontrabile nel 30-50% dei casi. Ridotti risultano i livelli circolanti di testosterone e prolattina. Nella donna sono presenti inadeguati livelli di FSH, LH ed estrogeni a cui conseguono alterazioni del ciclo mestruale ed infertilità. 78 Terapia della Insufficienza Renale Cronica Distinguiamo due strategie di trattamento: 1) Terapia conservativa 2) Terapia sostitutiva della funzione renale Terapia conservativa L’insufficienza renale cronica rappresenta una condizione morbosa che una volta instauratasi, non è possibile ottenerne la guarigione; tuttavia si può comunque rallentarne l’evoluzione e ridurre i danni causati all’organismo. La terapia conservativa si prefigge da un lato conservare il più a lungo possibile le funzione renale residua e dall’altro a conservare il paziente nel migliore stato clinico possibile prevenendo o attenuando le complicanze tipiche dello stato uremico. Numerosi sono i presidi terapeutici finalizzati a tali scopi. I principali riguardano: Dieta ipoproteica ed ipofosforica: la riduzione dell’introito dietetico di proteine animali e di fosfati, riveste un ruolo fondamentale nella terapia conservativa. Essa permette un controllo dei livelli di azoto ureico, fosforo e paratormone. Consente altresì un miglioramento dell’acidosi metabolica ed un rallentamento della progressione dell’insufficienza renale verso l’uremia terminale. Generalmente la dieta ipoproteica viene prescritta quando il Volume del Filtrato Glomerulare si riduce al di sotto dei 60 ml/min. La quantità di proteine prescritte è 0.6-0.7 g/Kg/die per l’80% ad elevato valore biologico (proteine del pesce, dei formaggi e della carne), una quantità di fosforo tra i 600-800 mg/die ed almeno 35 79 Kcal/Kg/die. Con un 50-60% di carboidrati e 30% di lipidi. Tale dieta prevede anche l’integrazione con alimenti aproteici come il pane, la pasta ed i biscotti. Purtroppo la dieta ipoproteica ed ipofosforica è di difficile accettazione da parte dei pazienti tenendo presente che dovrebbe essere seguita a tempo indeterminato. Alla riduzione dietetica delle proteine e del fosforo va altresì aggiunta una riduzione degli alimenti ad alto contenuto di potassio ed una riduzione del sodio. Terapia antiipertensiva: il controllo dell’ipertensione arteriosa rappresenta con certezza uno dei principali interventi terapeutici nei pazienti con Malattia Renale Cronica (MRC). Esso è in grado di rallentare non solo l’evoluzione del danno renale ma è in grado di prevenire le complicanze cardio-vascolari che rappresentano più del 50% di causa di morte nei pazienti uremici. Oggi si ritiene che nel paziente con IRC il target pressorio da raggiungere sia una PA ≤ 130/85 mmHg. Tali valori sono addirittura inferiori se è presente una proteinuria importante. Questi livelli pressori, sono spesso difficili da raggiungere e bisogna ricorrere a molteplici farmaci antiipertensivi. Nel trattamento dell’ipertensione arteriosa nel paziente con riduzione della funzionalità renale possono essere utilizzati tutte le classi di farmaci antiipertensivi. I diuretici dell’ansa rivestono un ruolo fondamentale per la loro azione natriuretica. Gli inibitori del sistema renina-angiotensina oggi vengono considerati farmaci di prima scelta nel trattamento dell’ipertensione nel paziente con MRC per la loro azione anti-proteinurica e quindi nefroprotettrice. Tuttavia vanno utilizzati con estrema cautela nei pazienti con insufficienza renale cronica avanzata e nei pazienti anziani poiché possono peggiorare la funzione renale e causare iperkaliemia. - Altri presidi terapeutici: i chelanti del fosforo, i metaboliti attivi della vitamina D, la terapia ipouricemizzante e l’eritropoietina (quando presente anemia) sono 80 gli altri componenti di quel complesso puzzle rappresentato dalla terapia conservativa del paziente con malattia renale cronica. Terapia sostitutiva Distinguiamo una: • Terapia sostitutiva artificiale (dialisi) • Terapia sostitutiva naturale (trapianto renale) La Dialisi La dialisi è un procedimento chimico che permette di separare sostanze di diverso peso molecolare mediante diffusione attraverso una membrana semipermeabile. Esistono due tipi di trattamento dialitico: • Dialisi extracorporea (emodialisi) • Dialisi peritoneale In Italia sono circa 50.000 i pazienti con IRC terminale sottoposti a trattamento dialitico con un rapporto emodialisi/dialisi peritoneale di 9:1. Entrambi i trattamenti dialitici, consentono di eliminare l’eccesso dei prodotti finali del catabolismo azotato (e non solo) o quantomeno di mantenere la loro concentrazione plasmatica al di sotto della soglia di tossicità, di correggere le alterazioni dell’equilibrio idro-elettrolitico e migliorare il compenso acido-base. La dialisi non corregge le anomalie endocrine associate all’insufficienza renale cronica. 81 Il trattamento dialitico viene riservato a pazienti con IRA oligo-anurica e ai pazienti con IRC terminale. Emodialisi L’emodialisi è una metodica di depurazione artificiale nella quale il sangue viene estratto dal paziente, “filtrato” all’interno di un filtro dializzatore e reinfuso al paziente mediante una circolazione extracorporea. L’emodialisi si esegue generalmente in ospedale con assistenza medico ed infermieristica. Può tuttavia essere eseguita anche in centri dialisi situati all’esterno delle strutture ospedaliere anche con la sola assistenza infermieristica e la supervisione periodica del medico. Alcuni pazienti selezionati possono inoltre effettuare il trattamento emodialitico presso la propria abitazione (dialisi domiciliare) con l’aiuto di un partner dopo aver effettuato presso il centro dialisi di riferimento, un corso di formazione di alcuni mesi per acquisire le conoscenze e competenze necessarie ad eseguire a domicilio la dialisi. Tradizionalmente l’emodialisi va effettuata 3 volte alla settimana ed ogni seduta dialitica dura 4 ore. Tuttavia esistono schemi dialitici alternativi a quello tradizionale: • Emodialisi lunga notturna (7-8 ore 3 volte/sett) • Emodialisi quotidiana breve (2 ore x 6 giorni/sett) • Emodialisi quotidiana lunga (7-8 ore x 6 giorni/sett) Questi schemi, poco diffusi per problemi di tipo organizzativo sanitario, sono finalizzati ad ottenere una depurazione più efficiente e più fisiologica. Il trattamento dialitico ha trovato negli ultimi 20 anni una applicazione sempre più estensiva tanto che oggi l’età anagrafica non condiziona affatto la scelta di 82 inserimento in un programma dialitico anche di pazienti molto anziani. Certamente il trattamento sostitutivo non può che correggere solo alcune alterazioni della sindrome uremica e consentire una parziale e ciclica rimozione delle tossine uremiche. Per tali ragioni la terapia ottimale dell’uremia è rappresentata dal trapianto renale, unica terapia capace di garantire il completo recupero della funzione renale. Principi fisico-chimici dell’emodialisi L’emodialisi viene effettuata in circolazione extracorporea. Il sangue del paziente reso incoagulabile con l’eparina, viene veicolato all’interno di un circuito chiuso da una pompa peristaltica fino ad un filtro. Qui viene a contatto con una apposita soluzione (dialisato) che scorre in controcorrente, dalla quale è separato da una membrana semipermeabile (membrana del filtro dializzatore). Questa membrana presenta dei pori che lasciano passare sostanze di PM medio-basso (urea, creatinina) per cui durante la circolazione extracorporea si ha un continuo scambio tra sangue e soluzione dializzante che porterà le sostanze, la cui concentrazione nel sangue è elevata (azoto, creatinina, fosforo, potassio, ioni idrogeno ed altre tossine), a passare e ad essere eliminate nel liquido di dialisi. Una volta depurato il sangue ritorna, sempre attraverso dei tubi cavi nella circolazione del paziente (Fig. 16). Fig. 16 Emodialisi 83 Il processo di depurazione del sangue avviene attraverso tre processi: • Diffusione: che consiste nel movimento molecolare dei soluti attraverso la membrana secondo un gradiente di concentrazione: dal compartimento a maggiore concentrazione (sangue) a quello ove la concentrazione del soluto è minore o addirittura assente (liquido di dialisi). La composizione del dialisato è essenziale per assicurare un adeguato riequilibrio del paziente uremico con la dialisi. Le sostanze contenute nel liquido di dialisi è simile ad una soluzione polisalina con la presenza di bicarbonato come sostanza tampone. Inoltre sulla membrana dialitica è possibile applicare una pressione sul compartimento ematico in grado di far passare dell’acqua plasmatica attraverso il filtro (ultrafiltrazione). Attraverso il processo di ultrafiltrazione una parte di soluti viene eliminata insieme all’acqua (convezione) Quindi il processo di depurazione avviene per: • Diffusione • Convezione/ultrafiltrazione Nella seduta emodialitica standard i suddetti processi agiscono simultaneamente. Tuttavia è possibile effettuare un trattamento che consente la sola rimozione di soluti o la sola rimozione di acqua (ultrafiltrazione isolata). Quest’ultima metodica viene applicata, generalmente, nei casi ove è presente una sensibile ritenzione idrica. Pertanto l’ultrafiltrazione isolata non è utile per la rimozione dei soluti ma solo 84 dell’acqua plasmatica. Negli ultimi anni si sono sviluppate una serie di metodiche dialitiche alternative all’emodialisi standard al fine di ottenere una riduzione dei tempi di dialisi ed una maggiore depurazione del paziente. I principali fattori che influenzano il processo di depurazione del sangue sono: • Tipologia e grandezza del filtro dializzatore • Durata della seduta emodialitica • Flusso ematico La durata della seduta dialitica è un fattore determinante per l’efficienza dialitica. Sedute di dialisi inferiori alle tre ore non consentono una adeguata depurazione dalle tossine uremiche. Il flusso di sangue che dal paziente arriva al filtro dializzatore deve essere di circa 280-300 ml/min. Flussi ematici < 250 ml/min danno origine ad una inadeguata depurazione del sangue. Oltre al trattamento dialitico tradizionale negli ultimi anni sono state messe a punto metodiche dialitiche alternative come l’emofiltrazione, l’emodiafiltrazione, la Paired Filtration Dialysis (PFD) in grado di offrire una maggiore efficacia depurativa e ridurre complicanze insite nel trattamento dialitico come l’accumulo di particolari proteine (β2-microglobulina), la riduzione della pressione arteriosa durante la seduta emodialitica. Aspetti tecnici della terapia emodialitica Il circuito dialitico consiste in: • Monitor di dialisi (rene artificiale) • Circuito ematico extracorporeo • Filtro dializzatore 85 • Circuito del liquido di dialisi Monitor di dialisi: esistono diversi tipi di macchine per la dialisi ma tutte operano più o meno nello stesso modo. E’ una apparecchiatura estremamente sofisticata dotata di congegni atti a rilevare mediante allarmi acustici e luminosi qualsiasi alterazione dei principali parametri della seduta dialitica. Inoltre all’interno del monitor avviene anche la preparazione del liquido di dialisi. Il monitor di dialisi è provvisto di una pompa peristaltica (rotore) all’interno del quale è alloggiato un tubo cavo di materiale plastico. Grazie a questa pompa il sangue del paziente circola nel circuito ematico extracorporeo. (Fig.17) Fig. 17 Monitor di dialisi Circuito ematico extracorporeo: è costituito da una serie di tubi cavi di piccolo diametro (linee ematiche) all’interno del quale circola il sangue del paziente reso incoagulabile a seguito di somministrazione di eparina. Nel primo tratto del circuito, denominata linea arteriosa, circola il sangue prelevato dall’accesso vascolare del paziente che giunge al filtro dializzatore. All’estremità opposta di questo, origina la linea venosa che riporta il sangue depurato al paziente. Le linee ematiche come il filtro dializzatore sono materiale disposable che viene eliminato al termine di ogni seduta dialitica. 86 Filtro dializzatore: rappresenta la parte del circuito di dialisi ove avviene la depurazione del sangue. L’industria ha prodotto membrane sempre più biocompatibili e permeabili. I materiali più utilizzati sono il Cuprophan, l’Acetato di Cellulosa, Il Poliacrilonitrile, Polisulfonato. La superficie totale della membrana contenuta in un filtro può variare da 0.7 a 2 mq. Un filtro dializzatore ottimale deve avere dimensioni adeguate alla superficie corporea del paziente, una buona clearance dei soluti, una ottimale geometria di flusso per sangue e liquido di dialisi. All’interno del filtro il liquido di dialisi ed il sangue del paziente, in controcorrente, vengono a contatto, separati dalla membrana semipermeabile con conseguente scambi di soluti ed acqua (depurazione). Circuito del liquido di dialisi: il dialisato viene continuamente prodotto dal monitor mescolando l’acqua di rete purificata e pretrattata (demineralizzazione) con una soluzione salina concentrata. Questo liquido una volta attraversato il filtro, viene eliminato direttamente in scarico. Accessi vascolari per emodialisi La realizzazione dell’accesso vascolare è la condizione primaria per eseguire un trattamento emodialitico. Dall’accesso vascolare viene prelevato il sangue che una volta depurato, fa ritorno al paziente. La quantità di sangue che passa all’interno del filtro nel corso della seduta emodialitica è di fondamentale importanza per l’efficacia di depurazione della dialisi. Al fine di ottenere in flusso di sangue ottimale (300 ml/min) non possiamo utilizzare le sole vene periferiche che non sarebbero in grado di consentire un così importante flusso di sangue e la ripetuta puntura di un grosso ramo arterioso non è praticabile. Pertanto abbiamo bisogno di un accesso vascolare utilizzabile ad ogni seduta dialitica, che assicuri un buon flusso di sangue al dializzatore e possibilmente possa essere conservato nel tempo. 87 Distinguiamo due tipi di accesso vascolare: • Temporaneo: viene utilizzato nei casi di Insufficienza Renale Acuta o nell’Insufficienza Renale Cronica quando non è disponibile un accesso vascolare definitivo. • Permanente: viene utilizzato nei pazienti con IRC vista l’irreversibilità della perdita della funzione renale. Gli accessi vascolari temporanei sono rappresentati da cateteri venosi centrali monolume o bilume (lumi separati), che vengono posizionati nel lume di una vena centrale (giugulare interna, femorale, succlavia). I cateteri possono essere costituiti da diversi materiali come il poliuretano, il polivinilcloruro, il silicone (Fig. 18). Consentono un adeguato flusso ematico e vengono rimossi quando non vi è più necessità di dializzare il paziente. La vena giugulare interna (prevalentemente a dx per ragioni anatomiche) e la vena succlavia sono di gran lunga le sedi maggiormente utilizzate poiché i cateteri posizionati in tali sedi sono più confortevoli per il paziente e meno soggetti a rischio di infezioni. Le complicanze più frequenti sono legate al posizionamento (aritmie, punture arteriose, pneumotorace, emotorace). Tuttavia con la metodica eco guidata tali complicanze si sono sensibilmente ridotte. Altri tipi di complicanze sono di tipo infettivo e trombotico (intraluminale, periluminale). Riveste una fondamentale importanza al fine di prevenzione di queste complicanze, una attenta gestione del catetere venoso. Fig. 18 Catetere Venoso Centrale Bilume 88 L’accesso vascolare permanente è rappresentato dalla fistola artero-venosa interna (fistola di Cimino e Brescia). Essa consiste nell’unire (anastomosi chirurgica) una arteria, generalmente la radiale con una vena satellite nell’arto superiore non dominante (Fig. 19). La connessione di questi due vasi può essere diretta e tramite l’interposizione di un segmento protesico. Essa comporta un incremento della pressione e del flusso nel letto venoso a cui fa seguito il cosiddetto processo di arterializzazione del circolo venoso superficiale caratterizzato da un sensibile incremento dello spessore della parete venosa (simile all’arteria) e della portata ematica delle vene. Questo processo di “maturazione” richiede generalmente 2-4 settimane. Una volta sviluppata all’inizio di ogni seduta dialitica vengono posizionati nella vena arterializzata due aghi: uno posto distalmente (ago arterioso) da cui viene aspirato il sangue del paziente) l’altro posto prossimalmente (ago venoso) utilizzato per il ritorno al paziente del sangue depurato.Non viene mai punto un vaso arterioso. Le complicanze più frequenti della fistola artero-venosa (FAV) sono le: • Trombosi • Stenosi (prevalentemente sul versante venoso) • Infezioni Tali condizioni possono portare al malfunzionamento o perdita dell’accesso vascolare che va nuovamente confezionato. Più rare sono le complicanze dovute all’iperafflusso venoso (scompenso cardiaco, ischemia della mano) o a ripetute punture del vaso nella stessa sede (aneurismi, pseudo aneurismi). 89 Fig. 19 Fistola arterovenosa Nei pazienti in cui non è possibile allestire una FAV spesso per motivi legati a mancanza di un letto vascolare venoso idoneo o a fattori emodinamici oggi vengono utilizzati dei cateteri venosi centrali siliconati posizionati in vena giugulare interna attraverso un tunnel sottocutaneo. Tali cateteri possono rimanere in situ per anni e presentano una significativa riduzione dell’incidenza di infezioni rispetto ai cateteri temporanei. Complicanze in corso di seduta emodialitica Le complicanze intradialitiche possono essere suddivise in: • Complicanze legate alla non fisiologicità della dialisi • Complicanze legate all’uso dell’apparecchiatura e/o della circolazione extracorporea Complicanze legate alla non fisiologicità della dialisi L’emodialisi, pur rappresentando una “terapia salvavita”, non è affatto fisiologica. Infatti mentre il rene normale mantiene una funzione continua, l’emodialisi poiché effettuata “solo” per 12 ore alla settimana, sottopone l’organismo a rapide oscillazioni delle concentrazioni dei diversi elettroliti, di altre sostanze osmoticamente attive, 90 nonché del volume del compartimento intravascolare. In questo gruppo pertanto rientrano le complicanze legate proprio alla non fisiologia della dialisi: • Sindrome da squilibrio: da attribuirsi all’edema cerebrale provocato dalle variazioni osmotiche indotte dalla dialisi. E’ divenuta nel tempo molto rara e si manifesta con cefalea nausea e vomito e disorientamento. • Aritmie cardiache: (ipopotassiemia) e dovute della principalmente calcemia con alle variazioni squilibrio di del potassio elettroliti tra il compartimento intra ed extracellulare. • Ipotensione arteriosa: questa rappresenta la complicanza più frequente del trattamento emodialitico. Essa è dovuta alla sottrazione di liquidi che avviene durante la seduta emodialitica non compensata da un aumento delle resistenze vascolari periferiche. E’ più frequente nei pazienti diabetici, anziani, cardiopatici. • Crampi muscolari: si manifestano soprattutto agli arti inferiori. Alla sua genesi concorrono le alterazioni dell’osmolarità plasmatica e degli elettroliti. Generalmente si manifesta quando il paziente è sottoposto ad una eccessiva deidratazione. Complicanze legate all’uso dell’apparecchiatura e/o della circolazione extracorporea Con il miglioramento della tecnologia e con l’avvento di apparecchiature sempre più sicure, dotate di sofisticati sistemi di allarme, le complicanze legate ai monitor di dialisi e alla circolazione extracorporea sono pressoché scomparse. Tra esse ricordiamo: Febbre e brividi: dovuta a contaminazione batterica del circuito ematico. Rottura del filtro dializzatore: con possibile anemizzazione Ematomi sottocutanei localizzati nell’arto sede della FAV: dovuti ad errata venipuntura della fistola. 91 Inizio del trattamento dialitico In corso di IRA la presenza delle condizioni di seguito riportate è sufficiente ad iniziare il trattamento dialitico: oligo-anuria, iperkaliemia (>6.5 mEq/L), azotemia > 200 mg%, grave acidosi metabolica, edema polmonare, gravi alterazioni della sodiemia. Diverso è l’atteggiamento nel paziente affetto da insufficienza renale cronica. Vi sono sicuramente delle indicazioni assolute ad iniziare il trattamento dialitico come la comparsa di pericardite, di uno stato ipertensivo non più controllato dalla terapia medica, un sovraccarico idrico con miocardiopatia congestizia, valori di azotemia > 250 mg% e di creatinina > 10 mg%. Tuttavia tali situazioni si riscontrano sempre più raramente e soprattutto nei pazienti non seguiti presso i centri di nefrologia. In linea generale possiamo dire che la necessità di iniziare un trattamento dialitico può variare da paziente a paziente. La dialisi dovrebbe essere iniziata prima della comparsa dei sintomi tipici dello stato uremico, avendo tempo di preparare il paziente (scelta della metodica dialitica, confezionamento dell’accesso vascolare). Assistenza infermieristica durante la seduta dialitica Il ruolo dell’infermiere nell’ambito dell’assistenza al paziente dializzato è di fondamentale importanza. Il paziente uremico ha affrontato l’esperienza di un cambiamento radicale della propria vita legato alla riduzione dell’efficienza fisica, per le restrizioni alimentari e per il legame indissolubile con il “rene artificiale” e con il personale sanitario. Al di là delle capacità tecniche l’infermiere deve possedere capacità relazionali ed educative fornendo al paziente in dialisi un appoggio emotivo e di consiglio, indirizzandolo anche ad istituzioni e servizi appropriati. Tale approccio olistico va ben oltre la mera esecuzione delle prescrizioni mediche e degli aspetti 92 tecnici legati all’utilizzo del monitor di dialisi. L’infermiere deve conoscere il malato, la sua storia, la vita quotidiana, le sue esigenze ed aspettative. Sotto l’aspetto tecnico l’infermiere deve: 1. Preparare, controllare l’apparecchiatura ed il materiale necessario per la conduzione della seduta emodialitica 2. Valutazione e monitoraggio dei principali parametri clinici (andamento del peso corporeo, della PA, della respirazione, del sensorio) 3. Effettuare la dialisi extracorporea secondo la prescrizione medica (entità calo peso corporeo, flusso ematico) 4. Prevenzione degli incidenti tecnici e delle complicanze cliniche legate al trattamento emodialitico (ipotensione arteriosa, crampi muscolari) 5. Somministrare terapie mediche 6. Eseguire eventuali medicazioni di ferite, emergenze cutanee dei cateteri 7. Assicurare il buon funzionamento dell’accesso vascolare. Questo aspetto è di cruciale importanza. Infatti nella pratica clinica quotidiana, un malfunzionamento dell’accesso vascolare è spesso preceduto da alcune anomalie evidenziabili nel corso della seduta emodialitica. L’infermiere ad inizio dialisi, deve sempre controllare il funzionamento della FAV (thrill) o del catetere venoso centrale e la comparsa di allarmi segnalanti un malfunzionamento dell’accesso vascolare. Deve altresì cambiare più volte la sede della venipuntura per evitare la formazione di aneurismi, praticare una corretta emostasi dopo la rimozione degli aghi ed educare il paziente alla corretta gestione a domicilio dell’accesso vascolare, valutare eventuali segni premonitori di infezione dell’accesso vascolare. 93 8. Mantenere in condizioni ottimali e di sicurezza le apparecchiature di dialisi ed il sistema di trattamento delle acque 9. Favorire momenti di accoglienza e di socializzazione durante le sedute dialitiche Metodiche dialitiche continue Tali trattamenti sostitutivi della funzione renale differiscono dal trattamento emodialitico periodico, poiché vengono effettuate per 12-24 ore fino a tre giorni consecutivi in ambienti di terapia intensiva e vengono comunemente chiamati CRRT (continuous renal replacement terapies). In questa tipologia di trattamento emodialitico vengono impiegati dei monitor dedicati. La rimozione delle scorie azotate viene effettuata prevalentemente per convezione. L’accesso vascolare è rappresentato da un CVC e tali metodiche trovano impiego nel paziente critici con Insufficienza Renale Acuta. Tali metodiche consentono una elevata capacità depurativa, un buon controllo della omeostasi idro-elettrolitica, una buona correzione dell’equilibrio acido-base ed una ottima biocompatibilità. La dialisi Peritoneale La dialisi peritoneale è una altra metodica di depurazione del sangue che avviene all’interno dell’organismo sfruttando, come membrana dializzante, il peritoneo. Sia l’emodialisi che la dialisi peritoneale sono due metodiche entrambe efficaci. Rispetto alla emodialisi, la dialisi peritoneale è in grado di ottenere la depurazione in tempi più lunghi ed in maniera graduale e continua nell’arco delle 24 ore. La dialisi peritoneale si esegue a domicilio dopo aver effettuato un periodo di addestramento presso il centro nefrologico di riferimento. La dialisi peritoneale sfrutta la proprietà del peritoneo di essere una membrana “porosa” in grado di consentire il passaggio di 94 alcune sostanze tra la fitta rete di vasi sanguigni e linfatici che la percorrono e la cavità peritoneale in cui viene immesso il liquido di dialisi. Cenni di anatomia del peritoneo La membrana peritoneale è costituita da due foglietti: - Il foglietto parietale che ricopre la parete addomino-pelvica; - Il foglietto viscerale che riveste la maggior parte degli organi addominali. La membrana peritoneale delimita uno spazio virtuale detto cavità peritoneale che può essere riempita di liquido. Il sangue è distribuito alla membrana peritoneale dalle arterie che si ramificano diventando sempre più sottili sino a perdere lo strato muscolare trasformandosi in veri e propri capillari che presentano delle fenestrature endoteliali. La sierosa peritoneale è costituita da uno strato monocellulare di mesotelio appoggiato su una membrana basale continua sovrastante al tessuto connettivo costituito da fibre collagene, fibroblasti, vasi sanguigni e linfatici. L’insieme delle strutture anatomiche che costituiscono la parte dializzante della membrana peritoneale è quindi rappresentato da: - Endotelio; - Membrana basale; - Interstizio; - Mesotelio Pertanto la struttura funzionale del sistema dialitico peritoneale è costituita da tre componenti: 95 - Il sangue che è distribuito alla membrana peritoneale dai vasi sanguigni peritoneali; - La membrana peritoneale che viene attraversata dai soluti e dall’acqua; - Il liquido di dialisi che istillato nella cavità peritoneale mediante un catetere si equilibra, attraverso la membrana peritoneale, con le sostanze contenute nel sangue. Gli scambi peritoneali avvengono mediante processi di diffusione, ultrafiltrazione e trasporto convettivo. La principale differenza nella composizione delle soluzioni per l’emodialisi e di quelle per la dialisi peritoneale sta nella concentrazione di glucosio. Infatti mentre durante la seduta emodialitica la rimozione di fluidi avviene attraverso l’applicazione di una pressione sulla membrana del filtro dializzatore, nella dialisi peritoneale il processo di ultrafiltrazione avviene grazie alla presenza di glucosio che essendo una sostanza osmoticamente attiva, richiama acqua dal compartimento intravascolare. La percentuale di glucosio è variabile: la soluzione dialitica può essere normotonica, intermedia ed ipertonica a seconda della percentuale di glucosio presente (1,36%, 2.27% e 3.86%). I tamponi utilizzati sono costituita dal lattato o dal bicarbonato. Il liquido di dialisi introdotto nella cavità peritoneale viene a contatto con la membrana peritoneale attraverso la quale rimuove dal sangue che vi circola le scorie e l’acqua. Dopo qualche ora di permanenza in addome il liquido di dialisi si satura, cioè assorbe la massima quantità di acqua e sostanze tossiche e deve essere rinnovato tre o quattro volte al giorno con la manovra dello “scambio.” La membrana peritoneale può andare incontro con gli anni ad una perdita fisiologica della sua capacità filtrante. Questo processo di sclerosi può essere accentuato nel caso in cui il paziente vada incontro a delle peritoniti recidivanti. Il catetere peritoneale Se nell’emodialisi il requisito indispensabile è il reperimento di un accesso vascolare, nella dialisi peritoneale è necessario riempire la cavità peritoneale di soluzione 96 dialitica (2000 ml). Per fare entrare ed uscire il liquidi di dialisi dalla cavità peritoneale si utilizza un catetere (Tenckhoff), del diametro di circa 0.5 cm che viene inserito permanentemente nell’addome. E’ costituito di materiale in silicone, di consistenza morbida, flessibile, di lunghezza variabile, dotato di due cuffie in dacron che fungono da barriera alle infezioni dall’esterno e che delimitano un segmento di catetere che rimane inserito nel tunnel sottocutaneo. La porzione terminale del catetere che “pesca” direttamente nella cavità peritoneale è fornita di un foro terminale e di fori laterali (Fig. 20). Al catetere viene collegato un raccordo in titanio ed un connettore in plastica dotato di un sistema di apertura/chiusura del catetere e di un sistema di connessione a vite (luer lock) per le sacche, che viene chiuso con un tappo medicato (minicap). Il catetere è inserito mediante una piccola incisione sulla parete addominale effettuata in anestesia locale nello scavo del Douglas. La parte esterna esce dalla parete addominale attraverso un piccolo foro della pelle (orifizio cutaneo) che deve essere costantemente mantenuto pulito per ridurre il rischio di infezioni. Fig. 20 Il catetere peritoneale La rimozione del catetere peritoneale avviene solo in caso intervengano complicanze o venga interrotto il trattamento dialitico peritoneale. Le cause più frequente di rimozione riguardano una peritonite ricorrente o non rispondente alla terapia 97 antibiotica, un persistente leakage del liquido di dialisi, malfunzionamento del catetere. In caso di rimozione sarà necessario un piccolo intervento chirurgico in anestesia locale. Le principali complicanze dell’inserzione del catetere peritoneale sono: - Dolore post-operatorio nella zona perineale, a livello vescicale e/o rettale che tende a risolversi spontaneamente nel giro di pochi giorni; - Leakage: fuoriuscita di liquido di dialisi dall’orifizio cutaneo. Ciò avviene poiché il peritoneo non è ben aderente al punto di entrata del catetere o quando si inizia precocemente il riempimento della cavità peritoneale; - Ileo riflesso di riscontro comune che perdura per 1-2 giorni dall’inserzione del catetere; - Sanguinamento: osservato occasionalmente durante i primi lavaggi che seguono all’impianto del catetere; - Perforazione di un organo cavo: complicanza del passato quando i cateteri erano posizionati a cielo coperto; - Infezione dell’emergenza cutanea e del tunnel sottocutaneo; - Estrusione della cuffia di dacron dovuta ad un non corretto posizionamento del catetere o all’infezione del foro di ingresso; - Malfunzionamento del catetere dovuta a presenza di trombi ematici o di fibrina o ad un intrappolamento dell’omento. - Dislocamento del catetere: la migrazione del catetere dalla cavità del Douglas provoca scarso drenaggio ed una sua facile cattura da parte dell’omento. Il ruolo dell’infermiere nella fase pre-operatoria consiste nella programmazione di esami laboratoristici, informazione al paziente sulla modalità di intervento, eseguire 98 tricotomia e clistere. Nella fase post operatoria l’infermiere deve effettuare posizionamento del set di trasferimento, medicare l’emergenza cutanea del catetere e la ferita chirurgica, eseguire lavaggi peritoneali secondo protocolli, controllare la comparsa di segni e sintomi indicativi di complicanze precoci come presenza di liquido ematico, leakage, drenaggio difficoltoso. Modalità di esecuzione della dialisi peritoneale Esistono principalmente due metodiche di dialisi peritoneale: - Dialisi Peritoneale Ambulatoriale Continua (CAPD) Dialisi Peritoneale Automatizzata (APD) Dialisi peritoneale ambulatoriale continua (CAPD) Questo tipo di dialisi è la metodica più diffusa. Il sangue viene depurato “continuativamente” 24 ore al giorno. Il trattamento consiste nel riempire l’addome della soluzione dialitica (2 L). Ciò avviene per caduta (sacca di carico appesa ad una asta) mediante connessione del set, collegato al catetere peritoneale, alla sacca contenente il liquido di dialisi. Una volta riempito l’addome il paziente chiude il miniset e torna alle sue attività quotidiane. Trascorse 4-6 ore il liquido viene convogliato sempre per caduta in una apposita sacca di scarico ed il ciclo riprende con il riempimento dell’addome mediante una nuova soluzione dialitica. Le manovre di carico e scarico del liquido peritoneale durano mediamente 30’. Normalmente i pazienti effettuano 4 scambi di 2 litri di soluzione di dialisi al giorno così scaglionati: il primo al mattino presto, il secondo 99 all’ora di pranzo, il terzo a metà pomeriggio, il quarto prima di coricarsi in modo che durante la notte la cavità peritoneale risulti piena di liquido. Dialisi Peritoneale Automatizzata (APD) Questo tipo di dialisi, che si effettua durante la notte mentre il paziente dorme, utilizza una macchina (cycler) fornita gratuitamente dal centro dialisi. La macchina si prepara prima di andare al letto e poi si collega al catetere peritoneale. In maniera automatica avvengono gli scambi nell’arco di circa 8-10 ore. Durante questo tempo la macchina scalda il liquido di dialisi, misura la quantità di liquido che entra ed esce dall’addome, fa uscire dall’addome la soluzione usata, riempie la cavità peritoneale di liquido nuovo, garantisce che gli scambi avvengono in maniera regolare. Al mattino successivo si scollega il catetere dalla macchina. Il vantaggio di questa metodica è quello di richiedere una sola manovra di attacco e di stacco del catetere peritoneale dalle sacche di dialisi riducendo la possibilità di infezioni. Consente, altresì, di godere di maggiore libertà durante la giornata. Entrambi i trattamenti si eseguono a domicilio e pertanto è indispensabile l’addestramento presso il centro nefrologico di riferimento del paziente e di un partner (metodica di facile gestione ed apprendimento), l’idoneità dell’ambiente domiciliare, la cura dell’igiene della propria persona, l’esecuzione delle manovre di connessione alle sacche di carico e scarico effettuate in asepsi. 100 La dialisi peritoneale è: - più fisiologica per l’organismo rispetto alla emodialisi poiché la depurazione del sangue e la rimozione dei liquidi avviene in maniera lenta e continua; - è di pari efficacia depurativa rispetto alla emodialisi; la spettanza di vita è sovrapponibile tra le due metodiche. La dialisi peritoneale è indicata ed applicata in particolar modo in ambito pediatrico, per coloro che vogliono mantenere una regolare attività lavorativa, per chi ha gravi problemi cardio-vascolari. I pregressi interventi sull’addome, frequenti episodi di diverticolite, la mancanza di un partner per le persone anziane e la scarsa igiene personale rappresentano delle controindicazioni a tale trattamento dialitico. Complicanze a lungo termine della dialisi peritoneale La complicanza più frequente del paziente già stabilizzato in dialisi peritoneale è rappresentata dalla peritonite. Clinicamente l’insorgenza di tale complicanza è data dalla comparsa di dolore addominale diffuso e dal riscontro di liquido peritoneale effluente di aspetto torbido. L’infezione, generalmente, deriva dal passaggio di microrganismi (stafilococchi, E. Coli) attraverso il catetere o l’emergenza cutanea dello stesso. Negli ultimi anni la frequenza delle peritoniti si è sensibilmente ridotta (mediamente 1 episodio ogni 40 mesi di trattamento) grazie all’avvento di sistemi di connessione (catetere peritoneale-sacche contenenti il liquido di dialisi) sempre più sicure. Il trattamento della peritonite si basa sull’utilizzo di antibiotici somministrati per via sistemica e nel peritoneo attraverso il liquido di dialisi. Raramente è necessaria la rimozione del catetere e la sospensione del trattamento dialitico peritoneale; questo evento è osservato nelle peritoniti fungine. Un'altra complicanza a lungo termine è rappresentata dalla peritonite sclerosante. Questa rara complicanza è caratterizzata da una sclerosi progressiva con infiltrati 101 infiammatori e calcificazioni vascolari che può arrivare ad incapsulare le anse intestinali. Episodi ripetuti di peritonite rappresentano una causa importante. Tale complicanza impone la sospensione definitiva della dialisi peritoneale. 102 Indice Cenni di anatomia del rene pag. 2 Le funzioni del rene pag. 8 Semeiotica renale pag. 12 Esami laboratoristici di interesse nefrologico pag. 15 Esami strumentali di interesse nefrologico pag. 26 Le nefropatie glomerulari pag. 30 Le nefropatie tubulo-interstiziali pag. 37 Le nefropatie vascolari pag. 48 Le infezioni delle vie urinarie pag. 51 Insufficienza renale acuta pag. 57 Insufficienza renale cronica pag. 68 L’emodialisi pag. 82 La dialisi peritoneale pag. 94 103