CAPITOLO 25 Alterazioni degenerative dello scheletro appendicolare Antonio Barile, Nicola Limbucci, Carlo Masciocchi Introduzione La patologia degenerativa articolare è costituita essenzialmente dall’osteoartrosi (OA) e da lesioni involutive dei tessuti molli articolari. Il termine osteoartrite è quello più diffuso nella letteratura anglosassone, tuttavia nell’artropatia degenerativa le alterazioni infiammatorie sono poco pronunciate e a lento sviluppo, pertanto in Europa si preferisce parlare di OA. L’OA è la più comune patologia articolare, la cui prevalenza cresce con l’età dai 30 anni. Si stima che il 100% dei soggetti sopra i 60 anni abbia segni radiologici di OA. Le manifestazioni morfologiche e cliniche sono variabili in base alle articolazioni coinvolte e al grado di sviluppo. La maggior parte della popolazione geriatrica lamenta disturbi di bassa o media entità, ma in molti casi le alterazioni osteoartrosiche sono talmente avanzate da determinare una marcata limitazione funzionale fino alla completa invalidità [1]. Si stima che in Italia almeno 10 milioni di persone siano affette da OA conclamata, e di queste il 25% non è autosufficiente. Pertanto, il costo sociale ed economico della patologia degenerativa articolare è estremamente elevato [2]. L’alta prevalenza rende l’OA una condizione, per certi aspetti, parafisiologica. Tuttavia il grado di progressione della malattia non si correla sempre in modo proporzionale all’età, che quindi rappresenta solo uno dei numerosi fattori che contribuiscono al suo sviluppo. Eziopatogenesi Il momento principale dello sviluppo dell’OA è la degenerazione della cartilagine articolare, alla quale si associano progressive modificazioni reattivo-involutive a carico dell’osso, della sinovia e della capsula articolare. Tradizionalmente, si tende a dividere l’OA in primitiva e secondaria a seconda che siano assenti o riconoscibili dei precisi fattori patogenetici. Sostanzialmente, la degenerazione condrale si sviluppa quando viene meno l’equilibrio tra forze di carico e normale anatomia articolare. Le condizioni caratterizzate da un’abnorme concentrazione di carico su una normale articolazione sono rappresentate soprattutto dall’obesità e dal sovraccarico funzionale (iperuso cronico e microtraumatismi per motivi occupazionali o sportivi). Invece, i fattori che favoriscono l’OA in condizioni di normale carico articolare sono precedenti artropatie, alterazioni anatomiche predisponenti al sovraccarico funzionale, microinstabilità da lesioni legamentose o meniscali, patologie metaboliche, ecc. Il sovraccarico articolare determina uno squilibrio biochimico tra sintesi e mobilizzazione della matrice cartilaginea. Ciò riduce l’elasticità e inibisce il meccanismo 218 A. Barile, N. Limbucci, C. Masciocchi di nutrizione per imbibizione; ne derivano ipossia cellulare con sofferenza e/o necrosi condrocitaria. La degenerazione cartilaginea, o condromalacia, si sviluppa secondo quattro fasi progressive [3]: 1) edema cartilagineo senza soluzioni di continuità; 2) rammollimento e fissurazione moderata della cartilagine; 3) fibrillazione severa con erosioni e ampi difetti; 4) esposizione dell’osso subcondrale. La distruzione cartilaginea e la perdita della funzione ammortizzante determinano la ridistribuzione del carico articolare sulla regione cartilaginea ancora normale e sull’osso subcondrale, che reagiscono con una serie di alterazioni secondarie. Si formano piccole aree di edema intraspongioso, microemorragie e microfratture, che determinano il collasso delle trabecole. Queste modificazioni provocano incremento della cellularità e iperemia dell’osso subcondrale, con conseguenti fenomeni di sclerosi. Parallelamente ai fenomeni produttivi, si sviluppano aree di sofferenza ischemica subcondrale a livello dei segmenti sottoposti alla massima pressione. Queste alterazioni di solito sono un processo microscopico, tuttavia possono aumentare di dimensioni e determinare collasso osseo. Lo squilibrio del carico pressorio determina tipicamente la formazione di cisti subcondrali nelle aree di carico, definite anche geodi. Esistono due teorie patogenetiche per spiegare il loro sviluppo. La prima è che esse si formino da microfissurazioni nella cartilagine, attraverso le quali il liquido sinoviale raggiunge l’osso. L’altra teoria è che le cisti siano l’esito di un’osteonecrosi. È verosimile che i meccanismi coesistano. Altra caratteristica dell’OA è l’osteofitosi. Questo fenomeno consiste nella neoproduzione di osso nei segmenti articolari sottoposti a minor stress pressorio. Gli osteofiti sono distinti in marginali, centrali e inserzionali. Gli osteofiti marginali sono estroflessioni ossee parallele alla superficie di carico. Questi sono finalisticamente orientati all’ampliamento delle superfici articolari e al ripristino del contatto dei capi ossei diventati incongrui; si tratta quindi di un tentativo di ripristino della normale distribuzione del carico. Gli osteofiti marginali, pertanto, riducono il sovraccarico e migliorano la stabilità, tuttavia possono limitare la mobilità articolare. Gli osteofiti centrali si sviluppano nelle aree centrali dell’articolazione, dove persistono residui cartilaginei. Essi hanno un ruolo meno definito, ma probabilmente sono un tentativo per ricostituire la congruenza articolare. Gli osteofiti inserzionali si sviluppano nel punto di inserzione della capsula e dei legamenti a causa di forze trazionali conseguenti alla perdita della congruenza articolare. Nelle forme osteoartrosiche più avanzate si sviluppano corpi intra-articolari cartilaginei o ossei, malallineamenti e deformità. Nell’OA, alle alterazioni ossee si associano spesso lesioni dei tessuti molli. Nella maggior parte dei pazienti, il coinvolgimento della membrana sinoviale non è rilevante, tuttavia la liberazione di detriti osteocartilaginei e i fenomeni di attrito determinano una sinovite reattiva responsabile di parte della sintomatologia. In alcuni casi la sinovite tende ad avere fasi di riacutizzazione. Quando, raramente, le alterazioni sinoviali sono molto gravi, si configura l’OA infiammatoria, caratterizzata da erosioni simili a quelle dell’artrite reumatoide. Anche le strutture intra-articolari legamentose e fibrocartilaginee (menischi, cercini) sono spesso interessate da processi degenerativi. Questi sono dovuti soprattutto all’anomala distribuzione del carico pressorio, quindi sono prevalentemente associate alle modificazioni osteoartrosiche. La gravità delle lesioni degenerative dei tessuti molli non è sempre direttamente collegata allo stato di avanzamento dell’OA. Capitolo 25 · Alterazioni degenerative dello scheletro appendicolare Caratteristiche radiologiche generali Le manifestazioni radiologiche dell’OA sono il corrispettivo delle alterazioni anatomopatologiche. La radiologia tradizionale (RT) resta la base per lo studio del paziente in cui si sospettino alterazioni degenerative o si voglia valutare l’evoluzione delle stesse. I segni radiografici di OA sono tardivi e spesso seguono di anni l’esordio clinico. Quando possibile, per una migliore accuratezza diagnostica i radiogrammi vanno eseguiti sotto carico [4]. Il primo segno radiografico è il restringimento dell’interlinea articolare a causa della distruzione cartilaginea. Il restringimento è localizzato nelle sedi di maggior carico, quindi tende a essere asimmetrico, a differenza di quanto accade nelle artropatie infiammatorie. In rari casi, la radiografia permette di identificare precocemente bande radiotrasparenti subcondrali associate o meno a restringimento della rima. La reazione dell’osso si manifesta con la sclerosi subcondrale dei segmenti articolari contrapposti, che può progredire fino alla completa eburneizzazione. Nei casi avanzati la superficie di carico può andare incontro a collasso e frammentazione, inoltre sono possibili deformità articolari. Le cisti subcondrali appaiono come focalità radiotrasparenti a margini ben definiti, con orletto sclerotico, di dimensioni variabili da 2 mm a 2 cm, localizzate nelle zone di carico. La radiografia permette di individuare facilmente gli osteofiti che, essendo tipici dell’OA, rappresentano un fondamentale elemento diagnostico. Quelli marginali hanno l’aspetto di escrescenze ossee che predominano da un lato dell’articolazione e si sviluppano da aree articolari relativamente normali. A livello dell’inserzione di legamenti, capsula e tendini sono frequenti calcificazioni o aree di riassorbimento osseo. Spesso si osservano corpi calcifici intra-articolari e condrocalcinosi. L’ecografia non trova specifiche indicazioni nello studio dell’OA, anche se in alcuni distretti può consentire una precisa misurazione dello spessore cartilagineo. Può essere utile nello studio delle patologie degenerative dei tendini e nell’identificazione di borsiti e cisti sinoviali para-articolari [1]. La tomografia computerizzata (TC) ha un ruolo limitato nello studio della patologia degenerativa. Consente, rispetto alla RT, di visualizzare direttamente la cartilagine. Nuove prospettive potrebbero venire dall’applicazione delle nuove apparecchiature multidetettore all’artro-TC. La metodica che offre considerevoli informazioni aggiuntive è la risonanza magnetica (RM). Questa consente di individuare già in fase precoce le modificazioni patologiche della cartilagine. Per sfruttare al meglio le potenzialità della RM è opportuno scegliere sequenze ottimizzate per lo studio della cartilagine.Attualmente la migliore tecnica sembra essere l’artro-RM che nelle sequenze T1-pesate permette di delineare dettagliatamente la cartilagine. Una valida alternativa all’artro-RM sono le sequenze 3D-SPGR (spoiled gradient recalled) Fat Sat che permettono di acquisire sottili strati contigui con alta risoluzione di contrasto tra cartilagine, liquido sinoviale e osso subcondrale [3]. Nella fase di edema cartilagineo in RM è a volte possibile osservare un focale rigonfiamento associato a iperintensità nelle sequenze T2-pesate. In realtà queste lesioni sono osservate quasi esclusivamente a livello femoro-rotuleo, per l’elevato spessore della cartilagine. Nella fase della fibrillazione, in RM è possibile osservare l’assottigliamento e l’irregolarità della cartilagine. Nella terza fase sono presenti veri e propri difet- 219 220 A. Barile, N. Limbucci, C. Masciocchi ti, che se arrivano a esporre l’osso subcondrale definiscono la quarta fase. In corrispondenza delle zone di condropatia, spesso si osservano piccole aree di edema intraspongioso. In RM, soprattutto con sequenze gradient-echo (GE), sono riconoscibili le aree di sofferenza ischemica subcondrale che vanno distinte dall’osteonecrosi idiopatica, rispetto alla quale hanno dimensioni ridotte, mancano dell’orletto sclerotico, e sono associate a distruzione della cartilagine.A volte, le focalità di necrosi si associano ad ampie aree di edema intraspongioso in rapporto a fenomeni reattivi neuroalgodistrofici [5]. I restanti reperti evidenziati dalla RT, sono dimostrabili anche con la RM senza che questa aggiunga ulteriori elementi. Al contrario, la RT permette una migliore dimostrazione delle deformità grazie all’elevata panoramicità e alla facilità dell’esecuzione di esami sotto carico. Invece, nello studio della patologia degenerativa dei tessuti molli intra-articolari la RM è sicuramente la metodica di scelta. Nuove prospettive potrebbero provenire dall’introduzione della RM eseguita in ortostasi, che unirà il vantaggio di eseguire esami sotto carico come in RT alla possibilità di visualizzare direttamente cartilagine e tessuti molli. Patologia degenerativa delle specifiche articolazioni Anca L’anca è tra le più comuni sedi di OA. Il primo segno sulla radiografia frontale è la riduzione della rima articolare con conseguente migrazione della testa del femore. Se predomina la riduzione della rima articolare superiore la testa migra in senso verticale; quando la riduzione della rima interessa il terzo interno dell’articolazione la testa migra medialmente; se invece la rima è assottigliata in modo simmetrico la testa migra secondo l’asse del collo femorale, ma in questa circostanza è più probabile che l’artropatia sia di tipo infiammatorio [4]. La migrazione superiore è quella più frequente e può essere suddivisa in superolaterale e supero-mediale. La prima forma è spesso monolaterale o asimmetrica e può essere associata a displasia acetabolare. La sclerosi e le cisti si sviluppano sul versante esterno della testa e dell’acetabolo. La migrazione supero-mediale è solitamente bilaterale. L’osteofitosi interessa inizialmente il versante esterno dell’acetabolo e della testa, quindi la superficie infero-mediale della testa. Progressivamente segue un rimodellamento con riassorbimento dell’osso lungo il versante laterale della testa femorale e la deposizione di osso lungo la superficie mediale, configurando una deformità detta “da ballottamento”. La migrazione mediale è in genere bilaterale, la sclerosi interessa prevalentemente la superficie interna di testa e acetabolo, la rima articolare tende ad allargarsi nella porzione esterna, osteofiti marginali si sviluppano sia sul femore che sull’acetabolo e prevalentemente all’interno. Tipico è l’osteofita da trazione periostale che determina l’ispessimento a contrafforte del collo femorale. La diagnosi differenziale rispetto alle artropatie infiammatorie di solito è agevole, perché in questo caso la migrazione è assiale, manca l’osteofitosi e sono presenti erosioni. La RM non è solitamente necessaria nei pazienti con OA, anche se nei casi iniziali può identificare fini lesioni cartilaginee. Tuttavia, la RM trova indicazione per la diagnosi differenziale, soprattutto con l’osteonecrosi, nei casi in cui il quadro radiografico non è tipico o in caso di coxalgia radiograficamente negativa. Capitolo 25 · Alterazioni degenerative dello scheletro appendicolare Ginocchio L’OA del ginocchio è spesso associata a obesità, deformità o pregressi traumi e interventi. Qualsiasi stress che devi il carico verso un compartimento articolare favorisce l’OA. Il ginocchio può essere suddiviso nei compartimenti femoro-rotuleo, femoro-tibiale interno ed esterno. Quello più spesso coinvolto dai processi degenerativi è il femorotibiale interno. L’OA di solito è tricompartimentale o bicompartimentale, ma normalmente uno dei compartimenti è maggiormente interessato degli altri. L’esame radiografico mostra i tipici segni di OA (Fig. 1): riduzione asimmetrica della rima articolare, sclerosi, geodi, osteofiti marginali e, spesso, appuntimento delle spine tibiali [4]. Nell’OA femoro-rotulea le alterazioni prevalgono sul versante laterale della rotula ed è frequente un’entesopatia all’inserzione del quadricipite. Le deformità articolari in varismo sono frequenti, ma vanno valutate in ortostatismo. Inoltre, la rotula assume spesso un atteggiamento di iperpressione esterna. Nel ginocchio sono comuni le aree di sofferenza ischemica subcondrale. La RM con sequenze GE è in grado di identificare anche quelle più piccole (Fig. 1c). Spesso queste lesioni arrivano a dimensioni considerevoli, specialmente a carico del condilo interno. La sinovite è un frequente riscontro di esami TC o RM, ma raramente ha aspetto iperplastico. Spesso la sinovia include corpi ossicalcifici che possono riassorbirsi o dare quadri di condromatosi sinoviale secondaria. All’artropatia degenerativa si associa spesso la distensione reattiva della borsa del gastrocnemio-semimembranoso. Meno comuni sono i gangli cistici intrarticolari o periarticolari, come quello presso l’articolazione tibioperoneale. La RM e la TC hanno la grande potenzialità di evidenziare direttamente la condropatia e, relativamente alla RM, le aree di sofferenza ischemica. Tuttavia, esse sono utili anche per identificare eventuali lesioni degenerative dei tessuti molli. In età geriatrica i menischi presentano comunemente degenerazione mixoide di tipo a b c Fig.1. Artrosi tricompartimentale del ginocchio.Radiogramma in proiezione laterale (a) e antero-posteriore (b) che evidenzia l’assottigliamento della rima articolare (freccia nera) e l’osteofitosi marginale (punta di freccia).La risonanza magnetica (RM) (c),sequenza gradient echo (GE) T1-pesata in coronale, evidenzia un’area di sofferenza ischemica subcondrale del condilo femorale interno (freccia tratteggiata) 221 222 A. Barile, N. Limbucci, C. Masciocchi meniscosi. In RM la meniscosi si traduce con una diffusa e disomogenea iperintensità nelle sequenze T1-pesate. L’iperintensità origina dal centro del menisco fino a interessarlo completamente. Nei casi avanzati il profilo meniscale diventa rigonfio e irregolare, e il menisco può andare incontro a rotture semplici o a pluriframmentazione. Spesso alla meniscosi si associano piccole aree di sofferenza ischemica subcondrale. Tra i processi degenerativi vanno considerate anche le cisti meniscali. Queste sono più frequenti a carico del menisco esterno per la sua vascolarizzazione più critica. Le cisti derivano da fenomeni colliquativi che dal centro del menisco si estendono alla superficie esterna fino alla sua fissurazione orizzontale, così la cisti tende ad avere un’estrinsecazione extrameniscale. In T1 il segnale della cisti è iso-iperintenso rispetto a quello di un menisco sano. Spesso è evidente il tramite con la porzione degenerata del menisco, specie con sequenze GE T2-pesate. In T2 il segnale della cisti è elevato ma non quanto quello del liquido sinoviale. Le cisti del corno posteriore del menisco interno possono raggiungere grandi dimensioni e dislocare le strutture capsulo-legamentose circostanti [6]. Anche i legamenti possono presentare lesioni degenerative. Piuttosto comune è la degenerazione mixoide del legamento crociato anteriore. Questa appare in RM come uno sfaldamento del legamento che appare imbibito di materiale proteinaceo, isointenso in T2 e iso-iperinteso in T1, con relativo risparmio dei fasci legamentosi che appaiono dislocati ai lati. Caviglia e piede L’OA della caviglia è rara e legata a instabilità post-traumatica. A carico del piede l’OA è frequente soprattutto a livello della prima articolazione tarso-metatarsale e della prima articolazione metatarso-falangea. Quest’ultimo caso è comune nel sesso femminile e si associa spesso alla deviazione in valgismo, a iperostosi e cisti della prima testa metatarsale. L’OA interfalangea si manifesta soprattutto con marcate deformità. A livello del piede una comune alterazione su base degenerativa è costituita dall’entesopatia degenerativa all’inserzione calcaneale del tendine d’Achille e dell’aponeurosi plantare. Spalla L’OA dell’articolazione gleno-omerale è solitamente secondaria a traumi o a rottura degenerativa della cuffia dei rotatori. Quella primitiva non è comune. I segni sono quelli tipici dell’OA. Molto più frequente è l’OA acromion-claveare, caratterizzata da riduzione della rima, sclerosi e soprattutto da osteofitosi. L’OA acromion-claveare ha un ruolo fondamentale nella genesi di molti casi di sindrome da conflitto della cuffia dei rotatori. In età geriatrica le lesioni degenerative della cuffia dei rotatori sono molto comuni e sono valutate efficacemente con ecografia e RM. La sindrome da conflitto è determinata da due condizioni: riduzione dello spazio di scorrimento sottoacromiale e sovraccarico funzionale [7]. Queste di solito coesistono con prevalenza dell’una o Capitolo 25 · Alterazioni degenerative dello scheletro appendicolare dell’altra. La riduzione dello spazio di scorrimento è favorita da fattori costituzionali (come la conformazione tipo II o III dell’acromion), traumatici o degenerativi. Questi sono i più comuni e sono costituiti dall’ipertrofia del legamento coraco-acromiale e dall’artrosi acromion-claveare, specialmente se sono presenti osteofiti sottoacromiali “strategici”. Le strutture “bersaglio” della sindrome da conflitto sono la borsa sottoacromiale e il tendine del sopraspinoso. Le lesioni della cuffia progrediscono con una sequenza prevedibile fino alla rottura completa della cuffia se il processo non viene arrestato. Il primo stadio, reversibile, è la borsite sottoacromiale. Se lo stimolo patogeno continua la borsa diventa fibrotica e rigida, contribuendo così ai fenomeni di attrito, e i tendini vanno incontro a tendinite. La terza fase è la tendinosi del sopraspinoso, prevalentemente a livello della sua porzione a minor vascolarizzazione, detta “area critica”. L’evoluzione della sindrome da attrito è la rottura dei tendini della cuffia, dapprima parziale sul versante articolare e poi completa. La RT può mostrare la causa del conflitto se questa è di tipo osseo, inoltre spesso si osservano calcificazioni bursali o tendinee e segni di riassorbimento osseo del trochite su base fibro-osteitica (Fig. 2a). In caso di rottura completa della cuffia è tipica la risalita della testa omerale. Dopo la RT il passo successivo per la diagnosi delle lesioni della cuffia è l’ecografia, che permette di visualizzare direttamente le calcificazioni, la tendinosi e le reazioni infiammatorie acute (Fig. 2b). Tuttavia il gold standard nell’imaging della cuffia dei rotatori è la RM. La RM è in grado di dimostrare la riduzione della spazio di scorrimento sottoacromiale e di identificare la causa. Le aree di tendinosi presentano un relativo incremento del segnale nelle sequenze T1-pesate (Fig. 2c). Le sequenze T2-pesate sono utili per identificare fenomeni infiammatori della borsa sottoacromiale, che appare distesa e iperintensa in fase acuta e ipointensa in fase cronica. Anche le rotture tendinee sono meglio evidenti con sequenze T2-pesate. Nelle lesioni parziali, queste mostrano l’interruzione del profilo tendineo con ingresso di liquido sinoviale, mentre nelle lesioni complete mostrano l’ampiezza della breccia e lo stato dei monconi. Nei casi dubbi è utile l’artro-RM, in quanto il passaggio del mezzo di contrasto nella borsa dimostra indirettamente la presenza di una soluzione di continuità della cuffia. a b c Fig. 2. Patologia degenerativa della cuffia dei rotatori. L’esame radiografico (a) mostra calcificazioni a livello dell’inserzione del sopraspinoso sul trochite omerale (freccia bianca). L’ecografia, con scansione longitudinale (b), mostra un’area disomogenea da riferire a fenomeni degenerativi (freccia tratteggiata). La RM, in sequenza spin-echo (SE) T1-pesata in coronale (c), evidenzia un’area di alterato segnale in corrispondenza dell’area critica del sopraspinoso, da riferire a fenomeni tendinosici (freccia nera) 223 224 A. Barile, N. Limbucci, C. Masciocchi Polso e mano L’OA delle ossa carpali interessa soprattutto la prima articolazione carpo-metacarpale, dove si rilevano riduzione della rima, marcata sclerosi subcondrale, sublussazione radiale con apposizione ossea marginale del trapezio. A volte l’OA presenta aspetti erosivi (Fig. 3). All’OA carpo-metacarpale si associano spesso segni artrosici nello spazio trapezioscafoideo [4]. Fig. 3. Artrosi carpo-metacarpale del primo raggio, con esteso coinvolgimento del trapezio. Sono evidenti l’assottigliamento della rima articolare, la sclerosi e l’osteofitosi marginale. Si associano iniziali aspetti erosivi (freccia) A livello della mano, una sede estremamente comune è l’articolazione metacarpofalangea del primo raggio, normalmente accompagnata anche da lesioni in sede interfalangea. Il principale segno di OA è la riduzione della rima articolare, uniforme e senza erosioni. L’osteofitosi è poco pronunciata. L’OA delle articolazioni interfalangee prossimali e distali è estremamente comune, soprattutto nelle donne, e interessa simultaneamente più articolazioni. Lo spazio articolare è ridotto in modo asimmetrico e il profilo articolare è spesso irregolare. L’osteofitosi marginale conferisce un aspetto ad “ali di gabbiano”. Inoltre nei casi avanzati si osservano deformità da instabilità orizzontale. La RM consente di dimostrare lesioni associate dei tessuti molli, quali sinovite iperplastica, borsiti, gangli cistici e degenerazione mixoidea della fibrocartilagine triangolare. Bibliografia 1. Martino F, Villani PC (2004) Artrosi: quale imaging? Radiol Med (Suppl 3)5-6:1-9 2. Leardini G, Salaffi F, Caporali R et al (2004) Direct and indirect costs of osteoarthritis of the knee. Clin Exp Rheumatol 22:699-706 3. Barile A (2001) La risonanza magnetica della patologia cartilaginea e sinoviale del ginocchio. Gruppo Tipografico Editoriale, L’Aquila 4. 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