6 Il teatro alla moda1 o sia Metodo sicuro e facile per ben comporre ed esequire2 l’opere italiane in musica all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impresari, suonatori, ingegneri e pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose e altre persone appartenenti al teatro, dedicato dall’auttore del libro al compositore di esso. Pier Leone Ghezzi, Gaetano Latilla, 1739, disegno a penna, I-Rvat. 1 alla moda: fra le tante riprese del titolo, cfr. L’opera in commedia, divertimento comico-critico [in prosa] da recitarsi nel famosissimo teatro alla moda, Amsterdam [ma Venezia], Ercole Rom Sterk, [1726]; Il protettore alla moda, Venezia, San Moisè, 1747, e San Cassiano, 1749; Giovanni Fiorini-Gaetano Latilla, L’opera in prova alla moda e Continuazione del dramma intitolato «L’opera in prova alla moda», Venezia, San Moisè, 1751. 2 esequire: per la trascrizione dell’italiano, cfr. qui a pp. 71-73. 7 Stampato ne’ borghi3 di Belisania4 per Aldiviva5 Licante,6 all’insegna dell’orso7 in peata.8 Si vende nella strada9 del Corallo10 alla porta11 del palazzo12 d’Orlando.13 E si ristamperà ogn’anno con nuova aggiunta. Munus et officium, nil scribens ipse, docebo unde parentur opes.14 Horatius,15 Liber de arte poetica. 3 borghi: allusione a Caterina Borghi, cantante bolognese, oppure a Gaetano Borghi, tenore; cfr. Sergio Durante, Vizi privati e virtù pubbliche del polemista teatrale da Muratori a Marcello, in Benedetto Marcello. La sua opera e il suo tempo, a cura di Claudio Madricardo e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 1988, p. 23. 4 Belisania: allusione a Cecilia Belisani, cantante bolognese attiva dal 1716 e moglie del compositore Giuseppe Maria Buini dal 1721, oppure a suo padre Francesco Belisani, basso. 5 Aldiviva: anagramma di Vivaldi. 6 Licante: anagramma di Cantelli, cognome di Caterina Teresa e di Angelo Maria, cantanti bolognesi attivi insieme nel primo Settecento. 7 orso: allusione a Giovanni Orsatti, impresario dei teatri veneziani; cfr. qui a p. 11. 8 peata: barca da carico della laguna di Venezia; Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1856, s.v. (ristampa anastatica: Firenze, Giunti, 1993; d’ora in poi Boerio). 9 strada: allusione ad Anna Maria Strada del Po, interprete di Rosane in Giovanni PalazziAntonio Vivaldi, La verità in cimento, Venezia, Sant’Angelo, 1720. 10 Corallo: allusione ad Antonia Maria Laurenti Novelli, detta la Coralla, interprete en travesti di Melindo in La verità in cimento cit. 11 porta: allusione al compositore Giovanni Porta (1675-1755), autore di circa trenta opere per i teatri di Venezia, Roma, Londra e Monaco. 12 palazzo: allusione al librettista Giovanni Palazzi, autore di Armida al campo d’Egitto, Venezia, San Moisè, 1718, e della Verità in cimento cit., musicate da Vivaldi. 13 Orlando: allusione a Giuseppe Maria Orlandini (1676-1760), compositore fiorentino e accademico filarmonico di Bologna, oppure a Grazio Braccioli-Vivaldi, Orlando finto pazzo, Venezia, Sant’Angelo, novembre 1714, e a Braccioli-Vivaldi, Orlando furioso, Venezia, Sant’Angelo, dicembre 1714. 14 Munus… opes: Orazio, Ars poetica, 306-307: «Senza scrivere una riga di mio, insegnerò al poeta il suo compito e il suo dovere, dove si trovino gli strumenti». 15 Horatius: Quinto Orazio Flacco (Venosa 65 a.C.-Roma 8 a.C.). 8 L’auttore del libro al compositore di esso A voi, o mio dilettissimo compositore del libretto presente, questo mio libretto consacro. Imperciocché, se per vostro piacere e per sollevarvi dalle noiose cure, sì giocosa prosa in assai volgar frase (perché ben s’intenda) io dettai, giusto ben sia che a voi medesimo l’indirizzi, perché è cosa già vostra quando per mia comparisce. Voglio lusingarmi però che la presente operetta non sia per riuscire discara o di poco giovamento a chiunque de’ teatri è solito approfittarsi, essendo raccolte in essa molte delle più riguardevoli cose che importano a ben riuscire nelle moderne sceniche operazioni. Pure se contro di me si scopriranno de’ malevoli detrattori, spero che, in voi solo affidandomi, saprete ben persuaderli e placarli. So purtroppo (per dir da vero) che molti, a cui la correzzione sopra le mal fatte cose non piace, diranno che questa mia fatica è inutile e vana, chiamandomi altri sprezzatore della moderna virtù; ma (ciò seguendo) avremo parimente un piacere scambievole in vedendo risentirsi taluni, li quali, come colti nel commune difetto, crederanno che appostatamente per loro io a scrivere siami posto e voi di loro precisamente ridete. Frattanto, o indiviso mio amico, prendete a grado16 questo mio dono, come presentatovi da chi senza di voi non può vivere, e state sano, se non volete vedermi ammalato. Addio. A’ poeti In primo luogo non dovrà il poeta moderno aver letti né legger mai gli autori antichi, latini o greci. Imperciocché nemeno gli antichi greci o latini hanno mai letti i moderni. Non dovrà similmente professare cognizione veruna del metro e verso italiano, toltane qualche superficiale notizia che il verso si formi di sette o d’undeci sillabe,17 con la quale regola potrà poi comporne a capriccio di tre, di cinque, di nove, di tredici e di quindeci ancora. prendete a grado: gradite. sette… sillabe: i versi sciolti del recitativo ossia delle sezioni con intonazione sillabica, riservate 16 17 al dialogo o al monologo; il settenario ha l’accento sulla sesta sillaba, l’endecasillabo sulla decima e sulla quarta (a minore) o sesta (a maiore); i versi italiani, in base all’ictus finale, si distinguono in piani (accento sulla penultima sillaba), tronchi (accento sull’ultima), sdruccioli (accento sulla terzultima). 9 Dirà bensì d’aver corsi gli studi tutti di matematica, di pittura, di chimica, di medicina, di legge, ecc., protestando che finalmente il genio l’ha condotto con violenza alla poesia, non intendendo però il vario modo di ben accentare, rimare, ecc., ecc., non li termini poetici, non le favole, non l’istorie, ma introducendo anzi nell’opere sue per lo più qualche termine delle scienze sopracennate o d’altre che non abbiano punto che fare con la poetica istituzione. Chiamerà pertanto Dante,18 Petrarca,19 Ariosto,20 ecc. poeti oscuri, aspri e tediosi e, per conseguenza, nulla o poco imitabili. Sarà bensì provveduto di varie moderne poesie, dalle quali prenderà sentimenti, pensieri e gl’interi versi, chiamando il furto lodevole imitazione. Ricercherà il poeta moderno, prima di compor l’opera, una nota distinta dall’impresario della quantità e qualità delle scene ch’esso impresario desideri, per introdurle tutte nel dramma, avvertendo se vi entrassero apparati di sagrificio, 21 di Anton Maria Zanetti il Vecchio, Il nobilomo Zeno, disegno a penna, inchiostro bruno e acquerello, I-Vgc. Dante: ovviamente l’Alighieri (Firenze 1265-Ravenna 1321). Petrarca: ovviamente Francesco Petrarca (Arezzo 1304-Arquà 1374), autore degli imitatissimi 18 19 Rerum vulgarium fragmenta che comprendono 366 componimenti; fra le cosiddette tre corone fiorentine, canonizzate dall’Accademia della Crusca e da Pietro Bembo, qui manca Giovanni Boccaccio (Certaldo 1313-1375). 20 Ariosto: ovviamente Ludovico Ariosto (Reggio 1474-Ferrara 1533), autore del poema cavalleresco fonte di numerosi libretti, fra cui Orlando furioso cit. 21 apparati di sagrificio: scena tipica; Apostolo Zeno-Antonio Lotti, Teuzzone, Venezia, San Cassiano, 1706, III, 12: «Al sacrifizio illustre / stien le vittime pronte e pronto il ferro»; per i topoi del dramma musicale secentesco, cfr. Paolo Fabbri, Il secolo cantante, Bologna, Il Mulino, 1990. 10 cene,22 di cieli in terra23 o d’altro spettacolo, d’intendersi bene con gl’operari, cioè con quanti dialoghi, soliloqui, ariette, ecc. debba egli allungar le scene antecedenti, perché abbiano commodo di preparar ogni cosa,24 benché per ciò fare l’opera poi convenga snervarsi e s’attedi l’udienza sovverchiamente. Scriverà tutta l’opera senza formalizarsi azzione veruna della medesima, bensì componendola verso per verso, acciocché, non intendendosi mai l’intreccio dal popolo,25 stia questi con curiosità sino al fine. Avverta sopra ogni cosa il buon poeta moderno che siano fuori ben spesso tutti li personaggi senza proposito, quali poi ad uno ad uno dovranno partire cantando la solita canzonetta.26 Non ricercherà mai il poeta l’abilità degli attori ma piuttosto se l’impresario sarà provveduto di buon orso,27 di buon leone,28 di buon rossignolo,29 di buone 22 cene: la scena risolutiva del banchetto; Matteo Noris-Carlo Pallavicino, Licinio imperatore, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1683, III, 11: «Salone del banchetto»; per la sopravvivenza del topos, cfr. Metastasio, Achille in Sciro, Vienna, corte, 1736, II, 7, e ovviamente Da Ponte-Mozart, Il dissoluto punito, Praga, Nazionale, 1787, II, 15-17. 23 cieli in terra: per il deus ex machina che scende sulla terra o sale al cielo trasportato da una nuvola o da un carro, cfr. il finale di Alessandro Striggio-Claudio Monteverdi, L’Orfeo, Mantova, corte, 1607, tramandato dalla partitura a stampa (Venezia, Ricciardo Amadino, 1609) e diverso da quello del libretto. 24 commodo… cosa: con l’abbandono della scena fissa all’antica, le maestranze necessitavano di un tempo adeguato per preparare la mutazione a vista, eseguita durante la recita e accompagnata da brani vocali o strumentali. 25 popolo: il pubblico; Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, Utet, 1961-2002, s.v. (d’ora in poi Battaglia). 26 partire… canzonetta: l’aria eseguita alla fine della scena, prima di rientrare fra le quinte. 27 orso: Giovanni Faustini-Francesco Cavalli, La Calisto, Venezia, Sant’Aponal, 1651, I, 15: «Escono sei orsi dalla foresta e compongono il ballo»; Francesco de Lemene-Carlo Borzio, Il Narciso, Lodi, casa Lemene, 1676, p. 2, balli eseguiti da «un orso, quattro cacciatori»; cfr. qui a p. 8. 28 leone: l’aria di paragone; Orlando finto pazzo cit., III, 4: «Vedrai lione audace»; Zeno-Antonio Caldara, Ormisda, Vienna, corte, 1721, II, 7, e Antonio Maria Lucchini-Vivaldi, Farnace, Venezia, Sant’Angelo, 1727, I, 12: «Leon feroce / che avvinto freme / ma non si teme, / s’avvien che spezzi / cancelli e nodi, / i suoi custodi / tremar farà». 29 rossignolo: Giovanni Matteo Giannini-Carlo Francesco Pollarolo, Onorio in Roma, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1692, III, 6: «Usignoli che cantate / per amor di ramo in ramo»; Orlando furioso cit., II, 12: «Usignuolo lascia il duolo»; Luisa Bergalli-Porta, Agide re di Sparta, Venezia, San Moisè, 1725, II, 1: «Mira quell’usignolo / cui sta periglio inante»; l’usignolo non è l’unico volatile dell’aria; cfr. Antonio Marchi-Vivaldi, Il vinto trionfante del vincitore, Venezia, Sant’Angelo, 1717, II, 19: «Piange ancor la tortorella». 11 saette,30 terremoti,31 lampi,32 ecc. Introdurrà una scena magnifica e di curiosa apparenza in fine dell’opera perché il popolo non parta a mezzo, chiudendo con il solito coro33 in onore o del sole o della luna o dell’impresario. Dedicando il libro34 a qualche gran personaggio, cercherà che questi sia piuttosto ricco che dotto, patteggiando il terzo della dedica con qualche buon mediatore, sia poi cuoco o mastro di casa del soggetto medesimo. Ricercherà in primo luogo da questi la quantità e qualità de’ titoli co’ quali deve adornare il suo nome nel frontispizio, accrescendo poi detti titoli con ecc., ecc., ecc., ecc. Esalterà la famiglia e le glorie degli antenati, usando ben spesso nella epistola dedicatoria li termini di liberalità, animo generoso, ecc.; né trovando nel personaggio (siccome sovente accade) motivi di laude, dirà ch’egli tace per non offendere la di lui modestia ma che la Fama,35 con le sue cento sonore trombe, spargerà dall’uno all’altro polo il di lui nome immortale. Chiuderà finalmente con dire, per atto di profondissima venerazione, che bacia i salti de’ pulci de’ piedi de’ cani di sua eccellenza.36 saette: Zeno-Vivaldi, Teuzzone, Mantova, Arciducale, 1719, II, 11: «Empio duol che mi serpi nel seno, / scaglia pur la fatale saetta / a finire il mio acerbo dolor». 31 terremoti: Francesco Lazzari-Domenico Evangelisti, La cena di Baldassare, Città di Castello, [Illuminati?], 1673, II, 13: «Corrono i servi per prendere i vasi e subbito si sente un terremoto che gli fa cascare in terra»; cfr. anche l’intermezzo Farfalletta, Lirone, Terremoto, Vienna, corte, 1718; il terremoto sopravvive almeno fino all’aria della calunnia nel rossiniano Barbiere di Siviglia, Roma, Argentina, 1816, I, 12, quando scoppia «un tremuoto, un temporale». 32 lampi: Zeno-Francesco Gasparini, Sesostri re d’Egitto, Venezia, San Cassiano, 1709, II, 10: «Co’ lampi d’un diadema / amor la face accenda / e a te ne infiammi ’l cor. / Poi con fatal vicenda / di quel suo ciglio a’ lampi, / perché tu più ne avvampi, / la face accenda amor»; lampi e tuoni sopravvivono almeno fino al Barbiere cit., II, 8: «Segue istromentale esprimente un temporale. Dalla finestra di prospetto si vedono frequenti lampi e si ascolta il rumore del tuono». 33 solito coro: il «tutti» finale dell’opera. 34 libro: il libretto dell’opera. 35 Fama: personificazione della voce pubblica nella religione romana, spesso rappresentata come una donna alata nell’atto di suonare la tromba. 36 bacia… eccellenza: Noris-Giovanni Boretti, Marcello in Siracusa, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1670, pp. 3-8: «L’eroica impresa […] è ben ragione che resti appoggiata al merto sublime di vostra signoria illustrissima […]. Decantano ancora la Mosa e la Schelda la formidabil destra […]. Non tace il Tago […]. Racconta l’Arno […]. Non isdegni pertanto […] accoglier questo umilissimo parto della mia penna […] e qui mi dichiaro eternamente […] umilissimo, devotissimo e obligatissimo servitore»; cfr. la satira Le metamorfosi odiamorose in birba trionfale nelle gare 30 12 Sarà utilissima cosa al poeta moderno di fare una protesta a’ lettori ch’ha composto l’opera negl’anni più giovanili e, se potesse aggiugnervi d’aver ciò fatto in poche giornate (benché gli avesse lavorato intorno più anni), ciò appunto sarebbe da buon moderno, mostrando scostarsi affatto dall’antico precetto «nonumque prematur in annum»,37 ecc., ecc. In tal caso potrà dichiararsi ancora d’esser egli poeta per solo divertimento, a motivo di sollevarsi da occupazioni più gravi, ch’era lontano dal pubblicare la sua fatica; ma per consiglio d’amici e comando de’ padroni, s’è indotto a ciò fare, non mai per desiderio di lode o speranza di lucro. Di più, che la virtù insigne de’ rappresentanti, l’arte celebre del compositor della musica e la destrezza delle comparse e dell’orso correggeranno i difetti del dramma. Nella sposizione dell’argomento farà un lungo discorso intorno a’ precetti della tragedia e dell’arte poetica, riflettendo con Sofocle,38 Euripide,39 Aristotele,40 Orazio, ecc., aggiungendo Matteo Noris-Giovanni Boretti, infine che conviene il poeta corrente Marcello in Siracusa, abbandonar ogni buona regola per in- Venezia, San Giovanni e Paolo, 1670, contrar il genio del corrotto secolo, la antiporta di Giovanni Merlo. delle terre amanti, Venezia, San Samuele, 1732, dedica: «Dirò […] d’aver a voi consagrato il presente drammatico componimento per solo motivo di vederlo decorato dal vostro decantato, anzi trombeggiato illustre nome ed assistito dalla vostra colossica e più ch’erculea protezione». 37 nonumque… annum: Orazio, Ars poetica, 388: «E lo terrai chiuso nove anni». 38 Sofocle: Colono 496 a.C.-Atene 406 a.C. 39 Euripide: Atene 485 a.C.-Pella 407-406 a.C.; fra i grandi tragici manca Eschilo (Eleusi 525 a.C.-Gela 456 a.C.). 40 Aristotele: Stagira 384 a.C.-Calcide 322 a.C. 13 licenziosità del teatro, la stravaganza del maestro di capella, l’indiscretezza de’ musici, la delicatezza dell’orso, delle comparse, ecc. Avverta però di non trascurare la solita esplicazione degli tre punti importantissimi d’ogni dramma: il loco, il tempo e l’azzione.41 Significando il loco «nel tal teatro», il tempo «dalle due di notte42 alle sei», l’azzione «l’esterminio dell’impresario». Non importa che il soggetto dell’opera sia istorico, anzi, essendo state trattate tutte le storie greche e latine degli antichi latini e greci e da’ più scelti italiani del buon secolo, appartiene al poeta moderno l’inventare una favola fingendosi nella medesima risposte d’oracoli, naufragi reali,43 mali auguri di bovi arrostiti, 44 ecc., bastando solamente che sia alla notizia del popolo qualche nome istorico delle persone. Tutto il rimanente adunque sarà un’invenzione a capriccio, avvertendo sopra ogni cosa che i versi non siano che milledoicento incirca comprese le ariette. Per render poi all’opera maggior riputazione, cercherà il poeta moderno che il titolo sia piuttosto una principale azzione della medesima che il nome d’un personaggio; verbi gratia, invece d’Amadis,45 di Bovo,46 di Berta al campo,47 ecc., dirà L’ingratitudine generosa, I funerali per far vendetta, L’orso in peata,48 ecc. il loco… l’azzione: le cosiddette unità aristoteliche che nel Cinquecento divennero un canone. di notte: dopo il tramonto. 43 naufragi reali: Orlando furioso cit., I, 6: «Misero! Ahimé, che veggio! Un picciol legno / quasi da 41 42 l’onde assorto / vicino a naufragar. Stranier, fa’ core, / respingi pur l’onda nemica; in salvo / già lo vegg’io dal fìer Nettun irato». 44 mali… arrostiti: l’oracolo; Francesco Silvani-Vari, L’oracolo in sogno, Mantova, [corte?], 1699, e Venezia, Sant’Angelo, 1700; Zeno-Gasparini, Merope, Venezia, San Cassiano, 1711, I, 3: «Polifonte porge a Trasimede la risposta dell’oracolo»; ripreso da Vivaldi col titolo L’oracolo in Messenia, Venezia, Sant’Angelo, 1737. 45 Amadis: Amadigi di Gaula, l’eroe della letteratura cavalleresca nella penisola iberica, immortalato dal poema di Garci Rodríguez de Montalvo nel 1508 e dall’Amadigi di Bernardo Tasso nel 1560. 46 Bovo: Buovo d’Antona, cavaliere inglese, eroe di leggende e di romanzi dall’Islanda alla Russia; in Italia, cfr. Andrea da Barberino, I reali di Francia, IV-VI, Modena, Petrus Maufer de Maliferis, 1491, più volte ristampato; Goldoni, Buovo d’Antona, Venezia, San Moisè, 1759. 47 Berta al campo: per il matrimonio di Berta, ovvero Bertrade de Laon au Grand Pied, con Pipino I il Breve (Jupille 714-Saint Denis 768), cfr. Andrea da Barberino, I reali di Francia cit., VI, 2-17. 48 L’ingratitudine… peata: cfr. alcuni titoli di Silvani e Gasparini, fra cui Gli imenei stabiliti dal caso, Venezia, San Cassiano, 1702; Il miglior d’ogni amore per il peggiore d’ogni odio, Venezia, San Cassiano, 1703; La fede tradita e vendicata, Venezia, San Cassiano, 1704 (ripresa da Vivaldi, Venezia, Sant’Angelo, 1726); Alarico ovvero L’ingratitudine gastigata, Palermo, Santa Cecilia, 1705; cfr. anche Silvani- 14 Gli accidenti dell’opera saranno prigionie,49 stili, veleni,50 lettere,51 caccie d’orsi e di tori, terremoti, saette, sagrifizi, saldi,52 pazzie,53 ecc., imperciocché da tali impensate cose il popolo resta oltremodo commosso; e se mai si potesse introdurre una scena nella quale alcuni degli attori si mettessero a sedere e altri a dormire in un bosco o giardino, nel qual tempo gli venisse insidiata la vita e si risvegliassero (il che mai non s’è veduto sul teatro italiano),54 ciò sarebbe un toccare l’estremo della meraviglia. Nello stile del dramma non dovrà il poeta moderno porre molta fatica, riflettendo che dev’essere ascoltato ed inteso dalla moltitudine popolare, che però, ad effetto di renderlo più intelleggibile, ometterà li soliti articoli, userà gl’insoliti lunghi periodi, epittetando55 abbondantemente quando gli occorra compir qualche verso di recitativo o di canzonetta. Sarà provveduto poi di gran quantità d’opere vecchie, delle quali prenderà soggetto e scenario, né cambierà di questi che il verso e qualche nome de’ perMarco Antonio Ziani, Il duello d’amore e di vendetta, Venezia, San Salvador, 1700 (ripreso da Buini col titolo Gli sdegni cangiati in amore, Venezia, San Moisè, 1725). 49 prigionie: scena tipica; Adriano Morselli-Vivaldi, L’incoronazione di Dario, Venezia, Sant’Angelo, 1717, III, 12: «A me ceppi, a me catene»; cfr. Elena Povoledo, Carcere, in Enciclopedia dello spettacolo, Roma, Le Maschere, 1954-1962, s.v.; Angela Romagnoli, «Fra catene, fra stili e fra veleni...» ossia Della scena di prigione nell’opera italiana (1690-1724), Lucca, Lim, 1995. 50 stili, veleni: Zeno-Gasparini, Costantino, Venezia, San Cassiano, 1711: «Risolvi. Nel tuo labbro o nel tuo seno / la punisca quel ferro o quel veleno. (Torna la guardia e porta uno stilo ed il veleno)». 51 lettere: Zeno-Giuseppe Aldrovandini, Pirro, Venezia, Sant’Angelo, 1704, I, 10: «Ellenia con foglio in mano»; l’usanza sopravvive per esempio con due lettere in Metastasio, L’eroe cinese, Vienna, corte, 1762, I, 1, e II, 6. 52 saldi: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, Milano, Ricordi, 1956 (prima edizione Milano, Bottega di Poesia, 1927), p. 95: «Io inclino a credere che sia tutt’uno con quella persona forte e robusta presentata dal Nibbio [“sensale di opere in musica”] nella commedia del Goldoni L’impresario delle Smirne [III, 11, versione in prosa, 1760: “Questi sa far da orso. Quest’altro sa far da leone. E quest’altro, forte e robusto come vedete, è destinato per batter le mani”]»; il termine è ripetuto qui a p. 16 e in tutte le edizioni settecentesche descritte qui a pp. 73-78; per Boerio, s.v., Battaglia, s.v., e Lessicografia della Crusca (www.lessicografia.it), è l’atto di pareggiare i conti. 53 pazzie: Giulio Strozzi-Francesco Sacrati, La finta pazza, Venezia, Novissimo, 1641; Orlando finto pazzo cit. 54 dormire… italiano: Giovanni Francesco Busenello-Monteverdi, L’incoronazione di Poppea, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1643, II, 12: «Ottone travestito da Drusilla capita nel giardino dove sta addormentata Poppea per ucciderla e Amor lo vieta. Poppea nel fatto si sveglia»; cfr. qui a pp. 19, 51. 55 epittetando: aggiungendo attributi per riempire il verso; Battaglia, s.v. epiteto. 15 sonaggi, il che farà parimente nel trasportar drammi dalla lingua francese, dalla prosa al verso, dal tragico al comico, aggiungendo o levando personaggi secondo il bisogno dell’impresario.56 Farà gran brogli57 per compor opere, né potendo altro fare, si unirà con altro poeta,58 prestando il soggetto e verseggiandolo insieme con patto di partire il guadagno della dedica e della stampa. Non lascerà partire assolutamente il musico dalla scena senza la solita canzonetta, e particolarmente quando per accidente del dramma dovesse quegli andar a morire, ammazzarsi, bever veleno, ecc. Non leggerà mai tutta l’opera all’impresario, bensì gliene reciterà qualche scena interrottamente, e replicatamente quella del veleno o del sagrifizio o delle sedie59 o dell’orso o dei saldi, aggiungendo che se quella tal scena gli falla non occorre più compor opere. Avverta il buon poeta moderno di non intendersi punto di musica, imperciocché tale intelligenza era propria degli antichi poeti secondo Strabone,60 Plinio,61 Plutarco,62 ecc., li quali non separarono il poeta dal musico né ’l musico dal poeta, come furono Anfione,63 Filamone,64 Demodoco,65 Terpandro,66 ecc., ecc., ecc. Sarà… dell’impresario: allusione alla diffusa pratica del rifacimento; Domenico Lalli-Vivaldi, Ottone in villa, Vicenza, Garzerie, 1713, tratto da Francesco Maria Piccioli-Pallavicino, Messalina, Venezia, San Salvador, 1679. 57 brogli: maneggi, intrighi, raggiri per ottenere favori, lucro o pubblici uffici. 58 unirà… poeta: probabile riferimento alla collaborazione tra Zeno e Pietro Pariati per la stesura di alcuni libretti, fra cui Antioco (1705), Artaserse (1705), Ambleto (1706), Statira (1706), Anfitrione (1707), ecc. 59 delle sedie: scena in cui due personaggi discutono stando a sedere; Noris-Giacomo Antonio Perti, Nerone fatto Cesare, Venezia, San Salvador, 1693, I, 12: «Appartamenti […] con fugghe di camere e sedie […]. Si leva dalla sedia con impeto e va per scena come furente»; cfr. il dialogo fra Cleonice e Alceste, in Metastasio, Demetrio, Vienna, corte, 1731, II, 12. 60 Strabone: storico e geografo greco (Amasia, Ponto, 63 a.C. circa-24 d.C.). 61 Plinio: il naturalista Gaio Plinio Secondo detto il Vecchio (Como 23 d.C.-Stabia 79 d.C.). 62 Plutarco: biografo, scrittore e filosofo greco (Cheronea 46 o 48 d.C.-Delfi 125 o 127 d.C.); il dialogo De musica, tradizionalmente attribuito a lui, è apocrifo. 63 Anfione: figlio di Zeus e Antiope; costruì le mura di Tebe suonando la lira. 64 Filamone: poeta e drammaturgo siceliota (Siracusa 361 a.C.-Atene 263 a.C.). 65 Demodoco: aedo alla corte di Alcinoo nell’Odissea. 66 Terpandro: poeta e musico di Lesbo vissuto fra l’VIII e il VII secolo a.C. 56 16 L’ariette non dovranno aver relazione veruna al recitativo67 ma convien fare il possibile d’introdurre nelle medesime per lo più farfalletta,68 mossolino,69 rossignuolo, quagliotto,70 navicella,71 copanetto,72 gelsomino,73 violazotta,74 cavo rame,75 pignatella, tigre,76 leone, balena, gambaretto, dindiotto,77 capon freddo, ecc., ecc., ecc., imperciocché in tal maniera il poeta si fa conoscere buon filosofo, distinguendo co’ paragoni le proprietà degli animali, delle piante, de’ fiori, ecc. Prima che l’opera vada in scena dovrà il poeta lodar musici, musica, impresario, suonatori, comparse, ecc. Se l’opera poi non avesse felice incontro, dovrà esagerare contro gli attori che non la rappresentano conforme l’intenzione sua, perché non pensano che a cantare, contro il maestro di capella che non ha intesa la forza delle scene, non badando egli che a far l’ariette, contro l’impresario che per sovverchio risparmio l’ha posta in scena con poco decoro, contro suonatori 67 L’ariette… recitativo: specialmente l’aria di baule, cioè il pezzo favorito del virtuoso o quello di riserva del compositore, adattato e inserito in una partitura nuova. 68 farfalletta: Andrea Perrucci-Severo De Luca, L’Epaminonda, Napoli, corte, 1684, II, 6: «Farfalletta innamorata / spiega omai l’ardite piume»; Lalli-Vivaldi, Arsilda regina di Ponto, Venezia, Sant’Angelo, 1716, II, 12: «Son come farfalletta / che in mezzo a due facelle / dubbiosa errando va. / Ambe le sembran belle / e intanto semplicetta / arde di qua e di là»; Armida al campo d’Egitto cit., II, 4: «Farfalletta alla sua face / l’alma mia girando va […]. Farfalletta, dolce face / l’alma mia per te sarà»; Antonio Salvi-Vivaldi, Scanderbeg, Firenze, Pergola, 1718, II, 10: «Così ancor la farfalletta». 69 mossolino: moscerino; Boerio, s.v. mossolin. 70 quagliotto: il maschio della quaglia; Boerio, s.v. quagioto. 71 navicella: allusione all’aria di tempesta col «nocchiero» o col «legno» in pericolo; Orlando finto pazzo cit., III, 7 carticino: «Sventurata navicella / se mai giunge a naufragar, / teme sempre la procella / e lo scoglio in mezzo al mar»; Il vinto trionfante del vincitore cit., II, 6: «Ancor la navicella»; Teuzzone cit., I, 2: «Come suol la navicella / tra le Sirti e la procella»; Ormisda cit., I, 7: «Son da più venti / legno percosso». 72 copanetto: scialuppa, lancia; Battaglia e Boerio, s.v. copano. 73 gelsomino: Armida al campo d’Egitto cit., II, 11: «Talor il gelsomin piange nel prato […]. Così un amante cor piange il suo fato». 74 violazotta: viola mammola; Boerio, s.v. violazota. 75 cavo rame: paiolo, pentola; Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, VIII, 74, 1-2: «Così nel cavo rame umor, che bolle / per troppo foco, entro gorgoglia e fuma». 76 tigre: Marchi-Vivaldi, Artabano re de’ Parti, Venezia, San Moisè, 1718, II, 16: «Tigre spietata e fiera»; per un bestiario completo, cfr. Metastasio, Adriano in Siria, Vienna, corte, 1732, III, 5: «Orsa nel sen piagata, / serpe nel suol calcata, / leon che aprì gli artigli, / tigre che perda i figli / fiera così non è». 77 dindiotto: Boerio, s.v. dindio: «Pollo d’India o gallo d’India e gallinaccio e tacchino […]. Uccello domestico comunissimo». 17 e comparse tutti ogni sera ubbriacchi, ecc., protestando ancora ch’egli avea composto il dramma in altra maniera, che ha convenuto levare, aggiungere ad arbitrio di chi comanda, e particolarmente della incontentabile prima donna e dell’orso, che lo farà leggere nell’originale, che al presente appena lo riconosce per suo; e chi ciò non credesse lo dimandi alla serva o lavandara di casa che prima d’ogn’altro l’hanno letto e considerato, ecc. Nelle prove dell’opera non dirà mai l’intenzione sua a verun degli attori, rifflettendo saviamente che questi vogliono fare a modo loro ogni cosa. Se qualche personaggio per convenienza dell’opera fosse scarso di parte, gliene aggiungerà subito che ne ven-ga richiesto o dal virtuoso o dal di lui protettore, avendo sempre preparato qualche centinaio d’ariette per poter cambiare, aggiugnere, ecc., non trascurando di riempire il libro de’ soliti versi oziosi segnati con virgolette.78 Se si trovassero in una prigione marito e moglie, e che l’uno andasse a morire, dovrà indispensabilmente restar l’alApostolo Zeno-Marco Antonio Ziani, tro per cantar un’arietta, la quaOdoardo, Venezia, Sant’Angelo, 1699, antiporta (II, 1, Prigione con porta secreta). le dovrà essere d’allegre parole versi… virgolette: versi affiancati dalle virgolette, non musicati ma stampati ugualmente nel libretto. 78 18 per sollevar la mestizia del popolo e per fargli comprendere che le cose tutte sono da scherzo. Se due personaggi parlassero amorosamente, tramassero congiure, insidie, ecc., dovranno sempre ciò fare alla presenza de’ paggi79 e delle comparse. Occorrendo ad un personaggio di scrivere, farà il poeta portare un tavolino con sedia doppo cambiata la scena, quale farà parimente levare subito scritta la lettera, perché detto tavolino non debba mai supporsi addobbo del luogo dove si scrive. Lo stesso osserverà del trono, sedie, canapè,80 sedili d’erbe, ecc. Introdurrà nelle sale regie balli di giardinieri e ne’ boschi di cortigiani, avvertendo che il ballo di Piroo81 può intrar in sala, in cortile, in Persia,82 in Egitto,83 ecc. Nicolò Minato-Francesco Cavalli, Muzio Scevola, Venezia, San Salvador, 1665, antiporta di Pietro Liberi ed Elisabetta Piccini. paggi: ragazzini in veste di comparse; Nicolò Minato-Cavalli, Muzio Scevola, Venezia, San Salvador, 1665: «Cavallieri, soldati e paggi di Porsenna, paggi di Muzio Scevola, soldati e paggi di Publicola […], paggi d’Orazio, paggi di Clodio e di Varo»; cfr. qui a p. 56. 80 canapè: divanetto imbottito per più persone, con spalliera e braccioli, dal francese canapé e dal latino medievale canapeum, alterazione del classico conopeum. 81 ballo di Piroo: danza pirrica di guerra, eseguita anche con l’armatura e diffusa soprattutto a Sparta; successivamente divenne una pantomima imitante il combattimento; il nome deriverebbe dal suo inventore, lo spartano Pirrico, oppure dall’aggettivo pyrros ‘rosso’, il colore delle tuniche dei danzatori. 82 Persia: luogo dell’azione in Marchi-Vivaldi, La costanza trionfante degl’amori e degl’odi, Venezia, San Moisè, 1716. 83 Egitto: luogo dell’azione in Armida al campo d’Egitto cit. 79 19 In caso si accorgesse il poeta moderno che il musico pronuncia male, non dovrà però mai correggerlo, imperciocché ravvedendosi il virtuoso e parlando schietto potrebbe minorarsi l’esito de’ libretti. Ricercato84 da’ personaggi per qual parte debbano entrare, uscire, mover le braccia e come vestirsi, lascerà ch’entrino, escano, si movano e si vestano a modo loro.85 Se i metri dell’arie non piacessero al maestro di musica, gli cambierà subito, introducendo ancora nell’arie, a capriccio del medesimo, venti, tempeste, nebbie,86 sirocchi,87 greco levante,88 tramontana,89 ecc. Molte dell’arie dovranno esser lunghe a segno che alla metà di esse non si ricordi più del principio. L’opera dovrà rappresentarsi con soli sei personaggi,90 avvertendo che due o tre parti siano introdotte in maniera che occorrendo possano levarsi senza guastare l’intreccio del dramma. La parte di padre o di tiranno (quando sia la principale) dovrà sempre appoggiarsi a’ castrati,91 riserbando tenori e bassi per gli capitani di guardia, confidenti del re, pastori, messaggeri, ecc. Poeti di poco credito avranno tra l’anno impieghi forensi, fattorie, sopraintendenze economiche, copieranno foglietti, correggeranno stampe, diranno male l’uno dell’altro, ecc., ecc., ecc. Ricercato: richiesto, interrogato. per qual… loro: il poeta non aveva soltanto il compito di scrivere il libretto ma anche quello di 84 85 organizzare i movimenti scenici. 86 nebbie: Fulgenzio Maria Gualazzi-Tommaso Albinoni, Il prodigio dell’innocenza, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1695, II, 10: «Fragil fiore che spunta e languisce, / fiero stral che dall’arco sen passa, / fosca nebbia che sorge e sparisce, / lieve spuma che s’erge e s’abbassa, / fiore, stral, nebbia, spuma, il tutto è nulla». 87 sirocchi: scirocco, vento caldo proveniente da sud-est; prende il nome dalla Siria, la direzione da cui spira. 88 greco levante: vento che spira da est verso ovest, fresco e umido, portatore di nebbie e precipitazioni. 89 tramontana: vento freddo proveniente da nord. 90 sei personaggi: generalmente prima e seconda coppia, un padre o un sovrano e un confidente o un militare o un traditore. 91 castrati: a questa tessitura di soprano o contralto erano destinate le parti maschili della prima o della seconda coppia. 20 Anton Maria Zanetti il Vecchio, Cavaliere Nicolino [Grimaldi, celebre castrato, e Lucia Facchinelli detta] la Beccheretta, disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. Pretenderà il poeta un palchetto dall’impresario, metà del quale affitterà molti mesi prima che l’opera vada in scena e tutte le prime sere, riempiendo l’altra metà di maschere,92 quali condurrà franche di porta.93 Visiterà spesso la prima donna, imperciocché per ordinario dipende da questa l’esito dell’opera, buono o tristo ch’abbia a succedere, e a genio di questa regolerà il dramma, aggiungendo e levando parte a lei, all’orso o ad altri personaggi, ecc. Ma si guarderà di non dargli ad intendere cosa veruna dell’intreccio dell’opera, perché la virtuosa moderna non deve intenderne punto, informandone al più a parte la signora madre, padre, fratello o protettore della medesima. 92 maschere: spettatori mascherati; nel Settecento veneziano tutti portavano la maschera, compresi gli inservienti dei teatri, incaricati di verificare i biglietti e di accompagnare il pubblico ai posti; Battaglia, s.v. 93 franche di porta: esentate dal pagamento del biglietto. 21 Visiterà il maestro di capella, gli leggerà il dramma più volte, avvisandolo dove il recitativo deve andar lento, dove presto, dove appassionato, ecc., non dovendo rilevar il compositore moderno di musica veruna di tali cose, e gl’incaricherà poi nell’arie brevissimi ritornelli94 e passaggi95 (ma piuttosto molte repliche intere delle parole) perché meglio si goda la poesia. Farà cerimonie con suonatori, sarti, orso, paggi, comparse, ecc., raccomandando a tutti l’opera sua, ecc., ecc., ecc., ecc. A’ compositori di musica Non dovrà il moderno compositore di musica possedere notizia veruna delle regole di ben comporre, toltone qualche principio universale di pratica. Non comprenderà le musicali numeriche proporzioni,96 non l’ottimo effetto de’ movimenti contrari,97 non la mala relazione de’ tritoni98 e d’essacordi maggiori.99 Non saprà quali e quanti siano li modi overo tuoni, non come divisibili, non le proprietà de’ medesimi. Anzi sopra di ciò dirà non darsi che due soli tuoni,100 maggiore e minore, cioè maggiore quello ch’ha la terza maggiore e minore quello che l’ha minore, non rilevando propriamente ciò che dagli antichi per tuono maggiore e minore si comprendesse.101 Non distinguerà punto l’uno dall’altro li tre generi, diatonico, cromatico ed enarmonico,102 ma bensì confonderà tutte le corde di essi in una sola canzonetta a ritornelli: ripetizioni vocali o inserti strumentali. passaggi: ornamentazioni, diminuzioni, colorature; cfr. Francesco Rognoni, Selva de’ varii 94 95 passaggi secondo l’uso moderno, per cantare e suonare con ogni sorte de stromenti, Milano, Filippo Lomazzo, 1620, più volte ristampato. 96 musicali… proporzioni: i rapporti che determinano gli intervalli; cfr. tra gli altri, Gioseffo Zarlino, L’istituzioni armoniche, a cura di Silvia Urbani, Treviso, Diastema, 2011. 97 movimenti contrari: accorgimento contrappuntistico; se le voci non procedono in parallelo bensì allontanandosi o avvicinandosi fra loro, si ottiene un miglior andamento. 98 tritoni: intervalli di tre toni, molto sgradevoli (Fa-Si). 99 d’essacordi maggiori: seste maggiori, formate da quattro toni più un semitono maggiore. 100 tuoni: gli odierni modi. 101 tuono… comprendesse: secondo gli antichi, fra cui Pitagora e Didimo Musico, seguiti da Zarlino, l’intervallo di tono maggiore è individuato dal rapporto 9/8, il minore da 10/9. 102 diatonico… enarmonico: i generi greci, caratterizzati dall’ampiezza degli intervalli nel tetracordo; il diatonico, più antico e più diffuso, era costituito da due toni e un semitono; il cromatico da 22 capriccio per separarsi affatto dagli autori antichi con tale confusione moderna. Userà gli accidenti maggiori e minori103 a suo beneplacito, confondendo irregolarmente le segnature di essi. Si servirà parimente del segno enarmonico104 in luogo del cromatico,105 con dire che sono la medesima cosa, perché già l’uno e l’altro fa crescere un semituono minore, e in tal forma sarà ignaro affatto che il cromatico debba sempre trovarsi fra tuoni per quelli dividere e l’enarmonico solamente fra semituoni, essendo special proprietà dell’enarmonico il dividere li semituoni maggiori e non altro. Onde il maestro di capella moderno (come si è detto di sopra) deve essere intieramente all’oscuro di queste ed altre simili cose. A tal effetto pertanto saprà poco leggere, manco scrivere e per conseguenza non intenderà la lingua latina, contuttocché dovesse comporre per chiesa dove potrà introdurre sarabande, gighe, correnti,106 ecc., quali chiamerà poi fughe, canoni, contrapunti dopi,107 ecc. Passando poi a discorrere sopra il teatro, non s’intenderà il moderno maestro di musica punto di poesia, non distinguerà il senso dell’orazione, non le sillabe lunghe o brevi, non le forze di scena,108 ecc. Non rileverà parimente la proprietà d’istromenti d’arco o da fiato, quando sia egli suonatore di cembalo, e se il compositore suonasse stromenti d’arco non curerà punto d’intendere il clavicembalo, persuadendosi di poter compor bene all’uso moderno senza veruna pratica del medesimo. Non sarà mal fatto pertanto se il maestro moderno sarà stato molti anni suonator di violino o violetta109 e copista ancora di qualche celebre compositore, una terza minore e due semitoni; l’enarmonico da una terza maggiore e due quarti di tono; la posizione degli intervalli nel tetracordo distingueva i modi, dorico, frigio e lidio; ovviamente i moderni usano un solo genere, il diatonico, e due modi, maggiore e minore. 103 accidenti… minori: diesis e bemolli. 104 segno enarmonico: indica l’intervallo di un quarto di tono usato dai greci; cfr. qui a p. 102. 105 cromatico: il diesis che indica l’intervallo di semitono ascendente. 106 sarabande… correnti: danze della suite strumentale; la sarabanda ispanica è lenta e ternaria con accento sul secondo tempo; la giga britannica è veloce in tempo composto (6/8, 9/8, 12/8); la corrente franco-italiana è vivace e ternaria. 107 fughe… dopi: procedimenti a carattere imitativo, generalmente impiegati nella musica sacra. 108 forze di scena: Noris-Pietro Andrea Ziani, Attila, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1672, Leggitore: «Ho praticato nel comporlo i soliti sforzi d’equivoco e forze di scena, usate da pochi»; Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit., p. 98: rapporto d’importanza fra le scene. 109 violetta: nei secoli XVII e XVIII indica la viola oppure uno strumento ad arco, da braccio o 23 del quale conservi originali d’opere, di serenate, ecc., rubando da quelli e da altri ancora pensieri di ritornelli, sinfonie, arie, recitativi, follie,110 cori, ecc. Prima di ricevere l’opera dal poeta ordinerà al medesimo i metri e quantità de’ versi dell’arie, pregandolo inoltre che gliela faccia copiar di carattere intelliggibile, che non gli manchino punti, virgole, interrogativi, ecc., benché poi nel comporla non avrà riguardo veruno né a punti né a interrogativi né a virgole. Prima di metter mano nell’opera visiterà tutte le virtuose, alle quali esibirà di servirle a lor genio, cioè d’arie senza bassi, di furlanette,111 di rigadoni,112 ecc., il tutto con violini, orso e comparse all’unissono. Si guarderà poi di legger l’opera tutta per non confondersi, bensì la comporrà verso per verso, avvertendo ancora di far cambiar subito tutte l’arie, servendosi poi nelle medesime di motivi già preparati fra l’anno; e se le parole nuovamente di dette arie non andassero felicemente sotto le note (il che per lo più suole accadere) tormenterà di nuovo il poeta finché ne resti appien soddisfatto. Comporrà tutte l’arie con stromenti,113 avvertendo che ogni parte proceda con note o figure del valore medesimo, siano queste o crome o semicrome o biscrome, dovendosi piuttosto (per compor bene all’uso moderno) cercar lo strepito che l’armonia, la quale consiste principalmente nel diverso valore delle figure, parte legate, parte battute, ecc.; anzi, per schivare tale armonia non dovrà il compositore moderno servirsi d’altra legatura che (alla cadenza) della solita quarta e terza,114 nel che, se gli paresse ancora di dar troppo nell’antico, chiuderà l’arie con tutti gli stromenti all’unissono. Avverta poi che l’arie, sino al fine dell’opera, siano a vicenda una allegra e una patetica, senza aver riguardo veruno a parole, a tuoni, a convenienze di scena; se nell’arie vi entrassero nomi propri, verbi gratia padre, impero, amore, arena, regno, da gamba, che esegue una parte intermedia. 110 follie: la folia, danza portoghese che risale al XV secolo, usata nel Seicento per brani vocali o strumentali basati sulla variazione del basso; per esempio Vivaldi impiega la folia nella Sonata op. 1 n. 12 (1705). 111 furlanette: furlana, danza molto allegra in 6/8 o 6/4; di origine popolare, friulana o slava, tramite Venezia divenne di gran moda in tutta Italia e alla corte di Luigi XIV. 112 rigadoni: rigaudon, danza tradizionale francese diffusa dal XVII secolo, in tempo binario con movimento allegro. 113 arie con stromenti: accompagnate dall’intera orchestra e non dal solo basso continuo accordale. 114 legatura… terza: il ritardo dalla quarta (per esempio Fa) alla terza (Mi) per risolvere alla cadenza sull’accordo fondamentale (Do). 24 beltà, lena, core, ecc., ecc., no, senza, già e altri adverbi, dovrà il compositore moderno comporvi sopra un ben lungo passaggio, verbi gratia paaaa… impeeee… amoooo… areeee… reeee… beltaaaaa… lenaaaaa… cooooo…, ecc., noooo… seeeeen… giaaaaaa…, ecc. E ciò per allontanarsi dall’antico stile che non usava il passaggio su nomi propri o sopra adverbi, ma bensì sopra parole solamente significanti qualche passione o moto,115 verbi gratia tormento, affanno, canto, volar, cader, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Ne’ recitativi la modulazione sarà a capriccio, movendo il basso con la frequenza possibile, e composta ogni scena (quando sia egli maritato con virtuosa) la farà sentire alla moglie, se no al servitore, al copista, ecc., ecc., ecc., ecc. All’ariette tutte dovranno precedere ritornelli assai lunghi con violini unissoni, composti per ordinario di semicrome o biscrome, e questi si faranno suonar mezzi piano per rendergli più nuovi e men fastidiosi, avvertendo che l’arie che seguono con detti ritornelli non abbiano punto che fare. L’ariette poi dovranno procedere senza basso, e per sostenere il musico in tuono se gli farà accompagnar da’ violini all’unissono, facendo ancora in tal caso far qualche nota di basso alle violette, ma questo è ad libitum. Quando il musico è alla cadenza,116 farà il maestro di capella fermar tutti gli stromenti, lasciando l’arbitrio al virtuoso o virtuosa di trattenersi quanto gli piace. Non faticherà molto intorno a duetti o cori, quali ancora procurerà si levino dall’opera. Nel resto aggiongerà il maestro di capella moderno ch’egli compone cose di poco studio e con moltissimi errori per soddisfare all’udienza, condannando in tal forma il gusto dell’uditorio che veramente si compiace di ciò che sente talvolta, benché non buono, perché non gli vien fatto gustare il migliore. Servirà l’impresario a pochissimo prezzo, riflettendo alle molte migliaia di scudi117 che gli costano i virtuosi dell’opera, che però si contenterà di paga inferiore al più infimo di quelli, purché non gli venga fatto torto dall’orso e dalle comparse. 115 stile… moto: il cosiddetto madrigalismo, procedimento usato nella polifonia rinascimentale e nell’opera delle origini per delineare il significato di un termine poetico. 116 cadenza: qui indica un passaggio virtuosistico, scritto dal compositore o improvvisato dal cantante ed eseguito alla fine o prima della ripresa nell’aria in forma ABA’. 117 scudi: monete d’oro o d’argento che in origine recavano su una faccia lo scudo ossia lo stemma del principe o dello stato che le aveva emesse. 25 Camminando il compositore con virtuosi, particolarmente castrati, darà sempre loro la mano dritta,118 starà con cappello in mano un passo indietro, riflettendo che il più inferiore di questi è nell’opera per lo meno un generale, un capitano del re, della regina, ecc. Incalzerà e lenterà il tempo dell’arie a genio de’ virtuosi, dissimulando qualunque loro indiscretezza, col riflesso che la propria riputazione, credito e interesse sta in le lor mani, che perciò gli cambierà, occorrendo, arie, recitativi, diesis, bemolli, bequadri, ecc. Dovranno formarsi tutte le canzonette delle medesime cose, cioè di passaggi lunghissimi, di sincope,119 di semituoni, d’alterazioni di sillabe, di repliche di parole nulla significanti, verbi gratia amore amore, impero impero, Europa Europa, furori furori, orgoglio orgoglio, ecc., ecc., ecc., che però dovrà il compositore moderno per tal effetto, quando compone l’opera, aver sempre dinanzi agl’occhi una nota o inventario delle sopradette cose tutte, senza alcuna delle quali non terminerà mai arietta veruna, e ciò per sfuggire al possibile la varietà che non è più in uso. Terminato il recitativo in bemolle s’attaccherà subito un’aria con tre o quattro diesis obligati in chiave, ripigliando poi il seguente recitativo per bemolle, e ciò a titolo di novità.120 Dividerà parimente il maestro moderno il sentimento o significato delle parole, particolarmente nell’arie, facendo cantare al musico il primo verso (benché da sé solo nulla significhi) e poi introducendo un lungo ritornello di violini, violette, ecc., ecc. Avverta il maestro moderno, se dasse lezzione a qualche virtuosa dell’opera, d’incaricargli a pronunciar male e, per tal effetto, insegnargli gran quantità di spezzature e di passi, perché non s’intenda veruna parola e in tal maniera comparisca e sia meglio intesa la musica. Quando li violini suonano il basso senza cembali o contrabassi, non importa punto che le corde di detto basso (rispetto alla voce e all’istromento d’arco) coprano la parte che canta, il che suole accader per lo più nell’arie de’ contralti, tenori e bassi. mano dritta: il lato destro in segno di rispetto. sincope: plurale, spostamenti dell’accento ritmico. 120 Terminato… novità: a causa della distanza tonale tra bemolli (per esempio Fa maggiore con 118 119 uno) e diesis (La con tre), renderà incompatibile la cadenza finale del recitativo con l’incipit dell’aria che segue. 26 Dovrà il maestro di capella moderno ancora compor canzonette particolarmente in contralto o mezzosoprano, che i bassi accompagnino o suonino la medesima cosa all’ottava bassa e li violini all’ottava alta, scrivendo sulla partitura tutte le parti; e così s’intenderà di comporre a tre, benché l’arietta in sostanza sia d’una parte sola diversificata solamente per ottava in grave ed in acuto. Volendo il compositor moderno comporre a quattro, dovranno indispensabilmente due parti procedere all’unissono o per ottava, diversificando in ciò ancora l’andamento del motivo; verbi gratia se una parte cammina di semiminime o crome, l’altra proceda di semicrome o biscrome, ecc. Il basso di crome sarà chiamato dal maestro di capella moderno basso cromatico, imperciocché l’intelligenza del termine cromatico non gli conviene, avvertendo egli ancora (come si è detto di sopra) di non intendersi punto di poesia, imperciocché tale intelligenza parimente conveniva a’ musici antichi, cioè Pindaro,121 Arione,122 Orfeo,123 Esiodo,124 ecc., li quali, secondo Pausania,125 erano poeti eccellentissimi non meno che musici, e il moderno compositore deve usar ogni studio per allontanarsi da quelli, ecc. Alletterà il popolo con ariette accompagnate da stromenti pizzicati, sordini,126 trombe marine,127 piombè,128 ecc. Pindaro: poeta greco (Cinocefale 518 a.C.-Argo 438 a.C.), tra i maggiori esponenti della lirica 121 corale. Arione: Arione di Metimna o di Lesbo; citaredo greco che secondo Erodoto, Storie, I, 23-24, inventò il ditirambo, canto in onore di Dioniso. 123 Orfeo: cantore tracio, figlio di Apollo e protagonista di numerosi drammi per musica; disceso agli inferi, placò gli dei col suo canto e ottenne di ricondurre sulla terra la sposa morta Euridice, a condizione di non voltarsi mai a guardarla; ma infranse il divieto e la perse per sempre; morì dilaniato da uno stuolo di donne trace da lui respinte. 124 Esiodo: poeta didascalico (VIII sec. a.C.-VII sec. a.C.). 125 secondo Pausania: Pausania, Viaggio in Grecia, IX, 30; Pausania il Periegeta (110-180), scrittore e geografo greco di origine asiatica, è identificato anche con Pausania di Damasco, citato da Costantino Porfirogenito, e con un sofista vissuto a Roma. 126 sordini: violini piccoli e sottili, chiamati anche pochettes, usati dai maestri di danza e dai musicisti di strada. 127 trombe marine: strumenti ad arco usati dal XV al XVIII secolo, principalmente per rinforzare il basso continuo o per esibire un timbro particolare; il nome potrebbe derivare dalla deformazione di ‘tromba mariana’, in tedesco Nonnengeige ‘violino delle suore’, legato al culto; infatti molti esemplari provengono da antichi istituti religiosi femminili. 128 piombè: Boerio, s.v.: «Scacciapensieri, strumento d’acciaio […] spartito per lungo da una linguella elastica […] della quale, stuzzicandola con un dito, si trae suono». 122 27 Pretenderà il compositore moderno dall’impresario (oltre l’onorario) il regallo d’un poeta da potersene servire a suo modo; e subito composta l’opera la farà sentire ad amici che nulla intendano, con l’opinione de’ quali regolerà ritornelli, passaggi, appoggiature,129 diesis enarmonici, bemolli cromatici, ecc. Avverta il moderno compositore di non trascurare il solito recitativo sopra cromatici130 o con stromenti, obbligando perciò il poeta (regalatogli come sopra dall’impresario) a fargli una scena di sagrificio, di pazzia, prigione, ecc. Non farà mai arie con basso solo obbligato,131 riflettendo ch’oltre ciò non essere più in costume, nel tempo che v’impiegasse può comporne una dozzina con gli stromenti. Volendosi poi comporre qualche aria con bassi, dovranno questi formarsi di due o tre note al più, ribattute o legate in guisa di pedale,132 avvertendo sopra ogni cosa che tutte le seconde parti siano di roba vecchia. Se l’impresario poi si lamentasse della musica, protesterà il compositore che ciò fa a torto, avendo posto egli nell’opera un terzo di note più del solito e impiegatevi quasi cinquant’ore in comporla. Se qualche aria non piacesse alle virtuose o lor protettori, dirà che conviene sentirla in teatro con gli stromenti, con gli abiti, co’ lumi, con le comparse, ecc. Dovrà il maestro di capella, terminato ogni ritornello, far cenno133 con la testa a’ virtuosi perch’entrino a tempo, imperciocché non potranno essi saperlo mai per la solita lunghezza e variazione del ritornello medesimo. Alcune arie si comporranno in stile di basso, benché servano a contralti e soprani. Obbligherà il maestro moderno l’impresario a fargli una grossa orchestra di violini, oboè, corni, ecc., risparmiandogli piuttosto la spesa ne’ contrabassi, non dovendo egli di questi servirsene che nell’accordar da principio. appoggiature: ornamenti eseguiti intonando una nota sopra o sotto a quella principale e producendo una momentanea dissonanza. 130 sopra cromatici: il declamato della scena patetica o lamentosa, accompagnato da un tetracordo cromatico discendente, ripetuto nel cosiddetto basso ostinato. 131 basso solo obbligato: la parte del clavicembalo scritta per intero, a differenza del continuo. 132 pedale: termine derivato dalla tecnica di tenere a lungo un suono nella pedaliera dell’organo; indica una nota ripetuta o prolungata, in genere la tonica o la dominante, preferibilmente nella parte del basso. 133 far cenno: non esistendo il direttore d’orchestra, il maestro al cembalo dava l’attacco ai cantanti. 129 28 La sinfonia consisterà in un tempo francese o prestissimo di semicrome in tuono con terza maggiore, al quale dovrà succedere al solito un piano del medesimo tuono in terza minore, chiudendo finalmente con minuetto,134 gavotta135 o giga nuovamente in terza maggiore, e sfuggendo in tal forma fughe, legature, soggetti,136 ecc., come cose antiche fuori affatto del moderno costume. Procurerà il maestro di capella che l’arie migliori tocchino sempre alla prima donna, e dovendosi abbreviar l’opera, non permetterà che si levino arie o ritornelli ma piuttosto scene intere di recitativo, dell’orso e de’ terremoti, ecc. Se la seconda donna si lamentasse nella parte d’aver manco note della prima, procurerà consolarla, ragguagliandone il numero con passaggi nell’arie, appoggiature, passi di buon gusto, ecc., ecc., ecc. Si servirà il maestro di capella moderno d’arie vecchie composte in altri paesi, facendo profondissime riverenze a’ protettori di virtuose, dilettanti di musica, affittascagni,137 comparse, operari, ecc., raccomandandosi a tutti. Dovendo cambiar canzonette non le cambierà mai in meglio, e qualunque arietta che non incontri dirà esser l’aria del maestro ma ch’è strapazzata da’ musici, non intesa dal popolo, ecc., avvertendo di smorzare i lumi che tiene al cembalo nell’arie senza basso per riscaldarsi manco la testa, riaccendendole a’ recitativi. Sarà il compositore moderno attentissimo con tutte le virtuose dell’opera, regalandogli cantate vecchie e trasportate secondo le voci loro, aggiungendo ad ognuna che l’opera sta in piedi per la di lei virtù, e lo stesso dirà ad ogni musico, ad ogni suonatore, ad ogni comparsa, orso, terremoto, ecc. Condurrà ogni sera maschere franche di porta, quali farà sedersi appresso in orchestra, licenziando alcune volte il violoncello o contrabasso per commodo delle medesime. Tutti li maestri di capella moderni faranno porre sotto il nome degli attori le parole seguenti: «La musica è del sempre arciceleberrimo138 signor N.N., maestro di capella, di concerti, di camera, di ballo, di scherma», ecc., ecc., ecc., ecc. minuetto: danza ternaria moderata di origine francese, diffusa dalla metà del XVII secolo. gavotta: danza binaria di origine francese. 136 fughe… soggetti: procedimenti imitativi, ritardi della nota reale, temi da sviluppare, tutti ele134 135 menti dello stile severo e contrappuntistico. 137 affittascagni: coloro che fornivano uno scomodo sedile al pubblico della platea. 138 La musica… arciceleberrimo: Armida al campo d’Egitto cit., p. 7: «La musica è del sempre celebre maestro signor don Antonio Vivaldi». 29 A’ musici Non dovrà il virtuoso moderno aver solfeggiato139 né mai solfeggiare per non cader nel pericolo di fermar la voce,140 d’intonar giusto, d’andar a tempo, ecc., essendo tali cose fuori affatto del moderno costume. Non è molto necessario che il virtuoso sappia leggere o scrivere, che pronunzi ben le vocali, ch’esprima le consonanti semplici o replicate, che intenda il sentimento delle parole, ecc., ma bensì che confonda sensi, lettere, sillabe, ecc., per far passi di buon gusto, trilli,141 appoggiature, cadenze lunghissime, ecc., ecc., ecc. Dovrà il virtuoso proccurar sempre la prima parte, ecc., facendo con l’impresario scrittura d’un terzo di più dell’onorario già convenuto a titolo di riputazione. Se potesse avvezzarsi a dire che non è in voce, che non canta mai, ch’è tormentato da flussione,142 dolor di capo, di denti, di stomaco, ecc., ciò sarebbe da buon virtuoso moderno. Si lamenterà sempre della parte, dicendo che quello non è il suo fare riguardo all’azzione, che l’arie non sono per la sua abilità, ecc., cantando in tal caso qualche arietta d’altro compositore, protestando che questa alla tal corte appresso il tale gran personaggio (non tocca a lui dirlo) portava tutto l’applauso e gli è stata fatta replicare fino a diecisette volte per sera. Canterà piano alle prove e nell’arie farà sempre la battuta a suo modo. Nelle prove in teatro starà per lo più con una mano nel giustacuore143 con l’altra in scarsella, avvertendo sopra ogni cosa che nelle messe di voce144 non s’intenda pure una sillaba. Starà sempre col cappello in testa, ancorché qualche personaggio di qualità seco parlasse, a motivo di non raffreddarsi, e salutando alcuno non abbasserà mai il capo, riflettendo ch’egli rappresenta principi, re, imperadori, ecc. solfeggiato: l’esercizio del solfeggio cantato, voce composta dalle note Sol e Fa. fermar la voce: rispettare le pause. 141 trilli: detti anche tremoli; ornamentazioni ottenute ribattendo una singola nota o alternan139 140 dola con quella vicina. 142 flussione: nella terminologia medica dell’epoca, indica il versamento di uno dei quattro umori (bile nera, bile gialla, flegma, sangue) in una parte qualsiasi del corpo. 143 giustacuore: dal francese justaucorps ‘aderente’, indumento maschile in uso nel Sei-Settecento; in origine indica una sopravveste stretta, poi una casacca lunga fino al ginocchio, spesso ricamata. 144 messe di voce: emissione vocale che consiste nel graduale crescendo e decrescendo di una singola nota di durata relativamente lunga. 30 Canterà nel teatro con la bocca socchiusa, co’ denti stretti; insomma farà il possibile perché non s’intenda né pure una parola di ciò che dice, avvertendo ne’ recitativi di non fermarsi né a punti né a virgole, ed essendo in scena con altro personaggio, fino che quegli parla seco per convenienza del dramma o canta un’arietta, saluterà le maschere ne’ palchetti, sorriderà co’ suonatori, con le comparse, ecc., perché il popolo chiaramente comprenda esser egli il signor Alipio Forconi145 musico, non il principe Zoroastro146 che rappresenta. Sino a tanto si fa il ritornello dell’arie, si ritirerà il virtuoso verso le scene, prenderà tabacco,147 dirà agli amici che non è in voce, ch’è raffreddato, ecc., e cantando poi l’aria avverta bene che alla cadenza potrà fermarsi quanto gli pare, componendovi sopra passi e belle maniere148 ad arbitrio, che già il maestro di capella in quel tempo alzerà le mani dal cembalo e prenderà tabacco per attender il di lui commodo. Dovrà parimente in tal caso ripigliar fiato più d’una volta prima di chiudere con un trillo, quale studierà di battere velocissimamente a principio senza prepararlo con messa di voci e ricercando tutte le corde possibili dell’acuto. Farà l’azzione a capriccio, imperciocché non dovendo il virtuoso moderno intender punto il sentimento delle parole, non deve formalizarsi veruna attitudine o movimento, e onorerà sempre per la parte ch’entra la prima donna o verso il palchetto de’ musici. Tornando da capo149 cambierà tutta l’aria a suo modo e quantunque il cambiamento non abbia punto che fare col basso o con li violini e convenga alterare il Alipio Forconi: prenome di un santo raffigurato a San Marco; Boerio, s.v. Alipio: «Sior Alipio […] si sente non di rado in bocca della bassa gente per motteggiare altrui, nel significato di stolido, insulso, stivale, scipito e simili, o quando alcuno stia lì impalato come un cero senza far nulla o senza sapere che si dire»; Boerio, s.v. forca: «Detto per aggettivo a uomo […] ‘astuto’ […] ‘capestro’». 146 Zoroastro: re della Battriana, una regione dell’Asia anteriore, in parte corrispondente all’attuale Afghanistan; personaggio di Silvani-Pollarolo, Semiramide, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1714. 147 tabacco: ricavato dalla foglia di un’erbacea annuale che produce la nicotina; coltivata in origine sull’altipiano centroamericano e nel Messico meridionale, la pianta si diffuse in Europa dal 1570; Nicolás Monardes, La historia medicinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales, Sevilla, Alonso Escrivano, 1571, più volte ristampato a Venezia, consiglia il tabacco per curare molti disturbi, fra cui l’asma e il mal di denti. 148 belle maniere: abbellimenti della linea vocale. 149 da capo: la sezione A’ dell’aria in forma ABA’, in cui le variazioni rispetto ad A sono affidate all’abilità del cantante. 145 31 tempo, ciò non importa, perché già (come si è detto di sopra) il compositor della musica è rassegnato. Se il virtuoso rappresentasse una parte di prigioniero, di schiavo, ecc., dovrà comparire ben incipriato con abito ben carico di gioie, cimiero altissimo, spada e catene ben lunghe e rilucenti, battendole e ribattendole frequentemente per indurre il popolo a compassione, ecc. Cercherà protezzione di qualche gran personaggio per potersi contrasegnare sul libro virtuoso di corte, di camera, di campagna, ecc. del tal signore.150 Se l’impresario fosse di poco credito, pretenderà pieggiaria,151 viaggi e spese, ma non potendo ciò conseguire canterà nulla di meno, prendendo a conto biglietti, affitti di palchi, speranze, riverenze, ecc. Anderà difficilmente il virtuoso moderno a cantare a veruna conversazione, dove però capitando si affacierà tosto allo specchio, accommodandosi la perucca, stirando li manichetti,152 alzando il fazzoletto da collo perché si veda il solito bottone di diamanti, ecc. Toccherà poi il cembalo con svogliatezza e cantando a memoria ricomincierà più volte come se non potesse; e terminato il favore si porrà a discorrere (a motivo di cogliere applausi) con qualche signora, narrandogli accidenti di viaggi, corrispondenze e maneggi politici, ecc., disputando poi sopra il genio, sospirando con occhiate di qualche passione e gettandosi incessantemente un groppo o l’altro della perucca dopo le spalle. Presenterà alla signora tabacco ogni momento con diversa scattola (nella quale farà vedere il proprio ritratto), mosterà gran diamante intagliato minutamente di passaggi, cadenze, trilli e con qualche scena di forza,153 sonetti, orsi uccisi, ecc., ecc., quale dirà esser stato fatto virtuoso… signore: [Pietro Giorgio Barziza]-Pollarolo, Il Germanico, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1716, personaggi: Momoletto Albertini «primo virtuoso di sua altezza serenissima il prencipe Carlo, langravio d’Assia», Annibale Pio Fabri «virtuoso di sua altezza serenissima il prencipe Felippo, langravio d’Assia»; per le donne, cfr. Armida al campo d’Egitto cit., personaggi: Antonia Merighi «virtuosa di sua altezza serenissima la gran principessa Violante vedova di Toscana», Rosa Venturini «virtuosa di camera di sua altezza serenissima il signor principe Antonio Farnese di Parma». 151 pieggiaria: garanzia; Battaglia, s.v. pieggeria. 152 manichetti: risvolti, polsini inamidati della camicia maschile. 153 scena di forza: scena madre che contiene «qualche violento ed insolito impegno di passioni contrarie o […] qualche incontro ed avvenimento non aspettato dagli uditori»; Pier Iacopo Martello, Della tragedia antica e moderna, Roma, Francesco Gonzaga, 1715, p. 179; edizione moderna in Scritti critici e satirici, a cura di Hannibal S. Noce, Bari, Laterza, 1963. 150 32 lavorare da protettore cospicuo, aggiungendo che non lo esibisce a lei per non fargli torto, ecc., ecc., ecc., ecc. Passeggiando il virtuoso moderno con qualunque gran letterato non gli darà mai la man dritta, riflettendo che appresso la maggior parte degli uomini il musico è in credito di virtuoso e ’l letterato d’uomo commune; anzi persuaderà egli il letterato, sia filosofo, poeta, matematico, medico, oratore, ecc., a volersi far musico, considerandogli seriamente che a’ musici (oltre la gran dignità nella quale sono) non mancano mai denari e i letterati per lo più si muoiono dalla fame. Se il virtuoso fosse solito far parte da donna,154 porterà sempre sulla vita un bustino con adosso nei, rossetto, specchietto, ecc., facendosi la barba due volte il giorno. Pretenderà il virtuoso moderno l’onorario di somma rilevantissima a riguardo di doversi mantener tutto l’anno da capitano o general con suo esercito, da principe, re o imperadore con sua corte, ministri, segretari, consiglieri, ecc., dando generosamente guanti, scarpe, calzette dell’opera al servidore ch’avrà con sé, e tanto più se gli fosse qualche poco parente; il servidore poi, fino che il virtuoso parla con l’impresario, si ritirerà con qualche suggeridore o suonadore o pittor di scene, narrandogli cose grandi dell’incontro del signor Alipio suo, aggiungendo che l’interesse dell’impresario sarebbe di fermarlo ad occhi chiusi, che non ha mai fallato in luogo veruno, ch’è instancabile alle fatiche, che mai si raffredda, che ha trilli e cadenze novissime, ecc., ecc. Se il musico fosse tenore o basso, potrà servirsi parimente di tutti gli avvertimenti dati di sopra, aggiungendo che il basso cantando deve tenoreggiare con passi e corde acutissime e il tenore deve scendere al possibile nelle corde del basso, ascendendo però col falsetto fino al contralto, nulla importando che per ciò fare la voce sia di naso o di gola. Tenori e bassi sapranno per lo più comporre e nell’opere vecchie si faranno l’arie, battendole in scena con la mano e col piede. Se il virtuoso fosse contralto o soprano, avrà qualche buon amico che parli a suo favore nelle conversazioni, che lo dichiari (a gloria della verità) di civile e onorata famiglia,155 aggiungendo che a motivo di pericolosissima infermità ha convenuto soccombere all’incisione; peraltro ch’ha un fratello lettore di filosofia, 154 parte da donna: spesso i personaggi femminili erano interpretati dai castrati, soprattutto nello stato pontificio. 155 onorata famiglia: generalmente si castravano invece i non abbienti con una bella voce. 33 un altro medico, una sorella monaca da officio,156 un’altra maritata in un cittadino, ecc., ecc., ecc. Facendo il virtuoso moderno duello e restando ferito in un braccio, farà l’azzione ancora col braccio ferito e dovendo bever veleno, canterà l’aria con la tazza in mano, voltandola e rivoltandola, perché già è vuota. Avrà alcuni movimenti particolari, o di mano o di ginocchio o di piede, de’ quali si servirà a vicenda in tutta l’opera l’un dopo l’altro fin al fine della medesima. Sbagliando un’aria più d’una volta o che non avesse applauso, dirà che non è aria per teatro, che non si può cantare, ecc., pretendendo che si muti con dire che in teatro li musici, e non il maestro di capella, devono comparire. Farà la corte a tutte le virtuose e lor protettori, non disperando per mezzo della virtù e della solita esemplar modestia di conseguire titoli di conte, marchese, cavaliere, ecc., ecc., ecc. Alle cantatrici In primo luogo dovrà la virtuosa moderna incominciare a recitar sul teatro prima di toccar gli anni tredici,157 nel qual tempo non dovrà saper molto leggere, non essendo ciò necessario alle virtuose correnti; per tal effetto dovrà ben tenere a memoria alcune arie vecchie d’opera, minuetti, cantate, ecc., facendosi sempre sentire con le medesime, e non avrà mai solfeggiato né solfeggierà mai, per non cader ne’ pericoli detti di sopra al virtuoso moderno. Dovrà, quando venga ricercata dall’impresario per via di lettere, non risponder subito e nelle prime risposte significargli non poter risolvere così presto, avendo altre istanze (benché non sia vero) e risolvendo poi, pretenderà sempre la prima parte. monaca da officio: suora che ha preso gli ordini, a differenza della conversa. anni tredici: generalmente i cantanti, maschi e femmine, debuttavano in tenera età; per esem- 156 157 pio Agostino Steffani (1654-1728) esordisce in teatro a undici anni, interpretando un ruolo infantile, in Giacomo Dall’Angelo-Pallavicino, Demetrio, Venezia, San Moisè, 1666; cfr. Colin Timms, Polimath of the Baroque. Agostino Steffani and his music, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 7; Goldoni, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, Venezia, San Moisè, 1749, personaggi: «La signora [Anna] Bassani d’anni otto». 34 Quando però non sortisca alla virtuosa di ciò conseguire, si accorderà nonostante per la seconda, terza e per la quarta ancora, facendo ella parimente una scrittura avvantagiosa a norma del musico, e se avesse zio, fratello, padre, marito suonadore, musico, ballarino, compositore, ecc., pretenderà ch’egli pure venga impiegato. Dimanderà che gli venga subito che si può spedita la parte, quale si farà insegnare da maestro Crica158 con variazioni, passi, belle maniere, ecc., avvertendo sopra ogni cosa di non intender punto il sentimento delle parole né cercare tampoco chi glielo spieghi. Anton Maria Zanetti il Vecchio, Avrà bensì qualche avSignora Faustina [Bordoni giovanissima, al debutto] vocato o dottor familiare in San Giovanni Grisostomo nel 1716 nell’«Ariodante», che gl’insegnerà mover le disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. braccia, batter il piede, girar il capo, soffiarsi il naso, ecc., senza rendergli però ragione veruna di ciò per non confonderla sovverchiamente. I passi, le variazioni, le belle maniere, ecc. se gli farà scrivere da maestro Crica sopra quel solito libro a ciò destinato, quale sempre porterà seco per ogni paese. Crica: reminiscenza del «sgnor Cricca […] mestr» della virtuosa, in Lotto Lotti, La cantatriz, in Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703, pp. 45-70. 158 35 Non si farà sentire dall’impresario alla prima visita ma dirà al medesimo (sempre presente la signora madre): «Ch’al m’ scusa mo se stasira a n’ poss’ servirel, perch’a n’ho mai psù durmir in quel pladur d’ qula maldetta barca pina d’ cent’ spirt’, ch’a i n’era du o tri ch’ pipavin, ch’i m’ha fatt’ vgnir al zirament’ d’ testa, ch’a n’i ved lum’ e s’ m’ dura anch’».159 Ripigliando la signora madre: «O al mi car sgnor impersari a s’ fa pur i gran patiment’ in sti benditt viaz».160 Ritornato poi l’impresario a visitarla e sentirla col maestro dell’opera, doppo molte cerimonie e scuse canterà la solita cantata: Impara a non dar fede a chi fede ti giura anima mia;161 e non ricordandosi quella bella maniera ricercherà subito la signora madre che prenda fuor dal baulo il libro de’ passi, quali non farà mai a tempo, soggiungendo: «Ch’i scusin mo, ch’ l’è un gran pezz ch’a n’ la digh; e po st’istrument è alt purassà più dal mi e st’ recitativ’ è tropp’ malinconich, Nicolò Beregan-Giovanni Legrenzi, Giustino, Venezia, San Salvador, 1683, antiporta di Pietro Liberi e Martial Desbois. Ch’al… anch’: «Mi scusi se questa sera non posso accontentarla, perché non ho potuto dormire nel baccano di quella maledetta barca piena di cento indemoniati; ce n’erano due o tre che fumavano e che mi hanno fatto girare la testa e perdere il senso della vista, che ancora mi continua»; per il bolognese e per la traduzione, cfr. qui a pp. 81-83. 160 O… viaz: «O mio caro signor impresario, si soffrono grandi pene in questi benedetti viaggi». 161 Impara… mia: incipit di una cantata a voce sola di Giovanni Bononcini (1670-1747), pubblicata in Meslange de musique, Paris, Jean Baptiste Christophe Ballard, 1725, ma diffusa anche in numerose copie manoscritte, tuttora conservate. 159 36 st’aria la n’è ins’al mi far»,162 ecc., benché infatti derivi la difficoltà dal non avere il solito maestro Crica che l’accompagni. A mezza l’aria poi sopravenendo la tosse alla virtuosa, soggiungerà la signora madre: «In verità bona ch’ sta cantà è poc’ ch’ la i è arivà d’ vì, e adess’ solament la la dis all’improvis; ma la dirà ben degl’ari dal Giustin163 e dal Faramond,164 ch’in’ miori di questi; a i è po anc’ l’aria dal gel e dal cald,165 qul’altra dal qusì, qusì, qusì,166 qul’altra dal non si pò,167 la scena dal fazzulett,168 Apostolo Zeno-Carlo Francesco Pollarolo, Faramondo, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1699, antiporta. Ch’i… far: «Scusino, perché è un bel po’ che non la canto; e poi questo strumento è molto più alto del mio, questo recitativo è troppo malinconico e quest’aria non mi si confà». 163 Giustin: Nicolò Beregan-Giovanni Legrenzi, Giustino, Venezia, San Salvador, 1683; Beregan e Pariati-Vivaldi, Giustino, Roma, Capranica, 1724. 164 Faramond: Zeno-Pollarolo, Faramondo, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1699. 165 gel… cald: Aurelio Aureli-Alessandro Scarlatti, Massimo Puppieno, Napoli, San Bartolomeo, 1695, III, 3: «Ardo, sospiro e peno, / gelo, languisco, avvampo». 166 qusì… qusì: Antonio Arcoleo-Perti, La Rosaura, Venezia, Sant’Angelo, 1689, I, 5: «Poi la destra più acceso /così così m’afferra». 167 non si pò: Zeno e Pariati-Gasparini, Ambleto, Venezia, San Cassiano, 1706, II, 14: «Fra ragion, che fa il dovere, / e beltà, che fa il potere, / dir l’amore non si deve / e negarlo non si può». 168 scena dal fazzulett: Giacomo Bussani-Antonio Sartorio, Giulio Cesare in Egitto, Venezia, San Salvador, 1676, II, 24: «Sesto […] fingendo di piangere si va coprendo il volto con un fazzoletto»; Zeno-Caldara, Lucio Papirio dittatore, Vienna, corte, 1719, I, 13: «Papiria […] si ritira col fazzoletto agli occhi». 162 37 Giacomo Bussani-Antonio Sartorio, Giulio Cesare in Egitto, Venezia, San Salvador, 1676, antiporta. dal stil, dla pazzì, che la ragazza l’ dis e s’el fa tutt’ a maraveia».169 Procurerà la virtuosa lettere di raccomandazione a dame, cavalieri, monache, ecc., a’ quali con una visita di complimento le presenterà, non lasciandosi mai più vedere da essi a titolo di rispetto se non venisse regalata frequentemente. Gli sarà bensì di maggior profitto il farsi indrizzare a qualche ricco e generoso mercante, perché questo provvederà di vino, legne, carbone, ecc., l’inviterà spesso a pranso, l’aspetterà a cena, ecc. Se l’alloggio andasse a sue spese si ritirerà in picciola abitazione purché sia vicina al teatro, dove, riverendo personaggi di qualità, dirà al solito: «Ch’i scusin mo sgnouri s’i vinen in st’ cagnizz’ d’ tuguri, ch’ ’l par iust un partimintin d’ queli dal Camp’ di Bù, perch’al bisogna acmodars’ alla mei ch’a s’ pò pr’ esser vsin al teatr’. Dal rest’ al me paies a i ho un strazz’ d’ cà da povra zovna siben, ma però a i vin la più fiurì e nobil conversazion».170 In… maraveia: «A dir proprio il vero, è poco che questa cantata le è arrivata da fuori e soltanto adesso lei la improvvisa; ma canterà bene delle arie dal Giustino o dal Faramondo, che sono migliori di queste. C’è poi l’aria del gelo e del caldo, quell’altra del “così, così, così”, l’altra del “non si può”, la scena del fazzoletto, del pugnale, della pazzia, che la ragazza recita e interpreta tutte a meraviglia». 170 Ch’i… conversazion: «Scusino lor signori se vengono in questa misera e vecchia abitazione che sembra proprio un appartamentino di quelli del Foro Boario, perché bisogna arrangiarsi il meglio possibile per essere vicini al teatro. Ma del resto, nel mio paese ho una casetta da povera giovane, dove però viene la più scelta e nobile compagnia». 169 38 Cercherà un protettore particolare e assiduo e questo si chiamerà signor Procolo,171 avvertendo (come s’è detto di sopra al musico) di aver sempre tosse, raffreddore, flussione, dolor di capo, di gola, di fianchi, ecc., lamentandosi con dire: «A n’ so ch’ razza d’ città sipa mai questa, che st’aier m’ fa semper psar la testa ch’ la par un madon e po st’ pan’ e st’ vin’ ch’a s’ compra al m’ fa un mal al stomg’ ch’a n’al poss’ padir assolutament».172 Se il poeta andasse con l’impresario a leggerli l’opera, non ascolterà che appena la parte sua, quale pretenderà che si rifaccia a suo modo, aggiungendo e levando versi di recitativo, scene di pianto, deliri, disperazioni, ecc., ecc., ecc. Si farà sempre aspettare alle prove dove comparirà per mano del signor Procolo, salutando con occhio parziale tutti li circostanti, del che rimproverata dal signor Procolo risponderà bruscamente: «Cos’è sti smorfi, sti zelusì sproposità? Siv’ matt? A n’ savì gnanch’ ch’ la profession porta aqusì? Mo a son pur stuffa di fatt vuster»,173 ecc. Non canterà mai l’arie alla prima prova; né farà i passi e cadenze, da maestro Crica insegnatigli sopra di esse, che alla prova generale in teatro. Farà sempre tornar da capo l’orchestra pretendendo che tutte l’arie vadano più tarde o più preste conforme porteranno i passi sudetti. Mancherà a molte prove, mandandovi in cambio la signora madre a far le sue scuse, la quale per lo più dovrà dire: «Ch’i compatissin mo sgnouri, perch’in sta nott’ la ragazza la n’ha mai psù durmir una gozza, perch’ l’ha sintù tant’i gran fracass’ per la strà, ch’i era d’avis d’ sentir iust la caruzzazza d’ Bulogna. La cà è po pina d’ pundgh’, che tant’ quant’a s’ principia a vlers’ apisular un puctin i dan su tutt’ ch’i parin tant’ diavel; e po vers’ dì l’ha pers’ la scuffia dla nott’ e s’ n’ l’ha mai psù truvar, ch’ l’è sta causa che la s’è afferdà e s’ n’ cred’ ch’in tutt’ ancù la s’ livarà da lett».174 171 protettore… Procolo: reminiscenza del «sgnor Proqul prutettor», in Lotto Lotti, La cantatriz cit.; fra i molti Procoli beatificati, si segnala un vescovo martirizzato a Bologna all’inizio del IV secolo, il cui onomastico si festeggia il primo giugno; a lui era dedicato un monastero benedettino, fondato a Bologna nell’XI secolo. 172 A… assolutament: «Non so che razza di città sia mai questa, dove l’aria mi fa sempre avere la testa pesante come una grossa zolla, e poi questo pane e questo vino che si compra mi provoca il mal di stomaco perché non riesco assolutamente a digerirlo». 173 Cos’è… vuster: «Cosa sono queste contrarietà, questi sospetti fuori luogo? Siete pazzo? Non sapete neppure che la professione vuole così? Sono proprio stanca dei vostri comportamenti». 174 Ch’i… lett: «Che perdonino, signori, perché in questa notte la ragazza non ha mai potuto 39 Si lamenterà sempre la virtuosa dell’abito d’opera, ch’è povero, che non è alla moda, ch’è stato portato da altre, obbligando il signor Procolo a farlo rifare, mandandolo e rimandandolo ogni momento dal sarto, calzolaro, acconciateste, ecc. Subito andata l’opera in scena scriverà lettere agl’amici ch’è compatita sopra degli altri, che gli fanno replicar tutte l’arie, i recitativi, l’azzione, il soffiarsi il naso, ecc., e che la tale, che doveva far gran fracasso, appena è ascoltata, perché non intuona, ha cattivo trillo, poca voce, mal sceneggiare, ecc., ecc., ramaricandosi però ella gravemente all’applauso di tutte l’altre. Canterà tutte l’arie battendole in scena col ventaglio o col piede, e se la virtuosa rappresentasse la prima parte pretenderà che nel palchetto de’ musici la signora madre sua occupi il primo luogo, ordinandogli di portar seco ogni sera fazzoletti bianchi e di seta, mulette,175 ampolle con gargarismi, aghi,176 nei, rossetto, scaldino, guanti, polvere di Cipro,177 specchietto, libro de’ passi, ecc., ecc., ecc. Avverta la virtuosa di prolungar nelle ariette per lo più l’ultime sillabe d’ogni parola, verbi gratia dolceeee… favellaaaa… quellaaaaa… orgogliooooo… sposoooo…, ecc., ecc., ecc.; e se per caso alcuna volta si accorgesse non intuonare, alterar il tempo, ecc., dirà: «Sti malditt cembal stasira i en alt’ arabià e sì è iust per causa d’ qui bi sgnouri d’intermezz’,178 ch’al par ch’ l’opera staga in pi per lor; e po qul’orchestra i in piz di urb’ ch’ van al caldir, gnanc’ un’aria ch’i m’i aven dà al so temp iust».179 Prima d’uscire in scena prenderà sempre tabacco o dal protettore o dagli amici o da qualche comparsa che gli dasse dell’illustrissima, e nell’uscir di teatro chiudere occhio, ha sentito tanto di quel fracasso per la strada che le sembrava di udire tutte le carrozze di Bologna. La casa è poi così piena di topi che quando si incomincia a voler prendere un po’ di sonno, loro si scatenano a tal punto che sembrano tanti diavoli; inoltre, verso mattina, lei ha perso la cuffia da notte e non è più riuscita a trovarla, questo è il motivo per cui si è raffreddata e non credo che per tutto il giorno si alzerà dal letto». 175 mulette: pianelle; Boerio, s.v. 176 aghi: Boerio, s.v.: «Ago da testa […] col quale s’infilano i cappi ne’ capelli». 177 polvere di Cipro: la cipria che prende il nome dall’isola di Afrodite perché abbellisce. 178 d’intermezz’: all’epoca esistevano diversi tipi d’intermezzo, destinati all’opera seria, agli attori della commedia o ai collegiali che eseguivano la tragedia, fra cui Benedetto Marcello, Intermezzi [Spago e Filetta] e cori per […] «Lucio Commodo», ms., I-Vnm, Contarini, cod. it. IV, 252 (=9823). 179 Sti… iust: «Questi maledetti cembali stasera crescono dannatamente, sì è proprio colpa di quei bei signori dell’intermezzo, che sembra che l’opera si regga grazie a loro; poi quegli orchestrali sono peggio dei ciechi che vanno nei setifici, neanche un’aria in cui mi abbiano dato il tempo giusto». 40 accompagnata da amici dimanderà fazzoletti per coprirsi dall’aria dicendo per strada ragionevolmente alla signora madre: «Ch’ l’avverta ben, ch’a i lass’ a li l’incargh’ d’ restituir sti fazzulett’ a chi mi ha imprestà».180 Dovrà con la frequenza possibile alzare in scena ora il destro, ora il braccio sinistro, cambiando sempre dall’una all’altra mano il ventaglio, sputando ad ogni pausa dell’arie, cantando con testa, bocca e collo storto continuamente, avvertendo, se rappresentasse parte da uomo, di tirar sempre su il guanto d’una mano o dell’altra, d’aver sul viso più nei, scordarsi frequentemente nell’uscire spada, cimiero, perucca, ecc. Sino che qualche personaggio recita seco o canta l’arietta, saluterà la virtuosa moderna (come si è detto di sopra al musico) le maschere ne’ palchetti, sorridendo col maestro di capella, co’ suonatori, comparse, suggeritori, ecc., ponendosi dopo il ventaglio al viso, perché si sappia dal popolo esser ella la signora Giandussa Pelatutti,181 non già l’imperatrice Filastrocca182 che rappresenta, il di cui carattere maestoso potrà poi conservarlo fuor del teatro. Dirà sempre che terminato il carnovale prende marito, ch’è già promessa con personaggio di qualità, e ricercata dell’onorario soggiungerà ch’è una bagattella, ma ch’è venuta per esser sentita e compatita, non ricusando poi a tal effetto protettori e amici di qualunque grado, nazione, professione, fortuna, ecc. La prima donna insegnerà l’azzione a tutta la compagnia; se la virtuosa facesse da seconda donna pretenderà dal poeta d’uscire in scena la prima e ricevuta la parte numererà le note e le parole della medesima e, se in caso si accorgesse d’esser inferiore a quella della prima donna, obligherà poeta e maestro di capella a raguagliargliela così di parole come di note, avvertendo di non cedergli punto nello strascino della coda, nel belletto, nei, trillo, passi, cadenze, protettore, papagallo, civetta, ecc., ecc. Anderà a visitare ora questo ora quel palchetto, dove si lamenterà sempre dicendo: «A i ho ben po una part che n’è mai fatta al me dos’ e po stasira a n’ Ch’… imprestà: «Che stia bene attenta, perché le lascio l’incarico di restituire questi fazzoletti a chi me li ha prestati». 181 Giandussa Pelatutti: corrispettivo femminile di Alipio Forconi; Boerio, s.v. giandussa: «Dall’italiano ghianduzza o ghianduccia […] donna molto riottosa […] pestilenza […] argento vivo»; Boerio, s.v. pelarina: «Mignatta delle borse altrui […] che sa trarre da ciascheduno il più che può e senza riguardo»; cfr. Goldoni, Pelarina, Venezia, San Samuele, 1734. 182 Filastrocca: Boerio, s.v. filastroca: «Tiritera […] discorso confuso di cose inutili»; per una celebre imperatrice dell’opera, cfr. Vincenzo Grimani-Georg Friedrich Händel, Agrippina, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1709. 180 41 poss’ avrir la bocca d’ sorta fatta, cosa ch’ n’ m’è mai intravegnù in tant pais ch’a i ho cantà ai mi dì. E po a n’ s’ pò miga far l’azion e cantar a temp’ musica d’ sta fatta, ch’ l’è stretta inspirtà e s’ n’ si pò far gnint dentr’; e s’ l’impresari o ’l mester d’ capella n’i n’ cuntin, ch’i vegnin lor a cantarla, ch’ mi a son stuffa. E s’i n’ m’ lassaran star a son mustazzina d’ fari al bal dal pianton, ch’a n’ ho brisa pora di umorin, ch’a i ho anca mi ’l mi protezzion»,183 ecc. Farà cadenze la virtuosa moderna di cento bocconi,184 avvertendo (conforme sì è detto di sopra al musico) di ripigliar fiato più volte, ricercar gli ultimi acuti e dar al trillo la solita storta di collo; e ricercata dal maestro di capella delle sue corde185 ne dirà sempre due o tre più alte e più basse. Cundurrà seco ogni sera (per aggiunger concorso e credito all’opera) dieci o dodeci maschere franche di porta, oltre il signor Procolo, alquanti sotto Procoli, il maestro dell’azzione, ecc., ecc., ecc. Facendosi sentire la virtuosa dall’impresario, gli canterà al cembalo con l’azzione e rappresentandogli qualche scena in due personaggi a sedere, farà entrare in luogo dell’altro o la signora madre o ’l protettore o la serva di casa. Anderà alla prova generale d’altri teatri, facendo applauso a’ virtuosi nel tempo che ognuno è in silenzio, acciò si sappia da tutti ch’ella è presente, aggiungendo a chi fosse in sua compagnia: «Mo perch’a n’oia mai mi qul’aria con quel recitativ’ o qula scena dal stil o dal vlen o dal piant’ in znoch? Guardà cmod’ i languiss’ in bocca agn’ cosa a qula gran virtuosa da cinqumilliacinquecent’ e cinquantacinqu’ lir dla nostra muneida? Mi a n’ m’ tocca mai sti baz; sempr’ del part’ spalà, di suliloqui etern’, di lazarun,186 ch’a n’ s’ pò gnanc’ mustrar qula poc’ d’abilità ch’ s’ha»,187 ecc., ecc. A… protezzion: «Ho poi proprio una parte che non mi si adatta e stasera non riesco ad aprire la bocca in nessun modo, una cosa che non mi è mai capitata in tanti paesi in cui ho cantato nella mia vita. E poi non si può per nulla interpretare la parte e cantare a tempo una musica di questa fatta, che è veloce spiritata e non permette niente; e se l’impresario o il maestro di cappella non ne tengono conto, vengano loro a cantarla che io sono stanca. E se non mi lasceranno stare, io sono un tipetto capace di piantarli in asso, che non ho certo paura di tali personcine, perché ho anch’io le mie protezioni». 184 Farà… bocconi: cadenze spezzate, a brandelli, prive di senso musicale. 185 sue corde: l’estensione vocale. 186 lazarun: da lázaro ‘pezzente’, appellativo con cui gli spagnoli indicavano gli insorti napoletani durante la rivolta di Masaniello nel 1647. 187 Mo… s’ha: «Ma perché non ho mai io quell’aria con quel recitativo o quella scena del pugnale 183 42 Avuta la parte della second’opera manderà subito l’ariette (quali per maggior sollecitudine farà copiar senza basso) a maestro Crica, perché scriva i passi, le variazioni, le belle maniere, ecc. E maestro Crica senza saper l’intenzione del compositore quanto al tempo delle medesime e come siano concertati bassi o istromenti, scriverà sotto di esse nel loco vacuo del basso tutto ciò gli verrà in capo in gran quantità, perché la virtuosa possa variar ogni sera. Lodata, la virtuosa risponderà sempre star mal di voce, non poter cantare, che non canta mai, ecc., e prima di partire dal suo paese pretenderà dall’impresario metà dell’onorario per far il viaggio, vestir il protettore, provvedersi d’ovata,188 di trilli, appoggiature, ecc., ecc., e porterà seco papagallo, civetta, un gatto, due cagnolini, una chizza189 gravida e altri animali, ai quali tutti il signor Procolo darà da mangiar e bere per il viaggio. Ricercata poi d’altra virtuosa, risponderà: «A la cgnoss’ a risgh’ a risgh’ e con li a n’ho mai avù incontr’ d’ recitari».190 Ma se avesse cantato seco ripiglierà: «L’è mei taser ch’ mal parlar e po la feva una partsina ch’ la n’aveva altr’ ch’ trei ari e s’i in tossen d’ vi dov la segonda sira. E po la s’ingrassa tant ch’ la par un sacc’ vstì e s’ losna al temp ch’ la guarda un puctin tra la zeda e al pergular e in scena l’è ladra arabià. L’è po invidiousa e s’ pianz’ agl’applaus degli altr’ e a so mi ch’ l’ha di annaritt’, seben ch’al prutettor e so mader la fan una fantsina, la s’è dscredità po l’ultma volta a recitar in s’ la sala»,191 ecc., ecc. La prima donna baderà pochissimo alla seconda, la seconda alla terza, ecc.; non l’ascolterà in scena, ritirandosi nel tempo che canta l’aria, prendendo tabacco dal protettore, soffiandosi il naso, guardandosi in specchio, ecc., ecc. o del veleno o del pianto in ginocchio? Guardate come le si infiacchisce in bocca ogni cosa a quella gran virtuosa da cinquemilacinquecento e cinquantacinque lire della nostra moneta? A me non toccano mai queste fortune, sempre delle parti senza risultato, di soliloqui eterni, di popolani, nelle quali non si può neanche mostrare quel poco di abilità che si possiede». 188 d’ovata: Boerio, s.v.: «Feltro di cotone [...] che si mette tra il panno e la fodera degli abiti, specialmente donneschi, per tener caldo». 189 chizza: cagna; Boerio, s.v. 190 A… recitari: «La conosco appena appena e non ho mai avuto occasione di recitare con lei». 191 L’è… sala: «È meglio tacere che dire maldicenze e poi faceva una particina che non aveva altro se non tre arie e gliene furono tolte due la seconda sera. E ancora si ingrassa tanto che sembra un sacco vestito e accorcia tanto il tempo in cui lei deve guardare un po’ tra la siepe e il pergolato che quando è in scena è velocissima nell’esecuzione. È anche invidiosa e piange per gli applausi fatti agli altri e so ben io che ha i suoi annetti, sebbene il protettore e sua madre la facciano passare per una ragazzina, e poi l’ultima volta si è screditata a recitare in sala». 43 Se la virtuosa avrà una parte d’azzione e che non incontri, dirà che per lo più gli tocca far scena col tale o con la tale, che non gli danno i lazi192 opportuni; e non avendo parte d’azzione protesterà che il poeta e ’l maestro di capella l’hanno assassinata, con tuttoché siano stati avvisati della sua abilità, pregati dal signor Procolo e regalati. Non farà mai a modo dell’impresario, fuorché nel lamentarsi della parte, nel farsi aspettar alle prove, nel lasciar l’arie, ecc. Venendo favorita di sonetti, ne appenderà molti nella stanza del clavicembalo, avvertendo di far unire quelli di seta,193 benché siano di vari colori, dalla signora madre per far coperte alla tavoletta,194 al busto, ecc. Manderà libretto, arie, sonetti, epigrammi e alquanti ritagli dell’abito al protettore, che seco non fosse, e prima d’incominciare ogni arietta guarderà attentamente il maestro di capella o ’l primo violino aspettando da loro il cenno per entrar a tempo, ecc. Metterà ogni studio la virtuosa moderna per variar l’arie ogni sera e, quantunque le variazioni non abbiano punto che fare col basso, co’ violini unissoni o concertati, o convenga non intuonare,195 ciò nulla importa, perché il maestro di capella moderno già è sordo e muto. E quando non sappia la virtuosa che più variare, studierà di far i passi ancora nel trillo, che ciò solamente resta a sentirsi dalle virtuose correnti. Cantando duetti non si unirà mai col compagno e particolarmente tarderà alla cadenza, piccandosi di trillo lungo, e dirà di non voler arie che morano in scena,196 desiderando di ricever dal popolo il solito «eviva» o «buon viaggio» nell’entrar dentro. Non leggerà però mai il libretto dell’opera, imperciocché (come si è detto di sopra) la virtuosa moderna non deve intenderlo punto, e nel scioglimento all’ultima scena sarà ben fatto che non badi molto, si metta a ridere, ecc. lazi: Boerio, s.v. lazo: «Qualunque azione che facciano i comici [ossia gli attori] per esprimere il lor pensiero». 193 sonetti… seta: allusione all’usanza diffusa di stampare su seta colorata i sonetti encomiastici. 194 tavoletta: la toilette, adornata dal «grembiale […] quella balza che pende intorno»; Boerio, s.v. toleta. 195 non intuonare: qui significa non cantare anziché stonare. 196 dirà… scena: la virtuosa non vuole l’aria di mezzo, dopo la quale deve restare in scena, bensì quella di entrata. 192 44 Nell’arie e recitativi d’azzione avverta bene di servirsi ogni sera de’ stessi movimenti di mano, testa, ventaglio, ecc., soffiandosi il naso all’ora solita col bel fazzoletto, quale per lo più si farà portare dal paggio in qualche scena di forza. Facendo la virtuosa porre qualche personaggio in catene e cantandogli un’aria di sdegno, nel tempo del ritornello parlerà col medesimo, riderà, gli mostrerà maschere ne’ palchetti, ecc. Se cantasse arie con parole di «crudele», «traditor», «tiranno», ecc., guarderà sempre il protettore nel palchetto o dentro le scene; nell’altre poi «caro», «mia vita», ecc., si rivolgerà al suggeritore, all’orso o a qualche comparsa. Procurerà d’introdurre in tutte l’arie preste, patetiche, allegre, ecc., un certo novissimo passo di semicrome legate a tre a tre, e ciò per sfuggire al possibile la varietà nel cantare, che più non s’usa, e quanto sarà più acuto soprano, tanto sarà più facile che ottenga la prima parte. Piangerà dirottamente (a motivo d’invidia virtuosa) all’applauso di qualunque personaggio, orso, terremoto, ecc., pretendendo dal signor Procolo i soliti sonetti ad ogn’aria. Se la virtuosa dovesse rappresentare parte da uomo, dirà la signora madre: «Oh in quant’a quel bisogna ch’ tutt’ ceden’ alla mi fiola. A n’ sta ben a mi a direl, ma per tutt’ la s’è fatt’ un unor immurtal. Se ben ch’ la par un po’ goba e affagutà, in scena però l’è dritta cm’è un fus’ e linda cm’è un pindulin. L’è scarma, l’ha un par d’ gamb’ ben fatt’, ch’i paren du balaustr’, e un bellissim caminar. E po a s’ pò infurmar d’ qula gran part da tirann ch’ l’ha fatt’ l’an’ passà a Lug197 (dov’ a s’ fa qui gran uperun) ch’ tutt’ i andavin drì matt’».198 Saprà la virtuosa a memoria la parte di tutti più che la sua, quale canterà tra le scene, avvertendo ancora finch’altri canta di sturbarli al possibile, facendo gran strepito con l’orso, comparse, ecc., e se il signor Procolo salutasse, parlasse o facesse applauso a qualche ragazza, lo sgriderà bruscamente, dicendogli: «A n’ Lug: Lugo di Romagna, dove si rappresentava l’opera dal 1711 durante l’annuale esposizione estiva; Carlo Sigismondo Capece-[Alessandro Scarlatti?], Il figlio delle selve, Lugo, [Fiera], 1718. 198 Oh… matt’: «Oh, per quello bisogna che tutte si arrendano alla mia figliola. Non sta bene che lo dica io, ma a giudizio di tutti si è conquistata una fama immortale. Anche se sembra un po’ gobba e sgraziata, in scena però è dritta come un fuso ed elegante come un ciondolino. È magra, ha un paio di gambe ben fatte che sembrano due colonne e un bellissimo incedere. Può informarsi di quella gran parte da tiranno che ha fatto l’anno passato a Lugo (dove si fanno quelle grandi rappresentazioni), tutti le impazzivano dietro»; spesso le donne recitavano parti maschili en travesti ovvero in pantaloni mostrando le gambe. 197 45 la vlen finir st’instoria o vliv ch’a v’ daga di smasslun o di pugn’ int’al mustazz’ finch’a psì purtar vecch’ matt’? A n’ev cuntintà d’una ch’a i avì tutt’ l’impegn’ ch’a vlì far al muscon e al sparaguai con tutti? Mo a qula braghira po, a so quel ch’a i ho da far per farla abadar ai fatt su. La farev mei a star in ti su sì quatrin, perch’a son mustazzina d’ sbattri tant la part’ in tal grugn’ finch’ la fazza la stoppa»,199 ecc., ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Agl’impresari Non dovrà l’impresario moderno possedere notizia veruna delle cose appartenenti al teatro, non intendendosi punto di musica, di poesia, di pittura, ecc. Fermerà, per broglio d’amici, ingegneri di scene, mastri di musica, ballarini, sarti, comparse, ecc., avvertendo di usar tutta l’economia in queste persone per poter pagar bene i musici e particolarmente le donne, l’orso, la tigre, le saette, i lampi, i terremoti, ecc. Sceglierà un protettore al teatro col quale anderà incontro alle virtuose che venissero d’altro paese e, arrivate che siano, gliele consegnerà con loro papagalli, cani, civette, padri, madri, fratelli, sorelle, ecc. Raccomanderà al poeta scene di forza e che quella dell’orso sia per lo più al fine degli atti, chiudendo l’opera con le solite nozze o scoprimenti de’ personaggi per mezzo di risposte d’oracoli, di stelle in petto, di bende, di nei sul ginocchio, sulla lingua, orecchie, ecc., ecc. Avuto dal poeta il libretto anderà prima di leggerlo a visitare la prima donna, pregandola di volerlo sentire; nel qual caso alla lettura di detto libro dovranno intervenire oltre alla virtuosa il di lei protettore, l’avvocato, i suggeritori, qualche portinaro, qualche comparsa, il sarto, il copista dell’opera, l’orso, il cameriero del protettore, ecc., nel qual tempo dirà ognuno la sua opinione, disapprovando ora questa ora quella cosa, e l’impresario destramente risponderà che a tutto sarà rimediato. A… stoppa: «La vogliamo finire questa storia o volete che vi dia dei ceffoni o dei pugni sul muso finché non ne potrete più, vecchio matto? Non vi accontentate di una da cui avete tutto l’impegno, volete fare il bellimbusto e il fanfarone con tutte? Ma a quella ficcanaso so ben io cosa fare perché si occupi dei fatti suoi. Farebbe meglio a stare attenta, perché sono un tipetto capace di sbatterle la parte nel grugno fino a conciarla male». 199 46 Consegnerà l’opera al maestro di capella ai quattro del mese, dicendogli voler andar in scena a’ dodeci assolutamente e che perciò per far presto non badi a spropositi, quinte, ottave, unissoni,200 ecc. Co’ pittori delle scene, sarti, ballarini, ecc., farà un accordo di tanto denaro per opera, non prendendosi cura veruna di restar ben servito da quelli, fidandosi intieramente nella prima donna, intermezzi, orso, saette, terremoti, ecc. come sopra. La parte del figlio sarà sempre appoggiata a virtuoso ch’abbia vent’anni più della madre. Avrà sempre il manuscritto dell’opera sotto l’occhio, orologio da polvere,201 brazzolaro,202 gemi di spago,203 ecc. per rilevar la lunghezza di essa, staio o quarta204 in mano per misurar i passi delle virtuose, ecc. Ricevendo doglianze da’ personaggi intorno alla parte darà un ordine espresso al poeta e al compositor della musica di guastare il dramma a sodisfazzione de’ sopradetti. Darà porta franca ogni sera al medico, avvocato, speciale,205 barbiere, marangone,206 compadre207 ed amici suoi con loro famiglie per non restar mai a teatro vuoto, e per tal effetto pregherà virtuosi e virtuose, maestro di capella, suonatori, orso, comparse, ecc. di voler condurre parimente ogni sera cinque o sei maschere per uno senza biglietti. Sceglierà la second’opera dopo che sia in scena la prima, soffrendo pazientemente qualunque indiscretezza de’ virtuosi, sul riflesso che questi la sera in teatro con l’autorevole dignità di principi, re, imperatori, ecc. potrebbero soddisfarsi e gravemente mortificarlo, non intuonando, lasciando l’arie, ecc. 200 quinte… unissoni: andamento parallelo delle parti, non tollerato all’epoca perché impoverisce l’armonia. 201 orologio da polvere: clessidra a sabbia; in origine la clepsydra latina è un orologio ad acqua, dal greco kleptein ‘rubare’ e hydor ‘acqua’. 202 brazzolaro: braccio, misura lineare per le stoffe e simili; Boerio, s.v. brazzoler. 203 gemi di spago: gomitoli; Boerio, s.v. gemo. 204 staio o quarta: contenitori per misurare cereali e granaglie. 205 speciale: speziale, farmacista; Boerio, s.v. specier: «Quegli che vende le spezie e compone le medicine ordinategli dal medico». 206 marangone: falegname, maestro d’ascia; Boerio, s.v. 207 compadre: compare, padrino di battesimo o cresima, testimone di nozze. 47 La maggior parte della compagnia dovrà esser formata di femmine e se due virtuose contendessero la prima parte farà l’impresario comporre al poeta due parti eguali d’arie, di versi, di recitativo, ecc., avvertendo che il nome d’ambedue sia pure formato della medesima quantità di sillabe. Pagando al termine delle recite il contrabasso e violoncello, gli batterà tutte le seconde parti dell’arie, che non avranno suonato, pregando al tal effetto il compositor della musica di far per lo più dette seconde parti senza una nota di basso, e sceglierà monete di non giusto peso per pagar virtuosi che fossero stati raffreddati, non avessero intuonato, ecc., ecc. Accorderà musici di poca spesa, ragazze non più sentite, procurando che siano piuttosto leggiadre che virtuose, perché abbondino di protettori. Affitterà palchi, scagni, soffitta, botteghino, ecc. subito avuto un teatro, pagando tosto pontualmente pigione, provvedendo prudentemente di vino, legne, carbone, farina, ecc. per tutto l’anno. Pagherà i viaggi l’impresario alle virtuose forastiere perché vengano sicuramente, promettendogli buon alloggio vicino al teatro, cibarie, biancaria, ecc., e le alloggerà poi in qualche picciola cucinetta (purché sia vicina al teatro) ripiena però di tutte le sudette cose e celebrerà per la città la loro virtù, affine che qualche protettor s’introduca e supplisca nell’avvenire cortesemente per lui. Ricercato della compagnia dirà ch’è una compagnia unita, che non v’è la parte odiosa, che v’è una ragazza da uomo che vuol far fracasso, un orso novello, saette, tuoni, tempeste, ecc., altra ragazza da buffa di graziosissimo spirito e un buffo208 comprato a lira209 che gli costa tesori ma ch’è il miglior musico della città. La prima prova dell’opera si farà in casa della prima donna, replicando poi dall’avvocato del teatro; e ricercato da’ virtuosi di pieggiaria, risponderà che diano ancor loro pieggiaria di piacere al popolo. Nelle sere che si facessero pochi biglietti, permetterà l’impresario moderno a’ virtuosi di cantar mezze l’arie, lasciar recitativi, ridere in palco, ecc., a’ suonatori di buffa… buffo: gli interpreti degli intermezzi. comprato a lira: pagato in contanti; la lira veneziana, che all’epoca valeva venti soldi, rimase in 208 209 corso fino alla caduta della repubblica. 48 non dar pece210 all’arco, all’orso di non far la sua scena, alle comparse di pipar211 col re, con la regina, ecc. Nascendo co’ virtuosi qualche svario212 ne’ pagamenti, pretenderà l’impresario risarcimento da’ medesimi per occasione di stonature, poca azzione, sfreddimenti, ecc. e visiterà frequentemente tutte le virtuose, pregandole guardarsi dall’aria, assicurandole che tutta la città è sodisfatta de’ loro abiti, nei, ventagli, belletto, ecc., che presto avranno sonetti sopra guantiere d’argento, che a lui non importa che intuonino o pronunzino schietto, purché non si scordino a’ luoghi soliti dell’azzione, ecc. Raccomanderà al maestro di capella l’arie strepitose, gaie, ecc., ecc., e ciò particolarmente dopo le scene di forza; e non avrà difficoltà di prendere qualche virtuosa maritata che fosse gravida, tanto manco se nell’opera vi entrasse qualche gravida regina od imperatrice, ecc., ecc., ecc., ecc. A’ suonatori Dovrà il virtuoso di violino in primo luogo far ben la barba, tagliar calli, pettinar perucche213 e compor di musica. Avrà imparato da principio a suonar da ballo sui numeri,214 non andando mai a tempo, né avrà buon’arcata ma bensì gran possesso del manico.215 Non dipenderà mai nell’orchestra dal maestro di capella o dal primo violino, suonando con l’arco solamente dal mezzo in su sempre forte e con diminuzioni216 a capriccio. Il primo violino accompagnando arie a solo incalzerà sempre il tempo, non si unirà mai col musico e infine farà cadenza lunghissima, quale porterà seco già preparata con arpeggi, soggetti a più corde, ecc., ecc., ecc. pece: resina derivata dalle conifere, usata fra l’altro per ottenere l’attrito sulle corde degli strumenti ad arco. 211 pipar: fumare la pipa o fiutare il tabacco. 212 svario: differenza, divario. 213 barba… perucche: Giovanni Battista Vivaldi, padre di Antonio, faceva il barbiere e il violinista. 214 sui numeri: basandosi sulla diteggiatura senza leggere le note. 215 manico: Boerio, s.v. manego. «Dicesi il pezzo di legno incollato all’estremità superiore del violino e della chitarra». 216 diminuzioni: sostituzione delle note date con altre di durata inferiore, a scopo ornamentale. 210 49 Dovranno li violini accordar tutti assieme, non avendo punto l’orecchio a cembali o contrabassi, ecc., ecc., ecc., ecc. Di molti de’ sopradetti avvertimenti potranno servirsi li virtuosi ancora di violetta. Il secondo cembalo non anderà che alla prova generale, mandando a tutte l’altre il terzo, il quale non intenderà per ordinario altra chiave di sopra che del soprano,217 avvertendo di non usar mai suonando li diti grossi,218 di non badar a’ numeri,219 di dar sempre sesta,220 di non si unir mai col maestro e chiudendo tutte le seconde parti dell’arie con terza maggiore, ecc., ecc., ecc. Il virtuoso di violoncello intenderà solamente la chiave di tenore e di basso.221 Non alzerà mai l’occhio alla parte, saprà poco leggere, non dovendosi punto regolare né alle note né alle parole del musico. Accompagnerà sempre i recitativi all’ottava alta (particolarmente de’ tenori e bassi) e nell’arie spezzerà il basso a capriccio, variandolo ogni sera benché la variazione non abbia punto che fare con la parte del musico o co’ violini. Virtuosi di contrabasso suoneranno a sedere con guanti in mano, avvertendo che l’ultima corda dell’istromento non sia mai accordata, né daranno mai pece all’arco che dal mezzo in su, e riporranno l’istromento a suo luogo a mezzo il terz’atto, ecc., ecc., ecc. Oboè, flauti, trombe, fagotti, ecc. saranno sempre scordati, cresceranno, ecc., ecc., ecc., ecc. Agl’ingegneri e pittori di scene Ingegneri delle decorazioni anderanno a gara di servir gl’impresari a buonissimo prezzo, avvertendo d’averle in appalto per tutte l’opere, quali cederanno poi chiave… soprano: non leggendo le chiavi di violino, tenore e contralto, usate dagli altri esecutori, non è in grado di realizzare il basso continuo. 218 diti grossi: pollici; nella diteggiatura rinascimentale, sempre meno praticata nel Settecento, l’uso del pollice era limitato ai passaggi virtuosistici e ai procedimenti accordali. 219 numeri: la scrittura compendiaria del basso continuo. 220 dar… sesta: eseguire sempre l’accordo di terza e sesta. 221 chiave… basso: in alcune composizioni solistiche per violoncello, nel Settecento la parte poteva essere scritta anche in sei o sette chiavi. 217 50 per due terzi manco a dipintori communi, perché questi ancora s’approfittino nel lavoro d’altri due terzi. Non dovrà l’ingegnere o pittor moderno intendere prospettiva, architettura, disegno, chiaroscuro, ecc., procurando pertanto che le scene d’architettura non vadano mai ad uno o due punti222 ma bensì ch’ogni tellaro223 n’abbia quattro o sei, situandogli diversamente, perché da tal varietà resti maggiormente appagato l’occhio de’ spettatori. Farà un panno maestoso sopra li due primi tellari, perché servano questi a tutte le mutazioni che non ricercano aria, benché in qualche bosco o giardino non farebbero male per coprire li virtuosi dal pericolo di raffreddarsi a cielo scoperto. Le mutazioni di scena non dovranno seguir mai tutte assieme, avvertendo di tener ristrettissimi gli orizonti, perché resti al possibile angusta la scena e perciò bastino pochi lumi ad illuminarla, servendosi nel scuro più forte del solito nero di gezzo.224 Sale, prigioni, camere,225 ecc., tutte saranno senza porte e senza finestre, imperciocché già li musici entrano per la parte più vicina al palchetto loro né hanno bisogno di lume sapendo benissimo la parte a memoria. Nelle mutazioni di mare, campagne, dirupi, sotterranee,226 ecc., dovrà sempre la scena esser disimbarazzata da scogli, sassi, erbe, tronchi, ecc., per lasciar largo campo a’ virtuosi di far l’azzione, avvertendo che se in tal incontro alcuno de’ personaggi dovesse dormire, sia portato fuori da qualche paggio o cavaliero di corte un sedile d’erbe227 con un’alzata da un lato, perché il virtuoso possa appoggiare il gomito finch’altri canta e dormino più saporitamente, ecc. punti: punti di fuga prospettica. tellaro: telaio, armatura di legno che sostiene la tela con la scena dipinta. 224 nero di gezzo: probabilmente un colore realizzato con polvere di gesso, calce e particelle di 222 223 carbone. 225 Sale… camere: rispettivamente la sala regia col trono, il carcere e il gabinetto, scene d’interni in dotazione fissa al teatro. 226 mare… sotterranee: rispettivamente la marittima o il porto, la deliziosa o arborata o boschereccia, la montana o l’orrida e l’imboccatura del passaggio segreto, scene di esterni in dotazione fissa al teatro. 227 sedile d’erbe: Lalli-Vivaldi, Arsilda regina di Ponto, Venezia, Sant’Angelo, 1716, I, 6: «Solitario ritiro con varii sedili erbosi, corrispondente a deliziosi viali […] con una sotterranea che conduce fuori le mura»; cfr. qui a pp. 15, 19. 51 Il lume dovrà fingersi tutto in mezzo alla scena, avvertendo di tener egualmente illuminati i soffitti che i lati. E quantunque l’aria debba esser più luminosa d’ogn’altr’oggetto, non dovrà però chi si sia infastidirsi se vedrà illuminato un prospetto e sopra di esso l’aria oscura come di notte. Imperciocché volendosi illuminar l’aria tutta oltre il prospetto, vi andrebbe troppa spesa di lumi. Occorrendo il trono, si formerà questi di tre scalini, una sedia e un’ombrella quando servir debba alla prima donna, peraltro se dovessero salirvi sopra tenori o bassi basteranno solamente gli tre scalini e la sedia. Avverta l’ingegnere o pittor moderno di far rinforzare il color ne’ tellari quanto più questi si allontanano dalla vista per iscostarsi al possibile dalla scuola antica che usava di raddolcire il colore quanto più crescea la distanza, perché il loco paresse maggiormente capace; e l’ingegnere o pittor moderno deve usar ogni studio d’impicciolirlo. Le sale regie dovranno per lo più essere più corte de’ gabinetti e delle prigioni, avvertendo che le colonne siano sempre più picciole degli attori, perché ve n’entrino in maggior quantità a consolazione dell’impresario. Le statue non dovranno diGirolamo Frigimelica Roberti-Carlo Francesco segnarsi a rigore d’anotomia, Pollarolo, riserbando piuttosto tale stuOttone, Venezia, San Giovanni Crisostomo,1694, dio negli alberi e nelle fontane, antiporta (I, 1, Salone reale con trono ed atrio e rappresentandosi navi antied ingressi a vari appartamenti, coperto di cupola che dovranno costruirsi sulla e cinto di loggie tutto intorno). 52 forma delle presenti e guarnirannosi le sale che figurassero armerie di Xerse,228 Dario,229 Alessandro,230 ecc., di bombe, moschetti,231 cannoni, ecc., ecc., ecc. Nell’ultima decorazione deve bensì l’ingegnere o pittor moderno porre ogni studio. Imperciocché essendo questa per ordinario veduta dalla moltitudine senza spesa,232 convien egli procurarsi tutto l’applauso. Dovrà tale decorazione pertanto esser un epilogo di tutte le scene dell’opera, che perciò s’introdurranno in essa spiagge di mare, boschi, prigioni, sale, camere, fontane, navigli, caccie d’orsi, padiglioni altissimi, cene, lampi, saette, ecc., ecc., ecc., e tanto più se dovesse intitolarsi reg- Nicolò Minato-Francesco Cavalli, Xerse, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1655, antiporta di Giuseppe Piccini. Xerse: Serse I (519 a.C.-465 a.C.), re di Persia e d’Egitto dal 485 a.C.; cfr. Minato-Cavalli, Xerse, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1655; Morselli-Giuseppe Felice Tosi, L’incoronazione di Serse, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1691. 229 Dario: nome di vari sovrani di Persia, fra cui Dario I detto il Grande (550 a.C.-486 a.C.), in trono dal 522 a.C.; cfr. L’incoronazione di Dario cit. 230 Alessandro: Alessandro Magno (Pella 356 a.C.-Babilonia 323 a.C.), re di Macedonia dal 336 a.C., cfr. Francesco Sbarra-Antonio Cesti, Alessandro vincitor di se stesso, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1651. 231 moschetti: derivato da moschetto ‘sparviero’, indica le armi da fuoco portatili in uso dal XVI secolo. 232 veduta… spesa: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit., p. 118: «Probabilmente perché […] si usava entrare gratis all’ultimo atto o alle ultime scene». 228 53 gia del sole,233 della luna e del poeta, dell’impresario, ecc. Non sarà mal fatto di farla calare a terra tutta illuminata e ben carica di comparse figuranti varie deità dell’uno e dell’altro sesso con stromenti e geroglifici in mano allusivi alle cure delle medesime deità. A queste poi (secondo s’accosterà il fine dell’opera) si ordinerà a motivo ragionevole d’economia di smorzare i lumi sopra di essa disposti, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Adriano Morselli-Giuseppe Felice Tosi, L’incoronazione di Serse, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1691, antiporta. Giovanni Matteo Giannini-Carlo Grossi, Il Nicomede in Bitinia, Venezia, San Moisè, 1677, antiporta. 233 reggia del sole: Giannini-Carlo Grossi, Il Nicomede in Bitinia, Venezia, San Moisè, 1677, p. 12: «Mutazioni […] dell’atto secondo […]. Anfiteatro con scena in scena, reggia del sole»; Flaminio Parisetti-Antonio Maria Bononcini, La conquista del vello d’oro, Reggio, Pubblico, 1717, III, 14: «Reggia del sole». 54 A’ ballarini Ballarini diranno poco bene degl’intermezzi, avvertendo di non entrare né finir mai a tempo. Ricercati dall’impresario di ballo nuovo faranno cambiar l’aria de’ balli vecchi, servendosi sempre de’ medesimi passi, contratempi, cadenze,234 ecc., usando il passo di minuetto ne’ balli di schiavi, paesani, piroo, furlane e di qualunque nazione. Danzando a due si faranno balli d’invenzione sul fatto, avvertendo che ne’ balli composti di regazzi siano questi di varia età e che le danze siano in tal guisa disposte ch’abbiano ad uscire prima li maggiori, poi li minori, finalmente i più piccioli, che non dovranno ecceder tre anni, e da questi si faranno per ordinario esequire i balli all’eroica, ecc., ecc., ecc., ecc. Alle parti buffe Parti buffe pretenderanno l’onorario eguale alle prime parti serie, e tanto più se nel cantare si servissero d’intonazione, passi, trilli, cadenze, ecc. da parte seria. Porteranno con sé mustacchi, bordoni,235 tamburri e qualunque altro arnese opportuno per il loro ufficio, per non aggravar (oltre l’onorario abbondante) l’impresario di maggior spesa. Loderanno infinitamente li virtuosi dell’opera, la musica, il libretto, le comparse, le scene, l’orso, i terremoti, ecc., attribuendo però a sé soli la fortuna del teatro. Faranno per ogni paese gl’intermezzi medesimi, pretendendo con gran ragione che i cembali siano accordati a commodo loro. Se qualche intermezzo non avesse applauso avvertano di dar sempre la colpa al paese che non l’intende. Incalzeranno e lenteranno il tempo, e ciò particolarmente ne’ duetti a motivo de’ lazi, ne’ quali alcuna volta non andando d’accordo co’ bassi daranno sorridendo la colpa del disordine all’orchestra, ecc., ecc., ecc., ecc. cadenze: qui indica l’andamento ritmico del ballo. bordoni: bastoni da pellegrino; improbabile l’allusione ai suoni gravi e continui di accompa- 234 235 gnamento, emessi per esempio dalla cornamusa. 55 A’ sarti Sarti si accorderanno con l’impresario per il vestiario di tutte l’opere, poi visiteranno virtuosi e virtuose per fargli l’abito a genio. Rifletterannogli che col denaro dell’impresario non è possibile d’eseguirlo, che perciò tratteranno d’un soprapiù e col soprapiù faranno poi l’abito, avvanzando in tal forma il denaro tutto patuito con l’impresario. L’abito sarà di più pezzi, di roba frusta,236 ecc., dovendo bastare a’ sarti di provvedere le virtuose di coda lunghissima, i virtuosi di belle polpe di gambe237 per guadagnarsi la mancia. Termineranno gli abiti alla sinfonia dell’opera solamente, e ciò perché consegnandogli a’ virtuosi per tempo converrebbero rifarli più d’una volta. Suggeriranno a’ tenori e bassi maestoso cimiero di varie penne, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. A’ paggi Paggi di cinque o sei anni pretenderanno esser vestiti con abiti che servissero all’età di quatordici o sedici. Pretenderanno parimente perucca bionda di stoppa sopra cappelli scuri. Alcuno (portandolo il dramma) farà da figlio, piangerà in scena, ecc. ed altri non staranno mai fermi intorno la coda della virtuosa strascinandola sempre verso del protettore. Mangieranno in scena, ecc. e perderanno la prima sera guanti, fazzoletto, cappello e perucca. Alle comparse Comparse si vestiranno sempre con gli abiti del compagno, né dipenderanno mai dal loro generale, caposcena o suggerittore. frusta: logora, consunta, dal latino frustare ‘lacerare’. polpe di gambe: calze aderenti al polpaccio. 236 237 56 Partiranno ogni sera dal teatro con scarpe, calze e stivaletti dell’opera, quali facendosi sporche faranno con sollecitudine la sera seguente pulire dal generale. Urteranno tra le scene virtuosi, virtuose, protettori avari, maschere, ecc., dando l’illustrissima a tutte le virtuose, alle quali esibiranno tabacco, pipa, ecc., aggiongendogli ch’hanno sete. Non usciranno mai tutti assieme, avvertendo ancora all’ultima scena d’uscire mezzi spogliati, ecc. Comparsa che facesse da leone, da orso, da tigre, ecc., pretenderà la sua scena dal poeta a mezz’opera né mai dopo l’aria della prima donna, ecc. Portando in scena tavolini, sedie, canapè, scalini per trono, ecc., s’accommoderà ogni cosa al rovescio, avvertendo le comparse di presentar sempre le lettere, piegando alquanto il ginocchio dritto e con la mano sinistra, ecc., ecc., ecc., ecc. A’ suggeritori Anton Maria Zanetti il Vecchio, [Giovanni Battista Ruberti detto] Gnapatta [ovvero nasone] che suggerisse [sic] nell’opera, disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. Suggeritori saranno mezzani per affittar in nome dell’impresario botteghino, soffitta, scagni, ecc., accorderanno orso, saette, terremoti, ecc. 57 Anderanno alle prove dell’opera innanzi giorno, adulando il poeta, il maestro di capella, i musici, l’impresario, la farfalletta, il mossolino, la navicella, il copanetto, ecc., ecc. Ordineranno l’ora delle prove, avranno cura del calar della chiocca,238 accender lumini, incominciar dell’opera gridando forte al maestro di capella dal buco della tenda: «E una, e una signor maestro», ecc., ecc., ecc., ecc. A’ copisti Copisti accorderanno con l’impresario un tanto per opera e questa poi faranno scrivere a soldi239 sei il foglio compresa la carta, inchiostro, penne, spolverino,240 ecc., e cavando loro parti dell’opera sbaglieranno parole, chiavi, accidenti, ecc., lasceranno facciate intere, ecc., ecc., ecc. Venderanno a’ forastieri, che desiderassero buone arie d’opera, carte vecchie col nome de’ professori migliori,241 sapranno comporre, cantare, suonare, recitare, ecc., riducendo la maggior parte dell’arie dell’opera in canzon da battello,242 ecc., ecc., ecc. Avvocati del teatro daranno commodo all’impresario di provar l’opera in casa propria, faranno le scritture de’ virtuosi, de’ suonatori, degl’operari, comparse, orso, poeta, ecc.; saranno giudici arbitri de’ balli e degl’intermezzi, aggiustando le differenze tra’ musici e l’impresario, e condurranno più maschere ogni sera franche di porta per dar credito e applauso al teatro, ecc., ecc., ecc. chiocca: Boerio, s.v. chioca: «Chioca de cristal ‘lumiera’» che si calava per accenderla. soldi: antica moneta europea in uso presso i goti, i franchi e i longobardi; ai tempi di Marcello 238 239 124 soldi equivalevano a un ducato. 240 spolverino: Boerio, s.v. spolverin: «Polvere […] che si getta sullo scritto fresco onde non isgorbi». 241 carte… migliori: attribuite falsamente a compositori famosi; celebre il caso di Giovanni Battista Pergolesi. 242 riducendo… battello: trascrivendo per voce e strumento; le canzoni da battello, spesso con testo bistrofico in veneziano, eseguite in barca nei canali e in laguna, sono conservate da numerose raccolte manoscritte o stampate, fra cui Venetian ballads, London, John Walsh, 1742, 1744 e 1748; nel 1728 Marcello contrasse un matrimonio religioso ma non civile con la giovane Rosanna Scalfi, cantante da battello e sua pupilla dagli anni ’20. 58 Protettori del teatro anderanno con l’impresario incontro alle virtuose e, mascherati alla porta, custodiranno diligentemente l’ingresso, facendo però passar chi gli piace, ecc., ecc., ecc. Visiteranno ogni giorno le virtuose, provvedendo d’alloggio le forastiere, e alle prove dell’opera staranno per lo più a sedere appresso la prima donna, orso, ecc. Placheranno le virtuose disgustate col maestro di musica, coll’impresario, col calzolaro, col sarto, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Maschere alla porta e soldati con spade ruggini243 saranno cauti e rigorosi nel ministero sino che l’impresario è presente. Appena ch’egli sia ritirato, porta franca a tutte le maschere, dalle quali il giorno avranno ricevuta la mancia. Non consegneranno mai al protettor del teatro, o ad altra maschera a ciò destinata, tutti li biglietti che riscuotono da chi entra ma ne asconderanno alquanti frequentemente, vendendoli poi un terzo manco del solito per far concorso al teatro. Restituiranno pegni244 agli amici, anche un’ora dopo lasciati, e prenderanno pegno da una maschera per quattro, qual pegno poi restituiranno alla maschera che uscirà, restando gli altri tre nel teatro, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Dispensatori di biglietti peseranno tutte le monete d’argento e d’oro, quali, benché siano di giusto peso, diranno alle maschere calar qualche cosa. Renderanno il resto in tali monete ch’oltre l’avvanzo del calo supposto non arrivino mai a comporre di qualche soldo l’intiero resto. Ricercati da qualche maschera che credessero forastiera del valor del biglietto, gli diranno sempre qualche lira di più, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Protettori delle virtuose saranno attentissimi, gelosissimi, fastidiosissimi, ecc., ecc., ecc. Non s’intenderanno per ordinario punto di musica, accompagnando però sempre le medesime alle prove dell’opera con in mano parte, scaldino, scuffia, papagallo, civetta, ecc., ecc., ecc. ruggini: arrugginite. pegni: garanzie di un debito, impegni. 243 244 59 Sapranno a memoria tutta la parte della virtuosa, quale gli staranno suggerendo dietro le sedie, si caratteranno245 con l’impresario, guardandosi al possibile di non salutar mai altre virtuose. Regaleranno poeta, maestro di capella, ecc., perché facciano bella parte alla virtuosa, raccomanderanno a’ suggeritori, paggi, comparse, ecc. di non badar, fino che sta in scena, ad altri che a lei, di cui racconteranno che in tre o quattr’anni ha recitate da sessant’opere, ch’è un angelo di costumi, disinteressata, di nascita e d’educazione civile, che non rassomiglia a cantatrice veruna, ch’è un peccato sia nella professione, ecc., ecc., ecc. Loderanno poco altre virtuose e qualunque teatro dove la sua non v’abbia che fare, aggiungendo sempre che l’onorario della virtuosa è due terzi più dello stabilito, e porteranno giustaccuori, sottogiubbe, calzoni, ecc. sempre foderati de’ passi, trilli, arpeggi, cadenze, ecc. della virtuosa, provvedendogli del solito abito nuovo, orologio, ecc. per la prova generale. Staranno per lo più in scena con la virtuosa, per cui avranno sempre addosso liquericcia,246 sal prunello,247 l’aria nuova, specchietto, lista dell’azzioni, peri,248 odori di varie sorte, ecc., pretendendo, se la virtuosa facesse da seconda donna, ch’abbia paggi, trono, scettro e coda lunga al par della prima, ecc., ecc., ecc., ecc. Madri delle virtuose anderanno sempre con le medesime, restando però in disparte per atto di civiltà quando le figliuole siano accompagnate co’ protettori. Quando le ragazze si fanno sentire dall’impresario moveranno la bocca con loro, gli suggeriranno li soliti passi e trilli, e ricercate dell’età della virtuosa, gli scemeranno per lo meno dieci anni. Se qualche civile ma povero galantuomo desiderasse introdursi in casa e parlasse per tal effetto con alcuna delle signore madri, risponderà tosto: «In quant’a quel mo la mi fiola è puvrina sì, ma unurata e daben, e s’ fa la profession, perch’ caratteranno: da carato, termine mercantile per indicare la quota assunta da un soggetto partecipe di un’iniziativa commerciale; lo stesso sistema era usato per l’opera a carato, una gestione condivisa del teatro. 246 liquericcia: liquirizia; introdotta in Europa nel XV secolo, avrebbe proprietà digestive, antinfiammatorie, diuretiche e gastroprotettive. 247 sal prunello: nitrato di potassio o di zolfo, all’epoca usato per dimagrire, per disinfettare il cavo orale o per curare la gonorrea. 248 peri: il termine non dà senso perché può significare ‘pere’, ‘frutta’ e anche ‘appuntamento’ (Boerio, s.v.) ma ricompare in tutte le edizioni settecentesche descritte qui a pp. 73-78. 245 60 la dsgrazia dla nostra cà vol qusì. Al bisogna in prima maridar un’altra ragazza, ch’è zà imprumessa a un duttor, e livar mi marì d’imperson, ch’ pr’ esser sta tant’al bon om’ l’ha fatt’ una sigurtà e s’ha bsognà pagarla. Pr’ altr’a n’ i vin in cà gnanc’una persona d’ sortafatta; e s’a i vin qui du sgnouri, al davin perch’a s’ pò dir chi i han vist a nasser la Giandussina, e un è avucat d’ mi marì e l’altr’ è santl’ dla ragazza».249 Se la virtuosa fosse principiante, dirà la signora madre ch’ha recitato in due anni da trenta volte; se poi fosse avvanzata in età, dirà che sono solamente tre anni che recita e ch’ha incominciato innanzi li tredici. Dovrà la signora madre, per lo più nell’incominciarsi alle prove il ritornello dell’arie della figliuola, dare con la mano il tempo all’orchestra e mentre canta la virtuosa l’accompagnerà con la testa, con gli occhi, col piede, moverà seco la bocca e gli farà sempre in fine il solito «viva». Tornata a casa dalle prove dell’opera insegnerà l’azzione alla virtuosa e ’l luogo di far il trillo nell’arie. Riuscendo queste felicememente in teatro, ritornando dentro la ragazza la bacierà in prima e gli dirà poi: «Car al mi car zuiin sit tant bendetta, ch’ t’ha pur fatt’ i bi pass’ e s’ t’in riussì a maraveia ch’a i era quegli alter donn ch’i s’ mursgavin l’ dida per la rabbia».250 Ma se qualche sera lasciasse il trillo, non battesse il piede nella scena di forza, ecc., la sgriderà, dicendogli: «Guarda un poc’ la mi bambozza stasira ch’ t’ n’ha fatt’ al tril lung e qula gran azzion ti andà dentr’ cm’ è un can scuttà e nsun t’ha gnanc’ ditt’ arillà».251 Anderà al teatro con veste da camera e sciarpa guarnita con sonetti in seta, regalati in varie congiunture alla figlia, o in bauta252 con feraiolo253 lunghissimo del 249 In… ragazza: «In quanto a quello poi, mia figlia è sì una poverina, ma onorata e dabbene, e fa la professione perché la disgrazia della nostra casa vuole così. Prima di tutto, bisogna maritare un’altra ragazza che è promessa a un dottore e far uscire dalla prigione mio marito, il quale per essere tanto un uomo onesto ha fatto una fideiussione e ha dovuto pagarla. Peraltro, non le viene in casa neppure una persona che è una e, se vengono quei due signori, succede perché si può dire che l’abbiano vista nascere la Giandussina; uno è l’avvocato di mio marito e l’altro il padrino della ragazza». 250 Car… rabbia: «Cara, cara la mia gioiettina, che tu sia strabenedetta, ti sei mossa bene e ci sei riuscita a meraviglia, tanto che c’erano le altre donne che si mordevano le dita dalla rabbia». 251 Guarda… arillà: «Guarda un poco, la mia pupattola, che stasera non hai tenuto a lungo il trillo e in quell’azione importante ci sei andata come un cane che si brucia e nessuno ti ha detto neppure arri là [incitamento per le bestie da soma]». 252 bauta: mantellina di seta nera con cappuccio ed eventualmente maschera. 253 feraiolo: tabarro, ampio e lungo mantello da uomo. 61 protettore, stando in scena con gargarismi, libro de’ passi e con qualunque altra cosa potesse occorrere alla ragazza, quale sentendosi mal di voce, esclamerà la signora madre che in certi tempi l’impresario non dovrebbe far opera, ch’è voler precipitarsi con la ragazza, ecc., ecc. Sino canta la virtuosa, dirà la signora madre agli operari, all’orso, alle comparse, ecc.: «La mi ragazza per dir al veir l’ha fatt’ sempr’ la prima part’, e da principessa dal sangu’ e da rizina e da impiratric’ int’i prim’ tiatr’ a Cent,254 a Budri,255 a Lug e a Medsina.256 La n’ha brisa d’interess’, la vol ben a tutt’ gl’alter virtuosi, seben po ch’ la n’ n’è corrisposta. A i e ’l tal e la tal sgnoura al noster paies ch’ basta ch’ l’avra la bocca, ch’ l’ha bocca mi ch’ vut. Perché bsogna direl l’è una ragazza savia e mudesta e s’ha studià più virtù, d’arcamar, d’ far i marlitt’, d’ ballar, d’ tirar d’ schermia, d’ flufilar oltr’al cantar. L’ha fin studià la gramatica e si è tant confacent al geni d’ tutt’ ch’ la pippa in cumpagnì dal prutettor. Pr’ alter la n’aver mai qula bendetta bocca per dir mal d’ nsuna, ma in st’ mond’ pr’ aver fortuna al bisogna trattar in altra manira. Ma zà al despett d’ tutt la sirà prest inlustrissima e s’ farà d’ livrè»,257 ecc., ecc., ecc. 254 Cent: Cento, oggi in provincia di Ferrara; Aureli-Ziani, La ninfa bizzarra, Cento, Aurora, 1701; la sala fu ricostruita nel 1716 con gli scenari di Ferdinando Bibiena; Giovanni Francesco Erri, Dell’origine di Cento e di sua pieve, Bologna, Lelio Della Volpe, 1769, p. 262. 255 Budri: Budrio, oggi in provincia di Bologna; il teatro Consorziale, tuttora funzionante, venne costruito nel 1672. 256 Medsina: Medicina, oggi in provincia di Bologna; per gli spettacoli, cfr. Luigi Samoggia, Il teatro Pubblico di Medicina nei secoli XVII e XVIII. Francesco Albergati e Carlo Goldoni, «Il carrobbio», IV, 1978, pp. 393-410. 257 La… livrè: «La mia ragazza, a dire il vero, ha sempre fatto parti da protagonista, da principessa di sangue reale, da regina e da imperatrice nei principali teatri, a Cento, Budrio, Lugo e Medicina. Lei non cerca affatto il suo tornaconto, vuol bene a tutte le altre virtuose, anche se poi non è corrisposta. Ci sono il tale e la tale signora al nostro paese che basta che lei apra bocca che le danno ciò che vuole [Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna, Monti, 1869-1874, s.v. bocca: la locuzione “l’ha bocca mi ch’ vut” si usa per “dinotare abbondanza di tutto”, “quanto può chieder bocca”]. Perché, bisogna dirlo, è una ragazza saggia e modesta e ha studiato molte arti, il ricamare, fare i merletti, ballare, tirare di scherma, fischiettare, oltre che cantare. Ha perfino studiato latino ed è così tanto esperta di tutto che se la gode quando è in compagnia del protettore. Ancora, lei non apre mai quella bocca benedetta per dir male di nessuna; ma a questo mondo per aver fortuna bisogna comportarsi in un altro modo. Ma presto, a dispetto di tutti, diventerà famosissima e si sposerà [probabile riferimento all’antica usanza settentrionale di confezionare fettucce e nastri (livrè) da distribuire in occasione delle nozze]». 62 Se qualche virtuosa portasse applauso sopra la sua, l’attaccherà con la madre in palchetto, dicendogli bruscamente: «Mo ch’ la s’ fazza un poc’ in là sgnoura Zuliana258 ch’ la chiappa tutt’al lugh, perch’ so fiola ha tant’ applaus; mo zà a s’ sa cmod’ l’è. La mi n’ha né dobel259 né scattel d’arzent da regalar al mester d’ capella e ’l poeta, e per quest’ l’ha avù una part’ sì infama. Mo s’ la i avess’ invidà anca li a dsnar e dunà un arlui pr’ on o una cruvatta con i su manicin cumpagn’ arcamà d’ so man, la parrev cvel d’ mior».260 A che risponderà l’altra: «Cat d’ dis dinar, a m’ maravei purassà purassà di fatt’ vuster. Ch’ razza d’ parlar è ’l voster. Mi a n’ so d’ dobel, mi a n’ so d’ scattel, a so ben ch’ la mi fiola fa la part so fin a un fnocch e se n’ regala brisa ni poeta ni mestr d’ capella. Mo sgnoura Sabadina261 mi cara, saviv cosa l’è? Al bsogna fermar la vos, parlar schiett, intunar i simitun e i gran salt ch’ s’usin adess’, andar a temp, far ben l’azion, n’ rider in scena né chiaccarar, s’a s’ vol applaus; che per cont’ d’ far del zirandel, che n’ stan né in cil né in terra, a s’ dà prest int’al maron e s’ s’ dà po la colpa al terz’ e al quart’».262 Replicando l’altra: «Cos’è st’intunar, st’andar a temp’, st’ far zirandel, la mi iona, la mi tintinaga? Ch’ mi fiola a s’ sa ch’ la n’ n’ha bisogn’ de sti avertiment sich. Perch’ la cantava e s’ sunava all’improvis inanz’ ch’ vu v’insuniassi gnanc’ d’ far insgnar alla vostra. Zà a sen d’un paies ch’a z’ cgnussen e s’ sa ch’ mester ha avù la vostra e ch’ mester ha Zuliana: in Lotto Lotti, La cantatriz cit., la madre dell’unica virtuosa si chiama Pulonia. dobel: doppio scudo, doppio zecchino, dobla; moneta d’oro coniata a Milano da Carlo V nel 258 259 1548; il termine fu adottato anche da altre zecche italiane; Battaglia, s.v.; ai tempi di Marcello il valore della doppia era pari a 880 soldi. 260 Mo… mior: «Ma che si faccia un po’ da parte signora Giuliana, che prende tutto il posto, perché sua figlia ha tanti applausi; ma già, si sa come vanno le cose. Mia figlia non ha né doppie né scatole d’argento da regalare al maestro di cappella e al librettista e per questo motivo ha avuto una parte tanto infame. Ma se li avesse invitati anche lei a pranzo e se avesse regalato un orologio a ciascuno oppure una cravatta con le due guarnizioni ricamate dalle sue mani, sarebbe certo più apprezzata». 261 Sabadina: nata di sabato, come San Sabatino vescovo o San Sabatino martire. 262 Cat… quart’: «Caspita i dieci quattrini! Mi meraviglio davvero molto di come voi vi comportate. Che razza di discorsi fate. Io non so di doppie né so di scatole, so bene che mia figlia fa la sua parte fino in fondo e non fa nessun regalo al librettista né al maestro di cappella. Cara la mia signora Sabatina, sapete come stanno le cose? Bisogna tener salda la voce, recitare senza imperfezioni, intonare i semitoni e i gran salti [intervalli estesi] che si usano adesso, andare a tempo, muoversi bene e non ridere in scena né chiacchierare, se si vogliono degli applausi. Perché se si fanno piroette che non stanno né in cielo né in terra, si fanno presto dei grossi errori e poi si dà la colpa a destra e a sinistra». 63 avù la mi. Perch’ la mi n’ha avù un da un luvig263 al meis, e s’ vgneva sol trei volt’ la stmana e anc’ per arcmandazion d’ gran sgnouri; perch’al n’ n’ha più bisogn’ d’ dar lzion ch’ l’ha dell’ pussion cumprà con l’insgnar e s’ sa ch’ l’ha la perucca agruppà, ch’ scriv’ quater fui d’ pass’ per lzion e s’è vecch’ decrepit’ int’al gust dal cantar. E la vostra n’ha avù un ch’è iust grand cm’è tri quatrin d’ furmai d’ forma, che n’ stima nssun (e in particular al noster dal luvig) ch’ vol far da lecca con tutti, perch’ l’ha una bella rusetta d’ bril, ch’i dunò una virtuosa quand la turnò da recitar da Vinezia, e s’ s’ fa veder la cadena dl’arlui, siben po ch’i è taccà una mistucchina. Ma l’è po un mester da sett pavel264 e al cil sa quant mis l’ha mai d’aver dalla vostra sgnoura virtuosa»,265 ecc., ecc., ecc., ecc. Se venisse bussato alla porta anderà sempre la signora madre a veder chi batte, sperando che possa ogni momento capitar un regalo, un protettore, un impresario, un papagallo, una simia, ecc. Se fosse poi il calzolaro, il sarto, il guantaro, si farà dar la polizza,266 soggiungendogli però che tornino, perché la virtuosa è in campagna o sta al cembalo col signor maestro, ecc. Se la ragazza per civiltà ricusasse qualche tabacchiera, anello, orologio, ecc., dovrà la signora madre sgridarla con dirgli: «A s’ ved ben ch’ t’ n’ sa ’l creanz. Far un affront’ a quel sgnour ch’ con tanta curtisì al t’ vol favurir?».267 Prendendo poi 263 luvig: luigi, moneta d’oro francese coniata nel 1640 per comando di Luigi XIII, in vigore fino al regno di Luigi XVI; il luigi d’argento o écu fu coniato dal 1641. 264 pavel: paolo o giulio; corrisponde al doppio del grosso papale e prende il nome da Paolo III Farnese, pontefice dal 1534 al 1549. 265 Cos’è… virtuosa: «Cosa significa questo intonare, questo andare a tempo, questo far piroette, la mia piaga, la mia lentona? Si sa che mia figlia non ha bisogno per sé di questi ammonimenti. Perché lei cantava e suonava senza preparazione prima che voi neppure vi sognaste di far insegnare alla vostra. Già siamo di un paese dove ci conoscono e si sa quale maestro ha avuto vostra figlia e quale la mia. Perché la mia non ha avuto un maestro da un luigi al mese, veniva soltanto tre volte alla settimana e anche per raccomandazione di gran signori, perché il maestro non ha più bisogno di dar lezioni, dato che ha dei poderi comprati grazie all’insegnamento, e si sa che ha la parrucca piena di nodi, che scrive quattro passaggi per lezione, è vecchio decrepito quanto ai gusti del canto. La vostra ne ha avuto uno che è grande proprio come tre quattrini di formaggio parmigiano, che non stima nessuno (in particolare il nostro del luigi), che vuole far lo spasimante di tutte perché ha una bella rosetta di false gioie, che gli regalò una virtuosa quando lei tornò dalle recite a Venezia, e che fa vedere la catena dell’orologio anche se ci è attaccato un castagnaccio. Ma è un maestro da sette paoli e il cielo sa quanti mesi di onorario deve riscuotere dalla vostra signora virtuosa». 266 polizza: ricevuta, documento comprovante un contratto, la consegna di merce o denaro. 267 A… favurir: «Si vede bene che non conosci le buone maniere. Fare un affronto a quel signore che con tanta gentilezza ti vuole favorire?». 64 il regalo dal forastiero soggiungerà a lui: «Car lustrissim, ch’al la compatissa mo, perché questa l’è la prima volta ch’ sta bambozza ussis dal so paies; e po l’è iust cm’è l’aqua di macarun, ch’ la n’ sa né d’ ti né d’ mi; e po quest’è al prim regal’ ch’i vin fatt, perch’in cà a ni pratica anma nada».268 A riguardo poi de’ vari e gravissimi dispendi che importa alla figliuola il mantenimento di tutto l’anno da principessa, da regina, da imperatrice, ecc. con la corte, e per il delizioso serraglio de’ papagalli, simie, civette, cani e cagne con le lor razze, ecc., e per le spese della conversazione (dove provvede il signor Procolo generosamente di tutto), dovrà la signora madre, per le sere che non si recitasse, allestire una rifa o loto269 di molte grazie270 (come qui sotto) perché ad ognuno della conversazione tocchi qualche cosa, parta soddisfatto e torni senza fallo a motivo di nuova speranza. Segue la rifa Rifa o loto con varie grazie, da pagarsi per lo più quatro luigi d’oro al biglietto prima di leggerle. 1. Un cesto dorato con pianelle, scarpe e stivaletti usati, avvanzati da molte opere alla virtuosa, tempestati di nei di vari colori. 2. Una scattola di cartoni d’opera a fiori, piena di trilli di seconda, terza e quarta, d’appoggiature, cadenze, semituoni, stonature, ecc., con altrettanti dolori intrecciati di madreperla. 3. Il cefalo,271 il tamburro e la ghirlanda di Cola,272 adornati di semicrome all’ingrosso e alla minuta. 268 Car… nada: «Illustrissimo caro, la deve compatire perché è la prima volta che questa pupattola esce dal suo paese ed è come l’acqua dei maccheroni, che non sa né di te né di me, e poi questo è il primo regalo che le viene fatto, perché in casa non frequenta anima viva». 269 rifa o loto: lotteria. 270 grazie: premi, biglietti vincenti; Boerio, s.v. 271 cefalo: muggine che vive in mare, in laguna, in acqua dolce e in ambiente inquinato; oppure marito di Procri, corteggiato inutilmente dall’Aurora; cfr. Gabriello Chiabrera-Vari, Il rapimento di Cefalo, Firenze, corte, 1600; Rodolfo Campeggi-Girolmo Giacobbi, L’Aurora ingannata, Bologna, ?, 1605; Busenello-Cavalli, Gli amori di Apollo e di Dafne, Venezia, San Cassiano, 1640, che narra anche la storia di Titone, Aurora, Cefalo e Procri. 272 Cola: possibile allusione all’intermezzo Cola e Aurilla, Firenze, Cocomero, 1719, ripreso a 65 4. Ventiquatro arcate da violino intiere con altrettante messe di voce e pronunzie schiette, legate con dimande di onorario civili e discrete, ecc., per far un sottanino alla serva. 5. Un abito intiero da poeta moderno di scorzo d’albero color di febbre, guarnito di metafore, traslati, iperbole,273 ecc., con bottoniera di soggetti vecchi rifatti d’opera, foderato di versi di varie misure con sua spada compagna con manico di pelle d’orso. 6. Un orologio per misurar passaggi, cadenze e saltarelli di virtuose, con dito de’ protettori che mostra il tempo. 7. Trenta saette con cinque lampi color di voce per una in un scrigno mobile al naturale. 8. Un armerone274 con entrovi bordoni da pellegrina, libretti, dardi, tavolini da scrivere, stili, veleni, prigioni, canapè, orsi uccisi, terremoti, padiglioni altissimi, tavolozze, gezzi, penelli, ecc., con sua serratura di nebbia. 9. Molte scritture di vari teatri con cessioni di palchi, crediti d’impresari da riscuotersi al banco dell’impossibile, con loro cartoni d’azzioni d’opera fiere e amorose. 10. Una gran cassa piena d’indiscretezze, sussieghi,275 pretensioni, vanità, risse, invidie, poca stima, maldicenze, persecuzioni, ecc., lasciate da’ virtuosi in sere di gioco in casa dalla virtuosa. 11. Un borsone a gucchia276 con molte vigilanze, accuratezze, attenzioni, vigilie, occhiate, buon’educazioni, pretensioni di prima o seconda parte, ecc., ecc., legate con nastro color di musica, il tutto lavoro delle signori madri. 12. Un bacile di carta rigata con sopra molte parti d’opere vecchie, suoi stromenti unissoni raddoppiati, vari fagotti di dissonanze, quinte, ottave false, ecc. e diecimila Elamì277 di basso continuo per comporvi sopra più origi- Venezia, San Moisè, 1720 e 1721 col titolo Cola mal maritato, sempre con Francesco Belisani nel title role; improbabile il riferimento a Gregorio Cola, compositore romano dedito all’oratorio tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII. 273 metafore... iperbole: figure retoriche ottenute trasferendo il significato (metafora, traslato) o esagerandolo (iperbole). 274 armerone: armadio grande; Boerio, s.v. armeron. 275 sussieghi: atteggiamenti contegnosi, pieni di gravità un po’ altezzosa. 276 a gucchia: lavorato a maglia; cfr. Battaglia, s.v. gucchia. 277 Elamì: Mi nel sistema della solmisazione. 66 nali d’opera interi, regalo già fatto alla virtuosa da più maestri di capella moderni. 13. Un microscopio278 che mostra le inquietudini, inesperienze, passioni, vane promesse, disperazioni, speranze deluse, opere in terra, provigioni per tutto l’anno, teatri vuoti, peate cariche, fallimenti, ecc. d’impresari, legate con fior d’astuzia. 14. Vari applausi di tutti li virtuosi dell’uno e dell’altro sesso, impresari, sarti, paggi, comparse, protettori e madri di virtuose, regalati al teatro alla moda con loro collere, smanie ed esaggerazioni compagne. 15. La penna ch’ha scritto Il teatro alla moda. Maestri di bella maniera delle virtuose le faranno cantar sempre piano perché meglio riescano i passi, quali non dovranno punto accordare col basso o co’ stromenti dell’aria. Non baderanno né a battuta né a pronunzia né a intonazione, avvertendo che non si rilevi mai da chi ascolta parola veruna. Daranno lezzione a tutte in un modo medesimo. Scriveranno alla virtuosa sopra gran libro i passi e le variazioni, avvertendo sopra ogni cosa di fargli ricercare nell’acuto e nel grave alquante corde fuori del naturale, perché la virtuosa possa pretendere onorario più avvantaggioso. Se li maestri non avessero trillo non l’insegneranno mai alla virtuosa, dandogli ad intendere ch’è cosa antica, che non s’usa più e che nel tempo di farlo già il popolo grida e fa applauso. Se desiderasse però la virtuosa di farlo glielo faranno battere velocissimo da principio, sempre in semituono e senza prepararlo con messa di voce, avvertendo ancora d’insegnargli cadenze lunghissime, per ben eseguire le quali convenga ella ripigliar fiato più d’una volta. Subito che la virtuosa abbia ricevuta la parte, gli persuaderanno di far cambiar tutte l’arie e faranno inoltre ogni settimana abbondante rimessa di passi a virtuose che fossero a recitare in altri paesi, raccomandandogli di far ne’ medesimi sempre suonar piano l’orchestra. A’ poveri ragazzi e ragazze daranno lezzione per carità, contentandosi solamente in scrittura di due terzi alle prime ventiquattro recite, della metà all’altre microscopio: strumento ottico, probabilmente inventato da Galileo e comunque diffuso dal XVII secolo. 278 67 ventiquattro e d’un terzo in vita.279 Li maestri di bella maniera non faranno mai solfeggiare ma avranno tutti il loro solfeggiatore. Solfeggiatori si serviranno con tutte le virtuose de’ solfeggi medesimi, trasportandogli in vari tuoni, chiavi, tempi, ecc., ecc., conforme il bisogno delle medesime. Le tratteranno più anni sopra le solite variazioni del La in Re ascendendo e del Re in La discendendo,280 sopra letture diverse a riguardo degli accidenti maggiori o minori che occorrono; ma non gli faranno mai aprir bocca o accomodarla diversamente per chiaramente esprimere le vocali, ecc., ecc., ecc., ecc. Marangoni e fabbri prima di lavorar in teatro porteranno via tutte le porte, banchette, serrature, catenazzi de’ palchi, ecc., per accomodar ogni cosa, quali più non rimetteranno che all’invito della solita mancia, avvertendo particolarmente la prima sera d’incominciar a battere alla sinfonia e seguitare tutto il prim’atto, ecc., ecc., ecc., ecc. Affittascagni e palchetti faranno la corte e credenza281 a’ protettori di virtuose, e dalle ventiquatro alle due staranno ogni sera battendo chiavi per le piazze all’oscuro per avvisar maschere che volessero provvedersene, ecc., ecc., ecc., ecc. Simon de scena282 non servirà per manco di soldi trenta e una candela di sera in sera. Pretenderà il solito regalo di lire quindeci ad ogn’opera che vada in scena per occasione di far inviti de’ virtuosi alle prove, portargli la parte, ecc. Sopraintenderà gratis alle comparse e gratis parimente in caso di necessità farà da orso, ecc., ecc., ecc., ecc. Maschere non anderanno per lo più che alle prove dell’opera e particolarmente alle generali. 279 contentandosi… vita: esigendo una quota del cachet pattuito nei futuri contratti; cfr. il maestro Lamberto che ospita le allieve a questa condizione, in Antonio Palomba-Pietro Auletta, Orazio, Napoli, Nuovo, 1737, più volte ripreso. 280 variazioni… discendendo: il facile trasporto di quarta. 281 credenza: credito. 282 Simon de scena: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit., p. 126: attrezzista o trovarobe. 68 Non s’intenderanno punto di musica, di poesia, di scene, di balli, comparse, orso, ecc. e decideranno d’ogni cosa assolutamente. Saranno parziali di qualche compositore di musica, teatro, virtuoso, comparsa, orso, poeta, ecc., biasimando gli altri, ecc. Anderanno all’opera col pegno, posponendo ogni sera un quarto d’ora, e così vedranno tutta l’opera in dodici sere. Frequenteranno comedie per manco spesa e non baderanno all’opera né pure la prima sera, toltone che a qualche mezz’aria della prima donna, alla scena dell’orso, ai lampi, alle saette, ecc. Faranno la corte a’ virtuosi dell’uno e dell’altro sesso per entrar seco loro senza biglietto, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc. Conduttore del botteghino in teatro sarà dilettante di musica, avrà sempre carte di musica addosso e nel banco e sarà protettore amorevolissimo di tutti li virtuosi. Darà da bere gratis a tutti li musici, suonatori, impresario, comparse, orso, poeta, ecc., regalando, per lo più a virtuose, cantate di Napoli. Venderà per galanteria e per burla di chi non se ne accorgesse caffè meschiato con orzo e fava, pan brustolato, ecc., rosolini di varie sorte e con vari nomi,283 formati tutti però d’acquavita284 ordinaria e miele solamente, sorbetti con spirito di vetriol285 per limoni impetriti con salnitro286 o cenere invece di sale, cioccolata composta di zuccaro, canella matta, mandorle, ghiande e caccao salvatico, mai acqua schietta se non fosse ricercata con acquavita, vini e comestibili al solito. Il tutto a prezzo quadruplicato, ecc., ecc., ecc., ecc. Il fine rosolini… nomi: rosolio da ros solis ‘rugiada del sole’, liquore a bassa gradazione, destinato alle signore e perfino alle suore; in origine era prodotto con petali di rosa ma si otteneva anche dalla macerazione e dall’infusione alcolica di erbe aromatiche o frutta. 284 d’acquavita: acquavite, distillato di mosto, cereali o frutta a forte gradazione alcolica. 285 vetriol: solfato di rame o di ferro; improbabile l’allusione all’acido solforico, pericoloso e corrosivo. 286 salnitro: nitrato di potassio, usato come fertilizzante, come conservante delle carni salmistrate e come componente della polvere da sparo. 283 69 70 Nota al testo Testimoni della princeps s.n.t. [Venezia, Antonio Pinelli, 1720], pp. 64 L’edizione è stata condotta sul testimone a stampa conservato in I-Vnm; impronta: i,e- c.e, c.a. afre (3) 1720 (Q); nel frontespizio annotazione ms.: «Di Benedetto Marcello quondam Agostino»; a p. 3 L’auttore del libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5; finalini a pp. 13, 22 (pavone), 38; a p. 64 Indice. Altri esemplari: D-Mbs (datazione online: 1730), I-Baf, I-Fn, I-LOVat, I-Mc, I-Tp, I-Tulf, I-Vmc. Criteri di trascrizione Per la fantasiosa varietà di corpi e caratteri dell’originale, qui uniformati secondo la consuetudine «alla moda» oggi, si rinvia alla princeps del testo, facilmente reperibile online. I titoli dei paragrafi sono stati resi in corsivo alto e basso, così come gli argomenti evidenziati nell’originale da una riga vuota e dal carattere maiuscolo (pp. 51-54, 60-63, qui a pp. 58-60, 67-69). Si sono conservati gli a capo, mentre la punteggiatura è stata uniformata all’uso moderno, in particolare eliminando la virgola prima del relativo e delle congiunzioni e, ma o né. Si sono mantenute le maiuscole soltanto per i nomi propri. Il discorso diretto e le citazioni, vere o inventate, sono stati chiusi tra virgolette basse. Sono stati emendati: p. 8, riga 34, qui a p. 15, latri a dormire] altri a dormire; p. 25, righe 24-25, qui a p. 32, bottone li diamanti] bottone di diamanti; p. 45, righe 8-9, qui a p. 51, seguir ma tutte assieme] seguir mai tutte assieme; p. 47, riga 14, qui a p. 55, passo di minuett’] passo di minuetto; p. 59, riga 31, qui a p. 66, seconda parte e &c.] seconda parte, ecc. Sono tati mantenuti: l’articolo un davanti a parole che iniziano con s più consonante; le per li, gli o li per le e simili (insegnatigli ‘insegnatele’, leggerli ‘leggerle’, riaccendendole ‘riaccendendoli’, ecc.); l’alternanza fra geminate e scempie (avvantagiosa, caccao, canella ‘cannella’, cappelli ‘capelli’, dopi ‘doppi’, epittetando, lazi ‘lazzi’, maestro di capella, ovata ‘ovatta’, papagallo, proccurar, quatordici, regallo, 71 rifflettendo, scattola, sovverchio, suggerittore, tamburro, tellaro, tratteranno ‘tratterranno’, ubbriacchi, ventiquatro, ecc.), talora di origine etimologica (auttore, azzione, commodo, commune, correzzione, lezzione, sodisfazzione, ecc.); le forme obsolete (adverbi, anderà, anotomia, dasse ‘desse’, diecisette, esequire, milledoicento, oboè, sincope ‘sincopi’, strascino ‘trascinamento’), veneziane (pranso ‘pranzo’) e ipercorrette (gezzo ‘gesso’); i nessi palatali (aggiugnere, bacierà, mangieranno), a meno che non generassero ambiguità nella lettura (gle la] gliela); le elisioni, le apocopi e i troncamenti, aggiungendo l’apostrofo se necessario, per esempio nei titoli dei paragrafi (A poeti] A’ poeti, A sarti] A’ sarti); la costruzione ellittica del relativo (ciò gli verrà ‘ciò che gli verrà’, quale ‘il quale’ o ‘la quale’, quali ‘i quali’ o ‘le quali’). Sono state unite le parole la cui fusione non comporta accento o raddoppiamento fonosintattico (contr’alto] contralto, fin ch’altri] finch’altri, ogn’uno] ognuno), mentre le altre sono rimaste invariate (affine che ‘affinché’, contrabasso, contrapunti, contratempi, contuttocché, da vero, giustaccuori, né pure, overo, soprapiù, ecc.). È stata resa con i la j intervocalica (gaje] gaie) o finale nella flessione del verbo e nel plurale (pronunzj] pronunzi, proprj] propri), mentre è stata mantenuta la grafia ii. L’h etimologica o paretimologica è stata eliminata (chorde] corde, chromatico] cromatico, essachordi] essacordi, gigha] giga) e aggiunta nelle interiezioni (O] Oh) o nell’elisione del relativo prima delle voci del verbo avere (c’ho] ch’ho, c’hanno] ch’hanno). Sono state svolte le abbreviazioni (Bmolle] bemolle, &] e/ed (ma ed vive come ad e od ), v.g.] verbi gratia, V.V.] violini), con una sola eccezione (&c.] ecc.), ripetuta tante volte quante si trovano nell’originale. Oltre che al testo, questi criteri sono stati applicati alle citazioni in nota e alle didascalie delle illustrazioni. Commento Il commento, che in alcuni casi potrà sembrare ridondante, è impostato secondo le regole della collana, rivolta (almeno si spera) a un’utenza internazionale e disparata. Dunque il lettore troverà per esempio le date di nascita di Aristotele, Orazio, Dante, Petrarca e simili, la spiegazione di cadenza, sincope o trillo, sempre alla prima occorrenza e senza rinvii. 72 Malgrado la tentazione di allargare il campo, per le allusioni di Marcello a navicelle, uccelletti, orsi, ecc., sono stati forniti pochissimi esempi fra i molti che documentano l’uso anteriore al 1720 (Aureli, Noris, Vivaldi, Zeno, ecc.). In qualche caso si annota la sopravvivenza dei topoi dopo l’uscita del Teatro alla moda. Per i drammi musicali citati, non necessariamente nella lezione della princeps, soltanto la prima volta si danno gli autori di testo e musica col prenome (salvo i casi di omonimia), il titolo e gli estremi della rappresentazione, mentre per Metastasio e per Goldoni si cita la première ma si tralascia il compositore. Per le biblioteche si adottano le sigle Rism. Il volume è sprovvisto dell’indice di nomi, luoghi e argomenti, perché il lettore interessato potrà eseguire qualsiasi indagine in rete, all’indirizzo www. diastemastudiericerche.org. Altre edizioni Il pamphlet di Marcello è stato oggetto di rifacimenti,1 d’innumerevoli riprese, corredate dalla premessa ma quasi sempre senza commento,2 e di traduzioni in francese3 o in altre lingue.4 Si descrivono qui di seguito soltanto le edizioni Il teatro alla moda distrutto, trovato e riprodotto ovvero Avvertimenti necessarii ed utili ad ogni persona pertinente al teatro, dedicato agli amatori delle opere italiane in musica per M.N. denominato lo Sminuzza, Parnaso, all’insegna dei Capuleti e de’ Montecchi [Napoli, Trani], 1834. 2 Napoli, Ferrante, [1882]; Milano, Ricordi, 1883; Venezia, tipografia dell’Ancora, 1887, a cura di Andrea Tessier e Giammaria Mazzuchelli; Firenze, Guglielmo Piatti, 1897, a cura di Étienne Audin de Rians (a p. 53 Canzon in bolognese per Maria Malibran); Lanciano, Carabba, 1913, con un prologo e un sonetto satirico di Enrico Fondi; [Milano], Bottega di Poesia, 1927, a cura di Andrea D’Angeli (ristampa Milano, Ricordi, 1956); Milano, Rizzoli, 1959, a cura di Ariodante Marianni; Torino, [1965], a cura di Giacomo Alessandro Caula; Alpignano, Tallone, 1982; Udine, Pizzicato, [1992]; Roma, Rai, 1992, a cura di Giancarlo Rostirolla; Roma, Castelvecchi, 1993, a cura di Sergio Miceli; Roma, Quiritta, 2001, a cura di Raffaele Manica; Milano, Il Polifilo, 2006, a cura di Carmelo Di Gennaro; Perugia, Era Nuova, 2010, a cura di Franco Piva. 3 Paris, Fisherbacher, 1890, a cura di Ernest David (ristampa Arles, Bernard Coutaz, 1993, a cura di Ernest David e Jacques Drillon); Lyon, Aléas, 1991, a cura di Jean Paul Montagnier; Paris, Cerf, 1999, con Francesco Algarotti, Essai sur l’opéra. 4 Das Theater nach der Mode, zum ersten Mal ins Deutsche übertragen von Alfred Einstein, MünchenBerlin, Georg Müller, [1917]; Il teatro alla moda, a critique of early Settecento opera, [1947], a cura di Reinhard G. Pauly; El teatro a la moda, Madrid, Alianza Editorial, 2001, a cura di Stefano Russomanno; Das neumodische Theater, [Eppelheim-Norderstedt], 2001. 1 73 settecentesche, con impronte, capilettera e finalini diversi dalla princeps, ricordando che la napoletana del 1761 è uscita dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1739. s.n.t. [Venezia, 1720?], pp. 64 Esemplare consultato: I-Vnm; impronta: eren c.e, c.a. afre (3) 1720 (Q); frontespizio conforme alla princeps ma parzialmente giustificato, con & svolta in ed; a p. 3 L’autore del libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5; finalini a pp. 13, 22 (pavone), 38; errore a p. 16 numerata 18; a p. 64 Indice. Altri esemplari: B-Gu (in seconda di copertina annotazione ms.: «Questa satira è di Benedetto Marcello. Fu pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1722 [cfr. Gaetano Melzi, Dizionario delle opere anonime e pseudonime, Milano, Luigi di Giacomo Pirola, 1848-1859, III, p. 129]; la presente edizione è la ristampa del 1738, Venezia»), I-Baf, I-Fn, I-LOVat, I-Mc, I-Vmc. s.n.t. [Venezia, 1720?], pp. 72 Esemplare consultato: I-Vnm (nel contropiatto della legatura ex libris: «Apostoli Zeni»); impronta: he,e d’t- SAna &cra (3) 1720 (Q); a p. 3 L’auttore del libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5, 15, 25, 31, 44; finalini mancanti. Altri esemplari: I-Baf, I-Bcar, I-Bu, I-Fn, I-Mb, I-Rc, I-SSVam, I-Vmc. 74 Milano, Francesco Agnelli, [1738], pp. 72 Esemplare consultato: I-Vnm; impronta: e,in joo- SAna &cra (3) 1738 (Q); frontespizio: vignetta speculare rispetto alla princeps; a p. 3 L’auttore del libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5, 15, 25, 31, 44; finalini mancanti. Altri esemplari: I-Mb, I-Vc, I-Vmc; anastatica: Milano, Ricordi, 1883; Torino, Petrino, s.d. Frontespizio Il teatro alla moda o sia Metodo sicuro e facile per ben comporre ed eseguire l’opere italiane in musica all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impresari, suonatori, ingegneri e pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose ed altre persone appartenenti al teatro, dedicato dall’auttore del libro al compositore di esso. Stampato ne’ borghi di Belisania per Aldiviva Licante, all’insegna dell’orso in peata. Si vende nella strada del Corallo alla porta del palazzo d’Orlando, come pure in Milano da Francesco Agnelli [1665-1739, editore in contrada Santa Margherita dal 1702], stampandosi ogn’anno con nuova aggiunta. 75 Napoli, Vincenzo Manfredi, 1761, pp. 8 non numerate + 62 Esemplare consultato: I-Nn; impronta: elt- taar t-e. (bAr (3) 1761 (R); fregio nel frontespizio; a p. 7 non numerata L’autore del libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 7 non numerate; finalino a p. 8 non numerata; testatina (un sole fra due cornucopie) e capolettera a p. 1; finalini a pp. 9, 18, 34, 62; a p. 60 Indice; a pp. 61-62 Indice de’ libri stampati dal signor Giacomo Antonio Venaccia; eliminata la patina linguistica veneziana e corretti gli errori della princeps, tranne l’ultimo in italiano e tutti quelli in bolognese. Altri esemplari: I-Mc, I-Rv, I-Vmc. Frontespizio Il teatro alla moda o sia Metodo sicuro e facile per ben comporre ed eseguire l’opere italiane in musica all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impressari, suonatori, ingegneri e pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose ed altre persone appartenenti al teatro, dedicato all’avvocato signor don Gennaro Cajafa [membro dell’accademia che si riuniva in casa del marchese Giovanni Antonio Castagnola dal 1730 circa al 1760]. In Napoli, MDCCLXI, nella stamperia di Vincenzo Manfredi e a spesa [sic] di Giacomo Antonio Venaccia. Si vendono nel corridoio del consiglio con licenza de’ superiori. 76 Reimprimatur Die 3 mensis ianuarii, 1761, reimprimatur. [Niccolò] Fraggianni [1686-1763, consultore ordinario del cappellano maggiore, con poteri di censura dal 1733]. [Giovanni Giuseppe] Carulli [1715-1786, cancelliere]. Dedica Illustrissimo signore, è stato sempre mai inveterato costume di quegli uomini, che hanno nutrito un fervente desiderio per le lettere, di presciegliere qualche ora del giorno e impiegarla nella lettura di qualche libro scherzevole, per sollevarsi l’animo occupato ed immerso nelle laboriose fatiche degli studi. Tutte le antiche e le moderne istorie ce ne hanno lasciato i monumenti di avere in cotal guisa praticato, o dimorando in qualche amena verzura o intrattenendosi cogli amici a’ divertimenti. A me riesce ora porgere occasione e motivo a vostra signoria illustrissima di poner tutto ciò in pratica con farle l’offerta di questo piccolo libro uscito dalla penna del non mai abbastanza lodato cavalier Benedetto Marcelli [sic] veneziano, quale era fornito di una non mediocre dottrina, versatissimo però nella musica; ma quello lo rendeva [sic] più maraviglioso era la facezia e la lepidezza, per cui diveniva l’oggetto desiderevole delle brigate. Gli venne in pensiero di formare un teatro a capriccio in cui, volendo ponere in comparsa i caratteri di ciascuna persona, che servir deve per la rappresentazione della commedia, prescrive il metodo che tener deesi, avvalendosi però di tutto l’opposto di quello che lo doverebbe essere. Viene intitolato il libro Il teatro alla moda; e per verità, in leggerlo vostra signoria illustrissima non potrà fare a meno d’ischiccherar della risa [sic]. Da più anni avea nell’idea di farne la ristampa, per esser molto pochi coloro che ne aveano la notizia; ma sempre ho differito di eseguirlo. Ora, per le grandi premure che me ne ha dato un amico, non ne ho potuto fare a meno, anco ad ogetto di divertire i signori letterati di cui mi lusingo d’incontrare tutto il piacere. Ho pensato ancora di presentarlo a vostra signoria illustrissima perché possa, dopo le serie applicazioni de’ suoi studi, rinvenire un piacevole e gustoso divertimento nel leggere questo picciol libro. Son persuaso che l’offerta non corrisponde al suo merito ch’è di gran lunga eccessivo; ma dovrà considerare che io, che da più anni ho la gloria di essere annoverato il più infimo suo servo, mi ho preso l’ardire di presentarle 77 un dono che, sebbene sia di picciol momento, le riuscirà però di sommo gusto al palato. Spero adunque che accettar lo voglia di buon animo, per maggiormente dichiararmi e rassegnarmi per sempre di vostra signoria illustrissima divoto servitor vero obbligato. Giacomo Antonio Venaccia Napoli, addì 3 gennaio 1761 78 Fabio Foresti Le parti in bolognese e la traduzione 79 80 Il Teatro alla moda documenta un registro di bolognese parlato dell’uso medio, che in questo inizio del Settecento ha già trovato un brillante e anti-retorico impiego letterario nei dialoghi di Lotto Lotti.1 Le lunghe battute della «cantatrice» «virtuosa» e della madre offrono così la testimonianza di una delle varietà della lingua locale, l’idioma materno di tutta la popolazione, stratificato nelle sue realizzazioni da parte di ceti e in contesti sociali differenti.2 Le modalità di trascrizione delle parti in bolognese testimoniate dall’opera di Marcello, forti di una ormai lunga tradizione di scrittura, sono coerenti nel regolare le corrispondenze tra le unità fonetiche e quelle grafiche, come pure capaci di riconoscere l’autonomia dei singoli costituenti morfologici della frase, che nel parlato formano una catena continua. Nel separare gli elementi grammaticalmente indipendenti che nel bolognese, plurimi e complessi, si sono spesso ridotti a forme di una sola sillaba e di un unico suono (vocalico o consonantico), l’autore delle parti in bolognese non si sottrae, tuttavia, al condizionamento esercitato dall’italiano e al suo influsso normalizzatore; utilizza cioè, come segni di troncamento di una sillaba o di elisione di una vocale finale, gli apostrofi, i quali non si giustificherebbero perché le forme bolognesi sono il risultato del tutto indipendente di una differente evoluzione storica (non ci sono nel bolognese parole di cui distinguere forme tronche ed elise da quelle che non presentino tali fenomeni). Nel trascrivere il bolognese per l’edizione del Teatro alla moda, si è adottato un criterio estremamente conservativo, intervenendo soltanto per emendare (p. 32, riga 22, qui a p. 40, vrb’] urb’ ‘ciechi’; p. 34, riga 4, qui a p. 42, d’hi umorin] di umorin; p. 56, righe 28-29, qui a p. 63, dle zirandel] del zirandel; p. 57, riga 4, qui a p. 63, meje] meis ‘mese’; p. 57, riga 16, qui a p. 64, una mistucchinn] una mistucchina ‘castagnaccio’) e nei pochi casi in cui la grafia non risulti congrua con le norme stesse adottate nell’edizione a stampa dell’opera per quanto riguarda la divisione delle parole (a ni ved] a n’i ved, an la digh] a n’ la digh, a nal poss] a n’al poss, a nev’] a n’ev, ecc.). Come per l’italiano, in cui è da sottolineare il frequente ricorso dell’autore ai venezianismi lessicali (puntualmente spiegati nelle note), sono stati mantenuti: l’alternanza fra geminate e scempie (azzion, protezzion, ecc.) e tra le forme italianizzate o meno (ni/né, vuster/voster, ecc.); le elisioni, le 1 2 Lotto Lotti, Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703. Cfr. Fabio Foresti, Profilo linguistico dell’Emilia-Romagna, Roma-Bari, Laterza, 2010. 81 apocopi e i troncamenti, conservando – come si è già specificato – l’apostrofo. Sono state unite le forme che non comportano raddoppiamento fonosintattico (sta sira] stasira). La j è stata resa con i (maraveja] maraveia, mjs] mis ‘mesi’, pajes] paies). La grafia etimologica è stata modernizzata (ation] azion). Si sono distinte le forme omografe nell’originale (po’ ‘poco’, po ‘poi’, pò ‘può’). La versione in italiano delle parti in bolognese si propone come fedele al testo originale, senza tuttavia essere inutilmente letterale.3 Questa scelta è dovuta a due ordini di ragioni: innanzitutto, la necessità di evitare i cosiddetti «falsi amici», cioè parole italiane formalmente simili a quelle del bolognese, ma di significato diverso; in secondo luogo, ma non di minore importanza, la volontà di offrire al lettore – di norma – la traduzione in un italiano corrente, dell’uso, privo di arcaismi sintattici e lessicali. Una varietà di italiano in grado anche di rispettare dell’opera, da un lato, lo stile linguistico, che si affida a dialoghi animati dove il parlato è spesso diretto e acceso (e la traduzione di questi si connota per una leggera coloritura locale, affidata ai frequenti, mantenuti rafforzativi frasali del bolognese, come «poi», «bene», ecc.). Dall’altro lato, si è tentato di rendere del testo originale l’atmosfera settecentesca delle situazioni, degli ambienti e dei rapporti, nell’insieme evocati molto bene – nell’opera di Benedetto Marcello – da una lingua locale usata allora per ogni genere di attività intellettiva, astratta e applicata (dai cicli di lavoro rurali e tecnico-artigianali al funzionamento degli apparati, alle arti figurative, alla musica), per ogni modalità di relazione verbale tra aristocratici, borghesi e popolani, in contesti comunicativi plurimi (nelle istituzioni, nelle piazze e nei teatri, nelle botteghe, nelle famiglie), per ogni prodotto dei sistemi simbolici e dei patrimoni immateriali della popolazione, inclusa la ricca letteratura dialettale (di cui in quest’opera viene offerta un’ulteriore, inedita prova). Riemergono così il contesto storico dell’Italia degli antichi stati, con il ricorrente termine «paese», per indicare un centro abitato, una provenienza territoriale, non necessariamente un paese; i riferimenti alla cultura dell’educazione per una determinata fascia sociale di giovani donne, le cui «virtù» da apprendere dovevano riguardare – oltre al canto e al saper fischiettare un motivo musicale, nel nostro specifico caso – l’arte del ricamo, dell’eseguire merletti, della scherma Si è utilizzato in prevalenza Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna, Monti, 1869-1874. 3 82 e del ballo (e l’elementare latino che si insegnava nelle ore di gramatica); il servizio di trasporto per via d’acqua – garantito dal porto navile di Bologna – da e per la bassa pianura (che era allora un’area depressa con ampie distese d’acqua dolce), fino a Malalbergo, Ferrara e, a oriente, Venezia; l’uso di voci e locuzioni strettamente legate alla realtà economica e urbanistica: quando si paragonano certi orchestrali di poca abilità a ciechi che vadano in un setificio, una raffinata e tecnologicamente avanzata attività proto-industriale, allora ancora fiorente in vari distretti della città; oppure quando si fa ricorso al richiamo arillà, usato per incitare gli animali da tiro e che pure nessuno degli spettatori si degna di rivolgere alla cantante dopo una pessima esibizione (come la madre le ricorda, rimproverandola). Un richiamo che rinvia anche al Camp’ di Bù ‘Foro Boario’, ricordato nel testo a proposito della sistemazione – si assicura provvisoria – della «virtuosa», uno dei luoghi di commercio del bestiame della città, malfamato per la presenza di prostitute e delinquenti, che le autorità tentarono a più riprese (fin dal secondo Cinquecento) di riqualificare; l’intervento comprese pure provvedimenti ufficiali di sostituzione di quel toponimo urbano, evidentemente senza successo, considerato l’uso che qui ne viene ancora attestato (e che perdurerà fino alla fine dell’Ottocento, quando si ribadì con una delibera che «borgo» Lotto Lotti, San Leonardo, un nome fino ad al- Rimedi per la sonn da lezr [sic] alla banzola lora mai utilizzato dalla popolazio- [sesta edizione], ne, sarebbe divenuto «via».4 Bologna, stamperia di San Tomaso d’Aquino, 1776, antiporta di Giuseppe Cantarelli. Cfr. Mario Fanti, Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica, 2 voll., Bologna, Istituto per la Storia, 20002. 4 83 84 Marco Bizzarini Lo spiritoso pamphlet di un conservatore progressista 85 86 Se Teatro alla moda, come si evince dal contesto, significa essenzialmente teatro musicale moderno, allora la celebre satira di Benedetto Marcello s’inserisce nel flusso continuo d’una mai sopita querelle des Anciens et des Modernes: «In primo luogo» scriveva il letterato e compositore veneziano «non dovrà il poeta moderno aver letti né legger mai gli autori antichi, latini o greci. Imperciocché nemeno gli antichi greci o latini hanno mai letti i moderni».1 L’ineccepibile paradosso si estendeva pure ai musicisti: «Non dovrà il moderno compositore di musica possedere notizia veruna delle regole [sottinteso: antiche] di ben comporre, toltone qualche principio universale di pratica».2 Un ruolo strategico veniva dunque affidato alla citazione iniziale dall’Ars poetica di Orazio, in cui lo stesso Marcello, pur senza scrivere una vera e propria opera in musica (nil scribens ipse), fingeva ironicamente di insegnare il compito (munus et officium) di ogni operatore teatrale, impartendo dettagliate istruzioni su come trovare gli opportuni mezzi artistici (unde parentur opes). Tutti aspetti che erano già stati elencati nel lungo sottotitolo del pamphlet: Metodo sicuro e facile per ben comporre ed esequire l’opere italiane in musica all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impresari, suonatori, ingegneri e pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose e altre persone appartenenti al teatro.3 Menzionare l’Ars poetica in apertura di libro voleva dire non solo schierarsi dalla parte degli Anciens, ma anche – implicitamente – alludere alla natura ibrida e alle incongruenze del teatro musicale italiano di quegli anni. Orazio aveva denunciato il rischio dell’umorismo involontario in cui sarebbe incorso un pittore che avesse rappresentato una testa umana unita a un collo di cavallo: Humano capiti cervicem pictor equinam iungere si velit […], spectatum admissi, risum teneatis, amici?4 1 Qui a p. 9; per uno sguardo d’insieme sulla vita e sull’opera di Marcello, mi sia consentito rinviare a Marco Bizzarini, Benedetto Marcello, Palermo, L’Epos, 2006, da cui derivano alcuni spunti rielaborati nel presente saggio. 2 Qui a p. 22. 3 Qui a pp. 6-7. 4 Orazio, Ars poetica, 1-5 : «Se il pittore volesse unire un collo di cavallo a una testa umana […] 87 Fin troppo facile applicare tale metafora all’opera in musica. Negli anni a cavaliere tra Sei e Settecento il poeta Bartolomeo Dotti aveva già provveduto a tracciare un collegamento fra il memorabile incipit oraziano e le supposte mostruosità dei drammi musicali coevi. Nella satira sesta intitolata Il carnevale, la cui pubblicazione avrà luogo soltanto mezzo secolo più tardi con falso luogo (anche se v’è motivo di credere che fosse già notissima nella Venezia di Marcello), Dotti confessava che «per straridere» non trovava nulla di meglio che assistere «ai drammi musicali». E aggiungeva: Membra d’uomo e di cavallo, dice Orazio, non si accasino, non succede qui tal fallo ch’alcun drama è tutto d’asino.5 Come ognuno può vedere, non siamo troppo lontani dall’esprit corrosivo del Teatro alla moda. Dotti non esitava neppure a citare un paio di musicisti all’epoca ben conosciuti: Versi poi stroppi che solo, per conciarli in bocca ai musici, al Ziani, al Pollarolo fa mestier esser cerusici.6 Si trattava rispettivamente dei compositori Marco Antonio Ziani (circa 1653-1715), nipote di Pietro Andrea Ziani, e di Carlo Francesco Pollarolo (circa 1655-1721), autori delle musiche della maggior parte dei drammi rappresentati nei teatri di Venezia tra la fine del Sei e l’ini- Pier Leone Ghezzi, Carlo Francesco Pollarolo, 1719, disegno a penna, I-Rvat. e vi facesse vedere il tutto, sapreste trattenere le risate, amici miei?». 5 Bartolomeo Dotti, Satire, Ginevra [ma Parigi], fratelli Cramer, [1757], I, p. 101. 6 Ivi. 88 zio del Settecento. Dotti se la prendeva pure con i librettisti Girolamo Frigimelica Roberti, Francesco Silvani e Giovanni Filippo Apolloni. Ma il suo bersaglio preferito era Matteo Noris, i cui eccessi barocchi, ossia «spropositi noristici», per esser debitamente temperati avrebbero richiesto il rigore del famigerato dottor Giacomo Gregoris, consulente fiscale del Magistrato de’ Feudi in Friuli: Iacopo Chiavistelli e Arnold van Wsterhout, Margine di fiume che va al mare e una torre, incisione per Matteo Noris-Giovanni Maria Pagliardi, Il greco in Troia, festa teatrale, Firenze, Pergola, 1689, II, 5. Iacopo Chiavistelli e Arnold van Wsterhout, Tempio illuminato con statue, il sepolcro d’Achille nel mezzo e una vittima davanti a quello cosparsa di fiori, incisione per Matteo Noris-Giovanni Maria Pagliardi, Il greco in Troia, festa teatrale, Firenze, Pergola, 1689, III, 22. 89 Ci vorria per porre in freno le sbrigliate idee del Noris, un fiscale, quale almeno co’ furlani era il Gregoris. 7 Perfino Apostolo Zeno, come rivelò il suo devoto seguace Marco Forcellini, amava citare in conversazione la suddetta quartina del Dotti: [Zeno] ci raccontò mille pazzie del Noris, il più noto [poeta drammatico] d’allora. Di lui il Dotti: «Le sbrigliate idee del Noris». Che [Noris] promesse la figlia a un trivigiano da lei amato, la chiamò in camera e sedendo fra due tavolini, se ’l vide e disse: «Fa’ conto che su questo ci sia una tazza di veleno, su questo uno stilo, e con lo sposo prendi ciò che vuoi». Che a Giovan Carlo Grimani disse in conversazione una sera: «Ora mi viene in mente un’idea da far cascar il teatro per istupore, fare che mentre si recita, all’improvviso si volga la scena ove sono i palchi ed i palchi ov’è la scena, la quale intanto tutta si cangi». E udendo che ciò era impossibile: «Sì» disse «ma se si potesse fare saria bellissima cosa». E qual pensava, tal componeva. Ecco il fanatismo.8 Apostolus Zeno, historicus et poeta caesareus. Incolumi gravitate iocum tentavit, in Apostolo Zeno, Poesie drammatiche, Venezia, Giambattista Pasquali, 1744. 7 Bartolomeo Dotti , Proponimento di non scriver più satire, in Andrea Della Corte, Satire e grotteschi di musiche e di musicisti d’ogni tempo, Torino, Utet, 1946, p. 259. 8 Marco Forcellini, Diario forcelliniano, ms., I-Vmc, cod. Cicogna 3430/15, paragrafo 207, in Marco Bizzarini, Griselda e Atalia: «exempla» di vizi e virtù nel teatro musicale di Apostolo Zeno, dissertazione di dottorato, relatore prof. Bruno Brizi, Università degli studi di Padova, 2008, p. 153 (consultabile online: http://paduaresearch.cab.unipd.it/248). 90 Fanatismo, ovvero smodata passione per la «maraviglia» e per l’«istupore». Licenze moderne di contro alla serietà antica. Non stupisce che Zeno, desideroso di restituire (per quanto possibile) dignità classica al compromesso genere del dramma per musica, guardasse con estrema simpatia al libello marcelliano, protetto dal velo dell’anonimato e pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1720 da Antonio Pinelli, 9 stampatore ducale. Malgrado le cautele di Marcello, il nome dell’autore del Teatro alla moda cominciò ben presto a diffondersi fra i letterati di Venezia e dell’intera penisola. Una prima menzione si trova nell’epistolario inedito di Zeno, in una lettera ad Andrea Cornaro, inviata da Vienna l’11 gennaio 1721: Nel dar la lettera al signor [Benedetto] Marcello, consolatevi per mia parte del suo gentilissimo libro [Il teatro alla moda] che qui da un amico prestatomi è stato da me goduto e ammirato. Io per verità ho fatta sempre grande stima dell’ingegno e dei componimenti di quel cavaliere. Questo suo ultimo parto ne ha in me accresciuto il concetto, non potendo essere né più spiritoso né più savio.10 Al 2 aprile del medesimo anno risale un’altra lettera di Zeno al fiorentino Antonfrancesco Marmi: Quel Teatro alla moda del signor Benedetto Marcello, che è fratello del signor Alessandro, è una satira gentilissima.11 Certo è che quel libello metteva in ridicolo l’intero universo del teatro d’opera. Con un ossessivo ricorso a istruzioni finte o alla rovescia, 12 secondo la figura antifrastica, poi adottata fra l’altro nel Giorno da Parini, la formidabile satira non risparmiava nessuno: dai librettisti ai compositori, dai cantanti all’impresario, dagli orchestrali ai ballerini, dalle maschere agli «affittascagni». Lo stesso frontespizio Carlo Vitali, «Il teatro alla moda» ha finalmente un editore, «Note d’archivio», n.s., I, 1983, pp. 245-250. 10 Apostolo Zeno, Lettera, in Marco Bizzarini, Griselda e Atalia cit., p. 125. 11 Apostolo Zeno, Lettere, Venezia, Francesco Sansoni, 1785, III, p. 257, n. 547. 12 «Avverta il buon poeta moderno di non intendersi punto di musica»; «Dovrà il virtuoso di violino in primo luogo far ben la barba, tagliar calli»; «Canterà [il virtuoso] nel teatro con la bocca socchiusa, co’ denti stretti; insomma, farà il possibile perché non s’intenda né pure una parola di ciò che dice»; qui a pp. 16, 49, 31. 9 91 con vignetta si poneva dinanzi agli occhi del lettore come un ingegnoso rebus carico di allusioni: Stampato ne’ borghi di Belisania per Aldiviva Licante, all’insegna dell’orso in peata. Si vende nella strada del Corallo alla porta del palazzo d’Orlando. Dietro questi nomi si celavano alcuni protagonisti della vita teatrale veneziana: era il caso anzitutto di Antonio Vivaldi (anagrammato in Aldiviva), ma anche di altri compositori quali Giovanni Porta, attivo pure come maestro di coro all’Ospedale della Pietà, e di Giuseppe Maria Orlandini, altro operista di grido. Il drammaturgo Giovanni Palazzi aveva scritto per Vivaldi il testo dell’Armida al campo d’Egitto (San Moisè, carnevale 1717-1718) e della Verità in cimento (Sant’Angelo, ottobre 1720). Le cantanti Caterina Borghi, Cecilia Belisani e Caterina Teresa Cantelli (quest’ultima anagrammata in Licante) provenivano tutte da Bologna ed erano scritturate al teatro Sant’Angelo. A loro si aggiungevano Anna Maria Strada e Antonia Maria Laurenti Novelli, detta la Coralla. Nel vogatore della vignetta si poteva riconoscere il signor Modotto, impresario del Sant’Angelo presso il quale Vivaldi (l’angelo violinista) aveva fatto rappresentare svariate sue opere. L’«orso in peata», ovvero sulla «barcaccia piatta da carico […] di molta capacità, per uso di trasporti di mercanzie»,13 era invece il signor Giovanni Orsatti, impresario del San Moisè, concorrente del Sant’Angelo. L’espressione gioiosa dell’orso era motivata dal fatto che l’angioletto «le suona all’impresario rivale, costringendolo a remare, mentre lui suona e con il piede batte il tempo».14 Grazie ad alcune annotazioni reperite su una copia antica, Malipiero fu il primo a comunicare le chiavi del frontespizio enigmatico. Ma nuovi contributi hanno ulteriormente ampliato la rosa delle possibili identificazioni: per esempio, Borghi potrebbe riferirsi a Gaetano Borghi, Belisania a Francesco Belisani.15 Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1856 (ristampa anastatica: Firenze, Giunti, 1993), s.v. 14 Gian Francesco Malipiero, Un frontespizio enigmatico, «Bollettino bibliografico musicale», V, 1930, pp. 16-19. 15 Eleanor Selfridge Field, Marcello, Sant’Angelo and «Il teatro alla moda», in Antonio Vivaldi. Teatro musicale, cultura e società, a cura di Lorenzo Bianconi e Giovanni Morelli, Firenze, Olschki, 1982, pp. 533-546; Sergio Durante, Vizi privati e virtù pubbliche del polemista teatrale da Muratori a Marcello, in Benedetto Marcello. La sua opera e il suo tempo, a cura di Claudio Madricardo e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 1988, pp. 415-424. 13 92 Opportunamente Andrea Della Corte si è domandato se la scelta di nomi quali Borghi, Strada, Corallo, Orso, Porta e Palazzo fosse semplicemente funzionale al divertente gioco di parole del frontespizio o se piuttosto mirasse a colpire determinati personaggi. Lo studioso propendeva per la prima ipotesi.16 Al contrario Remo Giazotto, nella sua monografia su Vivaldi, giungeva a una diversa conclusione, negando al Teatro alla moda la natura di «un divertimento satirico con carattere generico» e ravvisando invece l’intento specifico di screditare mediante circostanziate allusioni un personaggio ingombrante come il prete rosso, all’epoca attivo presso il Sant’Angelo, di proprietà delle famiglie Marcello e Cappello.17 D’altra parte, tale presunto motivo di rancore contro Vivaldi viene meno se si considera che quel teatro apparteneva sì alle famiglie Marcello e Cappello, ma non vi aveva parte il ramo del nostro autore.18 Resta comunque da valutare un’interessante testimonianza coeva: il quarto dialogo tratto dalla raccolta anonima Li diavoli in maschera, pubblicata a Venezia nel 1726. Eccone alcuni passi: Fichetto Dimmi di grazia, quell’orso così famoso nel Teatro alla moda si potrebbe saperne lo scioglimento dell’antonomasia […]? Frisesomoro Tutto lo scioglimento consiste nell’impresa del frontispiccio rappresentante una peata con oglio, farina, ecc. Fichetto […] Ma quell’angiolo che sta suonando il violino a poppa della peata, che, che [sic] significa di simbolico? Frisesomoro L’angiolo rappresenta il personaggio del prerotesso Aldiviva [il prete rosso Vivaldi].19 Da queste poche righe si deduce che fra tutti i personaggi tirati in ballo nel frontespizio del Teatro alla moda Vivaldi fosse quello maggiormente preso di mira, forse in ragione della sua notorietà. D’altra parte, Alessandro Marcello, fratello di Benedetto, il 15 ottobre 1722 in una lettera indirizzata alla principessa Livia Spinola Borghese aveva scritto parole di stima nei suoi confronti: Andrea Della Corte, Satire e grotteschi cit., pp. 281-282. Remo Giazotto, Vivaldi, Torino, Eri, 1973, p. 132. 18 Nicola Mangini, Benedetto Marcello e la vita teatrale a Venezia tra Sei e Settecento, in Benedetto Mar16 17 cello. La sua opera e il suo tempo cit., p. 52. 19 Ulderico Rolandi, «Il teatro alla moda» di Benedetto Marcello e le sue propaggini, in La scuola veneziana (secoli XVI-XVIII). Note e documenti, Siena, Accademia Musicale Chigiana, 1941, p. 53. 93 Credo mio preciso debito di presentare la persona a lei ben nota del signor don Antonio Vivaldi, famoso professor di violino, che si porta a Roma per far l’opera in carnovale, acciò nell’accogliere gli umilissimi miei ossequi, si degni pure riceverlo sotto l’ombra della di lei autorevolissima protezzione.20 Per meglio comprendere le ragioni che indussero Benedetto Marcello a scrivere Il teatro alla moda converrà approfondire alcuni aspetti biografici. Una sua missiva alla principessa Borghese in data 16 ottobre 1711 ci mostra un finissimo osservatore della vita teatrale veneziana: Ho sentito la Landini che veramente non è molto giovine [probabilmente ultraquaranten-ne] Anton Maria Zanetti il Vecchio, ma non si può dir tanto vecchia, Nobilomo Alessandro Marcello, mentre è benissimo fatta e assai disegno a penna e inchiostro bruno avvenente. Canta senza compara- su traccia di matita, I-Vgc. zione (a mio debole giudizio) con più virtù della Santa e con gusto ancora più raffinato. La voce è migliore perché non fatica nel cantare; circa l’azzione poi la fama ne discorre per tutto che sia particolare e forse unica, quand’abbia una parte a suo modo, come si dichiara che sia questa, della quale è soddisfattissima. Spero pertanto che risarcisca pienamente le mancanze della Santa.21 20 Fabrizio Della Seta, Documenti inediti su Vivaldi a Roma, in Antonio Vivaldi. Teatro musicale, cultura e società cit., p. 525. Vale la pena di precisare che una decina d’anni prima Benedetto aveva incaricato il fratello di rappresentarlo a Roma presso i Borghese. Il 28 maggio 1712 così aveva scritto alla principessa Livia: «So che il signor Alessandro mio fratello è in Roma e desidero vivamente che supplisca per me a tanti doveri che ho con questa eccellentissima casa»; Fabrizio Della Seta, I Borghese (1691-1731): la musica di una generazione, «Note d’archivio», n.s., I, 1983, p. 183. 21 Ivi. 94 Lo spettacolo cui Marcello faceva riferimento era una recita del Costantino, dramma di Apostolo Zeno e Pietro Pariati con musica di Francesco Gasparini, andato in scena nella stagione d’autunno al teatro di San Cassiano. Protagonista femminile dell’opera era Maria di Chateauneuf detta la Landini, interprete del ruolo di Fausta accanto al primo uomo Stefano Romani detto Pignattino (Costantino). In ogni caso, il dato più interessante riguardava l’autore della musica: quel Gasparini che aveva personalmente curato la formazione musicale di Benedetto e con cui l’autore del Teatro alla moda e dei celebratissimi Pier Leone Ghezzi, Salmi dell’Estro poetico armoIl prete rosso [Vivaldi] compositore di musica che fece l’opera nico sarebbe a lungo rimasto [«Ercole sul Termodonte»] a Capranica del 1723, disegno a penna, I-Rvat. in contatto. Il riferimento al maestro lucchese consente inoltre di spiegare il paragone fra la Landini e «la Santa», identificabile con Santa Stella, futura moglie del compositore Antonio Lotti. Quest’ultima aveva in precedenza interpretato due opere dello stesso Gasparini: Engelberta al San Cassiano, nel carnevale 1709, e Tamerlano sempre lì, nel gennaio del 1711. Engelberta sarebbe poi stata ripresa a Bologna, sempre nel 1709, ma questa volta con la partecipazione di Maria Landini, donde l’aperta competizione fra le due cantanti. Che Marcello seguisse assiduamente le rappresentazioni delle opere di Gasparini è confermato da un’altra lettera scritta a Livia Borghese il 24 agosto 1712: «Sono a Bologna […]. Ho goduto quest’opera la quale però è molto inferiore a quella che vostra eccellenza sentì, non essendo compagnia per proporzionarla alli 95 virtuosi passati».22 Si trattava di una ripresa della Fede tradita e vendicata, su testo di Francesco Silvani, rappresentata al teatro Marsigli Rossi di Bologna. Quest’opera era andata in scena per la prima volta al San Cassiano nel carnevale del 1704 e per la ripresa di otto anni dopo vi aveva messo mano anche Giuseppe Maria Orlandini. Il cast che deluse Marcello comprendeva Francesco Bernardi detto il Senesino (Vitige), Marianna Benti detta la Romanina (Ernelinda), Domenico Tempesti (Ricimero), Gaetano Borghi (Rodoaldo), Angiola Campielli (Edvige) e Matteo Berselli (Edelberto). La stessa opera era approdata nella precedente stagione di carnevale al teatro Capranica di Roma, dove era stata apprezzata dalla principessa Borghese. La compagnia di canto Anton Maria Zanetti il Vecchio, aveva in comune il solo Borghi, menL’Orlandini [Giuseppe Maria] maestro di musica, tre i ruoli di Ricimero e di Ernelinda disegno a penna e inchiostro bruno erano affidati rispettivamente ad Antosu traccia di matita, I-Vgc. nio Bernacchi e a Domenico Tollini. Sicuramente tutte queste esperienze di spettatore ebbero un ruolo importante nella genesi del Teatro alla moda, come confermerebbero gli stessi riferimenti a Borghi e Orlandini contenuti nel frontespizio. Se poi Marcello nel pamphlet dedicò tante pagine alla colorita figura di una cantatrice emiliana, con ampie inserzioni di discorsi nella parlata locale, ciò avvenne per svariate ragioni. Anzitutto il compositore era stato ammesso all’Accademia Filarmonica di Bologna nel 1711 e intratteneva cordiali rapporti con Francesco Antonio Pistocchi,23 celebre maestro Ivi. Nella lettera in cui Marcello ringraziò Giacomo Antonio Perti per l’ammissione all’Accade- 22 23 mia Filarmonica (19 dicembre 1711) aggiunse in un poscritto: «Un abbraccio sviscerato al signor 96 di canto, già interprete di quattro opere musicate da Gasparini e rappresentate a Venezia tra il 1703 e il 1705.24 V’era inoltre il precedente modello letterario del dialogo La cantatriz del bolognese Lotto Lotti, apparso nel volume Rimedi per la sonn da liezr alla banzola,25 i cui personaggi – la cantatrice Sandrina, il suo maestro sgnor Cricca, la madre Pulonia e il protettore sgnor Proqul – anticipavano palesemente la virtuosa, la madre, il signor Crica [sic] e il signor Procolo del libello marcelliano. Si sa infine che fra i cantanti attivi nei teatri veneziani nel primo Settecento il gruppo di gran lunga più numeroso era proprio quello degli artisti bolognesi26 e tra i maestri di canto dediti in modo specifico all’insegnamento femminile rientravano Francesco Belisani (cui forse alludeva il Belisania del frontespizio) e Carlo Antonio Benati. Proprio quest’ultimo era il supposto autore di una curiosa lettera al contralto Vittoria Tesi che Marcello pose in musica in una sua cantata da camera: Bologna, li sei decembre millesettecento e disdotto Carissima figlia, per causa delle mie applicazioni, e passate e presenti, godo mala salute; e sono più giorni che non posso reggere la testa di sorte alcuna, ma spero in Dio benedetto che con un poco di riposo mi rimetterò. A buon conto finì questa nostr’opera domenica l’Ambreville; partì la notte per Turrino la Muzzia; partì ieri mattina per Mantova la Spagnola, partì anch’ella ieri mattina per Livorno e questa sera partirà la Coralla e la Santina per Brescia. Lodato Dio goderò un poco di quiete e mi riposerò da tante fatiche. Mi sono state raccomandate da gran signori tutte le cantatrici che dovranno recitare questo carnevale qui in Bologna, ma ho negato a tutti il servirli perché non posso più applicare; insino la Bombasara è arivata da Modona con lettere della corte e del marchese Orsi acciò io l’assista e, per Dio, gli ho saputo rispondere un bellissimo no. Già è rotta col suo maestro Cassani e subito son ricorsi a me perché gl’insegni da qui avvanti, ma non ne voglio sapere e per l’avvenire voglio certissimo mutar sistema, altrimenti sarebPistocchi». Il facsimile della lettera è riprodotto in Andrea D’Angeli, Benedetto Marcello: vita e opere, Milano, fratelli Bocca, 1940, tavola 9, a fronte di p. 24. 24 Il miglior d’ogni amore per il peggiore d’ogni odio (1703), La fede tradita e vendicata (1704), La Fredegonda (1704) e Il principato custodito dalla frode (1705). 25 Lotto Lotti, Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703; edizione moderna, a cura di Maria Grazia Accorsi, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1980; Alfonso Morselli, Una fonte d’ispirazione per «Il teatro alla moda» di Benedetto Marcello, «Accademia di Scienze Lettere ed Arti di Modena. Atti e memorie», serie V, XIV, 1956, pp. 136-159. 26 Sergio Durante, Alcune considerazioni sui cantanti di teatro del primo Settecento e la loro formazione, in Antonio Vivaldi. Teatro musicale, cultura e società cit., p. 435. 97 Anton Maria Zanetti il Vecchio, La [Vittoria] Tesi nell’anno 1718 in Sant’Angelo nel drama [di Giovanni Andrea Moniglia e Domenico Lalli, con musica di Giovanni Porta] intitolato «Amor di figlia», disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. be la vera maniera di morire vent’anni avanti il tempo. Mi riserbo il spazio venturo rispondere alla vostra lettera e so che mi compatirete ora perché non sto bene. Sabbato arrivò a Bologna un mio caro amico musico che vien di Germania e ha sentito l’opera di Sant’Angelo tre volte e altre tante a San Gioan Grisostomo e mi ha dato tutte le nuove distinte e di voi e della amica e della Cuzzona, Faustina e di tutte insomma; mi ha ancora portato una lettera lunga lunga lunga che gli ha dato l’amica tutta compita e d’infinita espressione al solito e di tutta finezza […]. Non vorrei che prendeste in mala parte il mio scrivere e li miei consigli perché tutto proviene dal mio buon cuore e da un cuor insomma che non trovereste mai più il compagno in questo mondo. Anzi dovreste star allegra perché questo è ’l vero segno quando un uomo vol veramente bene e ama da dovero e se mai vi dassi inquieto con questo modo di scrivere, avvisatemelo che mai più tocherò la vostra persona in questi particolari. Affezionatissimo padre Carlo Antonio Benati.27 Per una trascrizione completa, cfr. Marco Bizzarini, Benedetto Marcello. Le cantate profane: i testi poetici, Venezia, Fondazione Levi-Università di Padova, 2003, pp. 79-80. 27 98 Vincenzo Coronelli, Teatro Grimani a San Giovanni Crisostomo, in Venezia festeggiante per la creazione del serenissimo suo doge Giovanni secondo Cornaro, [Venezia], 1709. Fra i cantanti citati nella lettera si riconoscono Anna Maria Ludovica Ambrevil («l’Ambreville»), Teresa Muzzi («la Muzzia»), Silvia Lodi («la Spagnola»), Antonia Maria Laurenti Novelli («la Coralla» del frontespizio del Teatro alla moda), Santa Cavalli («la Santina»), Anna Belisa («la Bombasara»), Gaetano Berenstadt («caro amico musico che vien di Germania»), Margherita Caterina Zani («amica»), Francesca Cuzzoni («Cuzzona») e Faustina Bordoni («Faustina»). I manoscritti musicali recano l’implausibile lezione «Sartina», ma si tratta certamente di una corruttela in luogo di «Santina», poiché è documentato che la cantante bolognese Santa Cavalli nel dicembre del 1718 partecipò alla rappresentazione dell’Arrenione al teatro di Brescia. Nello stesso anno due astri di prima grandezza del firmamento operistico, la Bordoni e la Cuzzoni, avevano cantato insieme sulle scene venezia99 Anton Maria Zanetti il Vecchio, La [Francesca] Cuzzoni, il cavaliere Nicolino [Grimaldi], disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. Anton Maria Zanetti il Vecchio, Faustina [Bordoni e Francesco Bernardi detto il] Senesino, disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc. ne dando avvio a episodi di acceso fanatismo. Però non si trattava soltanto di un pittoresco fenomeno di costume, bensì di un profondo mutamento della vocalità, teso per lo più a esaltare la funzione spettacolare a scapito di quella drammatica, lo stile brillante a detrimento del patetico. La posizione ufficiale del mondo letterario era di unanime condanna. Nel 1727, a Londra, la stessa Faustina Bordoni venne coinvolta in una polemica innescata da Giuseppe Riva con il suo Avviso ai compositori ed ai cantanti.28 Non ci è pervenuta la replica scritta della cantante, ma sappiamo che un misterioso «A.C.» le rispose severamente in una lettera stam- Giuseppe Riva, Avviso ai compositori ed ai cantanti, in Francesco Degrada, Giuseppe Riva e il suo «Avviso ai compositori ed ai cantanti», «Analecta musicologica», IV, 1967, pp. 112-123. 28 100 pata a «Londra, li 9 febbraro 1728».29 L’autore del documento, scomodando la definizione di Aristotele nel poema dantesco, minacciava la Bordoni di rendere pubbliche due lettere dei «maestri di color che sanno»:30 l’illustre pedagogo bolognese Francesco Antonio Pistocchi, da poco scomparso, e «un nobile veneziano, insigne compositore e lepidissimo poeta nella sua lingua». Nessun dubbio sul fatto che quest’ultimo personaggio fosse Benedetto Marcello, come si preoccupava di chiarire una nota a margine della copia superstite. Rimane aperto l’enigma dell’identità di «A.C.»: dei tre possibili autori con queste iniziali – l’oscuro librettista Angelo Cori, il medico erudito Antonio Cocchi e il letterato Antonio Conti – si è per lo più data la preferenza a Cori.31 Tuttavia l’esplicita menzione di una lettera di Marcello fa sospettare lo zampino dell’abate Conti, il quale a sua volta potrebbe avere suggerito il testo ad Antonio Cocchi, all’epoca residente in Inghilterra: i due eruditi erano in contatto epistolare e proprio in quel periodo Conti aveva fornito a Marcello i versi delle cantate Timoteo e Cassandra. Tornando al decennio precedente, occorre ricordare che prima di pubblicare Il teatro alla moda Marcello aveva dato alle stampe, sempre in forma anonima, un altro libello di tono ben più aspro: la Lettera familiare di un accademico filarmonico ed arcade, abbozzo incompiuto di una severa dissertazione contro presunte improprietà stilistiche individuate nella raccolta di Duetti, terzetti e madrigali a più voci composta nel 1705 da Antonio Lotti. Alcuni degli spunti polemici esposti nella Lettera familiare si ripresentavano anche nel più celebre pamphlet. Marcello, per esempio, sosteneva l’assoluta necessità per ogni compositore di conoscere «alcuni principi di musical proporzione, cioè a dire consonanze, dissonanze, intervalli, accidenti, specie, relazioni, ecc.», anche se tutto questo poteva sembrare «cosa secca e senza veruno allettamento».32 Donde il consiglio alla rovescia del Teatro: «Non comprenderà [il moderno compositore di musica] le musicali numeriche proporzioni, non l’ottimo effetto de’ movimenti contrari, non la mala relazione de’ tritoni e d’essacordi maggiori».33 I-Bc, ms. F. 44. Il documento è discusso in Sergio Durante, Alcune considerazioni cit., pp. 457-459. Ovviamente Dante, Inferno, IV, 131. 31 George Dorris, Paolo Rolli and the Italian circle in London. 1715-1744, The Hague-Paris, Mou- 29 30 ton, 1967, p. 207; Sergio Durante, Alcune considerazioni cit., p. 458. 32 [Benedetto Marcello], Lettera familiare di un accademico filarmonico ed arcade, Venezia, [1716], p. 4. 33 Qui a p. 22. 101 Marcello insisteva spesso anche sulla corretta distinzione fra i generi diatonico e cromatico. Nella Lettera familiare un duetto di Lotti veniva censurato poiché al Si bemolle richiesto dalla realizzazione del basso continuo si contrapponeva un La diesis nella parte vocale: Non è la medesima la corda segnata [Si bemolle] e la corda cantabile [La diesis]. E che ciò sia verità sopra il mio e molti cembali formato con li spezzati […] cioè con ambi l’intervalli minore e maggiore si genera per detta segnatura una gran confusione […]. I due semituoni minore e maggiore formano veramente una dissonanza insopportabile.34 Alla confusione dei generi, resa evidente dai clavicembali con tasti spezzati (tali da distinguere diesis e bemolli), alludeva anche Il teatro alla moda: [Il moderno compositore] non distinguerà punto l’uno dall’altro li tre generi, diatonico, cromatico ed enarmonico, ma bensì confonderà tutte le corde di essi in una sola canzonetta a capriccio per separarsi affatto dagli autori antichi con tale confusione moderna.35 Ma ancora più grave era la confusione dei «modi o tuoni». Rileggiamo un passo del capitolo destinato A’ compositori di musica: Non saprà quali e quanti siano li modi overo tuoni, non come divisibili, non le proprietà de’ medesimi. Anzi sopra di ciò dirà non darsi che due soli tuoni, maggiore e minore, cioè maggiore quello ch’ha la terza maggiore e minore quello che l’ha minore, non rilevando propriamente ciò che dagli antichi per tuono maggiore e minore si comprendesse.36 Nella Lettera familiare Marcello aveva esposto la divisione cinquecentesca in dodici modi, ridotti a otto «tuoni» nella pratica secentesca, con differenze di numerazione, e infine a soli due (maggiore e minore) nell’uso tonale settecentesco.37 Ma un altro imbroglio lessicale nasceva dai termini «tuono maggiore e minore». Secondo la teoria zarliniana «tuono maggiore» indicava il rapporto numerico 9/8, presente in natura fra Do e Re, mentre «tuono minore» quello di 10/9, proprio [Benedetto Marcello], Lettera familiare cit., p. 65. Qui a pp. 22-23. 36 Qui a p. 22. Una frase molto simile si trova in [Benedetto Marcello], Lettera familiare cit., p. 42. 37 Ibid., pp. 41-42. 34 35 102 dell’intervallo fra Re e Mi. Tutt’altra cosa, dunque, rispetto alle moderne tonalità maggiori e minori. Un altro non trascurabile argomento riguardava la disputa sull’impiego del segno ‹ come doppio diesis nelle composizioni moderne. Nel Teatro alla moda l’autore prescriveva ironicamente: [Il compositore moderno] si servirà parimente del segno enarmonico [‹] in luogo del cromatico [I], con dire che sono la medesima cosa, perché già l’uno e l’altro fa crescere un semituono minore, e in tal forma sarà ignaro affatto che il cromatico debba sempre trovarsi fra tuoni per quelli dividere e l’enarmonico solamente fra semituoni, essendo special proprietà dell’enarmonico il dividere li semituoni maggiori e non altro.38 Marcello osservava che nel sistema greco il segno ‹ faceva crescere la nota di un quarto di tono (in realtà un comma nell’intonazione sintonica); pertanto gli sembrava inaccettabile che lo stesso segno, impiegato come doppio diesis, valesse per i moderni come alterazione di semitono. Nella prefazione al terzo tomo dell’Estro poetico armonico, con una lunga spiegazione, propose di sostituire il segno ‹, tuttora in uso nell’odierna notazione musicale, con il doppio diesis I I o perfino con il semplice diesis qualora in chiave fosse già prescritta un’alterazione per la nota in oggetto. Diversi teorici settecenteschi presero sul serio la questione: Francesco Antonio Calegari si dichiarò favorevole all’idea di Marcello,39 mentre Vincenzo Manfredini era contrario alla proposta per ragioni di praticità.40 Il passaggio da argomenti serissimi, come quelli di teoria musicale testé menzionati, a momenti d’irresistibile comicità si verifica spesso nel Teatro alla moda. Alcuni passi dell’opuscolo appartengono ai vertici dell’umorismo settecentesco. Basti pensare alle pagine iniziali sul poeta di moderni drammi per musica, abituato a chiudere le sue dedicatorie «con dire, per atto di profondissima venerazione, che bacia i salti de’ pulci de’ piedi de’ cani di sua eccellenza».41 Oppure si rilegga la descrizione delle specialità messe in vendita dal conduttore del botteghino: Qui a p. 23. Francesco Antonio Calegari, Lettera, in Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giu- 38 39 stiniani, Estro poetico armonico, Venezia, Domenico Lovisa, 1724, IV, pp. VI-VIII. Vincenzo Manfredini, Regole armoniche, Venezia, Guglielmo Zerletti, 1775, p. 12, nota 8: 40 «Sarà sempre più stimabile una regola semplice e facile che tutte le ragioni che una scrupolosa teoria addur potesse per darne una difficile». 41 Qui a p. 12. 103 Caffè meschiato con orzo e fava, pan brustolato, ecc., rosolini di varie sorte e con vari nomi, formati tutti però d’acquavita ordinaria e miele solamente, sorbetti con spirito di vetriol per limoni impetriti con salnitro o cenere invece di sale, cioccolata composta di zuccaro, canella matta, mandorle, ghiande e caccao salvatico, mai acqua schietta se non fosse ricercata con acquavita, vini e comestibili al solito. Il tutto a prezzo quadruplicato.42 Non per caso nella ristampa napoletana del Teatro alla moda, Giacomo Antonio Venaccia scriveva nella dedicatoria all’avvocato Gennaro Cajafa che leggendo il «piccolo libro […] del non mai abbastanza lodato cavalier Benedetto Marcelli [sic]», versatissimo nella musica ma meraviglioso soprattutto per facezia e lepidezza, non si poteva «fare a meno d’ischiccherar della risa».43 Se nel finto trattato marcelliano si alternavano di continuo tono serio e registro comico (con predominanza di quest’ultimo), in modo simile il piano di un dettagliato realismo scivolava improvvisamente nella dimensione surreale: Conviene il poeta corrente abbandonar ogni buona regola per incontrar il genio del corrotto secolo, la licenziosità del teatro, la stravaganza del maestro di capella, l’indiscretezza de’ musici, la delicatezza dell’orso, delle comparse, ecc.44 È sufficiente scorrere i paratesti dei drammi per musica veneziani dagli anni ’40 del Seicento in poi per verificare la sovrabbondanza di excusationes dovute al mancato rispetto delle regole classiche.45 Ma se i topoi del «corrotto secolo» e della «licenziosità del teatro» sono diffusissimi, sarà ben difficile trovare riferimenti alla «delicatezza dell’orso». Quando verso la fine del libello, nella lotteria, viene messa in palio «la penna ch’ha scritto Il teatro alla moda»46 è evidente che Marcello annovera le sue stesse pagine quale oggetto di satira: in questo modo, come ha osservato Giulio Ferroni, egli «strizza l’occhio al lettore svelandogli ambiguamente la propria cattiva coscienza, dovuta al fatto che parlare tanto a lungo e con tanto gusto del particolare di quel mondo moderno equivale in fondo ad esservi coinvolti, col pericolo Qui a p. 69. Qui a p. 77. 44 Qui a pp. 13-14. 45 Molte di queste dichiarazioni sono trascritte e commentate in Paolo Fabbri, Il secolo cantante, 42 43 Bologna, Il Mulino, 1990, passim. 46 Qui a p. 67. 104 di smentire ogni possibilità di autentico e definitivo rifiuto».47 Lo stesso Ferroni rileva che fra le convenzioni teatrali messe in burla nel Teatro alla moda compare la tipica scena del personaggio addormentato in un bosco e insidiato da un altro. Ma perfino una tragedia ritenuta esemplare come la Merope (1713) di Scipione Maffei comprendeva la medesima situazione;48 eppure lo stesso erudito veronese, ben lungi dal sentirsi in qualche modo offeso, definirà Il teatro alla moda una «facezia fina, arguta, graziosa e nobile»,49 un innocente divertissement, insomma, per certi aspetti analogo alle caricature di cantanti che Anton Maria Zanetti andava disegnando in quegli stessi anni. Si esce dall’impasse solo postulando che Marcello avesse voluto prendere in giro tutta la contemporaneità, incluso lo stimatissimo Apostolo Zeno, quando allude al consolidato sodalizio Zeno-Pariati scrivendo: «Si unirà [il poeta] con altro poeta, prestando il soggetto e verseggiandolo». E incluso il fratello Alessandro, versato in differenti discipline, quando afferma: «Dirà [il librettista] bensì d’aver corsi gli studi tutti di matematica, di pittura, di chimica, di medicina, di legge». E incluso – in una certa misura – se stesso. Eloquente in tal senso la spiritosa dedicatoria iniziale L’auttore del libro al compositore di esso, in cui autore e compositore altro non sono che un’unica persona beneaugurante: «E state sano, se non volete vedermi ammalato».50 Non bisogna tuttavia cadere nell’errore di sottovalutare la componente precettiva e riformatrice. Marcello nutriva un pensiero estetico forte, riguardo al quale cercò di mantenersi coerente: le dissertazioni della Lettera familiare e delle prefazioni all’Estro poetico armonico consentono di isolare il fondo dottrinale serio dagli intenti burleschi. Non per caso l’articolata ricezione sette-ottocentesca del pensiero musicale di Marcello riconobbe in larga misura le sue istanze riformiste. Il freno posto all’edonismo canoro e l’aspirazione a una più profonda unità dell’espressione poetico-musicale sono temi perenni – oltre che luoghi di molteplici fraintendimenti – di tanti progetti di riforme musicali, da Gluck a Wagner. Se ne può avere una dimostrazione confrontando gli scritti marcelliani con la Giulio Ferroni, L’opera letteraria di Benedetto Marcello e l’inedita «Fantasia ditirambica eroicomica», «Rassegna della letteratura italiana», LXXIV, 1970, p. 344. 48 Ibid., p. 338, nota 12. 49 Scipione Maffei, [Recensione al «Teatro alla moda»], in «Osservazioni letterarie che possono servire di continuazione al “Giornale de’ letterati d’Italia”», III, 1738, p. 308; edizione moderna in Scipione Maffei, De’ teatri antichi e moderni e altri scritti teatrali, a cura di Laura Sannia Nowé, Modena, Mucchi, 1988, pp. 69-75. 50 Qui a pp. 16, 10, 9. 47 105 celebre prefazione all’Alceste di Gluck, i cui concetti teorici, più che al grande musicista, probabilmente si devono al letterato Calzabigi.51 Da questa comparazione risulta che quasi ogni idea espressa nella premessa dell’Alceste era già stata formulata da Marcello più di quarant’anni prima. È pur vero che le posizioni del maestro veneziano riecheggiavano o condividevano luoghi comuni della musicografia primo-settecentesca, riallacciandosi al pensiero di Muratori e di Gravina. Tuttavia non si può disconoscere l’eredità del pensiero marcelliano nelle dichiarazioni programmatiche di Gluck o di Calzabigi che conosceva Il teatro alla moda, come confermano l’epigrafe oraziana del libretto L’opera seria e l’appello «A’ lettori» in cui sono ripresi molti argomenti del pamphlet.52 Altri echi della satira si ravvisano nella prefazione all’edizione di Alceste, due anni dopo la prima, per esempio quando vengono denunciati gli abusi dei ritornelli strumentali o dei vocalizzi («passaggi») dannosi all’economia del dramma. Ma ancor più rilevante sembra il debito nei confronti dell’Estro poetico armonico, quando Calzabigi-Gluck e Marcello parlano di «espressione de’ sentimenti» e di «semplicità»,53 quando ammettono licenze alle regole musicali ogni volta che la situazione descritta lo consenta, quando mirano alla varietà dello stile, quando condannano nel poeta le «fredde e sentenziose allegorie» (Alceste) ovvero le «allegorie favolose» (Estro), le Mariangela Donà, Dagli archivi milanesi: lettere di Ranieri de’ Calzabigi e di Antonia Bernasconi, «Analecta musicologica», XIV, 1974, pp. 268-300. 52 Daniela Goldin, Aspetti della librettistica italiana fra 1770 e 1830, «Analecta musicologica», XXI, 1982, p. 134. 53 [Ranieri Calzabigi-]Christoph Willibald Gluck, Altezza reale, in Alceste (Vienna, Giovanni Tomaso de Trattnern, 1769), in Giorgio Pestelli, L’età di Mozart e di Beethoven, Torino, EdT, 1979, pp. 288-290: «Quando mi accinsi a mettere in musica l’opera Alceste […] io cercai di ridurre la musica alla sua vera funzione, cioè di assecondare la poesia per rafforzare l’espressione dei sentimenti e l’interesse delle situazioni»; Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giustiniani, Estro cit., I, p. 2: «Quanto alla musica, ella è sopra materia, ch’esigge in primo luogo la espressione delle parole e de’ sentimenti»; [Ranieri Calzabigi-]Christoph Willibald Gluck, Altezza reale cit.: «Ho ritenuto inoltre che la parte più importante del mio lavoro dovesse consistere nella ricerca di una chiara semplicità ed ho così evitato di fare sfoggi di virtuosismi a scapito della chiarezza; non ho ritenuto che ci fosse alcun merito nella scoperta di una novità a meno che essa non fosse naturalmente richiesta»; Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giustiniani, Estro cit., I, pp. 3-4: «E veramente s’inganna di molto chiunque giudica che la semplicità dell’antica musica fosse una imperfezione, quando ella era appunto una delle maggiori sue perfezioni […] perciò quella schietta e semplice musica alla natura più s’accostava». 51 106 «descrizioni fiorite» (Alceste) ovvero gli «arbitri sovverchi» (Estro), le «inutili analogie» (Alceste) ovvero le «lusinghevoli digressioni» (Estro). La riforma di Calzabigi e Gluck rifletteva numerose tendenze della cultura settecentesca europea maturate soprattutto nella seconda metà del secolo: la nobile semplicità dell’antichità classica rivendicata da Winckelmann, il ritorno alla natura invocato da Rousseau e, nel campo della trattatistica, il Saggio sopra l’opera in musica (1755) di Francesco Algarotti che, citando espressamente la «celebre opera de’ Salmi», aveva riconosciuto all’autore del Teatro alla moda un posto d’onore nella storia del pensiero musicale settecentesco. Ancora una volta la riscoperta degli Anciens apriva nuove strade ai Modernes perché, come avrebbe sostenuto a fine Ottocento uno dei più illustri e ferventi ammiratori di Marcello, tornare all’antico può sempre generare un progresso.54 Nella lettera a Francesco Florimo, inviata da Genova il 5 gennaio 1871, Giuseppe Verdi scriveva la famosa esortazione «tornate all’antico e sarà un progresso», dopo aver ribadito l’opportunità per i giovani musicisti di studiare le composizioni di due dei più illustri maestri dei secoli passati: «Esercitatevi nella fuga costantemente, tenacemente fino alla sazietà e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegare la nota al voler vostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a disporre bene le parti ed a modulare senza affettazione; studiate Palestrina e pochi suoi coetanei, saltate dopo a Marcello e fermate la vostra attenzione specialmente sui recitativi»; l’epistola verdiana, che ebbe all’epoca larghissima risonanza, fu pubblicata nella «Gazzetta musicale di Milano», n. 4, 22 gennaio 1871; l’apprezzamento di Verdi per la musica di Marcello trovò esplicita conferma nella lettera ad Arrigo Boito del 5 ottobre 1887 (pubblicata fra l’altro in Claudio Casini, L’Ottocento. II, Torino, EdT, 1978, p. 217) in cui il compositore veneziano venne ritenuto eccellente accanto ad altri cinque antichi maestri italiani: Palestrina, Carissimi, Alessandro Scarlatti, Pergolesi e Piccinni. 54 107