IL DECENNIO TRA LE DUE GUERRE (490-481 AC.) Un periodo di scelte Il decennio successivo alla vittoria di Maratona, quello cioè fra la prima e la seconda guerra persiana, fu particolarmente significativo per Atene. L’entusiasmo per il brillante successo conseguito si accompagnava all'angosciosa attesa dell'inevitabile ritorsione persiana. Solo a causa della morte di Dario (486-485 a.C.) e alla necessità del figlio e successore Serse di sedare una sollevazione in Egitto, essa tardò. Milziade persuase la città ad affidargli il comando di una spedizione navale per riprendere il controllo delle Cicladi, ma sotto le mura di Paro fu sconfitto e rimase ferito (489 a.C). Morì poco più tardi, essendo stato oltretutto condannato con l'accusa di aver "ingannato" il dèmos. La giovane democrazia, se voleva sopravvivere, doveva consolidare anzitutto le proprie istituzioni all'interno e, nello stesso tempo, di fronte alla Grecia, rafforzare il nuovo ruolo di capofila nella lotta contro il Persiano. Le scelte non dovettero essere facili: per la prima volta la cittadinanza, riunita con almeno 6000 dei suoi esponenti l’ekklesia, decise di ostracizzare alcuni capi politici. Fu probabilmente un fallito attacco contro la potenza navale di Egina (488 a.C.) che spinse il dèmos a decretare l'allontanamento di alcuni tra i promotori di questa impresa, come l'alcmeonide Megacle e Santippo. Anche costui era imparentato con gli Alcmeonidi: aveva sposato la nipote di Clistene, Agariste, da cui ebbe Pericle, il futuro grande statista ateniese. L'insuccesso contro Egina dovette a quel punto convogliare il consenso della cittadinanza verso chi sosteneva la necessità per Atene di dotarsi di una grande flotta da guerra. La "democrazia navale" di Temistocle Era questa la tesi di Temistocle, il quale, già arconte nel 493-492 a.C, aveva avviato la costruzione del nuovo porto del Pireo, destinato presto a soppiantare il vecchio Falera. Quando nelle antiche miniere attiche del Laurio venne portata alla luce una nuova consistente vena argentifera (482 a.C), egli propose di utilizzare il metallo in modo diverso da quello abituale, che prevedeva una sua semplice e improduttiva distribuzione tra tutti i cittadini. I cento talenti disponibili dovevano invece essere impiegati nella costruzione di duecento triremi, le micidiali navi da guerra indispensabili per una politica di potenza sui mari. L'iniziativa non era rivolta solo a combattere contro altri Greci. Già a quel tempo infatti giungeva notizia che Serse stava radunando un possente esercito e una gigantesca flotta al fine di sottomettere la Grecia una volta per tutte, e Temistocle aveva capito che la partita decisiva questa volta andava giocata, diversamente che a Maratona, sul mare. Gli opliti, insomma, non bastavano più, e la grande idea di Temistocle fu quella di coinvolgere nella difesa della città anche i numerosi teti, i cittadini più poveri, senza terra, che non avevano mezzi per procurarsi le armi in bronzo ma che, essendo in prevalenza artigiani, pescatori o marinai, avrebbero potuto con un adeguato addestramento servire nella flotta come rematori e piloti. Divenuti formalmente, già grazie a Clistene, cittadini con uguali diritti, costoro avrebbero d'ora in poi assunto anche un peso politico effettivo, in quanto sarebbero stati determinanti per il funzionamento della nuova armata sui mari. Non è un caso se a questa innovazione si oppose un uomo politico conservatore che si presentava come condottiero alternativo a Temistocle, Aristide; ma anche costui fu ostracizzato, e la città dette così avvio all'ambizioso programma navale (482-481 a.C). Il perfezionamento della democrazia clistenica In quello stesso decennio si decise che gli arconti (unica magistratura rimasta esclusiva delle due prime classi censitane) non sarebbero stati più eletti, come in precedenza, ma sorteggiati tra gli aventi diritto. Essi persero così d'importanza, e l'introduzione del fattore casuale impedì il controllo anche di questa carica da parte di elementi contrari al dèmos (487-486 a.C). Da quello stesso anno l'arconte polemarco venne privato del controllo sulle operazioni militari, che passò a tutti gli effetti al collegio dei dieci strateghi annuali ed elettivi, i quali divennero così i principali rappresentanti della volontà politica della maggioranza dei cittadini. LO SCONTRO DECISIVO: LA SECONDA GUERRA PERSIANA (480-479 AC.) I Greci tra resa e resistenza. La nascita della lega panellenica Nel 481 Serse raccolse, per la spedizione decisiva contro la Grecia, un esercito imponente. Circa 300.000 uomini e oltre un migliaio di navi si radunarono in Anatolia. Per facilitare il trasporto in Europa di fanti e attrezzature, il Gran Re fece costruire da Egizi e Fenici due ponti di barche sull'Ellesponto, lunghi oltre un chilometro. La pericolosa circumnavigazione della penisola dell'Athos venne evitata scavando un canale sull'istmo di terra che la collega al continente. Una trentina di póleis greche - tra cui Sparta e gran parte del Peloponneso, Atene, Egina, Megara, Corinto, la Focide, Tespie e Platea in Beozia - questa volta si coalizzarono, consapevoli che la vittoria dei Persiani avrebbe significato l'assoggettamento dell'Ellade intera. Tuttavia molti altri, tra cui i Tessali e i Tebani, offrirono terra e acqua agli emissari del re. Neppure gli Argivi, nemici secolari di Sparta, parteciparono agli incontri della nuova lega panellenica che prese a riunirsi sull'Istmo. Il tiranno della potente Siracusa, Gelone, impose come condizione per partecipare all'alleanza la sua nomina a capo supremo dei Greci. I Greci rifiutarono, e tale incarico fu invece affidato con generale consenso a Sparta, benché le decisioni strategiche venissero prese collegialmente da tutti gli alleati. Gli Ateniesi richiamarono a quel punto in città tutti gli esuli, tra cui gli ostracizzati Santippo e Aristide. La prima linea difensiva: Capo Artemision e le Termopili I Persiani erano guidati dallo stesso Serse e dal suo generale Mardonio: esercito e flotta procedevano di conserva lungo la linea costiera della Macedonia e della Tessaglia, e trovarono un ostacolo solo all'ingresso della Grecia centrale, dove lo stretto passo delle Termopili e il canale tra l'isola Eubea e la terraferma ben si prestavano alla creazione di una prima linea difensiva. Circa 270 navi greche (per metà ateniesi) ingaggiarono battaglia al Capo Artemision, mentre una squadra nemica che tentava di aggirarle passando lungo la costa esterna dell'Eubea fu decimata da una tempesta. Alle Termopili il re spartano Leonida aveva condotto un'avanguardia di 4000 Peloponnesiaci e 300 Lacedemoni, cui si aggiunsero 700 Tespiesi. Il grosso delle truppe tardava: sembra incredibile, ma gli Spartani erano impegnati nelle loro feste dedicate ad Apollo Carneo, mentre altri Greci erano riuniti a Olimpia per la celebrazione dei giochi panellenici quadriennali. Tuttavia la facile difendibilità del passo avrebbe ugualmente consentito di resistere a lungo contro forze soverchianti, se i Persiani non avessero appreso da un traditore l'esistenza di un sentiero montano che consentì loro di prendere alle spalle le truppe alleate. Leonida, venuto a conoscenza del pericolo, pur potendo non volle fuggire. Congedò tutti gli altri alleati e rimase a combattere, con i 300 Spartani e i Tespiesi, fino all'estremo sacrificio collettivo (480 a.C). L'Acropoli in fiamme e la battaglia di Salamina A questo punto anche il mantenimento della posizione navale all'Artemision divenne inutile. I Persiani irruppero così in Grecia centrale, occupando la Beozia e penetrando in Attica. Benché la loro città non fosse più difendibile, gli Ateniesi optarono per la resistenza a oltranza ritirandosi sulle loro "mura di legno": secondo Temistocle, che aveva così interpretato un oscuro oracolo di Delfi, quelle mura non erano che e "murate" lignee delle navi da lui stesso fatte costruire, grazie alle quali l'intera popolazione fu messa in salvo a Egina o a Trezene (al di là del golfo Saronico); le navi poi andarono a radunarsi con quelle alleate nell'angusta baia di Salamina. Le truppe di terra peloponnesiache si ritirarono dietro l'Istmo, dove s'iniziò in fretta e furia a erigere un muro difensivo. Atene, rimasta con pochi difensori, fu occupata dai Persiani che ne incendiarono l'Acropoli, vendicando in tal modo l'oltraggio subito a Sardi. Era troppo pericoloso per l'esercito di Serse inoltrarsi privo di rifornimenti nel Peloponneso lasciando una flotta greca ancora potente e intatta alle proprie spalle: come aveva previsto Temistocle, le sorti del conflitto si sarebbero decise sul mare. Nel settembre del 480 a.C. i Persiani decisero l'attacco nello specchio d'acqua per loro più sfavorevole, la strettoia esistente tra Salamina e la terraferma, nel punto dove non avrebbero potuto sfruttare la propria superiorità numerica. Per la loro flotta lo scontro si risolse in una catastrofe: i Greci, con abili manovre, seppero passare in mezzo alle linee nemiche, attaccando alle spalle le navi dei Persiani. Si dice che Serse, seduto sul trono fatto appositamente erigere su un'altura dominante la baia per assistere alla battaglia, abbia pianto di fronte a un tale disastro. Da Platea a Micale (479 a.C): la riscossa dei Greci Con la battaglia di Salamina si era giunti all'autunno del 480 a.C. Quando già incombeva la cattiva stagione, Serse si rifugiò in patria, mentre la flotta persiana riparava presso Samo, pronta a prevenire una nuova sollevazione degli Ioni. Era tuttavia rimasto in Grecia Mardonio con gran parte dell'esercito. Dalla Tessaglia, dove si era acquartierato per svernare, il generale offrì la pace agli Ateniesi, promettendo loro la ricostruzione della città e ingrandimenti territoriali se si fossero schierati dalla parte del Gran Re. Al loro rifiuto, nel giugno del 479 a.C. egli, per ritorsione, rioccupò Atene devastandone di nuovo l'Acropoli. Sempre nell'estate del 479, Spartani e Peloponnesiaci si mossero dal Peloponneso per ricongiungersi con gli Ateniesi e gli altri alleati, costituendo così un esercito di 50.000 uomini. Con truppe quasi doppie Mardonio, ritiratosi in Beozia, dove contava di far uso migliore della propria cavalleria, li affrontò nei pressi di Platea. Il re spartano Pausania, reggente in nome del figlioletto dello scomparso Leonida, guidò gli alleati a una decisiva vittoria campale. Questa battaglia non contrappose solo Greci e barbari: dalla parte dei Persiani avevano combattuto anche Tessali e Tebani. Il generale Mardonio cadde sul campo. Già subito dopo Salamina Temistocle aveva lanciato l'audace proposta di salpare verso l'Ellesponto per tagliare la via del ritorno al Re, e poi sollevare la Ionia contro i Persiani. Euribiade, l'ammiraglio spartano che guidava la flotta alleata, vi si era opposto, preferendo consentire l'allontanamento di Serse e di gran parte delle sue truppe. Le navi ateniesi cominciarono allora a investire a una a una le Cicladi, facendole così entrare nell'alleanza. Nel 479 a.C. Temistocle non fu rieletto stratego; ma la flotta alleata, sotto la guida del re spartano Leotichida, salpò quell'anno da Delo e si diresse con decisione verso quella nemica, che attendeva gli sviluppi del conflitto nella Ionia. Di fronte all'isola di Samo, a capo Micale, le navi persiane che erano state tratte in secca furono distrutte (agosto 479 a.C.). I Greci d'Asia e delle isole si sollevarono, cacciarono le guarnigioni persiane e dichiararono la loro adesione alla Lega greca. Restava da occupare la zona degli Stretti per rendere impossibile qualunque ulteriore aggressione contro la Grecia. Con l'autunno, però, i Peloponnesiaci guidati da Leotichida si ritirarono: nella strategia tradizionale di Sparta non vi era spazio per lunghe spedizioni d'oltremare, lontano dalla patria. A conquistare Sesto, ultima roccaforte nemica sulla costa europea dell'Ellesponto, sarà quindi una squadra navale ateniese guidata da Santippo (primavera del 478 a.C). L'esercito persiano non metterà mai più piede in Grecia.