Le guerre Persiane 1)Cronologia. La Persia si avvicina Siamo nel VI secolo avanti Cristo. I Medi, popolazione dagli enormi possedimenti stanziati tra le attuali Armenia, Iran e Anatolia, lascia il posto ad un nuovo grande impero: l'impero Persiano. I Persiani, popolazione indoeuropea proveniente dall'Anshan (l'odierno Fars, in Iran) diventano così la potenza militare e politica numero uno del panorama mediorientale. La casa regnante persiana, gli Alcmenidi, non perde tempo e, già dal 547 a.C., Ciro II detto “il grande” attacca la Lidia, sconfigge il re Creso (graziandolo sul rogo, secondo un famosissimo mito narrato da Erodoto) e invade la capitale Sardi. La Persia guadagna il tanto agognato sbocco sul mare. La Cilicia si arrende spontaneamente al Gran Re. Cade Babilonia. Cadono la Mesopotamia, la Siria, la Palestina. Muore Ciro e le redini dell'Impero passano al figlio Cambise: è la volta dell'annessione di Cipro e dell'Egitto. Nel 533 tocca a Dario I non far rimpiangere il nonno: il giovane re conquista Tracia, Nubia, Libia e le isole dell'Egeo e procede ad una vera e propria regolamentazione politico-sociale dell'Impero. In meno di cinquant'anni i Persiani hanno riunito, con la forza militare e la sapienza dei propri regnanti, un territorio enorme ed antichissimo: tre milioni di chilometri quadrati che corrono tra le coste occidentali dell'Asia Minore al Caucaso, dal confine con l'India, alla valle del Nilo. Nessuna unità politica era stato fino ad allora tanto imponente. (cartina libro rosso pag127) La rivolta di Mileto Anche le poleis greche dell'Asia Minore sono ormai assoggettate al dominio persiano. La situazione è però in precario equilibrio: a contrasti economici e commerciali si unisce nell'animo dei Greci l'insofferenza verso ogni tipo di dominazione e privazione della libertà. Nessuna polis, libera, autarchica per definizione, può sottoportare di buon grado la dominazione di uno straniero. La perdita della democrazia, alti tributi da consegnare nelle mani di un barbaro: la miccia della rivolta si accende nel 499 a.C., a Mileto. Il tiranno della città, Aristagora, ha infatti appena partecipato ad una missione sull'isola di Nasso a fianco dei Persiani. L'assedio finisce in disastro e Aristagora porta alla disfatta i suoi uomini e l'esercito persiano suo alleato. Mentre aspetta la punizione del Gran Re, Aristarco decide di precedere l'ira del sovrano e passare al contrattacco: abbandona le vesti di tiranno e si mette a capo della rivolta delle Poleis greche. I governatori persiani vengono cacciati dalle città e le guarnigioni persiane sconfitte e messe in fuga. Ma nessuno può contrastare da solo la potenza Persiana. Aristagora lo sa bene e invoca l'aiuto della madrepatria: partono così messaggeri greci dall’Asia Minore, chiedendo l’intervento delle altre polis contro la Persia. Sparta però è impegnata contro la rivale Argo e Atene si è appena liberata dalla tirannia di Ippia e riesce ad inviare solo venti navi. Altre cinque navi vengono inviate dall'Eretria. Più di questo i Greci non possono e non vogliono fare. La spedizione punitiva persiana così non si fa attendere ed un forte contingente viene inviato via terra e via mare contro Mileto. Dopo una strenua resistenza la polis cade ed stesso Aristagora muore combattendo in Tracia. Le poleis dell’Asia Minore vengono così riconquistate ad una ad una. Il dominio persiano sull’Asia minore è di ristabilito. Ma un lampo attraversa a questo punto la mente dell'ambizioso Dario: perchè non chiudere la questione occidentale una volta per tutte? L'invasione di tutta la Grecia era alle porte. Prima Guerra Persiana Dario intende punire le due poleis dell’Attica che hanno inviato aiuti a Mileto. L’ingente numero di truppe inviate ci fa capire però come le vere mire del Gran Re fossero di conquistare e sottomettere la Grecia intera. La spedizione persiana è infatti composta da 20 000 uomini guidati da Artaferne (un nipote di Dario) e da un generale medo di nome Dati. La flotta penetra nelle Cicladi e sbarca in Eubea. Nel 490 la piccola Eretria viene spazzata via dalla potenza persiana: è così la volta di Atene. La flotta di Artaferne punta verso la pianura di Maratona, proprio davanti alle mura della città. Le truppe ateniese sono guidate dall’abile ed esperto Milziade che, in passato, si è già scontrato più volte con i Persiani e ne conosce bene pregi e difetti. L’esercito ateniese è composto da soli 7000 uomini: solo la piccola città di Platea ha risposto alle numersose richeste di aiuto, mandando mille uomini. Tutte le altre poleis si mostrano indifferenti alla minaccia di Dario. Anche Sparta invia un contingente che però, per rispettare le feste religiose in onore di Apollo e confermando la storica rivalità che la oppone ad Atene, giunge troppo tardi, quando lo scontro è già concluso. Maratona, il valore di Atene. Milziade sa bene che i Persiani sono combattenti temibili ma dalla tecnica superata: molti fanti con armature leggere e smisurate divisioni di arcieri a piedi. La grande prerogativa dell’esercito persiano era infatti rappresentata dall’incredibile destrezza dei propri tiratori. Atene al contrario, pratica lo “schieramento oplitico”, la tattica militare più evoluta ed efficente dell’epoca. Milziade decide così di affrontare i nemici in campo aperto, senza asserragliarsi dentro le mura della città, dove l’abilità degli arcieri persiani avrebbe potuto essere risolutiva. Schiera l’esercito in mossa davanti ai persiani e ordina un attacco frontale. Gli opliti percorrono uniti e compatti come un sol uomo le poche centinaia di metri che li dividono dai nemici. Si alza la polvere e le grida dei soldati greci sembrano bastare da sole ad allontanare le frecce dell’esercito di Artaferne. La schiera avanza e l’esercito persiano, stupito e terrorizzato, si fa travolgere senza opporre resistenza. Colpiti nel centro dello schieramento i Persiani si disuniscono e non riescono ad opporsi alla foga e alla tecnica dei miliziani ateniesi. Sul campo rimangono 6400 persiani ed appena 192 ateniesi: i Persiani superstiti si ritirano sulle navi e abbandonano terrorizzati le coste dell’Attica. Un prode messaggero ateniese percorre di corsa i 42 chilometri che separano la pianura della battaglia della città, portando la notizia della vittoria e morendo per lo sforzo. Egli rimarrà per sempre il simbolo mitico di un sentimento della patria unico nella storia. Atene ha sconfitto l’impero più potente del mondo, lo splendore e la gloria di questo gesto sono destinati a cambiare per sempre gli equilibri politici e sociali del tempo. E’ giunto il momento per Atene di prendere in mano le redini del destino di tutta la Grecia. Tra le due guerre L'enorme potere di cui Atene dispone dopo l'umiliazione inflitta all'esercito di Dario riaccende il dibattito politico all'interno della città. Alle idee ambiziose e progressiste di Temistocle si oppone il partito conservatore dei nobili, capeggiato da Aristide e Santippo. Temistocle propone di intraprendere una politica aggressiva ed espansionista, impegnando tutte le finanze dello stato nella costruzione di una grande flotta navale. Tramite l'uso delle agili triremi anche i più poveri avrebbero potuto combattere per la città come vogatori e guadagnarsi così i diritti civili e politici. All'epoca infatti solo chi era in grado di pagarsi l'armamento minimo poteva combattere per la polis ed essere considerato così cittadino a tutti gli effetti, I nobili che si oppongono a questa politica propongono invece di stringere accordi coi Persiani e di incentivare le attività economiche tradizionali (la grande agricoltura). La spunta Temistocle che in pochi anni riesce a far ostracizzare i suoi avversari e può così portare avanti la sua politica. Vengono scoperti nuovi filoni argentiferi nel Lauro che vengono impiegati nella costruzione di 180 triremi . Frattanto cominciano a circolare in città le voci di un'imminente seconda spedizione persiana: si racconta di un esercito enorme pronto a marciare verso la Grecia E in effetti il successore di Dario, Serse, non intende ripetere gli errori del padre. Il giovane Re ha intenzione di inviare in Grecia un esercitodi proporzioni mai viste: questa volta non si tratta di punire qualche città ribelle, l'obiettivo esplicito è la sottomissione completa di tutte le poleis dell'Ellade. La seconda guerra Persiana: la Grecia si unisce. Nel luglio del 480, a dieci anni dalla tremeda sconfitta di Maratona, Serse si pone alla guida del più imponente esercito mai schierato: Erodoto parla di 5 000 000 di uomini, 1200 navi da guerra, 3000 navi da trasporto. Aldilà delle evidenti esagerazioni dello storico greco (le ricostruzioni parlano di circa 200 000 uomini e 800 navi, ma sono cifre assolutamente arbitrarie) l'esercito di Serse rappresenta in pieno la dismisura dell'ambizione del Gran Re. Mantenendo fede al suo personaggio Serse decide di oltrepassare con tutti gli uomini lo stretto dei Dardanelli usando la propria enorme flotta per costruire due enormi ponti di barche (un'operazione che lascia a tutt'oggi esterrefatti). I Persiani entrano in Grecia, mentre l'enorme flotta spalleggia le truppe dall'interno. Le poleis greche però questa volta si rendono conto del pericolo ed uno storico vertice viene convocato sull'Istmo: i rappresentanti di 31 città firmano la pace e si uniscono contro il nemico comune. In uno storico giorno del 481 a.C. le città greche, da sempre in opposizione tra loro e animate da una storica rivalità, si uniscono per difendere la propria libertà e la propria autonomia. Si proclama una tregua generale per tutti i conflitti in corso. In segno di pacificazione vengono annullati gli esilii e fatti rientrare gli ostracizzati. I Greci sanno però che non tutti hanno aderito alla lega e, alla prima occasione, le città neutrali di Argo (nemica storica di Sparta) e Corcira si schiereranno con il nemico. Le operazione devono perciò essere il più possibile rapide e risolute. Il comando dell'esercito viene affidato agli efori spartani, nonostante Atene fornisse i 2/3 delle truppe: un piccolo compromesso per mantenere coesa la lega. Nella tenda degli strateghi gli Efori e Temistocle in persona discutono sulle strategie da applicare. L'esercio Persiano è, a parere di tutti, invincibile se affrontato in battaglie campali ma debole via mare. Un tale esercito, inoltre, ha bisogno di rifornimenti e spalleggiamento continui da parte delle navi di supporto: il colpire la flotta avrebbe scompaginato irrimediabilemente i piani del Gran Re. La battaglia delle Termopili. Alla fanteria greca è dunque attribuito il compito di rallentare l'avanzata dei Persiani, per permettere alle veloci triremi ateniesi di cogliere il momento propizio per l'attacco. Settemila fanti comandati dal prode spartano Leonida si schierano al passo delle Termopili, la gola di accesso alle pianure dell'Attica, pronti a scontrarsi con la furia dell'armata persiana. Duecentosettanta triremi ateniesi, intanto, si schierano presso l'Artemision, per evitare che Leonida venga attaccato su due fronti. L'esercito greco resiste tre giorni e tre notti agli attacchi dei Persiani, ma il cedimento dei soldati focesi e la superiorità dei nemici rende la battaglia un massacro senza speranza. Leonida allora prende con se i più fedeli dei suoi Spartiati, circa 300 uomini, e fa ritirare verso l'interno il resto delle truppe, perchè corrano ad Atene e facciano sgombrare la città. I trecento spartiati di Leonida affrontano così il martirio e cadono ad uno ad uno sotto i colpi dei Persiani. Ma il valore di Leonida e dei suoi uomini fa si che l'avanzata persiana sia ritardata quel tanto che basta perchè Atene non si faccia trovare impreparata. L'eroismo di Leonida ha appena cambiato per sempre il destino della Grecia e di tutto l'Occidente. La battaglia di Salamina. Atene viene sgombrata e la popolazione trasferita nella piccola isola di Salamina, i Persiani attraversano velocemente l'Attica ma trovano così la città completamente deserta. Serse ordina di appiccare le fiamme alla città: l'ultima dimostrazione della barbara tracotanza che costerà assai cara al Gran Re. Temistocle prende personalmente il comando della flotta e attira Serse e la sua di flotta di grandi navi da guerra nell'angusto braccio di mare che separa la costa attica dall'isola di Salamina. Il Gran Re cade nella trappola e, convinto della forza del suo esercito, si lancia nella baia. Le lente navi persiane cominciano però a ostacolarsi tra di loro e perdono progressivamente libertà di manovra. Le piccole ed agili triremi ateniesi lasciano a questo punto le postazioni ed accerchiano gli impotenti colonnelli persiani. La disfatta della flotta di Serse è totale e senza precedenti. La battaglia di Platea. Incombe l'inverno e Serse decide di abbandonare la direzione dell'esercito. Lascia le truppe in Tessaglia e invia il comandante Mardonio a tentare di cambiare le sorti del conflitto. Giunge la primavera e Mardonio marcia nuovamente verso l'Attica. Atene viene sgombrata una seconda volta e lo spartano Pausania guida l'ingente esercito di terra dei greci contro i persiani. Lo scontro avviene a Platea dove, ancora una volta, lo squilibrio delle forze in campo è notevole: i 70000 soldati greci rimanevano di molto inferiori alle truppe nemiche. Mardonio sferra l'attacco in un momento molto sfavorevole ai greci, ancora impegnati a sistemare le linee della difesa. Pausania però non si perde d'animo e riesce a tenere unite le fila del suo esercito: fa schierare le falangi oplitiche e passa al contrattacco. La tecnica greca sovrasta nuovamente l'ingenza delle truppe nemiche e i Persiani, perso il loro comandante, battono in ritirata. La battaglia di Micale. I Persiani si rendono conto a questo punto che l'unica strategia possibile era un frettoloso ritorno in patria: le città greche dell'Asia Minore a quel punto avrebbero potuto infatti tagliargli la ritirata e condurli al massacro. La flotta greca intanto costringe quel che rimane di quella persiana a fuggire precipitosamente verso l'Asia. I Persiani vengono però raggiunti presso Micale dove tirano le navi in secco e si rifugiano in un piccolo accampamento militare. In poco tempo i Greci rompono l'assedio e annientano le truppe persiane rimaste. La fine La tracotanza di Serse è stata punita, le poleis greche possono tornare alla loro libertà. Il momento più alto della cultura antica è così alle porte: dalla vittoria sui persiani nascerà la grande Atene di Pericle. Il V secolo passato alla storia per l'arte, la cultura, lo splendore. Ne nascerà il pensiero filosofico, la tragedia, la commedia, la grande poesia e lo splendore immortale della città simbolo della democratica. L'essenza stessa della cultura occidentale, che ancora oggi orgogliosamente ci affanniamo a proclamare, fu permessa dal sacrificio e dall'eroismo degli uomini di Leonida. Siamo tutti debitori dell'amore per la libertà e per la propria cultura di questi uomini. “Dei caduti alle Termopili gloriosa è la sorte, bello il destino, un altare la tomba: non lamenti, ricordo; il compianto è lode. Questo sepolcro non la ruggine, non il tempo che tutto doma intaccherà. Questo sacro recinto di eroi la gloria della Grecia ha scelto come abitatrice; ne dà testimonianza Leonida, re di Sparta, che di valore ha lasciato un grande ornamento e fama imperitura.” (Simonide, fr.5 Dielh) BIBLIOGRAFIA. (Andrea Giardina “ Vie della Storia”, Ghirshman “La civiltà persiana antica” Einaudi, torino (1972); M. Liverani “Antico Oriente. Storia società economia” Laterza, 1988; H.Bengtson “Greci e Persiani, Storia universale feltrinelli 1967, Beniamino Stumpo “Antichità e Medioevo”) 2)Schede Serse (486/465 a.C.). Figlio di Dario e diretto erede di Ciro il Grande, appena salito al trono decise di continuare la politica espansionistica della sua casata, organizzando la più grande spedizione militare dell’antichità. Le testimonianza che abbiamo sulla vita di Serse vengono dagli storiografi e tragediografi greci che, per ovvi motivi di patriottismo, accentuarono i lati “barbari” e negativi di questo sovrano. Serse però, aldilà di ogni partigianeria, rimane l’esempio concreto di quel “despota smisurato” tanto inviso alla cultura democratica greca: Eschilo dirà nella sua “I persiani”: “Zeus veglia e punisce la superbia, esige il conto, giudice severo”. Ed in effetti le testimonianze a noi giunte ci raccontano di un despota brutale e violento. Già nella sua prima campagna, in Egitto, Serse diede prova di fredda crudeltà, soffocando le rivolte scoppiate nel sangue e nella violenza e lasciandosi alle spalle una scia di morte e di odio. Non migliore trattamento riservò a Babilonia che, nonostante fosse una città santa, venne rasa al suolo insieme ai suoi templi, ai suoi santuari, ai suoi dei. L’elemento però più lampante che la storia ci tramanda sul più sfortunato dei Grandi Re è che egli non fu un abile stratega in campo militare. Il suo regno infatti è ricordato più che altro per la magnificenza dei palazzi e dei monumenti, per la smisurata sete di potere del sovrano e per la tracotanza e smisuratezza dei suoi costumi.(foto libro rosso pag.140). Gli errori compiuti da Serse nel tentativo di invasione dell’Ellade sono molteplici. In primo luogo l’ingenuità con cui cadde nella rete tesagli da Temistocle, correndo dietro a navi “civetta” senza pensare alla conformazione del territorio e a alle caratteristiche delle proprie navi. Ma più in generale appare nelle strategie dell’alcmeonide un senso di approssimazione preoccupante: l’esercito di terra era schierato per nazionalità e non per armamento, i viveri condotti dalle navi di supporto erano insufficienti (Serse contava di reperire il cibo per le truppe nelle terre via via conquistate, senza considerare la povertà del suolo greco), nell’esercito erano stati inclusi anche greci delle colone d’Asia, naturalmente riluttanti al combattere contro altri Greci. Un tratto lampante del carattere di Serse appare dopo la sconfitta di Salamina: umiliato e furente il Grande Re abbandonò la guerra dopo aver giustiziato l’incolpevole ammiraglio fenicio (i Fenici infatti abbandoneranno immediatamente gli scontri) e lasciò in mano a Mardonio un terzo delle truppe rimaste, nonostante il conflitto fosse tuttaltro che chiuso. Rientrato in Persia Serse sfogò la sua ira nella costruzione di monumenti ed edifici pubblici grandiosi, prima di essere assassinato in una congiura di palazzo. (bibl. Andrea Giardina “Antichità e Medioevo”) Ciro e Creso Il racconto di Erodoto della prima espansione dei Persiani in Medio Oriente si sofferma a lungo sulla conquista da parte di Ciro della città di Sardi. Il racconto comincia con la descrizione del fiorente regno di Creso, uno degli uomini più ricchi e ambiziosi del mondo. Orgoglioso ed arrogante, il re decise di invitare nel suo magnifico palazzo il saggio legislatore ateniese Solone, volendo dimostrare con l’arroganza e la trivialità tipica dei barbari (ricordiamo che Erodoto è greco!) di poter stupire chiunque con il suo denaro e le sue ricchezze. Creso ricevette quindi l’ospite e lo condusse, sala per sala, attraverso i frutti del suo enorme patrimonio. Solone però si mostrò completamente indifferente all’opulenza di quella reggia e Creso, furente, gli domandò chi fosse allora secondo lui l’uomo più felice del mondo. Il grande saggio rispose: “Tello ateniese”. Creso gli chiese basito chi fosse costui che egli riteneva addirittura più felice del re di Sardi in persona e Solone rispose “Un uomo semplice che ebbe figli belli e buoni e quel tanto che basta per condurre una vita serena, inoltre morì nel modo più bello: combattendo per la propria patria”. Creso, sconcertato, gli chiese allora chi fosse il secondo uomo più felice del mondo e Solone rispose “Sono parimenti Cleobi e Bitone, due giovani argivi che, per aver trasportato a braccia l’anziana madre al santuario di Era, ricevettero dagli dei il dono più bello: la morte.” Creso a questo punto esplose d’ira e chiese perchè lui, uomo tra i più ricchi del mondo, non fosse stato incluso nella lista. Solone rispose che nessuno si può dire felice finchè non sia giunto alla fine della sua vita: ogni giorno nella vita di un uomo è diverso dall’altro e nessuno dei mortali può sapere cosa porta la sera. Creso, senza badare alla risposta dell’anziano lo cacciò dal palazzo. Pochi anni dopo giunse la sera per Creso e Ciro conquistò il regno di Sardi, catturò il re e lo portò sul condannato a morte sul rogo. Mentre le fiamme stavano per dilaniarlo, Creso ricordò le parole di Solone, di cui urlò tre volte il nome. Ciro si incuriosì e domandò al re di raccontargli la storia dell’incontro avvenuto tra i due. Creso, in lacrime, raccontò di quanto sciocco fosse stato ad ignorare il messaggio dell'ateniese e di quanto crudelmente l'avesse ora compreso. Colpito dal messaggio morale della vicenda, Ciro decise di concedere la grazia a Creso, un uomo che, come lui, era in balia dello stesso destino e schiavo della stessa caducità. (Erodoto “Storie” Libro I)tratto da “Muthos kai logos” di Giovanni Ghiselli) Solone Solone fu il primo grande legislatore di Atene, colui che per primo aprì uno spiraglio di democrazia in una società antica. La saggezza ed il senso di metriotes (“l’equilibrio, la misura” elemento tipico della cultura greca) di Solone fu proverbiale, si racconta che egli, una volta concluso il suo lavoro di legislatore, fu chiamato insieme ai sette saggi al santuario di Apollo a Delfi, perchè incidesse sulla porta del santuario una frase che potesse essere simbolo e monito per tutti i pellegrini. Solone prese in mano lo stilo e si limitò ad incidere due semplici parole: “MEDEN AGAN” ovvero “nulla di troppo”, espressione diventata poi simbolo della mentalità greca, soprattutto in rapporto alla dismisura delle culture barbare (pensiamo a Serse). (tratto da “Muthos kai logos” di Giovanni Ghiselli) Erodoto Il grande storico delle Guerre Persiane viene definito da Cicerone nel “De Legibus (I,5)” come “pater historiae”, padre della storia, nonostante la sua tendenza al suo favoloso (“apud Herodotum sunt...innumerabiles fabulae”, nella sua storia ci sono molte favole). In effetti la critica di Cicerone è quella che sarà universalmente riconosciuta alla “proto-storia” erodotea: una logografia, una storia che, ricca di favole e di elementi fantastici, diventa esempio universale più che cronaca fedele. Erodoto nacque ad Alicarnasso, città dell'Asia Minore, nel 490 circa e, nella vita viaggiò moltissimo. Fu in Egitto, Fenicia, Mesopotamia, Scizia e, soprattutto, ad Atene dove si fermò per buona parte della sua vita. Nel 444 partecipò alla fondazione della colonia di Turii, nell'odierna Calabria. Erodoto fu un acceso sostenitore di Pericle e della sua politica ed un fedele seguace del culto di Febo. Molto interessante è l'intertestualità presente tra le sue “Storie” e le tragedie dell'amico Sofocle, basate sullo stesso sentimento di religiosità e su molti temi comuni. Erodoto muore nel 431 a.C., poco dopo l'inizio delle Guerre del Peloponneso. Le sue “Storie” vennero divise dai grammatica alessandrini in 9 libri, quante sono le muse. Il racconto parte dalle prime conquiste mediorientali di Ciro il grande per concludersi con la definitiva sconfitta di Mardonio e la fine degli scontri tra Greci e Persiani. (tratto da “Muthos kai logos” di Giovanni Ghiselli) Salamina La battaglia simbolo dell'astuzia greca in contrapposizione alla barbara tracotanza di Serse e dei Persiani è raccontata con grande pathos dal tragediografo Eschilo ne “”I persiani”. La tragedia fu rappresentata ad Atene 8 anni dopo la grande battaglia, causando emozione e trasporto al pubblico. Bisogna tener presente che all'epoca la distinzione tra storiografia e teatro non era così netta e ciò che veniva rappresentato durante le tragedie era comunemente considerato come verità. Leggiamo un estratto: La scena del dramma è a Susa, capitale del regno persiano, dove Atossa la madre di Serse prega sulla tomba del defunto Dario. Giunge un messaggero da Salamina che porta la notizia della disfatta dell'armata guidata da Serse. Regina: “Ma quale fu l'inizio dello scontro? Attaccarono i Greci, o fu mio figlio, fiducioso nel numero? Racconta” Messaggero: “Diede inizio al disasatro un genio vindice o un dio tristo, chissà di dove apparso. Un Greco, dall'esercito ateniese, si presentò a tuo figlio Serse, e disse che, giunta l'ombra nera della notte, i Greci, lungi da restare, avrebbero cercato scampo con la fuga furtiva , chi qua chi là balzando sulle navi*( *l'inganno qui raccontato rientrava nel piano di Temistocle e fu attuato tramite Sicinno, uno schiavo dello stratega). Il re come l'udì, senza capire nè la frode del greco nè l'invidia degli dei, fa un editto ai comandanti: schierare il grosso in tre file, e guardare gli sbocchi e i varchi sonanti del mare e circondare l'isola di Aiace* (* Salamina), appena il sole non ardesse più e fosse buio negli spazi dell'aria. La minaccia se il nemico trovasse un varco occulto era, per tutti, il taglio della testa. Parole troppo fiduciose: ignoto gli era il futuro che gli dei volevano. Quelli, disciplinati, preparavano la cena; il marinaio con lo stroppo* (* cappio per legare il remo), provava il remo al giro dello scalmo. Quando, caduto l'abbaglio del sole, venne la notte, i rematori andarono ciascuno alla sua nave, e così i militi; da schiera a schiera si danno la voce, navigano nell'ordine fissato, e per tutta la notte i comandanti fanno incrociare le forze navali. La notte muore, e di sortite occulte della flotta dei Greci non c'è traccia. Quando poi coi cavalli bianchi il giorno tutta invase la terra di splendore, un pio fragore suona, come un canto, da parte greca, e l'eco delle rupi alto lo ripercuote in uno squillo. Alla delusa attesa dei Persiani subentra la paura: quel peana* (* canto di battaglia greco dedicato ad Apollo) non era certo l'inno di chi fugge, ma di chi balza ardito nella lotta. Tutto ardeva la tromba col suo squillo. Ecco: un pulsare condorde di remi batte a comando la gran massa di acqua in un rimbombo. Eccoli tutti in vista. In ordine, guidava l'ala destra. Seguiva poi l'armata intera, e insieme era dato d'udire le parole gridate: “Figli degli Elleni, avanti, liberate la patria, liberate le donne, i figli, i templi aviti, i tumuli dei padri. Qui tutto per tutto è in gioco”. Da parte nostra un urlo, nella nostra lingua. Non c'era un attimo da perdere: ecco che nave picchia contro nave col rostro. Ad attaccare fu una nave greca, che spezza ad un vascello fenicio gli aplustri* (*ornamenti lignei della poppa). Poi chi qua chi là si volse. Da prima la marea persiana resse; ma quando fu ridotta in uno stretto, dove il soccorso mutuo era precluso (che anzi si cozzavano tra loro), frantumavano tutto l'apparato dei remi, mentre i Greci, torno torno, picchiavano abilmente e, per gli scafi capovolti, neppure si vedeva più il mare, colmo di frantumi e sangue. Rigurgito di morti sulle rive e i dossi, uno scomposto remigare di fuggiaschi, la rotta dell'armata. E con pezzi di remi e di rottami quelli davano colpi o li infilzavano come fossero tonni o una retata di pesci. L'acqua era tutta un lamento. Troncò lo scempio l'occhio della notte. Ma se facessi un racconto minuto di tutti i mali, non l'esaurirei in dieci giorni. Che in un giorno solo non morì mai tale caterva d'uomini.” (Eschilo “I persiani”, vv 350-432 trad di F.M. Pontani) Termopili Erodoto riserva parole splendide per gli eroi delle Termopili. Leonida e il suo esercito, infatti, avevano già difeso il passo dagli assalti dei numerosissimi persiani per 3 giorni e 3 notti quando la situazione ormai disperata fa si che il comandante decida di raccogliere a se i trecento Spartiati più fedeli e di far fuggire il resto delle truppe, perchè corressero ad avvertire Atene dell'incombente minaccia. Leonida e i suoi caddero ad uno ad uno, salvando però il destino di tutta la Grecia. E scrivendo i propri nomi nella storia: “Gli alleati dunque se ne andavano e obbedivano a Leonida, mentre solo i Tespiesi rimasero a fianco degli spartani e i tebani si arresero ai Persiani. Gli altri attaccarono i Persiani, facendo mostra di tutto il coraggio che avevano di fronte ai barbari, con assoluto disprezzo della vita e come forsennati. Ormai le aste della maggior parte di loro si erano già spezzate e con le spade facevano strage dei Persiani. E cadde in questa mischia Leonida, che si era mostrato uomo valorosissimo e degno discendente di Ercole, e con lui altri illustri spartani, dei cui nomi io mi informai come quelli di uomini degni, e mi informai di tutti i trecento. E anche dei Persiani caddero molti e illustri e tra questi due figli di Dario, Abrocome e Iperante. Due fratelli di Serse morirono dunque combattendo; per il cadavere di Leonida nacque una furiosa lotta fra Persiani e Greci, finchè con il loro valore i Greci riuscirono a sottrarlo e per quattro volte volsero in fuga gli avversari. Poi si ritirarono tutti sul colle, oltre il muro. E qui si difesero con le spade, quelli che ancora ne avevano, e con le mani e con i denti, mentre i barbari li seppellivano sotto le freccie; quindi, abbattuto il muro, li uccisero tutti, dopo averli circondati da ogni parte. In onore di quelli che vennero sepolti lì, sul posto dove erano caduti, e di quelli che erano periti prima del ritiro ordinato da Leonida, è stata posta un'iscrizione che dice così: “Qui un giorno contro trecento migliaia combatterono quattromila Greci. O viaggiatore, annuncia agli Spartani che qui siamo sepolti, avendo obbedito alle loro leggi” (Erodoto, “Storie” VII vv.222-228) Ma parole ancora più toccanti vengono dal poete Simonide (555–468 a.C.) che compose questo elogio funebre per i caduti delle Termopili. “Dei caduti alle Termopili gloriosa è la sorte, bello il destino, un altare la tomba: non lamenti, ricordo; il compianto è lode. Questo sepolcro non la ruggine, non il tempo che tutto doma intaccherà. Questo sacro recinto di eroi la gloria della Grecia ha scelto come abitatrice; ne dà testimonianza Leonida, re di Sparta, che di valore ha lasciato un grande ornamento e fama imperitura.” (Simonide, fr.5 Dielh) Temistocle Temistocle nacque ad Atene nel 530 a.C e morì in esilio a Magnesia sul Meandro nel 462 a.C. Fu abilissimo politico e militare ateniese e primo promotore del provvidenziale sviluppo navale di Atene. Dopo la seconda guerra persiana di cui fu assoluto protagonista ricostruì le mura della città. Incredibilmente pochi anni dopo, verso il 470, fu colpito da ostracismo e riparò ad Argo fino a quando fu costretto a fuggire presso il re persiano Artaserse, che, nonostante fosse uno dei suoi peggiori nemici, ne riconobbe il valore assoluto e gli concesse la signoria di Magnesia sul Meandro. Dell'esilio di Temistocle ci parla lo scrittore greco Plutarco nelle sue “Vite Parallele”. Dopo la morte di Pausania furono pubblicati i carteggi con Temistocle, nei quali si parlava di trame volte a consegnare i greci, definita “gente gente maligna e ingrata” nelle mani dei Persiani. Pur trasparendo dai carteggi che Temistocle aveva nettamente rifiutato l'offerta di Pausania, sospetti e rancori continuarono ad accompagnare la vita politica di Temistocle che, poco dopo, venne definitivamente ostracizzato dalla città. Egli a questo punto cercò ospitalità presso uno dei suoi più acerrsimi nemici, il re dei Molossi Admeto, e in seguito presso il re di Persia. Temistocle morì suicida pochi anni dopo. Maratona Aldilà della grande abilità dello stratega Milziade, che surclassò gli strateghi persiani con coraggio e abilità, di questa battaglia è passato alla storia l'epilogo. Un combattente greco infatti, era uno dei più grandi atleti dell'epoca e, finita la battaglia, fu incaricato di correre da Maratona ad Atene a portare la notizia della vittoria. Filippide, questo era il suo nome, cominciò a correre forsennatamente su quel terreno aspro ed inospitale e si fermò solo 42 kilometri e 219 metri dopo, giunto ad Atene. Ma neanche il suo giovane fisico poteva sopportare quello sforzo e, dopo aver gridato “Abbiamo vinto!”, il soldatò perì per la grande fatica. Da questo episodio (probabilmente inventato da Erodoto, anche se vi sono diverse controversie sulla nascita di questo mito) deriva l'attuale maratona, la gara olimpica per eccellenza.