Con l`avvento della borghesia al potere ed il definitivo imporsi del

La crisi del 1929 e quella attuale: similitudini, cause e ricette
Con l’avvento della borghesia al potere ed il definitivo imporsi del capitalismo, l’attività economica fu posta al
centro delle attività della classe dirigente e non fu più intesa come il mezzo per assicurare i consumi, ma come lo
strumento per moltiplicare all’infinito il capitale ed incrementare la ricchezza.
L’economia divenne così oggetto di studio specifico ed il pensiero liberista si impose in tutto il mondo
economico.
Se da una parte, in forza del processo di accumulazione capitalistica, il controllo delle risorse produttive tende
a restringersi nella mani di un numero limitato di capitalisti, dell’altra parte si determina un proletariato sempre
più povero e numeroso.
La capacità produttiva crebbe ad un ritmo superiore alla capacità d’acquisto della classe operaia, determinando
crisi periodiche di sovrapproduzione, fino alla crisi economico-mondiale dell’ottobre 1929.
In sintesi, le crisi di sovrapproduzione affievolirono fino ad annullare il profitto di molti imprenditori che non
furono più in grado di pagare i finanziamenti ricevuti dalle banche. Dette banche, a causa dell’assenza di regole,
avevano erogato finanziamenti e mutui per l’intero ammontare delle risorse raccolte grazie al risparmio delle
famiglie, per cui non ricevendo i pagamenti da parte delle imprese, si trovarono in una crisi di liquidità. La crisi fu
poi aggravata dal clima di sfiducia che si era diffuso e che aveva portato i risparmiatori a ritirare le somme
risparmiate e depositate presso le banche. Ciò provocò l’insolvenza delle banche ed il loro relativo fallimento. Ma
anche nel mondo finanziario il crollo era imminente: le azioni rappresentanti le aziende in crisi perdevano sempre
più valore e la loro vendita massiccia in borsa ne aveva finito col determinarne uno valore inferiore al costo della
carta su cui erano stati stampati. Fu così che il 29 ottobre 1929 (il venerdì nero della Borsa) crolla la Borsa di New
York, trascinandosi dietro le altre maggiori Borse mondiali.
La crisi economica parte, dunque, dal mondo reale finendo col coinvolgere anche quello finanziario e da essa ci
si riprenderà con la politica keynesiana adottata in Europa e con la New Deal di Roosevelt in America.
- Keynes cercò di comprendere quali erano gli elementi che contribuiscono alla determinazione del livello di
reddito e di occupazione di un paese. Quando la domanda aggregata è inferiore all'offerta aggregata, ne
conseguono disoccupazione e depressione; mentre la situazione inversa genera inflazione. L'essenza dell'economia
keynesiana consiste nell'analisi delle variabili che influenzano la domanda aggregata: consumo, dagli investimenti e
dalla spesa pubblica (se non si considera il commercio internazionale).
Keynes riteneva che l'equilibrio tra domanda e offerta potesse essere raggiunto soltanto attraverso l'intervento
dello Stato: a suo avviso, infatti, nessun meccanismo automatico, come sostenevano i liberisti, è in grado di portare
allo stesso risultato. Questa fondamentale implicazione keynesiana ebbe effetti sconvolgenti per la teoria
economica tradizionale, che postulava una tendenza automatica dei sistemi economici verso la condizione di piena
occupazione. Quindi, era per Keynes necessario un piano di grandi interventi pubblici che facessero aumentare
occupazione e consumi, ossia che aumentassero la domanda aggregata. Non dissimile fu la ricetta americana.
New Deal - Programma di provvedimenti interni realizzato dal presidente degli Stati Uniti Franklin Delano
Roosevelt tra il 1933 e il 1938 per fronteggiare gli effetti della Grande Depressione.
Fra le misure di rilancio dell’economia vi furono:
 riduzione dell’orario di lavoro, al fine di ridurre la disoccupazione
 legislazione contro la concorrenza sleale ed il sistema bancario
 abbandono del gold standard (sistema monetario nel quale la moneta è in ogni momento scambiabile con il
suo equivalente in oro in qualsiasi banca che ha emesso i biglietti) e svalutazione del dollaro del 40,9%
 contratti collettivi con garanzia del mantenimento del potere d’acquisto degli stipendi
 politica di grandi lavori pubblici su base regionale
Realizzata la ripresa e sopraggiunto il miracolo economico degli anni sessanta, a partire dal 1969 nuove correnti
di pensiero economico (i neoliberisti) evidenziano come il ricorso alla spesa pubblica abbia causato debiti di
bilancio insostenibili ed il verificarsi del fenomeno della stagflazione, ossia la contemporanea presenza di
disoccupazione e inflazione.
I neoliberisti disprezzano la teoria keynesiana, accusano lo Stato di essere il responsabile dell’inflazione
esistente e propongono un cambiamento nella forma d’intervento statale nell’economia. Lo Stato non deve
adottare politiche di bilancio, fiscali o monetarie. Il suo unico ruolo è quello di garantire la libera concorrenza e il
libero formarsi di prezzi e salari.
All’interno di tale corrente si possono individuare diversi filoni, tra i quali: monetarismo ed economia
dell’offerta (supply side economics)
Alcuni Paesi decidono allora di intervenire.
Il Governo inglese della Thacher e quello americano di Reagan iniziano un processo di razionalizzazione delle
spese pubbliche ed una forte politiche di privatizzazioni. L’Italia comincerà solo negli anni novanta.
Ma la politica inglese ed americana ha come conseguenza una forte deregolarizzazione e, come era avvenuto
all’inizio del secolo, questa carenza si farà presto sentire.
La crisi attuale
Le cause scatenanti dell'attuale crisi sono legate allo scoppio della bolla dei mutui subprime negli Usa
nell’agosto 2007, ovvero di quei mutui concessi a chi non poteva fornire adeguate garanzie reali. Degli intermediari
hanno offerto a queste persone la possibilità di contrarre un mutuo portando come garanzia la stessa casa che
stavano acquistando. Finché il settore immobiliare negli Usa cresceva, aumentavano di valore anche le garanzie,
permettendo alle stesse persone di contrarre nuovi debiti.
Nel momento in cui il mercato delle case ha però subito una flessione - legata a un prevedibile
scoppio di una bolla speculativa - molti di questi clienti subprime non hanno più potuto accedere al credito
facile, il che li ha portati a non potere più sostenere le rate di acquisto delle proprie case. Un elevato numero di
questi default ha trasferito le difficoltà dal settore immobiliare a quello finanziario, e in particolare alle banche
che non incassavano più le rate dei corrispondenti mutui.
Da qui il via a una reazione a catena, portando oggi alla crisi della finanza mondiale.
La caduta dei profitti, derivante dalle attività tradizionali del sistema creditizio (basate principalmente sul
differenziale tra tassi attivi e passivi), ha spinto il sistema ad alimentare un’ingegneria finanziaria che permettesse
margini di redditività elevati. Un rilevante contributo a questa tendenza è arrivato dalle scelte della Fed (la Banca
centrale statunitense) che ha abbassato il tasso ufficiale di sconto per sostenere la domanda favorendo
l’indebitamento delle famiglie. Le banche, americane e non solo, hanno costruito un complicato sistema di prodotti
finanziari molto redditizi ma molto rischiosi appoggiato sui mutui subprime. Scoppiata la bolla immobiliare e
crollati i subprime (perché molti americani, uno su cinque secondo le indagini, non riescono a pagare le rate del
mutuo, anche a causa dell’incremento dei tassi), il castello di carte è crollato. In un mondo globalizzato le banche
sono tutte collegate tra loro. Hanno acquistato e venduto l’una con l’altra questi prodotti finanziari “avariati”,
contaminandosi a vicenda. Per questo il crollo del castello sta travolgendo il mondo intero.
Esistono poi delle cause profonde, che da anni stanno “lavorando” alla costruzione di questa crisi: innanzitutto
la caduta del potere d’acquisto delle famiglie statunitensi, il principale motore dell’economia Usa, spinte ad
indebitarsi a basso costo per sostenere i loro consumi.
Il boom dell’indebitamento è stato amplificato dalla finanziarizzazione dell’economia, cioè la crescita smisurata
delle attività finanziarie rispetto a quelle reali (alla fine di ottobre il totale dei derivati sottoscritti ammontava a
1.288 mila miliardi di dollari, pari a 24 volte il valore del Pil mondiale).
Cause “profonde” sono anche la mancanza di regole e l’insufficienza dei controlli che hanno accompagnato
questa finanziarizzazione. Per cercare il massimo rendimento sono stati creati nuovi prodotti finanziari tanto
complicati quanto rischiosi, costruiti con formule matematiche e senza nessun contatto con la produzione di beni,
con il lavoro e con l’economia reale. Per anni i rendimenti alti ci sono stati; oggi, però, sono crollate le fragili basi
su cui si appoggiava tutto il meccanismo. E banche, imprese e piccoli risparmiatori, che, sedotti dai guadagni della
finanza, negli anni hanno sempre più basato i loro profitti su investimenti nei mercati finanziari (e sempre meno
sull’economia reale), si ritrovano nel portafoglio questi prodotti “avariati”. Alcuni senza volerlo, magari perché
hanno investito in fondi d’investimento che, con una serie di passaggi, hanno acquistato derivati, hedge funds,
prodotti rischiosi.
Per concludere
Mentre nel 1929 la crisi parte dal mercato reale (di beni e servizi) per poi travolgere quello finanziario; questa
crisi è partita dal mondo dell’alta finanza spregiudicata tipica del capitalismo estremo, per poi trascinare e
travolgere il mercato di beni e servizi. Ma, il tutto consentito dall’assenza o carenza di regole e controlli da parte
dello Stato.
La ricetta americana, che allora fu di Roosevelt, oggi spetta ad Obama, ma non sarà dissimile: politica di
mantenimento dei posti di lavoro, grandi opere pubbliche per sostenere ed aumentare i consumi e l’occupazione e
nuove regole, oltre ad una forte politica di nazionalizzazione delle aziende (ossia l’opposto della deregulation degli
anni Settanta).
La stessa strada dovrà seguire l’Inghilterra di Blair e dei suoi successori.
Anche l’Italia si accoderà, ma senza ricorrere alla nazionalizzazione delle aziende, a causa (ma oggi diremmo
per merito) del ritardo nelle privatizzazione ed a un più solito sistema bancario, che è stato per fortuna solo
sfiorato da subprime grazie allo scoppio dello scandolo. Infatti, anche il sistema bancario italiano stava
cominciando ad essere contaminato dall’alta finanza dai facili guadagni.