6
Il teatro alla moda1
o sia
Metodo sicuro e facile per ben comporre ed esequire2 l’opere italiane in musica
all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impresari, suonatori, ingegneri
e pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose e altre persone appartenenti al teatro, dedicato dall’auttore
del libro al compositore di esso.
Pier Leone Ghezzi,
Gaetano Latilla,
1739, disegno a penna, I-Rvat.
1
alla moda: fra le tante riprese del titolo, cfr. L’opera in commedia, divertimento comico-critico [in prosa]
da recitarsi nel famosissimo teatro alla moda, Amsterdam [ma Venezia], Ercole Rom Sterk, [1726]; Il protettore alla moda, Venezia, San Moisè, 1747, e San Cassiano, 1749; Giovanni Fiorini-Gaetano
Latilla, L’opera in prova alla moda e Continuazione del dramma intitolato «L’opera in prova alla moda»,
Venezia, San Moisè, 1751.
2
esequire: per la trascrizione dell’italiano, cfr. qui a pp. 71-73.
7
Stampato ne’ borghi3 di Belisania4 per Aldiviva5 Licante,6 all’insegna dell’orso7
in peata.8
Si vende nella strada9 del Corallo10 alla porta11 del palazzo12 d’Orlando.13 E si
ristamperà ogn’anno con nuova aggiunta.
Munus et officium, nil scribens ipse, docebo
unde parentur opes.14
Horatius,15 Liber de arte poetica.
3
borghi: allusione a Caterina Borghi, cantante bolognese, oppure a Gaetano Borghi, tenore; cfr.
Sergio Durante, Vizi privati e virtù pubbliche del polemista teatrale da Muratori a Marcello, in Benedetto
Marcello. La sua opera e il suo tempo, a cura di Claudio Madricardo e Franco Rossi, Firenze, Olschki,
1988, p. 23.
4
Belisania: allusione a Cecilia Belisani, cantante bolognese attiva dal 1716 e moglie del compositore Giuseppe Maria Buini dal 1721, oppure a suo padre Francesco Belisani, basso.
5
Aldiviva: anagramma di Vivaldi.
6
Licante: anagramma di Cantelli, cognome di Caterina Teresa e di Angelo Maria, cantanti bolognesi attivi insieme nel primo Settecento.
7
orso: allusione a Giovanni Orsatti, impresario dei teatri veneziani; cfr. qui a p. 11.
8
peata: barca da carico della laguna di Venezia; Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano,
Venezia, Cecchini, 1856, s.v. (ristampa anastatica: Firenze, Giunti, 1993; d’ora in poi Boerio).
9
strada: allusione ad Anna Maria Strada del Po, interprete di Rosane in Giovanni PalazziAntonio Vivaldi, La verità in cimento, Venezia, Sant’Angelo, 1720.
10
Corallo: allusione ad Antonia Maria Laurenti Novelli, detta la Coralla, interprete en travesti di
Melindo in La verità in cimento cit.
11
porta: allusione al compositore Giovanni Porta (1675-1755), autore di circa trenta opere per i
teatri di Venezia, Roma, Londra e Monaco.
12
palazzo: allusione al librettista Giovanni Palazzi, autore di Armida al campo d’Egitto, Venezia,
San Moisè, 1718, e della Verità in cimento cit., musicate da Vivaldi.
13
Orlando: allusione a Giuseppe Maria Orlandini (1676-1760), compositore fiorentino e accademico filarmonico di Bologna, oppure a Grazio Braccioli-Vivaldi, Orlando finto pazzo, Venezia,
Sant’Angelo, novembre 1714, e a Braccioli-Vivaldi, Orlando furioso, Venezia, Sant’Angelo, dicembre 1714.
14
Munus… opes: Orazio, Ars poetica, 306-307: «Senza scrivere una riga di mio, insegnerò al poeta il suo compito e il suo dovere, dove si trovino gli strumenti».
15
Horatius: Quinto Orazio Flacco (Venosa 65 a.C.-Roma 8 a.C.).
8
L’auttore del libro al compositore di esso
A voi, o mio dilettissimo compositore del libretto presente, questo mio libretto consacro. Imperciocché, se per vostro piacere e per sollevarvi dalle noiose
cure, sì giocosa prosa in assai volgar frase (perché ben s’intenda) io dettai, giusto
ben sia che a voi medesimo l’indirizzi, perché è cosa già vostra quando per mia
comparisce. Voglio lusingarmi però che la presente operetta non sia per riuscire
discara o di poco giovamento a chiunque de’ teatri è solito approfittarsi, essendo
raccolte in essa molte delle più riguardevoli cose che importano a ben riuscire
nelle moderne sceniche operazioni. Pure se contro di me si scopriranno de’ malevoli detrattori, spero che, in voi solo affidandomi, saprete ben persuaderli e placarli. So purtroppo (per dir da vero) che molti, a cui la correzzione sopra le mal
fatte cose non piace, diranno che questa mia fatica è inutile e vana, chiamandomi
altri sprezzatore della moderna virtù; ma (ciò seguendo) avremo parimente un
piacere scambievole in vedendo risentirsi taluni, li quali, come colti nel commune
difetto, crederanno che appostatamente per loro io a scrivere siami posto e voi
di loro precisamente ridete. Frattanto, o indiviso mio amico, prendete a grado16
questo mio dono, come presentatovi da chi senza di voi non può vivere, e state
sano, se non volete vedermi ammalato. Addio.
A’ poeti
In primo luogo non dovrà il poeta moderno aver letti né legger mai gli autori
antichi, latini o greci. Imperciocché nemeno gli antichi greci o latini hanno mai
letti i moderni.
Non dovrà similmente professare cognizione veruna del metro e verso italiano, toltane qualche superficiale notizia che il verso si formi di sette o d’undeci
sillabe,17 con la quale regola potrà poi comporne a capriccio di tre, di cinque, di
nove, di tredici e di quindeci ancora.
prendete a grado: gradite.
sette… sillabe: i versi sciolti del recitativo ossia delle sezioni con intonazione sillabica, riservate
16
17
al dialogo o al monologo; il settenario ha l’accento sulla sesta sillaba, l’endecasillabo sulla decima
e sulla quarta (a minore) o sesta (a maiore); i versi italiani, in base all’ictus finale, si distinguono in piani
(accento sulla penultima sillaba), tronchi (accento sull’ultima), sdruccioli (accento sulla terzultima).
9
Dirà bensì d’aver corsi gli studi tutti di matematica, di pittura, di chimica,
di medicina, di legge, ecc., protestando che finalmente il genio l’ha condotto
con violenza alla poesia, non intendendo
però il vario modo di ben accentare, rimare, ecc., ecc., non li termini poetici, non le
favole, non l’istorie, ma introducendo anzi
nell’opere sue per lo più qualche termine
delle scienze sopracennate o d’altre che
non abbiano punto che fare con la poetica
istituzione.
Chiamerà pertanto Dante,18 Petrarca,19
Ariosto,20 ecc. poeti oscuri, aspri e tediosi
e, per conseguenza, nulla o poco imitabili. Sarà bensì provveduto di varie moderne poesie, dalle quali prenderà sentimenti,
pensieri e gl’interi versi, chiamando il furto
lodevole imitazione.
Ricercherà il poeta moderno, prima di
compor l’opera, una nota distinta dall’impresario della quantità e qualità delle scene ch’esso impresario desideri, per introdurle tutte nel dramma, avvertendo se
vi entrassero apparati di sagrificio, 21 di
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
Il nobilomo Zeno,
disegno a penna, inchiostro bruno
e acquerello, I-Vgc.
Dante: ovviamente l’Alighieri (Firenze 1265-Ravenna 1321).
Petrarca: ovviamente Francesco Petrarca (Arezzo 1304-Arquà 1374), autore degli imitatissimi
18
19
Rerum vulgarium fragmenta che comprendono 366 componimenti; fra le cosiddette tre corone fiorentine, canonizzate dall’Accademia della Crusca e da Pietro Bembo, qui manca Giovanni Boccaccio
(Certaldo 1313-1375).
20
Ariosto: ovviamente Ludovico Ariosto (Reggio 1474-Ferrara 1533), autore del poema cavalleresco fonte di numerosi libretti, fra cui Orlando furioso cit.
21
apparati di sagrificio: scena tipica; Apostolo Zeno-Antonio Lotti, Teuzzone, Venezia, San Cassiano, 1706, III, 12: «Al sacrifizio illustre / stien le vittime pronte e pronto il ferro»; per i topoi del
dramma musicale secentesco, cfr. Paolo Fabbri, Il secolo cantante, Bologna, Il Mulino, 1990.
10
cene,22 di cieli in terra23 o d’altro spettacolo, d’intendersi bene con gl’operari, cioè
con quanti dialoghi, soliloqui, ariette, ecc. debba egli allungar le scene antecedenti, perché abbiano commodo di preparar ogni cosa,24 benché per ciò fare l’opera
poi convenga snervarsi e s’attedi l’udienza sovverchiamente.
Scriverà tutta l’opera senza formalizarsi azzione veruna della medesima, bensì
componendola verso per verso, acciocché, non intendendosi mai l’intreccio dal
popolo,25 stia questi con curiosità sino al fine. Avverta sopra ogni cosa il buon
poeta moderno che siano fuori ben spesso tutti li personaggi senza proposito,
quali poi ad uno ad uno dovranno partire cantando la solita canzonetta.26
Non ricercherà mai il poeta l’abilità degli attori ma piuttosto se l’impresario
sarà provveduto di buon orso,27 di buon leone,28 di buon rossignolo,29 di buone
22
cene: la scena risolutiva del banchetto; Matteo Noris-Carlo Pallavicino, Licinio imperatore,
Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1683, III, 11: «Salone del banchetto»; per la sopravvivenza del
topos, cfr. Metastasio, Achille in Sciro, Vienna, corte, 1736, II, 7, e ovviamente Da Ponte-Mozart,
Il dissoluto punito, Praga, Nazionale, 1787, II, 15-17.
23
cieli in terra: per il deus ex machina che scende sulla terra o sale al cielo trasportato da una nuvola
o da un carro, cfr. il finale di Alessandro Striggio-Claudio Monteverdi, L’Orfeo, Mantova, corte,
1607, tramandato dalla partitura a stampa (Venezia, Ricciardo Amadino, 1609) e diverso da quello
del libretto.
24
commodo… cosa: con l’abbandono della scena fissa all’antica, le maestranze necessitavano di
un tempo adeguato per preparare la mutazione a vista, eseguita durante la recita e accompagnata
da brani vocali o strumentali.
25
popolo: il pubblico; Salvatore Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino, Utet,
1961-2002, s.v. (d’ora in poi Battaglia).
26
partire… canzonetta: l’aria eseguita alla fine della scena, prima di rientrare fra le quinte.
27
orso: Giovanni Faustini-Francesco Cavalli, La Calisto, Venezia, Sant’Aponal, 1651, I, 15:
«Escono sei orsi dalla foresta e compongono il ballo»; Francesco de Lemene-Carlo Borzio, Il
Narciso, Lodi, casa Lemene, 1676, p. 2, balli eseguiti da «un orso, quattro cacciatori»; cfr. qui a p. 8.
28
leone: l’aria di paragone; Orlando finto pazzo cit., III, 4: «Vedrai lione audace»; Zeno-Antonio
Caldara, Ormisda, Vienna, corte, 1721, II, 7, e Antonio Maria Lucchini-Vivaldi, Farnace, Venezia,
Sant’Angelo, 1727, I, 12: «Leon feroce / che avvinto freme / ma non si teme, / s’avvien che spezzi
/ cancelli e nodi, / i suoi custodi / tremar farà».
29
rossignolo: Giovanni Matteo Giannini-Carlo Francesco Pollarolo, Onorio in Roma, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1692, III, 6: «Usignoli che cantate / per amor di ramo in ramo»;
Orlando furioso cit., II, 12: «Usignuolo lascia il duolo»; Luisa Bergalli-Porta, Agide re di Sparta, Venezia, San Moisè, 1725, II, 1: «Mira quell’usignolo / cui sta periglio inante»; l’usignolo non è l’unico
volatile dell’aria; cfr. Antonio Marchi-Vivaldi, Il vinto trionfante del vincitore, Venezia, Sant’Angelo,
1717, II, 19: «Piange ancor la tortorella».
11
saette,30 terremoti,31 lampi,32 ecc.
Introdurrà una scena magnifica e di curiosa apparenza in fine dell’opera perché il popolo non parta a mezzo, chiudendo con il solito coro33 in onore o del
sole o della luna o dell’impresario.
Dedicando il libro34 a qualche gran personaggio, cercherà che questi sia piuttosto ricco che dotto, patteggiando il terzo della dedica con qualche buon mediatore, sia poi cuoco o mastro di casa del soggetto medesimo. Ricercherà in primo
luogo da questi la quantità e qualità de’ titoli co’ quali deve adornare il suo nome
nel frontispizio, accrescendo poi detti titoli con ecc., ecc., ecc., ecc. Esalterà la
famiglia e le glorie degli antenati, usando ben spesso nella epistola dedicatoria li
termini di liberalità, animo generoso, ecc.; né trovando nel personaggio (siccome sovente accade) motivi di laude, dirà ch’egli tace per non offendere la di lui
modestia ma che la Fama,35 con le sue cento sonore trombe, spargerà dall’uno
all’altro polo il di lui nome immortale. Chiuderà finalmente con dire, per atto
di profondissima venerazione, che bacia i salti de’ pulci de’ piedi de’ cani di sua
eccellenza.36
saette: Zeno-Vivaldi, Teuzzone, Mantova, Arciducale, 1719, II, 11: «Empio duol che mi serpi nel seno, / scaglia pur la fatale saetta / a finire il mio acerbo dolor».
31
terremoti: Francesco Lazzari-Domenico Evangelisti, La cena di Baldassare, Città di Castello,
[Illuminati?], 1673, II, 13: «Corrono i servi per prendere i vasi e subbito si sente un terremoto che
gli fa cascare in terra»; cfr. anche l’intermezzo Farfalletta, Lirone, Terremoto, Vienna, corte, 1718; il
terremoto sopravvive almeno fino all’aria della calunnia nel rossiniano Barbiere di Siviglia, Roma,
Argentina, 1816, I, 12, quando scoppia «un tremuoto, un temporale».
32
lampi: Zeno-Francesco Gasparini, Sesostri re d’Egitto, Venezia, San Cassiano, 1709, II, 10:
«Co’ lampi d’un diadema / amor la face accenda / e a te ne infiammi ’l cor. / Poi con fatal vicenda
/ di quel suo ciglio a’ lampi, / perché tu più ne avvampi, / la face accenda amor»; lampi e tuoni
sopravvivono almeno fino al Barbiere cit., II, 8: «Segue istromentale esprimente un temporale. Dalla
finestra di prospetto si vedono frequenti lampi e si ascolta il rumore del tuono».
33
solito coro: il «tutti» finale dell’opera.
34
libro: il libretto dell’opera.
35
Fama: personificazione della voce pubblica nella religione romana, spesso rappresentata
come una donna alata nell’atto di suonare la tromba.
36
bacia… eccellenza: Noris-Giovanni Boretti, Marcello in Siracusa, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1670, pp. 3-8: «L’eroica impresa […] è ben ragione che resti appoggiata al merto sublime di
vostra signoria illustrissima […]. Decantano ancora la Mosa e la Schelda la formidabil destra
[…]. Non tace il Tago […]. Racconta l’Arno […]. Non isdegni pertanto […] accoglier questo
umilissimo parto della mia penna […] e qui mi dichiaro eternamente […] umilissimo, devotissimo e obligatissimo servitore»; cfr. la satira Le metamorfosi odiamorose in birba trionfale nelle gare
30
12
Sarà utilissima cosa al poeta moderno di fare una protesta a’ lettori ch’ha
composto l’opera negl’anni più giovanili e, se potesse aggiugnervi d’aver ciò fatto in poche giornate (benché gli avesse
lavorato intorno più anni), ciò appunto
sarebbe da buon moderno, mostrando scostarsi affatto dall’antico precetto «nonumque prematur in annum»,37
ecc., ecc.
In tal caso potrà dichiararsi ancora
d’esser egli poeta per solo divertimento, a motivo di sollevarsi da occupazioni
più gravi, ch’era lontano dal pubblicare
la sua fatica; ma per consiglio d’amici e
comando de’ padroni, s’è indotto a ciò
fare, non mai per desiderio di lode o
speranza di lucro. Di più, che la virtù
insigne de’ rappresentanti, l’arte celebre
del compositor della musica e la destrezza delle comparse e dell’orso correggeranno i difetti del dramma.
Nella sposizione dell’argomento
farà un lungo discorso intorno a’ precetti della tragedia e dell’arte poetica,
riflettendo con Sofocle,38 Euripide,39
Aristotele,40 Orazio, ecc., aggiungendo Matteo Noris-Giovanni Boretti,
infine che conviene il poeta corrente Marcello in Siracusa,
abbandonar ogni buona regola per in- Venezia, San Giovanni e Paolo, 1670,
contrar il genio del corrotto secolo, la antiporta di Giovanni Merlo.
delle terre amanti, Venezia, San Samuele, 1732, dedica: «Dirò […] d’aver a voi consagrato il presente
drammatico componimento per solo motivo di vederlo decorato dal vostro decantato, anzi trombeggiato illustre nome ed assistito dalla vostra colossica e più ch’erculea protezione».
37
nonumque… annum: Orazio, Ars poetica, 388: «E lo terrai chiuso nove anni».
38
Sofocle: Colono 496 a.C.-Atene 406 a.C.
39
Euripide: Atene 485 a.C.-Pella 407-406 a.C.; fra i grandi tragici manca Eschilo (Eleusi 525
a.C.-Gela 456 a.C.).
40
Aristotele: Stagira 384 a.C.-Calcide 322 a.C.
13
licenziosità del teatro, la stravaganza del maestro di capella, l’indiscretezza de’
musici, la delicatezza dell’orso, delle comparse, ecc.
Avverta però di non trascurare la solita esplicazione degli tre punti importantissimi d’ogni dramma: il loco, il tempo e l’azzione.41 Significando il loco «nel tal
teatro», il tempo «dalle due di notte42 alle sei», l’azzione «l’esterminio dell’impresario».
Non importa che il soggetto dell’opera sia istorico, anzi, essendo state trattate
tutte le storie greche e latine degli antichi latini e greci e da’ più scelti italiani del
buon secolo, appartiene al poeta moderno l’inventare una favola fingendosi nella
medesima risposte d’oracoli, naufragi reali,43 mali auguri di bovi arrostiti, 44 ecc.,
bastando solamente che sia alla notizia del popolo qualche nome istorico delle
persone. Tutto il rimanente adunque sarà un’invenzione a capriccio, avvertendo
sopra ogni cosa che i versi non siano che milledoicento incirca comprese le ariette.
Per render poi all’opera maggior riputazione, cercherà il poeta moderno che
il titolo sia piuttosto una principale azzione della medesima che il nome d’un
personaggio; verbi gratia, invece d’Amadis,45 di Bovo,46 di Berta al campo,47 ecc., dirà
L’ingratitudine generosa, I funerali per far vendetta, L’orso in peata,48 ecc.
il loco… l’azzione: le cosiddette unità aristoteliche che nel Cinquecento divennero un canone.
di notte: dopo il tramonto.
43
naufragi reali: Orlando furioso cit., I, 6: «Misero! Ahimé, che veggio! Un picciol legno / quasi da
41
42
l’onde assorto / vicino a naufragar. Stranier, fa’ core, / respingi pur l’onda nemica; in salvo / già lo
vegg’io dal fìer Nettun irato».
44
mali… arrostiti: l’oracolo; Francesco Silvani-Vari, L’oracolo in sogno, Mantova, [corte?], 1699,
e Venezia, Sant’Angelo, 1700; Zeno-Gasparini, Merope, Venezia, San Cassiano, 1711, I, 3: «Polifonte porge a Trasimede la risposta dell’oracolo»; ripreso da Vivaldi col titolo L’oracolo in Messenia,
Venezia, Sant’Angelo, 1737.
45
Amadis: Amadigi di Gaula, l’eroe della letteratura cavalleresca nella penisola iberica, immortalato dal poema di Garci Rodríguez de Montalvo nel 1508 e dall’Amadigi di Bernardo Tasso nel
1560.
46
Bovo: Buovo d’Antona, cavaliere inglese, eroe di leggende e di romanzi dall’Islanda alla Russia; in Italia, cfr. Andrea da Barberino, I reali di Francia, IV-VI, Modena, Petrus Maufer de Maliferis, 1491, più volte ristampato; Goldoni, Buovo d’Antona, Venezia, San Moisè, 1759.
47
Berta al campo: per il matrimonio di Berta, ovvero Bertrade de Laon au Grand Pied, con Pipino I il Breve (Jupille 714-Saint Denis 768), cfr. Andrea da Barberino, I reali di Francia cit., VI, 2-17.
48
L’ingratitudine… peata: cfr. alcuni titoli di Silvani e Gasparini, fra cui Gli imenei stabiliti dal caso,
Venezia, San Cassiano, 1702; Il miglior d’ogni amore per il peggiore d’ogni odio, Venezia, San Cassiano,
1703; La fede tradita e vendicata, Venezia, San Cassiano, 1704 (ripresa da Vivaldi, Venezia, Sant’Angelo, 1726); Alarico ovvero L’ingratitudine gastigata, Palermo, Santa Cecilia, 1705; cfr. anche Silvani-
14
Gli accidenti dell’opera saranno prigionie,49 stili, veleni,50 lettere,51 caccie d’orsi
e di tori, terremoti, saette, sagrifizi, saldi,52 pazzie,53 ecc., imperciocché da tali impensate cose il popolo resta oltremodo commosso; e se mai si potesse introdurre
una scena nella quale alcuni degli attori si mettessero a sedere e altri a dormire in
un bosco o giardino, nel qual tempo gli venisse insidiata la vita e si risvegliassero
(il che mai non s’è veduto sul teatro italiano),54 ciò sarebbe un toccare l’estremo
della meraviglia.
Nello stile del dramma non dovrà il poeta moderno porre molta fatica, riflettendo che dev’essere ascoltato ed inteso dalla moltitudine popolare, che però, ad
effetto di renderlo più intelleggibile, ometterà li soliti articoli, userà gl’insoliti lunghi periodi, epittetando55 abbondantemente quando gli occorra compir qualche
verso di recitativo o di canzonetta.
Sarà provveduto poi di gran quantità d’opere vecchie, delle quali prenderà
soggetto e scenario, né cambierà di questi che il verso e qualche nome de’ perMarco Antonio Ziani, Il duello d’amore e di vendetta, Venezia, San Salvador, 1700 (ripreso da Buini
col titolo Gli sdegni cangiati in amore, Venezia, San Moisè, 1725).
49
prigionie: scena tipica; Adriano Morselli-Vivaldi, L’incoronazione di Dario, Venezia, Sant’Angelo, 1717, III, 12: «A me ceppi, a me catene»; cfr. Elena Povoledo, Carcere, in Enciclopedia dello
spettacolo, Roma, Le Maschere, 1954-1962, s.v.; Angela Romagnoli, «Fra catene, fra stili e fra veleni...»
ossia Della scena di prigione nell’opera italiana (1690-1724), Lucca, Lim, 1995.
50
stili, veleni: Zeno-Gasparini, Costantino, Venezia, San Cassiano, 1711: «Risolvi. Nel tuo labbro o
nel tuo seno / la punisca quel ferro o quel veleno. (Torna la guardia e porta uno stilo ed il veleno)».
51
lettere: Zeno-Giuseppe Aldrovandini, Pirro, Venezia, Sant’Angelo, 1704, I, 10: «Ellenia con
foglio in mano»; l’usanza sopravvive per esempio con due lettere in Metastasio, L’eroe cinese, Vienna, corte, 1762, I, 1, e II, 6.
52
saldi: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, Milano, Ricordi,
1956 (prima edizione Milano, Bottega di Poesia, 1927), p. 95: «Io inclino a credere che sia tutt’uno
con quella persona forte e robusta presentata dal Nibbio [“sensale di opere in musica”] nella commedia del Goldoni L’impresario delle Smirne [III, 11, versione in prosa, 1760: “Questi sa far da orso.
Quest’altro sa far da leone. E quest’altro, forte e robusto come vedete, è destinato per batter le
mani”]»; il termine è ripetuto qui a p. 16 e in tutte le edizioni settecentesche descritte qui a
pp. 73-78; per Boerio, s.v., Battaglia, s.v., e Lessicografia della Crusca (www.lessicografia.it), è l’atto
di pareggiare i conti.
53
pazzie: Giulio Strozzi-Francesco Sacrati, La finta pazza, Venezia, Novissimo, 1641; Orlando finto pazzo cit.
54
dormire… italiano: Giovanni Francesco Busenello-Monteverdi, L’incoronazione di Poppea,
Venezia, San Giovanni e Paolo, 1643, II, 12: «Ottone travestito da Drusilla capita nel giardino dove sta
addormentata Poppea per ucciderla e Amor lo vieta. Poppea nel fatto si sveglia»; cfr. qui a pp. 19, 51.
55
epittetando: aggiungendo attributi per riempire il verso; Battaglia, s.v. epiteto.
15
sonaggi, il che farà parimente nel trasportar drammi dalla lingua francese, dalla
prosa al verso, dal tragico al comico, aggiungendo o levando personaggi secondo
il bisogno dell’impresario.56
Farà gran brogli57 per compor opere, né potendo altro fare, si unirà con altro
poeta,58 prestando il soggetto e verseggiandolo insieme con patto di partire il
guadagno della dedica e della stampa.
Non lascerà partire assolutamente il musico dalla scena senza la solita canzonetta, e particolarmente quando per accidente del dramma dovesse quegli andar
a morire, ammazzarsi, bever veleno, ecc.
Non leggerà mai tutta l’opera all’impresario, bensì gliene reciterà qualche scena interrottamente, e replicatamente quella del veleno o del sagrifizio o delle
sedie59 o dell’orso o dei saldi, aggiungendo che se quella tal scena gli falla non
occorre più compor opere.
Avverta il buon poeta moderno di non intendersi punto di musica, imperciocché tale intelligenza era propria degli antichi poeti secondo Strabone,60 Plinio,61
Plutarco,62 ecc., li quali non separarono il poeta dal musico né ’l musico dal poeta,
come furono Anfione,63 Filamone,64 Demodoco,65 Terpandro,66 ecc., ecc., ecc.
Sarà… dell’impresario: allusione alla diffusa pratica del rifacimento; Domenico Lalli-Vivaldi,
Ottone in villa, Vicenza, Garzerie, 1713, tratto da Francesco Maria Piccioli-Pallavicino, Messalina,
Venezia, San Salvador, 1679.
57
brogli: maneggi, intrighi, raggiri per ottenere favori, lucro o pubblici uffici.
58
unirà… poeta: probabile riferimento alla collaborazione tra Zeno e Pietro Pariati per la stesura
di alcuni libretti, fra cui Antioco (1705), Artaserse (1705), Ambleto (1706), Statira (1706), Anfitrione
(1707), ecc.
59
delle sedie: scena in cui due personaggi discutono stando a sedere; Noris-Giacomo Antonio
Perti, Nerone fatto Cesare, Venezia, San Salvador, 1693, I, 12: «Appartamenti […] con fugghe di
camere e sedie […]. Si leva dalla sedia con impeto e va per scena come furente»; cfr. il dialogo fra
Cleonice e Alceste, in Metastasio, Demetrio, Vienna, corte, 1731, II, 12.
60
Strabone: storico e geografo greco (Amasia, Ponto, 63 a.C. circa-24 d.C.).
61
Plinio: il naturalista Gaio Plinio Secondo detto il Vecchio (Como 23 d.C.-Stabia 79 d.C.).
62
Plutarco: biografo, scrittore e filosofo greco (Cheronea 46 o 48 d.C.-Delfi 125 o 127 d.C.); il
dialogo De musica, tradizionalmente attribuito a lui, è apocrifo.
63
Anfione: figlio di Zeus e Antiope; costruì le mura di Tebe suonando la lira.
64
Filamone: poeta e drammaturgo siceliota (Siracusa 361 a.C.-Atene 263 a.C.).
65
Demodoco: aedo alla corte di Alcinoo nell’Odissea.
66
Terpandro: poeta e musico di Lesbo vissuto fra l’VIII e il VII secolo a.C.
56
16
L’ariette non dovranno aver relazione veruna al recitativo67 ma convien fare
il possibile d’introdurre nelle medesime per lo più farfalletta,68 mossolino,69 rossignuolo, quagliotto,70 navicella,71 copanetto,72 gelsomino,73 violazotta,74 cavo
rame,75 pignatella, tigre,76 leone, balena, gambaretto, dindiotto,77 capon freddo,
ecc., ecc., ecc., imperciocché in tal maniera il poeta si fa conoscere buon filosofo,
distinguendo co’ paragoni le proprietà degli animali, delle piante, de’ fiori, ecc.
Prima che l’opera vada in scena dovrà il poeta lodar musici, musica, impresario, suonatori, comparse, ecc. Se l’opera poi non avesse felice incontro, dovrà
esagerare contro gli attori che non la rappresentano conforme l’intenzione sua,
perché non pensano che a cantare, contro il maestro di capella che non ha intesa
la forza delle scene, non badando egli che a far l’ariette, contro l’impresario che
per sovverchio risparmio l’ha posta in scena con poco decoro, contro suonatori
67
L’ariette… recitativo: specialmente l’aria di baule, cioè il pezzo favorito del virtuoso o quello di
riserva del compositore, adattato e inserito in una partitura nuova.
68
farfalletta: Andrea Perrucci-Severo De Luca, L’Epaminonda, Napoli, corte, 1684, II, 6: «Farfalletta innamorata / spiega omai l’ardite piume»; Lalli-Vivaldi, Arsilda regina di Ponto, Venezia,
Sant’Angelo, 1716, II, 12: «Son come farfalletta / che in mezzo a due facelle / dubbiosa errando va.
/ Ambe le sembran belle / e intanto semplicetta / arde di qua e di là»; Armida al campo d’Egitto cit.,
II, 4: «Farfalletta alla sua face / l’alma mia girando va […]. Farfalletta, dolce face / l’alma mia per te
sarà»; Antonio Salvi-Vivaldi, Scanderbeg, Firenze, Pergola, 1718, II, 10: «Così ancor la farfalletta».
69
mossolino: moscerino; Boerio, s.v. mossolin.
70
quagliotto: il maschio della quaglia; Boerio, s.v. quagioto.
71
navicella: allusione all’aria di tempesta col «nocchiero» o col «legno» in pericolo; Orlando
finto pazzo cit., III, 7 carticino: «Sventurata navicella / se mai giunge a naufragar, / teme sempre la
procella / e lo scoglio in mezzo al mar»; Il vinto trionfante del vincitore cit., II, 6: «Ancor la navicella»;
Teuzzone cit., I, 2: «Come suol la navicella / tra le Sirti e la procella»; Ormisda cit., I, 7: «Son da
più venti / legno percosso».
72
copanetto: scialuppa, lancia; Battaglia e Boerio, s.v. copano.
73 gelsomino: Armida al campo d’Egitto cit., II, 11: «Talor il gelsomin piange nel prato […]. Così un
amante cor piange il suo fato».
74
violazotta: viola mammola; Boerio, s.v. violazota.
75
cavo rame: paiolo, pentola; Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, VIII, 74, 1-2: «Così nel cavo
rame umor, che bolle / per troppo foco, entro gorgoglia e fuma».
76
tigre: Marchi-Vivaldi, Artabano re de’ Parti, Venezia, San Moisè, 1718, II, 16: «Tigre spietata
e fiera»; per un bestiario completo, cfr. Metastasio, Adriano in Siria, Vienna, corte, 1732, III, 5:
«Orsa nel sen piagata, / serpe nel suol calcata, / leon che aprì gli artigli, / tigre che perda i figli /
fiera così non è».
77
dindiotto: Boerio, s.v. dindio: «Pollo d’India o gallo d’India e gallinaccio e tacchino […].
Uccello domestico comunissimo».
17
e comparse tutti ogni sera ubbriacchi, ecc., protestando ancora ch’egli avea composto il dramma in altra maniera, che ha convenuto levare, aggiungere ad arbitrio
di chi comanda, e particolarmente della incontentabile prima donna e dell’orso,
che lo farà leggere nell’originale, che al presente appena lo riconosce per suo; e chi ciò non
credesse lo dimandi alla serva
o lavandara di casa che prima
d’ogn’altro l’hanno letto e considerato, ecc.
Nelle prove dell’opera non
dirà mai l’intenzione sua a verun degli attori, rifflettendo
saviamente che questi vogliono
fare a modo loro ogni cosa.
Se qualche personaggio per
convenienza dell’opera fosse
scarso di parte, gliene aggiungerà subito che ne ven-ga richiesto o dal virtuoso o dal di
lui protettore, avendo sempre
preparato qualche centinaio
d’ariette per poter cambiare,
aggiugnere, ecc., non trascurando di riempire il libro de’
soliti versi oziosi segnati con
virgolette.78
Se si trovassero in una prigione marito e moglie, e che
l’uno andasse a morire, dovrà
indispensabilmente restar l’alApostolo Zeno-Marco Antonio Ziani,
tro per cantar un’arietta, la quaOdoardo, Venezia, Sant’Angelo, 1699,
antiporta (II, 1, Prigione con porta secreta).
le dovrà essere d’allegre parole
versi… virgolette: versi affiancati dalle virgolette, non musicati ma stampati ugualmente nel libretto.
78
18
per sollevar la mestizia del popolo e per fargli comprendere che le cose tutte sono
da scherzo.
Se due personaggi parlassero
amorosamente, tramassero congiure, insidie, ecc., dovranno sempre
ciò fare alla presenza de’ paggi79 e
delle comparse.
Occorrendo ad un personaggio
di scrivere, farà il poeta portare un
tavolino con sedia doppo cambiata
la scena, quale farà parimente levare
subito scritta la lettera, perché detto tavolino non debba mai supporsi
addobbo del luogo dove si scrive.
Lo stesso osserverà del trono, sedie,
canapè,80 sedili d’erbe, ecc.
Introdurrà nelle sale regie balli
di giardinieri e ne’ boschi di cortigiani, avvertendo che il ballo di Piroo81 può intrar in sala, in cortile, in
Persia,82 in Egitto,83 ecc.
Nicolò Minato-Francesco Cavalli,
Muzio Scevola, Venezia, San Salvador,
1665, antiporta di Pietro Liberi
ed Elisabetta Piccini.
paggi: ragazzini in veste di comparse; Nicolò Minato-Cavalli, Muzio Scevola, Venezia, San
Salvador, 1665: «Cavallieri, soldati e paggi di Porsenna, paggi di Muzio Scevola, soldati e paggi di
Publicola […], paggi d’Orazio, paggi di Clodio e di Varo»; cfr. qui a p. 56.
80
canapè: divanetto imbottito per più persone, con spalliera e braccioli, dal francese canapé e dal
latino medievale canapeum, alterazione del classico conopeum.
81
ballo di Piroo: danza pirrica di guerra, eseguita anche con l’armatura e diffusa soprattutto a
Sparta; successivamente divenne una pantomima imitante il combattimento; il nome deriverebbe
dal suo inventore, lo spartano Pirrico, oppure dall’aggettivo pyrros ‘rosso’, il colore delle tuniche
dei danzatori.
82
Persia: luogo dell’azione in Marchi-Vivaldi, La costanza trionfante degl’amori e degl’odi, Venezia,
San Moisè, 1716.
83
Egitto: luogo dell’azione in Armida al campo d’Egitto cit.
79
19
In caso si accorgesse il poeta moderno che il musico pronuncia male, non
dovrà però mai correggerlo, imperciocché ravvedendosi il virtuoso e parlando
schietto potrebbe minorarsi l’esito de’ libretti.
Ricercato84 da’ personaggi per qual parte debbano entrare, uscire, mover le
braccia e come vestirsi, lascerà ch’entrino, escano, si movano e si vestano a modo
loro.85
Se i metri dell’arie non piacessero al maestro di musica, gli cambierà subito, introducendo ancora nell’arie, a capriccio del medesimo, venti, tempeste, nebbie,86
sirocchi,87 greco levante,88 tramontana,89 ecc.
Molte dell’arie dovranno esser lunghe a segno che alla metà di esse non si
ricordi più del principio.
L’opera dovrà rappresentarsi con soli sei personaggi,90 avvertendo che due o
tre parti siano introdotte in maniera che occorrendo possano levarsi senza guastare l’intreccio del dramma.
La parte di padre o di tiranno (quando sia la principale) dovrà sempre appoggiarsi a’ castrati,91 riserbando tenori e bassi per gli capitani di guardia, confidenti
del re, pastori, messaggeri, ecc.
Poeti di poco credito avranno tra l’anno impieghi forensi, fattorie, sopraintendenze economiche, copieranno foglietti, correggeranno stampe, diranno male
l’uno dell’altro, ecc., ecc., ecc.
Ricercato: richiesto, interrogato.
per qual… loro: il poeta non aveva soltanto il compito di scrivere il libretto ma anche quello di
84
85
organizzare i movimenti scenici.
86
nebbie: Fulgenzio Maria Gualazzi-Tommaso Albinoni, Il prodigio dell’innocenza, Venezia, San
Giovanni e Paolo, 1695, II, 10: «Fragil fiore che spunta e languisce, / fiero stral che dall’arco sen
passa, / fosca nebbia che sorge e sparisce, / lieve spuma che s’erge e s’abbassa, / fiore, stral, nebbia,
spuma, il tutto è nulla».
87
sirocchi: scirocco, vento caldo proveniente da sud-est; prende il nome dalla Siria, la direzione
da cui spira.
88
greco levante: vento che spira da est verso ovest, fresco e umido, portatore di nebbie e precipitazioni.
89
tramontana: vento freddo proveniente da nord.
90
sei personaggi: generalmente prima e seconda coppia, un padre o un sovrano e un confidente
o un militare o un traditore.
91
castrati: a questa tessitura di soprano o contralto erano destinate le parti maschili della prima
o della seconda coppia.
20
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
Cavaliere Nicolino [Grimaldi, celebre castrato, e Lucia Facchinelli detta] la Beccheretta,
disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc.
Pretenderà il poeta un palchetto dall’impresario, metà del quale affitterà molti
mesi prima che l’opera vada in scena e tutte le prime sere, riempiendo l’altra metà
di maschere,92 quali condurrà franche di porta.93
Visiterà spesso la prima donna, imperciocché per ordinario dipende da questa
l’esito dell’opera, buono o tristo ch’abbia a succedere, e a genio di questa regolerà
il dramma, aggiungendo e levando parte a lei, all’orso o ad altri personaggi, ecc.
Ma si guarderà di non dargli ad intendere cosa veruna dell’intreccio dell’opera,
perché la virtuosa moderna non deve intenderne punto, informandone al più a
parte la signora madre, padre, fratello o protettore della medesima.
92
maschere: spettatori mascherati; nel Settecento veneziano tutti portavano la maschera, compresi gli inservienti dei teatri, incaricati di verificare i biglietti e di accompagnare il pubblico ai posti;
Battaglia, s.v.
93
franche di porta: esentate dal pagamento del biglietto.
21
Visiterà il maestro di capella, gli leggerà il dramma più volte, avvisandolo dove
il recitativo deve andar lento, dove presto, dove appassionato, ecc., non dovendo
rilevar il compositore moderno di musica veruna di tali cose, e gl’incaricherà poi
nell’arie brevissimi ritornelli94 e passaggi95 (ma piuttosto molte repliche intere
delle parole) perché meglio si goda la poesia.
Farà cerimonie con suonatori, sarti, orso, paggi, comparse, ecc., raccomandando a tutti l’opera sua, ecc., ecc., ecc., ecc.
A’ compositori di musica
Non dovrà il moderno compositore di musica possedere notizia veruna delle
regole di ben comporre, toltone qualche principio universale di pratica.
Non comprenderà le musicali numeriche proporzioni,96 non l’ottimo effetto
de’ movimenti contrari,97 non la mala relazione de’ tritoni98 e d’essacordi maggiori.99 Non saprà quali e quanti siano li modi overo tuoni, non come divisibili, non
le proprietà de’ medesimi. Anzi sopra di ciò dirà non darsi che due soli tuoni,100
maggiore e minore, cioè maggiore quello ch’ha la terza maggiore e minore quello che l’ha minore, non rilevando propriamente ciò che dagli antichi per tuono
maggiore e minore si comprendesse.101
Non distinguerà punto l’uno dall’altro li tre generi, diatonico, cromatico ed
enarmonico,102 ma bensì confonderà tutte le corde di essi in una sola canzonetta a
ritornelli: ripetizioni vocali o inserti strumentali.
passaggi: ornamentazioni, diminuzioni, colorature; cfr. Francesco Rognoni, Selva de’ varii
94
95
passaggi secondo l’uso moderno, per cantare e suonare con ogni sorte de stromenti, Milano, Filippo Lomazzo,
1620, più volte ristampato.
96
musicali… proporzioni: i rapporti che determinano gli intervalli; cfr. tra gli altri, Gioseffo
Zarlino, L’istituzioni armoniche, a cura di Silvia Urbani, Treviso, Diastema, 2011.
97
movimenti contrari: accorgimento contrappuntistico; se le voci non procedono in parallelo
bensì allontanandosi o avvicinandosi fra loro, si ottiene un miglior andamento.
98
tritoni: intervalli di tre toni, molto sgradevoli (Fa-Si).
99
d’essacordi maggiori: seste maggiori, formate da quattro toni più un semitono maggiore.
100
tuoni: gli odierni modi.
101
tuono… comprendesse: secondo gli antichi, fra cui Pitagora e Didimo Musico, seguiti da Zarlino, l’intervallo di tono maggiore è individuato dal rapporto 9/8, il minore da 10/9.
102
diatonico… enarmonico: i generi greci, caratterizzati dall’ampiezza degli intervalli nel tetracordo; il diatonico, più antico e più diffuso, era costituito da due toni e un semitono; il cromatico da
22
capriccio per separarsi affatto dagli autori antichi con tale confusione moderna.
Userà gli accidenti maggiori e minori103 a suo beneplacito, confondendo irregolarmente le segnature di essi. Si servirà parimente del segno enarmonico104
in luogo del cromatico,105 con dire che sono la medesima cosa, perché già l’uno
e l’altro fa crescere un semituono minore, e in tal forma sarà ignaro affatto che
il cromatico debba sempre trovarsi fra tuoni per quelli dividere e l’enarmonico
solamente fra semituoni, essendo special proprietà dell’enarmonico il dividere li
semituoni maggiori e non altro. Onde il maestro di capella moderno (come si è
detto di sopra) deve essere intieramente all’oscuro di queste ed altre simili cose.
A tal effetto pertanto saprà poco leggere, manco scrivere e per conseguenza
non intenderà la lingua latina, contuttocché dovesse comporre per chiesa dove
potrà introdurre sarabande, gighe, correnti,106 ecc., quali chiamerà poi fughe, canoni, contrapunti dopi,107 ecc.
Passando poi a discorrere sopra il teatro, non s’intenderà il moderno maestro
di musica punto di poesia, non distinguerà il senso dell’orazione, non le sillabe
lunghe o brevi, non le forze di scena,108 ecc. Non rileverà parimente la proprietà
d’istromenti d’arco o da fiato, quando sia egli suonatore di cembalo, e se il compositore suonasse stromenti d’arco non curerà punto d’intendere il clavicembalo,
persuadendosi di poter compor bene all’uso moderno senza veruna pratica del
medesimo.
Non sarà mal fatto pertanto se il maestro moderno sarà stato molti anni suonator di violino o violetta109 e copista ancora di qualche celebre compositore,
una terza minore e due semitoni; l’enarmonico da una terza maggiore e due quarti di tono; la posizione degli intervalli nel tetracordo distingueva i modi, dorico, frigio e lidio; ovviamente i moderni
usano un solo genere, il diatonico, e due modi, maggiore e minore.
103
accidenti… minori: diesis e bemolli.
104
segno enarmonico: indica l’intervallo di un quarto di tono usato dai greci; cfr. qui a p. 102.
105
cromatico: il diesis che indica l’intervallo di semitono ascendente.
106
sarabande… correnti: danze della suite strumentale; la sarabanda ispanica è lenta e ternaria con
accento sul secondo tempo; la giga britannica è veloce in tempo composto (6/8, 9/8, 12/8); la
corrente franco-italiana è vivace e ternaria.
107
fughe… dopi: procedimenti a carattere imitativo, generalmente impiegati nella musica sacra.
108
forze di scena: Noris-Pietro Andrea Ziani, Attila, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1672,
Leggitore: «Ho praticato nel comporlo i soliti sforzi d’equivoco e forze di scena, usate da pochi»;
Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit., p. 98: rapporto d’importanza fra le scene.
109
violetta: nei secoli XVII e XVIII indica la viola oppure uno strumento ad arco, da braccio o
23
del quale conservi originali d’opere, di serenate, ecc., rubando da quelli e da altri
ancora pensieri di ritornelli, sinfonie, arie, recitativi, follie,110 cori, ecc.
Prima di ricevere l’opera dal poeta ordinerà al medesimo i metri e quantità de’
versi dell’arie, pregandolo inoltre che gliela faccia copiar di carattere intelliggibile,
che non gli manchino punti, virgole, interrogativi, ecc., benché poi nel comporla
non avrà riguardo veruno né a punti né a interrogativi né a virgole.
Prima di metter mano nell’opera visiterà tutte le virtuose, alle quali esibirà di
servirle a lor genio, cioè d’arie senza bassi, di furlanette,111 di rigadoni,112 ecc., il
tutto con violini, orso e comparse all’unissono.
Si guarderà poi di legger l’opera tutta per non confondersi, bensì la comporrà
verso per verso, avvertendo ancora di far cambiar subito tutte l’arie, servendosi
poi nelle medesime di motivi già preparati fra l’anno; e se le parole nuovamente
di dette arie non andassero felicemente sotto le note (il che per lo più suole accadere) tormenterà di nuovo il poeta finché ne resti appien soddisfatto.
Comporrà tutte l’arie con stromenti,113 avvertendo che ogni parte proceda
con note o figure del valore medesimo, siano queste o crome o semicrome o biscrome, dovendosi piuttosto (per compor bene all’uso moderno) cercar lo strepito che l’armonia, la quale consiste principalmente nel diverso valore delle figure,
parte legate, parte battute, ecc.; anzi, per schivare tale armonia non dovrà il compositore moderno servirsi d’altra legatura che (alla cadenza) della solita quarta e
terza,114 nel che, se gli paresse ancora di dar troppo nell’antico, chiuderà l’arie con
tutti gli stromenti all’unissono.
Avverta poi che l’arie, sino al fine dell’opera, siano a vicenda una allegra e una
patetica, senza aver riguardo veruno a parole, a tuoni, a convenienze di scena; se
nell’arie vi entrassero nomi propri, verbi gratia padre, impero, amore, arena, regno,
da gamba, che esegue una parte intermedia.
110
follie: la folia, danza portoghese che risale al XV secolo, usata nel Seicento per brani vocali o
strumentali basati sulla variazione del basso; per esempio Vivaldi impiega la folia nella Sonata op. 1
n. 12 (1705).
111
furlanette: furlana, danza molto allegra in 6/8 o 6/4; di origine popolare, friulana o slava,
tramite Venezia divenne di gran moda in tutta Italia e alla corte di Luigi XIV.
112
rigadoni: rigaudon, danza tradizionale francese diffusa dal XVII secolo, in tempo binario con
movimento allegro.
113
arie con stromenti: accompagnate dall’intera orchestra e non dal solo basso continuo accordale.
114
legatura… terza: il ritardo dalla quarta (per esempio Fa) alla terza (Mi) per risolvere alla cadenza sull’accordo fondamentale (Do).
24
beltà, lena, core, ecc., ecc., no, senza, già e altri adverbi, dovrà il compositore
moderno comporvi sopra un ben lungo passaggio, verbi gratia paaaa… impeeee…
amoooo… areeee… reeee… beltaaaaa… lenaaaaa… cooooo…, ecc., noooo…
seeeeen… giaaaaaa…, ecc. E ciò per allontanarsi dall’antico stile che non usava
il passaggio su nomi propri o sopra adverbi, ma bensì sopra parole solamente significanti qualche passione o moto,115 verbi gratia tormento, affanno, canto, volar,
cader, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.
Ne’ recitativi la modulazione sarà a capriccio, movendo il basso con la frequenza possibile, e composta ogni scena (quando sia egli maritato con virtuosa)
la farà sentire alla moglie, se no al servitore, al copista, ecc., ecc., ecc., ecc.
All’ariette tutte dovranno precedere ritornelli assai lunghi con violini unissoni, composti per ordinario di semicrome o biscrome, e questi si faranno suonar
mezzi piano per rendergli più nuovi e men fastidiosi, avvertendo che l’arie che
seguono con detti ritornelli non abbiano punto che fare.
L’ariette poi dovranno procedere senza basso, e per sostenere il musico in
tuono se gli farà accompagnar da’ violini all’unissono, facendo ancora in tal caso
far qualche nota di basso alle violette, ma questo è ad libitum.
Quando il musico è alla cadenza,116 farà il maestro di capella fermar tutti gli
stromenti, lasciando l’arbitrio al virtuoso o virtuosa di trattenersi quanto gli piace.
Non faticherà molto intorno a duetti o cori, quali ancora procurerà si levino
dall’opera.
Nel resto aggiongerà il maestro di capella moderno ch’egli compone cose di
poco studio e con moltissimi errori per soddisfare all’udienza, condannando in
tal forma il gusto dell’uditorio che veramente si compiace di ciò che sente talvolta, benché non buono, perché non gli vien fatto gustare il migliore.
Servirà l’impresario a pochissimo prezzo, riflettendo alle molte migliaia di
scudi117 che gli costano i virtuosi dell’opera, che però si contenterà di paga inferiore al più infimo di quelli, purché non gli venga fatto torto dall’orso e dalle
comparse.
115
stile… moto: il cosiddetto madrigalismo, procedimento usato nella polifonia rinascimentale e
nell’opera delle origini per delineare il significato di un termine poetico.
116
cadenza: qui indica un passaggio virtuosistico, scritto dal compositore o improvvisato dal
cantante ed eseguito alla fine o prima della ripresa nell’aria in forma ABA’.
117
scudi: monete d’oro o d’argento che in origine recavano su una faccia lo scudo ossia lo stemma del principe o dello stato che le aveva emesse.
25
Camminando il compositore con virtuosi, particolarmente castrati, darà sempre loro la mano dritta,118 starà con cappello in mano un passo indietro, riflettendo che il più inferiore di questi è nell’opera per lo meno un generale, un capitano
del re, della regina, ecc.
Incalzerà e lenterà il tempo dell’arie a genio de’ virtuosi, dissimulando qualunque loro indiscretezza, col riflesso che la propria riputazione, credito e interesse
sta in le lor mani, che perciò gli cambierà, occorrendo, arie, recitativi, diesis, bemolli, bequadri, ecc.
Dovranno formarsi tutte le canzonette delle medesime cose, cioè di passaggi
lunghissimi, di sincope,119 di semituoni, d’alterazioni di sillabe, di repliche di parole nulla significanti, verbi gratia amore amore, impero impero, Europa Europa,
furori furori, orgoglio orgoglio, ecc., ecc., ecc., che però dovrà il compositore
moderno per tal effetto, quando compone l’opera, aver sempre dinanzi agl’occhi
una nota o inventario delle sopradette cose tutte, senza alcuna delle quali non
terminerà mai arietta veruna, e ciò per sfuggire al possibile la varietà che non è
più in uso.
Terminato il recitativo in bemolle s’attaccherà subito un’aria con tre o quattro
diesis obligati in chiave, ripigliando poi il seguente recitativo per bemolle, e ciò a
titolo di novità.120
Dividerà parimente il maestro moderno il sentimento o significato delle parole, particolarmente nell’arie, facendo cantare al musico il primo verso (benché da sé solo
nulla significhi) e poi introducendo un lungo ritornello di violini, violette, ecc., ecc.
Avverta il maestro moderno, se dasse lezzione a qualche virtuosa dell’opera,
d’incaricargli a pronunciar male e, per tal effetto, insegnargli gran quantità di
spezzature e di passi, perché non s’intenda veruna parola e in tal maniera comparisca e sia meglio intesa la musica.
Quando li violini suonano il basso senza cembali o contrabassi, non importa punto che le corde di detto basso (rispetto alla voce e all’istromento d’arco)
coprano la parte che canta, il che suole accader per lo più nell’arie de’ contralti,
tenori e bassi.
mano dritta: il lato destro in segno di rispetto.
sincope: plurale, spostamenti dell’accento ritmico.
120
Terminato… novità: a causa della distanza tonale tra bemolli (per esempio Fa maggiore con
118
119
uno) e diesis (La con tre), renderà incompatibile la cadenza finale del recitativo con l’incipit dell’aria
che segue.
26
Dovrà il maestro di capella moderno ancora compor canzonette particolarmente in contralto o mezzosoprano, che i bassi accompagnino o suonino la medesima cosa all’ottava bassa e li violini all’ottava alta, scrivendo sulla partitura
tutte le parti; e così s’intenderà di comporre a tre, benché l’arietta in sostanza sia
d’una parte sola diversificata solamente per ottava in grave ed in acuto.
Volendo il compositor moderno comporre a quattro, dovranno indispensabilmente due parti procedere all’unissono o per ottava, diversificando in ciò ancora l’andamento del motivo; verbi gratia se una parte cammina di semiminime o
crome, l’altra proceda di semicrome o biscrome, ecc.
Il basso di crome sarà chiamato dal maestro di capella moderno basso cromatico, imperciocché l’intelligenza del termine cromatico non gli conviene, avvertendo egli ancora (come si è detto di sopra) di non intendersi punto di poesia, imperciocché tale intelligenza parimente conveniva a’ musici antichi, cioè
Pindaro,121 Arione,122 Orfeo,123 Esiodo,124 ecc., li quali, secondo Pausania,125 erano
poeti eccellentissimi non meno che musici, e il moderno compositore deve usar
ogni studio per allontanarsi da quelli, ecc.
Alletterà il popolo con ariette accompagnate da stromenti pizzicati, sordini,126
trombe marine,127 piombè,128 ecc.
Pindaro: poeta greco (Cinocefale 518 a.C.-Argo 438 a.C.), tra i maggiori esponenti della lirica
121
corale.
Arione: Arione di Metimna o di Lesbo; citaredo greco che secondo Erodoto, Storie, I, 23-24,
inventò il ditirambo, canto in onore di Dioniso.
123
Orfeo: cantore tracio, figlio di Apollo e protagonista di numerosi drammi per musica; disceso
agli inferi, placò gli dei col suo canto e ottenne di ricondurre sulla terra la sposa morta Euridice, a
condizione di non voltarsi mai a guardarla; ma infranse il divieto e la perse per sempre; morì dilaniato da uno stuolo di donne trace da lui respinte.
124
Esiodo: poeta didascalico (VIII sec. a.C.-VII sec. a.C.).
125
secondo Pausania: Pausania, Viaggio in Grecia, IX, 30; Pausania il Periegeta (110-180), scrittore
e geografo greco di origine asiatica, è identificato anche con Pausania di Damasco, citato da Costantino Porfirogenito, e con un sofista vissuto a Roma.
126
sordini: violini piccoli e sottili, chiamati anche pochettes, usati dai maestri di danza e dai musicisti di strada.
127
trombe marine: strumenti ad arco usati dal XV al XVIII secolo, principalmente per rinforzare
il basso continuo o per esibire un timbro particolare; il nome potrebbe derivare dalla deformazione
di ‘tromba mariana’, in tedesco Nonnengeige ‘violino delle suore’, legato al culto; infatti molti esemplari provengono da antichi istituti religiosi femminili.
128
piombè: Boerio, s.v.: «Scacciapensieri, strumento d’acciaio […] spartito per lungo da una
linguella elastica […] della quale, stuzzicandola con un dito, si trae suono».
122
27
Pretenderà il compositore moderno dall’impresario (oltre l’onorario) il regallo
d’un poeta da potersene servire a suo modo; e subito composta l’opera la farà
sentire ad amici che nulla intendano, con l’opinione de’ quali regolerà ritornelli,
passaggi, appoggiature,129 diesis enarmonici, bemolli cromatici, ecc.
Avverta il moderno compositore di non trascurare il solito recitativo sopra
cromatici130 o con stromenti, obbligando perciò il poeta (regalatogli come sopra
dall’impresario) a fargli una scena di sagrificio, di pazzia, prigione, ecc.
Non farà mai arie con basso solo obbligato,131 riflettendo ch’oltre ciò non
essere più in costume, nel tempo che v’impiegasse può comporne una dozzina
con gli stromenti.
Volendosi poi comporre qualche aria con bassi, dovranno questi formarsi di
due o tre note al più, ribattute o legate in guisa di pedale,132 avvertendo sopra ogni
cosa che tutte le seconde parti siano di roba vecchia.
Se l’impresario poi si lamentasse della musica, protesterà il compositore che
ciò fa a torto, avendo posto egli nell’opera un terzo di note più del solito e impiegatevi quasi cinquant’ore in comporla.
Se qualche aria non piacesse alle virtuose o lor protettori, dirà che conviene
sentirla in teatro con gli stromenti, con gli abiti, co’ lumi, con le comparse, ecc.
Dovrà il maestro di capella, terminato ogni ritornello, far cenno133 con la testa
a’ virtuosi perch’entrino a tempo, imperciocché non potranno essi saperlo mai
per la solita lunghezza e variazione del ritornello medesimo.
Alcune arie si comporranno in stile di basso, benché servano a contralti e
soprani.
Obbligherà il maestro moderno l’impresario a fargli una grossa orchestra di
violini, oboè, corni, ecc., risparmiandogli piuttosto la spesa ne’ contrabassi, non
dovendo egli di questi servirsene che nell’accordar da principio.
appoggiature: ornamenti eseguiti intonando una nota sopra o sotto a quella principale e producendo una momentanea dissonanza.
130
sopra cromatici: il declamato della scena patetica o lamentosa, accompagnato da un tetracordo
cromatico discendente, ripetuto nel cosiddetto basso ostinato.
131
basso solo obbligato: la parte del clavicembalo scritta per intero, a differenza del continuo.
132
pedale: termine derivato dalla tecnica di tenere a lungo un suono nella pedaliera dell’organo;
indica una nota ripetuta o prolungata, in genere la tonica o la dominante, preferibilmente nella
parte del basso.
133
far cenno: non esistendo il direttore d’orchestra, il maestro al cembalo dava l’attacco ai cantanti.
129
28
La sinfonia consisterà in un tempo francese o prestissimo di semicrome in
tuono con terza maggiore, al quale dovrà succedere al solito un piano del medesimo tuono in terza minore, chiudendo finalmente con minuetto,134 gavotta135
o giga nuovamente in terza maggiore, e sfuggendo in tal forma fughe, legature,
soggetti,136 ecc., come cose antiche fuori affatto del moderno costume.
Procurerà il maestro di capella che l’arie migliori tocchino sempre alla prima
donna, e dovendosi abbreviar l’opera, non permetterà che si levino arie o ritornelli ma piuttosto scene intere di recitativo, dell’orso e de’ terremoti, ecc.
Se la seconda donna si lamentasse nella parte d’aver manco note della prima,
procurerà consolarla, ragguagliandone il numero con passaggi nell’arie, appoggiature, passi di buon gusto, ecc., ecc., ecc.
Si servirà il maestro di capella moderno d’arie vecchie composte in altri paesi,
facendo profondissime riverenze a’ protettori di virtuose, dilettanti di musica,
affittascagni,137 comparse, operari, ecc., raccomandandosi a tutti.
Dovendo cambiar canzonette non le cambierà mai in meglio, e qualunque
arietta che non incontri dirà esser l’aria del maestro ma ch’è strapazzata da’ musici, non intesa dal popolo, ecc., avvertendo di smorzare i lumi che tiene al cembalo
nell’arie senza basso per riscaldarsi manco la testa, riaccendendole a’ recitativi.
Sarà il compositore moderno attentissimo con tutte le virtuose dell’opera,
regalandogli cantate vecchie e trasportate secondo le voci loro, aggiungendo ad
ognuna che l’opera sta in piedi per la di lei virtù, e lo stesso dirà ad ogni musico,
ad ogni suonatore, ad ogni comparsa, orso, terremoto, ecc.
Condurrà ogni sera maschere franche di porta, quali farà sedersi appresso in
orchestra, licenziando alcune volte il violoncello o contrabasso per commodo
delle medesime.
Tutti li maestri di capella moderni faranno porre sotto il nome degli attori le
parole seguenti: «La musica è del sempre arciceleberrimo138 signor N.N., maestro
di capella, di concerti, di camera, di ballo, di scherma», ecc., ecc., ecc., ecc.
minuetto: danza ternaria moderata di origine francese, diffusa dalla metà del XVII secolo.
gavotta: danza binaria di origine francese.
136
fughe… soggetti: procedimenti imitativi, ritardi della nota reale, temi da sviluppare, tutti ele134
135
menti dello stile severo e contrappuntistico.
137
affittascagni: coloro che fornivano uno scomodo sedile al pubblico della platea.
138
La musica… arciceleberrimo: Armida al campo d’Egitto cit., p. 7: «La musica è del sempre celebre
maestro signor don Antonio Vivaldi».
29
A’ musici
Non dovrà il virtuoso moderno aver solfeggiato139 né mai solfeggiare per non
cader nel pericolo di fermar la voce,140 d’intonar giusto, d’andar a tempo, ecc.,
essendo tali cose fuori affatto del moderno costume.
Non è molto necessario che il virtuoso sappia leggere o scrivere, che pronunzi
ben le vocali, ch’esprima le consonanti semplici o replicate, che intenda il sentimento delle parole, ecc., ma bensì che confonda sensi, lettere, sillabe, ecc., per far
passi di buon gusto, trilli,141 appoggiature, cadenze lunghissime, ecc., ecc., ecc.
Dovrà il virtuoso proccurar sempre la prima parte, ecc., facendo con l’impresario scrittura d’un terzo di più dell’onorario già convenuto a titolo di riputazione.
Se potesse avvezzarsi a dire che non è in voce, che non canta mai, ch’è tormentato da flussione,142 dolor di capo, di denti, di stomaco, ecc., ciò sarebbe da
buon virtuoso moderno.
Si lamenterà sempre della parte, dicendo che quello non è il suo fare riguardo
all’azzione, che l’arie non sono per la sua abilità, ecc., cantando in tal caso qualche
arietta d’altro compositore, protestando che questa alla tal corte appresso il tale
gran personaggio (non tocca a lui dirlo) portava tutto l’applauso e gli è stata fatta
replicare fino a diecisette volte per sera.
Canterà piano alle prove e nell’arie farà sempre la battuta a suo modo. Nelle
prove in teatro starà per lo più con una mano nel giustacuore143 con l’altra in
scarsella, avvertendo sopra ogni cosa che nelle messe di voce144 non s’intenda
pure una sillaba.
Starà sempre col cappello in testa, ancorché qualche personaggio di qualità
seco parlasse, a motivo di non raffreddarsi, e salutando alcuno non abbasserà mai
il capo, riflettendo ch’egli rappresenta principi, re, imperadori, ecc.
solfeggiato: l’esercizio del solfeggio cantato, voce composta dalle note Sol e Fa.
fermar la voce: rispettare le pause.
141
trilli: detti anche tremoli; ornamentazioni ottenute ribattendo una singola nota o alternan139
140
dola con quella vicina.
142
flussione: nella terminologia medica dell’epoca, indica il versamento di uno dei quattro umori
(bile nera, bile gialla, flegma, sangue) in una parte qualsiasi del corpo.
143
giustacuore: dal francese justaucorps ‘aderente’, indumento maschile in uso nel Sei-Settecento;
in origine indica una sopravveste stretta, poi una casacca lunga fino al ginocchio, spesso ricamata.
144
messe di voce: emissione vocale che consiste nel graduale crescendo e decrescendo di una
singola nota di durata relativamente lunga.
30
Canterà nel teatro con la bocca socchiusa, co’ denti stretti; insomma farà il
possibile perché non s’intenda né pure una parola di ciò che dice, avvertendo ne’
recitativi di non fermarsi né a punti né a virgole, ed essendo in scena con altro
personaggio, fino che quegli parla seco per convenienza del dramma o canta
un’arietta, saluterà le maschere ne’ palchetti, sorriderà co’ suonatori, con le comparse, ecc., perché il popolo chiaramente comprenda esser egli il signor Alipio
Forconi145 musico, non il principe Zoroastro146 che rappresenta.
Sino a tanto si fa il ritornello dell’arie, si ritirerà il virtuoso verso le scene,
prenderà tabacco,147 dirà agli amici che non è in voce, ch’è raffreddato, ecc., e
cantando poi l’aria avverta bene che alla cadenza potrà fermarsi quanto gli pare,
componendovi sopra passi e belle maniere148 ad arbitrio, che già il maestro di capella in quel tempo alzerà le mani dal cembalo e prenderà tabacco per attender il
di lui commodo. Dovrà parimente in tal caso ripigliar fiato più d’una volta prima
di chiudere con un trillo, quale studierà di battere velocissimamente a principio
senza prepararlo con messa di voci e ricercando tutte le corde possibili dell’acuto.
Farà l’azzione a capriccio, imperciocché non dovendo il virtuoso moderno
intender punto il sentimento delle parole, non deve formalizarsi veruna attitudine
o movimento, e onorerà sempre per la parte ch’entra la prima donna o verso il
palchetto de’ musici.
Tornando da capo149 cambierà tutta l’aria a suo modo e quantunque il cambiamento non abbia punto che fare col basso o con li violini e convenga alterare il
Alipio Forconi: prenome di un santo raffigurato a San Marco; Boerio, s.v. Alipio: «Sior Alipio
[…] si sente non di rado in bocca della bassa gente per motteggiare altrui, nel significato di stolido,
insulso, stivale, scipito e simili, o quando alcuno stia lì impalato come un cero senza far nulla o senza sapere che si dire»; Boerio, s.v. forca: «Detto per aggettivo a uomo […] ‘astuto’ […] ‘capestro’».
146
Zoroastro: re della Battriana, una regione dell’Asia anteriore, in parte corrispondente all’attuale Afghanistan; personaggio di Silvani-Pollarolo, Semiramide, Venezia, San Giovanni Crisostomo,
1714.
147
tabacco: ricavato dalla foglia di un’erbacea annuale che produce la nicotina; coltivata in origine
sull’altipiano centroamericano e nel Messico meridionale, la pianta si diffuse in Europa dal 1570;
Nicolás Monardes, La historia medicinal de las cosas que se traen de nuestras Indias Occidentales, Sevilla,
Alonso Escrivano, 1571, più volte ristampato a Venezia, consiglia il tabacco per curare molti disturbi, fra cui l’asma e il mal di denti.
148
belle maniere: abbellimenti della linea vocale.
149
da capo: la sezione A’ dell’aria in forma ABA’, in cui le variazioni rispetto ad A sono affidate
all’abilità del cantante.
145
31
tempo, ciò non importa, perché già (come si è detto di sopra) il compositor della
musica è rassegnato.
Se il virtuoso rappresentasse una parte di prigioniero, di schiavo, ecc., dovrà
comparire ben incipriato con abito ben carico di gioie, cimiero altissimo, spada
e catene ben lunghe e rilucenti, battendole e ribattendole frequentemente per
indurre il popolo a compassione, ecc.
Cercherà protezzione di qualche gran personaggio per potersi contrasegnare
sul libro virtuoso di corte, di camera, di campagna, ecc. del tal signore.150
Se l’impresario fosse di poco credito, pretenderà pieggiaria,151 viaggi e spese,
ma non potendo ciò conseguire canterà nulla di meno, prendendo a conto biglietti, affitti di palchi, speranze, riverenze, ecc.
Anderà difficilmente il virtuoso moderno a cantare a veruna conversazione,
dove però capitando si affacierà tosto allo specchio, accommodandosi la perucca,
stirando li manichetti,152 alzando il fazzoletto da collo perché si veda il solito bottone di diamanti, ecc. Toccherà poi il cembalo con svogliatezza e cantando a memoria ricomincierà più volte come se non potesse; e terminato il favore si porrà
a discorrere (a motivo di cogliere applausi) con qualche signora, narrandogli accidenti di viaggi, corrispondenze e maneggi politici, ecc., disputando poi sopra il
genio, sospirando con occhiate di qualche passione e gettandosi incessantemente
un groppo o l’altro della perucca dopo le spalle. Presenterà alla signora tabacco
ogni momento con diversa scattola (nella quale farà vedere il proprio ritratto),
mosterà gran diamante intagliato minutamente di passaggi, cadenze, trilli e con
qualche scena di forza,153 sonetti, orsi uccisi, ecc., ecc., quale dirà esser stato fatto
virtuoso… signore: [Pietro Giorgio Barziza]-Pollarolo, Il Germanico, Venezia, San Giovanni
Crisostomo, 1716, personaggi: Momoletto Albertini «primo virtuoso di sua altezza serenissima il
prencipe Carlo, langravio d’Assia», Annibale Pio Fabri «virtuoso di sua altezza serenissima il prencipe Felippo, langravio d’Assia»; per le donne, cfr. Armida al campo d’Egitto cit., personaggi: Antonia Merighi «virtuosa di sua altezza serenissima la gran principessa Violante vedova di Toscana», Rosa Venturini
«virtuosa di camera di sua altezza serenissima il signor principe Antonio Farnese di Parma».
151
pieggiaria: garanzia; Battaglia, s.v. pieggeria.
152
manichetti: risvolti, polsini inamidati della camicia maschile.
153
scena di forza: scena madre che contiene «qualche violento ed insolito impegno di passioni
contrarie o […] qualche incontro ed avvenimento non aspettato dagli uditori»; Pier Iacopo Martello, Della tragedia antica e moderna, Roma, Francesco Gonzaga, 1715, p. 179; edizione moderna in
Scritti critici e satirici, a cura di Hannibal S. Noce, Bari, Laterza, 1963.
150
32
lavorare da protettore cospicuo, aggiungendo che non lo esibisce a lei per non
fargli torto, ecc., ecc., ecc., ecc.
Passeggiando il virtuoso moderno con qualunque gran letterato non gli darà
mai la man dritta, riflettendo che appresso la maggior parte degli uomini il musico è in credito di virtuoso e ’l letterato d’uomo commune; anzi persuaderà egli
il letterato, sia filosofo, poeta, matematico, medico, oratore, ecc., a volersi far
musico, considerandogli seriamente che a’ musici (oltre la gran dignità nella quale
sono) non mancano mai denari e i letterati per lo più si muoiono dalla fame.
Se il virtuoso fosse solito far parte da donna,154 porterà sempre sulla vita un
bustino con adosso nei, rossetto, specchietto, ecc., facendosi la barba due volte
il giorno.
Pretenderà il virtuoso moderno l’onorario di somma rilevantissima a riguardo
di doversi mantener tutto l’anno da capitano o general con suo esercito, da principe, re o imperadore con sua corte, ministri, segretari, consiglieri, ecc., dando
generosamente guanti, scarpe, calzette dell’opera al servidore ch’avrà con sé, e
tanto più se gli fosse qualche poco parente; il servidore poi, fino che il virtuoso
parla con l’impresario, si ritirerà con qualche suggeridore o suonadore o pittor di
scene, narrandogli cose grandi dell’incontro del signor Alipio suo, aggiungendo
che l’interesse dell’impresario sarebbe di fermarlo ad occhi chiusi, che non ha mai
fallato in luogo veruno, ch’è instancabile alle fatiche, che mai si raffredda, che ha
trilli e cadenze novissime, ecc., ecc.
Se il musico fosse tenore o basso, potrà servirsi parimente di tutti gli avvertimenti dati di sopra, aggiungendo che il basso cantando deve tenoreggiare con
passi e corde acutissime e il tenore deve scendere al possibile nelle corde del
basso, ascendendo però col falsetto fino al contralto, nulla importando che per
ciò fare la voce sia di naso o di gola.
Tenori e bassi sapranno per lo più comporre e nell’opere vecchie si faranno
l’arie, battendole in scena con la mano e col piede.
Se il virtuoso fosse contralto o soprano, avrà qualche buon amico che parli
a suo favore nelle conversazioni, che lo dichiari (a gloria della verità) di civile e
onorata famiglia,155 aggiungendo che a motivo di pericolosissima infermità ha
convenuto soccombere all’incisione; peraltro ch’ha un fratello lettore di filosofia,
154
parte da donna: spesso i personaggi femminili erano interpretati dai castrati, soprattutto nello
stato pontificio.
155
onorata famiglia: generalmente si castravano invece i non abbienti con una bella voce.
33
un altro medico, una sorella monaca da officio,156 un’altra maritata in un cittadino,
ecc., ecc., ecc.
Facendo il virtuoso moderno duello e restando ferito in un braccio, farà l’azzione ancora col braccio ferito e dovendo bever veleno, canterà l’aria con la tazza
in mano, voltandola e rivoltandola, perché già è vuota.
Avrà alcuni movimenti particolari, o di mano o di ginocchio o di piede,
de’ quali si servirà a vicenda in tutta l’opera l’un dopo l’altro fin al fine della
medesima.
Sbagliando un’aria più d’una volta o che non avesse applauso, dirà che non è
aria per teatro, che non si può cantare, ecc., pretendendo che si muti con dire che
in teatro li musici, e non il maestro di capella, devono comparire.
Farà la corte a tutte le virtuose e lor protettori, non disperando per mezzo
della virtù e della solita esemplar modestia di conseguire titoli di conte, marchese,
cavaliere, ecc., ecc., ecc.
Alle cantatrici
In primo luogo dovrà la virtuosa moderna incominciare a recitar sul teatro
prima di toccar gli anni tredici,157 nel qual tempo non dovrà saper molto leggere,
non essendo ciò necessario alle virtuose correnti; per tal effetto dovrà ben tenere
a memoria alcune arie vecchie d’opera, minuetti, cantate, ecc., facendosi sempre
sentire con le medesime, e non avrà mai solfeggiato né solfeggierà mai, per non
cader ne’ pericoli detti di sopra al virtuoso moderno.
Dovrà, quando venga ricercata dall’impresario per via di lettere, non risponder subito e nelle prime risposte significargli non poter risolvere così presto,
avendo altre istanze (benché non sia vero) e risolvendo poi, pretenderà sempre
la prima parte.
monaca da officio: suora che ha preso gli ordini, a differenza della conversa.
anni tredici: generalmente i cantanti, maschi e femmine, debuttavano in tenera età; per esem-
156
157
pio Agostino Steffani (1654-1728) esordisce in teatro a undici anni, interpretando un ruolo infantile, in Giacomo Dall’Angelo-Pallavicino, Demetrio, Venezia, San Moisè, 1666; cfr. Colin Timms,
Polimath of the Baroque. Agostino Steffani and his music, Oxford, Oxford University Press, 2003, p. 7;
Goldoni, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, Venezia, San Moisè, 1749, personaggi: «La signora [Anna]
Bassani d’anni otto».
34
Quando però non sortisca alla virtuosa di ciò
conseguire, si accorderà
nonostante per la seconda,
terza e per la quarta ancora, facendo ella parimente
una scrittura avvantagiosa
a norma del musico, e se
avesse zio, fratello, padre,
marito suonadore, musico,
ballarino, compositore, ecc.,
pretenderà ch’egli pure venga impiegato.
Dimanderà che gli venga subito che si può spedita
la parte, quale si farà insegnare da maestro Crica158
con variazioni, passi, belle
maniere, ecc., avvertendo
sopra ogni cosa di non intender punto il sentimento
delle parole né cercare tampoco chi glielo spieghi.
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
Avrà bensì qualche avSignora Faustina [Bordoni giovanissima, al debutto]
vocato
o dottor familiare
in San Giovanni Grisostomo nel 1716 nell’«Ariodante»,
che gl’insegnerà mover le
disegno a penna e inchiostro bruno
su traccia di matita, I-Vgc.
braccia, batter il piede, girar
il capo, soffiarsi il naso, ecc.,
senza rendergli però ragione veruna di ciò per non confonderla sovverchiamente.
I passi, le variazioni, le belle maniere, ecc. se gli farà scrivere da maestro Crica
sopra quel solito libro a ciò destinato, quale sempre porterà seco per ogni paese.
Crica: reminiscenza del «sgnor Cricca […] mestr» della virtuosa, in Lotto Lotti, La cantatriz,
in Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703, pp. 45-70.
158
35
Non si farà sentire dall’impresario alla prima visita ma dirà al medesimo (sempre presente la signora madre): «Ch’al m’ scusa mo se stasira a n’ poss’ servirel,
perch’a n’ho mai psù durmir in quel pladur d’ qula maldetta barca pina d’ cent’
spirt’, ch’a i n’era du o tri ch’ pipavin, ch’i m’ha fatt’ vgnir al zirament’ d’ testa, ch’a
n’i ved lum’ e s’ m’ dura anch’».159 Ripigliando la signora madre: «O al mi
car sgnor impersari a s’ fa pur i gran
patiment’ in sti benditt viaz».160
Ritornato poi l’impresario a visitarla e sentirla col maestro dell’opera, doppo molte cerimonie e scuse
canterà la solita cantata:
Impara a non dar fede
a chi fede ti giura anima mia;161
e non ricordandosi quella bella maniera ricercherà subito la signora madre che prenda fuor dal baulo il libro
de’ passi, quali non farà mai a tempo,
soggiungendo: «Ch’i scusin mo, ch’
l’è un gran pezz ch’a n’ la digh; e po
st’istrument è alt purassà più dal mi
e st’ recitativ’ è tropp’ malinconich,
Nicolò Beregan-Giovanni Legrenzi,
Giustino,
Venezia, San Salvador, 1683,
antiporta di Pietro Liberi e Martial Desbois.
Ch’al… anch’: «Mi scusi se questa sera non posso accontentarla, perché non ho potuto dormire nel baccano di quella maledetta barca piena di cento indemoniati; ce n’erano due o tre che
fumavano e che mi hanno fatto girare la testa e perdere il senso della vista, che ancora mi continua»;
per il bolognese e per la traduzione, cfr. qui a pp. 81-83.
160
O… viaz: «O mio caro signor impresario, si soffrono grandi pene in questi benedetti viaggi».
161
Impara… mia: incipit di una cantata a voce sola di Giovanni Bononcini (1670-1747), pubblicata in Meslange de musique, Paris, Jean Baptiste Christophe Ballard, 1725, ma diffusa anche in
numerose copie manoscritte, tuttora conservate.
159
36
st’aria la n’è ins’al mi far»,162 ecc., benché infatti derivi la difficoltà dal non
avere il solito maestro Crica che l’accompagni.
A mezza l’aria poi sopravenendo la tosse alla virtuosa, soggiungerà
la signora madre: «In verità bona ch’
sta cantà è poc’ ch’ la i è arivà d’ vì, e
adess’ solament la la dis all’improvis;
ma la dirà ben degl’ari dal Giustin163 e
dal Faramond,164 ch’in’ miori di questi;
a i è po anc’ l’aria dal gel e dal cald,165
qul’altra dal qusì, qusì, qusì,166 qul’altra
dal non si pò,167 la scena dal fazzulett,168
Apostolo Zeno-Carlo Francesco
Pollarolo, Faramondo,
Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1699,
antiporta.
Ch’i… far: «Scusino, perché è un bel po’ che non la canto; e poi questo strumento è molto
più alto del mio, questo recitativo è troppo malinconico e quest’aria non mi si confà».
163
Giustin: Nicolò Beregan-Giovanni Legrenzi, Giustino, Venezia, San Salvador, 1683; Beregan e Pariati-Vivaldi, Giustino, Roma, Capranica, 1724.
164
Faramond: Zeno-Pollarolo, Faramondo, Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1699.
165
gel… cald: Aurelio Aureli-Alessandro Scarlatti, Massimo Puppieno, Napoli, San Bartolomeo, 1695, III, 3: «Ardo, sospiro e peno, / gelo, languisco, avvampo».
166
qusì… qusì: Antonio Arcoleo-Perti, La Rosaura, Venezia, Sant’Angelo, 1689, I, 5: «Poi la
destra più acceso /così così m’afferra».
167
non si pò: Zeno e Pariati-Gasparini, Ambleto, Venezia, San Cassiano, 1706, II, 14: «Fra ragion, che fa il dovere, / e beltà, che fa il potere, / dir l’amore non si deve / e negarlo non si può».
168
scena dal fazzulett: Giacomo Bussani-Antonio Sartorio, Giulio Cesare in Egitto, Venezia, San
Salvador, 1676, II, 24: «Sesto […] fingendo di piangere si va coprendo il volto con un fazzoletto»;
Zeno-Caldara, Lucio Papirio dittatore, Vienna, corte, 1719, I, 13: «Papiria […] si ritira col fazzoletto
agli occhi».
162
37
Giacomo Bussani-Antonio Sartorio,
Giulio Cesare in Egitto,
Venezia, San Salvador, 1676,
antiporta.
dal stil, dla pazzì, che la ragazza l’ dis e
s’el fa tutt’ a maraveia».169
Procurerà la virtuosa lettere di
raccomandazione a dame, cavalieri,
monache, ecc., a’ quali con una visita
di complimento le presenterà, non lasciandosi mai più vedere da essi a titolo di rispetto se non venisse regalata
frequentemente.
Gli sarà bensì di maggior profitto
il farsi indrizzare a qualche ricco e generoso mercante, perché questo provvederà di vino, legne, carbone, ecc.,
l’inviterà spesso a pranso, l’aspetterà a
cena, ecc.
Se l’alloggio andasse a sue spese si
ritirerà in picciola abitazione purché
sia vicina al teatro, dove, riverendo
personaggi di qualità, dirà al solito:
«Ch’i scusin mo sgnouri s’i vinen in
st’ cagnizz’ d’ tuguri, ch’ ’l par iust un
partimintin d’ queli dal Camp’ di Bù,
perch’al bisogna acmodars’ alla mei
ch’a s’ pò pr’ esser vsin al teatr’. Dal
rest’ al me paies a i ho un strazz’ d’ cà
da povra zovna siben, ma però a i vin la
più fiurì e nobil conversazion».170
In… maraveia: «A dir proprio il vero, è poco che questa cantata le è arrivata da fuori e soltanto adesso lei la improvvisa; ma canterà bene delle arie dal Giustino o dal Faramondo, che sono
migliori di queste. C’è poi l’aria del gelo e del caldo, quell’altra del “così, così, così”, l’altra del “non
si può”, la scena del fazzoletto, del pugnale, della pazzia, che la ragazza recita e interpreta tutte a
meraviglia».
170
Ch’i… conversazion: «Scusino lor signori se vengono in questa misera e vecchia abitazione che
sembra proprio un appartamentino di quelli del Foro Boario, perché bisogna arrangiarsi il meglio
possibile per essere vicini al teatro. Ma del resto, nel mio paese ho una casetta da povera giovane,
dove però viene la più scelta e nobile compagnia».
169
38
Cercherà un protettore particolare e assiduo e questo si chiamerà signor
Procolo,171 avvertendo (come s’è detto di sopra al musico) di aver sempre tosse,
raffreddore, flussione, dolor di capo, di gola, di fianchi, ecc., lamentandosi con
dire: «A n’ so ch’ razza d’ città sipa mai questa, che st’aier m’ fa semper psar la
testa ch’ la par un madon e po st’ pan’ e st’ vin’ ch’a s’ compra al m’ fa un mal al
stomg’ ch’a n’al poss’ padir assolutament».172
Se il poeta andasse con l’impresario a leggerli l’opera, non ascolterà che appena la parte sua, quale pretenderà che si rifaccia a suo modo, aggiungendo e
levando versi di recitativo, scene di pianto, deliri, disperazioni, ecc., ecc., ecc.
Si farà sempre aspettare alle prove dove comparirà per mano del signor Procolo, salutando con occhio parziale tutti li circostanti, del che rimproverata dal
signor Procolo risponderà bruscamente: «Cos’è sti smorfi, sti zelusì sproposità?
Siv’ matt? A n’ savì gnanch’ ch’ la profession porta aqusì? Mo a son pur stuffa di
fatt vuster»,173 ecc.
Non canterà mai l’arie alla prima prova; né farà i passi e cadenze, da maestro
Crica insegnatigli sopra di esse, che alla prova generale in teatro.
Farà sempre tornar da capo l’orchestra pretendendo che tutte l’arie vadano
più tarde o più preste conforme porteranno i passi sudetti.
Mancherà a molte prove, mandandovi in cambio la signora madre a far le sue
scuse, la quale per lo più dovrà dire: «Ch’i compatissin mo sgnouri, perch’in sta
nott’ la ragazza la n’ha mai psù durmir una gozza, perch’ l’ha sintù tant’i gran
fracass’ per la strà, ch’i era d’avis d’ sentir iust la caruzzazza d’ Bulogna. La cà è
po pina d’ pundgh’, che tant’ quant’a s’ principia a vlers’ apisular un puctin i dan
su tutt’ ch’i parin tant’ diavel; e po vers’ dì l’ha pers’ la scuffia dla nott’ e s’ n’ l’ha
mai psù truvar, ch’ l’è sta causa che la s’è afferdà e s’ n’ cred’ ch’in tutt’ ancù la s’
livarà da lett».174
171
protettore… Procolo: reminiscenza del «sgnor Proqul prutettor», in Lotto Lotti, La cantatriz
cit.; fra i molti Procoli beatificati, si segnala un vescovo martirizzato a Bologna all’inizio del IV
secolo, il cui onomastico si festeggia il primo giugno; a lui era dedicato un monastero benedettino,
fondato a Bologna nell’XI secolo.
172
A… assolutament: «Non so che razza di città sia mai questa, dove l’aria mi fa sempre avere la
testa pesante come una grossa zolla, e poi questo pane e questo vino che si compra mi provoca il
mal di stomaco perché non riesco assolutamente a digerirlo».
173
Cos’è… vuster: «Cosa sono queste contrarietà, questi sospetti fuori luogo? Siete pazzo? Non
sapete neppure che la professione vuole così? Sono proprio stanca dei vostri comportamenti».
174
Ch’i… lett: «Che perdonino, signori, perché in questa notte la ragazza non ha mai potuto
39
Si lamenterà sempre la virtuosa dell’abito d’opera, ch’è povero, che non è alla
moda, ch’è stato portato da altre, obbligando il signor Procolo a farlo rifare, mandandolo e rimandandolo ogni momento dal sarto, calzolaro, acconciateste, ecc.
Subito andata l’opera in scena scriverà lettere agl’amici ch’è compatita sopra
degli altri, che gli fanno replicar tutte l’arie, i recitativi, l’azzione, il soffiarsi il naso,
ecc., e che la tale, che doveva far gran fracasso, appena è ascoltata, perché non
intuona, ha cattivo trillo, poca voce, mal sceneggiare, ecc., ecc., ramaricandosi
però ella gravemente all’applauso di tutte l’altre.
Canterà tutte l’arie battendole in scena col ventaglio o col piede, e se la virtuosa rappresentasse la prima parte pretenderà che nel palchetto de’ musici la signora
madre sua occupi il primo luogo, ordinandogli di portar seco ogni sera fazzoletti
bianchi e di seta, mulette,175 ampolle con gargarismi, aghi,176 nei, rossetto, scaldino, guanti, polvere di Cipro,177 specchietto, libro de’ passi, ecc., ecc., ecc.
Avverta la virtuosa di prolungar nelle ariette per lo più l’ultime sillabe d’ogni
parola, verbi gratia dolceeee… favellaaaa… quellaaaaa… orgogliooooo… sposoooo…, ecc., ecc., ecc.; e se per caso alcuna volta si accorgesse non intuonare,
alterar il tempo, ecc., dirà: «Sti malditt cembal stasira i en alt’ arabià e sì è iust per
causa d’ qui bi sgnouri d’intermezz’,178 ch’al par ch’ l’opera staga in pi per lor; e
po qul’orchestra i in piz di urb’ ch’ van al caldir, gnanc’ un’aria ch’i m’i aven dà al
so temp iust».179
Prima d’uscire in scena prenderà sempre tabacco o dal protettore o dagli amici o da qualche comparsa che gli dasse dell’illustrissima, e nell’uscir di teatro
chiudere occhio, ha sentito tanto di quel fracasso per la strada che le sembrava di udire tutte le
carrozze di Bologna. La casa è poi così piena di topi che quando si incomincia a voler prendere un
po’ di sonno, loro si scatenano a tal punto che sembrano tanti diavoli; inoltre, verso mattina, lei ha
perso la cuffia da notte e non è più riuscita a trovarla, questo è il motivo per cui si è raffreddata e
non credo che per tutto il giorno si alzerà dal letto».
175
mulette: pianelle; Boerio, s.v.
176
aghi: Boerio, s.v.: «Ago da testa […] col quale s’infilano i cappi ne’ capelli».
177
polvere di Cipro: la cipria che prende il nome dall’isola di Afrodite perché abbellisce.
178
d’intermezz’: all’epoca esistevano diversi tipi d’intermezzo, destinati all’opera seria, agli attori
della commedia o ai collegiali che eseguivano la tragedia, fra cui Benedetto Marcello, Intermezzi
[Spago e Filetta] e cori per […] «Lucio Commodo», ms., I-Vnm, Contarini, cod. it. IV, 252 (=9823).
179
Sti… iust: «Questi maledetti cembali stasera crescono dannatamente, sì è proprio colpa di
quei bei signori dell’intermezzo, che sembra che l’opera si regga grazie a loro; poi quegli orchestrali sono peggio dei ciechi che vanno nei setifici, neanche un’aria in cui mi abbiano dato il tempo
giusto».
40
accompagnata da amici dimanderà fazzoletti per coprirsi dall’aria dicendo per
strada ragionevolmente alla signora madre: «Ch’ l’avverta ben, ch’a i lass’ a li l’incargh’ d’ restituir sti fazzulett’ a chi mi ha imprestà».180
Dovrà con la frequenza possibile alzare in scena ora il destro, ora il braccio
sinistro, cambiando sempre dall’una all’altra mano il ventaglio, sputando ad ogni
pausa dell’arie, cantando con testa, bocca e collo storto continuamente, avvertendo, se rappresentasse parte da uomo, di tirar sempre su il guanto d’una mano
o dell’altra, d’aver sul viso più nei, scordarsi frequentemente nell’uscire spada,
cimiero, perucca, ecc. Sino che qualche personaggio recita seco o canta l’arietta,
saluterà la virtuosa moderna (come si è detto di sopra al musico) le maschere ne’
palchetti, sorridendo col maestro di capella, co’ suonatori, comparse, suggeritori,
ecc., ponendosi dopo il ventaglio al viso, perché si sappia dal popolo esser ella la
signora Giandussa Pelatutti,181 non già l’imperatrice Filastrocca182 che rappresenta, il di cui carattere maestoso potrà poi conservarlo fuor del teatro.
Dirà sempre che terminato il carnovale prende marito, ch’è già promessa con
personaggio di qualità, e ricercata dell’onorario soggiungerà ch’è una bagattella,
ma ch’è venuta per esser sentita e compatita, non ricusando poi a tal effetto protettori e amici di qualunque grado, nazione, professione, fortuna, ecc.
La prima donna insegnerà l’azzione a tutta la compagnia; se la virtuosa facesse da seconda donna pretenderà dal poeta d’uscire in scena la prima e ricevuta
la parte numererà le note e le parole della medesima e, se in caso si accorgesse
d’esser inferiore a quella della prima donna, obligherà poeta e maestro di capella
a raguagliargliela così di parole come di note, avvertendo di non cedergli punto
nello strascino della coda, nel belletto, nei, trillo, passi, cadenze, protettore, papagallo, civetta, ecc., ecc.
Anderà a visitare ora questo ora quel palchetto, dove si lamenterà sempre
dicendo: «A i ho ben po una part che n’è mai fatta al me dos’ e po stasira a n’
Ch’… imprestà: «Che stia bene attenta, perché le lascio l’incarico di restituire questi fazzoletti
a chi me li ha prestati».
181
Giandussa Pelatutti: corrispettivo femminile di Alipio Forconi; Boerio, s.v. giandussa: «Dall’italiano ghianduzza o ghianduccia […] donna molto riottosa […] pestilenza […] argento vivo»; Boerio, s.v. pelarina: «Mignatta delle borse altrui […] che sa trarre da ciascheduno il più che può e senza
riguardo»; cfr. Goldoni, Pelarina, Venezia, San Samuele, 1734.
182
Filastrocca: Boerio, s.v. filastroca: «Tiritera […] discorso confuso di cose inutili»; per una celebre imperatrice dell’opera, cfr. Vincenzo Grimani-Georg Friedrich Händel, Agrippina, Venezia,
San Giovanni Crisostomo, 1709.
180
41
poss’ avrir la bocca d’ sorta fatta, cosa ch’ n’ m’è mai intravegnù in tant pais ch’a
i ho cantà ai mi dì. E po a n’ s’ pò miga far l’azion e cantar a temp’ musica d’ sta
fatta, ch’ l’è stretta inspirtà e s’ n’ si pò far gnint dentr’; e s’ l’impresari o ’l mester
d’ capella n’i n’ cuntin, ch’i vegnin lor a cantarla, ch’ mi a son stuffa. E s’i n’ m’
lassaran star a son mustazzina d’ fari al bal dal pianton, ch’a n’ ho brisa pora di
umorin, ch’a i ho anca mi ’l mi protezzion»,183 ecc.
Farà cadenze la virtuosa moderna di cento bocconi,184 avvertendo (conforme
sì è detto di sopra al musico) di ripigliar fiato più volte, ricercar gli ultimi acuti
e dar al trillo la solita storta di collo; e ricercata dal maestro di capella delle sue
corde185 ne dirà sempre due o tre più alte e più basse.
Cundurrà seco ogni sera (per aggiunger concorso e credito all’opera) dieci o
dodeci maschere franche di porta, oltre il signor Procolo, alquanti sotto Procoli,
il maestro dell’azzione, ecc., ecc., ecc.
Facendosi sentire la virtuosa dall’impresario, gli canterà al cembalo con l’azzione e rappresentandogli qualche scena in due personaggi a sedere, farà entrare
in luogo dell’altro o la signora madre o ’l protettore o la serva di casa.
Anderà alla prova generale d’altri teatri, facendo applauso a’ virtuosi nel tempo che ognuno è in silenzio, acciò si sappia da tutti ch’ella è presente, aggiungendo a chi fosse in sua compagnia: «Mo perch’a n’oia mai mi qul’aria con quel
recitativ’ o qula scena dal stil o dal vlen o dal piant’ in znoch? Guardà cmod’
i languiss’ in bocca agn’ cosa a qula gran virtuosa da cinqumilliacinquecent’ e
cinquantacinqu’ lir dla nostra muneida? Mi a n’ m’ tocca mai sti baz; sempr’ del
part’ spalà, di suliloqui etern’, di lazarun,186 ch’a n’ s’ pò gnanc’ mustrar qula poc’
d’abilità ch’ s’ha»,187 ecc., ecc.
A… protezzion: «Ho poi proprio una parte che non mi si adatta e stasera non riesco ad aprire
la bocca in nessun modo, una cosa che non mi è mai capitata in tanti paesi in cui ho cantato nella
mia vita. E poi non si può per nulla interpretare la parte e cantare a tempo una musica di questa
fatta, che è veloce spiritata e non permette niente; e se l’impresario o il maestro di cappella non ne
tengono conto, vengano loro a cantarla che io sono stanca. E se non mi lasceranno stare, io sono
un tipetto capace di piantarli in asso, che non ho certo paura di tali personcine, perché ho anch’io
le mie protezioni».
184
Farà… bocconi: cadenze spezzate, a brandelli, prive di senso musicale.
185
sue corde: l’estensione vocale.
186
lazarun: da lázaro ‘pezzente’, appellativo con cui gli spagnoli indicavano gli insorti napoletani
durante la rivolta di Masaniello nel 1647.
187
Mo… s’ha: «Ma perché non ho mai io quell’aria con quel recitativo o quella scena del pugnale
183
42
Avuta la parte della second’opera manderà subito l’ariette (quali per maggior
sollecitudine farà copiar senza basso) a maestro Crica, perché scriva i passi, le
variazioni, le belle maniere, ecc. E maestro Crica senza saper l’intenzione del
compositore quanto al tempo delle medesime e come siano concertati bassi o
istromenti, scriverà sotto di esse nel loco vacuo del basso tutto ciò gli verrà in
capo in gran quantità, perché la virtuosa possa variar ogni sera.
Lodata, la virtuosa risponderà sempre star mal di voce, non poter cantare, che
non canta mai, ecc., e prima di partire dal suo paese pretenderà dall’impresario
metà dell’onorario per far il viaggio, vestir il protettore, provvedersi d’ovata,188
di trilli, appoggiature, ecc., ecc., e porterà seco papagallo, civetta, un gatto, due
cagnolini, una chizza189 gravida e altri animali, ai quali tutti il signor Procolo darà
da mangiar e bere per il viaggio.
Ricercata poi d’altra virtuosa, risponderà: «A la cgnoss’ a risgh’ a risgh’ e con
li a n’ho mai avù incontr’ d’ recitari».190 Ma se avesse cantato seco ripiglierà: «L’è
mei taser ch’ mal parlar e po la feva una partsina ch’ la n’aveva altr’ ch’ trei ari e
s’i in tossen d’ vi dov la segonda sira. E po la s’ingrassa tant ch’ la par un sacc’
vstì e s’ losna al temp ch’ la guarda un puctin tra la zeda e al pergular e in scena l’è
ladra arabià. L’è po invidiousa e s’ pianz’ agl’applaus degli altr’ e a so mi ch’ l’ha
di annaritt’, seben ch’al prutettor e so mader la fan una fantsina, la s’è dscredità
po l’ultma volta a recitar in s’ la sala»,191 ecc., ecc.
La prima donna baderà pochissimo alla seconda, la seconda alla terza, ecc.;
non l’ascolterà in scena, ritirandosi nel tempo che canta l’aria, prendendo tabacco
dal protettore, soffiandosi il naso, guardandosi in specchio, ecc., ecc.
o del veleno o del pianto in ginocchio? Guardate come le si infiacchisce in bocca ogni cosa a quella
gran virtuosa da cinquemilacinquecento e cinquantacinque lire della nostra moneta? A me non
toccano mai queste fortune, sempre delle parti senza risultato, di soliloqui eterni, di popolani, nelle
quali non si può neanche mostrare quel poco di abilità che si possiede».
188
d’ovata: Boerio, s.v.: «Feltro di cotone [...] che si mette tra il panno e la fodera degli abiti,
specialmente donneschi, per tener caldo».
189
chizza: cagna; Boerio, s.v.
190
A… recitari: «La conosco appena appena e non ho mai avuto occasione di recitare con lei».
191
L’è… sala: «È meglio tacere che dire maldicenze e poi faceva una particina che non aveva
altro se non tre arie e gliene furono tolte due la seconda sera. E ancora si ingrassa tanto che sembra
un sacco vestito e accorcia tanto il tempo in cui lei deve guardare un po’ tra la siepe e il pergolato
che quando è in scena è velocissima nell’esecuzione. È anche invidiosa e piange per gli applausi fatti
agli altri e so ben io che ha i suoi annetti, sebbene il protettore e sua madre la facciano passare per
una ragazzina, e poi l’ultima volta si è screditata a recitare in sala».
43
Se la virtuosa avrà una parte d’azzione e che non incontri, dirà che per lo più
gli tocca far scena col tale o con la tale, che non gli danno i lazi192 opportuni; e
non avendo parte d’azzione protesterà che il poeta e ’l maestro di capella l’hanno
assassinata, con tuttoché siano stati avvisati della sua abilità, pregati dal signor
Procolo e regalati.
Non farà mai a modo dell’impresario, fuorché nel lamentarsi della parte, nel
farsi aspettar alle prove, nel lasciar l’arie, ecc.
Venendo favorita di sonetti, ne appenderà molti nella stanza del clavicembalo,
avvertendo di far unire quelli di seta,193 benché siano di vari colori, dalla signora
madre per far coperte alla tavoletta,194 al busto, ecc. Manderà libretto, arie, sonetti,
epigrammi e alquanti ritagli dell’abito al protettore, che seco non fosse, e prima
d’incominciare ogni arietta guarderà attentamente il maestro di capella o ’l primo
violino aspettando da loro il cenno per entrar a tempo, ecc.
Metterà ogni studio la virtuosa moderna per variar l’arie ogni sera e, quantunque le variazioni non abbiano punto che fare col basso, co’ violini unissoni
o concertati, o convenga non intuonare,195 ciò nulla importa, perché il maestro
di capella moderno già è sordo e muto. E quando non sappia la virtuosa che più
variare, studierà di far i passi ancora nel trillo, che ciò solamente resta a sentirsi
dalle virtuose correnti.
Cantando duetti non si unirà mai col compagno e particolarmente tarderà alla
cadenza, piccandosi di trillo lungo, e dirà di non voler arie che morano in scena,196
desiderando di ricever dal popolo il solito «eviva» o «buon viaggio» nell’entrar
dentro.
Non leggerà però mai il libretto dell’opera, imperciocché (come si è detto di
sopra) la virtuosa moderna non deve intenderlo punto, e nel scioglimento all’ultima scena sarà ben fatto che non badi molto, si metta a ridere, ecc.
lazi: Boerio, s.v. lazo: «Qualunque azione che facciano i comici [ossia gli attori] per esprimere
il lor pensiero».
193
sonetti… seta: allusione all’usanza diffusa di stampare su seta colorata i sonetti encomiastici.
194
tavoletta: la toilette, adornata dal «grembiale […] quella balza che pende intorno»; Boerio,
s.v. toleta.
195
non intuonare: qui significa non cantare anziché stonare.
196
dirà… scena: la virtuosa non vuole l’aria di mezzo, dopo la quale deve restare in scena, bensì
quella di entrata.
192
44
Nell’arie e recitativi d’azzione avverta bene di servirsi ogni sera de’ stessi movimenti di mano, testa, ventaglio, ecc., soffiandosi il naso all’ora solita col bel
fazzoletto, quale per lo più si farà portare dal paggio in qualche scena di forza.
Facendo la virtuosa porre qualche personaggio in catene e cantandogli un’aria
di sdegno, nel tempo del ritornello parlerà col medesimo, riderà, gli mostrerà
maschere ne’ palchetti, ecc.
Se cantasse arie con parole di «crudele», «traditor», «tiranno», ecc., guarderà
sempre il protettore nel palchetto o dentro le scene; nell’altre poi «caro», «mia
vita», ecc., si rivolgerà al suggeritore, all’orso o a qualche comparsa.
Procurerà d’introdurre in tutte l’arie preste, patetiche, allegre, ecc., un certo
novissimo passo di semicrome legate a tre a tre, e ciò per sfuggire al possibile la
varietà nel cantare, che più non s’usa, e quanto sarà più acuto soprano, tanto sarà
più facile che ottenga la prima parte.
Piangerà dirottamente (a motivo d’invidia virtuosa) all’applauso di qualunque
personaggio, orso, terremoto, ecc., pretendendo dal signor Procolo i soliti sonetti
ad ogn’aria.
Se la virtuosa dovesse rappresentare parte da uomo, dirà la signora madre:
«Oh in quant’a quel bisogna ch’ tutt’ ceden’ alla mi fiola. A n’ sta ben a mi a direl,
ma per tutt’ la s’è fatt’ un unor immurtal. Se ben ch’ la par un po’ goba e affagutà,
in scena però l’è dritta cm’è un fus’ e linda cm’è un pindulin. L’è scarma, l’ha un
par d’ gamb’ ben fatt’, ch’i paren du balaustr’, e un bellissim caminar. E po a s’ pò
infurmar d’ qula gran part da tirann ch’ l’ha fatt’ l’an’ passà a Lug197 (dov’ a s’ fa
qui gran uperun) ch’ tutt’ i andavin drì matt’».198
Saprà la virtuosa a memoria la parte di tutti più che la sua, quale canterà tra le
scene, avvertendo ancora finch’altri canta di sturbarli al possibile, facendo gran
strepito con l’orso, comparse, ecc., e se il signor Procolo salutasse, parlasse o
facesse applauso a qualche ragazza, lo sgriderà bruscamente, dicendogli: «A n’
Lug: Lugo di Romagna, dove si rappresentava l’opera dal 1711 durante l’annuale esposizione
estiva; Carlo Sigismondo Capece-[Alessandro Scarlatti?], Il figlio delle selve, Lugo, [Fiera], 1718.
198
Oh… matt’: «Oh, per quello bisogna che tutte si arrendano alla mia figliola. Non sta bene
che lo dica io, ma a giudizio di tutti si è conquistata una fama immortale. Anche se sembra un po’
gobba e sgraziata, in scena però è dritta come un fuso ed elegante come un ciondolino. È magra,
ha un paio di gambe ben fatte che sembrano due colonne e un bellissimo incedere. Può informarsi
di quella gran parte da tiranno che ha fatto l’anno passato a Lugo (dove si fanno quelle grandi
rappresentazioni), tutti le impazzivano dietro»; spesso le donne recitavano parti maschili en travesti
ovvero in pantaloni mostrando le gambe.
197
45
la vlen finir st’instoria o vliv ch’a v’ daga di smasslun o di pugn’ int’al mustazz’
finch’a psì purtar vecch’ matt’? A n’ev cuntintà d’una ch’a i avì tutt’ l’impegn’ ch’a
vlì far al muscon e al sparaguai con tutti? Mo a qula braghira po, a so quel ch’a i
ho da far per farla abadar ai fatt su. La farev mei a star in ti su sì quatrin, perch’a
son mustazzina d’ sbattri tant la part’ in tal grugn’ finch’ la fazza la stoppa»,199
ecc., ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.
Agl’impresari
Non dovrà l’impresario moderno possedere notizia veruna delle cose appartenenti al teatro, non intendendosi punto di musica, di poesia, di pittura, ecc.
Fermerà, per broglio d’amici, ingegneri di scene, mastri di musica, ballarini,
sarti, comparse, ecc., avvertendo di usar tutta l’economia in queste persone per
poter pagar bene i musici e particolarmente le donne, l’orso, la tigre, le saette, i
lampi, i terremoti, ecc.
Sceglierà un protettore al teatro col quale anderà incontro alle virtuose che
venissero d’altro paese e, arrivate che siano, gliele consegnerà con loro papagalli,
cani, civette, padri, madri, fratelli, sorelle, ecc.
Raccomanderà al poeta scene di forza e che quella dell’orso sia per lo più al
fine degli atti, chiudendo l’opera con le solite nozze o scoprimenti de’ personaggi
per mezzo di risposte d’oracoli, di stelle in petto, di bende, di nei sul ginocchio,
sulla lingua, orecchie, ecc., ecc.
Avuto dal poeta il libretto anderà prima di leggerlo a visitare la prima donna,
pregandola di volerlo sentire; nel qual caso alla lettura di detto libro dovranno
intervenire oltre alla virtuosa il di lei protettore, l’avvocato, i suggeritori, qualche
portinaro, qualche comparsa, il sarto, il copista dell’opera, l’orso, il cameriero del
protettore, ecc., nel qual tempo dirà ognuno la sua opinione, disapprovando ora
questa ora quella cosa, e l’impresario destramente risponderà che a tutto sarà
rimediato.
A… stoppa: «La vogliamo finire questa storia o volete che vi dia dei ceffoni o dei pugni sul
muso finché non ne potrete più, vecchio matto? Non vi accontentate di una da cui avete tutto
l’impegno, volete fare il bellimbusto e il fanfarone con tutte? Ma a quella ficcanaso so ben io cosa
fare perché si occupi dei fatti suoi. Farebbe meglio a stare attenta, perché sono un tipetto capace di
sbatterle la parte nel grugno fino a conciarla male».
199
46
Consegnerà l’opera al maestro di capella ai quattro del mese, dicendogli voler
andar in scena a’ dodeci assolutamente e che perciò per far presto non badi a
spropositi, quinte, ottave, unissoni,200 ecc.
Co’ pittori delle scene, sarti, ballarini, ecc., farà un accordo di tanto denaro
per opera, non prendendosi cura veruna di restar ben servito da quelli, fidandosi
intieramente nella prima donna, intermezzi, orso, saette, terremoti, ecc. come
sopra.
La parte del figlio sarà sempre appoggiata a virtuoso ch’abbia vent’anni più
della madre.
Avrà sempre il manuscritto dell’opera sotto l’occhio, orologio da polvere,201
brazzolaro,202 gemi di spago,203 ecc. per rilevar la lunghezza di essa, staio o quarta204 in mano per misurar i passi delle virtuose, ecc.
Ricevendo doglianze da’ personaggi intorno alla parte darà un ordine espresso al poeta e al compositor della musica di guastare il dramma a sodisfazzione
de’ sopradetti.
Darà porta franca ogni sera al medico, avvocato, speciale,205 barbiere,
marangone,206 compadre207 ed amici suoi con loro famiglie per non restar mai
a teatro vuoto, e per tal effetto pregherà virtuosi e virtuose, maestro di capella,
suonatori, orso, comparse, ecc. di voler condurre parimente ogni sera cinque o
sei maschere per uno senza biglietti.
Sceglierà la second’opera dopo che sia in scena la prima, soffrendo pazientemente qualunque indiscretezza de’ virtuosi, sul riflesso che questi la sera in teatro
con l’autorevole dignità di principi, re, imperatori, ecc. potrebbero soddisfarsi e
gravemente mortificarlo, non intuonando, lasciando l’arie, ecc.
200
quinte… unissoni: andamento parallelo delle parti, non tollerato all’epoca perché impoverisce
l’armonia.
201
orologio da polvere: clessidra a sabbia; in origine la clepsydra latina è un orologio ad acqua, dal
greco kleptein ‘rubare’ e hydor ‘acqua’.
202
brazzolaro: braccio, misura lineare per le stoffe e simili; Boerio, s.v. brazzoler.
203
gemi di spago: gomitoli; Boerio, s.v. gemo.
204
staio o quarta: contenitori per misurare cereali e granaglie.
205
speciale: speziale, farmacista; Boerio, s.v. specier: «Quegli che vende le spezie e compone le
medicine ordinategli dal medico».
206
marangone: falegname, maestro d’ascia; Boerio, s.v.
207
compadre: compare, padrino di battesimo o cresima, testimone di nozze.
47
La maggior parte della compagnia dovrà esser formata di femmine e se due
virtuose contendessero la prima parte farà l’impresario comporre al poeta due
parti eguali d’arie, di versi, di recitativo, ecc., avvertendo che il nome d’ambedue
sia pure formato della medesima quantità di sillabe.
Pagando al termine delle recite il contrabasso e violoncello, gli batterà tutte
le seconde parti dell’arie, che non avranno suonato, pregando al tal effetto il
compositor della musica di far per lo più dette seconde parti senza una nota di
basso, e sceglierà monete di non giusto peso per pagar virtuosi che fossero stati
raffreddati, non avessero intuonato, ecc., ecc.
Accorderà musici di poca spesa, ragazze non più sentite, procurando che siano piuttosto leggiadre che virtuose, perché abbondino di protettori. Affitterà
palchi, scagni, soffitta, botteghino, ecc. subito avuto un teatro, pagando tosto
pontualmente pigione, provvedendo prudentemente di vino, legne, carbone, farina, ecc. per tutto l’anno.
Pagherà i viaggi l’impresario alle virtuose forastiere perché vengano sicuramente, promettendogli buon alloggio vicino al teatro, cibarie, biancaria, ecc., e
le alloggerà poi in qualche picciola cucinetta (purché sia vicina al teatro) ripiena
però di tutte le sudette cose e celebrerà per la città la loro virtù, affine che qualche
protettor s’introduca e supplisca nell’avvenire cortesemente per lui.
Ricercato della compagnia dirà ch’è una compagnia unita, che non v’è la parte
odiosa, che v’è una ragazza da uomo che vuol far fracasso, un orso novello, saette,
tuoni, tempeste, ecc., altra ragazza da buffa di graziosissimo spirito e un buffo208
comprato a lira209 che gli costa tesori ma ch’è il miglior musico della città.
La prima prova dell’opera si farà in casa della prima donna, replicando poi
dall’avvocato del teatro; e ricercato da’ virtuosi di pieggiaria, risponderà che diano
ancor loro pieggiaria di piacere al popolo.
Nelle sere che si facessero pochi biglietti, permetterà l’impresario moderno a’
virtuosi di cantar mezze l’arie, lasciar recitativi, ridere in palco, ecc., a’ suonatori di
buffa… buffo: gli interpreti degli intermezzi.
comprato a lira: pagato in contanti; la lira veneziana, che all’epoca valeva venti soldi, rimase in
208
209
corso fino alla caduta della repubblica.
48
non dar pece210 all’arco, all’orso di non far la sua scena, alle comparse di pipar211
col re, con la regina, ecc.
Nascendo co’ virtuosi qualche svario212 ne’ pagamenti, pretenderà l’impresario risarcimento da’ medesimi per occasione di stonature, poca azzione, sfreddimenti, ecc. e visiterà frequentemente tutte le virtuose, pregandole guardarsi
dall’aria, assicurandole che tutta la città è sodisfatta de’ loro abiti, nei, ventagli,
belletto, ecc., che presto avranno sonetti sopra guantiere d’argento, che a lui non
importa che intuonino o pronunzino schietto, purché non si scordino a’ luoghi
soliti dell’azzione, ecc.
Raccomanderà al maestro di capella l’arie strepitose, gaie, ecc., ecc., e ciò particolarmente dopo le scene di forza; e non avrà difficoltà di prendere qualche
virtuosa maritata che fosse gravida, tanto manco se nell’opera vi entrasse qualche
gravida regina od imperatrice, ecc., ecc., ecc., ecc.
A’ suonatori
Dovrà il virtuoso di violino in primo luogo far ben la barba, tagliar calli, pettinar perucche213 e compor di musica. Avrà imparato da principio a suonar da
ballo sui numeri,214 non andando mai a tempo, né avrà buon’arcata ma bensì gran
possesso del manico.215
Non dipenderà mai nell’orchestra dal maestro di capella o dal primo violino,
suonando con l’arco solamente dal mezzo in su sempre forte e con diminuzioni216 a capriccio.
Il primo violino accompagnando arie a solo incalzerà sempre il tempo, non
si unirà mai col musico e infine farà cadenza lunghissima, quale porterà seco già
preparata con arpeggi, soggetti a più corde, ecc., ecc., ecc.
pece: resina derivata dalle conifere, usata fra l’altro per ottenere l’attrito sulle corde degli
strumenti ad arco.
211
pipar: fumare la pipa o fiutare il tabacco.
212
svario: differenza, divario.
213
barba… perucche: Giovanni Battista Vivaldi, padre di Antonio, faceva il barbiere e il violinista.
214
sui numeri: basandosi sulla diteggiatura senza leggere le note.
215
manico: Boerio, s.v. manego. «Dicesi il pezzo di legno incollato all’estremità superiore del
violino e della chitarra».
216
diminuzioni: sostituzione delle note date con altre di durata inferiore, a scopo ornamentale.
210
49
Dovranno li violini accordar tutti assieme, non avendo punto l’orecchio a
cembali o contrabassi, ecc., ecc., ecc., ecc.
Di molti de’ sopradetti avvertimenti potranno servirsi li virtuosi ancora di
violetta.
Il secondo cembalo non anderà che alla prova generale, mandando a tutte
l’altre il terzo, il quale non intenderà per ordinario altra chiave di sopra che del
soprano,217 avvertendo di non usar mai suonando li diti grossi,218 di non badar a’
numeri,219 di dar sempre sesta,220 di non si unir mai col maestro e chiudendo tutte
le seconde parti dell’arie con terza maggiore, ecc., ecc., ecc.
Il virtuoso di violoncello intenderà solamente la chiave di tenore e di basso.221
Non alzerà mai l’occhio alla parte, saprà poco leggere, non dovendosi punto
regolare né alle note né alle parole del musico.
Accompagnerà sempre i recitativi all’ottava alta (particolarmente de’ tenori
e bassi) e nell’arie spezzerà il basso a capriccio, variandolo ogni sera benché la
variazione non abbia punto che fare con la parte del musico o co’ violini.
Virtuosi di contrabasso suoneranno a sedere con guanti in mano, avvertendo
che l’ultima corda dell’istromento non sia mai accordata, né daranno mai pece
all’arco che dal mezzo in su, e riporranno l’istromento a suo luogo a mezzo il
terz’atto, ecc., ecc., ecc.
Oboè, flauti, trombe, fagotti, ecc. saranno sempre scordati, cresceranno, ecc.,
ecc., ecc., ecc.
Agl’ingegneri e pittori di scene
Ingegneri delle decorazioni anderanno a gara di servir gl’impresari a buonissimo prezzo, avvertendo d’averle in appalto per tutte l’opere, quali cederanno poi
chiave… soprano: non leggendo le chiavi di violino, tenore e contralto, usate dagli altri esecutori, non è in grado di realizzare il basso continuo.
218
diti grossi: pollici; nella diteggiatura rinascimentale, sempre meno praticata nel Settecento,
l’uso del pollice era limitato ai passaggi virtuosistici e ai procedimenti accordali.
219
numeri: la scrittura compendiaria del basso continuo.
220
dar… sesta: eseguire sempre l’accordo di terza e sesta.
221
chiave… basso: in alcune composizioni solistiche per violoncello, nel Settecento la parte poteva essere scritta anche in sei o sette chiavi.
217
50
per due terzi manco a dipintori communi, perché questi ancora s’approfittino nel
lavoro d’altri due terzi.
Non dovrà l’ingegnere o pittor moderno intendere prospettiva, architettura,
disegno, chiaroscuro, ecc., procurando pertanto che le scene d’architettura non
vadano mai ad uno o due punti222 ma bensì ch’ogni tellaro223 n’abbia quattro o
sei, situandogli diversamente, perché da tal varietà resti maggiormente appagato
l’occhio de’ spettatori.
Farà un panno maestoso sopra li due primi tellari, perché servano questi a
tutte le mutazioni che non ricercano aria, benché in qualche bosco o giardino
non farebbero male per coprire li virtuosi dal pericolo di raffreddarsi a cielo
scoperto.
Le mutazioni di scena non dovranno seguir mai tutte assieme, avvertendo di
tener ristrettissimi gli orizonti, perché resti al possibile angusta la scena e perciò
bastino pochi lumi ad illuminarla, servendosi nel scuro più forte del solito nero
di gezzo.224
Sale, prigioni, camere,225 ecc., tutte saranno senza porte e senza finestre, imperciocché già li musici entrano per la parte più vicina al palchetto loro né hanno
bisogno di lume sapendo benissimo la parte a memoria.
Nelle mutazioni di mare, campagne, dirupi, sotterranee,226 ecc., dovrà sempre
la scena esser disimbarazzata da scogli, sassi, erbe, tronchi, ecc., per lasciar largo
campo a’ virtuosi di far l’azzione, avvertendo che se in tal incontro alcuno de’
personaggi dovesse dormire, sia portato fuori da qualche paggio o cavaliero di
corte un sedile d’erbe227 con un’alzata da un lato, perché il virtuoso possa appoggiare il gomito finch’altri canta e dormino più saporitamente, ecc.
punti: punti di fuga prospettica.
tellaro: telaio, armatura di legno che sostiene la tela con la scena dipinta.
224
nero di gezzo: probabilmente un colore realizzato con polvere di gesso, calce e particelle di
222
223
carbone.
225
Sale… camere: rispettivamente la sala regia col trono, il carcere e il gabinetto, scene d’interni
in dotazione fissa al teatro.
226
mare… sotterranee: rispettivamente la marittima o il porto, la deliziosa o arborata o boschereccia, la montana o l’orrida e l’imboccatura del passaggio segreto, scene di esterni in dotazione
fissa al teatro.
227
sedile d’erbe: Lalli-Vivaldi, Arsilda regina di Ponto, Venezia, Sant’Angelo, 1716, I, 6: «Solitario
ritiro con varii sedili erbosi, corrispondente a deliziosi viali […] con una sotterranea che conduce
fuori le mura»; cfr. qui a pp. 15, 19.
51
Il lume dovrà fingersi tutto in mezzo alla scena, avvertendo di tener egualmente illuminati i soffitti che i lati. E quantunque l’aria debba esser più luminosa
d’ogn’altr’oggetto, non dovrà però chi si sia infastidirsi se vedrà illuminato un
prospetto e sopra di esso l’aria oscura come di notte. Imperciocché volendosi
illuminar l’aria tutta oltre il prospetto, vi andrebbe troppa spesa di lumi.
Occorrendo il trono, si formerà questi di tre scalini, una sedia e un’ombrella quando servir
debba alla prima donna, peraltro
se dovessero salirvi sopra tenori
o bassi basteranno solamente gli
tre scalini e la sedia.
Avverta l’ingegnere o pittor
moderno di far rinforzare il color ne’ tellari quanto più questi
si allontanano dalla vista per
iscostarsi al possibile dalla scuola antica che usava di raddolcire
il colore quanto più crescea la
distanza, perché il loco paresse
maggiormente capace; e l’ingegnere o pittor moderno deve
usar ogni studio d’impicciolirlo.
Le sale regie dovranno per
lo più essere più corte de’ gabinetti e delle prigioni, avvertendo
che le colonne siano sempre più
picciole degli attori, perché ve
n’entrino in maggior quantità a
consolazione dell’impresario.
Le statue non dovranno diGirolamo Frigimelica Roberti-Carlo Francesco
segnarsi a rigore d’anotomia,
Pollarolo,
riserbando piuttosto tale stuOttone, Venezia, San Giovanni Crisostomo,1694,
dio negli alberi e nelle fontane,
antiporta (I, 1, Salone reale con trono ed atrio
e rappresentandosi navi antied ingressi a vari appartamenti, coperto di cupola
che dovranno costruirsi sulla
e cinto di loggie tutto intorno).
52
forma delle presenti e guarnirannosi le
sale che figurassero armerie di Xerse,228
Dario,229 Alessandro,230 ecc., di bombe,
moschetti,231 cannoni, ecc., ecc., ecc.
Nell’ultima decorazione deve bensì
l’ingegnere o pittor moderno porre ogni
studio. Imperciocché essendo questa per
ordinario veduta dalla moltitudine senza
spesa,232 convien egli procurarsi tutto
l’applauso. Dovrà tale decorazione
pertanto esser un epilogo di tutte le
scene dell’opera, che perciò s’introdurranno in essa spiagge di mare, boschi, prigioni, sale, camere, fontane,
navigli, caccie d’orsi, padiglioni altissimi, cene, lampi, saette, ecc., ecc., ecc.,
e tanto più se dovesse intitolarsi reg-
Nicolò Minato-Francesco Cavalli,
Xerse,
Venezia, San Giovanni e Paolo, 1655,
antiporta di Giuseppe Piccini.
Xerse: Serse I (519 a.C.-465 a.C.), re di Persia e d’Egitto dal 485 a.C.; cfr. Minato-Cavalli,
Xerse, Venezia, San Giovanni e Paolo, 1655; Morselli-Giuseppe Felice Tosi, L’incoronazione di Serse,
Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1691.
229
Dario: nome di vari sovrani di Persia, fra cui Dario I detto il Grande (550 a.C.-486 a.C.), in
trono dal 522 a.C.; cfr. L’incoronazione di Dario cit.
230
Alessandro: Alessandro Magno (Pella 356 a.C.-Babilonia 323 a.C.), re di Macedonia dal 336
a.C., cfr. Francesco Sbarra-Antonio Cesti, Alessandro vincitor di se stesso, Venezia, San Giovanni e
Paolo, 1651.
231
moschetti: derivato da moschetto ‘sparviero’, indica le armi da fuoco portatili in uso dal XVI
secolo.
232
veduta… spesa: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit.,
p. 118: «Probabilmente perché […] si usava entrare gratis all’ultimo atto o alle ultime scene».
228
53
gia del sole,233 della luna e del poeta,
dell’impresario, ecc. Non sarà mal fatto di
farla calare a terra tutta illuminata e ben
carica di comparse figuranti varie deità
dell’uno e dell’altro sesso con stromenti e
geroglifici in mano allusivi alle cure delle
medesime deità. A queste poi (secondo
s’accosterà il fine dell’opera) si ordinerà a
motivo ragionevole d’economia di smorzare i lumi sopra di essa disposti, ecc., ecc.,
ecc., ecc., ecc.
Adriano Morselli-Giuseppe Felice Tosi,
L’incoronazione di Serse,
Venezia, San Giovanni Crisostomo, 1691,
antiporta.
Giovanni Matteo Giannini-Carlo Grossi,
Il Nicomede in Bitinia,
Venezia, San Moisè, 1677,
antiporta.
233
reggia del sole: Giannini-Carlo Grossi, Il Nicomede in Bitinia, Venezia, San Moisè, 1677, p. 12:
«Mutazioni […] dell’atto secondo […]. Anfiteatro con scena in scena, reggia del sole»; Flaminio
Parisetti-Antonio Maria Bononcini, La conquista del vello d’oro, Reggio, Pubblico, 1717, III, 14:
«Reggia del sole».
54
A’ ballarini
Ballarini diranno poco bene degl’intermezzi, avvertendo di non entrare né
finir mai a tempo.
Ricercati dall’impresario di ballo nuovo faranno cambiar l’aria de’ balli vecchi,
servendosi sempre de’ medesimi passi, contratempi, cadenze,234 ecc., usando
il passo di minuetto ne’ balli di schiavi, paesani, piroo, furlane e di qualunque
nazione.
Danzando a due si faranno balli d’invenzione sul fatto, avvertendo che ne’
balli composti di regazzi siano questi di varia età e che le danze siano in tal guisa
disposte ch’abbiano ad uscire prima li maggiori, poi li minori, finalmente i più
piccioli, che non dovranno ecceder tre anni, e da questi si faranno per ordinario
esequire i balli all’eroica, ecc., ecc., ecc., ecc.
Alle parti buffe
Parti buffe pretenderanno l’onorario eguale alle prime parti serie, e tanto più se
nel cantare si servissero d’intonazione, passi, trilli, cadenze, ecc. da parte seria.
Porteranno con sé mustacchi, bordoni,235 tamburri e qualunque altro arnese
opportuno per il loro ufficio, per non aggravar (oltre l’onorario abbondante)
l’impresario di maggior spesa.
Loderanno infinitamente li virtuosi dell’opera, la musica, il libretto, le comparse, le scene, l’orso, i terremoti, ecc., attribuendo però a sé soli la fortuna del
teatro.
Faranno per ogni paese gl’intermezzi medesimi, pretendendo con gran ragione che i cembali siano accordati a commodo loro.
Se qualche intermezzo non avesse applauso avvertano di dar sempre la colpa
al paese che non l’intende.
Incalzeranno e lenteranno il tempo, e ciò particolarmente ne’ duetti a motivo
de’ lazi, ne’ quali alcuna volta non andando d’accordo co’ bassi daranno sorridendo la colpa del disordine all’orchestra, ecc., ecc., ecc., ecc.
cadenze: qui indica l’andamento ritmico del ballo.
bordoni: bastoni da pellegrino; improbabile l’allusione ai suoni gravi e continui di accompa-
234
235
gnamento, emessi per esempio dalla cornamusa.
55
A’ sarti
Sarti si accorderanno con l’impresario per il vestiario di tutte l’opere, poi visiteranno virtuosi e virtuose per fargli l’abito a genio. Rifletterannogli che col
denaro dell’impresario non è possibile d’eseguirlo, che perciò tratteranno d’un
soprapiù e col soprapiù faranno poi l’abito, avvanzando in tal forma il denaro
tutto patuito con l’impresario.
L’abito sarà di più pezzi, di roba frusta,236 ecc., dovendo bastare a’ sarti di
provvedere le virtuose di coda lunghissima, i virtuosi di belle polpe di gambe237
per guadagnarsi la mancia.
Termineranno gli abiti alla sinfonia dell’opera solamente, e ciò perché consegnandogli a’ virtuosi per tempo converrebbero rifarli più d’una volta.
Suggeriranno a’ tenori e bassi maestoso cimiero di varie penne, ecc., ecc., ecc.,
ecc., ecc.
A’ paggi
Paggi di cinque o sei anni pretenderanno esser vestiti con abiti che servissero
all’età di quatordici o sedici.
Pretenderanno parimente perucca bionda di stoppa sopra cappelli scuri.
Alcuno (portandolo il dramma) farà da figlio, piangerà in scena, ecc. ed altri
non staranno mai fermi intorno la coda della virtuosa strascinandola sempre verso del protettore. Mangieranno in scena, ecc. e perderanno la prima sera guanti,
fazzoletto, cappello e perucca.
Alle comparse
Comparse si vestiranno sempre con gli abiti del compagno, né dipenderanno
mai dal loro generale, caposcena o suggerittore.
frusta: logora, consunta, dal latino frustare ‘lacerare’.
polpe di gambe: calze aderenti al polpaccio.
236
237
56
Partiranno ogni sera dal teatro con scarpe, calze e stivaletti dell’opera, quali
facendosi sporche faranno con sollecitudine la sera seguente pulire dal generale.
Urteranno tra le scene virtuosi, virtuose, protettori avari, maschere, ecc., dando l’illustrissima a tutte le virtuose, alle quali esibiranno tabacco, pipa, ecc.,
aggiongendogli ch’hanno
sete.
Non usciranno mai tutti
assieme, avvertendo ancora all’ultima scena d’uscire
mezzi spogliati, ecc.
Comparsa che facesse
da leone, da orso, da tigre,
ecc., pretenderà la sua scena dal poeta a mezz’opera
né mai dopo l’aria della
prima donna, ecc.
Portando in scena tavolini, sedie, canapè, scalini per trono, ecc., s’accommoderà ogni cosa al
rovescio, avvertendo le
comparse di presentar
sempre le lettere, piegando
alquanto il ginocchio dritto e con la mano sinistra,
ecc., ecc., ecc., ecc.
A’ suggeritori
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
[Giovanni Battista Ruberti detto] Gnapatta [ovvero nasone]
che suggerisse [sic] nell’opera,
disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita,
I-Vgc.
Suggeritori
saranno
mezzani per affittar in
nome dell’impresario botteghino, soffitta, scagni,
ecc., accorderanno orso,
saette, terremoti, ecc.
57
Anderanno alle prove dell’opera innanzi giorno, adulando il poeta, il maestro
di capella, i musici, l’impresario, la farfalletta, il mossolino, la navicella, il copanetto, ecc., ecc.
Ordineranno l’ora delle prove, avranno cura del calar della chiocca,238 accender lumini, incominciar dell’opera gridando forte al maestro di capella dal buco
della tenda: «E una, e una signor maestro», ecc., ecc., ecc., ecc.
A’ copisti
Copisti accorderanno con l’impresario un tanto per opera e questa poi faranno
scrivere a soldi239 sei il foglio compresa la carta, inchiostro, penne, spolverino,240
ecc., e cavando loro parti dell’opera sbaglieranno parole, chiavi, accidenti, ecc.,
lasceranno facciate intere, ecc., ecc., ecc.
Venderanno a’ forastieri, che desiderassero buone arie d’opera, carte vecchie
col nome de’ professori migliori,241 sapranno comporre, cantare, suonare, recitare, ecc., riducendo la maggior parte dell’arie dell’opera in canzon da battello,242
ecc., ecc., ecc.
Avvocati del teatro daranno commodo all’impresario di provar l’opera in casa
propria, faranno le scritture de’ virtuosi, de’ suonatori, degl’operari, comparse,
orso, poeta, ecc.; saranno giudici arbitri de’ balli e degl’intermezzi, aggiustando
le differenze tra’ musici e l’impresario, e condurranno più maschere ogni sera
franche di porta per dar credito e applauso al teatro, ecc., ecc., ecc.
chiocca: Boerio, s.v. chioca: «Chioca de cristal ‘lumiera’» che si calava per accenderla.
soldi: antica moneta europea in uso presso i goti, i franchi e i longobardi; ai tempi di Marcello
238
239
124 soldi equivalevano a un ducato.
240
spolverino: Boerio, s.v. spolverin: «Polvere […] che si getta sullo scritto fresco onde non
isgorbi».
241
carte… migliori: attribuite falsamente a compositori famosi; celebre il caso di Giovanni Battista Pergolesi.
242
riducendo… battello: trascrivendo per voce e strumento; le canzoni da battello, spesso con
testo bistrofico in veneziano, eseguite in barca nei canali e in laguna, sono conservate da numerose
raccolte manoscritte o stampate, fra cui Venetian ballads, London, John Walsh, 1742, 1744 e 1748;
nel 1728 Marcello contrasse un matrimonio religioso ma non civile con la giovane Rosanna Scalfi,
cantante da battello e sua pupilla dagli anni ’20.
58
Protettori del teatro anderanno con l’impresario incontro alle virtuose e, mascherati alla porta, custodiranno diligentemente l’ingresso, facendo però passar
chi gli piace, ecc., ecc., ecc.
Visiteranno ogni giorno le virtuose, provvedendo d’alloggio le forastiere, e
alle prove dell’opera staranno per lo più a sedere appresso la prima donna, orso, ecc.
Placheranno le virtuose disgustate col maestro di musica, coll’impresario, col
calzolaro, col sarto, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.
Maschere alla porta e soldati con spade ruggini243 saranno cauti e rigorosi nel
ministero sino che l’impresario è presente. Appena ch’egli sia ritirato, porta franca a tutte le maschere, dalle quali il giorno avranno ricevuta la mancia.
Non consegneranno mai al protettor del teatro, o ad altra maschera a ciò destinata, tutti li biglietti che riscuotono da chi entra ma ne asconderanno alquanti
frequentemente, vendendoli poi un terzo manco del solito per far concorso al
teatro.
Restituiranno pegni244 agli amici, anche un’ora dopo lasciati, e prenderanno
pegno da una maschera per quattro, qual pegno poi restituiranno alla maschera
che uscirà, restando gli altri tre nel teatro, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.
Dispensatori di biglietti peseranno tutte le monete d’argento e d’oro, quali, benché siano di giusto peso, diranno alle maschere calar qualche cosa. Renderanno
il resto in tali monete ch’oltre l’avvanzo del calo supposto non arrivino mai a
comporre di qualche soldo l’intiero resto.
Ricercati da qualche maschera che credessero forastiera del valor del biglietto,
gli diranno sempre qualche lira di più, ecc., ecc., ecc., ecc., ecc., ecc.
Protettori delle virtuose saranno attentissimi, gelosissimi, fastidiosissimi, ecc.,
ecc., ecc.
Non s’intenderanno per ordinario punto di musica, accompagnando però
sempre le medesime alle prove dell’opera con in mano parte, scaldino, scuffia,
papagallo, civetta, ecc., ecc., ecc.
ruggini: arrugginite.
pegni: garanzie di un debito, impegni.
243
244
59
Sapranno a memoria tutta la parte della virtuosa, quale gli staranno suggerendo dietro le sedie, si caratteranno245 con l’impresario, guardandosi al possibile di
non salutar mai altre virtuose.
Regaleranno poeta, maestro di capella, ecc., perché facciano bella parte alla
virtuosa, raccomanderanno a’ suggeritori, paggi, comparse, ecc. di non badar,
fino che sta in scena, ad altri che a lei, di cui racconteranno che in tre o quattr’anni
ha recitate da sessant’opere, ch’è un angelo di costumi, disinteressata, di nascita e
d’educazione civile, che non rassomiglia a cantatrice veruna, ch’è un peccato sia
nella professione, ecc., ecc., ecc.
Loderanno poco altre virtuose e qualunque teatro dove la sua non v’abbia
che fare, aggiungendo sempre che l’onorario della virtuosa è due terzi più dello
stabilito, e porteranno giustaccuori, sottogiubbe, calzoni, ecc. sempre foderati de’
passi, trilli, arpeggi, cadenze, ecc. della virtuosa, provvedendogli del solito abito
nuovo, orologio, ecc. per la prova generale.
Staranno per lo più in scena con la virtuosa, per cui avranno sempre addosso liquericcia,246 sal prunello,247 l’aria nuova, specchietto, lista dell’azzioni, peri,248
odori di varie sorte, ecc., pretendendo, se la virtuosa facesse da seconda donna,
ch’abbia paggi, trono, scettro e coda lunga al par della prima, ecc., ecc., ecc., ecc.
Madri delle virtuose anderanno sempre con le medesime, restando però in
disparte per atto di civiltà quando le figliuole siano accompagnate co’ protettori.
Quando le ragazze si fanno sentire dall’impresario moveranno la bocca con
loro, gli suggeriranno li soliti passi e trilli, e ricercate dell’età della virtuosa, gli
scemeranno per lo meno dieci anni.
Se qualche civile ma povero galantuomo desiderasse introdursi in casa e parlasse per tal effetto con alcuna delle signore madri, risponderà tosto: «In quant’a
quel mo la mi fiola è puvrina sì, ma unurata e daben, e s’ fa la profession, perch’
caratteranno: da carato, termine mercantile per indicare la quota assunta da un soggetto partecipe di un’iniziativa commerciale; lo stesso sistema era usato per l’opera a carato, una gestione
condivisa del teatro.
246
liquericcia: liquirizia; introdotta in Europa nel XV secolo, avrebbe proprietà digestive, antinfiammatorie, diuretiche e gastroprotettive.
247
sal prunello: nitrato di potassio o di zolfo, all’epoca usato per dimagrire, per disinfettare il cavo
orale o per curare la gonorrea.
248
peri: il termine non dà senso perché può significare ‘pere’, ‘frutta’ e anche ‘appuntamento’
(Boerio, s.v.) ma ricompare in tutte le edizioni settecentesche descritte qui a pp. 73-78.
245
60
la dsgrazia dla nostra cà vol qusì. Al bisogna in prima maridar un’altra ragazza,
ch’è zà imprumessa a un duttor, e livar mi marì d’imperson, ch’ pr’ esser sta
tant’al bon om’ l’ha fatt’ una sigurtà e s’ha bsognà pagarla. Pr’ altr’a n’ i vin in cà
gnanc’una persona d’ sortafatta; e s’a i vin qui du sgnouri, al davin perch’a s’ pò
dir chi i han vist a nasser la Giandussina, e un è avucat d’ mi marì e l’altr’ è santl’
dla ragazza».249
Se la virtuosa fosse principiante, dirà la signora madre ch’ha recitato in due
anni da trenta volte; se poi fosse avvanzata in età, dirà che sono solamente tre
anni che recita e ch’ha incominciato innanzi li tredici.
Dovrà la signora madre, per lo più nell’incominciarsi alle prove il ritornello
dell’arie della figliuola, dare con la mano il tempo all’orchestra e mentre canta
la virtuosa l’accompagnerà con la testa, con gli occhi, col piede, moverà seco la
bocca e gli farà sempre in fine il solito «viva».
Tornata a casa dalle prove dell’opera insegnerà l’azzione alla virtuosa e ’l luogo di far il trillo nell’arie. Riuscendo queste felicememente in teatro, ritornando
dentro la ragazza la bacierà in prima e gli dirà poi: «Car al mi car zuiin sit tant
bendetta, ch’ t’ha pur fatt’ i bi pass’ e s’ t’in riussì a maraveia ch’a i era quegli alter
donn ch’i s’ mursgavin l’ dida per la rabbia».250 Ma se qualche sera lasciasse il trillo,
non battesse il piede nella scena di forza, ecc., la sgriderà, dicendogli: «Guarda un
poc’ la mi bambozza stasira ch’ t’ n’ha fatt’ al tril lung e qula gran azzion ti andà
dentr’ cm’ è un can scuttà e nsun t’ha gnanc’ ditt’ arillà».251
Anderà al teatro con veste da camera e sciarpa guarnita con sonetti in seta, regalati in varie congiunture alla figlia, o in bauta252 con feraiolo253 lunghissimo del
249
In… ragazza: «In quanto a quello poi, mia figlia è sì una poverina, ma onorata e dabbene, e fa
la professione perché la disgrazia della nostra casa vuole così. Prima di tutto, bisogna maritare un’altra
ragazza che è promessa a un dottore e far uscire dalla prigione mio marito, il quale per essere tanto
un uomo onesto ha fatto una fideiussione e ha dovuto pagarla. Peraltro, non le viene in casa neppure
una persona che è una e, se vengono quei due signori, succede perché si può dire che l’abbiano vista
nascere la Giandussina; uno è l’avvocato di mio marito e l’altro il padrino della ragazza».
250
Car… rabbia: «Cara, cara la mia gioiettina, che tu sia strabenedetta, ti sei mossa bene e ci sei
riuscita a meraviglia, tanto che c’erano le altre donne che si mordevano le dita dalla rabbia».
251
Guarda… arillà: «Guarda un poco, la mia pupattola, che stasera non hai tenuto a lungo il
trillo e in quell’azione importante ci sei andata come un cane che si brucia e nessuno ti ha detto
neppure arri là [incitamento per le bestie da soma]».
252
bauta: mantellina di seta nera con cappuccio ed eventualmente maschera.
253
feraiolo: tabarro, ampio e lungo mantello da uomo.
61
protettore, stando in scena con gargarismi, libro de’ passi e con qualunque altra
cosa potesse occorrere alla ragazza, quale sentendosi mal di voce, esclamerà la
signora madre che in certi tempi l’impresario non dovrebbe far opera, ch’è voler
precipitarsi con la ragazza, ecc., ecc.
Sino canta la virtuosa, dirà la signora madre agli operari, all’orso, alle comparse, ecc.: «La mi ragazza per dir al veir l’ha fatt’ sempr’ la prima part’, e da principessa dal sangu’ e da rizina e da impiratric’ int’i prim’ tiatr’ a Cent,254 a Budri,255
a Lug e a Medsina.256 La n’ha brisa d’interess’, la vol ben a tutt’ gl’alter virtuosi,
seben po ch’ la n’ n’è corrisposta. A i e ’l tal e la tal sgnoura al noster paies ch’
basta ch’ l’avra la bocca, ch’ l’ha bocca mi ch’ vut. Perché bsogna direl l’è una
ragazza savia e mudesta e s’ha studià più virtù, d’arcamar, d’ far i marlitt’, d’ ballar,
d’ tirar d’ schermia, d’ flufilar oltr’al cantar. L’ha fin studià la gramatica e si è tant
confacent al geni d’ tutt’ ch’ la pippa in cumpagnì dal prutettor. Pr’ alter la n’aver
mai qula bendetta bocca per dir mal d’ nsuna, ma in st’ mond’ pr’ aver fortuna al
bisogna trattar in altra manira. Ma zà al despett d’ tutt la sirà prest inlustrissima e
s’ farà d’ livrè»,257 ecc., ecc., ecc.
254
Cent: Cento, oggi in provincia di Ferrara; Aureli-Ziani, La ninfa bizzarra, Cento, Aurora,
1701; la sala fu ricostruita nel 1716 con gli scenari di Ferdinando Bibiena; Giovanni Francesco
Erri, Dell’origine di Cento e di sua pieve, Bologna, Lelio Della Volpe, 1769, p. 262.
255
Budri: Budrio, oggi in provincia di Bologna; il teatro Consorziale, tuttora funzionante, venne
costruito nel 1672.
256
Medsina: Medicina, oggi in provincia di Bologna; per gli spettacoli, cfr. Luigi Samoggia, Il
teatro Pubblico di Medicina nei secoli XVII e XVIII. Francesco Albergati e Carlo Goldoni, «Il carrobbio», IV,
1978, pp. 393-410.
257
La… livrè: «La mia ragazza, a dire il vero, ha sempre fatto parti da protagonista, da principessa di sangue reale, da regina e da imperatrice nei principali teatri, a Cento, Budrio, Lugo e Medicina.
Lei non cerca affatto il suo tornaconto, vuol bene a tutte le altre virtuose, anche se poi non è corrisposta. Ci sono il tale e la tale signora al nostro paese che basta che lei apra bocca che le danno ciò
che vuole [Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna, Monti, 1869-1874, s.v.
bocca: la locuzione “l’ha bocca mi ch’ vut” si usa per “dinotare abbondanza di tutto”, “quanto può
chieder bocca”]. Perché, bisogna dirlo, è una ragazza saggia e modesta e ha studiato molte arti, il
ricamare, fare i merletti, ballare, tirare di scherma, fischiettare, oltre che cantare. Ha perfino studiato
latino ed è così tanto esperta di tutto che se la gode quando è in compagnia del protettore. Ancora, lei non apre mai quella bocca benedetta per dir male di nessuna; ma a questo mondo per aver
fortuna bisogna comportarsi in un altro modo. Ma presto, a dispetto di tutti, diventerà famosissima
e si sposerà [probabile riferimento all’antica usanza settentrionale di confezionare fettucce e nastri
(livrè) da distribuire in occasione delle nozze]».
62
Se qualche virtuosa portasse applauso sopra la sua, l’attaccherà con la madre
in palchetto, dicendogli bruscamente: «Mo ch’ la s’ fazza un poc’ in là sgnoura
Zuliana258 ch’ la chiappa tutt’al lugh, perch’ so fiola ha tant’ applaus; mo zà a s’ sa
cmod’ l’è. La mi n’ha né dobel259 né scattel d’arzent da regalar al mester d’ capella
e ’l poeta, e per quest’ l’ha avù una part’ sì infama. Mo s’ la i avess’ invidà anca li a
dsnar e dunà un arlui pr’ on o una cruvatta con i su manicin cumpagn’ arcamà d’
so man, la parrev cvel d’ mior».260 A che risponderà l’altra: «Cat d’ dis dinar, a m’
maravei purassà purassà di fatt’ vuster. Ch’ razza d’ parlar è ’l voster. Mi a n’ so d’
dobel, mi a n’ so d’ scattel, a so ben ch’ la mi fiola fa la part so fin a un fnocch e se
n’ regala brisa ni poeta ni mestr d’ capella. Mo sgnoura Sabadina261 mi cara, saviv
cosa l’è? Al bsogna fermar la vos, parlar schiett, intunar i simitun e i gran salt ch’
s’usin adess’, andar a temp, far ben l’azion, n’ rider in scena né chiaccarar, s’a s’
vol applaus; che per cont’ d’ far del zirandel, che n’ stan né in cil né in terra, a s’
dà prest int’al maron e s’ s’ dà po la colpa al terz’ e al quart’».262 Replicando l’altra:
«Cos’è st’intunar, st’andar a temp’, st’ far zirandel, la mi iona, la mi tintinaga? Ch’
mi fiola a s’ sa ch’ la n’ n’ha bisogn’ de sti avertiment sich. Perch’ la cantava e s’
sunava all’improvis inanz’ ch’ vu v’insuniassi gnanc’ d’ far insgnar alla vostra. Zà
a sen d’un paies ch’a z’ cgnussen e s’ sa ch’ mester ha avù la vostra e ch’ mester ha
Zuliana: in Lotto Lotti, La cantatriz cit., la madre dell’unica virtuosa si chiama Pulonia.
dobel: doppio scudo, doppio zecchino, dobla; moneta d’oro coniata a Milano da Carlo V nel
258
259
1548; il termine fu adottato anche da altre zecche italiane; Battaglia, s.v.; ai tempi di Marcello il
valore della doppia era pari a 880 soldi.
260
Mo… mior: «Ma che si faccia un po’ da parte signora Giuliana, che prende tutto il posto,
perché sua figlia ha tanti applausi; ma già, si sa come vanno le cose. Mia figlia non ha né doppie
né scatole d’argento da regalare al maestro di cappella e al librettista e per questo motivo ha avuto
una parte tanto infame. Ma se li avesse invitati anche lei a pranzo e se avesse regalato un orologio
a ciascuno oppure una cravatta con le due guarnizioni ricamate dalle sue mani, sarebbe certo più
apprezzata».
261
Sabadina: nata di sabato, come San Sabatino vescovo o San Sabatino martire.
262
Cat… quart’: «Caspita i dieci quattrini! Mi meraviglio davvero molto di come voi vi comportate. Che razza di discorsi fate. Io non so di doppie né so di scatole, so bene che mia figlia fa
la sua parte fino in fondo e non fa nessun regalo al librettista né al maestro di cappella. Cara la
mia signora Sabatina, sapete come stanno le cose? Bisogna tener salda la voce, recitare senza imperfezioni, intonare i semitoni e i gran salti [intervalli estesi] che si usano adesso, andare a tempo,
muoversi bene e non ridere in scena né chiacchierare, se si vogliono degli applausi. Perché se si
fanno piroette che non stanno né in cielo né in terra, si fanno presto dei grossi errori e poi si dà la
colpa a destra e a sinistra».
63
avù la mi. Perch’ la mi n’ha avù un da un luvig263 al meis, e s’ vgneva sol trei volt’
la stmana e anc’ per arcmandazion d’ gran sgnouri; perch’al n’ n’ha più bisogn’
d’ dar lzion ch’ l’ha dell’ pussion cumprà con l’insgnar e s’ sa ch’ l’ha la perucca
agruppà, ch’ scriv’ quater fui d’ pass’ per lzion e s’è vecch’ decrepit’ int’al gust
dal cantar. E la vostra n’ha avù un ch’è iust grand cm’è tri quatrin d’ furmai d’
forma, che n’ stima nssun (e in particular al noster dal luvig) ch’ vol far da lecca
con tutti, perch’ l’ha una bella rusetta d’ bril, ch’i dunò una virtuosa quand la
turnò da recitar da Vinezia, e s’ s’ fa veder la cadena dl’arlui, siben po ch’i è taccà
una mistucchina. Ma l’è po un mester da sett pavel264 e al cil sa quant mis l’ha mai
d’aver dalla vostra sgnoura virtuosa»,265 ecc., ecc., ecc., ecc.
Se venisse bussato alla porta anderà sempre la signora madre a veder chi batte,
sperando che possa ogni momento capitar un regalo, un protettore, un impresario, un papagallo, una simia, ecc. Se fosse poi il calzolaro, il sarto, il guantaro, si
farà dar la polizza,266 soggiungendogli però che tornino, perché la virtuosa è in
campagna o sta al cembalo col signor maestro, ecc.
Se la ragazza per civiltà ricusasse qualche tabacchiera, anello, orologio, ecc.,
dovrà la signora madre sgridarla con dirgli: «A s’ ved ben ch’ t’ n’ sa ’l creanz. Far
un affront’ a quel sgnour ch’ con tanta curtisì al t’ vol favurir?».267 Prendendo poi
263
luvig: luigi, moneta d’oro francese coniata nel 1640 per comando di Luigi XIII, in vigore fino
al regno di Luigi XVI; il luigi d’argento o écu fu coniato dal 1641.
264
pavel: paolo o giulio; corrisponde al doppio del grosso papale e prende il nome da Paolo III
Farnese, pontefice dal 1534 al 1549.
265
Cos’è… virtuosa: «Cosa significa questo intonare, questo andare a tempo, questo far piroette,
la mia piaga, la mia lentona? Si sa che mia figlia non ha bisogno per sé di questi ammonimenti.
Perché lei cantava e suonava senza preparazione prima che voi neppure vi sognaste di far insegnare
alla vostra. Già siamo di un paese dove ci conoscono e si sa quale maestro ha avuto vostra figlia e
quale la mia. Perché la mia non ha avuto un maestro da un luigi al mese, veniva soltanto tre volte
alla settimana e anche per raccomandazione di gran signori, perché il maestro non ha più bisogno di
dar lezioni, dato che ha dei poderi comprati grazie all’insegnamento, e si sa che ha la parrucca piena
di nodi, che scrive quattro passaggi per lezione, è vecchio decrepito quanto ai gusti del canto. La
vostra ne ha avuto uno che è grande proprio come tre quattrini di formaggio parmigiano, che non
stima nessuno (in particolare il nostro del luigi), che vuole far lo spasimante di tutte perché ha una
bella rosetta di false gioie, che gli regalò una virtuosa quando lei tornò dalle recite a Venezia, e che
fa vedere la catena dell’orologio anche se ci è attaccato un castagnaccio. Ma è un maestro da sette
paoli e il cielo sa quanti mesi di onorario deve riscuotere dalla vostra signora virtuosa».
266
polizza: ricevuta, documento comprovante un contratto, la consegna di merce o denaro.
267
A… favurir: «Si vede bene che non conosci le buone maniere. Fare un affronto a quel signore
che con tanta gentilezza ti vuole favorire?».
64
il regalo dal forastiero soggiungerà a lui: «Car lustrissim, ch’al la compatissa mo,
perché questa l’è la prima volta ch’ sta bambozza ussis dal so paies; e po l’è iust
cm’è l’aqua di macarun, ch’ la n’ sa né d’ ti né d’ mi; e po quest’è al prim regal’ ch’i
vin fatt, perch’in cà a ni pratica anma nada».268
A riguardo poi de’ vari e gravissimi dispendi che importa alla figliuola il mantenimento di tutto l’anno da principessa, da regina, da imperatrice, ecc. con la
corte, e per il delizioso serraglio de’ papagalli, simie, civette, cani e cagne con le
lor razze, ecc., e per le spese della conversazione (dove provvede il signor Procolo
generosamente di tutto), dovrà la signora madre, per le sere che non si recitasse,
allestire una rifa o loto269 di molte grazie270 (come qui sotto) perché ad ognuno
della conversazione tocchi qualche cosa, parta soddisfatto e torni senza fallo a
motivo di nuova speranza.
Segue la rifa
Rifa o loto con varie grazie, da pagarsi per lo più quatro luigi d’oro al biglietto
prima di leggerle.
1. Un cesto dorato con pianelle, scarpe e stivaletti usati, avvanzati da molte
opere alla virtuosa, tempestati di nei di vari colori.
2. Una scattola di cartoni d’opera a fiori, piena di trilli di seconda, terza e
quarta, d’appoggiature, cadenze, semituoni, stonature, ecc., con altrettanti
dolori intrecciati di madreperla.
3. Il cefalo,271 il tamburro e la ghirlanda di Cola,272 adornati di semicrome
all’ingrosso e alla minuta.
268
Car… nada: «Illustrissimo caro, la deve compatire perché è la prima volta che questa pupattola esce dal suo paese ed è come l’acqua dei maccheroni, che non sa né di te né di me, e poi questo
è il primo regalo che le viene fatto, perché in casa non frequenta anima viva».
269
rifa o loto: lotteria.
270
grazie: premi, biglietti vincenti; Boerio, s.v.
271
cefalo: muggine che vive in mare, in laguna, in acqua dolce e in ambiente inquinato; oppure
marito di Procri, corteggiato inutilmente dall’Aurora; cfr. Gabriello Chiabrera-Vari, Il rapimento di
Cefalo, Firenze, corte, 1600; Rodolfo Campeggi-Girolmo Giacobbi, L’Aurora ingannata, Bologna, ?, 1605;
Busenello-Cavalli, Gli amori di Apollo e di Dafne, Venezia, San Cassiano, 1640, che narra anche la
storia di Titone, Aurora, Cefalo e Procri.
272
Cola: possibile allusione all’intermezzo Cola e Aurilla, Firenze, Cocomero, 1719, ripreso a
65
4. Ventiquatro arcate da violino intiere con altrettante messe di voce e pronunzie schiette, legate con dimande di onorario civili e discrete, ecc., per
far un sottanino alla serva.
5. Un abito intiero da poeta moderno di scorzo d’albero color di febbre,
guarnito di metafore, traslati, iperbole,273 ecc., con bottoniera di soggetti
vecchi rifatti d’opera, foderato di versi di varie misure con sua spada compagna con manico di pelle d’orso.
6. Un orologio per misurar passaggi, cadenze e saltarelli di virtuose, con dito
de’ protettori che mostra il tempo.
7. Trenta saette con cinque lampi color di voce per una in un scrigno mobile
al naturale.
8. Un armerone274 con entrovi bordoni da pellegrina, libretti, dardi, tavolini
da scrivere, stili, veleni, prigioni, canapè, orsi uccisi, terremoti, padiglioni
altissimi, tavolozze, gezzi, penelli, ecc., con sua serratura di nebbia.
9. Molte scritture di vari teatri con cessioni di palchi, crediti d’impresari da
riscuotersi al banco dell’impossibile, con loro cartoni d’azzioni d’opera
fiere e amorose.
10. Una gran cassa piena d’indiscretezze, sussieghi,275 pretensioni, vanità, risse, invidie, poca stima, maldicenze, persecuzioni, ecc., lasciate da’ virtuosi
in sere di gioco in casa dalla virtuosa.
11. Un borsone a gucchia276 con molte vigilanze, accuratezze, attenzioni, vigilie, occhiate, buon’educazioni, pretensioni di prima o seconda parte, ecc.,
ecc., legate con nastro color di musica, il tutto lavoro delle signori madri.
12. Un bacile di carta rigata con sopra molte parti d’opere vecchie, suoi stromenti unissoni raddoppiati, vari fagotti di dissonanze, quinte, ottave false,
ecc. e diecimila Elamì277 di basso continuo per comporvi sopra più origi-
Venezia, San Moisè, 1720 e 1721 col titolo Cola mal maritato, sempre con Francesco Belisani nel title
role; improbabile il riferimento a Gregorio Cola, compositore romano dedito all’oratorio tra la fine
del XVII secolo e l’inizio del XVIII.
273
metafore... iperbole: figure retoriche ottenute trasferendo il significato (metafora, traslato) o
esagerandolo (iperbole).
274
armerone: armadio grande; Boerio, s.v. armeron.
275
sussieghi: atteggiamenti contegnosi, pieni di gravità un po’ altezzosa.
276
a gucchia: lavorato a maglia; cfr. Battaglia, s.v. gucchia.
277
Elamì: Mi nel sistema della solmisazione.
66
nali d’opera interi, regalo già fatto alla virtuosa da più maestri di capella
moderni.
13. Un microscopio278 che mostra le inquietudini, inesperienze, passioni, vane
promesse, disperazioni, speranze deluse, opere in terra, provigioni per
tutto l’anno, teatri vuoti, peate cariche, fallimenti, ecc. d’impresari, legate
con fior d’astuzia.
14. Vari applausi di tutti li virtuosi dell’uno e dell’altro sesso, impresari, sarti,
paggi, comparse, protettori e madri di virtuose, regalati al teatro alla moda
con loro collere, smanie ed esaggerazioni compagne.
15. La penna ch’ha scritto Il teatro alla moda.
Maestri di bella maniera delle virtuose le faranno cantar sempre piano perché
meglio riescano i passi, quali non dovranno punto accordare col basso o co’
stromenti dell’aria. Non baderanno né a battuta né a pronunzia né a intonazione,
avvertendo che non si rilevi mai da chi ascolta parola veruna.
Daranno lezzione a tutte in un modo medesimo. Scriveranno alla virtuosa sopra gran libro i passi e le variazioni, avvertendo sopra ogni cosa di fargli ricercare
nell’acuto e nel grave alquante corde fuori del naturale, perché la virtuosa possa
pretendere onorario più avvantaggioso.
Se li maestri non avessero trillo non l’insegneranno mai alla virtuosa, dandogli
ad intendere ch’è cosa antica, che non s’usa più e che nel tempo di farlo già il
popolo grida e fa applauso. Se desiderasse però la virtuosa di farlo glielo faranno
battere velocissimo da principio, sempre in semituono e senza prepararlo con
messa di voce, avvertendo ancora d’insegnargli cadenze lunghissime, per ben
eseguire le quali convenga ella ripigliar fiato più d’una volta.
Subito che la virtuosa abbia ricevuta la parte, gli persuaderanno di far cambiar
tutte l’arie e faranno inoltre ogni settimana abbondante rimessa di passi a virtuose che fossero a recitare in altri paesi, raccomandandogli di far ne’ medesimi
sempre suonar piano l’orchestra.
A’ poveri ragazzi e ragazze daranno lezzione per carità, contentandosi solamente in scrittura di due terzi alle prime ventiquattro recite, della metà all’altre
microscopio: strumento ottico, probabilmente inventato da Galileo e comunque diffuso dal
XVII secolo.
278
67
ventiquattro e d’un terzo in vita.279 Li maestri di bella maniera non faranno mai
solfeggiare ma avranno tutti il loro solfeggiatore.
Solfeggiatori si serviranno con tutte le virtuose de’ solfeggi medesimi, trasportandogli in vari tuoni, chiavi, tempi, ecc., ecc., conforme il bisogno delle medesime.
Le tratteranno più anni sopra le solite variazioni del La in Re ascendendo e del
Re in La discendendo,280 sopra letture diverse a riguardo degli accidenti maggiori
o minori che occorrono; ma non gli faranno mai aprir bocca o accomodarla diversamente per chiaramente esprimere le vocali, ecc., ecc., ecc., ecc.
Marangoni e fabbri prima di lavorar in teatro porteranno via tutte le porte, banchette, serrature, catenazzi de’ palchi, ecc., per accomodar ogni cosa, quali più
non rimetteranno che all’invito della solita mancia, avvertendo particolarmente
la prima sera d’incominciar a battere alla sinfonia e seguitare tutto il prim’atto,
ecc., ecc., ecc., ecc.
Affittascagni e palchetti faranno la corte e credenza281 a’ protettori di virtuose, e
dalle ventiquatro alle due staranno ogni sera battendo chiavi per le piazze all’oscuro per avvisar maschere che volessero provvedersene, ecc., ecc., ecc., ecc.
Simon de scena282 non servirà per manco di soldi trenta e una candela di sera in
sera. Pretenderà il solito regalo di lire quindeci ad ogn’opera che vada in scena per
occasione di far inviti de’ virtuosi alle prove, portargli la parte, ecc.
Sopraintenderà gratis alle comparse e gratis parimente in caso di necessità farà
da orso, ecc., ecc., ecc., ecc.
Maschere non anderanno per lo più che alle prove dell’opera e particolarmente
alle generali.
279
contentandosi… vita: esigendo una quota del cachet pattuito nei futuri contratti; cfr. il maestro
Lamberto che ospita le allieve a questa condizione, in Antonio Palomba-Pietro Auletta, Orazio,
Napoli, Nuovo, 1737, più volte ripreso.
280
variazioni… discendendo: il facile trasporto di quarta.
281
credenza: credito.
282
Simon de scena: Benedetto Marcello, Il teatro alla moda, a cura di Andrea D’Angeli, cit., p.
126: attrezzista o trovarobe.
68
Non s’intenderanno punto di musica, di poesia, di scene, di balli, comparse,
orso, ecc. e decideranno d’ogni cosa assolutamente.
Saranno parziali di qualche compositore di musica, teatro, virtuoso, comparsa,
orso, poeta, ecc., biasimando gli altri, ecc.
Anderanno all’opera col pegno, posponendo ogni sera un quarto d’ora, e così
vedranno tutta l’opera in dodici sere. Frequenteranno comedie per manco spesa
e non baderanno all’opera né pure la prima sera, toltone che a qualche mezz’aria
della prima donna, alla scena dell’orso, ai lampi, alle saette, ecc. Faranno la corte
a’ virtuosi dell’uno e dell’altro sesso per entrar seco loro senza biglietto, ecc., ecc.,
ecc., ecc., ecc.
Conduttore del botteghino in teatro sarà dilettante di musica, avrà sempre carte di musica addosso e nel banco e sarà protettore amorevolissimo di tutti li
virtuosi. Darà da bere gratis a tutti li musici, suonatori, impresario, comparse,
orso, poeta, ecc., regalando, per lo più a virtuose, cantate di Napoli. Venderà per
galanteria e per burla di chi non se ne accorgesse caffè meschiato con orzo e
fava, pan brustolato, ecc., rosolini di varie sorte e con vari nomi,283 formati tutti
però d’acquavita284 ordinaria e miele solamente, sorbetti con spirito di vetriol285
per limoni impetriti con salnitro286 o cenere invece di sale, cioccolata composta di
zuccaro, canella matta, mandorle, ghiande e caccao salvatico, mai acqua schietta
se non fosse ricercata con acquavita, vini e comestibili al solito. Il tutto a prezzo
quadruplicato, ecc., ecc., ecc., ecc.
Il fine
rosolini… nomi: rosolio da ros solis ‘rugiada del sole’, liquore a bassa gradazione, destinato alle
signore e perfino alle suore; in origine era prodotto con petali di rosa ma si otteneva anche dalla
macerazione e dall’infusione alcolica di erbe aromatiche o frutta.
284
d’acquavita: acquavite, distillato di mosto, cereali o frutta a forte gradazione alcolica.
285
vetriol: solfato di rame o di ferro; improbabile l’allusione all’acido solforico, pericoloso e
corrosivo.
286
salnitro: nitrato di potassio, usato come fertilizzante, come conservante delle carni salmistrate e come componente della polvere da sparo.
283
69
70
Nota al testo
Testimoni della princeps
s.n.t. [Venezia, Antonio Pinelli, 1720], pp. 64
L’edizione è stata condotta sul testimone a stampa conservato in I-Vnm;
impronta: i,e- c.e, c.a. afre (3) 1720 (Q); nel frontespizio annotazione ms.: «Di
Benedetto Marcello quondam Agostino»; a p. 3 L’auttore del libro al compositore di esso;
capilettera a pp. 3, 5; finalini a pp. 13, 22 (pavone), 38; a p. 64 Indice. Altri esemplari:
D-Mbs (datazione online: 1730), I-Baf, I-Fn, I-LOVat, I-Mc, I-Tp, I-Tulf, I-Vmc.
Criteri di trascrizione
Per la fantasiosa varietà di corpi e caratteri dell’originale, qui uniformati secondo la consuetudine «alla moda» oggi, si rinvia alla princeps del testo, facilmente
reperibile online.
I titoli dei paragrafi sono stati resi in corsivo alto e basso, così come gli argomenti evidenziati nell’originale da una riga vuota e dal carattere maiuscolo
(pp. 51-54, 60-63, qui a pp. 58-60, 67-69).
Si sono conservati gli a capo, mentre la punteggiatura è stata uniformata
all’uso moderno, in particolare eliminando la virgola prima del relativo e delle
congiunzioni e, ma o né. Si sono mantenute le maiuscole soltanto per i nomi
propri. Il discorso diretto e le citazioni, vere o inventate, sono stati chiusi tra
virgolette basse.
Sono stati emendati: p. 8, riga 34, qui a p. 15, latri a dormire] altri a dormire;
p. 25, righe 24-25, qui a p. 32, bottone li diamanti] bottone di diamanti; p. 45,
righe 8-9, qui a p. 51, seguir ma tutte assieme] seguir mai tutte assieme; p. 47, riga
14, qui a p. 55, passo di minuett’] passo di minuetto; p. 59, riga 31, qui a p. 66,
seconda parte e &c.] seconda parte, ecc.
Sono tati mantenuti: l’articolo un davanti a parole che iniziano con s più consonante; le per li, gli o li per le e simili (insegnatigli ‘insegnatele’, leggerli ‘leggerle’,
riaccendendole ‘riaccendendoli’, ecc.); l’alternanza fra geminate e scempie (avvantagiosa, caccao, canella ‘cannella’, cappelli ‘capelli’, dopi ‘doppi’, epittetando, lazi
‘lazzi’, maestro di capella, ovata ‘ovatta’, papagallo, proccurar, quatordici, regallo,
71
rifflettendo, scattola, sovverchio, suggerittore, tamburro, tellaro, tratteranno ‘tratterranno’, ubbriacchi, ventiquatro, ecc.), talora di origine etimologica (auttore,
azzione, commodo, commune, correzzione, lezzione, sodisfazzione, ecc.); le forme obsolete (adverbi, anderà, anotomia, dasse ‘desse’, diecisette, esequire, milledoicento, oboè, sincope ‘sincopi’, strascino ‘trascinamento’), veneziane (pranso
‘pranzo’) e ipercorrette (gezzo ‘gesso’); i nessi palatali (aggiugnere, bacierà, mangieranno), a meno che non generassero ambiguità nella lettura (gle la] gliela); le
elisioni, le apocopi e i troncamenti, aggiungendo l’apostrofo se necessario, per
esempio nei titoli dei paragrafi (A poeti] A’ poeti, A sarti] A’ sarti); la costruzione
ellittica del relativo (ciò gli verrà ‘ciò che gli verrà’, quale ‘il quale’ o ‘la quale’, quali
‘i quali’ o ‘le quali’).
Sono state unite le parole la cui fusione non comporta accento o raddoppiamento fonosintattico (contr’alto] contralto, fin ch’altri] finch’altri, ogn’uno]
ognuno), mentre le altre sono rimaste invariate (affine che ‘affinché’, contrabasso,
contrapunti, contratempi, contuttocché, da vero, giustaccuori, né pure, overo,
soprapiù, ecc.).
È stata resa con i la j intervocalica (gaje] gaie) o finale nella flessione del verbo e nel
plurale (pronunzj] pronunzi, proprj] propri), mentre è stata mantenuta la grafia ii.
L’h etimologica o paretimologica è stata eliminata (chorde] corde, chromatico] cromatico, essachordi] essacordi, gigha] giga) e aggiunta nelle interiezioni
(O] Oh) o nell’elisione del relativo prima delle voci del verbo avere (c’ho] ch’ho,
c’hanno] ch’hanno).
Sono state svolte le abbreviazioni (Bmolle] bemolle, &] e/ed (ma ed vive come
ad e od ), v.g.] verbi gratia, V.V.] violini), con una sola eccezione (&c.] ecc.), ripetuta
tante volte quante si trovano nell’originale.
Oltre che al testo, questi criteri sono stati applicati alle citazioni in nota e alle
didascalie delle illustrazioni.
Commento
Il commento, che in alcuni casi potrà sembrare ridondante, è impostato
secondo le regole della collana, rivolta (almeno si spera) a un’utenza internazionale
e disparata. Dunque il lettore troverà per esempio le date di nascita di Aristotele,
Orazio, Dante, Petrarca e simili, la spiegazione di cadenza, sincope o trillo, sempre
alla prima occorrenza e senza rinvii.
72
Malgrado la tentazione di allargare il campo, per le allusioni di Marcello a
navicelle, uccelletti, orsi, ecc., sono stati forniti pochissimi esempi fra i molti
che documentano l’uso anteriore al 1720 (Aureli, Noris, Vivaldi, Zeno, ecc.).
In qualche caso si annota la sopravvivenza dei topoi dopo l’uscita del Teatro alla
moda. Per i drammi musicali citati, non necessariamente nella lezione della princeps,
soltanto la prima volta si danno gli autori di testo e musica col prenome (salvo
i casi di omonimia), il titolo e gli estremi della rappresentazione, mentre per
Metastasio e per Goldoni si cita la première ma si tralascia il compositore. Per le
biblioteche si adottano le sigle Rism.
Il volume è sprovvisto dell’indice di nomi, luoghi e argomenti, perché il
lettore interessato potrà eseguire qualsiasi indagine in rete, all’indirizzo www.
diastemastudiericerche.org.
Altre edizioni
Il pamphlet di Marcello è stato oggetto di rifacimenti,1 d’innumerevoli riprese,
corredate dalla premessa ma quasi sempre senza commento,2 e di traduzioni
in francese3 o in altre lingue.4 Si descrivono qui di seguito soltanto le edizioni
Il teatro alla moda distrutto, trovato e riprodotto ovvero Avvertimenti necessarii ed utili ad ogni persona pertinente al teatro, dedicato agli amatori delle opere italiane in musica per M.N. denominato lo Sminuzza, Parnaso,
all’insegna dei Capuleti e de’ Montecchi [Napoli, Trani], 1834.
2 Napoli, Ferrante, [1882]; Milano, Ricordi, 1883; Venezia, tipografia dell’Ancora, 1887, a cura
di Andrea Tessier e Giammaria Mazzuchelli; Firenze, Guglielmo Piatti, 1897, a cura di Étienne
Audin de Rians (a p. 53 Canzon in bolognese per Maria Malibran); Lanciano, Carabba, 1913, con un
prologo e un sonetto satirico di Enrico Fondi; [Milano], Bottega di Poesia, 1927, a cura di Andrea
D’Angeli (ristampa Milano, Ricordi, 1956); Milano, Rizzoli, 1959, a cura di Ariodante Marianni;
Torino, [1965], a cura di Giacomo Alessandro Caula; Alpignano, Tallone, 1982; Udine, Pizzicato,
[1992]; Roma, Rai, 1992, a cura di Giancarlo Rostirolla; Roma, Castelvecchi, 1993, a cura di Sergio
Miceli; Roma, Quiritta, 2001, a cura di Raffaele Manica; Milano, Il Polifilo, 2006, a cura di Carmelo
Di Gennaro; Perugia, Era Nuova, 2010, a cura di Franco Piva.
3
Paris, Fisherbacher, 1890, a cura di Ernest David (ristampa Arles, Bernard Coutaz, 1993, a
cura di Ernest David e Jacques Drillon); Lyon, Aléas, 1991, a cura di Jean Paul Montagnier; Paris,
Cerf, 1999, con Francesco Algarotti, Essai sur l’opéra.
4
Das Theater nach der Mode, zum ersten Mal ins Deutsche übertragen von Alfred Einstein, MünchenBerlin, Georg Müller, [1917]; Il teatro alla moda, a critique of early Settecento opera, [1947], a cura di Reinhard G. Pauly; El teatro a la moda, Madrid, Alianza Editorial, 2001, a cura di Stefano Russomanno;
Das neumodische Theater, [Eppelheim-Norderstedt], 2001.
1
73
settecentesche, con impronte, capilettera e finalini diversi dalla princeps, ricordando
che la napoletana del 1761 è uscita dopo la morte dell’autore, avvenuta nel 1739.
s.n.t. [Venezia, 1720?], pp. 64
Esemplare consultato: I-Vnm;
impronta: eren c.e, c.a. afre (3)
1720 (Q); frontespizio conforme
alla princeps ma parzialmente giustificato, con & svolta in ed; a p.
3 L’autore del libro al compositore di
esso; capilettera a pp. 3, 5; finalini a
pp. 13, 22 (pavone), 38; errore a p.
16 numerata 18; a p. 64 Indice. Altri esemplari: B-Gu (in seconda di
copertina annotazione ms.: «Questa satira è di Benedetto Marcello.
Fu pubblicata per la prima volta a
Venezia nel 1722 [cfr. Gaetano
Melzi, Dizionario delle opere anonime e
pseudonime, Milano, Luigi di Giacomo
Pirola, 1848-1859, III, p. 129]; la presente edizione è la ristampa del 1738,
Venezia»), I-Baf, I-Fn, I-LOVat,
I-Mc, I-Vmc.
s.n.t. [Venezia, 1720?], pp. 72
Esemplare consultato: I-Vnm (nel contropiatto della legatura ex libris:
«Apostoli Zeni»); impronta: he,e d’t- SAna &cra (3) 1720 (Q); a p. 3 L’auttore del
libro al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5, 15, 25, 31, 44; finalini mancanti. Altri
esemplari: I-Baf, I-Bcar, I-Bu, I-Fn, I-Mb, I-Rc, I-SSVam, I-Vmc.
74
Milano, Francesco Agnelli, [1738], pp. 72
Esemplare consultato: I-Vnm; impronta: e,in joo- SAna &cra (3) 1738 (Q);
frontespizio: vignetta speculare rispetto alla princeps; a p. 3 L’auttore del libro
al compositore di esso; capilettera a pp. 3, 5, 15, 25, 31, 44; finalini mancanti.
Altri esemplari: I-Mb, I-Vc, I-Vmc; anastatica: Milano, Ricordi, 1883; Torino,
Petrino, s.d.
Frontespizio
Il teatro alla moda o sia Metodo sicuro e facile per ben comporre
ed eseguire l’opere italiane in musica
all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari
a’ poeti, compositori di musica,
musici dell’uno e dell’altro sesso,
impresari, suonatori, ingegneri e
pittori di scene, parti buffe, sarti,
paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori e madri di virtuose ed altre persone appartenenti
al teatro, dedicato dall’auttore del
libro al compositore di esso.
Stampato ne’ borghi di Belisania per Aldiviva Licante, all’insegna dell’orso in peata.
Si vende nella strada del Corallo alla porta del palazzo d’Orlando, come pure in Milano da
Francesco Agnelli [1665-1739,
editore in contrada Santa Margherita dal 1702], stampandosi
ogn’anno con nuova aggiunta.
75
Napoli, Vincenzo Manfredi, 1761, pp. 8 non numerate + 62
Esemplare consultato: I-Nn; impronta: elt- taar t-e. (bAr (3) 1761 (R); fregio
nel frontespizio; a p. 7 non numerata L’autore del libro al compositore di esso; capilettera
a pp. 3, 7 non numerate; finalino a p. 8 non numerata; testatina (un sole fra due
cornucopie) e capolettera a p. 1; finalini a pp. 9, 18, 34, 62; a p. 60 Indice;
a pp. 61-62 Indice de’ libri stampati dal signor Giacomo Antonio Venaccia; eliminata la
patina linguistica veneziana e corretti gli errori della princeps, tranne l’ultimo in
italiano e tutti quelli in bolognese. Altri esemplari: I-Mc, I-Rv, I-Vmc.
Frontespizio
Il teatro alla moda o sia Metodo sicuro e facile per ben comporre ed eseguire
l’opere italiane in musica all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti
utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e
dell’altro sesso, impressari, suonatori, ingegneri e pittori di scene,
parti buffe, sarti, paggi, comparse,
suggeritori, copisti, protettori e
madri di virtuose ed altre persone appartenenti al teatro, dedicato
all’avvocato signor don Gennaro
Cajafa [membro dell’accademia
che si riuniva in casa del marchese
Giovanni Antonio Castagnola dal
1730 circa al 1760].
In Napoli, MDCCLXI, nella
stamperia di Vincenzo Manfredi e
a spesa [sic] di Giacomo Antonio
Venaccia.
Si vendono nel corridoio del
consiglio con licenza de’ superiori.
76
Reimprimatur
Die 3 mensis ianuarii, 1761, reimprimatur.
[Niccolò] Fraggianni [1686-1763, consultore ordinario del cappellano maggiore, con poteri di censura dal 1733].
[Giovanni Giuseppe] Carulli [1715-1786, cancelliere].
Dedica
Illustrissimo signore,
è stato sempre mai inveterato costume di quegli uomini, che hanno nutrito un
fervente desiderio per le lettere, di presciegliere qualche ora del giorno e impiegarla
nella lettura di qualche libro scherzevole, per sollevarsi l’animo occupato ed
immerso nelle laboriose fatiche degli studi. Tutte le antiche e le moderne istorie
ce ne hanno lasciato i monumenti di avere in cotal guisa praticato, o dimorando
in qualche amena verzura o intrattenendosi cogli amici a’ divertimenti. A me
riesce ora porgere occasione e motivo a vostra signoria illustrissima di poner
tutto ciò in pratica con farle l’offerta di questo piccolo libro uscito dalla penna del
non mai abbastanza lodato cavalier Benedetto Marcelli [sic] veneziano, quale era
fornito di una non mediocre dottrina, versatissimo però nella musica; ma quello
lo rendeva [sic] più maraviglioso era la facezia e la lepidezza, per cui diveniva
l’oggetto desiderevole delle brigate. Gli venne in pensiero di formare un teatro
a capriccio in cui, volendo ponere in comparsa i caratteri di ciascuna persona,
che servir deve per la rappresentazione della commedia, prescrive il metodo che
tener deesi, avvalendosi però di tutto l’opposto di quello che lo doverebbe essere.
Viene intitolato il libro Il teatro alla moda; e per verità, in leggerlo vostra signoria
illustrissima non potrà fare a meno d’ischiccherar della risa [sic]. Da più anni
avea nell’idea di farne la ristampa, per esser molto pochi coloro che ne aveano la
notizia; ma sempre ho differito di eseguirlo. Ora, per le grandi premure che me
ne ha dato un amico, non ne ho potuto fare a meno, anco ad ogetto di divertire i
signori letterati di cui mi lusingo d’incontrare tutto il piacere. Ho pensato ancora di
presentarlo a vostra signoria illustrissima perché possa, dopo le serie applicazioni
de’ suoi studi, rinvenire un piacevole e gustoso divertimento nel leggere questo
picciol libro. Son persuaso che l’offerta non corrisponde al suo merito ch’è di
gran lunga eccessivo; ma dovrà considerare che io, che da più anni ho la gloria
di essere annoverato il più infimo suo servo, mi ho preso l’ardire di presentarle
77
un dono che, sebbene sia di picciol momento, le riuscirà però di sommo gusto al
palato. Spero adunque che accettar lo voglia di buon animo, per maggiormente
dichiararmi e rassegnarmi per sempre di vostra signoria illustrissima divoto
servitor vero obbligato.
Giacomo Antonio Venaccia
Napoli, addì 3 gennaio 1761
78
Fabio Foresti
Le parti in bolognese e la traduzione
79
80
Il Teatro alla moda documenta un registro di bolognese parlato dell’uso medio,
che in questo inizio del Settecento ha già trovato un brillante e anti-retorico impiego letterario nei dialoghi di Lotto Lotti.1 Le lunghe battute della «cantatrice»
«virtuosa» e della madre offrono così la testimonianza di una delle varietà della
lingua locale, l’idioma materno di tutta la popolazione, stratificato nelle sue realizzazioni da parte di ceti e in contesti sociali differenti.2
Le modalità di trascrizione delle parti in bolognese testimoniate dall’opera
di Marcello, forti di una ormai lunga tradizione di scrittura, sono coerenti nel
regolare le corrispondenze tra le unità fonetiche e quelle grafiche, come pure
capaci di riconoscere l’autonomia dei singoli costituenti morfologici della frase,
che nel parlato formano una catena continua. Nel separare gli elementi grammaticalmente indipendenti che nel bolognese, plurimi e complessi, si sono spesso
ridotti a forme di una sola sillaba e di un unico suono (vocalico o consonantico),
l’autore delle parti in bolognese non si sottrae, tuttavia, al condizionamento esercitato dall’italiano e al suo influsso normalizzatore; utilizza cioè, come segni di
troncamento di una sillaba o di elisione di una vocale finale, gli apostrofi, i quali
non si giustificherebbero perché le forme bolognesi sono il risultato del tutto
indipendente di una differente evoluzione storica (non ci sono nel bolognese
parole di cui distinguere forme tronche ed elise da quelle che non presentino tali
fenomeni).
Nel trascrivere il bolognese per l’edizione del Teatro alla moda, si è adottato
un criterio estremamente conservativo, intervenendo soltanto per emendare (p.
32, riga 22, qui a p. 40, vrb’] urb’ ‘ciechi’; p. 34, riga 4, qui a p. 42, d’hi umorin]
di umorin; p. 56, righe 28-29, qui a p. 63, dle zirandel] del zirandel; p. 57, riga
4, qui a p. 63, meje] meis ‘mese’; p. 57, riga 16, qui a p. 64, una mistucchinn] una
mistucchina ‘castagnaccio’) e nei pochi casi in cui la grafia non risulti congrua con
le norme stesse adottate nell’edizione a stampa dell’opera per quanto riguarda la
divisione delle parole (a ni ved] a n’i ved, an la digh] a n’ la digh, a nal poss] a n’al
poss, a nev’] a n’ev, ecc.). Come per l’italiano, in cui è da sottolineare il frequente
ricorso dell’autore ai venezianismi lessicali (puntualmente spiegati nelle note),
sono stati mantenuti: l’alternanza fra geminate e scempie (azzion, protezzion,
ecc.) e tra le forme italianizzate o meno (ni/né, vuster/voster, ecc.); le elisioni, le
1
2
Lotto Lotti, Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703.
Cfr. Fabio Foresti, Profilo linguistico dell’Emilia-Romagna, Roma-Bari, Laterza, 2010.
81
apocopi e i troncamenti, conservando – come si è già specificato – l’apostrofo.
Sono state unite le forme che non comportano raddoppiamento fonosintattico
(sta sira] stasira). La j è stata resa con i (maraveja] maraveia, mjs] mis ‘mesi’, pajes]
paies). La grafia etimologica è stata modernizzata (ation] azion). Si sono distinte
le forme omografe nell’originale (po’ ‘poco’, po ‘poi’, pò ‘può’).
La versione in italiano delle parti in bolognese si propone come fedele al testo
originale, senza tuttavia essere inutilmente letterale.3 Questa scelta è dovuta a
due ordini di ragioni: innanzitutto, la necessità di evitare i cosiddetti «falsi amici»,
cioè parole italiane formalmente simili a quelle del bolognese, ma di significato
diverso; in secondo luogo, ma non di minore importanza, la volontà di offrire al
lettore – di norma – la traduzione in un italiano corrente, dell’uso, privo di arcaismi sintattici e lessicali.
Una varietà di italiano in grado anche di rispettare dell’opera, da un lato, lo
stile linguistico, che si affida a dialoghi animati dove il parlato è spesso diretto
e acceso (e la traduzione di questi si connota per una leggera coloritura locale, affidata ai frequenti, mantenuti rafforzativi frasali del bolognese, come «poi»,
«bene», ecc.). Dall’altro lato, si è tentato di rendere del testo originale l’atmosfera
settecentesca delle situazioni, degli ambienti e dei rapporti, nell’insieme evocati
molto bene – nell’opera di Benedetto Marcello – da una lingua locale usata allora
per ogni genere di attività intellettiva, astratta e applicata (dai cicli di lavoro rurali
e tecnico-artigianali al funzionamento degli apparati, alle arti figurative, alla musica), per ogni modalità di relazione verbale tra aristocratici, borghesi e popolani,
in contesti comunicativi plurimi (nelle istituzioni, nelle piazze e nei teatri, nelle
botteghe, nelle famiglie), per ogni prodotto dei sistemi simbolici e dei patrimoni immateriali della popolazione, inclusa la ricca letteratura dialettale (di cui in
quest’opera viene offerta un’ulteriore, inedita prova).
Riemergono così il contesto storico dell’Italia degli antichi stati, con il ricorrente termine «paese», per indicare un centro abitato, una provenienza territoriale, non necessariamente un paese; i riferimenti alla cultura dell’educazione
per una determinata fascia sociale di giovani donne, le cui «virtù» da apprendere
dovevano riguardare – oltre al canto e al saper fischiettare un motivo musicale,
nel nostro specifico caso – l’arte del ricamo, dell’eseguire merletti, della scherma
Si è utilizzato in prevalenza Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese-italiano, Bologna,
Monti, 1869-1874.
3
82
e del ballo (e l’elementare latino che si insegnava nelle ore di gramatica); il servizio di trasporto per via d’acqua – garantito dal porto navile di Bologna – da e
per la bassa pianura (che era allora un’area depressa con ampie distese d’acqua
dolce), fino a Malalbergo, Ferrara e, a oriente, Venezia; l’uso di voci e locuzioni
strettamente legate alla realtà economica e urbanistica: quando si paragonano
certi orchestrali di poca abilità a ciechi che vadano in un setificio, una raffinata e
tecnologicamente avanzata attività proto-industriale, allora ancora fiorente in vari
distretti della città; oppure quando si fa ricorso al richiamo arillà, usato per incitare gli animali da tiro e che pure nessuno degli spettatori si degna di rivolgere alla
cantante dopo una pessima esibizione (come la madre le ricorda, rimproverandola). Un richiamo che
rinvia anche al Camp’ di Bù ‘Foro
Boario’, ricordato nel testo a proposito della sistemazione – si assicura
provvisoria – della «virtuosa», uno
dei luoghi di commercio del bestiame della città, malfamato per la
presenza di prostitute e delinquenti,
che le autorità tentarono a più riprese (fin dal secondo Cinquecento) di
riqualificare; l’intervento comprese
pure provvedimenti ufficiali di sostituzione di quel toponimo urbano,
evidentemente senza successo, considerato l’uso che qui ne viene ancora attestato (e che perdurerà fino
alla fine dell’Ottocento, quando si
ribadì con una delibera che «borgo»
Lotto Lotti,
San Leonardo, un nome fino ad al- Rimedi per la sonn da lezr [sic] alla banzola
lora mai utilizzato dalla popolazio- [sesta edizione],
ne, sarebbe divenuto «via».4
Bologna, stamperia di San Tomaso d’Aquino,
1776, antiporta di Giuseppe Cantarelli.
Cfr. Mario Fanti, Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica, 2 voll., Bologna, Istituto per
la Storia, 20002.
4
83
84
Marco Bizzarini
Lo spiritoso pamphlet di un conservatore progressista
85
86
Se Teatro alla moda, come si evince dal contesto, significa essenzialmente teatro musicale moderno, allora la celebre satira di Benedetto Marcello s’inserisce
nel flusso continuo d’una mai sopita querelle des Anciens et des Modernes: «In primo
luogo» scriveva il letterato e compositore veneziano «non dovrà il poeta moderno aver letti né legger mai gli autori antichi, latini o greci. Imperciocché nemeno
gli antichi greci o latini hanno mai letti i moderni».1 L’ineccepibile paradosso
si estendeva pure ai musicisti: «Non dovrà il moderno compositore di musica
possedere notizia veruna delle regole [sottinteso: antiche] di ben comporre, toltone qualche principio universale di pratica».2 Un ruolo strategico veniva dunque
affidato alla citazione iniziale dall’Ars poetica di Orazio, in cui lo stesso Marcello,
pur senza scrivere una vera e propria opera in musica (nil scribens ipse), fingeva
ironicamente di insegnare il compito (munus et officium) di ogni operatore teatrale,
impartendo dettagliate istruzioni su come trovare gli opportuni mezzi artistici
(unde parentur opes). Tutti aspetti che erano già stati elencati nel lungo sottotitolo
del pamphlet:
Metodo sicuro e facile per ben comporre ed esequire l’opere italiane in musica
all’uso moderno, nel quale si danno avvertimenti utili e necessari a’ poeti, compositori di musica, musici dell’uno e dell’altro sesso, impresari, suonatori, ingegneri e
pittori di scene, parti buffe, sarti, paggi, comparse, suggeritori, copisti, protettori
e madri di virtuose e altre persone appartenenti al teatro.3
Menzionare l’Ars poetica in apertura di libro voleva dire non solo schierarsi
dalla parte degli Anciens, ma anche – implicitamente – alludere alla natura ibrida e
alle incongruenze del teatro musicale italiano di quegli anni. Orazio aveva denunciato il rischio dell’umorismo involontario in cui sarebbe incorso un pittore che
avesse rappresentato una testa umana unita a un collo di cavallo:
Humano capiti cervicem pictor equinam
iungere si velit […],
spectatum admissi, risum teneatis, amici?4
1 Qui a p. 9; per uno sguardo d’insieme sulla vita e sull’opera di Marcello, mi sia consentito
rinviare a Marco Bizzarini, Benedetto Marcello, Palermo, L’Epos, 2006, da cui derivano alcuni spunti
rielaborati nel presente saggio.
2 Qui a p. 22.
3 Qui a pp. 6-7.
4
Orazio, Ars poetica, 1-5 : «Se il pittore volesse unire un collo di cavallo a una testa umana […]
87
Fin troppo facile applicare tale metafora all’opera in musica. Negli anni a
cavaliere tra Sei e Settecento il poeta Bartolomeo Dotti aveva già provveduto a
tracciare un collegamento fra il memorabile incipit oraziano e le supposte mostruosità dei drammi musicali coevi. Nella satira sesta intitolata Il carnevale, la cui
pubblicazione avrà luogo soltanto mezzo secolo più tardi con falso luogo (anche
se v’è motivo di credere che fosse già notissima nella Venezia di Marcello), Dotti
confessava che «per straridere» non trovava nulla di meglio che assistere «ai drammi musicali». E aggiungeva:
Membra d’uomo e di cavallo,
dice Orazio, non si accasino,
non succede qui tal fallo
ch’alcun drama è tutto d’asino.5
Come ognuno può vedere, non
siamo troppo lontani dall’esprit
corrosivo del Teatro alla moda. Dotti non esitava neppure a citare un
paio di musicisti all’epoca ben conosciuti:
Versi poi stroppi che solo,
per conciarli in bocca ai musici,
al Ziani, al Pollarolo
fa mestier esser cerusici.6
Si trattava rispettivamente dei
compositori Marco Antonio Ziani
(circa 1653-1715), nipote di Pietro
Andrea Ziani, e di Carlo Francesco
Pollarolo (circa 1655-1721), autori
delle musiche della maggior parte
dei drammi rappresentati nei teatri
di Venezia tra la fine del Sei e l’ini-
Pier Leone Ghezzi,
Carlo Francesco Pollarolo, 1719,
disegno a penna, I-Rvat.
e vi facesse vedere il tutto, sapreste trattenere le risate, amici miei?».
5 Bartolomeo Dotti, Satire, Ginevra [ma Parigi], fratelli Cramer, [1757], I, p. 101.
6
Ivi.
88
zio del Settecento. Dotti se la prendeva pure con i librettisti Girolamo Frigimelica Roberti, Francesco Silvani e Giovanni Filippo Apolloni. Ma il suo bersaglio
preferito era Matteo Noris, i cui eccessi barocchi, ossia «spropositi noristici», per
esser debitamente temperati avrebbero richiesto il rigore del famigerato dottor
Giacomo Gregoris, consulente fiscale del Magistrato de’ Feudi in Friuli:
Iacopo Chiavistelli e
Arnold van Wsterhout,
Margine di fiume che va
al mare e una torre,
incisione per Matteo
Noris-Giovanni Maria
Pagliardi,
Il greco in Troia,
festa teatrale,
Firenze, Pergola, 1689,
II, 5.
Iacopo Chiavistelli e
Arnold van Wsterhout,
Tempio illuminato con statue,
il sepolcro d’Achille nel
mezzo e una vittima davanti
a quello cosparsa di fiori,
incisione per Matteo
Noris-Giovanni Maria
Pagliardi,
Il greco in Troia, festa teatrale,
Firenze, Pergola, 1689,
III, 22.
89
Ci vorria per porre in freno
le sbrigliate idee del Noris,
un fiscale, quale almeno
co’ furlani era il Gregoris. 7
Perfino Apostolo Zeno, come rivelò il suo devoto seguace Marco Forcellini,
amava citare in conversazione la suddetta quartina del Dotti:
[Zeno] ci raccontò mille pazzie del Noris, il più noto [poeta drammatico] d’allora. Di lui il Dotti: «Le sbrigliate idee
del Noris». Che [Noris] promesse la figlia a un trivigiano da lei amato, la chiamò in camera e sedendo fra due tavolini, se ’l vide e disse: «Fa’ conto che su
questo ci sia una tazza di veleno, su questo uno stilo, e con lo sposo prendi ciò
che vuoi». Che a Giovan Carlo Grimani
disse in conversazione una sera: «Ora
mi viene in mente un’idea da far cascar
il teatro per istupore, fare che mentre
si recita, all’improvviso si volga la scena ove sono i palchi ed i palchi ov’è la
scena, la quale intanto tutta si cangi». E
udendo che ciò era impossibile: «Sì» disse «ma se si potesse fare saria bellissima
cosa». E qual pensava, tal componeva.
Ecco il fanatismo.8
Apostolus Zeno, historicus et poeta caesareus.
Incolumi gravitate iocum tentavit,
in Apostolo Zeno, Poesie drammatiche,
Venezia, Giambattista Pasquali, 1744.
7 Bartolomeo Dotti
, Proponimento di non scriver più satire, in Andrea Della Corte, Satire e grotteschi di musiche e di musicisti d’ogni tempo, Torino, Utet, 1946, p. 259.
8
Marco Forcellini, Diario forcelliniano, ms., I-Vmc, cod. Cicogna 3430/15, paragrafo 207, in
Marco Bizzarini, Griselda e Atalia: «exempla» di vizi e virtù nel teatro musicale di Apostolo Zeno, dissertazione di dottorato, relatore prof. Bruno Brizi, Università degli studi di Padova, 2008, p. 153
(consultabile online: http://paduaresearch.cab.unipd.it/248).
90
Fanatismo, ovvero smodata passione per la «maraviglia» e per l’«istupore».
Licenze moderne di contro alla serietà antica. Non stupisce che Zeno, desideroso
di restituire (per quanto possibile) dignità classica al compromesso genere del
dramma per musica, guardasse con estrema simpatia al libello marcelliano, protetto dal velo dell’anonimato e pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1720
da Antonio Pinelli, 9 stampatore ducale.
Malgrado le cautele di Marcello, il nome dell’autore del Teatro alla moda cominciò ben presto a diffondersi fra i letterati di Venezia e dell’intera penisola. Una
prima menzione si trova nell’epistolario inedito di Zeno, in una lettera ad Andrea
Cornaro, inviata da Vienna l’11 gennaio 1721:
Nel dar la lettera al signor [Benedetto] Marcello, consolatevi per mia parte del suo
gentilissimo libro [Il teatro alla moda] che qui da un amico prestatomi è stato da me
goduto e ammirato. Io per verità ho fatta sempre grande stima dell’ingegno e dei
componimenti di quel cavaliere. Questo suo ultimo parto ne ha in me accresciuto il
concetto, non potendo essere né più spiritoso né più savio.10
Al 2 aprile del medesimo anno risale un’altra lettera di Zeno al fiorentino
Antonfrancesco Marmi:
Quel Teatro alla moda del signor Benedetto Marcello, che è fratello del signor Alessandro, è una satira gentilissima.11
Certo è che quel libello metteva in ridicolo l’intero universo del teatro d’opera.
Con un ossessivo ricorso a istruzioni finte o alla rovescia, 12 secondo la figura antifrastica, poi adottata fra l’altro nel Giorno da Parini, la formidabile satira non risparmiava nessuno: dai librettisti ai compositori, dai cantanti all’impresario, dagli
orchestrali ai ballerini, dalle maschere agli «affittascagni». Lo stesso frontespizio
Carlo Vitali, «Il teatro alla moda» ha finalmente un editore, «Note d’archivio», n.s., I, 1983, pp.
245-250.
10
Apostolo Zeno, Lettera, in Marco Bizzarini, Griselda e Atalia cit., p. 125.
11
Apostolo Zeno, Lettere, Venezia, Francesco Sansoni, 1785, III, p. 257, n. 547.
12
«Avverta il buon poeta moderno di non intendersi punto di musica»; «Dovrà il virtuoso di
violino in primo luogo far ben la barba, tagliar calli»; «Canterà [il virtuoso] nel teatro con la bocca
socchiusa, co’ denti stretti; insomma, farà il possibile perché non s’intenda né pure una parola di
ciò che dice»; qui a pp. 16, 49, 31.
9
91
con vignetta si poneva dinanzi agli occhi del lettore come un ingegnoso rebus
carico di allusioni:
Stampato ne’ borghi di Belisania per Aldiviva Licante, all’insegna dell’orso in peata. Si
vende nella strada del Corallo alla porta del palazzo d’Orlando.
Dietro questi nomi si celavano alcuni protagonisti della vita teatrale veneziana: era il caso anzitutto di Antonio Vivaldi (anagrammato in Aldiviva), ma anche di altri compositori quali Giovanni Porta, attivo pure come maestro di coro
all’Ospedale della Pietà, e di Giuseppe Maria Orlandini, altro operista di grido.
Il drammaturgo Giovanni Palazzi aveva scritto per Vivaldi il testo dell’Armida al
campo d’Egitto (San Moisè, carnevale 1717-1718) e della Verità in cimento (Sant’Angelo, ottobre 1720). Le cantanti Caterina Borghi, Cecilia Belisani e Caterina Teresa
Cantelli (quest’ultima anagrammata in Licante) provenivano tutte da Bologna ed
erano scritturate al teatro Sant’Angelo. A loro si aggiungevano Anna Maria Strada
e Antonia Maria Laurenti Novelli, detta la Coralla. Nel vogatore della vignetta si
poteva riconoscere il signor Modotto, impresario del Sant’Angelo presso il quale
Vivaldi (l’angelo violinista) aveva fatto rappresentare svariate sue opere. L’«orso
in peata», ovvero sulla «barcaccia piatta da carico […] di molta capacità, per uso
di trasporti di mercanzie»,13 era invece il signor Giovanni Orsatti, impresario del
San Moisè, concorrente del Sant’Angelo. L’espressione gioiosa dell’orso era motivata dal fatto che l’angioletto «le suona all’impresario rivale, costringendolo a
remare, mentre lui suona e con il piede batte il tempo».14 Grazie ad alcune annotazioni reperite su una copia antica, Malipiero fu il primo a comunicare le chiavi
del frontespizio enigmatico. Ma nuovi contributi hanno ulteriormente ampliato
la rosa delle possibili identificazioni: per esempio, Borghi potrebbe riferirsi a Gaetano Borghi, Belisania a Francesco Belisani.15
Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia, Cecchini, 1856 (ristampa anastatica:
Firenze, Giunti, 1993), s.v.
14
Gian Francesco Malipiero, Un frontespizio enigmatico, «Bollettino bibliografico musicale», V,
1930, pp. 16-19.
15
Eleanor Selfridge Field, Marcello, Sant’Angelo and «Il teatro alla moda», in Antonio Vivaldi. Teatro musicale, cultura e società, a cura di Lorenzo Bianconi e Giovanni Morelli, Firenze, Olschki, 1982,
pp. 533-546; Sergio Durante, Vizi privati e virtù pubbliche del polemista teatrale da Muratori a Marcello,
in Benedetto Marcello. La sua opera e il suo tempo, a cura di Claudio Madricardo e Franco Rossi, Firenze,
Olschki, 1988, pp. 415-424.
13
92
Opportunamente Andrea Della Corte si è domandato se la scelta di nomi
quali Borghi, Strada, Corallo, Orso, Porta e Palazzo fosse semplicemente funzionale al divertente gioco di parole del frontespizio o se piuttosto mirasse a
colpire determinati personaggi. Lo studioso propendeva per la prima ipotesi.16 Al
contrario Remo Giazotto, nella sua monografia su Vivaldi, giungeva a una diversa
conclusione, negando al Teatro alla moda la natura di «un divertimento satirico con
carattere generico» e ravvisando invece l’intento specifico di screditare mediante
circostanziate allusioni un personaggio ingombrante come il prete rosso, all’epoca attivo presso il Sant’Angelo, di proprietà delle famiglie Marcello e Cappello.17
D’altra parte, tale presunto motivo di rancore contro Vivaldi viene meno se si
considera che quel teatro apparteneva sì alle famiglie Marcello e Cappello, ma
non vi aveva parte il ramo del nostro autore.18 Resta comunque da valutare un’interessante testimonianza coeva: il quarto dialogo tratto dalla raccolta anonima Li
diavoli in maschera, pubblicata a Venezia nel 1726. Eccone alcuni passi:
Fichetto Dimmi di grazia, quell’orso così famoso nel Teatro alla moda si potrebbe
saperne lo scioglimento dell’antonomasia […]?
Frisesomoro Tutto lo scioglimento consiste nell’impresa del frontispiccio rappresentante una peata con oglio, farina, ecc.
Fichetto […] Ma quell’angiolo che sta suonando il violino a poppa della peata, che,
che [sic] significa di simbolico?
Frisesomoro L’angiolo rappresenta il personaggio del prerotesso Aldiviva [il prete
rosso Vivaldi].19
Da queste poche righe si deduce che fra tutti i personaggi tirati in ballo nel
frontespizio del Teatro alla moda Vivaldi fosse quello maggiormente preso di mira,
forse in ragione della sua notorietà. D’altra parte, Alessandro Marcello, fratello
di Benedetto, il 15 ottobre 1722 in una lettera indirizzata alla principessa Livia
Spinola Borghese aveva scritto parole di stima nei suoi confronti:
Andrea Della Corte, Satire e grotteschi cit., pp. 281-282.
Remo Giazotto, Vivaldi, Torino, Eri, 1973, p. 132.
18
Nicola Mangini, Benedetto Marcello e la vita teatrale a Venezia tra Sei e Settecento, in Benedetto Mar16
17
cello. La sua opera e il suo tempo cit., p. 52.
19
Ulderico Rolandi, «Il teatro alla moda» di Benedetto Marcello e le sue propaggini, in La scuola veneziana (secoli XVI-XVIII). Note e documenti, Siena, Accademia Musicale Chigiana, 1941, p. 53.
93
Credo mio preciso debito di presentare la persona a lei ben nota
del signor don Antonio Vivaldi,
famoso professor di violino, che
si porta a Roma per far l’opera
in carnovale, acciò nell’accogliere gli umilissimi miei ossequi, si
degni pure riceverlo sotto l’ombra della di lei autorevolissima
protezzione.20
Per meglio comprendere le
ragioni che indussero Benedetto Marcello a scrivere Il teatro
alla moda converrà approfondire alcuni aspetti biografici. Una
sua missiva alla principessa Borghese in data 16 ottobre 1711 ci
mostra un finissimo osservatore
della vita teatrale veneziana:
Ho sentito la Landini che veramente non è molto giovine [probabilmente ultraquaranten-ne] Anton Maria Zanetti il Vecchio,
ma non si può dir tanto vecchia, Nobilomo Alessandro Marcello,
mentre è benissimo fatta e assai disegno a penna e inchiostro bruno
avvenente. Canta senza compara- su traccia di matita, I-Vgc.
zione (a mio debole giudizio) con
più virtù della Santa e con gusto ancora più raffinato. La voce è migliore perché non fatica
nel cantare; circa l’azzione poi la fama ne discorre per tutto che sia particolare e forse
unica, quand’abbia una parte a suo modo, come si dichiara che sia questa, della quale è
soddisfattissima. Spero pertanto che risarcisca pienamente le mancanze della Santa.21
20
Fabrizio Della Seta, Documenti inediti su Vivaldi a Roma, in Antonio Vivaldi. Teatro musicale,
cultura e società cit., p. 525. Vale la pena di precisare che una decina d’anni prima Benedetto aveva
incaricato il fratello di rappresentarlo a Roma presso i Borghese. Il 28 maggio 1712 così aveva scritto alla principessa Livia: «So che il signor Alessandro mio fratello è in Roma e desidero vivamente
che supplisca per me a tanti doveri che ho con questa eccellentissima casa»; Fabrizio Della Seta, I
Borghese (1691-1731): la musica di una generazione, «Note d’archivio», n.s., I, 1983, p. 183.
21
Ivi.
94
Lo spettacolo cui Marcello faceva riferimento era una
recita del Costantino, dramma
di Apostolo Zeno e Pietro
Pariati con musica di Francesco Gasparini, andato in scena nella stagione d’autunno al
teatro di San Cassiano. Protagonista femminile dell’opera era Maria di Chateauneuf
detta la Landini, interprete
del ruolo di Fausta accanto al
primo uomo Stefano Romani detto Pignattino (Costantino). In ogni caso, il dato
più interessante riguardava
l’autore della musica: quel
Gasparini che aveva personalmente curato la formazione musicale di Benedetto
e con cui l’autore del Teatro
alla moda e dei celebratissimi
Pier Leone Ghezzi,
Salmi
dell’Estro poetico armoIl prete rosso [Vivaldi] compositore di musica che fece l’opera
nico sarebbe a lungo rimasto
[«Ercole sul Termodonte»] a Capranica del 1723,
disegno a penna, I-Rvat.
in contatto. Il riferimento al
maestro lucchese consente
inoltre di spiegare il paragone fra la Landini e «la Santa», identificabile con Santa
Stella, futura moglie del compositore Antonio Lotti. Quest’ultima aveva in precedenza interpretato due opere dello stesso Gasparini: Engelberta al San Cassiano,
nel carnevale 1709, e Tamerlano sempre lì, nel gennaio del 1711. Engelberta sarebbe
poi stata ripresa a Bologna, sempre nel 1709, ma questa volta con la partecipazione di Maria Landini, donde l’aperta competizione fra le due cantanti.
Che Marcello seguisse assiduamente le rappresentazioni delle opere di Gasparini è confermato da un’altra lettera scritta a Livia Borghese il 24 agosto 1712:
«Sono a Bologna […]. Ho goduto quest’opera la quale però è molto inferiore a
quella che vostra eccellenza sentì, non essendo compagnia per proporzionarla alli
95
virtuosi passati».22 Si trattava di una
ripresa della Fede tradita e vendicata, su
testo di Francesco Silvani, rappresentata al teatro Marsigli Rossi di Bologna. Quest’opera era andata in scena
per la prima volta al San Cassiano nel
carnevale del 1704 e per la ripresa di
otto anni dopo vi aveva messo mano
anche Giuseppe Maria Orlandini. Il
cast che deluse Marcello comprendeva Francesco Bernardi detto il Senesino (Vitige), Marianna Benti detta
la Romanina (Ernelinda), Domenico
Tempesti (Ricimero), Gaetano Borghi (Rodoaldo), Angiola Campielli
(Edvige) e Matteo Berselli (Edelberto). La stessa opera era approdata
nella precedente stagione di carnevale al teatro Capranica di Roma, dove
era stata apprezzata dalla principessa
Borghese. La compagnia di canto
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
aveva in comune il solo Borghi, menL’Orlandini [Giuseppe Maria] maestro di musica,
tre i ruoli di Ricimero e di Ernelinda
disegno a penna e inchiostro bruno
erano affidati rispettivamente ad Antosu traccia di matita, I-Vgc.
nio Bernacchi e a Domenico Tollini.
Sicuramente tutte queste esperienze di spettatore ebbero un ruolo importante
nella genesi del Teatro alla moda, come confermerebbero gli stessi riferimenti a
Borghi e Orlandini contenuti nel frontespizio. Se poi Marcello nel pamphlet dedicò
tante pagine alla colorita figura di una cantatrice emiliana, con ampie inserzioni
di discorsi nella parlata locale, ciò avvenne per svariate ragioni. Anzitutto il compositore era stato ammesso all’Accademia Filarmonica di Bologna nel 1711 e
intratteneva cordiali rapporti con Francesco Antonio Pistocchi,23 celebre maestro
Ivi.
Nella lettera in cui Marcello ringraziò Giacomo Antonio Perti per l’ammissione all’Accade-
22
23
mia Filarmonica (19 dicembre 1711) aggiunse in un poscritto: «Un abbraccio sviscerato al signor
96
di canto, già interprete di quattro opere musicate da Gasparini e rappresentate a
Venezia tra il 1703 e il 1705.24
V’era inoltre il precedente modello letterario del dialogo La cantatriz del bolognese Lotto Lotti, apparso nel volume Rimedi per la sonn da liezr alla banzola,25 i cui
personaggi – la cantatrice Sandrina, il suo maestro sgnor Cricca, la madre Pulonia
e il protettore sgnor Proqul – anticipavano palesemente la virtuosa, la madre, il
signor Crica [sic] e il signor Procolo del libello marcelliano. Si sa infine che fra i
cantanti attivi nei teatri veneziani nel primo Settecento il gruppo di gran lunga
più numeroso era proprio quello degli artisti bolognesi26 e tra i maestri di canto
dediti in modo specifico all’insegnamento femminile rientravano Francesco Belisani (cui forse alludeva il Belisania del frontespizio) e Carlo Antonio Benati. Proprio quest’ultimo era il supposto autore di una curiosa lettera al contralto Vittoria
Tesi che Marcello pose in musica in una sua cantata da camera:
Bologna, li sei decembre millesettecento e disdotto
Carissima figlia,
per causa delle mie applicazioni, e passate e presenti, godo mala salute; e sono più
giorni che non posso reggere la testa di sorte alcuna, ma spero in Dio benedetto che
con un poco di riposo mi rimetterò.
A buon conto finì questa nostr’opera domenica l’Ambreville; partì la notte per Turrino la Muzzia; partì ieri mattina per Mantova la Spagnola, partì anch’ella ieri mattina
per Livorno e questa sera partirà la Coralla e la Santina per Brescia.
Lodato Dio goderò un poco di quiete e mi riposerò da tante fatiche. Mi sono state
raccomandate da gran signori tutte le cantatrici che dovranno recitare questo carnevale qui in Bologna, ma ho negato a tutti il servirli perché non posso più applicare;
insino la Bombasara è arivata da Modona con lettere della corte e del marchese Orsi
acciò io l’assista e, per Dio, gli ho saputo rispondere un bellissimo no. Già è rotta col
suo maestro Cassani e subito son ricorsi a me perché gl’insegni da qui avvanti, ma non
ne voglio sapere e per l’avvenire voglio certissimo mutar sistema, altrimenti sarebPistocchi». Il facsimile della lettera è riprodotto in Andrea D’Angeli, Benedetto Marcello: vita e opere,
Milano, fratelli Bocca, 1940, tavola 9, a fronte di p. 24.
24
Il miglior d’ogni amore per il peggiore d’ogni odio (1703), La fede tradita e vendicata (1704), La Fredegonda (1704) e Il principato custodito dalla frode (1705).
25 Lotto Lotti, Rimedi per la sonn da liezr alla banzola, Milano, Carlo Federico Gagliardi, 1703;
edizione moderna, a cura di Maria Grazia Accorsi, Bologna, Commissione per i Testi di Lingua, 1980;
Alfonso Morselli, Una fonte d’ispirazione per «Il teatro alla moda» di Benedetto Marcello, «Accademia di
Scienze Lettere ed Arti di Modena. Atti e memorie», serie V, XIV, 1956, pp. 136-159.
26
Sergio Durante, Alcune considerazioni sui cantanti di teatro del primo Settecento e la loro formazione,
in Antonio Vivaldi. Teatro musicale, cultura e società cit., p. 435.
97
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
La [Vittoria] Tesi nell’anno 1718 in Sant’Angelo nel drama [di
Giovanni Andrea Moniglia e Domenico Lalli, con musica
di Giovanni Porta] intitolato «Amor di figlia»,
disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita,
I-Vgc.
be la vera maniera di morire
vent’anni avanti il tempo.
Mi riserbo il spazio venturo
rispondere alla vostra lettera
e so che mi compatirete ora
perché non sto bene.
Sabbato arrivò a Bologna un
mio caro amico musico che
vien di Germania e ha sentito l’opera di Sant’Angelo tre
volte e altre tante a San Gioan
Grisostomo e mi ha dato tutte le nuove distinte e di voi e
della amica e della Cuzzona,
Faustina e di tutte insomma;
mi ha ancora portato una lettera lunga lunga lunga che gli
ha dato l’amica tutta compita
e d’infinita espressione al solito e di tutta finezza […].
Non vorrei che prendeste in
mala parte il mio scrivere e
li miei consigli perché tutto
proviene dal mio buon cuore e da un cuor insomma
che non trovereste mai più
il compagno in questo mondo. Anzi dovreste star allegra
perché questo è ’l vero segno
quando un uomo vol veramente bene e ama da dovero e se mai vi dassi inquieto
con questo modo di scrivere, avvisatemelo che mai più
tocherò la vostra persona in
questi particolari.
Affezionatissimo
padre Carlo Antonio Benati.27
Per una trascrizione completa, cfr. Marco Bizzarini, Benedetto Marcello. Le cantate profane: i testi
poetici, Venezia, Fondazione Levi-Università di Padova, 2003, pp. 79-80.
27
98
Vincenzo Coronelli,
Teatro Grimani a San Giovanni Crisostomo,
in Venezia festeggiante per la creazione del serenissimo suo doge Giovanni secondo Cornaro,
[Venezia], 1709.
Fra i cantanti citati nella lettera si riconoscono Anna Maria Ludovica Ambrevil («l’Ambreville»), Teresa Muzzi («la Muzzia»), Silvia Lodi («la Spagnola»), Antonia Maria Laurenti Novelli («la Coralla» del frontespizio del Teatro alla moda), Santa
Cavalli («la Santina»), Anna Belisa («la Bombasara»), Gaetano Berenstadt («caro
amico musico che vien di Germania»), Margherita Caterina Zani («amica»), Francesca Cuzzoni («Cuzzona») e Faustina Bordoni («Faustina»). I manoscritti musicali recano l’implausibile lezione «Sartina», ma si tratta certamente di una corruttela in luogo di «Santina», poiché è documentato che la cantante bolognese Santa
Cavalli nel dicembre del 1718 partecipò alla rappresentazione dell’Arrenione al
teatro di Brescia. Nello stesso anno due astri di prima grandezza del firmamento
operistico, la Bordoni e la Cuzzoni, avevano cantato insieme sulle scene venezia99
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
La [Francesca] Cuzzoni, il cavaliere Nicolino [Grimaldi],
disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc.
Anton Maria Zanetti il Vecchio,
Faustina [Bordoni e Francesco Bernardi detto il] Senesino,
disegno a penna e inchiostro bruno su traccia di matita, I-Vgc.
ne dando avvio a episodi di acceso fanatismo.
Però non si trattava soltanto di un pittoresco fenomeno di
costume, bensì di un
profondo mutamento della vocalità, teso
per lo più a esaltare la
funzione spettacolare a scapito di quella
drammatica, lo stile
brillante a detrimento
del patetico. La posizione ufficiale del
mondo letterario era
di unanime condanna. Nel 1727, a Londra, la stessa Faustina
Bordoni venne coinvolta in una polemica
innescata da Giuseppe Riva con il suo
Avviso ai compositori ed
ai cantanti.28 Non ci è
pervenuta la replica
scritta della cantante,
ma sappiamo che un
misterioso «A.C.» le
rispose severamente
in una lettera stam-
Giuseppe Riva, Avviso ai compositori ed ai cantanti, in Francesco Degrada, Giuseppe Riva e il suo
«Avviso ai compositori ed ai cantanti», «Analecta musicologica», IV, 1967, pp. 112-123.
28
100
pata a «Londra, li 9 febbraro 1728».29 L’autore del documento, scomodando la
definizione di Aristotele nel poema dantesco, minacciava la Bordoni di rendere
pubbliche due lettere dei «maestri di color che sanno»:30 l’illustre pedagogo bolognese Francesco Antonio Pistocchi, da poco scomparso, e «un nobile veneziano,
insigne compositore e lepidissimo poeta nella sua lingua». Nessun dubbio sul
fatto che quest’ultimo personaggio fosse Benedetto Marcello, come si preoccupava di chiarire una nota a margine della copia superstite. Rimane aperto l’enigma dell’identità di «A.C.»: dei tre possibili autori con queste iniziali – l’oscuro
librettista Angelo Cori, il medico erudito Antonio Cocchi e il letterato Antonio
Conti – si è per lo più data la preferenza a Cori.31 Tuttavia l’esplicita menzione
di una lettera di Marcello fa sospettare lo zampino dell’abate Conti, il quale a sua
volta potrebbe avere suggerito il testo ad Antonio Cocchi, all’epoca residente in
Inghilterra: i due eruditi erano in contatto epistolare e proprio in quel periodo
Conti aveva fornito a Marcello i versi delle cantate Timoteo e Cassandra.
Tornando al decennio precedente, occorre ricordare che prima di pubblicare
Il teatro alla moda Marcello aveva dato alle stampe, sempre in forma anonima, un
altro libello di tono ben più aspro: la Lettera familiare di un accademico filarmonico
ed arcade, abbozzo incompiuto di una severa dissertazione contro presunte improprietà stilistiche individuate nella raccolta di Duetti, terzetti e madrigali a più voci
composta nel 1705 da Antonio Lotti. Alcuni degli spunti polemici esposti nella
Lettera familiare si ripresentavano anche nel più celebre pamphlet. Marcello, per
esempio, sosteneva l’assoluta necessità per ogni compositore di conoscere «alcuni principi di musical proporzione, cioè a dire consonanze, dissonanze, intervalli,
accidenti, specie, relazioni, ecc.», anche se tutto questo poteva sembrare «cosa
secca e senza veruno allettamento».32 Donde il consiglio alla rovescia del Teatro:
«Non comprenderà [il moderno compositore di musica] le musicali numeriche
proporzioni, non l’ottimo effetto de’ movimenti contrari, non la mala relazione
de’ tritoni e d’essacordi maggiori».33
I-Bc, ms. F. 44. Il documento è discusso in Sergio Durante, Alcune considerazioni cit., pp. 457-459.
Ovviamente Dante, Inferno, IV, 131.
31
George Dorris, Paolo Rolli and the Italian circle in London. 1715-1744, The Hague-Paris, Mou-
29
30
ton, 1967, p. 207; Sergio Durante, Alcune considerazioni cit., p. 458.
32
[Benedetto Marcello], Lettera familiare di un accademico filarmonico ed arcade, Venezia, [1716], p. 4.
33
Qui a p. 22.
101
Marcello insisteva spesso anche sulla corretta distinzione fra i generi diatonico e cromatico. Nella Lettera familiare un duetto di Lotti veniva censurato poiché
al Si bemolle richiesto dalla realizzazione del basso continuo si contrapponeva un
La diesis nella parte vocale:
Non è la medesima la corda segnata [Si bemolle] e la corda cantabile [La diesis]. E
che ciò sia verità sopra il mio e molti cembali formato con li spezzati […] cioè con
ambi l’intervalli minore e maggiore si genera per detta segnatura una gran confusione
[…]. I due semituoni minore e maggiore formano veramente una dissonanza insopportabile.34
Alla confusione dei generi, resa evidente dai clavicembali con tasti spezzati
(tali da distinguere diesis e bemolli), alludeva anche Il teatro alla moda:
[Il moderno compositore] non distinguerà punto l’uno dall’altro li tre generi, diatonico, cromatico ed enarmonico, ma bensì confonderà tutte le corde di essi in una sola
canzonetta a capriccio per separarsi affatto dagli autori antichi con tale confusione
moderna.35
Ma ancora più grave era la confusione dei «modi o tuoni». Rileggiamo un
passo del capitolo destinato A’ compositori di musica:
Non saprà quali e quanti siano li modi overo tuoni, non come divisibili, non le proprietà de’ medesimi. Anzi sopra di ciò dirà non darsi che due soli tuoni, maggiore e
minore, cioè maggiore quello ch’ha la terza maggiore e minore quello che l’ha minore,
non rilevando propriamente ciò che dagli antichi per tuono maggiore e minore si
comprendesse.36
Nella Lettera familiare Marcello aveva esposto la divisione cinquecentesca in
dodici modi, ridotti a otto «tuoni» nella pratica secentesca, con differenze di numerazione, e infine a soli due (maggiore e minore) nell’uso tonale settecentesco.37
Ma un altro imbroglio lessicale nasceva dai termini «tuono maggiore e minore».
Secondo la teoria zarliniana «tuono maggiore» indicava il rapporto numerico 9/8,
presente in natura fra Do e Re, mentre «tuono minore» quello di 10/9, proprio
[Benedetto Marcello], Lettera familiare cit., p. 65.
Qui a pp. 22-23.
36
Qui a p. 22. Una frase molto simile si trova in [Benedetto Marcello], Lettera familiare cit., p. 42.
37
Ibid., pp. 41-42.
34
35
102
dell’intervallo fra Re e Mi. Tutt’altra cosa, dunque, rispetto alle moderne tonalità
maggiori e minori.
Un altro non trascurabile argomento riguardava la disputa sull’impiego del
segno ‹ come doppio diesis nelle composizioni moderne. Nel Teatro alla moda
l’autore prescriveva ironicamente:
[Il compositore moderno] si servirà parimente del segno enarmonico [‹] in luogo del
cromatico [I], con dire che sono la medesima cosa, perché già l’uno e l’altro fa crescere un semituono minore, e in tal forma sarà ignaro affatto che il cromatico debba
sempre trovarsi fra tuoni per quelli dividere e l’enarmonico solamente fra semituoni,
essendo special proprietà dell’enarmonico il dividere li semituoni maggiori e non
altro.38
Marcello osservava che nel sistema greco il segno ‹ faceva crescere la nota
di un quarto di tono (in realtà un comma nell’intonazione sintonica); pertanto
gli sembrava inaccettabile che lo stesso segno, impiegato come doppio diesis,
valesse per i moderni come alterazione di semitono. Nella prefazione al terzo
tomo dell’Estro poetico armonico, con una lunga spiegazione, propose di sostituire il
segno ‹, tuttora in uso nell’odierna notazione musicale, con il doppio diesis I I o
perfino con il semplice diesis qualora in chiave fosse già prescritta un’alterazione
per la nota in oggetto. Diversi teorici settecenteschi presero sul serio la questione:
Francesco Antonio Calegari si dichiarò favorevole all’idea di Marcello,39 mentre
Vincenzo Manfredini era contrario alla proposta per ragioni di praticità.40
Il passaggio da argomenti serissimi, come quelli di teoria musicale testé menzionati, a momenti d’irresistibile comicità si verifica spesso nel Teatro alla moda.
Alcuni passi dell’opuscolo appartengono ai vertici dell’umorismo settecentesco.
Basti pensare alle pagine iniziali sul poeta di moderni drammi per musica, abituato a chiudere le sue dedicatorie «con dire, per atto di profondissima venerazione,
che bacia i salti de’ pulci de’ piedi de’ cani di sua eccellenza».41 Oppure si rilegga
la descrizione delle specialità messe in vendita dal conduttore del botteghino:
Qui a p. 23.
Francesco Antonio Calegari, Lettera, in Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giu-
38
39
stiniani,
Estro poetico armonico, Venezia, Domenico Lovisa, 1724, IV, pp. VI-VIII.
Vincenzo Manfredini, Regole armoniche, Venezia, Guglielmo Zerletti, 1775, p. 12, nota 8:
40
«Sarà sempre più stimabile una regola semplice e facile che tutte le ragioni che una scrupolosa teoria
addur potesse per darne una difficile».
41
Qui a p. 12.
103
Caffè meschiato con orzo e fava, pan brustolato, ecc., rosolini di varie sorte e con
vari nomi, formati tutti però d’acquavita ordinaria e miele solamente, sorbetti con
spirito di vetriol per limoni impetriti con salnitro o cenere invece di sale, cioccolata
composta di zuccaro, canella matta, mandorle, ghiande e caccao salvatico, mai acqua
schietta se non fosse ricercata con acquavita, vini e comestibili al solito. Il tutto a
prezzo quadruplicato.42
Non per caso nella ristampa napoletana del Teatro alla moda, Giacomo Antonio Venaccia scriveva nella dedicatoria all’avvocato Gennaro Cajafa che leggendo
il «piccolo libro […] del non mai abbastanza lodato cavalier Benedetto Marcelli
[sic]», versatissimo nella musica ma meraviglioso soprattutto per facezia e lepidezza, non si poteva «fare a meno d’ischiccherar della risa».43
Se nel finto trattato marcelliano si alternavano di continuo tono serio e registro comico (con predominanza di quest’ultimo), in modo simile il piano di un
dettagliato realismo scivolava improvvisamente nella dimensione surreale:
Conviene il poeta corrente abbandonar ogni buona regola per incontrar il genio del
corrotto secolo, la licenziosità del teatro, la stravaganza del maestro di capella, l’indiscretezza de’ musici, la delicatezza dell’orso, delle comparse, ecc.44
È sufficiente scorrere i paratesti dei drammi per musica veneziani dagli anni
’40 del Seicento in poi per verificare la sovrabbondanza di excusationes dovute al
mancato rispetto delle regole classiche.45 Ma se i topoi del «corrotto secolo» e della
«licenziosità del teatro» sono diffusissimi, sarà ben difficile trovare riferimenti alla
«delicatezza dell’orso».
Quando verso la fine del libello, nella lotteria, viene messa in palio «la penna
ch’ha scritto Il teatro alla moda»46 è evidente che Marcello annovera le sue stesse
pagine quale oggetto di satira: in questo modo, come ha osservato Giulio Ferroni, egli «strizza l’occhio al lettore svelandogli ambiguamente la propria cattiva
coscienza, dovuta al fatto che parlare tanto a lungo e con tanto gusto del particolare di quel mondo moderno equivale in fondo ad esservi coinvolti, col pericolo
Qui a p. 69.
Qui a p. 77.
44
Qui a pp. 13-14.
45
Molte di queste dichiarazioni sono trascritte e commentate in Paolo Fabbri, Il secolo cantante,
42
43
Bologna, Il Mulino, 1990, passim.
46
Qui a p. 67.
104
di smentire ogni possibilità di autentico e definitivo rifiuto».47 Lo stesso Ferroni
rileva che fra le convenzioni teatrali messe in burla nel Teatro alla moda compare
la tipica scena del personaggio addormentato in un bosco e insidiato da un altro.
Ma perfino una tragedia ritenuta esemplare come la Merope (1713) di Scipione
Maffei comprendeva la medesima situazione;48 eppure lo stesso erudito veronese,
ben lungi dal sentirsi in qualche modo offeso, definirà Il teatro alla moda una «facezia fina, arguta, graziosa e nobile»,49 un innocente divertissement, insomma, per
certi aspetti analogo alle caricature di cantanti che Anton Maria Zanetti andava
disegnando in quegli stessi anni. Si esce dall’impasse solo postulando che Marcello
avesse voluto prendere in giro tutta la contemporaneità, incluso lo stimatissimo
Apostolo Zeno, quando allude al consolidato sodalizio Zeno-Pariati scrivendo:
«Si unirà [il poeta] con altro poeta, prestando il soggetto e verseggiandolo». E incluso il fratello Alessandro, versato in differenti discipline, quando afferma: «Dirà
[il librettista] bensì d’aver corsi gli studi tutti di matematica, di pittura, di chimica,
di medicina, di legge». E incluso – in una certa misura – se stesso. Eloquente in
tal senso la spiritosa dedicatoria iniziale L’auttore del libro al compositore di esso, in
cui autore e compositore altro non sono che un’unica persona beneaugurante: «E
state sano, se non volete vedermi ammalato».50
Non bisogna tuttavia cadere nell’errore di sottovalutare la componente precettiva e riformatrice. Marcello nutriva un pensiero estetico forte, riguardo al
quale cercò di mantenersi coerente: le dissertazioni della Lettera familiare e delle
prefazioni all’Estro poetico armonico consentono di isolare il fondo dottrinale serio
dagli intenti burleschi. Non per caso l’articolata ricezione sette-ottocentesca del
pensiero musicale di Marcello riconobbe in larga misura le sue istanze riformiste. Il freno posto all’edonismo canoro e l’aspirazione a una più profonda unità
dell’espressione poetico-musicale sono temi perenni – oltre che luoghi di molteplici fraintendimenti – di tanti progetti di riforme musicali, da Gluck a Wagner.
Se ne può avere una dimostrazione confrontando gli scritti marcelliani con la
Giulio Ferroni, L’opera letteraria di Benedetto Marcello e l’inedita «Fantasia ditirambica eroicomica»,
«Rassegna della letteratura italiana», LXXIV, 1970, p. 344.
48
Ibid., p. 338, nota 12.
49
Scipione Maffei, [Recensione al «Teatro alla moda»], in «Osservazioni letterarie che possono
servire di continuazione al “Giornale de’ letterati d’Italia”», III, 1738, p. 308; edizione moderna in
Scipione Maffei, De’ teatri antichi e moderni e altri scritti teatrali, a cura di Laura Sannia Nowé, Modena,
Mucchi, 1988, pp. 69-75.
50
Qui a pp. 16, 10, 9.
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celebre prefazione all’Alceste di Gluck, i cui concetti teorici, più che al grande
musicista, probabilmente si devono al letterato Calzabigi.51 Da questa comparazione risulta che quasi ogni idea espressa nella premessa dell’Alceste era già stata
formulata da Marcello più di quarant’anni prima. È pur vero che le posizioni del
maestro veneziano riecheggiavano o condividevano luoghi comuni della musicografia primo-settecentesca, riallacciandosi al pensiero di Muratori e di Gravina. Tuttavia non si può disconoscere l’eredità del pensiero marcelliano nelle
dichiarazioni programmatiche di Gluck o di Calzabigi che conosceva Il teatro alla
moda, come confermano l’epigrafe oraziana del libretto L’opera seria e l’appello
«A’ lettori» in cui sono ripresi molti argomenti del pamphlet.52 Altri echi della satira si ravvisano nella prefazione all’edizione di Alceste, due anni dopo la prima,
per esempio quando vengono denunciati gli abusi dei ritornelli strumentali o dei
vocalizzi («passaggi») dannosi all’economia del dramma. Ma ancor più rilevante
sembra il debito nei confronti dell’Estro poetico armonico, quando Calzabigi-Gluck
e Marcello parlano di «espressione de’ sentimenti» e di «semplicità»,53 quando
ammettono licenze alle regole musicali ogni volta che la situazione descritta lo
consenta, quando mirano alla varietà dello stile, quando condannano nel poeta le
«fredde e sentenziose allegorie» (Alceste) ovvero le «allegorie favolose» (Estro), le
Mariangela Donà, Dagli archivi milanesi: lettere di Ranieri de’ Calzabigi e di Antonia Bernasconi,
«Analecta musicologica», XIV, 1974, pp. 268-300.
52
Daniela Goldin, Aspetti della librettistica italiana fra 1770 e 1830, «Analecta musicologica»,
XXI, 1982, p. 134.
53
[Ranieri Calzabigi-]Christoph Willibald Gluck, Altezza reale, in Alceste (Vienna, Giovanni
Tomaso de Trattnern, 1769), in Giorgio Pestelli, L’età di Mozart e di Beethoven, Torino, EdT, 1979,
pp. 288-290: «Quando mi accinsi a mettere in musica l’opera Alceste […] io cercai di ridurre la musica alla sua vera funzione, cioè di assecondare la poesia per rafforzare l’espressione dei sentimenti
e l’interesse delle situazioni»; Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giustiniani, Estro cit., I, p.
2: «Quanto alla musica, ella è sopra materia, ch’esigge in primo luogo la espressione delle parole e de’
sentimenti»; [Ranieri Calzabigi-]Christoph Willibald Gluck, Altezza reale cit.: «Ho ritenuto inoltre
che la parte più importante del mio lavoro dovesse consistere nella ricerca di una chiara semplicità
ed ho così evitato di fare sfoggi di virtuosismi a scapito della chiarezza; non ho ritenuto che ci fosse
alcun merito nella scoperta di una novità a meno che essa non fosse naturalmente richiesta»; Benedetto Marcello-Girolamo Ascanio Giustiniani, Estro cit., I, pp. 3-4: «E veramente s’inganna di
molto chiunque giudica che la semplicità dell’antica musica fosse una imperfezione, quando ella era
appunto una delle maggiori sue perfezioni […] perciò quella schietta e semplice musica alla natura
più s’accostava».
51
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«descrizioni fiorite» (Alceste) ovvero gli «arbitri sovverchi» (Estro), le «inutili analogie» (Alceste) ovvero le «lusinghevoli digressioni» (Estro).
La riforma di Calzabigi e Gluck rifletteva numerose tendenze della cultura
settecentesca europea maturate soprattutto nella seconda metà del secolo: la nobile semplicità dell’antichità classica rivendicata da Winckelmann, il ritorno alla
natura invocato da Rousseau e, nel campo della trattatistica, il Saggio sopra l’opera in
musica (1755) di Francesco Algarotti che, citando espressamente la «celebre opera
de’ Salmi», aveva riconosciuto all’autore del Teatro alla moda un posto d’onore nella
storia del pensiero musicale settecentesco. Ancora una volta la riscoperta degli
Anciens apriva nuove strade ai Modernes perché, come avrebbe sostenuto a fine
Ottocento uno dei più illustri e ferventi ammiratori di Marcello, tornare all’antico
può sempre generare un progresso.54
Nella lettera a Francesco Florimo, inviata da Genova il 5 gennaio 1871, Giuseppe Verdi scriveva la famosa esortazione «tornate all’antico e sarà un progresso», dopo aver ribadito l’opportunità
per i giovani musicisti di studiare le composizioni di due dei più illustri maestri dei secoli passati:
«Esercitatevi nella fuga costantemente, tenacemente fino alla sazietà e fino a che la mano sia divenuta franca e forte a piegare la nota al voler vostro. Imparerete così a comporre con sicurezza, a
disporre bene le parti ed a modulare senza affettazione; studiate Palestrina e pochi suoi coetanei,
saltate dopo a Marcello e fermate la vostra attenzione specialmente sui recitativi»; l’epistola verdiana, che ebbe all’epoca larghissima risonanza, fu pubblicata nella «Gazzetta musicale di Milano», n.
4, 22 gennaio 1871; l’apprezzamento di Verdi per la musica di Marcello trovò esplicita conferma
nella lettera ad Arrigo Boito del 5 ottobre 1887 (pubblicata fra l’altro in Claudio Casini, L’Ottocento.
II, Torino, EdT, 1978, p. 217) in cui il compositore veneziano venne ritenuto eccellente accanto ad
altri cinque antichi maestri italiani: Palestrina, Carissimi, Alessandro Scarlatti, Pergolesi e Piccinni.
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