UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Anno accademico 2016/2017
Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale
Insegnamento di Storia romana A
Handout n. 11
H. CITTADINANZA E PARENTELA
1. Digesto di Giustiniano 38.10.10.7
Tra i Romani i parenti avevano un nome specifico fino al padre del quadrisavolo (tritavus). Parenti
più lontani non hanno un nome specifico ma sono chiamati antenati (maiores).
2. Modestino, in Digesto di Giustiniano 38.10.4.1
Per colui che eccede il settimo grado, non importa di quanto, la natura (natura) non rende possibile
l’esistenza di una parentela (cognatio).
3. Svetonio, Vita di Claudio 26
[Claudio] fu conquistato da Agrippina, figlia di suo fratello Germanico, che lo sedusse usando
pretestuosamente il ius osculi consentito dal legame di parentela. Allora istigò alcuni affinché
proponessero nella succesiva seduta del Senato di costringerlo a sposarla, come se ciò fosse
importantissimo per la ragion di Stato e di dare a tutti licenza di contrarre matrimoni di tal genere,
fino a quel momento ritenuti incestuosi (incesta).
4. Gaio, Istituzioni 1.78-80
Chi nasce da una cittadina romana e da uno straniero <…> è straniero […]. Se un cittadino romano
abbia preso in moglie una straniera con cui non ha conubium, da quel rapporto <il figlio> nasca
straniero.
5. Ulpiano, Titoli dal corpus di Ulpiano 5.1
Si ha matrimonio legittimo (iustum) se tra coloro che contraggono le nozze ci sia conubium, il
maschio sia pubere e la femmina potens, e consentano entrambi, se giuridicamente autonomi (sui
iuris), o anche i loro padri, se essi siano in potestà.
6. Gaio, Istituzioni 1.109-113
Mentre sono soliti essere in potestà (in potestate) sia i maschi che le femmine, in mano (in manu)
vengono solo le femmine. Un tempo venivano in manu in tre modi: per uso (usus), per pane di farro
(confarreatio), per compera (coemptio).
Per uso veniva in mano colei che rimaneva moglie per un anno ininterrotto: poiché infatti veniva
usocapita come per annuo possesso, passava alla famiglia del marito e otteneva il luogo di figlia.
Perciò dalla legge delle XII tavole fu stabilito che, se una donna non volesse in tal modo venire in
manu del marito, ogni anno si allontanasse per tre notti (trinoctio), interrompendo così l’uso anno
per anno. Ma tutto questo diritto in parte è stato tolto di mezzo da delle leggi, in parte cancellato
dalla desuetudine.
Per pane di farro vengono in manu mediante un tipo di sacrificio che si fa a Giove Farreo nel quale
si impiega un pane di farro, onde si dice ancora confarreatio. Molte cose inoltre, con precise e
solenni parole, presenti dieci testimoni, si fanno ed avvengono per ordinare questo istituto che
1
anche ai giorni nostri si pratica in quanto i Flamini maggiori, cioè quelli di Giove, Marte e Quirino,
e così i re dei sacrifici, non si scelgono che se nati confarreati; ed essi non possono ricevere il
sacerdozio senza confarreatio.
Per compera vengono in mano mediante mancipazione, cioè per una sorta di fittizia vendita; invero,
con l’impiego di non meno di cinque testimoni cittadini puberi e di un libripende colui, nella cui
mano viene, acquisisce (emit) la donna.
7. Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili 2.9.2
[307 a.C.] I censori M. Valerio Massimo e C. Giunio Bubulco Bruto […] esclusero dal senato L.
Annio per aver ripudiato la moglie, che egli aveva sposato ancora vergine, senza aver consultato i
suoi amici e parenti. Questa era considerata una colpa molto grave […]: infatti con quel
comportamento Annio violava oltraggiosamente (iniuriose) i sacri legami matrimoniali (coniugalia
sacra). Fu dunque giustamente che i censori lo dichiararono indegno di sedere in senato.
8. Gaio, Istituzioni 1.55
Sono in nostra potestà (potestas) i nostri figli procreati in nozze legittime. Il che è diritto proprio dei
cittadini romani: infatti non ci sono quasi altri uomini che abbiano sui loro figli un potere quale noi
abbiamo.
9. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane 2.26.4-5
Il legislatore dei Romani diede, per così dire, ogni potere al padre sul figlio, anche per tutta la vita,
sia che ritenesse di scacciarlo, sia di batterlo, sia di tenerlo vincolato ai lavori dei campi, sia di
ucciderlo, anche se per avventura era già impegnato nella vita pubblica e anche se ricopriva cariche
supreme, e anche se ara stimato per il suo zelo verso il popolo.
10. Ulpiano, in Digesto di Giustiniano 1.6.4
Infatti, tra i cittadini romani alcuni sono padri di famiglia, altri figli di famiglia […]. Padri di
famiglia coloro che sono soggetti alla potestas di se stessi […], figli e figlie di famiglia coloro che
sono in potestà altrui. Infatti colui che nasce da me e da mia moglie è in mia potestà; allo stesso
modo colui che nasce da mio figlio e da sua moglie, cioè mio nipote e mia nipote, sono ugualmente
in mia potestà e così il pronipote e la pronipote e di seguito tutti gli altri.
11. Aulo Gellio, Notti attiche 2.2.9
Nei luoghi pubblici, nelle funzioni e negli atti ufficiali i diritti del padre, posti a confronto con
l’autorità del figlio che è magistrato, debbono subire una pausa ed eclissarsi un poco; ma quando,
fuori dagli affari pubblici, in casa e nella vita familiare ci si siede, si passeggia, ci si mette a tavola,
sempre che si tratti di un pranzo di famiglia, allora cessano fra padre, privato cittadino, e figlio,
magistrato, le distinzioni ufficiali, e riprendono valore quelle innate e naturali.
12. Aulo Gellio, Notti attiche 2.2.13
Furono poi nominati consoli [213 a.C.] Tiberio Sempronio Gracco per la seconda volta, e Quinto
Fabio Massimo, figlio di colui che era stato console nell’anno precedente. Un giorno il padre,
proconsole, che era a cavallo, incontrò il figlio console e non volle mettere piede a terra, essendo egli
padre; poiché i littori conoscevano la perfetta armonia che regnava fra i due, non osarono ordinargli
di smontare. Quando il padre gli fu vicino, il console disse: «E allora?»; il littore che era di servizio
capì subito di che si trattava e ordinò al proconsole Massimo di smontare. Il padre obbedì e si
felicitò col figlio di aver sostenuto la dignità di un potere (imperium) che gli proveniva dal popolo.
13. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane 8.79.2
2
Quel Bruto autore della cacciata dei re aveva condannato al supplizio dei malfattori e aveva fatto
decapitare con le scuri entrambi i suoi figli, perché erano apparsi colpevoli di complotto per il
ritorno dei re. In epoca successiva [340 a.C.] Manlio [Torquato], che aveva portato a termine la
guerra celtica, decorò con corone al valore il figlio che si era distinto in combattimento per il suo
coraggio, ma al tempo stesso lo accusò di disobbedienza perché non era rimasto nel baluardo dove
era stato schierato, ma ne era uscito per combattere, contro gli ordini del comandante, e di
conseguenza lo fece mettere a morte come disertore.
I. ATTEGGIAMENTI SOCIO-CULTURALI NELLA FAMIGLIA ROMANA
1. Seneca, La provvidenza 2.5
Non vedi quanto è diversa la permissività dei padri da quella delle madri? I padri ordinano ai figli
d’alzarsi presto e di affrontare i loro impegni, non li lasciano riposare nemmeno in giorno di festa,
spremono loro il sudore e, talvolta, le lacrime; le madri invece se li coccolano in seno, li vogliono
tenere sotto la loro ombra, non li vogliono mai vedere tristi, piangenti, affaticati”.
2. Scolii a Persio, Satire 1.8
Gli zii paterni (patrui) erano severi con i figli dei loro fratelli.
3. Cicerone, In difesa di Celio 11.25
[Lucio Erennio] ha parlato a lungo del lusso, della corruzione, dei vizi dei giovani, di morale. E lui,
così bonario nella vita di tutti i giorni […], proprio in questa causa si è comportato come il più
arcigno dei patrui, come un censore, come un maestro. Ha maltrattato Marco Celio come mai un
padre ha fatto con il figlio.
4. Svetonio, Vita di Claudio 9.3
Quando poi venne scoperta la congiura di Lepido e Getulico, mandato in Germania assieme agli
altri ambasciatori a congratularsi coll’imperatore per lo scampato pericolo, [Claudio] corse il
pericolo di perdere la vita. Caio infatti s’indignò moltissimo, perché gli avevano mandato proprio
suo zio paterno (patruus), come se fosse un bambino da sorvegliare. E non mancò nemmeno chi
riferì che, in quella occasione, fu buttato nel fiume così vestito com’era arrivato.
5. Catullo, Carmi 78
Gallo ha un paio di fratelli: l’uno ha una moglie molto piacente, l’altro ha un piacente figlio.
Gallo è un uomo di garbo (bellus): unisce una coppia di amanti in modo che una garbata donna
vada a letto con un garbato giovane.
Gallo è uno stolto: non si avvede di essere un marito, lui che come patruus insegna a un nipote a
cornificare un altro patruus.
6. Plutarco, L’amore fraterno 21
Bisogna mostrarsi affettuosi verso i figli del proprio fratello come se fossero nostri, ma con ancor
più benevolenza e dolcezza, in modo che, qualora commettano gli errori tipici della giovinezza, non
fuggano e non vadano a cacciarsi, per paura dei propri genitori, in compagnie pericolose, ma
abbiano un soccorso, un rifugio dove li si rimproveri blandamente e si interceda per loro.
7. Festo, Il siginificato delle parole p. 13 Lindsay
L’amita è la sorella di mio padre e dal momento che sta al terzo grado di parentela come una nonna
(avia), può aver ricevuto il suo nome da questo fatto […]. Oppure è detta amita dal fatto che è
amata da mio padre. Infatti di solito avviene che sono più i fratelli ad amare le sorelle, che le sorelle
i fratelli”.
3
8. Cicerone, Filippiche 8.1.1-2
[4 febbraio 43 a.C.] La mia mozione […] ha avuto la peggio […]. Ha vinto invece la mozione
dell’illustre senatore Lucio Cesare […]. Tuttavia, prima di esprimere il voto, ha invocato a sua scusa
la parentela con Antonio. […] Fu proprio Lucio Cesare che in un certo senso vi ha consigliato,
senatori, di non seguirlo nel suo voto, allorché vi ha dichiarato che anche lui, se non ci fosse stato
quel vincolo di parentela, avrebbe dato un parere diverso. […] Cesare era infatti l’avunculus. Siete
forse altrettanti avunculi voi, che vi siete schierati dalla sua parte?
9. Paolo-Festo, Il siginificato delle parole p. 121 Lindsay
Matertera: la sorella della madre, quasi una seconda madre (quasi mater altera) .
10. Corpus Inscriptionum Latinarum XI 5866
Il padre Perseo e la matertera Primigenia [posero] al dolcissimo figlio Perseo.
L. STATUTI DELLE COMUNITÀ IN ETÀ REPUBBLICANA
1. Aulo Gellio, Notti attiche 16.13.8-9
Gli obblighi di colonia [romana] sono diversi; esse non arrivano alla cittadinanza dall’esterno e non
posseggono radici proprie, ma sono per così dire rampollate dall’Urbe e posseggono non per
propria scelta le leggi e le istituzioni del popolo romano. La qual condizione, tuttavia, pur essendo
più esposta a controlli e meno libera, viene ritenuta preferibile e di maggior prestigio per la
grandezza e la maestà del popolo romano, del quale tali colonie sembrano essere quasi delle
modeste raffigurazioni e delle copie.
2. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane 6.95.2
[493 a.C.] Il testo del trattato era di questo tipo: «ci sia pace reciproca tra i Romani e le città latine,
finché il cielo e la terra abbiano la medesima posizione. Né essi combattano tra loro […], aiutino
con ogni mezzo chi di loro è coinvolto in guerra, entrambi abbiano parti uguali delle prede e del
bottino fatto a danno dei nemici comuni. Le sentenze sui contratti privati vengano pronunciate
entro dieci giorni, presso la popolazione in cui sia stato fatto il contratto. A questi patti non sia
lecito aggiungere o togliere alcunché».
3. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 8.14
[338 a.C.] Ogni città presentava problematiche diverse e solo discutendo ogni singolo caso si poteva
arrivare a prendere una decisione che tenesse conto con esattezza dei meriti di ciascuna. E quindi
seguirono una discussione caso per caso e le relative decisioni. Fu concessa la cittadinanza ai
Lanuvini […]. Gli Aricini, i Nomentani e i Pedani furono accolti nella cittadinanza alle stesse
condizioni dei Lanuvini. Ai Tusculani fu mantenuta la cittadinanza che già possedevano perché
l’accusa di ribellione ricadde sui pochi promotori e non fu interpretata come una decisione
pubblica. Gravi provvedimenti furono presi contro i Velletrani […] perché troppe volte si erano
ribellati: furono abbattute le mura della città e furono allontanati i membri del senato. […] Nei
terreni che erano appartenuti ai nobili velletrani furono mandati dei coloni […]. Ad Anzio furono
inviati dei nuovi coloni […]. [Gli Anziati] furono privati delle navi da guerra e fu loro interdetta la
navigazione per mare: fu quindi loro concessa la cittadinanza. I Tiburtini e i Prenestini dovettero
pagare con la confisca di una parte del loro territorio […]. Le altre città latine furono furono private
del diritto di matrimonio, di commercio (conubia commerciaque), di alleanze tra i diversi popoli. Ai
Campani (grazie ai loro cavalieri, perché non avevano voluto associarsi alla ribellione dei Latini), ai
4
Fondani e ai Formiani (perché il passaggio attraverso il loro territorio era sempre stato sicuro e
pacifico) fu data la civitas sine suffragio.
4. Ulpiano, Titoli dal corpus di Ulpiano 19.5
Il commercium è il diritto (ius) di comprare e vendere reciprocamente.
5. Gaio, Istituzioni 1.119
La mancipatio […] è una sorta di vendita immaginaria ed è anche un’istituzione peculiare dei
cittadini romani; e la cosa si svolge così: con l’impiego di non meno di cinque testimoni cittadini
romani puberi, e inoltre di un altro della stessa condizione che sorregga una bilancia di bronzo,
detto libripende, chi riceve tramite la mancipatio, tenendo un pezzo di bronzo, dice così: «Io
affermo che questo individuo è mio per diritto quiritario e da me sia egli preso per mezzo di questo
bronzo e della bilancia di bronzo»; quindi colpisce la bilancia col bronzo e dà il pezzo stesso quasi al
posto del prezzo a quello da cui riceve tramite la mancipatio.
6. Gaio, Istituzioni 1.120
In questo modo si mancipano gli schiavi e le persone libere, e anche gli animali che sono mancipi,
quali si ritengono i buoi, i cavalli, i muli, gli asini; e similmente i fondi sia urbani sia rustici che
anch’essi siano mancipi, quali i fondi italici.
7. Gaio, Istituzioni 2.19
Le cose nec mancipi diventano altrui di pieno diritto con la semplice consegna (traditio).
8. Cicerone, I doveri 1.34.125
Dovere, poi, dello straniero, anche quando residente, è di badare soltanto ai suoi affari (suum
negotium agere).
9. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 34.56.5-6
[215 a.C.] Il console Minucio ordinò agli alleati e ai Latini, ai loro magistrati e ai loro delegati, che
dovevano fornire soldati, di recarsi presso di lui in Campidoglio. Qui chiese quindicimila fanti e
cinquecento cavalieri.
10. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 8.16.9-14
[334 a.C.] Marco Fabio […] indusse il comandante ad assalire i nemici storditi dal vino e dai
banchetti; e gli Ausoni furono presi, assieme alla città […]. Si fece un ingente bottino (praeda) e,
posto un presidio a Cales, le legioni vennero ricondotte a Roma. Il console, per decreto del senato,
riportò il trionfo […]. Nei comizi […] furono poi eletti consoli Tito Veturio e Spurio Postumio.
Essi, benché restasse da finire la guerra coi Sidicini, tuttavia, per prevenire con la loro intercessione
il desiderio della plebe, presentarono la proposta per lo stanziamento di una colonia a Cales; e fatto
un decreto del senato perché vi si inviassero duemilacinquecento coloni, furono eletti triumviri per
lo stanziamento della colonia e la distribuzione delle terre (tres viri coloniae deducendae agroque
dividundo) Cesone Duilio, Tito Quinzio, Marco Fabio.
11. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 40.34.2
Nello stesso anno [181 a.C.] fu dedotta la colonia latina di Aquileia […]. Tremila fanti ricevettero
cinquanta iugeri a testa, i centurioni cento, i cavalieri centoquaranta.
12. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 39.3.4-6
5
[187 a.C.] Fu data udienza in senato ai delegati alleati di stirpe latina (socii Latini nominis)
convenuti in gran numero da tutto il Lazio. In seguito alle lagnanze di questi per il grande numero
dei loro cittadini che erano immigrati a Roma e vi erano stati censiti, fu dato al pretore Q. Terenzio
Colleone che li rintracciasse e, se i Latini dimostrassero che uno era stato censito (o lui direttamente
o il padre suo) nelle loro liste […], lo costringesse a tornare dove si risultava censiti. Per effetto di
tale richiesta dodicimila Latini ritornarono nelle loro città.
13. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 41.8.9
[177 a.C.] Impressionarono vivamente anche le rappresentanze alleati di stirpe latina, finalmente
introdotte in senato […]. Il nocciolo del malcontento era che molti dei loro concittadini, censiti a
Roma, a Roma si erano trasferiti; tollerando questo stato di cose in pochissimi lustri sarebbe
avvenuto che le città abbandonate e le campagne deserte non avrebbero potuto fornire più alcun
soldato. Sanniti e Peligni lamentavano il trasferimento […] di quattromila famiglie che avevano
lasciato le loro terre, e non per questo gli uni o gli altri in occasione dell’arruolamento (dilectus)
davano minor numero di soldati. E due tipi di frode si usavano in questo mutar di città da parte dei
singoli. La legge consentiva agli alleati di stirpe latina che lasciassero nella rispettiva patria prole
naturale di sesso maschile, di diventare cittadini latini. Ma a furia di abusarne alcuni recavano
danno agli alleati, gli altri al popolo romano: giacché per evitare di lasciare in patria prole maschile,
davano in mancipio i loro figli a un cittadino romano qualsiasi, a condizione che venissero poi
manomessi e divenissero cittadini della classe di liberti.
14. Strabone, Geografia 5.2.3
I Romani, a causa dei cattivi governanti che la città aveva all’epoca [353 a.C.], sembrano non aver
ricordato con sufficiente gratitudine il favore che a loro avevano fatto i Ceretani perché, pur avendo
concesso loro il diritto di cittadinanza, non li inserirono tra i cittadini. Così erano soliti fare i
Romani, che relegavano tutti coloro i quali non condividevano tutti gli stessi loro diritti nelle
“Tavole dei Ceretani”.
15. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 9.43.24
[306 a.C.] Agli Anagnini e agli altri che avevano portato le armi contro i Romani fu concessa la
cittadinanza senza suffragio (civitas sine suffragio); furono tolti loro i diritti di adunanza e di
connubio e fu fatto divieto di avere dei magistrati, tranne che per la direzione dei riti sacri.
16. Aulo Gellio, Notti attiche 16.13.6
Municipes sono i cittadini romani dei municipia, che usano proprie leggi, godono di particolari
diritti, e sono uniti al popolo romano soltanto da un dovere onorario (munus honorarium), e da ciò
abbiano tratto il nome, non assoggettati ad alcuna costrizione o legge del popolo romano, all’infuori
di quelle che i propri cittadini abbiano ufficialmente concordate”.
17. Cicerone, Le leggi 2.2.5
Io penso che tanto Catone come tutti i municipali abbiano due patrie, una naturale, l’altra giuridica;
e come Catone, nato a Tuscolo, fu assunto nella cittadinanza romana, così, essendo Tuscolano di
nascita e romano per diritto di cittadinanza, ebbe l’una come patria naturale, l’altra di diritto […].
Ma è necessario amare specialmente quella in grazia della quale il nome dello Stato (res publica) è
comune a tutti i ciuttadini; per la quale morire e alla quale dedicarci interamente.
18. Cicerone, In difesa del poeta Archia 7
In forza della legge di M. Plauzio Silvano e di C. Papirio Carbone venne concessa la cittadinanza
romana «A tutti gli iscritti nei registri anagrafici delle città federate, a patto che, alla data della legge
6
avessero già domicilio in Italia e che entro sessanta giorni si fossero fatti registrare presso il pretore
di Roma».
19. Aulo Gellio, Notti attiche 15.4
Si dice che Ventidio Basso fosse di origine picena e di un umile paese, e che la madre sua venisse
fatta prigioniera da Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno, durante la guerra sociale, nella
quale furono sottomessi gli Ascolani; durante il trionfo di Pompeo Strabone, anche quel fanciullo
con gli altri, tra le braccia della madre, precedeva il cocchio del generale. Successivamente, divenuto
adolescente, si guadagnava a fatica il pane procurando i muli e i veicoli che venivano forniti dallo
Stato ai magistrati destinati alle province. In tale occupazione fu notato da Cesare, e con lui partì per
le Gallie. Poi, dato che in quella provincia si era dimostrato sufficientemente attivo, e in seguito
[…] aveva eseguito numerosi incarichi con prontezza ed energia giunse non solo a conquistare la
benevolenza di Cesare, ma attraverso questa a raggiungere le più alte posizioni: divenne presto
tribuno della plebe, fu poi nominato pretore […]. Successivamente […] fu nominato pontefice e
raggiunse il consolato. Tale ascesa il popolo romano, il quale si ricordava che Ventidio Basso era
vissuto curando i muli, sopportò tanto malamente che per le vie di Roma si potevano leggere i
seguenti versi: «Accorrete, o voi tutti, àuguri, aruspici!/ Portento inusitato ora è accaduto:/ egli
strigliava i muli: ora è fatto console».
20. Pomponio, in Digesto di Giustiniano 1.2.2.32
Conquistata poi la Sardegna, in seguito la Sicilia e parimenti la Spagna, poi la provincia Narbonense
furono creati tanti pretori quante province vennero in nostro potere, parte dei quali
amministravano la questioni urbane, parte quelle concernenti i provinciali.
21. Cicerone, Seconda orazione contro Verre 3.12-14
Ecco, signori giudici, la differenza esistente tra la Sicilia e le altre province per quel che riguarda le
imposte fondiarie: le altre, come per esempio le Spagne e la maggior parte delle popolazioni
puniche, devono pagare un tributo fisso detto stipendium – una specie di ricompensa per la nostra
vittoria, e di punizione per la guerra fattaci – oppure, come l’Asia […] un canone fisso, la cui
riscossione viene messa all’asta dai censori. Le città siciliane, invece, le abbiamo accolte come
amiche sotto la nostra protezione, lasciando loro le stesse leggi che avevano prima e permettendo
che avessero col popolo romano gli stessi rapporti di sudditanza che già avevano in precedenza con i
loro connazionali. Pochissime città siciliane sono state assoggettate con la forza delle armi; ma per
quanto il loro territorio fosse perciò diventato proprietà del popolo romano, fu tuttavia ad esse
restituito ed è data in appalto ai censori l’esazione di un canone fisso gravante su di esso. Le città
federate sono due, Messina e Taormina, per le quali di solito non c’è appalto per la riscossione delle
decime […]. Tutto il resto del territorio delle città siciliane è soggetto alla decima, come lo era
d’altronde già prima della dominzaione romana per volontà, legalmente sancita, degli stessi siciliani.
I. COMUNITÀ E INDIVIDUI NELLE PROVINCE IMPERIALI
1. Tacito, Annali 4.36
I Ciziceni furono ufficialmente accusati di aver trascurato le cerimonie in onore del Divo Augusto, e
di avere inoltre commesso atti di violenza contro i cittadini Romani. Perdettero così l’indipendenza
(libertas), che avevano ottenuto durante la guerra mitridatica quando, circondati da lui, avevano
respintoil re, più con il proprio tenace coraggio che per merito della difesa di Lucullo.
2. Plinio il Giovane, Lettere 10.93
7
Traiano a Plinio: se gli abitanti di Amiso [sul Ponto], […] in virtù delle leggi con le quali si
governano, a norma delle disposizioni che regolano l’alleanza (foedus), sono autorizzati ad avere
delle associazioni di mutua assistenza, non possiamo impedire che le abbiano […]. Però in tutte le
altre città, che sono vincolate al nostro potere, iniziative analoghe vanno vietate.
3. Giuseppe Flavio, La guerra giudaica 2.16.4 §383, 386
La terza parte del mondo abitato [i.e. l’Africa], […] che è delimitata dall’oceano Atlantico e dalle
colonne d’Ercole e che alleva fino al Mar Rosso gli innumerevoli Etiopi, i Romani l’assoggettarono
interamente, e a parte i raccolti annui, con cui nutrono per otto mesi la plebe di Roma, essi pagano
tributi di ogni genere e sono pronti a versare quanto serve ai bisogni dell’impero. […] [L’Egitto] in
un solo mese fornisce ai Romani un tributo superiore a quello che voi versate in un anno e, oltre ai
denari, grano per quattro mesi di distribuzione alla plebe.
4. Corpus Inscriptionum Latinarum XVI.11
I) Noi abbiamo preso conoscenza della richiesta dello Zagrense Giuliano che unita alla tua lettera, e
sebbene non sia abitudine concedere la cittadinanza romana a dei membri di queste tribù (gentes),
se non quando il merito dei servizi resi attiri il favore imperiale, tuttavia, dal momento che tu
affermi che quest’uomo è uno dei notabili del suo popolo e che egli ha dato prova diella sua assoluta
fedeltà manifestando la sua sottomissione ai nostri interessi, considerando d’altra parte che noi
possiamo pensare che non ci siano presso gli Zagrensi molte famiglie capaci di vantare servizi pari ai
suoi, ancorché sia nostro desiderio che moltissimi siano incitati a seguire l’esempio di Giuliano
dall’onore che accordiamo a questa casa, noi non esitiamo a concedere la cittadinanza romana,
senza che essi debbano lasciare il diritto locale, a lui stesso e anche a Ziddina, sua sposa, e ai loro
figli Giuliano, Massimo,Massimino, Diogeniano. […]
III) Sotto il consolato dell’imperatore Cesare Lucio Aurelio Commodo Augusto e di M. Plauzio
Quintilio […]. Faggura sposa di Giuliano, capo della tribù degli Zagrensi, di ventidue anni, Giuliana
di otto anni, Massima di quattro, Giuliano di tre anni, Diogeniano di due anni, figli del suddetto
Giuliano. Su istanza di Aurelio Giuliano, capo della tribù degli Zagrensi, trasmessa sotto forma di
richiesta […] noi concediamo loro la cittadinanza romana, essendo salvaguardato il diritto locale,
senza che siano diminuiti loro tributi e tasse dovuti al popolo romano e al fisco imperiale.
5. Seneca, Apocolocyntosis 3.3
[Claudio] aveva deciso di vedere in toga tutti i Greci, i Galli, gli Ispanici e i Britanni.
6. Paolo, in Digesto 50.15.8.7
Il Divo Vespasiano […] eliminò il tributum capitis ai coloni di Cesarea: ma è noto che il Divo Tito
rese anche il loro suolo immune dalle tasse.
7. Plinio il Vecchio, Storia naturale 5.1.20
Viene poi […] il capo di Apollo, con la celeberrima città di Cesarea, chiamata prima Iol, residenza
reale di Giuba, cui fu concesso dal divo Claudio lo statuto di colonia; per ordine dello stesso Claudio
a Città Nuova si verificò una deduzione di veterani e a Tipasa fu dato il diritto latino.
8. Plinio il Giovane, Lettere 10.47 e 48
- Gaio Plinio, all’imperatore Traiano: signore (dominus), mentre ad Apamea mi disponevo ad
esaminare i crediti, i proventi e le spese pubblici, mi fu risposto che erano senz’altro tutti desiderosi
che io verificassi i conti della colonia, ma che tuttavia nessuno dei proconsoli li aveva mai verificati,
in quanto essi avevano la concessione speciale (privilegium), che s’innestava su di una antichissima
tradizione (mos) di amministrare la loro città a loro arbitrio.
8
- Traiano a Plinio: [gli abitanti di Apamea] sappiano fin d’ora che la verifica alla quale procederai
avviene per mio espresso volere (mea voluntate), senza ledere le concessioni speciali di cui sono in
possesso.
9. Ulpiano, in Digesto 1.5.17
Coloro che vivono nel mondo romano sono stati fatti cittadini romani da una costituzione
dell’imperatore Antonino.
10. Papiro Giessen 40.1
L’imperatore Cesare Marco Aurelio Severo Antonino Augusto proclama: ora invero […] è
necessario piuttosto cercare, tralasciando le accuse e le calunnie, come io possa rendere grazie agli
dèi immortali […]. Perciò credo di poter soddisfare la loro maestà il più solennemente e
scrupolosamente possibile se riporterò alle cerimonie religiose in onore degli dèi quegli stranieri che
sono entrati tra i miei uomini. Pertanto io dono a tutti gli stranieri che sono nel mondo (oikoumène)
il diritto di cittadinanza dei Romani, senza danno per i diritti delle loro comunità.
11. Cassio Dione, Storia romana 77 (78).9.4-65
Le tasse, sia quelle nuove da lui istituite, sia la tassa del 10% che egli creò al posto della tassa del 5%
sulla manomissione degli schiavi e su tutti i lasciti testamentari […]: questa fu la ragione per la quale
[Caracalla] rese cittadini romani tutti coloro che abitavano nel suo impero. A parole egli rendeva
loro un onore, ma il suo vero scopo era quello di aumentare in questo modo le sue rendite, poiché
coloro che non avevano la cittadinanza romana non erano soggetti al pagamento della maggior
parte di queste tasse.
9