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Lifelong learning:
Una valutazione critica del Progetto Politico
Kjell Rubenson, Università della British Columbia, Vancouver
Introduzione
Il lifelong learning, con la promessa accattivante di risolvere i problemi economici e sociali
del mondo industrializzato, è diventato una sorta di “Nuova Gerusalemme” ed ha assunto un ruolo
centrale nel progetto politico di rimodellamento della relazione tra economia ed istruzione.
Nel 1994, l’UNESCO ha scelto il Lifelong Learning for All come strategia a medio termine
per il periodo compreso tra il 1996 ed il 2001. Nella conferenza del 1996, i ministri dell’istruzione
dell’OCSE hanno esortato gli stati membri a “tradurre il lifelong learning in realtà per tutti” e ad
inserirlo tra le priorità del quinquennio successivo (OCSE, 1996). Di conseguenza, alla fine del
1998, la Commissione per l’Educazione dell’OCSE ha promosso il Thematic Review of Adult
Learning1, un’attività da svolgere in collaborazione con la Commissione per l’Occupazione, il
Lavoro e gli Affari Sociali. Prendendo atto delle limitate opportunità offerte agli adulti, i ministri
hanno chiesto all’OCSE di “rivedere ed esplorare nuove forme di insegnamento e apprendimento
che fossero appropriate per adulti impiegati, disoccupati o in pensione” (OCSE, 2003, p. 4).
Successivamente, il Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 ha confermato il ruolo chiave del
lifelong learning nel modello sociale europeo, ruolo che, secondo la Commissione (EU, 2001), si
sta affermando attraverso strategie, piani, processi distinti, ma complementari, come, ad esempio, la
strategia europea per l’impiego, l’agenda sociale europea, il piano d’intervento per la mobilità e lo
sviluppo delle abilità e l’e-learning. Allo stesso modo, anche i documenti relativi alle politiche
nazionali fanno riferimento alla necessità di promuovere la cultura dell’apprendimento continuo per
far fronte alle pressioni economiche e sociali dell’economia e della società della conoscenza. Vale
la pena sottolineare sia la forte influenza delle organizzazioni intergovernative sul dibattito
nazionale, sia l’introduzione del concetto di lifelong learning nei processi di globalizzazione
culturale ed economica.
Nonostante le recenti decisioni politiche, il lifelong learning rimane un concetto astratto, al
punto da richiedere un’analisi più approfondita delle forze che risiedono dietro questa “Nuova
1
“Revisione tematica sull’Apprendimento degli Adulti” [n.d.r.]
1
Religione” e della possibilità di ottenere risultati concreti. È in questo contesto che il presente
articolo si propone di esaminare la costruzione del lifelong learning come progetto politico. Il
discorso si articolerà in due sezioni: la prima prenderà in considerazione la continua evoluzione del
dibattito sul lifelong learning; la seconda esaminerà la partecipazione degli adulti all’educazione.
Seguiranno infine alcune considerazioni conclusive sulle condizioni necessarie per garantire il
lifelong learning a tutti.
L’evoluzione del dibattito sul lifelong learning
L’idea che gli esseri umani, o almeno alcuni gruppi privilegiati, abbiano la necessità di
apprendere per tutta la vita, si ritrova in letteratura fin dai tempi di Platone. Tuttavia, è solo alla fine
degli anni ‘60 che l’UNESCO ha introdotto il lifelong learning come concetto cardine e principio
guida per il rinnovamento dell’istruzione. Purtroppo, però, dopo essere stato per un breve periodo al
centro dell’attenzione, il lifelong learning è improvvisamente scomparso dalla scena; sono stati
necessari 15 anni e l’emergere di nuove esigenze affinché venisse recuperato, ma con due, o forse
tre distinti paradigmi rispetto a quanto proposto negli anni ’60.
Prima generazione: l’era umanistica, gli anni ‘70
Il concetto di lifelong learning fa la sua comparsa quando entra in crisi il clima di fiducia
nello sviluppo, nella prosperità e nella possibilità di promuovere l’uguaglianza sociale attraverso
l’istruzione, che aveva caratterizzato il periodo post-bellico. In particolare, le aspettative riposte
nell’istruzione per contenere le disuguaglianze economiche, sociali e culturali erano state deluse
(Husen, 1979; Karabel e Halsey, 1977), con la conseguenza che per le successive politiche
sull’educazione si rendeva necessario ispirarsi a nuovi paradigmi. È in questo clima, e nell’ambito
di una tradizione prettamente umanistica, che si inizia a guardare al lifelong learning come canale di
accesso ad una società ed una qualità di vita migliori e come strumento per prevedere ed adattarsi al
cambiamento senza grossi traumi. Il principio fondamentale è l’esortazione allo sviluppo personale,
al “farsi da sé” piuttosto che “lasciarsi creare”. Ma com’è possibile ridurre le differenze sociali
attraverso il “sistema del lifelong learning”?
In seguito al Rapporto Faure del 1972, “Learning to be”, l’Istituto per l’Educazione
dell’UNESCO inizia a concentrare politiche e ricerche sull’educazione permanente. Il dibattito su
lifelong education e lifelong learning diventa una bizzarra combinazione di astrazioni globali,
2
aspirazioni utopistiche e insulse questioni pratiche che spesso perdono di vista l’idea generale.
Come ebbe a dire Wain (1986), “le questioni pratiche non ottennero mai delle risposte reali, così
come il dibattito non raggiunse mai risultati concreti”.
La generazione umanistica del lifelong learning ebbe un ruolo rilevante per la società civile
e fu principalmente sostenuta dal settore del volontariato, mentre nella maggior parte dei paesi lo
stato ed il mercato rimasero spesso assenti. Infatti, la visione “umanistica” del lifelong learning,
oltre ad essere oltremodo rivoluzionaria, si colloca agli antipodi dell’ondata neoliberale che invase
il mondo occidentale. Argomenti quali l’uguaglianza, la democratizzazione e la società civile non
erano idee che avrebbero alimentato il dibattito sull’educazione negli anni futuri. Il nuovo
paradigma politico-economico era spinto da una nuova ideologia con differenti obiettivi e sogni.
La seconda generazione: il periodo forte dell’economia, dal 1985 al 2000
Quando il lifelong learning riappare, alla fine degli anni ’80, il contesto è fortemente mutato
rispetto al decennio precedente. I nuovi interessi portano ad impostare il lifelong learning quasi
esclusivamente su una visione “economicistica” della realtà. Mentre l’economia dell’OCSE viene
travolta dall’incertezza e dal cambiamento, “istruzione ed economia” diventa lo slogan per
manifestare una vaga ma urgente insoddisfazione per lo status quo (OCSE, 1989, p. 17). Il rapporto
dell’OCSE del 1989, Education and the economy in a changing society, segna l’avvento della
cosiddetta seconda generazione del capitale del pensiero umano nelle politiche educative
(Marginson, 1997; Rubenson, 1992).
Invece di sostenere modelli di crescita economica su ampia scala, come era successo negli
anni ’60, il capitale umano di seconda generazione è radicato in una visione micro-economica che
favorisce l’impresa individuale. Gli economisti vedono nel cambiamento tecnologico uno strumento
per promuovere la richiesta di istruzione, che a sua volta promuove il cambiamento tecnologico,
generando infine un aumento della produttività (cfr. Welch, 1970; Bartel e Lichtenberg, 1987).
Quindi, l’istruzione non rappresenta più solo una fonte di investimento, ma anche un fattore di
produzione (Welch, 1970, p. 41). Welch ed altri (Bartel e Lichtenberg, 1987; Wozniak, 1984)
evidenziano il ruolo dell’educazione nello sviluppo della capacità di innovazione e di adattamento
alle nuove tecnologie, mentre l’OCSE, seguendo questo filone di ricerca, individua come fattore
chiave la capacità dell’individuo di affrontare i cambiamenti e di trasformarli in vantaggi futuri
(OCSE, 1986, in Marginson, 1983, p. 48).
Nell’era che Thurrow (1996) definì “del capitalismo globale”, caratterizzata da un aumento
della competizione economica e da rapidi sviluppi dell’information technology, con conseguenze
3
sulla struttura del mercato del lavoro oltre che sul singolo impiego, è comprensibile che l’OCSE
abbia utilizzato la nuova ricerca sul capitale umano quale base per promuovere una nuova agenda
sul capitale umano stesso. Per comprendere meglio il discorso sull’educazione promosso e replicato
dall’OCSE nella maggior parte dei paesi industrializzati, è essenziale notare che la nuova agenda
sull’educazione non solo rivedeva la posizione relativa al capitale umano, ma era strutturata
secondo un approccio neo-liberale che aveva sostituito il credo Keynesiano. Così, l’imperativo
economico imponeva pesanti restrizioni alla spesa pubblica destinata all’istruzione, e sollecitava
un’assunzione di responsabilità che inducesse ad investire nel libero mercato piuttosto che contare
sull’assistenza dello stato e delle istituzioni. Si enfatizzava, inoltre, l’importanza di poter disporre di
capitale umano altamente specializzato e di scienza e tecnologia avanzate per procedere alla
ristrutturazione economica, aumentare la produttività e diventare competitivi sul mercato
internazionale.
L’opinione comune più diffusa è sintetizzata in modo significativo nella seguente
dichiarazione tratta dall’incontro dei G8 del 1999:
Adaptability, employability and the management of change will be the primary
challenges for our societies in the coming century. Mobility between jobs,
cultures and communities will be essential. And the passport to mobility will be
education and lifelong learning for everyone.
1999, p. 3)
(G8 Communiqué Cologne
2
La visione ristretta che ha caratterizzato la seconda generazione del lifelong learning è stata
ampiamente criticata dagli studiosi, che ne hanno esaminato documenti sulle politiche e demolito il
pensier dominante.
Verso la fine degli anni ’90, i politici raggiungono la consapevolezza che insieme alla
promessa di un aumento della produttività e di un miglioramento degli standard di vita, la New
Economy introduce anche nuove sfide per la società, l’industria e gli individui. Se non soddisfatte,
queste sfide possono amplificare il rischio di esclusione permanente o di emarginazione di parte
della popolazione ed esacerbare le differenze socio-economiche. La consapevolezza di ciò porta
all’elaborazione di una prospettiva economica più moderata.
2
“La flessibilità, l’occupabilità e la gestione del cambiamento saranno le sfide principali per le nostre società nel
prossimo secolo. La mobilità tra i lavori, le culture e le comunità sarà essenziale. L’istruzione e la formazione continua
per tutti saranno il passaporto per la mobilità” (Comunicato del G8, Colonia 1999, p. 3) [n.d.r.]
4
La versione moderata del paradigma economico: il XXI secolo
Poiché le considerazioni sull’economia rimangono le principali forze dominanti, sono restio
a parlare di un terzo paradigma del lifelong learning, che potrebbe essere definito della “coesione
sociale”. Ho scelto piuttosto di denominare i recenti sviluppi come una versione “moderata” del
paradigma economico.
Il documento di lavoro della Commissione Europea intitolato “A Memorandum on Lifelong
Learning” (Brussels, 30.10.2000) segnala l’inizio di un cambiamento. Riflettendo sulle decisioni
del Consiglio Europeo di Lisbona del 2000, il Memorandum parte dal presupposto che i
cambiamenti sociali ed economici contemporanei siano interconnessi e sottolinea due finalità
ugualmente importanti per il lifelong learning: promuovere la cittadinanza attiva e promuovere
l’occupabilità. Nel documento si legge:
European Union must set an example for the world and show that it is possible
both to achieve dynamic economic growth and to strengthen social cohesion,
lifelong learning is an essential policy for the development of citizenship,
social cohesion and employment (p. 4).3
3
“L’Unione Europea deve dare l’esempio al mondo e dimostrare che è possibile sostenere la crescita economica e
rafforzare la coesione sociale; l’apprendimento continuo è una politica essenziale per lo sviluppo della cittadinanza, per
la coesione sociale e per il lavoro” [n.d.r.]
5
In relazione al lifelong learning, le tre generazioni riflettono i differenti ruoli e i
collegamenti che intercorrono tra lo stato, il mercato e la società civile.
Società Civile
Pratiche di
Lifelong
Learning
Mercato
Stato
Fig. 1: Pratiche di lifelong learning
La prima generazione di lifelong learning, secondo l’interpretazione dell’UNESCO, ha un
ruolo importante per la società civile, mentre la seconda privilegia il libero mercato, svaluta il ruolo
dello stato ed ignora quasi completamente la società civile. È importante sottolineare che questi tre
elementi non sono statici ma interconnessi. Un esempio è rappresentato dalla situazione
dell’educazione degli adulti in Svezia durante la prima generazione: è fortemente istituzionalizzata,
riceve dei fondi statali, ma è gratuita e collocata nella società civile. Questo dimostra come
l’educazione degli adulti sia parte di uno stato corporativo, a metà strada tra la società civile e lo
stato. Inoltre, l’influenza del mercato sulla relazione tra stato ed educazione non si risolve
semplicemente con il passaggio dal controllo statale alla privatizzazione e al decentramento. Nel
momento in cui l’educazione e la formazione degli adulti sono diventate un concetto chiave delle
politiche nazionali, gli interessi del mercato sono stati privilegiati. È infatti il mercato a stabilire
quali sono le competenze e le abilità che i lavoratori devono sviluppare attraverso il sistema
educativo pubblico. Riconoscendo le debolezze del mercato e manifestando una crescente
preoccupazione per ampi gruppi che non partecipano pienamente alla vita sociale ed economica, la
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terza generazione si colloca in una posizione di equilibrio tra i tre elementi: il mercato ha ancora un
ruolo centrale, ma anche le responsabilità degli individui e lo stato hanno acquisito visibilità. Il
linguaggio è quello di una responsabilità condivisa. Tuttavia, una lettura più attenta del dibattito
politico potrebbe generare un certo scetticismo. Infatti, nonostante i ripetuti riferimenti al
coinvolgimento dei tre fattori, ciò che emerge dai documenti sulle politiche più recenti è la
centralità del soggetto nel processo di apprendimento. Nel riconoscere agli stati membri dell’UE la
responsabilità di organizzare i propri sistemi di istruzione e formazione, il documento del 2000 –
così come quelli successivi - afferma che questi sistemi richiedono l’impegno di una vasta gamma
di attori sociali, tra cui l’individuo, sul quale ricade, in ultima istanza, la responsabilità del proprio
processo di apprendimento (op. cit. p. 4).
Il lifelong learning quindi, è considerato come un progetto di sviluppo individuale tanto
nella seconda quanto nella terza generazione; ogni persona deve provvedere alla creazione e alla
conservazione del proprio capitale umano investendo nell’apprendimento (Marginson, 1997).
L’enfasi sulla responsabilità individuale riflette l’etica del Programma per la Terza Via, secondo
cui “il precetto ‘nessun diritto senza responsabilità’ si applica a tutti gli individui e a tutti i gruppi”
(Giddens, 2000, p. 165). Inoltre
Governments must maintain a regulatory role in many contexts, but as far as
possible it should become a facilitator, providing resources for citizens to assume
responsibility for the consequences of what they do.4
La Terza Via, nel manifestare comprensione per la cosiddetta “buona società” che promuove
l’equilibrio tra stato, mercato e società civile, riflette l’egemonia del pensiero neoliberale che si
riscontra anche nei governi di sinistra. (Ryner, 2002). La recente versione moderata dell’agenda
economica sembra riflettere la posizione della Terza Via.
L’accresciuta enfasi sulla centralità del soggetto, responsabile del proprio processo di
apprendimento, è strettamente collegata con una nuova considerazione ed una nuova articolazione
del concetto di lifelong learning e con lo spostamento dell’attenzione dall’educazione
all’apprendimento (Griffin, 1999; Rubenson, 1999). Nell’ambito della Strategia Europea per
4
“I governi devono stabilire delle regole in molti contesti, ma nei limiti del possibile dovrebbero essere dei facilitatori e
fornire ai cittadini le risorse per diventare responsabili delle proprie azioni” [n.d.r.].
7
l’Impiego, gli stati membri hanno definito il lifelong learning come “un’attività di apprendimento
intenzionale intrapresa in maniera continuativa con l’intento di migliorare conoscenza, abilità e
competenze”. Questa definizione comporta delle conseguenze sul modo di concepire il lifelong
learning. Dovremmo condividere l’opinione dello studioso tedesco Dohmen (1996), il quale
sottolinea che in questa prospettiva il cuore del lifelong learning è rappresentato
dall’apprendimento, positivo o negativo, che avviene in modo informale nella vita di tutti i giorni.
Ora la questione riguarda la natura e la struttura delle esperienze quotidiane e le loro conseguenze
sui processi di apprendimento di una persona, sul suo modo di pensare e sulle competenze. Quali
sfide affrontano le persone? Quali opportunità di apprendimento creano queste sfide? Ci si deve
chiedere se è possibile affrontare in maniera proficua le politiche sul lifelong learning partendo da
una definizione cosi ampia del concetto (Griffin, 1999).
Un modo per trattare un argomento così vasto è concentrarsi sulla reale possibilità di
promettere il lifelong learning a tutti. Un’analisi, basata su dati empirici, ci permette di collegare lo
studio di ciò che lo stato dovrebbe fare per garantire il lifelong learning a tutti con un’indagine sui
risultati prodotti grazie alle disposizioni esistenti sul lifelong learning (vedi Rothstein, 1998, p. 17).
Partecipazione all’educazione degli adulti e regime di welfare5
Esping-Andersen (1987) individua tre distinti regimi di welfare caratterizzati da differenti
accordi tra stato, mercato e famiglia. Gli stati anglosassoni seguono quello che egli definisce un
regime di welfare liberale, in cui i benefici, a livello sociale, sono modesti, è forte la fiducia nelle
soluzioni guidate dalle leggi del mercato e scarsa quella nello stato.
Un diverso regime è presente in nazioni quali Austria, Francia, Germania e Italia, le quali
sono molto condizionate dalla chiesa e vantano un’antica tradizione di carattere corporativo;
l’efficienza del mercato è una preoccupazione secondaria e la garanzia dei diritti sociali è stata solo
di rado oggetto di contestazione. Lo stato tende a non soccorrere le famiglie in grado di provvedere
al proprio sostentamento.
La terza categoria di paesi rientra in ciò che Esping-Andersen definisce regime socialdemocratico o nordico. In questo gruppo di paesi troviamo meno dualismo tra stato e mercato e tra
classe operaia e classe media. Lo stato fissa standard di uguaglianza molto alti e non di necessità
minime come avviene altrove. Il diritto dei cittadini a servizi e benefici è tradizionalmente definito
5
Questa sezione si basa prevalentemente su Rubenson, K.. (2003), “Education for social capital. Lifelong Learning in
Europe”, VIII (1), 25-31.
8
secondo il modello della classe media. Questo modello restringe il mercato e costruisce
un’essenziale solidarietà universale in favore dello stato di welfare. Un tratto distintivo dello stato
socialdemocratico è l’integrazione tra welfare e stato. Il modello nordico si propone di garantire
lavoro a tutta la popolazione ed è al contempo fortemente dipendente da questo impegno in quanto
mantenere il welfare ha un costo elevato che induce lo stato a minimizzare i problemi sociali e
massimizzare il guadagno. Una politica attiva per il mercato del lavoro è un fattore fondamentale
per la stabilità economica e la piena occupazione, oltre che fondamento per costruire uno stato di
welfare. Di conseguenza, speciali programmi di formazione per il mercato del lavoro, oltre che
riforme nell’ambito dell’educazione degli adulti, generalmente dipendono da una politica di
investimento nel capitale umano (Rubenson, 2002).
Un’osservazione cruciale in questo contesto è la percentuale di adulti che, nei paesi
dell’OCSE, partecipano all’istruzione e alla formazione, mentre la relazione tra disuguaglianze
economiche e disuguaglianze nei livelli di alfabetizzazione sembra essere strettamente legata alla
natura del regime di welfare.
Il tasso medio di partecipazione del gruppo nordico è del 53%, in confronto al 32% dei paesi
partecipanti allo IALS. Tuttavia, un confronto con altri paesi dello IALS altamente industrializzati
potrebbe rivelarsi più appropriato. Il tasso medio di partecipazione nei paesi nordici è più elevato di
circa il 14% (53 contro 39) rispetto al seguente gruppo di paesi anglosassoni: Australia, Canada,
Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti.
Un’altra caratteristica distintiva dell’educazione degli adulti nel modello nordico è che la
legge sulla disuguaglianza è meno severa in questa regione rispetto ad altri paesi.
Questa disuguaglianza ha a che fare con l’elevato tasso di partecipazione tra coloro che
hanno ricevuto un’istruzione formale di breve durata, e che hanno un lavoro. In ogni caso, questi
sono ancora molto indietro rispetto a chi ha un livello di istruzione più elevato. La disuguaglianza,
nel modello nordico, è anche dovuta ad una più equa distribuzione di età tra i partecipanti.
Nonostante ci sia un ampio divario nel tasso di partecipazione tra i gruppi di età in tutti i paesi, nei
paesi nordici le persone di età compresa tra i 56 ed i 65 anni partecipano più spesso che i loro
coetanei di altri paesi.
In questo contesto, è interessante notare che il sondaggio internazionale sul livello di
alfabetizzazione (International Literacy Survey, OCSE, 2000) ha evidenziato la stretta relazione tra
le disuguaglianze economiche di un paese da un lato e disuguaglianze nel livello di alfabetizzazione
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dall’altro. Un livello medio di alfabetizzazione degli adulti è cruciale per garantire il lifelong
learning a tutti. Coloro che non soddisfano questa capacità avranno grandi difficoltà a partecipare
attivamente alla società della conoscenza.
In questo senso, i paesi tendono a raggrupparsi in tre categorie ben distinguibili. Nei paesi
nordici si riscontrano poche disuguaglianze economiche e culturali. Il gruppo di paesi dell’Europa
continentale include la Germania ed i Paesi Bassi, in cui le disuguaglianze raggiungono dei livelli
leggermente più elevati rispetto al primo gruppo. Infine c’è il gruppo anglosassone che presenta il
più elevato livello di disuguaglianze. I risultati sembrano suggerire che le disuguaglianze nelle
capacità di base dipendono dalle strutture nazionali e possono essere comprese in termini di diverse
tipologie di regimi di welfare. Di conseguenza, gli elevati livelli di partecipazione nei paesi nordici
sono in linea con ciò che ci si può aspettare secondo il regime di welfare nordico e indicano uno
stato attivamente preoccupato per le disuguaglianze nei livelli di partecipazione.
Ci sono tre componenti principali nel modello del welfare nordico che aiutano a spiegare il
livello relativamente più alto e con una diffusione più razionale del lifelong learning in questo
regime. In primo luogo, esiste una forte relazione tra l’obiettivo della piena occupazione e l’enfasi
sullo sviluppo del capitale umano. I paesi nordici hanno provato ad affrontare la sfida posta
dall’economia dell’informazione ampliando i tradizionali programmi di formazione con un
approfondimento sugli aspetti strettamente legati a delle professioni specifiche, al fine di innalzare
il livello generale di istruzione degli adulti disoccupati (vedi per es. NOU 1997:25, OCSE, 2001a;
OCSE, 2001b). L’istruzione e la formazione offerte ai disoccupati, secondo il modello del welfare
nordico, sono di tipo estensivo, contrariamente a quanto avviene in molti altri paesi, specialmente in
quelli anglosassoni. L’attenzione dei paesi nordici per l’educazione degli adulti e lo sviluppo del
capitale umano può essere considerata secondo la seguente descrizione fornita da Esping-Andersen
(Esping-Andersen , 1996, p. 260):
A Pareto optimal welfare state of the future might very well be one that shifts the accent of
social citizenship from its present preoccupation with income maintenance towards a
menu of rights to lifelong learning and qualification6
6
“Lo stato sociale del futuro potrebbe essere uno stato che sposta l’accento della cittadinanza sociale dalla sua attuale
preoccupazione per il mantenimento del reddito ad una lista di diritti legati al lifelong learning e alla qualificazione”
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In secondo luogo, vorrei attirare l’attenzione sul modello nordico delle relazioni industriali e
sull’impatto che questo ha sul lifelong learning. Nonostante gli sviluppi nei paesi nordici, le
somiglianze continue tra questi paesi e le differenze con altre nazioni fanno sì che si parli ancora di
un modello nordico delle relazioni industriali (Kjellberg, 1998). Alcune caratteristiche di questo
modello sono state fondamentali nel promuovere l’educazione e la formazione degli adulti. Una
struttura di tipo corporativo altamente sviluppata ha permesso di alimentare una tradizione di
collaborazione tra lo stato e le organizzazioni del mercato del lavoro, sviluppando un consenso
relativamente alto su argomenti quali la produttività, l’introduzione di nuove tecnologie e la
formazione (Qvale e ∅verland, 2001). La forza dei sindacati ed il loro stretto legame con il partito
socialdemocratico hanno permesso lo svolgimento di dibattiti pubblici su questioni di vitale
importanza per le politiche nazionali, come l’apprendimento degli adulti, e hanno incoraggiato i
singoli individui a partecipare alla formazione sul posto di lavoro.
In terzo luogo, è importante sottolineare il modo in cui la partecipazione alla formazione è
stata influenzata dalla possibilità di accedere ai finanziamenti pubblici. Come hanno osservato
Tuijnman e Hellström, l’esistenza di fondi pubblici destinati all’educazione degli adulti, nel
complesso, non ha influenzato il tasso di partecipazione generale nei paesi dello IALS, tuttavia
sembra essere stata una delle motivazioni principali a partecipare nei paesi nordici (Tuijnman e
Hellström, 2001). Una spiegazione per questo è che i potenziali adulti partecipanti, grazie ai
finanziamenti pubblici, potevano usufruire di corsi gratuiti o molto economici. Anche le
organizzazioni fortemente impegnate a raggiungere gruppi svantaggiati forniscono un servizio che
risponde meglio alle richieste dei meno svantaggiati. Questo è il risultato di un regime di
distribuzione dei fondi che non copre l’aumento dei costi necessari per raggiungere gruppi a rischio.
In un momento in cui le politiche del governo cercano di aumentare l’efficacia attraverso l’adozione
di un approccio più orientato al mercato e sull’erogazione di finanziamenti in funzione del risultato,
le organizzazioni propendono sempre di più ad indirizzarsi verso un target più facile da raggiungere
e che avrà maggiori probabilità di successo (cfr. McIntyre e Ferrier, 1996). In quest’ottica, il
relativo successo dei paesi nordici nel coinvolgere nei percorsi di formazione persone poco
qualificate, è un risultato ottenuto non grazie ai finanziamenti pubblici, ma alla disponibilità di
fondi destinati esclusivamente a gruppi svantaggiati.
Considerazioni conclusive
È ormai un’abitudine consolidata tra gli studiosi quella di criticare il progetto politico del
lifelong learning presentato nei documenti sulle politiche nazionali e/o nei documenti emanati da
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agenzie intergovernative come l’OCSE e l’UE. Le critiche di solito rientrano in tre categorie
interconnesse. Innanzitutto, i circoli a favore dell’educazione degli adulti manifestano un forte
risentimento contro ciò che viene considerata come una colonizzazione dell’educazione degli adulti
e delle sue tradizioni umanistiche e culturali da parte di un programma di natura meramente
economica, che comporta un drastico cambiamento delle condizioni in cui l’educazione degli adulti
opera (Bagnall, 2000; Gustavsson, 2002). In secondo luogo, la premessa secondo la quale
esisterebbe una generale domanda per un forza lavoro più specializzata è messa in discussione da
molti studiosi che evidenziano una crescente biforcazione del mercato del lavoro (Brown, Green &
Lauder, 2001; Livingstone, 2002). In questo scenario, lavori a basso salario fornirebbero impiego ad
un vasto gruppo di disoccupati e la formazione, in questo settore, tenderebbe a sviluppare le
capacità necessarie a soddisfare le immediate esigenze del cliente. Questo tipo di formazione
sarebbe diverso da quello destinato a lavori altamente qualificati in quanto lavori a basso profilo di
specializzazione e lavori fortemente specializzati operano in mercati del lavoro separati
(Cruikshank, 2002). Infine, percorrendo gli spostamenti della politica economica, la direzione delle
attuali politiche sul lifelong learning viene criticata perché seguace di un sistema neoliberale (Field,
2000; Griffin, 1999; 2002).
Il legame tra il regime di welfare e l’attuazione del lifelong learning per tutti suggerisce che,
nonostante la globalizzazione ed il forte impatto dell’agenda neoliberale, ancora si riscontrano
variazioni profonde tra i modelli nazionali. In un regime di welfare, il progetto politico del lifelong
learning può essere una valida strategia per affrontare le pressioni della globalizzazione. Quindi, i
modelli di partecipazione all’educazione degli adulti e alla formazione nei paesi nordici confermano
quanto sostenuto da Martin Carnoy, il quale individua delle differenze sostanziali tra ciò che
l’educazione degli adulti cerca di ottenere e ciò che può fare in strutture sociali e politiche diverse.
Egli infatti afferma (Carnoy, 1995, p.3):
Ultimately, these differences depend heavily on the possibilities and limits of
the state, since it is the state that defines adult education and is the principal
beneficiary of its effective implementation. These possibilities and limits of the
state are, then, a key issue understanding the form and content of adult
education. 7
7
“Infine, queste differenze dipendono fortemente dalle possibilità e dai limiti dello stato, in quanto è quest’ultimo che
definisce l’educazione degli adulti ed è il principale beneficiario della sua effettiva attuazione. Le possibilità e i limiti
dello stato sono, quindi, un elemento chiave per capire la forma ed il contenuto dell’educazione degli adulti”.
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Le considerazioni sulla natura della globalizzazione spesso spingono politica e istituzioni a
riporre fiducia negli incentivi individuali e di mercato, piuttosto che nei meccanismi politici o
istituzionali (Ohmae, 1990; Clayton e Pontusson, 1998). Eppure le caratteristiche del modello
dell’educazione degli adulti dei paesi nordici sembrano confermare i risultati di altri studi, secondo
cui ci sarebbe una scarsa convergenza tra le aree relative alle strategie del mercato del lavoro, ivi
inclusi i sistemi di istruzione e formazione e il ruolo del welfare state (McBride e Williams, 2001;
Garret, 1998; Rueda e Pontusson, 2000; Thelen e Kume, 1999). Persistono modelli distinti di
capitalismo (Vogel 2001; Thelen, 2000), welfare state (Rieger e Leibfried, 1998; Regini, 2000) e
sistema di formazione delle competenze (Brown, 2001; Ashton e Green, 1996).
L’affermazione secondo la quale l’educazione degli adulti nel modello nordico differisce da
altre forme presenti nei regimi di welfare, non dovrebbe portarci a credere che questo non sia
minacciato da pressioni di egemonia da parte di idee neoliberali. Al contrario, segni del genere sono
chiaramente visibili in recenti politiche di educazione degli adulti nei paesi nordici. Le richieste del
mercato e la responsabilità individuale ad adattarsi alle sfide dell’economia della conoscenza sono
temi che si ritrovano nei documenti relativi alle recenti politiche proposte. Perciò, allontanandosi
dalla posizione tradizionale dei paesi nordici sull’educazione degli adulti, i recenti documenti sulle
politiche da adottare sottolineano che è essenziale considerare i bisogni dell’individuo come punto
iniziale per poi pianificare le strategie sociali. Inoltre, considerando il lifelong learning come
progetto individuale, gli sforzi collettivi dei movimenti sociali attraverso associazioni di studio
stanno diminuendo ed il legame tradizionale tra la società civile e l’educazione degli adulti popolare
risulta indebolito.
Un'altra minaccia è che il legame tradizionale nei paesi nordici tra democratizzazione
economica ed apprendimento degli adulti non sembra essere incluso nell’attuale progetto politico
sul lifelong learning. È interessante notare che durante l’era dell’educazione degli adulti nei paesi
nordici, le discussioni sull’apprendimento informale si focalizzano sulle possibilità ed i limiti
causati dalle condizioni della vita lavorativa (vedi Salling-Olsen, 1989). Gli educatori degli adulti
sembrano considerare come una minaccia qualsiasi legame tra l’educazione degli adulti ed il lavoro.
Ciononostante, ciò che sostengo è che oggi la minaccia non è che l’interesse per l’educazione degli
adulti sia così fortemente condizionato da una razionalità economica, ma che il progetto politico
sull’apprendimento degli adulti abbia perso il suo legame con la democratizzazione economica. In
un progetto politico progressista sul lifelong learning questa connessione dovrebbe essere ristabilita.
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