1 Definizioni e ricerche sul Lifelong learning: una realtà emergente

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Definizioni e ricerche sul Lifelong learning: una realtà emergente che prende forma
Henning Salling Olesen, Graduate School in Lifelong Learning
Introduzione
Il campo di ricerca a cui si riferisce il nome della scuola di Specializzazione in Lifelong
Learning non rappresenta ancora un settore disciplinare o di ricerca ben definito. È la visione di uno
dei possibili modi di dare forma ad una realtà emergente – una nuova situazione, ancora in via di
sviluppo, per l’istruzione e l’apprendimento. Questa realtà emergente deve essere ricostruita,
ridefinita concettualmente e studiata attraverso l’attività empirica.
Siamo consapevoli che per molti lifelong learning non è altro che un’espressione tratta dai
discorsi politici. È il caso anche di molti dottorandi della Scuola di Specializzazione. In un certo
senso, questa connotazione è fondata. L’apprendimento è diventato un campo di battaglia per
diversi interessi economici e sociali – alcuni dei quali ancora difficili da riconoscere. Il programma
politico sul lifelong learning è diventato il quadro politico di riferimento predominante (UE 2002).
Innanzitutto e soprattutto nelle opinioni di industriali, dirigenti e funzionari sull’apprendimento nel
corso della vita lavorativa, ma gradualmente si cerca di inserirlo anche in una riforma delle funzioni
di base e della struttura dell’intero sistema scolastico ed educativo, nella forma di modelli
pedagogici e con la creazione di contesti di apprendimento diversi da quelli formali. Il lifelong
learning non è il risultato di una ricerca critica, ma il sintomo di una realtà sociale che sta
cambiando.
Tuttavia, noi riteniamo di poter dare a questa espressione anche un significato diverso, più
specifico. Un significato che dal punto di vista teorico definisce un nuovo campo di ricerca e indica
alcuni approcci metodologici. La scuola di specializzazione si regge sull’ambizione di preparare
giovani ricercatori che possono dare il loro contributo a questa nuova accezione di lifelong learning
e alle strategie per studiare l’apprendimento nei contesti a cui il lifelong learning fa riferimento.
Ri-nominare e ri-configurare il campo di ricerca
Siamo in un dipartimento di scienze dell’educazione. Scegliere la denominazione di Lifelong
learning per un programma di studi dottorali è un tentativo di affrontare una nuova situazione. Le
ricerche relative alle scienze dell’educazione riguardavano l’attività di insegnamento nel senso più
ampio del termine oppure vari settori professionali, inclusa l’istruzione nei suoi diversi aspetti:
insegnamento, formazione, scuola materna e servizi sociali. Per la ricerca, questo significava un
continuo sviluppo della pedagogia, che istituzionalmente è di supporto alle discipline di base, e di
nuove discipline, più operative, indirizzate a destinatari e ad argomenti specifici.
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Tuttavia, in questa nuova situazione, l’immagine di un contesto scolastico relativamente
uniforme sta scomparendo – e gli interessi per i contesti, gli allievi e i contenuti si fanno sempre più
diversi. Già l’integrazione tra la ricerca collegata con l’insegnamento e la ricerca collegata con
specifiche discipline di insegnamento è difficile, dal punto di vista della ricerca. E la differenza
nelle materie di studio e negli argomenti, introdotta con l’educazione degli adulti e l’educazione
continua, sta aumentando in modo considerevole. Si tratta semplicemente di chiedersi se si può
definire un professionista colui che al posto delle ricerche può vantare la conoscenza del suo ruolo
professionale! Ed è ovvio che questo introdurrebbe nella ricerca una costrizione indesiderabile.
Il cambiamento indicato con lifelong learning e l’enfasi sull’apprendimento piuttosto che su
istruzione e formazione sfiderà i paradigmi e le unità di ricerca che sono definiti dall’attività di
insegnamento in relazione all’elaborazione di un nuovo concetto di scuola e all’uniformità della
scuola alla luce dei nuovi assunti relativi all’apprendimento. Assistiamo a sviluppi per rafforzare
l’aspetto delle scienze sociali relativo alla ricerca nel campo dell’istruzione in generale, soprattutto
gli approcci sociologici ed etnografici ai contesti scolastici e dell’apprendimento che potrebbero
permettere alla pedagogia di ampliare le ricerche sulla scuola, e forniranno anche nuovi, importanti
modi di riflettere le professioni pedagogiche (che, naturalmente, non scompariranno).
È pur vero, però, che il concetto di lifelong learning adottato nel suo pieno significato –
apprendimento lungo tutto l’arco della vita, in tutti i contesti di vita, ivi inclusi gli obiettivi generali,
motivazionali e professionali dell’apprendimento - conduce alla considerazione che dobbiamo
prendere le distanze dalle forme tradizionali della pedagogia e della ricerca educativa o, in altri
termini, considerare l’istruzione come un dominio più o meno specifico della ricerca
sull’apprendimento, relativo ad un contesto di apprendimento e ad un limitato settore di vita. Al
contrario, dobbiamo coprire un maggior numero di contesti e assumere un ruolo professionale
ambivalente e più fluido nel promuovere l’apprendimento.
Penso che dobbiamo anche essere più radicali nello sfidare l’università1 e la concezione del
ruolo della ricerca universitaria in relazione ai contesti pratici rispetto a quello che ha rappresentato
finora il concetto di dominio di conoscenza professionale. La constatazione che le professioni siano
delle pratiche basate sulla conoscenza scientifica applicata, e di conseguenza che la ricerca in queste
discipline è semplicemente una collazione strumentale della conoscenza applicabile, è un punto
morto. Piuttosto, dobbiamo partire dal presupposto che la conoscenza è prodotta in contesti diversi,
in attività pratiche e in istituti di ricerca, e l’applicazione procede in entrambe le direzioni, nel senso
che produce un processo interattivo riflessivo. In questo contesto, lo sviluppo di una teoria critica, o
di opinioni costruttiviste, così come l’attenzione prioritaria alle metodologie qualitative,
1
In corsivo nel testo [n.d.t.]
2
costituiscono nuovi sviluppi verso la comprensione. Essi pongono domande sulla formazione
storica ed epistemologica delle teorie, della conoscenza e dei metodi, e sensibilizzano ad una
moltitudine di pratiche, alcune professionali, altre no.
A livello metateorico e generale, stiamo parlando di sfide al paradigma scientifico, in
particolare ai principi dell’epistemologia e della metateoria (il riferimento è principalmente a
Gibbons et al., 2001). Sarebbe sbagliato dire che abbiamo molta esperienza da offrire a questo
livello. Però, al momento, abbiamo più esperienza nel campo dell’istruzione che nella maggior parte
degli altri filoni accademici di ricerca. Io vedo una convergenza tra questo ripensamento del
concetto della conoscenza nei contesti di pratica sociale, che avrà luogo in ogni singola disciplina
universitaria, da un lato – e il fenomeno del lifelong learning, che sarà l’oggetto di indagine della
nostra ricerca.
A livello pratico ed istituzionale, sembra ovvio che l’università tradizionale stia affrontando
una nuova missione e la definizione di un nuovo compito, che metterà più enfasi sull’educazione
permanente e sulla produzione di servizi scientifici e specializzati. La ricerca sul lifelong learning
potrebbe rivestire un ruolo chiave nel processo di ristrutturazione dell’università, investendo la
ricerca, l’insegnamento e i collegamenti con il mondo professionale e sociale. Questo rappresenta
una grossa difficoltà per le università, e porrà la questione dei nuovi sistemi di gestione e
valutazione, di nuove divisioni del lavoro, minaccerà seriamente il ruolo fondamentale
dell’università come base di conoscenza indipendente e a lungo termine. Teoria e metodologie,
ricerca di base e formazione di giovani ricercatori, tutto sarà minacciato da questi cambiamenti.
Piuttosto che ritagliarsi una nicchia o uno spazio protetto, tuttavia, la ricerca sul lifelong learning
dovrebbe posizionarsi al centro di questo processo. Dobbiamo trovare il modo di definire
l’apprendimento come un oggetto di ricerca interdisciplinare e una prospettiva di ricerca in scienze
sociali e culturali, partendo dal presupposto che l’elaborazione di teorie e l’oggetto di indagine si
definiscono reciprocamente. È su questo che verte il dibattito all’interno della Scuola di
Specializzazione in Lifelong Learning.
Nei prossimi paragrafi spiegherò in che modo questo contesto definisce i nostri possibili
oggetti di indagine, in che modo la ricerca può contribuire agli sviluppi futuri, per giungere, infine,
ad alcune strategie di ricerca a livello di scuola di specializzazione.
Lifelong learning – un sintomo della trasformazione della società
Il lifelong learning può essere interpretato in diversi modi. È il figlio illegittimo di una
concezione mistica di istruzione e libertà, che dovrebbe essere universalmente condivisa. Ma
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rappresenta anche uno sforzo, da parte del mondo capitalista, di mantenere un vantaggio
competitivo investendo ampiamente nelle risorse umane di questa parte del mondo. Questo incrocio
potrebbe svilupparsi in direzioni molto diverse tra loro; ne sottolineerò due varianti: una versione
ugualitaria del welfare state con provvedimenti mirati e interazioni obbligate tra istruzione e
società/industria che, dopo decenni di ottimismo, potrebbe finalmente oltrepassare i limiti
dell’istruzione formale – una possibilità negli ambienti socialdemocratici dei Paesi Nordici (da poco
anche in Danimarca); una versione neoliberale che conta sulla responsabilità del soggetto in quanto
protagonista del proprio processo di apprendimento e sostiene che basare l’istruzione e
l’apprendimento sulle necessità del mercato assicurerà sufficiente conoscenza umana e competenze
e abilità per lo sviluppo dell’economia (anche se non tutti saranno inclusi necessariamente
nell’economia della conoscenza) – una possibilità per gli ambienti liberali della società del welfare,
come il Regno Unito.
Sia che il lifelong learning sia considerato un fantasma, una realtà di quella razza speciale
chiamata “realtà politica”, o una strategia visionaria di riforma, resta pur sempre un politicum. È
una nozione ambigua e una realtà in continuo movimento. Non è così che la ricerca è lì, e andremo
a dimostrarlo. Una ricerca critica deve posizionarsi in un campo strutturato dal punto di vista della
politica e della società. Non fornendo argomenti a sostegno di questa o quell’idea sul lifelong
learning o raccomandando strumenti o interventi politici specifici. Contribuiamo alla costruzione
del campo attraverso il nostro modo di concettualizzarlo.
Gli ultimi dieci o vent’anni sono stati testimoni di uno sviluppo simultaneo dell’idea di
società della conoscenza, caratterizzata da una crescente richiesta di formazione, e del declino
dell’interesse per l’istruzione. La parola chiave apprendimento sembra aver relegato istruzione ad
una posizione secondaria, nonostante la confusione continua della relazione tra i due. Una forma di
scetticismo contro l’istruzione istituzionale e la formazione si riscontra tra il pubblico così come tra
le posizioni critiche. Io penso che abbia a che fare con le contraddizioni rispetto al ruolo
dell’istruzione e della formazione nel processo di modernizzazione. Questa contraddizione è
particolarmente evidente in relazione all’apprendimento degli adulti. Da un lato, assistiamo ad una
crescente scolarizzazione in un certo numero di aree – che, per così dire, completa la logica
dell’istituzionalizzazione – promuovendo la professionalizzazione dell’educazione permanente e
della formazione degli adulti. Tutti i mestieri e le professioni tradizionali hanno dato origine
all’apprendimento istituzionale e alla produzione di conoscenza, anche laddove il livello di
specializzazione richiesto è più basso. Tutte le varietà di formazione professionale e manageriale
sono state istituzionalizzate. Il settore tradizionale dell’educazione liberale degli adulti,
l’illuminismo popolare ecc. hanno tratto dei benefici da questo sviluppo, anche se con differenze
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sostanziali di paese in paese. Lo stesso dicasi in relazione all’istruzione superiore degli adulti, che è
stata promossa molto più nell’Europa settentrionale che meridionale.
In questo modo, l’educazione permanente e degli adulti è “cresciuta” fino a diventare una
parte del settore dell’educazione, con scuole e insegnanti professionisti al posto di attivisti di
comunità, lezioni serali occasionali e corsi periodici tenuti da istruttori tecnici nominati ad hoc.
Dall’altro lato, assistiamo ad un processo di descolarizzazione in cui educazione e apprendimento
sono considerati come degli aspetti dei processi di lavoro delegati all’individuo con il supporto di
internet ecc. In un certo senso, questo è dovuto alle condizioni specifiche dell’età adulta – maggiore
autonomia di chi apprende, difficoltà oggettiva a coinvolgere in istruzione e formazione chi già
deve conciliare lavoro e famiglia. Come in altri settori dell’istruzione, c’è un conflitto tra ciò che è
meglio in relazione agli scopi e le relative interferenze con le forme e le risorse necessarie per
realizzarli.
Nonostante il fatto che la politica scolastica conservatrice sembri confermare il proprio
concetto tradizionale di scuola, penso che le contraddizioni a cui assistiamo nell’educazione
permanente e degli adulti non facciano che preannunciare una riorganizzazione generale del sistema
scolastico: uno sviluppo in cui la posta in gioco risiede nello stretto legame tra la conoscenza e lo
sviluppo di persone autonome e desiderose di fare nuove esperienze.
Nel processo di modernizzazione delle società, possiamo distinguere due aspetti del ruolo
dell’educazione. Il primo è relativo alla produzione e disseminazione della conoscenza, il nucleo
della razionalizzazione. L’istruzione è stata decisiva per la tecnologia, per la professionalizzazione,
per la colonizzazione. Il secondo è relativo alla capacità individuale di affrontare le sfide della
società, interiorizzando le richieste sociali e la realtà e controllando le emozioni. Questa è stata
l’idea principale alla base del concetto di Bildung, ossia della formazione di un cittadino autonomo
e capace, che è stato decisivo per stabilire diritti civili, istituzioni e cultura democratica, cultura
politica. Non sto dicendo che questi due aspetti siano separati. In un certo senso, l’uno è impossibile
senza l’altro e la scolarizzazione deve molto a questo intreccio, nonostante il fatto che l’industria
possa considerare la socializzazione generale come distante o addirittura improduttiva, benché
accettabile nel senso che ha fornito giovani “socializzati” in possesso di tecniche culturali di base.
Oggi la disseminazione della conoscenza è sempre meno legata a istruzione e formazione, per cui
gli interessi economici sono diventati impazienti nei confronti della scuola. E la socializzazione dei
diversi tipi di impegno che la mutevole vita lavorativa futura richiederà non può più essere lasciata
ad istituzioni isolate rispetto alla realtà del mondo del lavoro. Può sembrare ironico, ma è
abbastanza logico in un processo di modernizzazione guidato dal capitale: quando l’esigenza di
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sviluppare la competizione e l’impegno soggettivo raggiunge i limiti dell’educazione istituzionale,
allora la politica sull’istruzione è rimpiazzata da un altro programma.
La stessa espressione “società della conoscenza” sembra essere piuttosto ambigua, in quanto
“galleggia” tra due espressioni che si riferiscono alla stessa nuova fase della modernità: “economia
della conoscenza” e “società riflessiva”. La prima fa riferimento ad una nuova natura delle risorse e
delle relazioni economiche, in cui l’apprendimento e la conoscenza diventano dei momenti di
strutturazione piuttosto che di lavoro o di capitale, o di qualità decisive del lavoro e del capitale. La
seconda fa riferimento alla natura di pratiche che sono non solo post-tradizionali nel senso che ogni
individuo è libero di definire e decidere per sé, ma nel senso che l’azione e le relazioni sociali sono
mediate attraverso continue negoziazioni e riflessioni consapevoli. Fondamentalmente, c’è una
diversa prospettiva sulla conoscenza e sull’apprendimento costruita in queste due nozioni: la prima
ha a che fare con la conoscenza in quanto entità che può essere trasferita e acquisita. L’altra indica
che la conoscenza è performativa, è un processo di apprendimento permanente e collegato con le
azioni e le relazioni sociali dell’individuo. L’istruzione sembra poter tenere insieme questi due
significati: questo è stato, in un certo senso, il principio normativo dell’educazione come disciplina,
sia in relazione alla dimensione teorica che alla pratica. La società della conoscenza sembra
mantenere in vita questa idea dell’educazione, ma un esame delle sue dimensioni rivela quanto ciò
sia problematico.
In una società moderna fondata sul capitale, la conoscenza è progressivamente modificata.
Di conseguenza, l’apprendimento è sì necessario ai fini della crescita professionale e dell’aumento
di retribuzione, ma pertiene anche alla vita sociale e al tempo libero. Alcuni individui riescono ad
integrare nel proprio sviluppo personale e nella propria identità professionale la capacità di
trasferire e rigenerare conoscenza. La questione stimolante è se l’economia della conoscenza, in
parte esistente, in parte emergente, rinforzerà la continua modificazione della conoscenza e
dell’apprendimento o contribuirà allo sviluppo di una società riflessiva basata sulla conoscenza.
Si potrebbe affermare che la conoscenza e l’apprendimento siano risorse difficili da separare
dai processi di vita e dalle persone. In questo senso, l’economia della conoscenza che sta
emergendo, tende a distruggere il monopolio della conoscenza per integrarla in tutte le pratiche
sociali.
Questo
non
dipenderà
solo
dall’educazione,
come
indica
la
nuova
agenda
sull’apprendimento, ma anche dalla capacità dell’individuo di generare ed utilizzare la conoscenza
maturata con l’esperienza e gli interessi, e dalla capacità di comunità moderne e democratiche di
sviluppare esperienze collettive aggiornate e modi di partecipare a processi sociali globalizzati, nel
senso di realizzare una democrazia della conoscenza. La questione democratica è strettamente
collegata alla conoscenza e all’apprendimento in questa nuova società.
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La trasformazione della società dal punto di vista dell’Educazione
Questa breve descrizione di un contesto sociale che cambia sembra eliminare o intervenire a
fondo sull’argomento della nostra ricerca. Non sembrava così ovvio 6 o 7 anni fa, ma da allora le
cose sono cambiate rapidamente. Per ragioni positive e negative, si apprende in tutte le fasi e tutti
gli aspetti dell’esistenza e qualsiasi attività educativa deve essere intesa in questa ottica. Il sistema
scolastico di base, la formazione professionale, l’educazione permanente: niente di tutto ciò è
superfluo. Ma ne elencherò anche i limiti. Quando i risultati dell’educazione non sono implementati
nell’industria, allora l’integrazione tra istruzione e lavoro e l’apprendimento sul posto di lavoro
diventano questioni importanti. L’intreccio tra educazione e biografia non segue più le fasi di una
biografia
canonica
–
infanzia/scuola,
adolescenza/scuola
superiore,
età
adulta/lavoro,
vecchiaia/pensione – ma si evolve attraverso rotture e spostamenti, spesso indotti dall’esterno e
spesso esortando a nuovi apprendimenti.
Il fatto che l’alleanza moderna tra la modernizzazione capitalista e la democratizzazione sia
minacciata, rende la natura problematica della conoscenza ovvia. Ma al tempo stesso genera nuovo
potenziale creativo di conoscenza e apprendimento per gente ordinaria in situazioni ordinarie. Per il
nostro campo di ricerca, questo definisce un compito particolare: catalizzare i processi di
apprendimento che informano sulla costruzione delle dinamiche sociali a supporto dei programmi di
lifelong learning e al tempo stesso rilasciare energie, nuove azioni possibili e visioni utopistiche.
Indicare la qualità socialmente costruita della conoscenza e del nostro oggetto di ricerca
(istruzione e apprendimento) è solo un aspetto della complessità, e anche il fatto che la ricerca
sull’educazione co-costruisca il suo oggetto è abbastanza superficiale se non analizziamo più
dettagliatamente ciò che diventerà la società della conoscenza. Al tempo stesso, dobbiamo gettare
uno sguardo su una trasformazione storica che è stata appena accennata prima, e dirigere
l’attenzione al modo in cui gli educatori e i ricercatori del settore agiscono, si sentono e pensano.
Sono loro che hanno costruito l’oggetto. E, come aveva notato uno dei primi grandi costruttivisti
sociali, Karl Marx, “l’educatore stesso deve diventare educato”.
Nello stesso periodo in cui sono avvenute trasformazioni sociali nel campo dell’educazione,
abbiamo assistito a sfide fondamentali alla produzione della conoscenza, ivi inclusa la conoscenza
scientifica. Non solo l’oggetto è cambiato, è messo in discussione. Sono passati i giorni in cui
potevamo stabilire una semplice linea di ragionamento su cui generare conoscenza (ricerca) derivata
dalla qualità e dallo sviluppo dell’istruzione (oggetto di ricerca) che è formata dalle condizioni
esterne (società della conoscenza). La definizione e la concettualizzazione del settore di ricerca
deve essere concepita come un contributo al suo successivo sviluppo.
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Nel corso di una conferenza di qualche anno fa, posi la seguente domanda: “Se l’educazione
degli adulti è la risposta, qual era la domanda?” (Salling Olesen, 1997). Era all’interno di quattro
aree selezionate, in cui l’educazione degli adulti è stata applicata come il rimedio politico e sociale
per i problemi sociali (disoccupazione ed esclusione sociale). Sulla base di una ricerca condotta
all’epoca, ho affermato che questi problemi potevano essere risolti solo in parte con l’istruzione
formale. Ma, esaminando attentamente le persone coinvolte nelle diverse aree problematiche, la
ricerca poteva rivelare non solo il modo in cui le persone coinvolte percepivano i problemi, ma
anche le esperienze e le risorse per l’apprendimento che avrebbero potuto fornire un supporto
supplementare ai sistemi di istruzione tradizionali. Tuttavia, queste esperienze e risorse sono spesso
influenzate dalla partecipazione all’educazione. Intendevo dire che la ricerca nel campo
dell’educazione deve diventare una scienza sociale empirica con una struttura concettuale critica –
per dare una nuova base all’apprendimento e alla ricerca sull’educazione.
Potrebbe essere utile distinguere due processi, due aspetti del processo di modernizzazione
sociale che sono connessi, ma non identici:
•
la divisione e l’istituzionalizzazione delle pratiche educative
•
l’individuazione di un campo di ricerca e della definizione istituzionale dell’oggetto di
ricerca.
So che la distinzione può apparire meccanica, ma secondo la mia esperienza può aiutare a
catturare la dialettica del processo storico in cui apprendimento ed educazione sono diventati due
distinti ambiti di attività, e perciò anche di teoria e ricerca. Ma penso che al momento essi siano
interrelati in modo ancora più complesso rispetto al modo in cui “ricerca” e “oggetto di ricerca” di
solito sono collegati.
Nonostante il rapido sviluppo dell’agenda sulle politiche educative e sul tema
dell’apprendimento, il pensiero educativo non è ancora stato completamente coinvolto. Si potrebbe
dire che fino alla seconda guerra mondiale, la pedagogia consisteva in pratica pedagogica e pensiero
filosofico, poi, nel periodo successivo alla guerra, lo sviluppo simultaneo e interrelato del sistema
scolastico e della ricerca pedagogica è diventato visibile. Questa è la situazione della Danimarca:
Pratica pedagogica
Tematizzazione accademica
Anni 50
pratica abituale
pedagogia filosofica
Anni 60
insegnamento professionale
tecnologia dell’istruzione/psicologia
Anni 70
sperimentazione multipla
critica sociale e culturale
Anni 80
strategie di sviluppo
professionalizzazione
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Anni 90
gestione della scuola
postmodernismo/teoria dei sistemi
Nuovo secolo
??
??
Anche nel nuovo millennio, saranno necessari approcci alla ricerca che riflettano il processo
di apprendimento dal punto di vista di chi apprende, e che costituiscano delle opposizioni critiche
ad una pedagogia tecnica che si concentri sui metodi di insegnamento e sui contenuti. Potrebbero
formarsi sugli sviluppi della ricerca educativa dei millenni precedenti (cfr. Salling Olesen 1994,
1996; Borgnakke 1994), ad esempio riprendendo la prospettiva opposta, come la ricerca in classe, o
l’analisi critica dei risultati, ma questo è tutt’altro che sufficiente. Non si tratta solo di cambiare
collocazione (dalla scuola al posto di lavoro). Dobbiamo ancora includere le istituzioni educative
come importanti arene per l’apprendimento, con le loro qualità specifiche, ma dobbiamo cercare di
considerarle per il significato che hanno per chi apprende. Potreste vedere il lifelong learning e
alcune idee simili come una richiesta più ampia di sviluppare competenze che riflettano gli sviluppi
culturali della società, e indirettamente anche come un risultato dei limiti del sistema educativo
tradizionale. L’aspetto concettuale della materia – o delle materie - di apprendimento è
complementare alla critica nei confronti dell’istituzione, ma riflette anche le conseguenze del
processo di modernizzazione che dissolve i confini culturali e normativi, e lo riflette nel bene e nel
male - l’emergere dell’individuo nella società moderna (Salling Olesen/Weber 2002).
La formazione dei ricercatori del “lifelong learning” deve essere interdisciplinare
Il campo della ricerca in educazione è in una fase di sconvolgimento causata da cambiamenti della
società simboleggiati da termini quali “lifelong learning” e “ knowledge society” per cui il ruolo e
la natura dell’educazione e dell’apprendimento saranno drammaticamente accresciuti e rovesciati.
Tutto ciò pone una questione difficile ed ancora aperta. Non si tornerà indietro verso la disciplina
dell’educazione netta e ben definita a cui eravamo abituati. D’altra parte la formazione universitaria
è, tradizionalmente, istruzione su una disciplina. Come possiamo affrontare questa situazione?
Visto che il nucleo di questa formazione è di stampo accademico e basato sulle abilità e vista la
turbolenza della situazione, l’università deve occuparsi dell’identificazione delle radici dell’impresa
scientifica. Una parte sostanziale delle attività universitarie nel campo del “lifelong learning” è stata
dedicata allo studio di questioni teoriche e metodologiche di base, allo studio degli orientamenti
delle discussioni contemporanee e delle innovazioni nelle scienze umane e sociali, ed
all’identificazione di tradizioni accademiche che sembrassero più promettenti di altre rispetto al
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fornire una struttura riflessiva fondamentale e all’affrontare la realtà emergente in modo critico e
realistico.
Il termine SCUOLA non dovrebbe essere preso troppo letteralmente dato che non stiamo
insegnando molte abilità e conoscenze teoriche. Se tentassimo di delineare un master plan per
l’orientamento accademico non avremmo molto successo nel training dei ricercatori qualitativi e
nella promozione di un approccio critico generale. Per questo ci siamo astenuti deliberatamente
dalla costruzione di un curriculum. In effetti l’idea è più quella di fornire uno spazio sociale in cui
discutere delle questioni basilari della ricerca accademica, stimolati dalla letteratura e
dall’intervento di studiosi e dalle ricerche dei colleghi senior, il tutto in riferimento a specifici
progetti di ricerca degli studenti stessi. L’università è basata su un ambiente di ricerca sulla ricerca
educativa interdisciplinare, tale ambiente è stato coinvolto in tutti i tipi di riforma istituzionale nel
campo educativo e formativo, in ricerche al di fuori delle istituzioni educative ed in numerosi
sviluppi transdisciplinari metodologici e teorici.
La formazione universitaria è composta da molti fattori coincidenti e l’esito è sicuramente reso
vario dai contributi e dalle idee individuali. Nella tradizione liberale umanistica, inoltre, gli interessi
dei singoli studenti influiscono molto. Gli sviluppi complessivi, sia nelle politiche di indirizzo sia
nei cambiamenti profondi nella società e nel ruolo che in essa ha l’apprendimento, si riflettono ed
influenzano i progetti individuali degli studenti in vari modi, così come accade per gli indirizzi
dell’orientamento. Allo stato attuale lo spazio aperto spesso diventa un fattore stressante per
l’orientamento teorico e metodologico individuale, quindi non risulta essere ottimale ai fini della
discussione e della riflessione. Pressati da un limite temporale abbastanza stretto e dalle alte
aspettative degli altri e di sé stessi potrebbe essere più semplice impegnarsi in modo critico ed
aperto con teorie e metodologie all’interno di un contesto pubblico ben definito di una disciplina
piuttosto che nell’intero mercato aperto, come invece sembra essere il nostro destino. Resta il fatto
che è difficile riferirsi ad un qualsivoglia contesto disciplinare ben definito.
Di tanto in tanto mi definisco “educatore degli adulti” o “ricercatore in educazione degli adulti”
accettando l’aspettativa latente che la ricerca pedagogica nell’educazione e nell’apprendimento sia
strumentale rispetto all’insegnamento. Ma sto cercando qualcosa di meglio. Il termine ricerca
educativa tralascia alcune delle astrazioni e generalizzazioni di paradigmi di cui è invece carico il
termine pedagogia, ma neanche questo è un buon termine poiché sembra collegare il campo della
ricerca all’istituzione educativa..
Diverse discipline si propongono per definire l’apprendimento in modo nuovo: teoria
dell’organizzazione, management, informatica, sociologia industriale e psicologia del lavoro,
etnografia, linguistica e scienze cognitive, scienze politiche, teoria dei sistemi. Tutte sviluppano
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approcci all’apprendimento ed i nuovi fenomeni come le organizzazioni che apprendono, le regioni
che apprendono e le città che apprendono vagano solitari.
Tutto ciò, insieme ai vecchi discorsi derivati dall’educazione, dalla psicologia educativa, dalla
sociologia educativa, dalla filosofia educativa, dallo school management , dalle scienze didattiche,
dalle metodologie di insegnamento della seconda lingua ecc, contribuisce a rendere la situazione
ancora più caotica. Naturalmente la maggior parte di queste discipline ed approcci forniscono
ispirazione, esempi e metodi da includere nello sviluppo della ricerca sul lifelong learning ma
hanno bisogno di essere riconfigurati. Penso che la collaborazione con e l’apprendimento da
differenti discipline delle scienze sociali e culturali sia assolutamente necessario, così come appare
evidente dalle pratiche di ricerca. Ciò che non possiamo aspettarci è che la derivazione di una o più
discipline tra quelle esistenti possa fornire una valida e produttiva struttura per la ricerca sul lifelong
learning.
E’ molto difficile colmare l’abisso esistente tra la teorizzazione umanistica concernente la
soggettività, la coscienza ed il significato e la teorizzazione delle scienze sociali sulla struttura della
società e i contesti storici. Ad esempio i lavori di ricerca sull’apprendimento basato sul lavoro
(work based learning) mostrano che la maggior parte di questi nuovi approcci hanno dei limiti. I
sociologi industriali ed i teorici dell’organizzazione, infatti, concepiscono l’apprendimento in un
loro modo specifico , definito in relazione agli sviluppi o agli auspicabili cambiamenti di luoghi di
lavoro o organizzazioni. Essi non sono, però, sensibili agli aspetti culturali e della coscienza a meno
che questi non si materializzino in azione (resistenza o azione industriale) o istituzione. D’altro
canto gli approcci dell’analisi discorsiva nei confronti del significato e dell’apprendimento non sono
comprensivi dell’oggettività sociale e dei fatti storici. Per capire l’apprendimento, dunque, occorre
integrare l’applicazione di questi approcci con almeno uno specifico contesto sociale.
E’ necessario definire il campo della ricerca come un campo interdisciplinare tra scienze
umanistiche e sociali (Salling Olesen 2002).
Nelle università siamo stati perspicaci nell’attingere dalle tradizioni teoriche degli studi culturali,
studi di genere, studi postmodernisti e dalla teoria critica della Scuola di Francoforte che presta
attenzione critica alla comprensione del soggetto, alla costituzione storica delle idee e della cultura,
alle fondamenta socioeconomiche della cultura, alle relazioni di potere ecc.
In realtà, però, le nostre strategie più produttive possono ritrovarsi negli studi empirici critici. Un
certo numero di approcci orientati al campo e all’ermeneutica, volti alla comprensione di specifiche
persone e di specifiche circostanze pratiche, aiutano a comprendere la diversità dei processi di
apprendimento.
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Esempi empirici hanno dimostrato che le persone sviluppano forme di apprendimento ed autoregolazione talvolta più visionarie di quanto i sistemi educativi possano prevedere, per non
menzionare il fatto che il mercato del lavoro può non essere in grado di coprire completamente i
loro bisogni. Accanto all’enfatizzazione dei limiti dell’attuale politica e dell’attuale pensiero in
campo educativo, abbiamo voluto tracciare dei potenziali modi per comprendere e per agire che non
siano necessariamente articolati o coscientizzati dalle persone coinvolte. L’oggetto della
discussione era che questo tipo di ricerca interpretativa potrebbe scoprire la natura dei processi di
apprendimento individuale e collettivo che permettono di affrontare adeguatamente i problemi
strutturali della società e a cui , un tempo,doveva porre rimedio l’educazione .
In questo caso si trattava della ricerca di una posizione di ricerca democratica che potesse basarsi
sulle forze creative innate ed endogene all’interno del campo.
Espresso nella tradizione della teoria critica in cui gli studi empirici cercano i potenziali nascosti in
una
realtà
complessa
e
multipla:
”But if theory is no to fall prey to the dogmatism over whose discovery scepticism – now elevated
to a prohibition on thought – is always ready to rejoice, then theory may not rest here. It must
transform the concepts which it brings, as it were, from outside into those which the objects has
of itself, into what the object, left to itself, seeks to be, and confront it with what it is.” (Adorno,
1976, p69)
Nella ricerca la conseguenza immediata di questa analisi è la focalizzazione sulle persone in
situazioni di transizione, all’interno o all’esterno delle istituzioni educative, in modo da spostare la
prospettiva da un’educazione a cui essi partecipano e vederli, invece, come soggetti viventi, attori
che cercano di vivere la propria vita in mezzo ai contraddittori cambiamenti della società a cui i
politici e gli strateghi dell’educazione possono fare riferimento. Il lifelong learning è qualcosa che
emerge , non solo perché viene detto da persone di riferimento a livello internazionale e dai politici,
ma
anche perché è una necessità sentita da molte persone che vedono le possibilità date
dall’apprendimento. Naturalmente questo è solo uno dei possibili metodi ed approcci che deve,
comunque, lavorare e discutere insieme agli altri approcci.
Gli approcci empirici devono anticipare una realtà in cambiamento dove l’apprendimento diventa
un aspetto ancora più interessante della vita sociale. E devono anticipare e legare più strettamente
ricerca sull’apprendimento e nuovi sviluppi concettuali e teorici in discipline chiave come la
sociologia, la psicologia, l’etnografia ed altre. Penso che sia ovvio che i reali sviluppi innovativi
non hanno luogo necessariamente all’interno di aree disciplinari centrali, al contrario, gli sviluppi
di avanguardia sono legati a fondamentali riconfigurazioni dei campi di ricerca attraverso le
tradizioni disciplinari. Diversi progetti di ricerca indicano che gli approcci all’apprendimento Life
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History hanno molte sovrapposizioni con la ricerca biografica sociologica e la nostra ricerca
sull’apprendimento in situazioni di lavoro abbraccia differenti approcci quali la sociologia
industriale, le scienze politiche e dell’organizzazione - nello stesso momento in cui noi cerchiamo
di riconfigurale per specifiche problematiche di apprendimento.
Le sfide per la ricerca critica sul lifelon learning:
•
Rendere trasparente la trasformazione sociale della conoscenza e dell’apprendimento;
•
Sviluppare un nuovo concetto di apprendimento in cui la “Vita è curriculum”. Le relazioni
di genere possono servire come buon esempio per un curriculum che debba basarsi sia
all’interno che all’esterno della scuola;
•
Essere sensibili ai bisogni emergenti dell’apprendimento e agli sviluppi utopistici;
•
Connettere una prospettiva sociale esterna con le prospettive di coloro che apprendono e
dei professionisti del settore
La molteplicità insita nel campo del lifelong learning ci lascia con una esplosione anziché con una
disciplina. Il problema successivo è la definizione di alcune indicazioni di questa esplosione, al fine
di renderla più produttiva e gestibile. Radicato nelle priorità tematiche e negli effettivi gruppi dei
progetti di ricerca credo sia possibile identificare alcune direzioni strategiche per la ricerca
aiutando, nel contempo, la discussione sullo sviluppo dell’area di ricerca in generale.
Una di queste è in relazione alla ricerca sui soggetti che apprendono in quanto tali e non rispetto alle
loro capacità come “partecipanti” in programmi educativi o di formazione oppure rispetto alle loro
capacità come dipendenti in uno specifico contesto, esperti in operazioni tecniche o, ancora, rispetto
alla loro incapacità ad essere impiegati. Neanche rispetto alla loro capacità di essere cittadini in una
determinata area, o donne (Salling Olesen 2004). Uno dei nostri gruppi tematici, partito dalla
ricerca sull’infanzia e sui giovani, ha gradualmente e sempre più focalizzato l’attenzione sui
problemi della teorizzazione dell’identità e della soggettività, attingendo dalla ricerca di genere post
strutturalista, dalla ricerca culturale britannica e dalla sua sintesi con alcuni tipi di ispirazione
psicoanalitica. Molti dei progetti all’interno di questo gruppo trattano di genere, questioni etniche,
l’espressione culturale dei bambini e dei giovani. Sembra che il tentativo di definire l’infanzia e la
gioventù come delle arene prodotte dalla società, in cui gli individui hanno a che fare con la cultura
ed i processi di identità, abbia generato un’attività teorica che non riguarda direttamente
l’apprendimento ma alcune questioni basilari della soggettività. I progetti includono i problemi
etnici nelle scuole, la scelta dell’educazione superiore da parte degli immigranti, la cura
professionale dei bambini e le problematiche di genere, studi comparativi sulla cura dei bambini
ecc.
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Gli approcci sulle storie di vita formano uno specifico orientamento teorico e metodologico che a
volte ha un orientamento prioritariamente teorico ed in altri ha un’ispirazione metodologica più
limitata all’intervista biografica o alle interpretazioni delle storie di vita.
La situazione che ha causato da una parte l’interesse esplosivo verso l’educazione degli adulti
e la formazione e, dall’altra parte, l’idea che l’apprendimento possa aver luogo ovunque è
naturalmente anche una realtà soggettiva per tutti gli adulti, coscientemente
così come
incoscientemente, che sia definita come scelta strategica di vita o pratica specifica. Una parte
sostanziale dei progetti di ricerca all’interno dell’università si riferisce agli aspetti soggettivi
dell’apprendimento nella vita lavorativa. Essi includono progetti sulla natura di genere
dell’esperienza lavorativa, apprendimento in diverse professioni, identità e apprendimento
professionale in specifici gruppi professionali come bancari, impiegati d’ufficio, infermiere ecc.
casi in cui la pratica professionale ed il setting del luogo lavorativo formano il contesto ma
l’apprendimento viene ricercato nel contesto soggettivo.
Questi tentativi di capire ed evidenziare empiricamente gli aspetti soggettivi del lavoro, le pratiche
quotidiane, i rapporti politici e il corso della vita e delle carriere può servire non solo allo sviluppo
professionale ma anche alla comprensione generale. Penso che un punto critico sia rappresentato
dalla necessità di sviluppare paradigmi e metodi di ricerca così come strutture concettuali che si
occupino dei soggetti che apprendono nel loro pieno contesto nelle loro dinamiche storie di vita
partendo dalla carriera e dai problemi dell’apprendimento in situazioni lavorative.
Una seconda direzione strategica della ricerca potrebbe essere definita in relazione agli “importanti
campi della pratica”. Il luogo di lavoro, o la vita lavorativa, sono stati definiti più o meno come
l’arena dell’apprendimento lifelong dalla lobby industriale, ed in verità anche dai soggetti. Il modo
di definire il luogo di lavoro e di analizzare i bisogni di apprendimento così come gli ambienti di
apprendimento può essere contestato e può essere oggetto di dibattito sia empirico sia teorico. E’
molto di più di un dibattito educativo, dovrà spostarsi verso questioni di interessi politici ed
economici, verso i sindacati, l’organizzazione ed il management, tecnologie specifiche ed anche
problemi ambientali. Possiamo utilizzare molti dei nuovi impulsi provenienti dalle altre discipline
ma in molti casi essi dovranno essere rielaborati. La sociologia del lavoro o gli studi sul
management possono ugualmente servire come buoni esempi, anche se essi tendono a
concettualizzare il luogo di lavoro in modi diversi, talvolta opposti. I nostri esempi di ricerca
comprendono diverse ricerche in specifici contesti di vita lavorativa.
Ma questa non è l’unica arena importante dell’apprendimento e neanche quella sufficiente a
valutare gli obiettivi educativi. Tutte le arene dell’educazione politica e di comunità sono importanti
oggetti di ricerca ed importanti potenziali ambienti di apprendimento. Un recente progetto tratta
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l’attivismo politico e la partecipazione al movimento comunitario. E’ un progetto comparativo che
esamina il possibile ruolo di una specifica tradizione danese nell’impegno degli individui.
Infine la terza direzione strategica a cui darei priorità: l’investigazione critica della costituzione
della conoscenza nelle discipline e nei soggetti. La destrutturazione dell’ impegno nell’attività
professionale e dei giudizi parziali (nascosti o evidenti), delle ipotesi storiche e locali costruite
all’interno di concetti e di metodi e delle ipotesi normative che le definiscono come conoscenza
rilevante da apprendere. Questa direzione continuerebbe laddove le tradizionali discipline didattiche
in educazione si fermano e dove si concluderebbe la definizione degli scopi e le giustificazioni del
training in educazione. Si muoverebbe in un terreno tradizionalmente riservato alla filosofia e
all’epistemologia ma, allo stesso tempo, lo contestualizzerebbe legando il tradizionale interrogativo
sulla validità della conoscenza con le esperienze ed i bisogni di apprendimento dei potenziali
soggetti in un contesto specifico. In danese abbiamo il termine “critica del soggetto” che ha il
doppio significato di critica accademica e politica. Io penso che sia importante sottolineare anche
l’aspetto costruttivo della validazione della conoscenza in relazione ai soggetti che apprendono ed
ai contesti. All’interno dell’università un gruppo di attività si riferiscono all’apprendimento
professionale, alla conoscenza professionale ed alla costituzione delle professioni. Queste attività
trattano un ampio raggio di professioni dal pedagogista all’ufficiale militare, dalla ricostruzione
della professione dell’insegnante all’establishment manageriale degli ospedali. Questi tipi di ricerca
riflettono il modo in cui la conoscenza è radicata nelle relazioni e nei processi sociali, dove la
tecnologia, le istituzioni, le relazioni con i fruitori finali interagiscono con la conoscenza
disciplinare così come con le esperienze soggettive dei professionisti nello sviluppare la conoscenza
in uso.
Sintetizzando le future direzioni della ricerca: Teorizzare e ricercare in modo empirico i soggetti da
apprendere le più importanti arene dell’apprendimento ed esaminare criticamente la costituzione e
la validità dei corpi di conoscenze.
Molti progetti e temi di discussione all’interno dell’università contribuiscono a materializzare questi
sviluppi ma c’è ancora un lungo cammino da percorrere sulla via della concettualizzazione e del
coordinamento di casi concreti ed approcci per giungere alla definizione di un ambito di ricerca.
Comunque, pensiamo che questa sia la via più produttiva.
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