Farmaci antitumorali
Aspetti Generali
In questo capitolo verranno trattati il cancro e la terapia
antineoplastica; nella prima parte verrà dato rilievo alla
patogenesi dei tumori, per poi procedere alla descrizione
dei farmaci che possono essere utilizzati per il trattamento.
Infine, sarà sottolineato il ruolo fondamentale svolto dalle
nuove conoscenze acquisite riguardo alla biologia della
cellula tumorale nello sviluppo di nuovi farmaci. La trattazione sull’uso degli isotopi radioattivi nella terapia antitumorale va oltre lo scopo di questo libro.
Introduzione
Il cancro è una patologia caratterizzata dalla moltiplicazione
incontrollata e dalla disseminazione di forme anomale di cellule all’interno dell’organismo. È la seconda causa di morte più
comune nelle nazioni sviluppate (dopo le malattie cardiovascolari); a 1 persona su 3 è diagnosticato il cancro nell’arco
della propria vita. In Italia la sopravvivenza, dopo 5 anni dall’esordio della malattia oncologica, è di circa il 57% e il cancro
è responsabile di circa il 30% del totale dei decessi. In Italia i
nuovi casi si collocano intorno a 234.000 ogni anno. Le sedi
tumorali più frequenti sono il colon-retto, la mammella, la
prostata e il polmone.1 La maggior parte dei Paesi sviluppati
riporta statistiche simili. A prima vista, i dati dell’ultimo centinaio di anni sembrano indicare un aumento di incidenza
della malattia nei Paesi occidentali, ma il tumore è perlopiù
una patologia che si manifesta in età avanzata e, nell’ultimo
secolo, sia il progresso della scienza medica sia il miglioramento della qualità della sanità pubblica hanno portato a un
deciso aumento della durata media di vita; di conseguenza,
molte più persone raggiungono un’età in cui è più probabile
ammalarsi di cancro.
I termini cancro, neoplasia maligna (neoplasia significa
semplicemente “nuova crescita”) e tumore maligno sono sinonimi. Sia i tumori benigni sia quelli maligni mostrano capacità proliferative incontrollate, ma quelli maligni si distinguono
per la loro capacità di dedifferenziarsi, per l’invasività e per la
loro capacità di metastatizzare (diffondersi in altre parti del
corpo). In questo capitolo, discuteremo solo della terapia dei
tumori maligni. Le caratteristiche anomale mostrate dai tumori maligni sono la conseguenza di un’espressione genica alterata tipica delle cellule tumorali e originata da mutazioni
geniche ereditate o acquisite.
1
Rapporti Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM).
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Gli approcci principali al trattamento del cancro sono tre:
asportazione mediante intervento chirurgico, radioterapia e
chemioterapia; l’efficacia di ciascuno di questi approcci è legata al tipo di tumore e al suo stadio di sviluppo. La chemioterapia può essere utilizzata come unico trattamento oppure
come supplemento ad altri tipi di terapia.
Se paragonata alla chemioterapia antinfettiva, la chemioterapia antitumorale si trova di fronte a un problema difficile.
In termini biochimici, i microrganismi sono sia quantitativamente sia qualitativamente diversi dalle cellule umane (si veda
il Capitolo 49), mentre le cellule tumorali e quelle normali sono
per molti aspetti così simili che è molto più difficile trovare
differenze generali e biochimiche che possano essere sfruttate
ai fini terapeutici. Negli ultimi anni, la chemioterapia antitumorale si è ampliata per includere, oltre ai farmaci citotossici
convenzionali (che agiscono su tutte le cellule e che hanno un
margine di selettività estremamente limitato), diversi farmaci
che agiscono sulla regolazione ormonale della crescita tumorale o sugli alterati meccanismi di controllo del ciclo cellulare che
sono alla base del tumore maligno (si veda oltre; si veda anche
il Capitolo 5). In generale, attualmente questo è stato uno dei
campi più promettenti della ricerca farmacologica, in cui la genomica e la biofarmaceutica svolgono un ruolo fondamentale.
Sembra che il flusso di innovazione sia destinato a continuare.
Patogenesi Del Cancro
È molto importante trattare dettagliatamente la biopatologia
dei tumori al fine di comprendere sia il meccanismo di azione
sia gli svantaggi degli agenti antitumorali attualmente in uso,
nonché gli ostacoli terapeutici che i nuovi farmaci devono
superare.
Sono soprattutto quattro le caratteristiche che ci permettono
di distinguere le cellule tumorali dalle cellule normali. Esse
sono:
j
j
j
j
proliferazione incontrollata
dedifferenziazione e perdita di funzione
invasività
metastasi.
Genesi Di Una Cellula Tumorale
Una cellula normale diventa tumorale in seguito a una o più
mutazioni del suo DNA, che possono essere ereditate o acquisite, solitamente a causa dell’esposizione a virus o a sostanze
cancerogene (per esempio, prodotti del tabacco e asbesto). Un
buon esempio ci viene fornito dal tumore del seno; le donne 681
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
che ereditano una copia singola mutata di uno dei due geni
oncosoppressori BRCA1 o BRCA2 (si veda oltre) presentano
un elevato rischio di sviluppare il cancro del seno. D’altra
parte, la cancerogenesi è un processo a più stadi, molto complesso; di solito, vi sono coinvolti più di un cambiamento
genetico, così come altri fattori, detti epigenetici (stimoli ormonali, cocancerogeni, agenti che promuovono i tumori ecc.)
che, da soli, non provocano il cancro, ma aumentano la probabilità che la(e) mutazione(i) dia(no) origine a un tumore.
Esistono due categorie principali di cambiamenti genetici
importanti:
1.Attivazione dei proto-oncogeni a oncogeni. I proto-oncogeni sono geni che normalmente controllano la divisione
cellulare, l’apoptosi e la differenziazione (si veda il Capitolo 5), ma che possono diventare oncogeni a causa di
virus o di cancerogeni e provocare la trasformazione neoplastica.
2.Inattivazione dei geni oncosoppressori. Le cellule normali
contengono geni che hanno la capacità di sopprimere il
processo di trasformazione neoplastica – questi geni sono
chiamati oncosoppressori (antioncogeni) – e mutazioni in
682
corrispondenza di questi geni sono presenti in diversi tipi di
tumori. La perdita di funzionalità da parte degli oncosoppressori può essere l’elemento fondamentale nel processo di
cancerogenesi.
Sono stati identificati circa 30 geni oncosoppressori e 100
oncogeni dominanti. I cambiamenti che portano al fenotipo
maligno sono il risultato di mutazioni puntiformi, amplificazione genica o traslocazione cromosomiale, spesso causate da
virus o cancerogeni chimici.
Caratteristiche Tipiche
Di Una Cellula Tumorale
Proliferazione incontrollata
Molte cellule sane, per esempio quelle del midollo osseo e
dell’epitelio del tratto gastrointestinale, si dividono rapidamente e in continuazione; non è, quindi, sempre vero che le cellule
tumorali proliferano più in fretta delle cellule normali. Alcune
cellule tumorali si moltiplicano lentamente (per esempio,
quelle dei tumori delle plasmacellule) e altre si moltiplicano
Figura 55.1 Vie di trasduzione del segnale attivate dai fattori di crescita e loro correlazioni con lo sviluppo di un tumore.
Nella tabella sono forniti alcuni esempi di proto-oncogeni e dei prodotti da essi codificati, con esempi dei tumori associati alla loro
conversione in oncogeni. Molti recettori di fattori di crescita sono recettori tirosin-chinasici; i trasduttori citosolici comprendono proteine
adattatrici che legano i recettori su residui di tirosina fosforilata. Le proteine Ras sono proteine leganti il nucleotide guanosinico e hanno
un’attività GTPasica; una ridotta attività GTPasica comporta che Ras rimanga attivato.
EGF = fattore di crescita epidermico; IGF = fattore di crescita insulino-simile; PDGF = fattore di crescita derivato dalle piastrine.
*HER2 è chiamato anche HER2/neu.
Farmaci antitumorali
55
più rapidamente (per esempio, quelle del linfoma di Burkitt).
Il concetto importante è che le cellule tumorali sono sfuggite
ai meccanismi che normalmente regolano la divisione cellulare e la crescita tissutale. Questo, piuttosto che il tasso di proliferazione, distingue le cellule tumorali da quelle normali.
Quali cambiamenti causano la proliferazione incontrollata
delle cellule tumorali? L’inattivazione dei geni oncosoppressori
o la trasformazione dei proto-oncogeni in oncogeni può conferire autonomia di crescita a una cellula e, quindi, determinare
una proliferazione incontrollata attraverso la produzione di
cambiamenti in diversi sistemi cellulari (Figura 55.1), come:
j
j
j
j
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fattori di crescita, i loro recettori e le vie biochimiche del
segnale a loro collegate
trasduttori del ciclo cellulare, per esempio, le cicline, le
chinasi ciclina-dipendenti (cdk) o gli inibitori delle cdk
processo apoptotico, che normalmente porta alla morte
delle cellule anomale
espressione della telomerasi
vasi sanguigni locali, come risultato dell’angiogenesi tumoredipendente.
Potenzialmente, tutti i geni codificanti per le componenti sopra
descritte possono essere considerati come oncogeni o oncosoppressori (Figura 55.2), sebbene non tutti siano ugualmente
in grado di dar luogo al processo di trasformazione neoplastica.
Bisogna comprendere che lo sviluppo di un tumore maligno
richiede il contributo di diversi fattori.
Resistenza all’apoptosi
L’apoptosi è il processo di morte cellulare programmata (si veda
il Capitolo 5) e le mutazioni a carico dei geni antiapoptotici
sono solitamente un prerequisito per lo sviluppo del cancro;
inoltre, la resistenza all’apoptosi è una caratteristica tipica di
tale patologia. Questa può derivare dall’inattivazione di fattori
proapoptotici o dall’attivazione di fattori antiapoptotici.
Espressione della telomerasi
I telomeri sono strutture specializzate che ricoprono le estremità dei cromosomi – come i tubicini di metallo alla fine dei
lacci delle scarpe – per proteggerli dalla degradazione, dal
riarrangiamento e dalla fusione con altri cromosomi. Inoltre,
la DNA polimerasi non è in grado di duplicare facilmente gli
ultimi nucleotidi posti nella parte terminale del DNA e i telomeri prevengono la perdita dei geni “terminali”. Con ogni ciclo
di divisione cellulare, una porzione di telomero viene erosa e
alla fine il telomero perde la sua funzione. A questo punto, la
replicazione del DNA cessa e la cellula diventa senescente.
Le cellule che si dividono rapidamente, come le cellule
staminali e quelle del midollo osseo, l’epitelio del tratto gastrointestinale e le cellule germinali esprimono la telomerasi,
un enzima che mantiene e stabilizza i telomeri. Questo enzima
è assente nella maggior parte delle cellule somatiche completamente differenziate, mentre è presente nel 95% dei tumori
maligni nelle fasi più avanzate, ed è questo che può conferire
“immortalità” alle cellule tumorali.
Controllo dei vasi sanguigni associati al tumore
I fattori sopra descritti portano a una proliferazione incontrollata delle singole cellule tumorali, ma altri fattori, in particolare il flusso ematico, determinano la crescita di un tumore
solido. I tumori di 1-2 mm di diametro possono ottenere i nutrienti necessari per diffusione, ma l’ulteriore crescita della
Figura 55.2 Diagramma semplificato della genesi
di un tumore. Il diagramma riassume le informazioni fornite
nel testo. La genesi tumorale è, di solito, multifattoriale, dato
che coinvolge più di un cambiamento genetico. “Altri fattori”,
come specificato sopra, possono comprendere le attività
dei promotori, dei cocancerogeni, degli ormoni ecc.,
i quali, pur non essendo cancerogeni di per sé, aumentano
la probabilità che una mutazione genica causi un tumore.
massa tumorale richiede l’angiogenesi, ossia lo sviluppo di
nuovi vasi sanguigni. L’angiogenesi si verifica in risposta ai
fattori di crescita prodotti dal tumore in sviluppo (si veda
Griffioen e Molema, 2000).
Dedifferenziazione e perdita di funzione
La moltiplicazione delle cellule normali in un tessuto inizia
con la divisione di alcune cellule staminali indifferenziate che
danno origine a cellule figlie. Queste ultime, infine, si differenziano diventando le cellule mature di un determinato tessuto, pronte a svolgere le loro funzioni. Per esempio, quando i
fibroblasti maturano, secernono e organizzano la matrice extracellulare; le cellule muscolari mature sono in grado di contrarsi. Una delle principali caratteristiche delle cellule
683
tumorali è quella di dedifferenziarsi a vari livelli. In generale,
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Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
le cellule tumorali poco differenziate si moltiplicano più velocemente e si associano a una prognosi peggiore rispetto alle
cellule tumorali ben differenziate.
Invasività
In genere, le cellule normali non si trovano al di fuori del loro
tessuto di origine. Questo perché, durante la differenziazione
e la crescita del tessuto o dell’organo, le cellule normali sviluppano determinati rapporti spaziali l’una con l’altra. Questi
rapporti vengono mantenuti da vari fattori di sopravvivenza
tessuto-specifici che prevengono l’apoptosi (si veda il Capitolo 5). In questo modo, se una cellula dovesse fuoriuscire dal
suo tessuto o organo, perderebbe questi fattori/segnali di sopravvivenza e morirebbe.
Di conseguenza, nonostante le cellule della mucosa rettale
proliferino continuamente per il rinnovamento dell’epitelio,
rimangono comunque organizzate in un epitelio di rivestimento. Un cancro della mucosa rettale, invece, invade gli altri
tessuti che formano il retto e spesso anche i tessuti degli altri
organi pelvici. Le cellule tumorali non solo hanno perso, per
via di una mutazione, i meccanismi di controllo che hanno le
cellule normali ma, in più, secernono enzimi (come le metalloproteasi; si veda il Capitolo 5) che degradano la matrice extracellulare, permettendo loro di spostarsi.
Metastasi
Le metastasi sono tumori secondari formati da cellule che sono
state rilasciate dal tumore primario (o iniziale) e che hanno
raggiunto altri siti attraverso i vasi sanguigni o linfatici oppure
semplicemente per disseminazione nelle cavità del corpo. Le
metastasi sono la causa principale di mortalità e morbilità
nella maggior parte dei tumori e costituiscono il problema
maggiore per la terapia antitumorale.
Come già detto, il distacco o la migrazione aberrante delle
cellule normali attiva il processo di morte cellulare programmata, come risultato dell’assenza dei fattori antiapoptotici
necessari. Le cellule tumorali che metastatizzano hanno subìto
una serie di cambiamenti genetici che alterano le loro risposte
ai meccanismi di regolazione che controllano l’architettura
cellulare dei tessuti normali, rendendole capaci di stabilirsi
“extra-territorialmente”. Inoltre, la crescita di nuovi vasi indotta dal tumore (si veda sopra) favorisce il processo di metastatizzazione.
I tumori secondari insorgono più frequentemente in certi
tessuti piuttosto che in altri. Per esempio, le metastasi del cancro del seno si trovano spesso nel polmone, nelle ossa e nel
cervello. La ragione risiede nel fatto che le cellule del tumore
del seno esprimono sulla loro superficie recettori per le chemochine come CXR4 (si veda il Capitolo 17), e le chemochine
che riconoscono questi recettori sono altamente espresse nei
tessuti sopra citati e non in altri (come il rene), facilitando
l’accumulo selettivo di cellule tumorali in queste sedi.
Principi Generali Dei Farmaci
Antitumorali Citotossici
Mediante alcuni esperimenti condotti in un modello murino
in vivo di leucemie trapiantabili a rapida crescita, è stato
684
dimostrato che una certa dose terapeutica di un farmaco
citotossico2 distrugge una frazione costante di cellule maligne.
Quindi, una dose che uccide il 99,99% delle cellule, se utilizzata per trattare un tumore costituito da 1011 cellule, lascerà
ancora 10 milioni (107) di cellule maligne vitali.
Dato che lo stesso principio vale per i tumori a rapida crescita nell’uomo, i regimi di chemioterapia devono mirare a
uccidere la totalità delle cellule perché, a differenza di quello
che si verifica con i microrganismi, i meccanismi di difesa
immunitaria dell’ospite possono fare poco contro le rimanenti cellule tumorali.
Una delle maggiori difficoltà nella terapia contro il cancro
è rappresentata dal fatto che quando il tumore viene diagnosticato di solito è già in fase avanzata. Supponiamo che un
tumore si sviluppi a partire da una singola cellula e che la crescita sia esponenziale, eventualità che può verificarsi durante
gli stadi iniziali. Il tempo di “raddoppiamento” varia: per
esempio, è di 24 ore circa nel linfoma di Burkitt, di 2 settimane in alcune leucemie e di 3 mesi nei tumori del seno. Approssimativamente, per produrre una massa cellulare del diametro
di 2 centimetri, contenente 109 cellule, sono richiesti 30 raddoppiamenti. Un tumore di queste dimensioni è entro i limiti
delle procedure diagnostiche, ma potrebbe passare inosservato.
Con altri 10 raddoppiamenti si producono 1012 cellule, una
massa tumorale probabilmente letale, e, nel caso di un tumore
solido, la massa potrebbe raggiungere un diametro di circa
20 centimetri.
Tuttavia, una crescita esponenziale continua di questo tipo
di solito non si verifica. Nella maggior parte dei tumori solidi
(per esempio, del polmone, dello stomaco, dell’utero e simili),
al contrario di quanto avviene nelle leucemie (tumori dei globuli bianchi), il tasso di crescita diminuisce con l’aumentare
delle dimensioni della neoplasia. Ciò è parzialmente dovuto al
fatto che il tumore, a causa delle dimensioni della sua massa,
non riesce a mantenere un adeguato flusso ematico e, inoltre,
non tutte le cellule proliferano in modo continuo. Le cellule di
un tumore solido possono essere considerate come appartenenti a tre compartimenti:
1.compartimento A, costituito da cellule in divisione che, con
tutta probabilità, sono continuamente in fase di ciclo cellulare (cellule proliferanti)
2.compartimento B, costituito da cellule a riposo (in fase G0),
cioè cellule quiescenti che, anche se non si stanno dividendo,
sono potenzialmente in grado di farlo
3.compartimento C, costituito da cellule non più capaci di
dividersi, ma che contribuiscono al volume del tumore.
Essenzialmente, solo le cellule del compartimento A, che formano appena il 5% di alcuni tumori solidi, sono sensibili ai
principali farmaci citotossici attualmente in uso, come viene
spiegato più avanti. Le cellule del compartimento C non costituiscono un problema, ma l’esistenza del compartimento B
rende difficoltosa la chemioterapia antitumorale, perché le
cellule di questo compartimento non sono molto sensibili ai
farmaci citotossici e possono rientrare nel compartimento A
dopo la chemioterapia.
La maggior parte degli attuali farmaci antitumorali, in particolare gli agenti citotossici, colpisce solo un aspetto caratteristico
Il termine farmaco citotossico si applica a qualunque farmaco in grado di
danneggiare o uccidere le cellule. In pratica, è utilizzato, in maniera più
restrittiva, per indicare farmaci che inibiscono la divisione cellulare e, quindi,
sono potenzialmente utili per la chemioterapia antitumorale.
2
Farmaci antitumorali
della biologia delle cellule tumorali – la divisione cellulare – ma
non ha effetti inibitori specifici sull’invasività, sulla perdita di
differenziazione o sulla tendenza alla metastatizzazione. In molti
casi, l’effetto antiproliferativo è dovuto a un’azione durante la fase
S del ciclo cellulare e il conseguente danno al DNA dà inizio all’apoptosi (si veda sopra). Inoltre, poiché il loro bersaglio principale è la divisione cellulare, questi farmaci colpiscono tutte le
cellule dei tessuti normali che si dividono rapidamente, probabilmente causando così i seguenti effetti tossici generali di diversa
gravità:
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j
j
j
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tossicità a livello del midollo osseo (mielodepressione) con
diminuita produzione di leucociti e, di conseguenza, minore
resistenza alle infezioni
alterazione della guarigione delle ferite
perdita di capelli (alopecia)
danni all’epitelio gastrointestinale (comprese le mucose
orali)
rallentamento della crescita nei bambini
sterilità
teratogenicità.
Questi farmaci, in alcune circostanze, posso anche essere loro
stessi cancerogeni. Inoltre, la massiccia distruzione cellulare,
che avviene in tempi rapidi, causa un elevato catabolismo
delle purine e gli urati possono precipitare nei tubuli renali,
causando danni renali. Infine, oltre a effetti tossici specifici
associati a singoli farmaci, tutti i farmaci citotossici danno
nausea e vomito piuttosto severi; questi effetti sono tali da essere chiamati “deterrenti intrinseci” alla compliance del paziente nel completare un ciclo di trattamento.
Patogenesi del cancro e chemioterapia
antitumorale: principi generali
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j
j
Il cancro si sviluppa come risultato di una serie
di cambiamenti genetici ed epigenetici; le principali mutazioni
geniche riguardano:
j inattivazione di geni oncosoppressori
j attivazione di oncogeni (mutazioni di geni normali
che controllano la divisione cellulare e altri processi).
Le cellule tumorali hanno quattro caratteristiche
che permettono di distinguerle dalle cellule normali:
j proliferazione incontrollata
j perdita di funzionalità, a causa della perdita
della capacità di differenziarsi
j invasività
j capacità di formare metastasi.
Le cellule tumorali sono caratterizzate da una proliferazione
incontrollata spesso a causa di cambiamenti che riguardano:
j fattori di crescita e/o loro recettori
j vie del segnale intracellulare, in particolare quelle
che controllano il ciclo cellulare e l’apoptosi
j espressione della telomerasi.
Ciò può essere supportato dall’angiogenesi associata
al tumore.
La maggior parte dei farmaci antitumorali ha un’azione
antiproliferativa – danneggia il DNA e induce l’apoptosi.
Tali farmaci, inoltre, influenzano le cellule normali che si
dividono rapidamente e, quindi, causano mielodepressione,
ritardano la guarigione delle ferite e rallentano la crescita.
La maggior parte causa nausea, vomito, sterilità, alopecia
e teratogenicità.
55
Farmaci Antitumorali
I principali farmaci antitumorali possono essere suddivisi
nelle categorie generali riportate qui di seguito.
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Farmaci citotossici. Il loro meccanismo di azione è discusso in maniera più dettagliata in seguito ed è sintetizzato
nella Tabella 55.1; questi farmaci includono:
j agenti alchilanti e composti correlati, che agiscono formando legami covalenti con il DNA e impedendo la replicazione
j antimetaboliti, che bloccano o alterano una o più vie
metaboliche coinvolte nella sintesi del DNA
j antibiotici citotossici, come le sostanze di origine microbica che prevengono la divisione delle cellule di mammifero
j derivati di piante (alcaloidi della vinca, taxani, camptotecine): la maggior parte di questi (ovvero, alcaloidi della
vinca e taxani) agisce in modo specifico sui microtubuli
e, di conseguenza, sulla formazione del fuso mitotico.
Ormoni. I più importanti sono gli steroidei (per esempio,
glucocorticoidi, estrogeni e androgeni), così come i farmaci
che sopprimono la secrezione ormonale o antagonizzano
l’azione dell’ormone.
Anticorpi monoclonali: in genere vengono utilizzati solo per
particolari tipi di tumore.
Inibitori delle proteine chinasi: questi farmaci inibiscono le
proteine chinasi (solitamente tirosina chinasi) che trasducono segnali di crescita in cellule in rapida divisione. Il loro
utilizzo è limitato a determinati tipi di neoplasie.
Miscellanea di agenti che non rientrano facilmente nelle
categorie precedenti.
L’uso clinico dei farmaci antitumorali è di competenza dell’oncologo, che seleziona i regimi terapeutici appropriati per il
paziente con l’obiettivo di curarlo, prolungargli la vita o fornirgli una terapia palliativa.3
In questa sede verranno trattati i meccanismi di azione e i
principali effetti indesiderati dei farmaci antitumorali più comunemente utilizzati. Un libro di testo recente (si veda Airley,
2009) fornisce informazioni dettagliate.
Agenti Alchilanti
E Composti Correlati
Gli agenti alchilanti e i composti correlati contengono gruppi
chimici in grado di formare legami covalenti con particolari
sostanze nucleofile all’interno della cellula. Con gli agenti
alchilanti, il passaggio principale è la formazione di uno ione
carbonio – un atomo di carbonio con soli sei elettroni nello
strato più esterno. Questi ioni sono altamente reattivi e reagiscono in modo istantaneo con un donatore di elettroni come
un’amina, un gruppo idrossile o un gruppo sulfidrile. La
maggior parte degli agenti alchilanti antitumorali è bifunzionale, cioè possiede due gruppi alchilanti (Figura 55.3).
L’azoto in posizione 7 (N7) della guanina, essendo fortemente nucleofilo, probabilmente costituisce il bersaglio molecolare
principale per l’alchilazione del DNA (si veda la Figura 55.3),
sebbene le posizioni N1 e N3 della citosina possano anch’esse
fungere da bersagli. Un agente bifunzionale, reagendo con due
Il lettore avrà appreso che molti farmaci antitumorali sono tossici. Come un
medico ha giustamente sostenuto, “per essere oncologi bisogna odiare il cancro
più di quanto si ami la vita”.
3
685
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Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
Tabella 55.1 Aspetti generali dei farmaci antitumorali
Tipo
Gruppo
Esempi
Meccanismo principale
Agenti alchilanti
e correlati
Mostarde azotate
Ciclofosfamide, ifosfamide, clorambucile,
melfalan, estramustina
Nitrosuree
Lomustina, carmustina
Composti del platino
Carboplatino, cisplatino, oxaliplatino
Legami crociati all’interno
della catena del DNA,
rottura dei filamenti di DNA
e alterato appaiamento
delle basi azotate
Altro
Busulfan, treosulfan, tiotepa, dacarbazina,
procarbazina, temozolomide
Antagonisti del folato
Metotressato, raltitrexed, pemetrexed
Via metabolica
delle pirimidine
Fluorouracile, capecitabina, citarabina,
gemcitabina, tegafur
Antimetaboliti
Blocco della sintesi del DNA
e/o dell’RNA
Via metabolica delle purine Fludarabina, cladribina, mercaptopurina,
tioguanina, pentostatina, clofarabina,
nelarabina
Antibiotici
citotossici
Antracicline
Daunorubicina, doxorubicina, epirubicina,
idarubicina, (mitoxantrone), (amsacrina)
Altro
Bleomicina, dactinomicina, mitomicina
Taxani
Paclitaxel, docetaxel
Alcaloidi della vinca
Vinblastina, vincristina, vindesina,
vinorelbina
Camptotecine
Irinotecano, topotecano, trabectedina
Epipodofillotossine
Etoposide
Altro
Trabectedina
Legame con il DNA
con deformazione della sua struttura
Ormoni/analoghi
Dietilstilbestrolo, etinilestradiolo,
medrossiprogesterone, megestrolo,
noretisterone, goserelina, leuprorelina,
triptorelina, lanreotide, octreotide
Antagonisti
Tamoxifene, toremifene, fulvestrant,
ciproterone, flutamide, bicalutamide
Agiscono come antagonisti
fisiologici, antagonisti o inibitori
della sintesi degli ormoni
per interrompere la crescita
dei tumori ormone-dipendente
Inibitori dell’aromatasi
Anastrozolo, letrozolo, exemestano
Inibitori
delle proteine
chinasi
Inibitori della tirosina
chinasi
Dasatinib, erlotinib, imatinib, nilotinib,
sunitinib
Inibitori di chinasi multiple
(inibitori multi-target)
Sorafenib
Inibizione delle chinasi coinvolte
nella trasduzione del segnale
trasmesso da recettori
di fattori di crescita
Anticorpi
monoclonali
Anti-EGF, HER2
Panitumumab, trastuzumab
Blocca la proliferazione cellulare
Anti-CD20/CD52
Rituximab, alemtuzumab
Inibizione della proliferazione
dei linfociti
Anti-VEGF
Bevacizumab
Previene l’angiogenesi
Derivati di origine
naturale
Ormoni/antagonisti
Effetti multipli sulla sintesi
del DNA/RNA e sull’azione
della topoisomerasi
Alterazione dell’assemblaggio
dei microtubuli e della formazione
del fuso mitotico
Inibizione delle topoisomerasi
I farmaci nelle parentesi hanno azioni farmacologiche simili, ma non sono necessariamente correlati chimicamente.
gruppi, può provocare un legame crociato tra due catene di
DNA o all’interno della stessa catena (si veda la Figura 55.3).
Questo evento interferisce sia con la trascrizione sia con la
replicazione, il che costituisce, probabilmente, l’effetto principale degli agenti alchilanti antitumorali. Gli altri effetti
conseguenti all’alchilazione di N7 della guanina compren686
dono l’eliminazione della base con rottura della catena o
l’appaiamento della guanina alchilata con la timina invece che
con la citosina e la conseguente sostituzione della coppia GC
con la coppia AT. L’effetto principale si osserva durante la
replicazione (fase S), quando alcune zone del DNA non sono
appaiate e sono più suscettibili all’alchilazione. Questo causa
un blocco in fase G2 (si veda la Figura 55.3) e, successivamente, la morte cellulare per apoptosi.
Farmaci antitumorali
55
Figura 55.3 Effetti degli agenti alchilanti bifunzionali
sul DNA. Si noti il legame crociato tra due guanine.
A = adenina; C = citosina; G = guanina; T = timina.
Tutti gli agenti alchilanti deprimono la funzione del midollo
osseo e causano disturbi gastrointestinali. Con l’uso prolungato, si manifestano altri due effetti indesiderati: la depressione
della gametogenesi (soprattutto negli uomini), che porta alla
sterilità, e un aumento del rischio di leucemia acuta non linfoide e di altri tumori.
Gli agenti alchilanti sono i farmaci antitumorali più utilizzati e ne esistono di diversi tipi. Solo alcuni di quelli più utilizzati verranno presi in considerazione qui di seguito.
Mostarde azotate
Le mostarde azotate sono simili ai “gas mostarda” (iprite)
usati durante la Prima guerra mondiale; la loro struttura di base,
R-N-bis-(2-cloroetile), è mostrata nella Figura 55.4. Nell’organismo, ogni catena laterale cloroetilica subisce una ciclizzazione intramolecolare con il rilascio di Cl−. Il derivato etilene
immonio altamente reattivo che si forma può interagire con il
DNA (si vedano le Figure 55.3 e 55.4) e con altre molecole.
La ciclofosfamide è, probabilmente, l’agente alchilante più
utilizzato. È inattiva finché non viene metabolizzata nel fegato
a opera delle ossidasi a funzione mista del citocromo P450 (si
veda il Capitolo 9). Ha effetti alquanto pronunciati sui linfociti e può essere utilizzata anche come immunosoppressore (si
veda il Capitolo 26). Di solito, viene somministrata per via
orale o per iniezione endovenosa, ma può anche essere somministrata per via intramuscolare. Gli effetti tossici più importanti sono costituiti da nausea, vomito, depressione del
midollo osseo e cistite emorragica. Quest’ultimo effetto (che
si manifesta anche con il farmaco correlato ifosfamide) è dovuto al metabolita acroleina e può essere mitigato idratando
abbondantemente il paziente e somministrando composti che
sono donatori di gruppi sulfidrilici, come la N-acetilcisteina o
il mesna (sodio-2-marcaptoetano sulfonato). Questi agenti
Figura 55.4 Esempio di alchilazione e formazione
di un legame crociato tra le due catene del DNA da parte
di una mostarda azotata. Una bis(cloroetil)ammina (1) viene
ciclizzata, si forma un catione di etilene immonio instabile
(2) con rilascio di Cl− e l’ammina terziaria viene trasformata
in ammina quaternaria. L’anello del composto intermedio etilene
immonio si apre e forma uno ione carbonio reattivo (in giallo)
(3), che reagisce immediatamente con N7 della guanina
(in verde) a dare la 7-alchilguanina (legame in blu), mentre N7
viene convertito in azoto quaternario. Queste reazioni possono
essere ripetute con un altro –CH2CH2Cl che forma un legame
crociato.
interagiscono in modo specifico con l’acroleina, formando un
composto non tossico. Si vedano anche i Capitoli 9 e 57. Altre
mostarde azotate in uso sono il melfalan e il clorambucile.
L’estramustina è una combinazione di clormetina (mustina)
con un estrogeno. Ha un’azione sia citotossica sia ormonale ed
è usata, in genere, per il trattamento del cancro della prostata.
Nitrosuree
Esempi di nitrosuree sono la lomustina e la carmustina. Dato
che sono liposolubili e attraversano la barriera ematoencefalica, possono essere utilizzate contro i tumori del cervello e
delle meningi. Purtroppo, la maggior parte delle nitrosuree
causa una grave depressione cumulativa del midollo osseo che
insorge 3-6 settimane dopo l’inizio del trattamento.
Altri agenti alchilanti
Il busulfan ha un effetto selettivo sul midollo osseo, dato che,
a basso dosaggio, inibisce la formazione dei granulociti e
delle piastrine e, ad alte dosi, quella dei globuli rossi. Non ha
687
effetto (o ha un effetto trascurabile) sul tessuto linfoide o sul
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
tratto gastrointestinale. Viene utilizzato nella leucemia granulocitica cronica.
La dacarbazina, un profarmaco, è attivata nel fegato e il
composto risultante viene processato nella cellula bersaglio, in
modo da dare origine a un derivato alchilante. Gli effetti indesiderati includono mielotossicità e nausea e vomito gravi.
La temozolomide è un composto simile, ma viene utilizzata nel trattamento dei gliomi ad alto grado di malignità, in
quanto, a differenza della dacarbazina, supera la barriera
ematoencefalica.
La procarbazina inibisce la sintesi di DNA e RNA e interferisce con la mitosi in interfase. I suoi effetti possono essere
mediati dalla produzione di metaboliti attivi. Viene somministrata per via orale ed è utilizzata soprattutto nel trattamento
del linfoma di Hodgkin. Causa effetti simili al disulfiram se
viene assunta insieme a bevande alcoliche (si veda il Capitolo
56), può esacerbare gli effetti dei farmaci depressivi sul sistema
nervoso centrale e, essendo un debole inibitore delle monoamino ossidasi, può dare ipertensione se somministrata insieme
ad alcuni agenti simpaticomimetici (si veda il Capitolo 46).
Provoca i soliti effetti indesiderati degli antitumorali e può
essere anche leucemogena, cancerogena e teratogena. Le reazioni allergiche cutanee possono portare alla sospensione del
trattamento.
Gli altri agenti alchilanti utilizzati clinicamente includono
tiotepa e treosulfan.
Farmaci antitumorali: agenti alchilanti
e composti correlati
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Gli agenti alchilanti possiedono gruppi chimici che formano
legami covalenti con componenti cellulari; l’intermedio
reattivo è uno ione di carbonio. La maggior parte possiede
due gruppi alchilanti e può formare legami crociati con
due siti nucleofili come N7 della guanina nel DNA. I legami
crociati possono dare origine a una replicazione
non corretta attraverso l’appaiamento della guanina alchilata
con la timina, che porta a una sostituzione di AT con GC,
oppure possono causare l’escissione della guanina
con conseguente rottura della catena di DNA.
Il loro effetto principale si verifica durante la sintesi del DNA
e i danni risultanti attivano l’apoptosi.
Gli effetti indesiderati includono la mielodepressione,
la sterilità e il rischio di sviluppare leucemia
non linfoide.
I principali agenti alchilanti sono:
j le mostarde azotate, come la ciclofosfamide
che, una volta attivata, produce aldofosfamide; quest’ultima
viene quindi convertita a mostarda fosforamide (molecola
citotossica) e acroleina (causa danni alla vescica
che possono essere attenuati con l’uso di mesna).
La mielodepressione dovuta alla ciclofosfamide colpisce
soprattutto i linfociti
j le nitrosuree, come la lomustina, che possono agire
anche sulle cellule che non si dividono, attraversare
la barriera ematoencefalica e causare mielotossicità
ritardata e cumulativa.
I composti del platino (per esempio, il cisplatino) provocano
la formazione di legami crociati intracatena nel DNA.
Il cisplatino causa bassa mielotossicità, ma dà nausea
e vomito gravi e può essere nefrotossico. Ha rivoluzionato
la terapia dei tumori a cellule germinali.
Composti del platino
Il cisplatino è un complesso di coordinazione idrosolubile che
contiene un atomo centrale di platino circondato da due atomi
di cloro e due gruppi aminici. Ha un’azione simile a quella
degli agenti alchilanti. Quando entra nella cellula, i due atomi
di Cl− si dissociano, lasciando un composto reattivo che reagisce con l’acqua e poi interagisce con il DNA. Il cisplatino
causa la formazione di legami crociati all’interno della catena
del DNA (legami crociati intracatena), probabilmente tra N7
e O6 di molecole di guanina adiacenti; ciò provoca una denaturazione locale del DNA.
Il cisplatino ha rivoluzionato la terapia dei tumori solidi dei
testicoli e delle ovaie. Viene somministrato per iniezione endovenosa lenta o per infusione. È molto nefrotossico, quindi
devono essere rispettati stretti regimi di idratazione e trattamento con diuretici. Ha bassa mielotossicità, ma può causare
nausea e vomito gravi. Gli antagonisti dei recettori 5-HT3 (per
esempio, ondansetron; si vedano i Capitoli 15, 29 e 38) sono
molto efficaci nel prevenire questi effetti e hanno trasformato
la chemioterapia basata sul cisplatino. Anche il tinnito e
l’alopecia vengono causati da questo farmaco con una certa
frequenza, così come le neuropatie periferiche, l’iperuricemia
e le reazioni anafilattiche.
Il carboplatino è un derivato del cisplatino. Poiché causa
minore nefrotossicità, neurotossicità, ototossicità, nausea e
vomito rispetto al cisplatino (sebbene sia maggiormente mielotossico), talvolta viene somministrato a pazienti ambulatoriali. L’oxaliplatino è un altro composto contenente platino,
ma ha indicazioni più limitate.
Antimetaboliti
Antagonisti del folato
Il metotressato è il più importante antagonista del folato ed è
uno degli antimetaboliti più utilizzati in chemioterapia. I folati sono essenziali per la sintesi dei nucleotidi purinici e del timidilato, che a loro volta sono essenziali per la sintesi del DNA
e la divisione cellulare (argomento discusso nei Capitoli 25, 49
e 53). L’azione principale degli antagonisti del folato è quella
di interferire con la sintesi del timidilato.
Strutturalmente, i folati sono costituiti da tre elementi: un
anello di pteridina, l’acido p-aminobenzoico e l’acido glutammico (Figura 55.5). I folati vengono captati attivamente dalle
cellule, dove vengono convertiti a poliglutammati. Per poter
funzionare come coenzimi, i folati devono essere ridotti a tetraidrofolato (FH4). Questa reazione avviene in due fasi ed è catalizzata dall’enzima diidrofolato reduttasi, che converte il substrato
prima a diidrofolato (FH2) e poi a tetraidrofolato FH4 (Figura 55.6).
FH4 funziona come un cofattore essenziale che porta i gruppi
metilici necessari per la trasformazione del 2′-deossiuridilato
(DUMP) a 2′-deossitimidilato (DTMP) (come 5,10-metilen-FH4)
e per la sintesi delle purine (come 10-formil-FH4), richiesti per la
sintesi del DNA. Durante la formazione di DTMP a partire da
DUMP, FH4 viene riconvertito a FH2, in modo che il ciclo possa
ricominciare. Il metotressato ha un’affinità superiore a quella di
FH2 per la diidrofolato reduttasi e, quindi, inibisce l’enzima (si
veda la Figura 55.6), portando alla deplezione intracellulare di
FH4. L’interazione del metotressato con la diidrofolato reduttasi
coinvolge un legame in più rispetto a FH2. La reazione più sensibile alla carenza di FH4 è la formazione di DTMP.
Il metotressato viene somministrato solitamente per via
orale, ma possono essere utilizzate anche le vie intramuscolare,
Farmaci antitumorali
55
Figura 55.5 Struttura dell’acido folico e del metotressato. Entrambi i composti sono rappresentati in forma di poliglutammati.
Nel tetraidrofolato i gruppi monocarboniosi (R, in arancione) sono trasportati su N5 o N10 o su entrambi (mostrato con la linea tratteggiata).
I punti del metotressato che differiscono dall’acido folico endogeno sono mostrati nei riquadri blu.
endovenosa o intratecale. Il farmaco possiede bassa liposolubilità e, quindi, non attraversa la barriera ematoencefalica.
Viene captato molto bene dalle cellule per mezzo del sistema
di trasporto del folato e viene metabolizzato a derivati poliglutammati, che rimangono nelle cellule per settimane (in alcuni casi anche per mesi) in assenza di farmaco extracellulare.
La resistenza al metotressato può svilupparsi nelle cellule tumorali attraverso vari meccanismi (si veda oltre). Il metotressato viene impiegato anche come farmaco immunosoppressore
nel trattamento dell’artrite reumatoide e di altre malattie autoimmuni (si veda il Capitolo 26).
Tra gli effetti indesiderati più comuni ci sono depressione del
midollo osseo e danni all’epitelio del tratto gastrointestinale. Si
possono osservare anche casi di polmonite. Inoltre, i regimi
terapeutici ad alte dosi (dosi 10 volte superiori a quelle standard),
che talvolta vengono utilizzati nei pazienti che mostrano resistenza al metotressato, possono portare a nefrotossicità, causata
dalla precipitazione del farmaco o dei suoi metaboliti nei tubuli renali. I regimi terapeutici ad alte dosi devono essere seguiti
dalla somministrazione di acido folinico (una forma di FH4).
Anche il raltitrexed, chimicamente correlato al folato, inibisce la timidilato sintetasi, mentre il pemetrexed oltre alla timidilato sintetasi inibisce la diidrofolato reduttasi e la
glicinamide ribonucleotide formiltransferasi.
Analoghi delle pirimidine
Anche il fluorouracile, un analogo dell’uracile, interferisce con
la sintesi di DTMP (si veda la Figura 55.6). Viene convertito in
un “falso” nucleotide, fluorodeossiuridina monofosfato
(FDUMP). Questo interagisce con la timidilato sintetasi; tuttavia, non può essere convertito in DTMP. Il risultato è un’inibizione della sintesi del DNA. Il 5-FU, previa conversione nel
deossiribonucleotide trifosfato, può essere incorporato nel DNA
e, come ribonucleotide trifosfato, anche nell’RNA con alterazioni del suo processamento e funzionalità.
Il fluorouracile, di solito, viene somministrato per via parenterale. Gli effetti indesiderati principali sono danno epiteliale
gastrointestinale e mielotossicità. Possono manifestarsi anche
disturbi cerebellari. Un altro farmaco, la capecitabina, è metabolizzato a fluorouracile, come avviene per il tegafur.
La citarabina (citosina arabinoside) è un analogo del nucleoside 29-deossicitidina. Il farmaco entra nella cellula bersaglio e subisce le stesse reazioni di fosforilazione del nucleoside
endogeno, in seguito alle quali si forma citosina arabinoside
trifosfato, che inibisce la DNA polimerasi (Figura 55.7). I
principali effetti indesiderati si manifestano a livello del midollo osseo e del tratto gastrointestinale. Questo farmaco causa
anche nausea e vomito.
Figura 55.6 Diagramma semplificato dell’azione
del metotressato e del fluorouracile sulla sintesi del timidilato.
Il tetraidrofolato poliglutammato FH4(glu)n funziona come
trasportatore di unità monocarboniose, fornendo il gruppo metilico
necessario per la conversione del 29-deossiuridilato (DUMP)
in 29-deossitimidilato (DTMP) per opera della timidilato sintetasi.
Questo trasferimento di un singolo carbonio causa l’ossidazione
di FH4(glu)n a FH2(glu)n. Il fluorouracile è convertito a FDUMP,
che inibisce la timidilato sintetasi.
DHFR = diidrofolato reduttasi.
689
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
La fludarabina viene metabolizzata a trifosfato e inibisce la
sintesi del DNA con un meccanismo simile a quello della citarabina. Ha effetti mielodepressivi. La pentostatina ha un
meccanismo di azione differente. Inibisce l’adenosina deaminasi, l’enzima che trasforma l’adenosina in inosina. Questa
azione interferisce con le vie cruciali del metabolismo delle
purine e può avere effetti significativi sulla proliferazione
cellulare. La cladribina, la mercaptopurina e la tioguanina sono
utilizzate principalmente nel trattamento delle leucemie.
Antibiotici Citotossici
Questo è un gruppo di farmaci ampiamente utilizzati, che
producono i loro effetti tramite azione diretta sul DNA. Di
regola, non vanno somministrati insieme alla radioterapia,
perché la tossicità sarebbe troppo elevata.
Figura 55.7 Meccanismo di azione della citarabina
(citosina arabinoside). Per i dettagli sull’azione della DNA
polimerasi si veda la Figura 49.8. La citarabina è un analogo
della citosina.
Farmaci antitumorali: antimetaboliti
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Gli antimetaboliti bloccano o modificano vie metaboliche
necessarie alla sintesi del DNA.
Antagonisti del folato. Il metotressato inibisce la diidrofolato
reduttasi, prevenendo la generazione del tetraidrofolato,
interferendo con la sintesi del timidilato. Il metotressato
è captato dalle cellule per mezzo dei trasportatori del folato
e, come il folato, viene poliglutammato. Le cellule normali,
esposte ad alte dosi, possono essere protette mediante
somministrazione di acido folinico. Gli effetti indesiderati
sono mielodepressione e possibile nefrotossicità.
Analoghi delle pirimidine. Il fluorouracile è convertito in falso
nucleotide e inibisce la sintesi del timidilato. La citarabina,
in forma trifosforilata, inibisce la DNA polimerasi.
Questi farmaci sono potenti mielosoppressori.
Analoghi delle purine. La mercaptopurina è convertita
in falso nucleotide. La fludarabina, in forma trifosforilata,
inibisce la DNA polimerasi ed è mielosoppressiva.
La pentostatina inibisce l’adenosina deaminasi, un enzima
fondamentale nel metabolismo delle purine.
Doxorubicina e antracicline
Il principale antibiotico antitumorale, tra le antracicline, è la
doxorubicina. Altri composti correlati sono l’idarubicina, la
daunorubicina, l’epirubicina e il mitoxantrone. L’amsacrina ha un’azione simile a quella di questo gruppo.
La doxorubicina possiede diverse azioni citotossiche. Lega
il DNA e inibisce sia la sintesi del DNA sia quella dell’RNA,
ma l’effetto citotossico maggiore viene esercitato con un’azione inibitoria sulla topoisomerasi II (corrispondente alla DNA
girasi dei batteri; si veda il Capitolo 49), la cui attività è decisamente aumentata nelle cellule proliferanti. L’importanza di
questo enzima risiede nel fatto che, durante la replicazione del
DNA, deve verificarsi una rotazione intorno alla forcella di
replicazione, per evitare alle molecole di DNA neosintetizzate
di aggrovigliarsi in modo inestricabile nel corso della segregazione mitotica. Il giro è prodotto dalla topoisomerasi II, che
genera un’incisione in entrambi i filamenti del DNA; successivamente l’enzima ripristina l’integrità dei filamenti. La doxorubicina si intercala nel DNA e stabilizza il complesso
DNA-topoisomerasi II subito dopo l’incisione dei due filamenti, bloccando il processo a questo punto.
La doxorubicina viene somministrata per infusione endovenosa. Lo stravaso del farmaco può causare necrosi locale. In
aggiunta agli effetti indesiderati generali, la doxorubicina può
causare danni cumulativi e dose-dipendenti al miocardio,
provocando aritmie e insufficienza cardiaca. Si pensa che
questo effetto sia dovuto alla formazione di radicali liberi.
L’alopecia è un effetto indesiderato comune.
La gemcitabina, un analogo della citarabina, ha pochi effetti
collaterali; i principali sono una sindrome simil-influenzale e
una mielotossicità lieve. Spesso viene somministrata in combinazione con altri farmaci, come il cisplatino.
Dactinomicina
La dactinomicina si intercala nel solco minore del DNA, tra
coppie adiacenti di guanina-citosina, interferendo con il movimento della RNA polimerasi lungo il gene e prevenendo la
trascrizione. Inoltre, sembra possedere un’azione simile a
quella delle antracicline sulla topoisomerasi II. La dactinomicina può presentare la maggior parte degli effetti tossici descritti in precedenza, eccetto la cardiotossicità. È utilizzata
soprattutto nel trattamento dei tumori pediatrici.
Analoghi delle purine
I principali analoghi delle purine usati nella chemioterapia
antitumorale sono la fludarabina, la pentostatina, la cladribina, la clofarabina, la nelarabina, la mercaptopurina e la
690
tioguanina.
Bleomicine
Le bleomicine sono antibiotici glicopeptidici in grado di chelare i metalli; degradano il DNA preformato causando la frammentazione della catena e il rilascio di basi libere. Si pensa che
questa azione sul DNA richieda la chelazione di ferro (ridotto)
Farmaci antitumorali
Farmaci antitumorali: antibiotici citotossici
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La doxorubicina inibisce la sintesi del DNA e dell’RNA;
l’effetto sul DNA è dovuto principalmente all’interferenza
con l’azione della topoisomerasi II. Gli effetti indesiderati
includono nausea, vomito, mielodepressione e alopecia.
Ad alte dosi è cardiotossica.
La bleomicina causa frammentazione delle catene del DNA.
Agisce sulle cellule che non sono in divisione. Gli effetti
indesiderati includono febbre, allergie, reazioni mucocutanee
e fibrosi polmonare. È praticamente priva di effetti
mielotossici.
La dactinomicina si intercala al DNA, interferendo con
la RNA polimerasi e inibendo la trascrizione. Interferisce anche
con l’azione della topoisomerasi II. Gli effetti indesiderati
includono nausea, vomito e mielodepressione.
La mitomicina viene attivata a metabolita alchilante.
e l’interazione con l’ossigeno, causando l’ossidazione del ferro
e la generazione di radicali superossidi e/o idrossilici. La bleomicina è più efficace nella fase G2 del ciclo cellulare, ma è attiva anche sulle cellule che non sono in divisione (ossia le
cellule in fase G0; si veda la Figura 5.4). Spesso viene utilizzata
nel trattamento dei tumori a cellule germinali. A differenza
della maggior parte dei farmaci antitumorali, la bleomicina è
scarsamente mielotossica; la fibrosi polmonare risulta essere il
suo effetto collaterale più grave e si verifica nel 10% dei pazienti trattati, causando morte nell’1% dei casi. Possono manifestarsi anche reazioni allergiche. Il 50% circa dei pazienti
manifesta reazioni mucocutanee (soprattutto nel palmo delle
mani) e molti soggetti sviluppano iperpiressia.
Mitomicina
In seguito all’attivazione enzimatica, la mitomicina funziona
come un agente alchilante bifunzionale, legando di preferenza
O6 della guanina. Forma legami crociati nel DNA e può degradare il DNA tramite generazione di radicali liberi. Causa
anche una grave mielodepressione ritardata, danni renali e fibrosi polmonare.
Derivati Delle Piante
Molti prodotti vegetali di origine naturale esercitano effetti
citotossici potenti e, per questo motivo, si sono guadagnati un
posto tra i farmaci antitumorali.
Alcaloidi della vinca
Gli alcaloidi della vinca sono i derivati della pervinca del Madagascar (Catharanthus roseus). I membri principali di questo
gruppo sono la vincristina, la vinblastina e la vindesina. La
vinorelbina è un alcaloide della vinca semisintetico con proprietà simili e viene utilizzata principalmente nel trattamento del
cancro del seno. Questi farmaci legano la tubulina e inibiscono
la sua polimerizzazione a formare i microtubuli, prevenendo la
formazione del fuso mitotico nelle cellule in divisione e causando l’arresto della mitosi in metafase. I loro effetti si manifestano
solo durante la mitosi. Inibiscono anche altre attività cellulari
che coinvolgono i microtubuli, come la fagocitosi e la chemotassi leucocitaria e il trasporto assonale nei neuroni.
Gli alcaloidi della vinca sono relativamente poco tossici. La
vincristina ha un’attività mielodepressiva molto debole, ma
55
Farmaci antitumorali: derivati delle piante
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La vincristina inibisce la mitosi in metafase legando
la tubulina. È relativamente poco tossica, ma può causare
effetti indesiderati neuromuscolari.
L’etoposide inibisce la sintesi del DNA, agendo
sulla topoisomerasi II, e la funzione mitocondriale. Gli effetti
indesiderati comuni includono vomito, mielodepressione
e alopecia.
Il paclitaxel stabilizza i microtubuli, inibendo la mitosi;
è relativamente tossico e può dare reazioni di ipersensibilità.
L’irinotecano inibisce la topoisomerasi I; provoca diarrea
a insorgenza tardiva e neutropenia.
causa abbastanza frequentemente parestesie (alterazioni della
sensibilità), dolori addominali e debolezza muscolare. La vinblastina è meno neurotossica, ma causa leucopenia, mentre la
vindesina presenta moderati effetti sia di mielotossicità sia di
neurotossicità. Tutti i farmaci di questo gruppo possono causare alopecia in modo reversibile.
Paclitaxel e docetaxel
Questi taxani derivano da un composto naturale che si trova
nella corteccia del tasso (Taxus spp.). Agiscono sui microtubuli ma, a differenza degli alcaloidi della vinca, li stabilizzano (in
effetti, “congelandoli”) nello stato polimerizzato. Il paclitaxel
e il docetaxel vengono somministrati per infusione endovenosa. Vengono utilizzati entrambi per il trattamento del cancro
del seno e il paclitaxel, somministrato insieme al carboplatino,
è il trattamento di scelta per il tumore delle ovaie.
Gli effetti indesiderati possono essere gravi e comprendono
la depressione del midollo osseo e la neurotossicità cumulativa.
Con il docetaxel si può avere ritenzione di liquidi (soprattutto
edema alle gambe). Si può verificare ipersensibilità verso entrambi i composti, richiedendo il pretrattamento con corticosteroidi e antistaminici.
Camptotecine
Le camptotecine irinotecano e topotecano, isolate dal fusto
dell’albero Camptotheca acuminata, legano e inibiscono la
topoisomerasi I, che è un enzima altamente espresso durante il
ciclo cellulare. La diarrea a insorgenza tardiva, con o senza
neutropenia, rappresenta la tossicità dose-limitante di irinotecano, mentre la neutropenia, con o senza piastrinopenia, è la
tossicità dose-limitante di topotecano.
Etoposide
L’etoposide deriva dalle radici di mandragora (Podophyllum
peltatum). Il suo meccanismo di azione non è ancora chiaro,
ma potrebbe inibire le funzioni mitocondriali e il trasporto dei
nucleosidi, o interferire con la topoisomerasi II, con un effetto
simile a quello della doxorubicina (si veda sopra). Gli effetti
indesiderati comprendono nausea e vomito, mielodepressione
e alopecia.
Ormoni
I tumori che derivano da tessuti sensibili agli ormoni (per
esempio, seno, utero, ghiandola prostatica) possono essere
ormone-dipendenti, per via della presenza nelle cellule maligne 691
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
di recettori ormonali. La crescita di questi tumori può essere
inibita da ormoni con azione opposta, da antagonisti ormonali
o da composti che inibiscono la sintesi degli ormoni da cui il
tumore dipende. Gli ormoni, o i loro analoghi con azione inibitoria sui tessuti bersaglio, possono essere utilizzati nel trattamento dei tumori di quei tessuti. Tali trattamenti, da soli,
raramente consentono di ottenere la guarigione, ma servono a
ritardare la crescita tumorale e a mitigare i sintomi del tumore
e sono, quindi, importanti nel trattamento clinico dei tumori
dipendenti dagli ormoni sessuali.
Glucocorticoidi
I glucocorticoidi, come il prednisolone e il desametasone,
hanno marcati effetti inibitori sulla proliferazione dei linfociti
(si veda il Capitolo 26) e sono utilizzati nel trattamento delle
leucemie e dei linfomi. La loro capacità di ridurre la pressione
endocranica e di mitigare alcuni effetti collaterali dei farmaci
antitumorali, quali nausea e vomito, li rende utili come terapia
di supporto nel trattamento di altri tipi di tumore e nelle cure
palliative.
Estrogeni
Il dietilstilbestrolo e l’etinilestradiolo sono due estrogeni
usati clinicamente come antagonisti fisiologici nel trattamento
palliativo dei tumori della prostata androgeno-dipendenti.
L’etinilestradiolo ha minori effetti collaterali. Questi tumori
sono trattati anche con gli analoghi dell’ormone rilasciante la
gonadotropina (si veda oltre).
Inoltre, gli estrogeni possono essere utilizzati per trasformare le cellule cancerose mammarie quiescenti (ossia cellule nel
compartimento B; si veda sopra) nel gruppo di cellule proliferanti (ossia nel compartimento A), facilitando l’azione degli
altri farmaci ad azione citotossica.
Progestinici
I progestinici, come il megestrolo, il noretisterone e il medrossiprogesterone, sono risultati utili nelle neoplasie dell’endometrio e nei tumori renali.
Analoghi dell’ormone rilasciante la gonadotropina
Come detto nel Capitolo 34, gli analoghi dell’ormone rilasciante la gonadotropina, come la goserelina, la buserelina,
la leuprorelina e la triptorelina, possono, in alcuni casi, inibire il rilascio di gonadotropina. Questi composti sono usati,
quindi, nel trattamento del tumore mammario in fase avanzata
nelle donne in premenopausa e nel trattamento del cancro
della prostata. L’effetto derivante dall’aumento transitorio
della secrezione di testosterone che si verifica nei pazienti con
Farmaci antitumorali: ormoni
692
Gli ormoni e i loro antagonisti sono utilizzati per il trattamento
dei tumori sensibili agli ormoni:
j Glucocorticoidi, per le leucemie e i linfomi.
j Tamoxifene, per i tumori del seno.
j Analoghi dell’ormone rilasciante la gonadotropina,
per i tumori della prostata e del seno.
j Antiandrogeni, per il cancro della prostata.
j Inibitori della sintesi degli ormoni sessuali, per il tumore
del seno in postmenopausa.
tumore della prostata trattati in questo modo deve essere prevenuto con un antiandrogeno come il ciproterone.
Analoghi della somatostatina
Gli analoghi della somatostatina, come l’octreotide e il lanreotide (si veda il Capitolo 32), sono usati per alleviare i
sintomi dei tumori neuroendocrini, inclusi i tumori ormonesecernenti del tratto gastrointestinale, come i VIPomi, i glucagonomi, i tumori carcinoidi e i gastrinomi. Questi tumori
esprimono i recettori della somatostatina, la cui attivazione
inibisce la proliferazione cellulare e la secrezione ormonale.
Antagonisti Ormonali
Oltre agli ormoni, anche gli antagonisti ormonali possono essere
efficaci nel trattamento di diversi tipi di tumori ormone-sensibili.
Antiestrogeni
Un antiestrogeno, il tamoxifene, è molto efficace in alcuni casi
di tumore del seno ormone-dipendente e potrebbe avere un
ruolo nella prevenzione di questi tumori. Nel tessuto mammario, il tamoxifene compete con gli estrogeni endogeni per lo
stesso recettore e, inoltre, inibisce la trascrizione dei geni
sensibili agli estrogeni. Il tamoxifene ha anche effetti cardioprotettivi, in parte per via della sua capacità di proteggere dal
danno ossidativo le lipoproteine a bassa densità.
Gli effetti indesiderati sono simili ai sintomi della menopausa. Molto più gravi sono l’iperplasia dell’endometrio, che può
andare incontro a trasformazione maligna, e il rischio di
tromboembolia.
Gli altri antagonisti dei recettori degli estrogeni includono
il toremifene e il fulvestrant. Anche gli inibitori dell’aromatasi, come l’anastrozolo, il letrozolo e l’exemestano, che
bloccano la sintesi degli estrogeni a partire dagli androgeni,
sono efficaci nel trattamento del tumore del seno. L’aminoglutetimide, che blocca la produzione di tutti gli steroidi, è
stata ampiamente rimpiazzata dagli inibitori dell’aromatasi.
Antiandrogeni
Gli antagonisti degli androgeni, flutamide, ciproterone e bicalutamide, possono essere utilizzati da soli o in combinazione con altri farmaci per il trattamento dei tumori della
prostata. Sono usati anche per controllare l’aumento della secrezione di testosterone (flare) che si verifica nei pazienti
trattati con gli analoghi della gonadorelina (si veda sopra).
Inibitori della sintesi degli ormoni surrenalici
Diversi agenti che inibiscono la sintesi degli ormoni surrenalici
hanno effetti sul tumore del seno in postmenopausa. I farmaci
usati, in questo caso, sono il trilostano e l’aminoglutetimide
(oggi raramente usata), che inibiscono le fasi iniziali della sintesi degli ormoni sessuali. Quando si utilizzano questi farmaci,
è necessario instaurare una terapia corticosteroidea sostitutiva.
Anticorpi Monoclonali
Gli anticorpi monoclonali sono immunoglobuline, di un solo
tipo molecolare,4 prodotte da colture cellulari di ibridoma, che
Al contrario degli anticorpi “policlonali” prodotti dall’organismo in risposta
ad antigeni estranei, che contengono una miscela complessa (e variabile) di
specie molecolari.
4
Farmaci antitumorali
reagiscono con specifiche proteine bersaglio espresse dalle
cellule tumorali. Alcuni sono “umanizzati”, ossia sono ibridi o
“chimere” di anticorpi umani con la struttura portante di origine murina5 (quindi sono meno immunogenici; per maggiori
dettagli si veda il Capitolo 59). In alcuni casi, il legame dell’anticorpo alla molecola bersaglio attiva la risposta immunitaria dell’ospite e la cellula tumorale viene uccisa dalla lisi
mediata dal complemento oppure dalle cellule T killer (si veda
il Capitolo 6). Altri anticorpi monoclonali, invece, legano e
inattivano i recettori per i fattori di crescita sulle cellule tumorali, inibendo le vie di sopravvivenza e attivando l’apoptosi (si
veda la Figura 5.5).
Gli anticorpi monoclonali sono stati introdotti relativamente di recente nell’armamentario farmacologico antitumorale. A
differenza della maggior parte dei farmaci citotossici sopra
descritti, gli anticorpi monoclonali offrono opzioni terapeutiche
più mirate senza provocare molti degli effetti collaterali della
chemioterapia convenzionale. Nella maggior parte dei casi
questo vantaggio viene meno, perché spesso gli anticorpi
monoclonali vengono somministrati in combinazione con
farmaci più tradizionali. Attualmente, nella pratica clinica
vengono utilizzati diversi anticorpi monoclonali, ma il loro
costo elevato rappresenta un problema significativo.
Rituximab
Il rituximab è un anticorpo monoclonale approvato (in combinazione con altri agenti chemioterapici) per il trattamento di
alcuni tipi di linfoma. Lisa i linfociti B, legandosi alla proteina
CD-20 costituente dei canali del calcio e attivando il complemento. Inoltre, sensibilizza le cellule resistenti (si veda oltre)
agli altri farmaci chemioterapici. Somministrato in combinazione con la chemioterapia standard è efficace nel 40-50% dei
casi.
Viene somministrato tramite infusione e la sua emivita plasmatica è di circa 3 giorni alla prima somministrazione, poi
aumenta a ogni successiva somministrazione fino ad arrivare
a 8 giorni alla quarta somministrazione.
Gli effetti indesiderati comprendono ipotensione, brividi e
febbre durante l’infusione e, successivamente, reazioni di
ipersensibilità. Si può avere una reazione da rilascio di citochine che può risultare letale. Il farmaco può, inoltre, peggiorare eventuali disturbi cardiovascolari.
L’alemtuzumab è un altro anticorpo monoclonale che lisa
i linfociti B ed è utilizzato per il trattamento della leucemia
linfatica cronica resistente. Può causare una reazione da rilascio
di citochine simile a quella del rituximab.
Trastuzumab
Il trastuzumab (Herceptin) è un anticorpo monoclonale murino
umanizzato che lega il recettore per il fattore di crescita epidermico umano 2, chiamato HER2, membro di un’ampia famiglia di recettori con attività tirosin-chinasica (si veda la
Figura 55.1).
Oltre a indurre una risposta immunitaria nell’ospite, sembra
che il trastuzumab induca gli inibitori del ciclo cellulare p21
e p27 (si veda la Figura 5.2). Nel 25% circa dei pazienti con
tumore del seno, le cellule tumorali esprimono elevati livelli
La nomenclatura può creare confusione: per convenzione, nel nome del
farmaco, il suffisso “-mab” indica un “anticorpo monoclonale”; “-momab” un
anticorpo murino; “-ximab” un anticorpo chimerico; “-zumab” un anticorpo
umanizzato e “-umab” un anticorpo umano.
5
55
di questo recettore e il tumore prolifera rapidamente. I risultati degli studi clinici mostrano che il trastuzumab, somministrato con i chemioterapici standard, ha portato al 79% il tasso
di sopravvivenza a 1 anno nei pazienti mai trattati precedentemente e con questa forma aggressiva di tumore della mammella. Questo anticorpo spesso viene somministrato insieme a un
taxano, come il docetaxel.
Due composti correlati dal punto di vista del meccanismo di
azione sono il panitumumab e il cetuximab, che si legano ai
recettori di EGF (la cui espressione è elevata in un’alta percentuale di tumori). Sono utilizzati per il trattamento del cancro
del colon-retto e di solito vengono somministrati in combinazione con altri agenti.
Gli effetti indesiderati sono simili a quelli del rituximab, ma
in aggiunta si osservano frequentemente eruzioni cutanee.
Bevacizumab
Anche il bevacizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato,
viene utilizzato per il trattamento del cancro del colon-retto,
ma potrebbe essere efficace anche nel trattamento di altri tipi
di cancro. Questo anticorpo neutralizza VEGF prevenendo
quindi l’angiogenesi, che è fondamentale per la sopravvivenza
del tumore. Viene somministrato per infusione endovenosa e
generalmente in combinazione con altri agenti. Viene somministrato anche tramite iniezione intraoculare per ritardare la
progressione della degenerazione maculare senile (DMS), una
causa comune di cecità associata all’aumento di vascolarizzazione retinica.
Inibitori Delle PROTEINE CHINASI
Imatinib
Accolto come una vera innovazione nel campo della terapia
mirata verso le cellule tumorali (targeted therapy), l’imatinib
(Glivec) è una piccola molecola con attività inibitoria della
trasduzione del segnale delle chinasi. Inibisce non solo una
chinasi citoplasmatica oncogena (la chinasi Bcr/Abl; si vedano le Figure 55.1 e 55.8), considerata un fattore essenziale
nella patogenesi della leucemia mieloide cronica, ma anche i
recettori di PDGF (PDGFR) e dello stem cell factor (kit)
(recettori tirosin-chinasici; si veda la Figura 55.1). Ha migliorato enormemente la prognosi dei pazienti affetti da leucemia mieloide cronica, fino ad allora infausta, ed è inoltre
utilizzato per il trattamento di alcuni tumori gastrointestinali
stromali (GIST) non operabili.
L’imatinib viene somministrato per via orale. Ha un’emivita lunga, di circa 18 ore, e viene metabolizzato principalmente
nel fegato, dove per circa il 75% è convertito in un metabolita
ugualmente attivo. L’81% del farmaco metabolizzato è escreto
nelle feci.
Gli effetti indesiderati includono sintomi gastrointestinali
(dolori, diarrea, nausea), edema, affaticamento, cefalea e,
qualche volta, eruzioni cutanee. La resistenza all’imatinib,
dovuta alla mutazione dei geni della chinasi, è un problema
crescente. Alcune mutazioni possono determinare anche resistenza crociata ad altri inibitori delle chinasi.
Altri farmaci con un meccanismo di azione simile che inibiscono la chinasi Bcr/Abl sono il dasatinib e il nilotinib,
mentre l’erlotinib ha come bersaglio le chinasi del recettore
di EGF e il sunitinib inibisce le chinasi dei recettori di VEGF
(VEGFR) e quelle di PDGFR e kit. Il sorafenib inibisce le
chinasi di VEGFR, di PDGFR e la chinasi citoplasmatica Raf. 693
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
Figura 55.8 Meccanismo di azione degli anticorpi monoclonali antitumorali e degli inibitori delle proteine chinasi. Molti tumori
presentano un’elevata espressione di recettori per i fattori di crescita come il recettore di EGF (EGFR), HER2 o VEGFR.
Gli anticorpi monoclonali terapeutici sono in grado di prevenire questo processo interagendo direttamente con il recettore stesso
(per esempio, il trastuzumab e il cetuximab) o con il ligando (per esempio, il bevacizumab). In alternativa, per ridurre lo stimolo
alla proliferazione cellulare, si può inibire la cascata di trasduzione del segnale a valle. I recettori tirosin-chinasici, così come alcune
chinasi oncogeniche quale la chinasi Bcr/Abl, sono validi bersagli.
Attualmente sono in fase di sviluppo diversi inibitori delle
chinasi e ci si aspetta che nell’immediato futuro apportino un
contributo importante alla terapia antitumorale.
Farmaci antitumorali: anticorpi monoclonali
e inibitori delle proteine chinasi
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Molti tumori sono caratterizzati da un’elevata espressione
di recettori per fattori di crescita, che a loro volta stimolano
la proliferazione cellulare e la crescita tumorale.
Questi recettori possono essere inibiti attraverso:
j gli anticorpi monoclonali, che si legano al dominio
extracellulare di EGF (per esempio, panitumumab)
e al recettore oncogenico HER2 (per esempio,
trastuzumab) oppure che neutralizzano i fattori
di crescita stessi (per esempio, VEGF; bevacizumab)
j gli inibitori delle proteine chinasi, che prevengono
la trasduzione del segnale a valle attivata dai fattori
di crescita inibendo chinasi oncogeniche specifiche
(per esempio, imatinib; la chinasi Bcr/Abl) oppure inibendo
recettori tirosin-chinasici specifici (per esempio,
il recettore EGF; erlotinib) o diverse chinasi associate
a recettori (per esempio, sorafenib).
Alcuni anticorpi monoclonali agiscono direttamente
sulle proteine di superficie dei linfociti causandone
la lisi (per esempio, rituximab) e prevenendone quindi
la proliferazione.
Miscellanea Di Farmaci
Crisantaspasi ▼ La crisantaspasi è una preparazione dell’enzima asparaginasi, somministrata per via intramuscolare o endovenosa. Converte l’asparagina in
acido aspartico e ammoniaca ed è attiva contro le cellule tumorali, come
quelle della leucemia linfoblastica acuta, che hanno perso la capacità di
sintetizzare asparagina e, quindi, ne richiedono un apporto dall’esterno.
Dato che la maggior parte delle cellule normali è capace di sintetizzare
l’asparagina, questo farmaco possiede una certa selettività e ha un basso
effetto inibitorio sul midollo osseo, sulla mucosa del tratto gastrointestinale e sui follicoli piliferi. Può causare nausea e vomito, depressione del
sistema nervoso centrale, reazioni anafilattiche e danni epatici.
Idrossicarbamide ▼ L’idrossicarbamide (idrossiurea) è un analogo dell’urea che inibisce la
ribonucleotide reduttasi, interferendo con la conversione dei ribonucleotidi a deossiribonucleotidi. Viene utilizzata principalmente per il trattamento della policitemia rubra vera (una patologia mieloproliferativa della linea
eritrocitaria) e, in passato, della leucemia mieloide cronica. Nel Capitolo
25 viene descritto il suo utilizzo (a dosi più basse) per il trattamento dell’anemia falciforme. L’idrossicarbamide presenta i comuni effetti collaterali, con una significativa depressione midollare.
Bortezomib ▼ Il bortezomib è un tripeptide contenente boro che inibisce la funzione
del proteasoma. Per vari motivi, le cellule in rapida divisione sono più
sensibili al bortezomib rispetto alle cellule normali, rendendolo quindi un
farmaco antitumorale efficace. In genere viene utilizzato per il trattamento del mieloma (un tumore maligno del midollo osseo).
Farmaci antitumorali
Talidomide ▼ Gli studi sul noto effetto teratogeno della talidomide hanno dimostrato
che questo farmaco ha molteplici effetti sulla trascrizione genica, sull’angiogenesi e sulla funzione del proteasoma ed è quindi oggetto di studi clinici che mirano a valutarne l’efficacia nella terapia antitumorale. Di fatto,
la talidomide si è rivelata efficace nel trattamento del mieloma, per il quale
oggi viene ampiamente utilizzata. Il principale effetto avverso della talidomide, a parte la teratogenesi (irrilevante nel trattamento del mieloma), è la
neuropatia periferica, che porta a debolezza cronica e perdita dell’attività
sensoriale. Aumenta, inoltre, l’incidenza di trombosi e ictus.
Si pensa che la lenalidomide, un derivato della talidomide, abbia minori effetti avversi ma, diversamente dalla talidomide, essa può causare
depressione del midollo osseo e neutropenia.
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Aumento dell’inattivazione (per esempio, citarabina e mercaptopurina).
Aumento della concentrazione dell’enzima bersaglio (metotressato).
Diminuzione della richiesta di substrato (crisantaspasi).
Aumento nell’utilizzo di vie metaboliche alternative (antimetaboliti).
Riparazione rapida dei danni indotti dal farmaco (agenti alchilanti).
Alterata attività del bersaglio, per esempio, topoisomerasi
II modificata (doxorubicina).
Mutazioni in geni diversi, che danno origine a molecole
bersaglio resistenti. Per esempio, mutazioni del gene p53 ed
elevata espressione di membri della famiglia del gene Bcl-2
(diversi farmaci citotossici).
Modificatori delle risposte biologiche ▼ Gli agenti che aumentano la risposta dell’ospite sono definiti modificatori delle risposte biologiche. Alcuni, per esempio l’interferone-a (e il
suo derivato pegilato), sono utilizzati per il trattamento di alcuni tumori
solidi e dei linfomi, e l’aldesleukin (interleuchina-2 ricombinante) è utilizzata in alcuni tumori renali. La tretinoina (una forma di vitamina A) è
un induttore potente della differenziazione delle cellule leucemiche ed è
utilizzata, in associazione a vari chemioterapici, per indurre remissione
nella leucemia acuta promielocitica.
RESISTENZA AI FARMACI ANTITUMORALI
La resistenza manifestata dalle cellule neoplastiche nei confronti dei farmaci citotossici può essere primaria (si presenta
quando il farmaco viene somministrato per la prima volta) o
acquisita (si sviluppa durante il trattamento farmacologico).
La resistenza acquisita può essere dovuta a un adattamento
delle cellule tumorali o a mutazioni; si ha, così, la generazione
di cellule meno sensibili o addirittura resistenti al farmaco e
che, quindi, hanno un vantaggio selettivo sulle cellule sensibili. Di seguito vengono riportati esempi di alcuni meccanismi
di resistenza. Per un approfondimento aggiornato su questo
argomento si veda Mimeault et al. (2008).
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Riduzione dell’accumulo di farmaci citotossici nelle cellule,
come risultato di un’aumentata espressione, sulla superficie
cellulare, di proteine per il trasporto energia-dipendente del
farmaco. Queste ultime sono responsabili della resistenza
multifarmacologica a molti farmaci antitumorali anche
strutturalmente diversi tra di loro (per esempio, doxorubicina, vinblastina e dactinomicina; si veda Gottesman et al.,
2002). Un membro importante di questo gruppo è la glicoproteina-P (P-gp/MDR1; si veda il Capitolo 8). Il ruolo fisiologico di questa proteina sembra essere la protezione
delle cellule contro le tossine ambientali. Funziona come un
“aspirapolvere” idrofobico che capta le sostanze chimiche,
come le molecole di farmaco, appena queste sono entrate
nella membrana cellulare, e le espelle. Sono in fase di studio
agenti non citotossici che sembrano essere in grado di
abrogare la resistenza multifarmacologica e potrebbero essere utilizzati in aggiunta al trattamento.
Diminuzione della quantità di farmaco captata dalla cellula (come nel caso del metotressato).
Insufficiente attivazione del farmaco. Alcuni farmaci richiedono un’attivazione metabolica per svolgere la loro attività
antitumorale. Se ciò non avviene, questi farmaci potrebbero
non essere più efficaci. Alcuni esempi sono la conversione del
flurouracile in FDUMP, la fosforilazione della citarabina e la
conversione della mercaptopurina in falso nucleotide.
Schemi Di Trattamento
Il trattamento con combinazioni di farmaci antitumorali diversi
aumenta la citotossicità sulle cellule tumorali, senza incrementare necessariamente la tossicità sistemica. Per esempio, il metotressato, che è tossico principalmente sul midollo osseo, può essere
utilizzato con la vincristina, che invece è fondamentalmente
neurotossica. I pochi farmaci con bassa mielotossicità, come il
cisplatino e la bleomicina, sono ottimi candidati per le terapie
combinate. Il trattamento con combinazioni di farmaci, inoltre,
riduce la possibilità che si sviluppi resistenza verso i singoli
composti. I farmaci spesso sono somministrati ad alte dosi, a
cicli con intervalli di 2-3 settimane, piuttosto che a basse dosi in
modo continuativo, per permettere al midollo osseo di rigenerarsi durante le sospensioni del trattamento. Inoltre, è stato osservato che la stessa dose totale di un farmaco è molto più efficace
quando viene data in un’unica o al massimo due somministrazioni piuttosto che divisa in piccole dosi multiple.
Effetti farmacologici sul ciclo cellulare ▼ Le cellule in continua replicazione costituiscono la “frazione in crescita” del tumore. Alcuni farmaci antitumorali agiscono su determinate fasi
del ciclo cellulare, come mostrato di seguito, e in teoria questo potrebbe
essere utile per selezionare singoli farmaci o combinazioni di farmaci per
uso clinico. Tuttavia, non tutti sono d’accordo sul fatto che il trattamento
basato su questi principi sia migliore dell’utilizzo di schemi di terapia
puramente empirici.
j Agenti fase-specifici. Molti farmaci citotossici agiscono in fasi differenti
del ciclo cellulare. Per esempio, gli alcaloidi della vinca agiscono sulla
mitosi, mentre la citarabina, l’idrossicarbamide, il fluorouracile, il metotressato e la mercaptopurina agiscono sulla fase S. Alcuni di questi composti agiscono anche sulla fase G1 e possono, dunque, ritardare l’ingresso
della cellula nella fase S, fase in cui risulta più sensibile al farmaco.
j Agenti ciclo-specifici. Agiscono su tutte le fasi del ciclo cellulare, ma
non hanno molti effetti sulle cellule quiescenti (per esempio, agenti
alchilanti, dactinomicina, doxorubicina e cisplatino).
j Agenti non ciclo-specifici. Agiscono su tutte le cellule, sia proliferanti
sia quiescenti (per esempio, bleomicina e nitrosuree).
CONTROLLO DELL’EMESI
E DELLA MIELODEPRESSIONE
Emesi
La nausea e il vomito indotti da molti farmaci antitumorali
costituiscono un deterrente intrinseco alla compliance del
paziente (si veda anche il Capitolo 29). Questo problema è di
particolare rilevanza per il cisplatino, anche se in realtà 695
55
Parte V
FARMACI PER IL TRATTAMENTO DI INFEZIONI, TUMORI E MALATTIE IMMUNOLOGICHE
c­ omplica la terapia con molti altri composti, come gli agenti
alchilanti. Gli antagonisti dei recettori della 5-idrossitriptamina (5-HT3), come l’ondansetron o il granisetron (si vedano i
Capitoli 15 e 29), sono efficaci contro il vomito indotto dai
farmaci citotossici e hanno rivoluzionato la chemioterapia con
il cisplatino. Tra gli altri farmaci antiemetici disponibili, la
metoclopramide, somministrata per via endovenosa ad alte
dosi, si è rivelata utile e spesso viene data in combinazione con
il desametasone (si veda il Capitolo 32) o il lorazepam (si veda
il Capitolo 43), che mitigano ulteriormente gli effetti indesiderati della chemioterapia. La metoclopramide causa effetti extrapiramidali in bambini e adulti, che invece non si osservano se si
utilizza la difenidramina (si veda il Capitolo 26).
Mielodepressione
La mielodepressione è un limite per l’utilizzo di molti farmaci
antitumorali. Alcuni protocolli, per superare questo problema,
prevedono il prelievo di una parte di midollo osseo del paziente prima del trattamento, la rimozione da esso delle cellule
tumorali (usando anticorpi monoclonali specifici; si veda oltre)
e il reimpianto alla fine della terapia citotossica. Attualmente,
è usato di frequente un protocollo che prevede la somministrazione di molgramostim, seguita dalla raccolta di cellule
staminali dal sangue e dalla loro espansione in vitro grazie
all’utilizzo di ulteriori fattori di crescita emopoietici (si veda
il Capitolo 25). L’utilizzo di questi fattori di crescita dopo la
reintegrazione del midollo ha avuto successo in alcuni casi.
Un’ulteriore possibilità è rappresentata dall’introduzione, nel
midollo estratto dal paziente, di geni mutati che conferiscano
resistenza multifarmacologica, in modo che, una volta reimpiantate, le cellule del midollo (ma non quelle tumorali) risultino resistenti all’azione citotossica dei farmaci antitumorali.
Sviluppi Futuri
Come il lettore avrà ormai compreso, l’approccio attuale alla
chemioterapia antitumorale è costituito dalla somministrazione
di una miscellanea composita di farmaci e di tecniche, tutte
sviluppate per colpire selettivamente le cellule tumorali. Sono
stati ottenuti progressi terapeutici reali, sebbene il cancro come
malattia (in realtà molte malattie diverse con esito simile) non
sia stato sconfitto e rimanga una sfida enorme da affrontare per
le future generazioni di ricercatori. In questa area terapeutica,
probabilmente più che in ogni altra, il dibattito sul rischiobeneficio del trattamento e la qualità della vita del paziente ha
un ruolo centrale e rimane una questione di grande interesse.
Questi delicati argomenti sono stati affrontati in Duric e Stockler (2001) e Klastersky e Paesmans (2001).
La ricerca di forme meno tossiche di terapia è fondamentale nella chemioterapia antitumorale ed esistono molti farmaci
nuovi o nuove combinazioni terapeutiche che sono in via di
sviluppo o in fase di sperimentazione clinica (si veda, per
esempio, Kurtz et al., 2003). Quella che segue è una selezione
di nuovi e diversi approcci al trattamento dei tumori che potrebbero dare i loro frutti nel prossimo decennio.
Angiogenesi e inibitori delle metalloproteasi
Le cellule tumorali producono metalloproteasi e fattori angiogenici che facilitano la crescita del tumore, l’invasione dei
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tessuti sani e la formazione delle metastasi. I meccanismi
coinvolti potrebbero rappresentare un valido bersaglio farmacologico. Esistono diversi farmaci che hanno come bersaglio
questo processo (per esempio, il bevacizumab) ed è probabile
che in futuro vi siano ulteriori sviluppi in questa area (si vedano Griffioen e Molema, 2000; Thijssen et al., 2007).
Inibitori delle ciclo-ossigenasi
Esistono evidenze epidemiologiche e sperimentali molto rilevanti sul fatto che l’uso cronico di inibitori delle ciclo-ossigenasi (COX) (si veda il Capitolo 26) protegga dall’insorgenza
del tumore del tratto gastrointestinale o di altre sedi. L’isoforma COX-2 è altamente espressa nell’85% circa dei tumori e i
prostanoidi che ne derivano possono attivare vie del segnale
che proteggono la cellula dall’apoptosi. Il celecoxib, un inibitore della COX-2, riduce l’incidenza dei tumori del seno e dei
tumori gastrointestinali nei modelli animali sperimentali e
causa la regressione di tumori preesistenti. Attualmente questo
composto è in fase di sperimentazione clinica nell’uomo come
inibitore del tumore del colon di tipo familiare. In generale, la
COX-2 è considerata un bersaglio potenzialmente importante
per lo sviluppo di nuovi farmaci antitumorali, nonostante,
paradossalmente, alcuni sostengano che il meccanismo di
azione non sia correlato all’inibizione della COX. La letteratura è scoraggiante e spesso controversa; per commenti recenti si veda Karamouzis e Papavassiliou (2004).
Oligonucleotidi antisenso
Molti esperti considerano gli approcci genetici una speranza per
il futuro. Gli oligonucleotidi antisenso (si veda il Capitolo 59)
sono sequenze sintetiche di DNA a singolo filamento, complementari a specifiche regioni codificanti di mRNA, che possono inibire l’espressione genica. Un farmaco antisenso,
l’augmerosen (o oblimersen), inibisce il fattore antiapoptotico
Bcl-2. I primi studi clinici hanno dimostrato che sensibilizza il
melanoma maligno ai farmaci antitumorali classici.
Terapia genica
L’introduzione di geni “ingegnerizzati”, oligonucleotidi antisenso o siRNA tramite la terapia genica (si veda il Capitolo
59) offre, in linea di principio, molti più vantaggi rispetto agli
approcci convenzionali in termini di tossicità selettiva verso le
cellule tumorali. Molti problemi tecnici, riguardanti il trasporto dei geni all’interno delle cellule bersaglio (come p53 o
il DNA antisenso dei fattori di crescita), devono ancora essere
risolti. Ci sono già stati approcci clinici sperimentali, alcuni
dei quali hanno avuto un successo solo modesto (si veda Wolf
e Dwayne Jenkins, 2002 per un esempio di studi clinici sul
cancro delle ovaie), ma purtroppo i progressi in questo campo
si sono rivelati estremamente lenti.
Superamento della resistenza multifarmacologica
Molti farmaci non citotossici (come il verapamil), che inibiscono la glicoproteina-P, possono abrogare la resistenza multifarmacologica. Sono in fase di studio altri farmaci che hanno
la stessa azione. Inoltre, l’uso di anticorpi, immunotossine,
oligonucleotidi antisenso (si veda sopra) o composti incapsulati nei liposomi può risultare utile per eliminare le cellule
tumorali multiresistenti (si veda Gottesman e Pastan, 1993).
È noto che la telomerasi è importante per la vitalità delle
cellule tumorali. Per una rassegna sulle diverse strategie per il
controllo dell’attività telomerasica si veda Keith et al. (2004).