Cluviae - guerra sociale e civile

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CAPITOLO IV
“Ai margini della grande storia da Cluviae a Casoli ”
CLUVIAE, la guerra sociale e civile
Nel 91 a.C., il tribuno della plebe Livio Druso, mentre stava proponendo la concessione della
cittadinanza romana agli Italici, venne ucciso da un sicario, evidentemente assoldato dal ceto
nobiliare dominante.
In seguito a ciò, ad Ascoli Piceno scoppiò una rivolta che diede origine alla guerra cosiddetta
“sociale” perché vedeva schierati contro Roma tutti i suoi alleati (socii) italici.
Questi ultimi costituirono uno stato federale italico indipendente con capitale “Corfinium”,
retto da un consiglio simile al Senato Romano e con l’esercito guidato da due consoli, il marsico
Silone e il sannita Mutilo.
Dello stato federale italico, che rappresentava i popoli della lega contro Roma, facevano
parte i Piceni, i Marsi, i Peligni, i Vestini, i Marruccini, i Frentani, i Sanniti e gli Irpini; i Sanniti
comprendevano anche i Carecini le cui capitali erano Cluviae, Aufidena e Iuvanum.
Per sostenere economicamente la
guerra, lo stato federale italico coniò delle
monete ed in una, in particolare, per la prima
volta, compare il nome Italia riferito,
naturalmente, allo stato indipendente formato
dagli insorti; il rovescio della moneta, invece,
raffigurava il giuramento militare di otto
guerrieri, rappresentanti la lega federale che
stendevano le loro spade sulla scrofa del
sacrificio di rito: (caesa iungebant foedera
porca) (Virg., Eneide VIII) . Tale monetizzazione, vedi allegata la riproduzione (tav. 19), col coniato nuovo nome di ITALIA e la sua carica
propagandistica antiromana, rappresentava “straordinariamente” un sottilissimo filo che ci conduce
all’attuale politica di insofferenza contro la centralità fiscale ed economica delle istituzioni romane.
In altre monete gli Italici scolpirono il toro sannita che calpestava la lupa romana.
Ad imitazione dell’assetto istituzionale romano, oltre ai due consoli che guidavano l’esercito,
vennero nominati dodici pretori che appartenevano ad altrettante regioni e 500 senatori in
rappresentanza di tutti i popoli costituenti la lega.
Il potere supremo rimaneva, tuttavia, presso i comizi di tutte le città che, per le decisioni
strategiche, dovevano riunirsi a Corfinio; ivi fu costruito un amplissimo foro destinato ad accogliere
i senatori ed i pretori.
Uno dei consoli, Pompedio Silone, assunse il controllo della parte nord-occidentale del centro
Italia, cioè da Carseoli, sul confine dei Marsi, fino all’Adriatico e Papio Mutilo, l’altro assunse il
comando della parte più meridionale, fino all’estremità della Calabria.
Ogni console disponeva sotto il proprio controllo di sei luogotenenti; tutto l’esercito all’inizio
poteva contare 100 mila militi che successivamente crebbero di altri 150 mila circa.
In Abruzzo solo il territorio di Adria e Interamnia rimase fedele a Roma e non partecipò alla
lega poiché, nell’amministrazione dello Stato, il territorio aveva già acquisito quei diritti che gli
Italici andavano pretendendo, in particolare fra questi, la concessione della cittadinanza.
All’inizio della rivolta, i Marsi batterono ripetutamente i Romani ad Asculum, Firmum,
Carseoli, Alba Fucens ed Amiternum. Nel 90 a.C. Gaio Mario, nativo di Arpi, quindi, sabello
ed acerrimo nemico del romano Silla, divenne comandante in capo della lega e ottenne diverse
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vittorie nella valle del Liri; egli aveva capito, infatti, che doveva combattere in territori più favorevoli al proprio esercito poco esperto.
Presto la rivolta si diffuse anche al sud e diverse furono le città apule che insorsero.
Mutilo assoggettò anche parte della Campania, in particolare la città di Nola, che lo stesso
Annibale non era riuscito ad espugnare, mentre “Aesernia” cadde dopo un lungo assedio; la lega
tuttavia, anche se determinata e combattiva, non riuscì ad infliggere a Roma il colpo risolutivo.
I Romani riuscirono, temporeggiando, a meglio organizzarsi e motivarono alla guerra oltre
che i liberti, dando loro la possibilità di arruolamento, anche Spagnoli, Galli e Africani provenienti
dalle neo colonie e così, presso Acerrae ripresero l’iniziativa militare e ottennero su Mutilo una
determinante vittoria.
Dopo due anni di guerra, nell’89 a.C., i Sanniti,
nonostante la loro tenacia, furono sconfitti dall’esercito romano
guidato da Lucio Cornelio Silla (vedi tav. 20), un esponente della
nobiltà senatoria romana e del partito aristocratico i cui esponenti
erano anche Metello e Gneo Pompeo.
Dall’89 a.C., mentre Silla sconfiggeva e sottometteva i
Sanniti, i Marsi cominciavano ad indietreggiare sotto l’avanzata
del console Strabone, nelle cui file militavano i giovani Cicerone e
Pompeo. La capitale italica da Corfinio fu spostata prima a
Bovianum e poi ad Aesernia, intanto anche Asculum cadde sotto il
controllo romano.
In quello stesso anno, Silla con le sue truppe marciò su
Roma, contravvenendo ad una delle leggi romane più antiche:
questi voleva riprendersi il potere sottrattogli dal tribuno Sulpicio
il quale aveva proposto una legge per mezzo della quale agli Italici
sarebbe spettata la partecipazione al voto nelle 35 tribù della lega.
Silla, dopo il rientro a Roma, si autoproclamò dittatore ed attuò
misure repressive nel mondo politico romano, azioni che, involontariamente, alleggerirono le
pressioni attorno alla lega italica. Mario intanto, amico di Sulpicio, era scappato in Africa ed anche
Silla, dopo poco partì per l’Oriente.
Nell’88 a.C., la lega, senza i Sanniti, affidò il comando delle operazioni militari a quattro
generali, probabilmente “meddices”, i quali non ottennero particolare successo. I Lucani, che
coinvolsero nella rivolta anche i Bruzi e i Siciliani, attuarono tatticamente operazioni di guerriglia e
vennero fermati presso “Rhegium ”dove si trovava un avamposto romano. Il proconsole Metello Pio
riportò diverse vittorie in Apulia mentre a Roma il console Cinna, con idee vicine a quelle di
Sulpicio e del generale Sertorio, che sarà protagonista della guerra in Spagna contro Pompeo, fuggì
dalla città.
Seguendo l’esempio di Silla tornò nell’urbe nell’87 a.C. con un esercito. Mario, intanto
tornò dall’Africa e svolse la sua attività a favore di Cinna in Etruria. Il senato richiamò l’esercito di
Strabone, ma questi temporeggiò e fu allora chiesto a Metello Pio di stabilire una tregua con i
Sanniti; Metello però, dopo trattative, rifiutò di aderire alle condizioni poste dai Sanniti che
chiedevano la concessione della cittadinanza, la conservazione dei bottini di guerra e la restituzione
dei prigionieri. Cinna e Mario invece accettarono tali condizioni e siglarono un accordo la cui
validità venne legata al loro successo.
I Sanniti aiutarono quindi questi ultimi due a prendere il potere e la guerra sociale terminò
provvisoriamente con la concessione della cittadinanza che comunque, sarà presto sospesa col
rientro di Silla. Dall’87 al 83 a.C. Roma e la Repubblica conobbero un periodo di tranquillità.
Nell’83 a.C. Silla tornò in Italia dal Ponto sbarcando a Brindisi e in quello stesso anno
divampò la guerra civile.
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I popolari erano contro l’aristocrazia filo-silliana ed i Sanniti, si mantennero neutrali fino a
quando il dittatore strinse un accordo di pace con gli altri popoli italici, escludendo però solo i
Sanniti.
Silla odiava profondamente Mario, poiche’ sabello, e i Sanniti perche’ i suoi antenati
avevano già lottato contro di loro nella terza guerra sannita. Il dittatore romano era diretto in
Etruria, dove erano presenti i seguaci di Mario e, lì, i Sanniti lo affrontarono presso Colleferro, a
Sacriportus, con Mario il Giovane e alcuni popolari. L’esercito sannita subì una pesante sconfitta e
Silla fece massacrare i superstiti a sangue freddo, mentre i seguaci di Mario si rifugiarono a
Praeneste dove furono assediati. Altri Sabelli, constatata la determinazione del dittatore che in quel
momento era in Etruria, si unirono alla guerra e mossero verso Roma ma vennero sconfitti a Porta
Collina (82 a.C.- Monte Antenne) per il determinante intervento di Crasso. Ottomila Sanniti furono
fatti prigionieri , condotti a Campo di Marte e massacrati. Le loro teste furono portate a Praeneste
come monito di resa.
Silla portò avanti l’eliminazione sistematica dei Sanniti e devastò interi villaggi fino all’80
a.C. ma questi ultimi, non del tutto piegati, rifecero la loro comparsa sulla scena politica con
Spartaco nel 71 a.C. e con Catilina nel 63 a.C., sempre per affermare il loro spirito di rivolta. Col
passare del tempo, riottennero la cittadinanza romana e, in particolare durante l’impero di Augusto,
originario di Boville (località in provincia di Frosinone), i loro territori entrarono di diritto nei
“municipia” e diedero i natali a valorosi generali e uomini politici: il più famoso di questi fu
certamente Ponzio Pilato.
Si avviò, così, un processo di profonda ristrutturazione dello stato romano: i cittadini italici
furono definitivamente equiparati ai cittadini romani e, nello stesso tempo, vennero decentrate le
funzioni e le attività amministrative e giudiziarie; verosimilmente, in questo contesto, Cluviae
divenne un “municipium” romano.
Il riconoscimento della cittadinanza venne finalmente raggiunto, nonostante la sconfitta
militare, ma il prezzo pagato dal Sannio, a vantaggio della romanizzazione, fu molto alto: si
verificò una totale subordinazione istituzionale e politica all’ordinamento romano, condizione che
produsse una pesante desolazione e un ulteriore impoverimento dell’Abruzzo se si esclude la zona
costiera di Penne e della valle del Pescara che non avevano partecipato al conflitto ma erano state
valorizzate dal potenziamento della Tiburtina Valeria e godevano già della cittadinanza acquisita in
precedenza.
Con la perdita dell’indipendenza, nonostante la cittadinanza acquisita, l’Abruzzo divenne
una landa desolata e, ad aggravarne la situazione, contribuirono le guerre civili fra Mario e Silla, fra
Cesare e Pompeo e Ottaviano Augusto e Antonio.
In questa situazione politica alimentata da giochi fra fazioni, oltre alla istituzione di nuove
imposte e alle ruberie dei Pubblicani, dei Pretori, dei Proconsoli e dei Questori, vennero perpetrate
proscrizioni e violenze di ogni genere.
Solo Augusto, ottenuta la potestà imperiale, diede alla nostra regione se non il benessere un
po’di pace.
La situazione di degrado economico creatasi convinse Silla, nell’immediato dopo guerra, a
condurre la colonizzazione di massa lungo la fascia collinare adriatica coinvolgendo, molto
probabilmente, l’area di Cluviae che perdeva, così, definitivamente il suo connotato italico per
diventare una colonia romana.
Di fatto, la guerra sociale segnò un momento di pausa nel processo di romanizzazione e
rese impossibile l’alternarsi dalla civiltà agricola sannita a quella commerciale che si stava ormai
sviluppando in tutta l’area mediterranea.
Socialmente, l’unico ceto ad avvantaggiarsi della cittadinanza concessa fu la ristretta
oligarchia equestre e la nuova condizione permise a questi ultimi di emergere, di arricchirsi con il
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commercio e di entrare in competizione con la classe aristocratica: il ceto equestre con Sallustio
e Ovidio entrava a far parte della classe dirigente.
L’Abruzzo intero con i suoi abitanti italici perdeva il ruolo di protagonista degli eventi e si
inglobava in un sistema politico che ormai aveva Roma come unico punto di riferimento.
Anche se vinto, al popolo sannita va il merito di averci regalato, già venti secoli fa, il concetto
di ITALIA.
Guerriero Sannita – Bronzo italico
V sec. a.C. PARIGI, Louvre.
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