La crisi del 1929 e quella attuale: similitudini, cause e ricette Con l’avvento della borghesia al potere ed il definitivo imporsi del capitalismo1, l’attività economica fu posta al centro delle attività della classe dirigente e non fu più intesa come il mezzo per assicurare i consumi, ma come lo strumento per moltiplicare all’infinito il capitale ed incrementare la ricchezza. L’economia divenne così oggetto di studio specifico ed il pensiero liberista si impose in tutto il mondo economico. In sintesi, il pensiero liberista è così riassumibile: - che vi sia libera concorrenza (Smith) - che i prezzi delle merci e del lavoro siano determinati unicamente dalla domanda e dall’offerta - che lo Stato si astenga dall’intervenire nelle questioni economiche (Smith) - che i salari possano scendere fino al livello di sussistenza per consentire una maggiore accumulazione di capitali (Ricardo) - che il risparmio sia incoraggiato (quindi aumentato in quantità disponibile per le banche), al fine di far scendere l’interesse e favorire gli investimenti, giacché l’offerta genera domanda (Say). Se da una parte, in forza del processo di accumulazione capitalistica, il controllo delle risorse produttive tende a restringersi nella mani di un numero limitato di capitalisti, dell’altra parte si determina un proletariato sempre più povero e numeroso. La capacità produttiva crebbe ad un ritmo superiore alla capacità d’acquisto della classe operaia, determinando crisi periodiche di sovrapproduzione, fino alla crisi economico-mondiale dell’ottobre 1929. In sintesi, le crisi di sovrapproduzione affievolirono fino ad annullare il profitto di molti imprenditori che non furono più in grado di pagare i finanziamenti ricevuti dalla banche. Dette banche, a causa dell’assenza di regole, avevano erogato finanziamenti e mutui per l’intero ammontare delle risorse raccolte grazie al risparmio delle famiglie, per cui non ricevendo i pagamenti da parte delle imprese, si trovarono in una crisi di liquidità. La crisi fu poi aggravata dal clima di sfiducia che si era diffuso e che aveva portato i risparmiatori a ritirare le somme risparmiate e depositate presso le banche. Ciò provocò l’insolvenza delle banche ed il loro relativo fallimento. Ma anche nel mondo finanziario il crollo era imminente: le azioni rappresentanti le aziende in crisi perdevano sempre più valore e la loro vendita massiccia in borsa ne aveva finito col determinarne uno valore inferiore al costo della carta su cui erano stati stampati. Fu così che il 29 ottobre 1929 (il venerdì nero della Borsa) crolla la Borsa di New York, trascinandosi dietro le altre maggiori Borse mondiali. La crisi economica parte, dunque, dal mondo reale finendo col coinvolgere anche quello finanziario e da essa ci si riprenderà con la politica keynesiana adottata in Europa e con la New Deal di Roosevelt in America. - Keynes cercò di comprendere quali erano gli elementi che contribuiscono alla determinazione del livello di reddito e di occupazione di un paese. Quando la domanda aggregata è inferiore all'offerta aggregata, ne conseguono disoccupazione e depressione; mentre la situazione inversa genera inflazione. L'essenza dell'economia keynesiana consiste nell'analisi delle variabili che influenzano la domanda aggregata: consumo, dagli investimenti e dalla spesa pubblica (se non si considera il commercio internazionale). 1 Negli altri sistemi economici, il denaro è un mezzo di scambio ed un equivalente universale dei valori. Ad esempio, se un calzolaio vende le sue scarpe ed il denaro che ottiene lo utilizza per comprare due camicie, le camicie hanno lo stesso valore delle scarpe: è uno scambio equo. Così funzionano tutte le economie definite “con mercato”. Ma il capitalismo non è un’economia con mercato, bensì “un’economia di mercato”: ossia, l’attività economica non comincia con due persone che realizzano un lavoro produttivo e vendono i prodotti sul mercato per riuscire a migliorare il proprio livello di consumo (M-D-M’ dove M=M’). Il circuito economico comincia, invece, col denaro (D), il quale non è più il mezzo per organizzare il mercato e facilitare gli scambi, ma diventa, invece, il principio e la fine dell’attività economica. Il denaro serve per comprare forza-lavoro e mezzi di produzione per realizzare un processo produttivo al fine di fabbricare una merce (M) che si possa vendere, per ottenere una quantità di denaro che necessariamente deve essere maggiore del valore che aveva all’inizio (D’). D-M-D’ dove D<D’ (circuito capitalista) Solo coloro che controllano il denaro controllano la loro vita, perché controllano la propria economia. Per questo motivo, nel capitalismo il denaro è uguale a potere. Per cui si intuisce perché la popolazione non determina la propria attività economica, essendo per lo più forza lavoro. Keynes riteneva che l'equilibrio tra domanda e offerta potesse essere raggiunto soltanto attraverso l'intervento dello Stato: a suo avviso, infatti, nessun meccanismo automatico, come sostenevano i liberisti, è in grado di portare allo stesso risultato. Questa fondamentale implicazione keynesiana ebbe effetti sconvolgenti per la teoria economica tradizionale, che postulava una tendenza automatica dei sistemi economici verso la condizione di piena occupazione. Quindi, era per Keynes necessario un piano di grandi interventi pubblici che facessero aumentare occupazione e consumi, ossia che aumentassero la domanda aggregata. Non dissimile fu la ricetta americana. New Deal - Programma di provvedimenti interni realizzato dal presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt tra il 1933 e il 1938 per fronteggiare gli effetti della Grande Depressione. Fra le misure di rilancio dell’economia vi furono: riduzione dell’orario di lavoro, al fine di ridurre la disoccupazione legislazione contro la concorrenza sleale ed il sistema bancario abbandono del gold standard (sistema monetario nel quale la moneta è in ogni momento scambiabile con il suo equivalente in oro in qualsiasi banca che ha emesso i biglietti) e svalutazione del dollaro del 40,9% contratti collettivi con garanzia del mantenimento del potere d’acquisto degli stipendi politica di grandi lavori pubblici su base regionale Realizzata la ripresa e sopraggiunto il miracolo economico degli anni sessanta, a partire dal 1969 nuove correnti di pensiero economico (i neoliberisti) evidenziano come il ricorso alla spesa pubblica abbia causato debiti di bilancio insostenibili ed il verificarsi del fenomeno della stagflazione, ossia la contemporanea presenza di disoccupazione e inflazione. I neoliberisti disprezzano la teoria keynesiana, accusano lo Stato di essere il responsabile dell’inflazione esistente e propongono un cambiamento nella forma d’intervento statale nell’economia. Lo Stato non deve adottare politiche di bilancio, fiscali o monetarie. Il suo unico ruolo è quello di garantire la libera concorrenza e il libero formarsi di prezzi e salari. All’interno di tale corrente si possono individuare diversi filoni, tra i quali: monetarismo ed economia dell’offerta (supply side economics) Alcuni Paesi decidono allora di intervenire. Il Governo inglese della Thacher e quello americano di Reagan iniziano un processo di razionalizzazione delle spese pubbliche ed una forte politiche di privatizzazioni. L’Italia comincerà solo negli anni novanta. Ma la politica inglese ed americana ha come conseguenza una forte deregolarizzazione e, come era avvenuto all’inizio del secolo, questa carenza si farà presto sentire. La crisi attuale Le cause scatenanti dell'attuale crisi sono legate allo scoppio della bolla dei mutui subprime negli Usa nell’agosto 2007, ovvero di quei mutui concessi a chi non poteva fornire adeguate garanzie reali. Degli intermediari hanno offerto a queste persone la possibilità di contrarre un mutuo portando come garanzia la stessa casa che stavano acquistando. Finché il settore immobiliare negli Usa cresceva, aumentavano di valore anche le garanzie, permettendo alle stesse persone di contrarre nuovi debiti. Nel momento in cui il mercato delle case ha però subito una flessione - legata a un prevedibile scoppio di una bolla speculativa - molti di questi clienti subprime non hanno più potuto accedere al credito facile, il che li ha portati a non potere più sostenere le rate di acquisto delle proprie case. Un elevato numero di questi default ha trasferito le difficoltà dal settore immobiliare a quello finanziario, e in particolare alle banche che non incassavano più le rate dei corrispondenti mutui. Da qui il via a una reazione a catena, portando oggi alla crisi della finanza mondiale. La caduta dei profitti, derivante dalle attività tradizionali del sistema creditizio (basate principalmente sul differenziale tra tassi attivi e passivi), ha spinto il sistema ad alimentare un’ingegneria finanziaria che permettesse margini di redditività elevati. Un rilevante contributo a questa tendenza è arrivato dalle scelte della Fed (la Banca centrale statunitense) che ha abbassato il tasso ufficiale di sconto per sostenere la domanda favorendo l’indebitamento delle famiglie. Le banche, americane e non solo, hanno costruito un complicato sistema di prodotti finanziari molto redditizi ma molto rischiosi appoggiato sui mutui subprime. Scoppiata la bolla immobiliare e crollati i subprime (perché molti americani, uno su cinque secondo le indagini, non riescono a pagare le rate del mutuo, anche a causa dell’incremento dei tassi), il castello di carte è crollato. In un mondo globalizzato le banche sono tutte collegate tra loro. Hanno acquistato e venduto l’una con l’altra questi prodotti finanziari “avariati”, contaminandosi a vicenda. Per questo il crollo del castello sta travolgendo il mondo intero. Esistono poi delle cause profonde, che da anni stanno “lavorando” alla costruzione di questa crisi: innanzitutto la caduta del potere d’acquisto delle famiglie statunitensi, il principale motore dell’economia Usa, spinte ad indebitarsi a basso costo per sostenere i loro consumi. Il boom dell’indebitamento è stato amplificato dalla finanziarizzazione dell’economia, cioè la crescita smisurata delle attività finanziarie rispetto a quelle reali (alla fine di ottobre il totale dei derivati sottoscritti ammontava a 1.288 mila miliardi di dollari, pari a 24 volte il valore del Pil mondiale). Cause “profonde” sono anche la mancanza di regole e l’insufficienza dei controlli che hanno accompagnato questa finanziarizzazione. Per cercare il massimo rendimento sono stati creati nuovi prodotti finanziari tanto complicati quanto rischiosi, costruiti con formule matematiche e senza nessun contatto con la produzione di beni, con il lavoro e con l’economia reale. Per anni i rendimenti alti ci sono stati, oggi però sono crollate le fragili basi su cui si appoggiava tutto il meccanismo. E banche, imprese e piccoli risparmiatori, che, sedotti dai guadagni della finanza, negli anni hanno sempre più basato i loro profitti su investimenti nei mercati finanziari (e sempre meno sull’economia reale), si ritrovano nel portafoglio questi prodotti “avariati”. Alcuni senza volerlo, magari perché hanno investito in fondi d’investimento che, con una serie di passaggi, hanno acquistato derivati, hedge funds, prodotti rischiosi. Per concludere Mentre nel 1929 la crisi parte dal mercato reale (di beni e servizi) per poi travolgere quello finanziario; questa crisi è partita dal mondo dell’alta finanza spregiudicata tipica del capitalismo estremo, per poi trascinare e travolgere il mercato di beni e servizi. Ma, il tutto consentito dall’assenza o carenza di regole e controlli da parte dello Stato. La ricetta americana, che allora fu di Roosevelt, oggi spetta ad Obama, ma non sarà dissimile: politica di mantenimento dei posti di lavoro, grandi opere pubbliche per sostenere ed aumentare i consumi e l’occupazione e nuove regole, oltre ad una forte politica di nazionalizzazione delle aziende (ossia l’opposto della deregulation degli anni Settanta). La stessa strada dovrà seguire l’Inghilterra di Blair. Anche l’Italia si accoderà, ma senza ricorrere alla nazionalizzazione delle aziende, a causa (ma oggi diremmo per merito) del ritardo nelle privatizzazione ed a un più solito sistema bancario, che è stato per fortuna solo sfiorato da subprime grazie allo scoppio dello scandolo. Infatti, anche il sistema bancario italiano stava cominciando ad essere contaminato dall’alta finanza dai facili guadagni.