(estratto da “Prima lezione di democrazia. Il governo del popolo secondo gli storici greci”, a cura di Angelo Roncoroni, Carlo Signorelli Editore) La città di Atene e il suo governo La democrazia è nata in Grecia, ma la Grecia non è nata democratica. La città di Atene, in particolare, a cui di fatto si rivolgerà la nostra osservazione, nell'età più antica era stata retta da un governo monarchico: la tradizione ricorda dieci re oltre al mitico Teseo, che l'avrebbe fondata con la procedura del sinecismo (sunoikismÒj, «coabitazione», «unificazione») unificando intorno ad Atene le comunità sparse nel territorio dell'Attica. La fine della monarchia è certa solo dopo l'anno 683 a.C., quando ha inizio la lista degli arconti annuali, cioè di un collegio di nove membri che esercitavano le magistrature supreme, ma questo passaggio dalla forma di governo monarchica a quella aristocratica, che si afferma e mantiene nei secoli VII e VI a.C., fu graduale. Dapprima, infatti, gli arconti furono eletti in numero di tre con carica vitalizia e ripartivano le antiche funzioni del monarca all’interno del loro collegio ristretto: l’arconte basileus, con funzioni religiose, l’arconte polemarco, con funzioni militari, e l’arconte eponimo (colui che dava il nome all’anno), con funzioni più propriamente politiche; in seguito, comunque entro il 683 a.C., a questi tre si aggiunsero i sei arconti “tesmoteti” (custodi delle leggi). Parallelamente al progressivo allargamento del collegio e nella medesima ottica politica, quella – cioè – dell’ampliamento della partecipazione alle funzioni politiche, la carica degli arconti passa dall’essere vitalizia a un mandato prima decennale e, successivamente, annuale. La magistratura dell’arcontato è affiancata nell’esercizio delle funzioni di governo dall’Areopago, costituito dagli arconti usciti di carica e così chiamato perché si riuniva sul colle di Ares, a poca distanza dall'Acropoli, che svolgeva le funzioni di consiglio, corte suprema e tribunale per i reati di sangue. Doveva esistere, inoltre, un'assemblea del popolo ('Ekkles…a), ma priva di rilevanza politica. C'è quanto basta per dire che Atene era ormai quella che provvisoriamente potremmo chiamare una repubblica aristocratica: non era più una monarchia, ma non era nemmeno una democrazia, anche se la pluralità dei magistrati e degli organi di governo costituiva un importante orientamento verso l'allargamento del potere. Per passare da questa fase di fluidità all'invenzione di un regime politico nuovo e del tutto originale, due elementi dovevano intervenire: i legislatori e la tirannide. Ma a questo punto si può già parlare di primordi della democrazia. Origini e nascita della democrazia attica Legislatori e riforme A seconda dei punti di vista, si possono indicare varie date come inizio della democrazia attica: la fondazione 'tecnica' del regime democratico risale alla riforma di Clistene (507), ma l'attuazione vera e propria della democrazia data solo a partire dalla riforma dell'Areopago per opera di Efialte nel 462. Questi punti fermi sono però preceduti da numerose tappe di avvicinamento. Alla scoperta o all'instaurazione della democrazia non si arriva attraverso atti rivoluzionari, ma esclusivamente attraverso riforme, cioè attraverso misure di adeguamento delle strutture politiche a un mutato assetto della società. Di riforme la società attica cominciò ad avere bisogno nel momento in cui il rapido progredire di un'economia di scambio fondata sul commercio marittimo venne a creare un ceto medio commerciale e un ceto popolare di prestatori di manodopera, artigiani e rematori, che non potevano rimanere esclusi a lungo dal potere. D'altra parte, sia gli arconti sia i membri dell'Areopago erano nobili e rappresentavano il governo tipico di una civiltà arcaica su base prevalentemente agricola, quindi inadeguata al nuovo assetto sociale. La tradizione parla di due riformatori, Dracone e Solone, che cercarono di arginare la conflittualità sociale ponendo mano a un corpus di leggi scritte, nel quale verosimilmente confluivano cambiamenti avvenuti nel corso del tempo. A Dracone, in particolare, viene attribuita la legislazione sui delitti di sangue, che intorno al 624 sottrasse la punizione dei delitti all'iniziativa familiare e rappresentò quindi un primo importante stacco dalle consuetudini dell'antica società tribale verso lo stato di diritto. Le riforme di Solone Ma è con Solone che si entra nel vivo della storia politica ateniese, anche perché egli è la prima figura di statista che presenta una dimensione storica reale. Arconte nel 594, Solone si trovò al centro dei contrasti tra la nobiltà terriera e i contadini poveri e coperti di debiti. La scarsa disponibilità di terre coltivabili, infatti, aveva determinato una crisi della piccola proprietà terriera e i proprietari, per fare fronte alle difficoltà economiche, spesso si indebitavano con gli aristocratici, accendendo ipoteche sulle loro proprietà e dando la propria persona come garanzia del pagamento del debito; questa situazione, oltre ad accentuare lo squilibrio sociale già esistente, era potenzialmente pericolosa per la polis perché disintegrava il tessuto della cittadinanza, riducendo in schiavitù molti cittadini e degradandone altrettanti al rango di teti (nullatenenti), con ovvie conseguenze per l’arruolamento dell’esercito oplitico, il cui nerbo finora era stato costituito dai piccoli e medi proprietari terrieri. Per porre un freno immediato a questa emergenza demografica e sociale, Solone varò la cosiddetta seis£cqeia, «sgravio di pesi», un provvedimento con valore retroattivo con il quale abolì le ipoteche precedentemente accese sulle piccole proprietà, cancellò parzialmente i debiti e stabilì che il cittadino non poteva essere fatto schiavo per debiti. Un altro motivo di conflittualità sociale ad Atene era costituito dalla presenza abbastanza forte di un ceto medio e agiato, la cui ricchezza derivava da attività artigianali, commerciali e imprenditoriali, che premeva per partecipare alle cariche politiche, da cui il regime aristocratico della nobiltà terriera di fatto lo escludeva. Il secondo provvedimento di Solone fu dunque l’introduzione di una riforma costituzionale strutturale, con l'introduzione di un regime timocratico, cioè fondato sulla tim», il «censo»: tutti i cittadini furono distribuiti in quattro gruppi (pentacosiomedimni, cavalieri, zeugiti e teti) in base al reddito annuale calcolato in misure di frumento, vino o olio (un medimno corrispondeva a 52 litri e le prime tre classi ne producevano rispettivamente almeno 500, 300 e 200; i teti erano nullatenenti). Dall'appartenenza alla classe di censo dipendevano doveri e diritti. I membri delle prime due classi prestavano il servizio militare in cavalleria (con l'obbligo di mantenere se stessi e il cavallo) ed erano obbligati a pubbliche prestazioni, dette liturgie; in cambio avevano accesso all'arcontato. Quelli della terza classe erano tenuti al servizio militare in fanteria come opliti e potevano accedere alle cariche subalterne. I teti, in quanto cittadini, avevano accesso all'Assemblea, ma avevano solo il diritto elettorale attivo, cioè potevano votare ma non essere eletti. Capita di leggere che Solone fu il fondatore della democrazia ateniese: è difficile condividere questo giudizio, proprio perché la riforma di Solone non intaccava l'egemonia aristocratica e non segnò dunque l'avvento di alcun nuovo regime. Se è improprio presentare Solone come il fondatore della democrazia, gli si può però riconoscere di aver contribuito a mettere in moto il processo che doveva portare alla democrazia. La sua riforma aveva un carattere sostanzialmente conservatore, ma, mirando a ricostruire il ceto dei piccoli proprietari, indeboliva organicamente i privilegi e lo strapotere della nobiltà, la riduceva a una delle varie forze politiche in campo, la sottoponeva alle dinamiche della competizione politica. Le misure di Solone avevano lo scopo di rimettere in equilibrio la comunità cittadina per impedire la st£sij, la «conflittualità civile». Ma, come Solone stesso sapeva, nelle condizioni vigenti questa era un'utopia: da una parte il malcontento degli aristocratici, che non volevano rinunciare ai privilegi di casta, dall'altra le rivendicazioni del popolo, che richiedeva misure più radicali, innescarono una situazione di conflitto destinata a durare più di un trentennio. La tirannide di Pisistrato Il conflitto sociale faceva capo sostanzialmente a tre formazioni legate alla particolare conformazione del territorio dell'Attica. A questo proposito si parla anche di fazioni o di partiti, forse sarebbe meglio parlare di classi sociali di fatto, parallele alle classi soloniane. Si trattava dei cosiddetti pediei «gente della pianura», che erano i proprietari terrieri fautori di un regime aristocratico presoloniano, dei paralii «gente della costa», che erano i piccoli agricoltori, mercanti e pescatori, fautori del compromesso promosso da Solone, e infine dei diacri «gente della montagna», che erano i contadini poveri e i minatori delle zone montuose del Pentelico e del Parnete. Dalla lotta di queste fazioni uscì vincitore il nobile Pisistrato, che si era posto a capo dei diacri e, secondo Aristotele (Costituzione degli ateniesi 13, 4), sembrava dhmotikètatoj, «un uomo molto democratico». Pisistrato prese il potere nel 561, ma per varie ragioni non lo tenne con continuità: da una parte, evidentemente, in Atene era maturato un grado di consapevolezza politica che rendeva diffìcile l'acquiescenza a un potere eccezionale, dall'altra la provenienza di Pisistrato dall'area dei diacri gli contrapponeva, ipso facto, gli altri partiti. C'è da aggiungere infine che Pisistrato non fu un tiranno nel senso dispotico e sanguinario che noi siamo soliti associare alla parola, ma governò con moderazione per i tre periodi dal 561 al 555, dal 544 al 538 e dal 534 fino alla morte nel 527. Gli si attribuisce una riforma agraria volta a favorire lo sviluppo agricolo e la piccola proprietà terriera, oltre che un ruolo importante nello sviluppo urbano e monumentale di Atene. Degli avversari di Pisistrato, solo la famiglia nobile degli Alcmeonidi dovette prendere la via dell'esilio e si rifugiò presso il santuario di Delfi, dove acquisì benemerenze in ordine alla ricostruzione del santuario, che era stato distrutto da un incendio nel 548. Delfi era il noto centro religioso che tramite l'oracolo di Apollo riusciva anche a influenzare le decisioni in ambito politico. Proprio da Delfi fu promossa la spedizione di Sparta che nel 510, in appoggio agli Alcmeonidi e sfruttando l'opposizione interna di Atene, cacciò il figlio di Pisistrato, Ippia; il fratello Ipparco era stato ucciso nel 514 dai tirannicidi Armodio e Aristogìtone. Con o senza l'appoggio di Delfi, nella storia greca l'intervento militare spartano fu sempre volto a estendere alle altre città la forma di governo di Sparta: anche in questo caso il tentativo era quello di instaurare in Atene un regime oligarchico e, come c'era da aspettarsi, la cacciata del tiranno Ippia ridiede fiato al partito aristocratico dei pediei, che si riorganizzò sotto la guida di Isagora. Si apriva però anche un terreno di scontro con i paralii, irrobustiti non solo dalla crescita del ceto commerciale, ma anche dalla forza della nuova classe dei piccoli proprietari promossa da Solone e da Pisistrato. I nuovi schieramenti e l'ascesa di Clistene Dunque, lo schieramento si era semplificato in due gruppi o partiti, da tre che erano, e, di pari passo, si era radicalizzato nella contrapposizione tra il partito aristocratico di Isagora e un partito moderato, difensore della riforma di Solone, che però ereditava anche l'antica base popolare della tirannide, cioè i diacri, a cui si era appoggiata l'ascesa di Pisistrato. A capo di questo schieramento, contro le aspettative di Sparta, si pose il nobile alcmeonide Clistene. Clistene era desideroso di scendere nell'agone politico, ma l'aristocrazia aveva fatto quadrato attorno a Isagora. Per prevalere sull'avversario Clistene, eletto arconte nel 508 a.C., introdusse in Atene il governo democratico. La costituzione di Clistene L'obiettivo della riforma di Clistene non era l'attuazione di un'idea politica astratta, ma quello di stroncare una volta per tutte lo strapotere dell'aristocrazia. Per conseguire questo scopo, era necessario sostituire ai raggruppamenti delle vecchie tribù gentilizie una nuova ripartizione del popolo ateniese su base amministrativa e territoriale. Sugli organismi così costituiti si sarebbe fondato il funzionamento del sistema politico. Questa riorganizzazione passò attraverso un impianto decimale per cui i cittadini furono ripartiti in dieci tribù (che sostituivano le precedenti quattro tribù su base familiare) alle quali si apparteneva in base alla residenza. Oltre a essere già suddivisa in demi, dal punto di vista geografico l'Attica era composta da tre zone, i cui diversi interessi già in passato avevano determinato conflitti sociali: la «città» in senso stretto, l'«entroterra», e la «zona costiera». Clistene suddivise ciascuna delle tre zone in dieci distretti detti trittÚej, «trittie», ottenendo così complessivamente trenta trittie. Con le trenta trittie costituì le dieci nuove tribù, ciascuna delle quali risultava composta da una trittia della città, da una dell'entroterra e da una della costa. Questo provvedimento artificiale ma ingegnoso spezzava le consorterie, che non potevano più costituire né blocchi gentilizi né gruppi politici regionali con i rispettivi interessi, in quanto queste antiche aggregazioni venivano di fatto sciolte e le componenti rimescolate. Ciascuna tribù, accogliendo una trittia della città, una della costa e una dell'entroterra, con i rispettivi interessi e le rispettive istanze socio-politiche, rappresentava approssimativamente gli interessi di tutta la popolazione, impediva l'egemonia di un gruppo sociale a danno di altri, in particolare infrangeva le vecchie alleanze e stroncava sul nascere qualsiasi tentativo egemonico oligarchico perché in ogni tribù la composizione aristocratica poteva interessare al massimo una trittia su tre e quindi era sempre in minoranza. Quasi un teorema Quanto si è detto fin qui potrebbe dare l'impressione che il passaggio dal regime aristocratico alla democrazia si sia sviluppato in maniera fin troppo lineare, senza grandi colpi di scena né scontri frontali, senza provocare massacri né creare masse di fuoriusciti, come raramente avviene nella storia. In effetti il passaggio di poteri secondo la sequenza aristocrazia – tirannide – democrazia ha l'aspetto di un teorema che forse non esclude qualche semplificazione da parte della nostra fonte principale, la già citata Costituzione degli ateniesi di Aristotele. Ma c'è anche da osservare che, in un territorio povero di risorse agricole come l'Attica, l'aristocrazia terriera non poteva avere la stessa forza di resistenza della nobiltà latifondista romana e quindi era più soggetta all'aggressione dei ceti in crescita: commercianti, marinai, rematori. Nel fatto che in Grecia, a differenza che a Roma e grazie ai provvedimenti di Solone e di Pisistrato, non si fosse mai estinta la piccola proprietà, si può vedere un ulteriore elemento a favore del rinnovamento istituzionale. D'altra parte, l'idea della monarchia, radicata in modo strutturale in tutti gli stati del Vicino Oriente, risultò sempre estranea alle poleis greche, che mantennero l'assetto originario di comunità di cittadini anche quando l'istituto monarchico passò in Occidente con le monarchie ellenistiche e fu assunto e imposto dal dominio di Roma. La democrazia realizzata Il governo democratico alla prova dei fatti Di fronte al radicale rinnovamento costituzionale promosso da Clistene, il suo avversario di parte aristocratica Isagora ricorse di nuovo a Sparta, chiamando in aiuto il re Cleomene, che era suo ospite. Ma i due finirono assediati sull'acropoli e si arresero in cambio dell'incolumità. Il regime democratico riuscì a superare una prova ben più significativa con le guerre persiane. Inizialmente l'intervento di Atene a sostegno delle città ioniche dell'Asia Minore, che nel 500 si erano ribellate al re di Persia, ridiede fiato al partito oligarchico, ma l'aggravarsi della minaccia persiana impose una tregua tra le parti. La vittoria sui barbari (realizzata in buona misura grazie alla flotta da guerra ateniese, fortemente voluta da Temistocle e spinta dai teti arruolati come rematori) e la fondazione della Lega delio-attica in funzione antipersiana furono momenti fondamentali per l'affermazione della città di Atene, nella quale si delinearono due tendenze: una aristocratica, che faceva capo a Cimone e sosteneva la continuazione della guerra contro la Persia a fianco di Sparta, e una democratica, rappresentata da Temistocle, che rivendicava il primato di Atene su tutta la Grecia e, di necessità, la rottura dell'alleanza con Sparta. Dopo alterne vicende i due leader finirono entrambi ostracizzati: con l'ostracismo di Cimone, in particolare, finiva la politica di alleanza con Sparta, mentre la crescita economica di Atene apriva nuove prospettive di sviluppo democratico. La riforma dell'Areopago e la piena affermazione della democrazia A promuovere l'effettivo dispiegamento del governo democratico intervenne nel 462 la riforma dell'Areopago promossa dal capo del partito democratico Efialte. L'Areopago era l'antico e venerando tribunale composto da ex arconti, quindi roccaforte dell'aristocrazia (a quel tempo gli arconti provenivano soltanto dalle prime due classi soloniane, cioè dai ceti più benestanti). Oltre alle competenze giudiziarie, l'Areopago era andato assumendo nel tempo competenze politiche (come il controllo della costituzione, la sorveglianza delle leggi, la vigilanza sulla condotta dei magistrati), che costituivano un freno alla piena affermazione della democrazia. La riforma di Efialte gli sottrasse appunto le competenze politiche, che furono trasferite all’Ekklesìa e alla Boulé, e ne ridusse i poteri giudiziari alla sfera dei delitti di sangue, cioè degli omicidi volontari, mentre tutte le altre competenze passavano al tribunale popolare dell’Eliéa. La democrazia radicale dell'età di Pericle Efialte fu assassinato, ma gli subentrò subito Pericle, membro della famiglia degli Alcmeonidi, con il quale il governo democratico raggiunse lo stadio più felice e avanzato, ma anche più complesso. La democrazia periclea si caratterizza sostanzialmente per alcuni aspetti tecnici tra cui il più qualificante è la misqofor…a, cioè la remunerazione delle cariche pubbliche. Dapprima il compenso fu attribuito al giudici del tribunale dell’Eliéa, poi esteso ai buleuti e agli altri magistrati, compresi gli arconti: a partire dal 457 a.C. all'arcontato furono ammessi anche i membri delle due ultime classi soloniane, cioè gli zeugiti e i teti. È subito evidente l'immensa portata democratica di questa misura, che rendeva effettiva la partecipazione di tutti i cittadini alle cariche pubbliche: anche i più poveri, infatti, grazie al compenso dello stato, potevano svolgere la funzione pubblica di buleuti o eliasti, che li teneva lontani per un anno dalle loro attività. L'attribuzione al popolo, a tutto il popolo, dell'esercizio effettivo della democrazia diretta rimane il grande merito di Pericle, del quale lo statista potè a ragione vantarsi nell'epitafìo per i caduti del primo anno di guerra (vd. Tucidide II 37+ù§). Naturalmente questo fu anche il provvedimento più osteggiato dagli oligarchi, che si affrettarono a invalidarlo non appena presero il potere nel 411, e il più criticato dagli oppositori della democrazia, in particolare da Platone e da Aristotele. Come argomento utile a dirimere l'eterna controversia tra fautori e avversari del regime popolare si può ricordare il fatto che, in concomitanza con questa fase del governo democratico, Atene visse la sua stagione migliore, ancora oggi per noi attestata dalla fioritura intellettuale e monumentale. E all'obiezione che il benessere di Atene era in larga misura dovuto ai proventi del suo impero e al tributo delle città della Lega delio-attica si può rispondere che questo assetto estremamente favorevole era stato realizzato anche grazie al governo democratico. I cittadini e gli esclusi Quando si dice che la democrazia diretta dell'età periclea attribuiva il potere politico al popolo, è doveroso precisare che per 'popolo' non si intende tutta la popolazione di Atene. La democrazia investiva infatti soltanto i cittadini a pieno titolo, cioè i maschi adulti, figli di padre e di madre ateniesi e liberi di nascita. Se si considera che erano privi di cittadinanza sia i meteci, cioè gli stranieri residenti in città per ragioni di affari, sia gli schiavi (si calcola che il rapporto tra liberi e schiavi fosse di 1 a 4), ci si fa l'idea di una comunità di cittadini estremamente ristretta, arroccata nella difesa dei propri privilegi e ostile a qualsiasi estensione della cittadinanza. Queste restrizioni inducono a distinguere molto bene tra la democrazia degli antichi e la democrazia moderna. Ma con due ulteriori puntualizzazioni: che negli anni in cui viviamo il fenomeno di un corpo civico dissociato tra cittadini e non cittadini ha ormai preso piede anche nei moderni stati europei, e che, in ogni caso, la democrazia degli antichi è stata il terreno di coltura per forme di vita associata i cui requisiti - la libertà di pensiero e di parola, la parità dei diritti e dei doveri, l'aspirazione all'uguaglianza sociale, la partecipazione alla vita pubblica ecc. - sono stati assunti come riferimento delle rivendicazioni sociali in età moderna e tuttora continuano a esserlo. Gli organi della democrazia I principi democratici La democrazia istituita da Clistene, attivata dalla riforma di Efialte e realizzata nell’età di Pericle consente di osservare il funzionamento e di individuare le costanti del sistema democratico. È di uso comune la distinzione di base tra la democrazia diretta dei greci e la democrazia indiretta o rappresentativa dell'età moderna. Democrazia diretta significa partecipazione personale, presenza fisica del cittadino all'interno dell'organo decisionale, cioè nell' 'Ekkles…a. La democrazia indiretta, tipica del tempo moderno, è invece quella in cui il cittadino incide nella vita pubblica nominando propri rappresentanti. In particolare, si può osservare che la democrazia ateniese, più che istituire nuovi organi, adeguò le modalità di quelli già esistenti alle proprie esigenze di funzionamento, che prevedevano la sovranità della maggioranza e le funzioni a essa afferenti, cioè isonomía, l'uguaglianza di fronte alla legge; isegoría, la libertà di parola; isotimía, l'uguaglianza nella partecipazione alle cariche pubbliche. L’impostazione tecnica del sistema democratico passa attraverso i seguenti processi: • progressiva estensione dei principi di uguaglianza: di fronte alla legge, nel diritto di parlare in pubblico e nella partecipazione alle cariche; • adeguamento delle vecchie istituzioni (arcontato, Areopago, ekklesía, tribunale dell’Eliea); • progressiva estensione, come modalità di accesso alle cariche, del meccanismo del sorteggio rispetto a quello elettivo; • creazione di nuovi organi e magistrature; • l’istituzione di procedure di autotutela della democrazia. I nuovi organi di governo: la Boul» Boul» o Consiglio dei Cinquecento In base all'organizzazione dello stato e del territorio messa a punto da Clistene, ciascuna delle dieci tribù estraeva a sorte 50 dei suoi componenti per la Boul» o Consiglio dei Cinquecento, (50 per 10 tribù). La funzione della Boulé era assai più che 'probuleutica': infatti, oltre a formulare le proposte da sottoporre all'ekklesía, essa sbrigava tutti gli affari ordinari che non richiedevano l'approvazione dell'Assemblea dei cittadini e inoltre controllava il tesoro e le proprietà dello stato, sorvegliava i santuari e il culto, l'appalto delle miniere e dei lavori pubblici, sovrintendeva alle esazioni doganali, determinava i tributi, sovrintendeva all'amministrazione dell'esercito e della flotta, esercitava funzioni di polizia e, entro determinati limiti, anche giudiziarie. Non essendo in grado di operare collegialmente, dato il numero elevato dei componenti, la Boulé era suddivisa in sezioni di 50 membri, ciascuna delle quali costituiva a turno la commissione di governo per una decima parte dell'anno, detta pritanìa, di 35/36 giorni. I membri della commissione di governo erano chiamati prìtani e ogni giorno la commissione era presieduta da un pritane diverso, detto epìstate, che per quel giorno fungeva in pratica da capo dello stato. I pritani erano la frazione in carica che era sempre presente e vegliava ininterrottamente sulla sicurezza della città, soprattutto nelle emergenze, ma la loro principale incombenza era quella di preparare i lavori della Boulé. Per la sua rappresentatività, la Boulé è l'organo che presenta qualche somiglianza con le forme della democrazia moderna. L’ekklesía il luogo in cui, invece, si esercitava la democrazia diretta e totale era l'ekklesía. In età classica l' ekklesía pare fosse normalmente frequentata da circa 6000 uomini: nelle fonti il numero di 6000 presenze appare come una specie di quorum o soglia critica, anche se la presenza effettiva doveva tenersi ben al di sotto, tra le 2000 e le 4000 persone. Dal momento che si calcola che i cittadini di Atene fossero 30-40.000, ne deriva che solo una minoranza frequentava l'Assemblea, che si riuniva circa quaranta volte l'anno (inizialmente tre, poi quattro volte per ogni pritania). Era del resto comprensibile che la gente di campagna, gli abitanti della costa, i boscaioli e i minatori, i piccoli commercianti non abbandonassero volentieri le loro occupazioni per partecipare all'Assemblea. I presenti saranno stati soprattutto cittadini e abitanti dei sobborghi. Pur entro questi termini, comunque, l' ekklesía non 'rappresentava' il popolo, ma 'era' il popolo e investiva con la sua competenza ogni settore della vita della pòlis scegliendo i magistrati elettivi, svolgendo attività legislativa, prendendo decisioni di politica interna ed estera, occupandosi di diritti di cittadinanza, finanze etc. Deliberava esclusivamente su proposte già vagliate dalla Boulé e in essa ogni cittadino aveva la facoltà di prendere la parola e di proporre emendamenti; la votazione era fatta per alzata di mano o, in particolari circostanze, a scrutinio segreto. Principali magistrature e istituzioni Dopo le riforme democratiche di Clistene, i nove arconti rimasero regolarmente in carica, ma dal 487-86 furono sorteggiati, uno per tribù: la tribù che a turno rimaneva esclusa forniva, come decimo arconte, il segretario della Boulé. Il passaggio dall'elezione al sorteggio comportò la decadenza della magistratura, una decadenza destinata ad accentuarsi quando, nel 457, la carica fu resa accessibile anche al ceto medio degli zeugiti. Decisamente incompatibile con il sorteggio era l'ufficio dell'arconte polemarco, che non poteva essere assegnato a caso in quanto comportava il comando supremo in guerra. Fu dunque sostituito dall'unica carica non sorteggiata, quella di stratego (da stratÒj, «esercito», e ¥gw, «guido»). Gli strateghi, infatti, venivano eletti annualmente in numero di dieci senza limite di rieleggibilità e rappresentavano la carica più importante, perché, oltre a rivestire le competenze militari, dirigevano la politica estera e le finanze, avevano accesso alla Boulé e potevano convocare il popolo in Assemblea straordinaria. Sempre per sorteggio erano nominati ì 6000 membri dell'Eliéa, cioè del tribunale popolare che era stato istituito forse già da Solone e fungeva da tribunale di prima istanza: l'elevato numero dei membri voleva essere una garanzia di incorruttibilità e di equità in quanto i giudici, provenienti dalle classi medio-basse, erano semplici giurati e il processo si riduceva di fatto a un agone oratorio nel quale aveva la meglio chi sapeva essere più persuasivo. Le procedure di autotutela della democrazia Per ovviare agli inconvenienti di eventuali abusi connessi con la prassi delle libertà democratiche, erano state attivate procedure apposite: in genere le magistrature erano annuali e non potevano essere reiterate; era vietato il cumulo delle cariche; la retribuzione delle magistrature consentiva di ricoprirle anche a persone dei ceti umili. Inoltre ogni magistrato, prima di assumere la carica, si sottoponeva a un esame preliminare, era soggetto a un controllo mensile e a un rendiconto allo scadere del mandato. Due di queste procedure, in particolare, spiccano per la loro severità, volta a stroncare eventuali abusi sul nascere: si tratta dell'ostracismo e dell'accusa di illegalità (graf¾ paranÒmwn). • In particolare, l'ostracismo era il sistema preventivo di autotutela, escogitato forse da Clistene, per impedire che un qualsiasi cittadino potesse costituire un pericolo per la democrazia. La procedura prevedeva che, in un'Assemblea popolare espressamente convocata nell'agorà, ogni cittadino potesse incidere su un Ôstrakon, un «coccio», il nome di un uomo che avrebbe voluto allontanare: chi totalizzava 6000 voti (secondo Plutarco, invece, 6000 era il quorum di presenti necessario per la validità dell'Assemblea) era costretto a dieci anni di esilio. L'ostracismo peraltro non fece che una decina di vittime: per primo, nel 487, un Ipparco, parente dei Pisistratidi, l'anno seguente l'alcmeonide Megacle. Ma l'ostracismo non colpiva soltanto i sospetti di tirannide; serviva anche a decapitare le fazioni per porre fine alle contese civili, soprattutto quando queste si riducevano a lotte per il potere personale, senza alcun benefìcio per la città. Dopo il 417 la procedura fu messa da parte. • L’accusa di illegalità: poiché l’Ekklesìa era il luogo dove ogni ateniese esercitava la parrhesìa «libertà di parola», per prevenire la tentazione di utilizzare l’assenza di censura per fare proposte lesive della costituzione democratica, fu istituita la graf¾ paranÒmwn «accusa di illegalità». Questa prevedeva che qualsiasi cittadino che, prendendo la parola in pubblico, avanzasse proposte illegali o sospettate di essere contrarie agli interessi del dÁmoj, potesse essere rinviato a giudizio e – se il tribunale lo riconosceva colpevole – punito. Tale procedimento, oltre a introdurre il principio della responsabilità personale e giuridica nell’esercizio del pieno diritto di parola, vanificava qualsiasi tentativo di abbattere la democrazia per via costituzionale e lasciava ai simpatizzanti dell’oligarchia come univa via percorribile quella della rivoluzione, e non era una strada facile.