La cause della crisi finanziaria del 2008

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La cause della crisi finanziaria del 2008
Una crisi su scala mondiale
L’attività economica, lo abbiamo più volte ricordato, è per sua natura ciclica, con fasi
di espansione e di calo che si succedono l’una dopo l’altra. Ma la crisi che ha avuto
origine nell’estate del 2007 negli Stati Uniti (ha avuto inizio sul mercato immobiliare
americano) sembra davvero senza precedenti. Essa si è propagata a macchia d’olio
e con grande intensità sia negli Stati Uniti sia in Europa; ha travolto il sistema finanziario mondiale, con il crollo vorticoso delle borse e una serie di fallimenti di istituti
bancari, tra i quali Lehman Brothers ha rappresentato il caso più eclatante; infine, si
è trasformata ben presto in una crisi dell’economia reale, mettendo in difficoltà industrie e famiglie: molti Paesi sono finiti in recessione, e ciò è accaduto per la prima
volta su scala mondiale.
Il crack di Lehman Brothers è avvenuto il 15 settembre 2008, quando la banca d’affari americana Lehman Brothers è finita in bancarotta. Il Governo degli Stati Uniti ha
deciso di non salvarla. Da questo momento è iniziato un crollo repentino del mercato
azionario.
Il brano che segue descrive, sinteticamente e in modo chiaro, gli eventi drammatici
dai quali ha avuto inizio questa crisi che ha travolto l’economia mondiale.
PAGINE SCELTE
Le cause remote della crisi
Alla fine degli anni ’90 alcuni provvedimenti legislativi
avevano allentato i controlli sui mercati finanziari americani. L’altro fattore all’origine della crisi finanziaria esplosa nell’estate del 2007 è l’eccesso di liquidità che dal
mercato statunitense si estende progressivamente sugli
altri mercati finanziariamente evoluti. (Nel 2004 la Fed
aveva portato i tassi d’interesse all’1%).
Con i tassi così bassi le famiglie americane si indebitano
oltre le proprie capacità di rimborso, nell’illusione che
comunque riusciranno a restituire i debiti perché l’economia continua a crescere e le prospettive sono comunque
positive. Cresce a dismisura il credito al consumo. Nascono i mutui sub-prime, prestiti per l’acquisto della casa a
persone che offrono scarse garanzie di rimborso. In molti
casi il rischio che il mutuo non sia rimborsato è molto
elevato. Le banche si assumono “gioiose” questo rischio
in cambio di tassi di interesse molto elevati.
Le cose continuano ad andare bene, almeno apparentemente. Molte famiglie americane possono finalmente
comprare una casa, facendo mutui molto costosi. Finché
i tassi d’interesse sono bassi tutto fila liscio. E nessuno
teme i rischi anche perché, nel frattempo, la finanza crea­
tiva s’inventa il modo per nasconderli. Il meccanismo si
autoalimenta grazie all’avidità di tutti: banchieri, bancari
e risparmiatori: tutti hanno qualcosa da guadagnare: bonus, commissioni e rendimenti “da sogno”.
Il sistema ha interesse a trovare nuova liquidità per offrire
mutui rischiosi ma anche molto redditizi per le banche.
Gli istituti di credito, dunque, cominciano a cartolarizzare i
titoli finanziari già emessi, cioè collocano sul mercato altre
obbligazioni il cui rimborso è garantito dai titoli sottostanti, cioè originari, con le cedole o con il pagamento delle
rate se si tratta di mutui. Questa operazione consente alle
banche di spacchettare i rischi e offrire sul mercato strumenti di investimento con rendimenti molto alti. Si comincia con gli ABS, asset backed securities, titoli garantiti da
un bene, per esempio la casa: il loro rimborso è garantito
dal pagamento delle rate del mutuo e, in ultima istanza,
dall’immobile su cui grava l’ipoteca. Si arriva così nel 2006
al record di 2 mila e 700 miliardi di dollari quale ammontare delle cartolarizzazioni in circolazione.
Si procede con i CDO: per “combinare” rischi e rendimenti di grado diverso, gli ABS vengono “spacchettati”
e ricomposti in titoli “sintetici” deonominati CDO, collateralized debt obligation. Le combinazioni sono infinite. I
CDO vengono emessi non direttamente dalle banche ma
da società veicolo, le SIV (structured investment vehicle).
[…] Le SIV sono in sostanza dei fondi. Si indebitano a
Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012
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La cause della crisi finanziaria del 2008
breve sul mercato offrendo prodotti di investimento, e
realizzano l’utile grazie al differenziale tra i rendimenti
offerti e quelli, più alti, dei titoli “innovativi” a lungo termine (mutui a elevato rischio di insolvenza, Abs, Cdo)
in portafoglio.
I rischi impliciti sono nascosti e dimenticati. Tutti, risparmiatori e operatori di mercato, sono sedotti da rendimenti molto generosi e dalle commissioni conseguenti.
Grazie alle SIV, nei bilanci delle banche non sono evidenti i rischi connessi alle attività finanziarie generate con
subprime, ABS, CDO. In sostanza, non sono trasparenti
nei confronti del mercato, degli investitori, delle autorità
di controllo e degli stessi azionisti. Ma tutti hanno un
tornaconto immediato…
I titoli a rischio elevato vengono offerti sul mercato accompagnati dalla valutazione delle agenzie di rating, in
sostanza un “voto” sulla solidità dello strumento finanziario in questione […]. I titoli emessi da Lehman Brothers
hanno goduto della “tripla A” (il massimo voto) fino a
pochi giorni prima del fallimento della banca […].
Tutto si regge fino a quando i titolari dei mutui pagano
le rate. L’aumento dei tassi di interesse e l’applicazione
di clausole contrattuali differite rendono però sempre più
difficile per le famiglie americane il pagamento delle rate.
Quando cominciano le insolvenze delle rate dei mutui, la
crisi esplode, sgretolando il castello di carta che era stato
costruito accumulando rischi su rischi. A luglio 2007 la
banca d’affari americana Bear Stearns ammette che il valore di due fondi legati ai mutui sub-prime si è dissolto; il
9 agosto BNP, per la stessa ragione, congela tre fondi di
investimento legati al mercato immobiliare USA.
Cosa è successo? Si è scatenato il meccanismo opposto
a quello che ha portato alla bolla immobiliare: manca la
liquidità, quindi ci sono meno soldi per alimentare i consumi e anche l’acquisto di case. Chi ha già comprato facendo
“il passo più lungo della gamba” non riesce a pagare le
rate del mutuo ed è costretto a vendere, quando addirittura non si vede pignorare la casa dalla banca. L’offerta
crescente di case sul mercato determina il crollo dei prezzi
(–15% solo nel 2008) e la bolla si sgonfia. Chi vuole vendere per disfarsi del mutuo non riesce a recuperare quanto
ha speso e, soprattutto, i fondi di investimento immobiliari, che le banche hanno in portafoglio e che hanno distribuito ai clienti, perdono rapidamente valore.
Le banche sono consapevoli del fatto che le posizioni assunte da ciascun istituto (Abs, Cdo, Cds verranno bollati
come “titoli tossici” per il loro potere venefico sulla salute
finanziaria di chi li ha in portafoglio) e poi scambiate tra
gli istituti stessi non sono evidenti nei bilanci ufficiali. Ciò,
aggiunto alla complessità del meccanismo che è stato via
via messo in piedi, rende del tutto opachi al mercato, agli
investitori, alle autorità di controllo e alle stesse banche i
rischi. Nessuno può essere certo della solvibilità della controparte, cioè della banca a cui presta i capitali, anche
a breve termine. Si determina quindi una crisi di fiducia
reciproca tra le banche e progressivamente il mercato interbancario si ingessa: le banche non si prestano più i soldi
a breve tra di loro perché temono che da un giorno all’altro
la controparte possa fallire (rischio di controparte).
La tensione sale al massimo nel weekend del 13 e 14
settembre 2008, in cui viene sancito il fallimento di Lehamn Brothers che le autorità americane non hanno salvato […]. Il 17 settembre sono nazionalizzate Fannie Mae
e Freddie Mac, le due finanziarie che garantiscono circa
seimila miliardi di mutui Usa, la metà del mercato […].
La crisi di liquidità si trasferisce su famiglie e imprese.
I settori dell’economia reale più sostenuti dal credito
al consumo ne pagano le conseguenze […]. A generare
panico concorrono anche i crolli dei prezzi di Borsa (nel
2008 i listini hanno perso in media il 50% del loro valore), soprattutto negli Usa dove le famiglie hanno una
maggiore propensione all’investimento azionario. I dati
sull’occupazione diventano un segno tangibile di come
la crisi si stia propagando all’economia reale.
I governi e le banche centrali intervengono in modo massiccio per arginare la recessione. A fine marzo 2009 […]
negli Stati Uniti il Governo e la Banca centrale mettono
sul piatto 12 mila e 800 miliardi di dollari tra spese, prestiti e impegni di copertura. Secondo (il) Fondo monetario internazionale, i costi fiscali della crisi ammontano
in media al 6,3% del Pil globale del 2008, con punte
superiori al 20% del Pil come nel caso del Regno Unito.
La conseguenza è una crescita del debito pubblico […]. Si
teme il rischio di rollover, cioè, che gli Stati non riescano
a collocare tutte le nuove emissioni per mancanza di domanda da parte del mercato […].
Per l’economia reale, il forte rallentamento dell’attività
produttiva conseguente alla crisi dei consumi ha fatto temere il rischio della deflazione, sintomo di un’economia
bloccata: nessuno spende per investimenti o consumi, in
attesa di prezzi sempre più bassi. Ma le ingenti somme di
liquidità che i governi hanno iniettato nell’economia fanno temere per i prossimi anni nuove fiammate inflazionistiche, (se) l’attività produttiva ripartirà a pieno regime”.
Fonte: Le cause remote della crisi:
la deregolamentazione dei mercati,
tratto da www.ilsole24ore.com
Claudio Tangocci Economia politica • © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2012
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