UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA Anno accademico 2015/2016 Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale Insegnamento di Storia romana A Handout n. 12 G. ATTEGGIAMENTI SOCIO-CULTURALI NELLA FAMIGLIA ROMANA 1. Seneca, La provvidenza 2.5 Non vedi quanto è diversa la permissività dei padri da quella delle madri? I padri ordinano ai figli d’alzarsi presto e di affrontare i loro impegni, non li lasciano riposare nemmeno in giorno di festa, spremono loro il sudore e, talvolta, le lacrime; le madri invece se li coccolano in seno, li vogliono tenere sotto la loro ombra, non li vogliono mai vedere tristi, piangenti, affaticati”. 2. Scolii a Persio, Satire 1.8 Gli zii paterni (patrui) erano severi con i figli dei loro fratelli. 3. Cicerone, In difesa di Celio 11.25 [Lucio Erennio] ha parlato a lungo del lusso, della corruzione, dei vizi dei giovani, di morale. E lui, così bonario nella vita di tutti i giorni […], proprio in questa causa si è comportato come il più arcigno dei patrui, come un censore, come un maestro. Ha maltrattato Marco Celio come mai un padre ha fatto con il figlio. 4. Svetonio, Vita di Claudio 9.3 Quando poi venne scoperta la congiura di Lepido e Getulico, mandato in Germania assieme agli altri ambasciatori a congratularsi coll’imperatore per lo scampato pericolo, [Claudio] corse il pericolo di perdere la vita. Caio infatti s’indignò moltissimo, perché gli avevano mandato proprio suo zio paterno (patruus), come se fosse un bambino da sorvegliare. E non mancò nemmeno chi riferì che, in quella occasione, fu buttato nel fiume così vestito com’era arrivato. 5. Catullo, Carmi 78 Gallo ha un paio di fratelli: l’uno ha una moglie molto piacente, l’altro ha un piacente figlio. Gallo è un uomo di garbo (bellus): unisce una coppia di amanti in modo che una garbata donna vada a letto con un garbato giovane. Gallo è uno stolto: non si avvede di essere un marito, lui che come patruus insegna a un nipote a cornificare un altro patruus. 6. Plutarco, L’amore fraterno 21 Bisogna mostrarsi affettuosi verso i figli del proprio fratello come se fossero nostri, ma con ancor più benevolenza e dolcezza, in modo che, qualora commettano gli errori tipici della giovinezza, non fuggano e non vadano a cacciarsi, per paura dei propri genitori, in compagnie pericolose, ma abbiano un soccorso, un rifugio dove li si rimproveri blandamente e si interceda per loro. 7. Festo, Il siginificato delle parole p. 13 Lindsay L’amita è la sorella di mio padre e dal momento che sta al terzo grado di parentela come una nonna (avia), può aver ricevuto il suo nome da questo fatto […]. Oppure è detta amita dal fatto che è amata da mio padre. Infatti di solito avviene che sono più i fratelli ad amare le sorelle, che le sorelle i fratelli”. 8. Cicerone, Filippiche 8.1.1-2 1 [4 febbraio 43 a.C.] La mia mozione […] ha avuto la peggio […]. Ha vinto invece la mozione dell’illustre senatore Lucio Cesare […]. Tuttavia, prima di esprimere il voto, ha invocato a sua scusa la parentela con Antonio. […] Fu proprio Lucio Cesare che in un certo senso vi ha consigliato, senatori, di non seguirlo nel suo voto, allorché vi ha dichiarato che anche lui, se non ci fosse stato quel vincolo di parentela, avrebbe dato un parere diverso. […] Cesare era infatti l’avunculus. Siete forse altrettanti avunculi voi, che vi siete schierati dalla sua parte? 9. Paolo-Festo, Il siginificato delle parole p. 121 Lindsay Matertera: la sorella della madre, quasi una seconda madre (quasi mater altera) . 10. Corpus Inscriptionum Latinarum XI 5866 Il padre Perseo e la matertera Primigenia [posero] al dolcissimo figlio Perseo. H. STATUTI DELLE COMUNITÀ 1. Aulo Gellio, Notti attiche 16.13.8-9 Gli obblighi di colonia [romana] sono diversi; esse non arrivano alla cittadinanza dall’esterno e non posseggono radici proprie, ma sono per così dire rampollate dall’Urbe e posseggono non per propria scelta le leggi e le istituzioni del popolo romano. La qual condizione, tuttavia, pur essendo più esposta a controlli e meno libera, viene ritenuta preferibile e di maggior prestigio per la grandezza e la maestà del popolo romano, del quale tali colonie sembrano essere quasi delle modeste raffigurazioni e delle copie. 2. Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane 6.95.2 Il testo del trattato era di questo tipo: «ci sia pace reciproca tra i Romani e le città latine, finché il cielo e la terra abbiano la medesima posizione. Né essi combattano tra loro […], aiutino con ogni mezzo chi di loro è coinvolto in guerra, entrambi abbiano parti uguali delle prede e del bottino fatto a danno dei nemici comuni. Le sentenze sui contratti privati vengano pronunciate entro dieci giorni, presso la popolazione in cui sia stato fatto il contratto. A questi patti non sia lecito aggiungere o togliere alcunché […]». 3. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 8.14 [338 a.C.] Ogni città presentava problematiche diverse e solo discutendo ogni singolo caso si poteva arrivare a prendere una decisione che tenesse conto con esattezza dei meriti di ciascuna. E quindi seguirono una discussione caso per caso e le relative decisioni. Fu concessa la cittadinanza ai Lanuvini […]. Gli Aricini, i Nomentani e i Pedani furono accolti nella cittadinanza alle stesse condizioni dei Lanuvini. Ai Tusculani fu mantenuta la cittadinanza che già possedevano perché l’accusa di ribellione ricadde sui pochi promotori e non fu interpretata come una decisione pubblica. Gravi provvedimenti furono presi contro i Velletrani […] perché troppe volte si erano ribellati: furono abbattute le mura della città e furono allontanati i membri del senato. […] Nei terreni che erano appartenuti ai nobili velletrani furono mandati dei coloni […]. Ad Anzio furono inviati dei nuovi coloni […]. [Gli Anziati] furono privati delle navi da guerra e fu loro interdetta la navigazione per mare: fu quindi loro concessa la cittadinanza. I Tiburtini e i Prenestini dovettero pagare con la confisca di una parte del loro territorio […]. Le altre città latine furono furono private del diritto di matrimonio, di commercio (conubia commerciaque), di alleanze tra i diversi popoli. Ai Campani (grazie ai loro cavalieri, perché non avevano voluto associarsi alla ribellione dei Latini), ai Fondani e ai Formiani (perché il passaggio attraverso il loro territorio era sempre stato sicuro e pacifico) fu data la civitas sine suffragio. 4. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 34.56.5-6 [215 a.C.] Il console Minucio ordinò agli alleati e ai Latini, ai loro magistrati e ai loro delegati, che dovevano fornire soldati, di recarsi presso di lui in Campidoglio. Qui chiese quindicimila fanti e cinquecento cavalieri. 2 5. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 8.16.9-14 [334 a.C.] Marco Fabio […] indusse il comandante ad assalire i nemici storditi dal vino e dai banchetti; e gli Ausoni furono presi, assieme alla città […]. Si fece un ingente bottino (praeda) e, posto un presidio a Cales, le legioni vennero ricondotte a Roma. Il console, per decreto del senato, riportò il trionfo […]. Nei comizi […] furono poi eletti consoli Tito Veturio e Spurio Postumio. Essi, benché restasse da finire la guerra coi Sidicini, tuttavia, per prevenire con la loro intercessione il desiderio della plebe, presentarono la proposta per lo stanziamento di una colonia a Cales; e fatto un decreto del senato perché vi si inviassero duemilacinquecento coloni, furono eletti triumviri per lo stanziamento della colonia e la distribuzione delle terre (tres viri coloniae deducendae agroque dividundo) Cesone Duilio, Tito Quinzio, Marco Fabio. 6. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 40.34.2 Nello stesso anno [181 a.C.] fu dedotta la colonia latina di Aquileia […]. Tremila fanti ricevettero cinquanta iugeri a testa, i centurioni cento, i cavalieri centoquaranta”. 7. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 39.3.4-6 [187 a.C.] Fu data udienza in senato ai delegati alleati di stirpe latina (socii Latini nominis) convenuti in gran numero da tutto il Lazio. In seguito alle lagnanze di questi per il grande numero dei loro cittadini che erano immigrati a Roma e vi erano stati censiti, fu dato al pretore Q. Terenzio Colleone che li rintracciasse e, se i Latini dimostrassero che uno era stato censito (o lui direttamente o il padre suo) nelle loro liste […], lo costringesse a tornare dove si risultava censiti. Per effetto di tale richiesta dodicimila Latini ritornarono nelle loro città. 8. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 41.8.9 [177 a.C.] Impressionarono vivamente anche le rappresentanze alleati di stirpe latina, finalmente introdotte in senato […]. Il nocciolo del malcontento era che molti dei loro concittadini, censiti a Roma, a Roma si erano trasferiti; tollerando questo stato di cose in pochissimi lustri sarebbe avvenuto che le città abbandonate e le campagne deserte non avrebbero potuto fornire più alcun soldato. Sanniti e Peligni lamentavano il trasferimento […] di quattromila famiglie che avevano lasciato le loro terre, e non per questo gli uni o gli altri in occasione dell’arruolamento (dilectus) davano minor numero di soldati. E due tipi di frode si usavano in questo mutar di città da parte dei singoli. La legge consentiva agli alleati di stirpe latina che lasciassero nella rispettiva patria prole naturale di sesso maschile, di diventare cittadini latini. Ma a furia di abusarne alcuni recavano danno agli alleati, gli altri al popolo romano: giacché per evitare di lasciare in patria prole maschile, davano in mancipio i loro figli a un cittadino romano qualsiasi, a condizione che venissero poi manomessi e divenissero cittadini della classe di liberti”. 9. Strabone, Geografia 5.2.3 I Romani, a causa dei cattivi governanti che la città aveva all’epoca [353 a.C.], sembrano non aver ricordato con sufficiente gratitudine il favore che a loro avevano fatto i Ceretani perché, pur avendo concesso loro il diritto di cittadinanza, non li inserirono tra i cittadini. Così erano soliti fare i Romani, che relegavano tutti coloro i quali non condividevano tutti gli stessi loro diritti nelle “Tavole dei Ceretani”. 10. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione 9.43.24 [306 a.C.] Agli Anagnini e agli altri che avevano portato le armi contro i Romani fu concessa la cittadinanza senza suffragio (civitas sine suffragio); furono tolti loro i diritti di adunanza e di connubio e fu fatto divieto di avere dei magistrati, tranne che per la direzione dei riti sacri. 11. Aulo Gellio, Notti attiche 16.13.6 Municipes sono i cittadini romani dei municipia, che usano proprie leggi, godono di particolari diritti, e sono uniti al popolo romano soltanto da un dovere onorario (munus honorarium), e da ciò abbiano tratto 3 il nome, non assoggettati ad alcuna costrizione o legge del popolo romano, all’infuori di quelle che i propri cittadini abbiano ufficialmente concordate”. 12. Cicerone, Le leggi 2.2.5 Io penso che tanto Catone come tutti i municipali abbiano due patrie, una naturale, l’altra giuridica; e come Catone, nato a Tuscolo, fu assunto nella cittadinanza romana, così, essendo Tuscolano di nascita e romano per diritto di cittadinanza, ebbe l’una come patria naturale, l’altra di diritto […]. Ma è necessario amare specialmente quella in grazia della quale il nome dello Stato (res publica) è comune a tutti i ciuttadini; per la quale morire e alla quale dedicarci interamente. 13. Cicerone, In difesa del poeta Archia 7 In forza della legge di M. Plauzio Silvano e di C. Papirio Carbone venne concessa la cittadinanza romana «A tutti gli iscritti nei registri anagrafici delle città federate, a patto che, alla data della legge avessero già domicilio in Italia e che entro sessanta giorni si fossero fatti registrare presso il pretore di Roma». 14. Aulo Gellio, Notti attiche 15.4 Si dice che Ventidio Basso fosse di origine picena e di un umile paese, e che la madre sua venisse fatta prigioniera da Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno, durante la guerra sociale, nella quale furono sottomessi gli Ascolani; durante il trionfo di Pompeo Strabone, anche quel fanciullo con gli altri, tra le braccia della madre, precedeva il cocchio del generale. Successivamente, divenuto adolescente, si guadagnava a fatica il pane procurando i muli e i veicoli che venivano forniti dallo Stato ai magistrati destinati alle province. In tale occupazione fu notato da Cesare, e con lui partì per le Gallie. Poi, dato che in quella provincia si era dimostrato sufficientemente attivo, e in seguito […] aveva eseguito numerosi incarichi con prontezza ed energia giunse non solo a conquistare la benevolenza di Cesare, ma attraverso questa a raggiungere le più alte posizioni: divenne presto tribuno della plebe, fu poi nominato pretore […]. Successivamente […] fu nominato pontefice e raggiunse il consolato. Tale ascesa il popolo romano, il quale si ricordava che Ventidio Basso era vissuto curando i muli, sopportò tanto malamente che per le vie di Roma si potevano leggere i seguenti versi: «Accorrete, o voi tutti, àuguri, aruspici!/ Portento inusitato ora è accaduto:/ egli strigliava i muli: ora è fatto console». 15. Pomponio, in Digesto di Giustiniano 1.2.2.32 Conquistata poi la Sardegna, in seguito la Sicilia e parimenti la Spagna, poi la provincia Narbonense furono creati tanti pretori quante province vennero in nostro potere, parte dei quali amministravano la questioni urbane, parte quelle concernenti i provinciali. 16. Cicerone, Seconda orazione contro Verre 3.12-14 Ecco, signori giudici, la differenza esistente tra la Sicilia e le altre province per quel che riguarda le imposte fondiarie: le altre, come per esempio le Spagne e la maggior parte delle popolazioni puniche, devono pagare un tributo fisso detto stipendium – una specie di ricompensa per la nostra vittoria, e di punizione per la guerra fattaci – oppure, come l’Asia […] un canone fisso, la cui riscossione viene messa all’asta dai censori. Le città siciliane, invece, le abbiamo accolte come amiche sotto la nostra protezione, lasciando loro le stesse leggi che avevano prima e permettendo che avessero col popolo romano gli stessi rapporti di sudditanza che già avevano in precedenza con i loro connazionali. Pochissime città siciliane sono state assoggettate con la forza delle armi; ma per quanto il loro territorio fosse perciò diventato proprietà del popolo romano, fu tuttavia ad esse restituito ed è data in appalto ai censori l’esazione di un canone fisso gravante su di esso. Le città federate sono due, Messina e Taormina, per le quali di solito non c’è appalto per la riscossione delle decime […]. Tutto il resto del territorio delle città siciliane è soggetto alla decima, come lo era d’altronde già prima della dominzaione romana per volontà, legalmente sancita, degli stessi siciliani. 4