IL TRASPORTO SEDIMENTARIO

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ITG A. POZZO
LICEO TECNOLOGICO
IL TRASPORTO
SEDIMENTARIO
INDIRIZZO: Costruzioni, Ambiente, Territorio - opzione B
GEOLOGIA E TERRITORIO
Classe 3^ - 3 ore settimanali
Schede a cura del prof. Romano Oss
IL TRASPORTO SEDIMENTARIO
Molte delle rocce sedimentarie presenti sulla crosta terrestre derivano
dalla deposizione di sedimenti che, precedentemente alla loro stessa
deposizione, sono stati per molto tempo trasportati e sballottati dalle
più diverse azioni erosive.
Esistono moltissime modalità di trasporto dei sedimenti:
il trasporto ad opera dei corsi d'acqua, il trasporto eolico, il
trasporto delle correnti marine e delle maree, il trasporto ad opera
dei ghiacciai, il trasporto gassoso (anche le zone di accumulo dei
movimenti franosi rientrano in questo tipo di sedimentazione).
Il tipo di trasporto che comunque più degli altri ha contribuito alla
formazione di grandi corpi sedimentari è quello che avviene ad opera
dell'acqua.
In tutti i casi la deposizione delle particelle solide avviene allorché il
mezzo trasportante rallenta il suo movimento a tal punto da non essere
più in grado di sostenere anche il movimento dei sedimenti in esso
contenuti (a maggior ragione se si arresta del tutto).
Questi infatti, per gravità, abbandonano il mezzo che li aveva fin li
trasportati e si accumulano l'uno sopra l'altro sul fondo del fiume o del
bacino.
I processi di trasporto si dividono essenzialmente in due tipi: quello in
cui il mezzo trasportante e i sedimenti sono l'uno indipendente dall'altro,
come ad esempio il trasporto operato dai fiumi o dalle correnti marine, e
quello in cui il solido e il fluido hanno un comportamento d'insieme come
se si trattasse di unico corpo, come ad esempio le frane di fango, le
colate o le correnti di torbida.
In quest'ultimo caso si parla di trasporto di massa contrapposto all'altro
chiamato particellare.
Nella figura a sinistra ogni particella ha un proprio valore di gravità
indipendente da tutte le altre e dal mezzo che le trasporta
(particellare);
nella figura a destra viene considerato un unico corpo dal peso G
(di massa).
Il trasporto particellare è chiamato anche anche selettivo in quanto il
mezzo che fornisce movimento erode e trasporta solo determinate
particelle e cioè solo quelle che la sua forza trattiva riesce a smuovere.
L'azione selettiva si ripercuote poi nell'organizzazione geometrica del
sedimento finale creando strutture sempre molto ordinate
diverse laminazioni in base all'ambiente di sedimentazione.
Nelle figure le tipiche strutture di sedimentazione incrociata:
su una spiaggia, e accanto una duna
PROCESSI MASSIVI
Questi possono agire in tutti gli ambienti e non vi è un limite alla quantità
di sedimento che può essere trasportato. Queste possono essere delle
frane, delle colate fangose o granulari, o anche colate di origine vulcanica
(come i flussi piroclastici, o le nubi ardenti).
Notevole importanza rivestono le correnti di torbida, introdotte da Forel
nel 1885, e questo genere di processi sono tra le cause principali del
trasporto e sedimentazione subacquea.
I depositi da questi derivati prendono il nome di torbiditi, o di "flysh".
La prima prova dell'esistenza di questo genere di depositi è stata fornita
dalle registrazioni di un terremoto nel 1929 nei pressi di Terranova e che
ebbe come conseguenza la rottura di tredici cavi sottomarini per le
comunicazioni telefoniche e telegrafiche.
In un primo tempo si ipotizzò che le rotture fossero dovute al terremoto
stesso, ma analizzando in dettaglio i dati si notò che solo alcuni dei cavi si
troncarono contemporaneamente al terremoto, gli altri si sono interrotti a
vari intervalli, e l'ultimo circa 13 ore dopo, ad una distanza di circa 700 Km
dall'epicentro del sisma. Analizzando nel dettaglio anche la disposizione e
l'ordine in cui i cavi si troncarono si notò che i primi a rompersi erano quelli
più vicini all'ipocentro, ma anche posti vicino all'inizio della scarpata
continentale, mentre tutti gli altri erano disposti via via più vicini alla piana
abissale.
Quindi come causa plausibile si pensò subito ad una corrente di
torbida, innescata dal sisma che, precipitando lungo il pendio oceanico
ad una velocità di 80 Km orari, ha tranciato la sequenza dei cavi che
via via incontrava.
L'energia di moto è fornita da una differenza di densità tra la
sospensione dei sedimenti e il fluido circostante; quindi per innescare
il movimento è sufficiente una differenza di densità, anche in assenza di
un vero e proprio pendio topografico (queste infatti agiscono anche lungo
pendii con una inclinazione minore di 1 grado), e il fluido più denso tende
a scorrere sotto quello meno denso.
Per innescare questo processo è comunque necessario un qualche
agente che metta in sospensione il sedimento e questo può essere
appunto anche un terremoto.
Alla base del pendio, in corrispondenza dell'inizio della piana abissale,
inizia la sedimentazione, a causa della brusca diminuzione dell'energia di
trasporto del materiale, e in genere sono gli elementi più grossi che si
depositano per primi, mentre le particelle più fini si depositano più
lontano. Di conseguenza i depositi che si formano sono caratterizzati da
una graduale diminuzione della granulometria del sedimento sia dal
basso verso l'alto ma anche lateralmente, cioè dalla fine della scarpata
verso le piane abissali.
Una torbidite può essere immediatamente seguita da un'altra anche prima che tutto il
materiale si sia sedimentato, oppure ci possono essere dei lunghi periodi di pausa
durante la quale si ha la sedimentazione, al di sopra di quella torbiditica, di materiale
pelagico tipico delle piane abissali
Se l'area di deposizione di una singola torbidite coincide con quella di tutto
il bacino, e quindi da vita ad un singolo strato sedimentario, questo prende
il nome di "megatorbidite". Nei bacini Appeninici sono state misurati degli
strati di megatorbiditi aventi spessori superiori a 40 metri, e quindi si tratta
di movimenti di massa che hanno interessato parecchi Km cubi di
materiale.
sotto una corrente di torbida creata artificialmente in laboratorio
IL CARBONE
Il carbone fossile è noto come combustibile fino dall'antichità, come è
accaduto per il petrolio, ma è solo dal 1700 che è divenuto una fonte
primaria di energia, sostituendo il legno soprattutto in Gran Bretagna con
la Rivoluzione Industriale.
I carboni sono delle vere e proprie rocce sedimentarie e sono costituiti
dai resti di accumuli vegetali, modificati dalle pressioni e temperature
che si trovano in profondità nella crosta, e come nel caso del petrolio,
anche il carbone nasce attraverso una progressiva eliminazione, dai resti
vegetali, di componenti come idrogeno e ossigeno con un conseguente
arricchimento indiretto di carbonio che lo portano a diverse litologie
a seconda della percentuale di carbonio presente.
Le zone più favorevoli per la formazione di depositi organici vegetali
sono le pianure costiere, le lagune, gli acquitrini delle alte latitudini, come
in Russia, Canada, Nord Europa, dove il clima freddo rallenta la
decomposizione, ma anche in regioni calde umide che favoriscono la
crescita di vegetali. Quando questi accumuli vengono sepolti, inizia la
fase di formazione del carbone che inizialmente sarà un fitto intreccio di
resti vegetali chiamato torba dove le condizioni anaerobiche
dell'ambiente impediscono l'ossidazione e la decomposizione batterica
La distribuzione mondiale di carboni fossili; non è stata inclusa l'Antartide
Con l'aumentare della profondità aumenta anche la temperatura e il
materiale organico subisce una maturazione, cioè una eliminazione
graduale dei componenti, aumentando sempre più la quantità di carbonio
passando dalle torbe alle ligniti, ai litantraci fino alle antraciti dove il
contenuto di carbonio raggiunge il 95%.
Maggiore è il contenuto in carbonio e maggiore è il potere calorifico; per
questo le antraciti sono il tipo di carbone più pregiato.
Se il materiale subisce una ulteriore eliminazione delle particelle rimarrà solo carbonio
puro che da vita alla grafite che non trova un impiego come combustibile.
Cava a cielo aperto di litantrace
Bowen Australia
Il processo che porta dalla pianta vegetale alla formazione di antracite
naturalmente è lunghissimo e può richiedere diversi milioni di anni, se
non centinaia di milioni per la sua attuazione. Nel caso che movimenti
tettonici riportino il materiale in superficie il processo di maturazione del
carbone si arresta immediatamente e il materiale inizia a degradarsi.
Questo rappresenta infatti un problema nelle cave a cielo aperto o in
miniere a bassa profondità.
Le fasi di formazione:
nella prima si accumulano i resti, poi
vengono ricoperti dai sedimento portati
dall'innalzamento marino;
successivamente il mare si ritira e
ricomincia il ciclo fino a quando non si
completa la maturazione nel corso di
milioni di anni.
La relazione fra la distribuzione dei vari tipi di carbone e le età delle rocce che lo
contengono è molto regolare.
Lo stadio di lignite si ritrova infatti sempre in depositi di età Cenozoica, mentre le antraciti
si trovano in terreni del Paleozoico.
Questa distribuzione è ovviamente in relazione al tempo necessario perché le varie fasi di
maturazione si completino.
Lo sfruttamento di un giacimento
di lignite in Germania.
La formazione di strati di deposizione di materiali organici sarebbero anche
in relazione con i grandi eventi di trasgressione marina. Un innalzamento
del mare infatti provocherebbe l'invasione delle pianure da parte dell'acqua
e quindi un aumento di materiale organico disponibile, e la conseguente
consuzione batterica favorirebbe lo sviluppo di acque poco ossigenate.
In quest'ottica si capisce che la distribuzione di questo materiale è
avvenuta in quei grandi bacini dove l'età delle rocce è molto antica e che
adesso sono emersi, come in Australia o come in Antartide che un tempo
doveva essere molto ricca di vegetali e animali e che ora si ritrovano in
depositi di carbone o petrolio. In Italia si trovano solo modesti giacimenti di
lignite e apparentemente la causa va ricercata nella giovane età delle
nostre rocce e delle continue sollecitazioni tettoniche che avvengono nella
zona mediterranea, essendo posta tra la zolla Euroasiatica e quella
Africana.
Come il petrolio, anche il carbone è una fonte di energia non rinnovabile,
ma i depositi di questo materiale sono molto superiori a quelli di petrolio e
si stima che fino ad ora si sia sfruttato solo il 10% delle scorte iniziali.
Un enorme giacimento di
carbone in Antartide, di circa
250 milioni di anni.
IL PETROLIO
Il petrolio è un insieme di sostanze naturali che si trovano normalmente
associate alle rocce sedimentarie e derivano dalla trasformazione e
decomposizione di sostanze organiche che, anziché essere distrutte dai
normali processi naturali, si conservano e si accumulano nel sottosuolo
per milioni di anni all'interno delle rocce sedimentarie stesse che via via si
formano.
La sua utilizzazione pratica è antichissima; l'asfalto, che è un suo
derivato, fu impiegato nella costruzione della città di UR in Mesopotamia
già nel 3000 a.C., per l'edificazione della Torre di Babele, e per vari secoli
fu usato come impermeabilizzante e legante. Ai giorni nostri, il suo
impiego è vastissimo, basti pensare ai carburanti che muovono le nostre
macchine, oppure alla plastica con cui sono realizzati la maggior parte
degli oggetti che utilizziamo quotidianamente...
Il petrolio è una sostanza naturale ed è composta prevalentemente da idrocarburi :
sono composti chimici formati esclusivamente da carbonio e idrogeno e, in base alle
proporzioni tra questi due elementi e alla struttura molecolare che formano, gli idrocarburi si
dividono in diverse serie:
Cominciamo dalla più semplice, le paraffine( o alcani). Questi idrocarburi sono detti anche
saturi in quanto le loro molecole sono incapaci di incorporare altri atomi di idrogeno dal
momento che la natura dei loro legami è di tipo semplice.
Questo tipo di idrocarburo forma catene
lineari, ramificate o degli anelli. La più
semplice delle paraffine è il metano (CH4)
che è il principale gas naturale, ma vi è anche
l'etano (C2H6), il propano (C3H8) e il butano
(C4H10). Il propano e il butano possono
essere liquefatti a basse pressioni e vanno a
formare quello che è chiamato GPL (Gas
Pressure Low)
L'obiettivo principale della ricerca del petrolio è la localizzazione del
giacimento, ossia di un volume circoscritto del sottosuolo dove il petrolio
possa essersi accumulato e conservato nel corso dei tempi geologici. Ma
vediamo esattamente cos'è il petrolio e perché si trova sotto terra, anche a
svariati Km di profondità: come prima cosa va detto che il petrolio, così
come il carbone, è un combustibile fossile non rinnovabile dal momento
che ha origine da sostanze organiche che, anziché essere distrutte dai
normali processi ossidativi o da altri agenti naturali (animali/batteri), si
conservano e si accumulano nel sottosuolo per milioni di anni.
Il petrolio è composto da una miscela di numerosissimi componenti
gassosi, liquidi e solidi, di cui oltre il 99% sono costituiti da idrocarburi.
Lo studio degli idrocarburi e degli altri composti del carbonio è
fondamentale poiché il carbonio è un elemento con caratteristiche chimiche
del tutto particolari capace di dare vita a molecole organiche
complicatissime combinate tra loro in catene o anelli;
si spiega cosi come esistano circa 4.000.000 composti del carbonio (esseri
umani compresi) e solo 70.000 composti di tutti gli altri elementi messi
insieme.
Infatti la sostanza che forma gli esseri viventi, animali e vegetali, sono i
composti del carbonio, e permettono lo svolgimento dei processi vitali, e la
loro trasformazione da vita al petrolio; quindi senza esseri viventi non vi
sarebbe petrolio.
Con la prima grande esplosione
della vita, circa 1 miliardo di anni
fa, il carbonio inizia ad essere
fissato (mediante il processo di
fotosintesi) nelle piante e poi
negli animali; dopo la loro morte
questo "carbonio organico" è
stato in massima parte ossidato
e restituito all'atmosfera sotto
forma di CO2.
Il ciclo del carbonio in tutti questi anni: la maggior parte di esso è rimasto nella parte
superiore, mentre quel poco che è riuscito ad entrare nella parte inferiore ha avuto la
possibilità di generare il petrolio; l'unità di misura Gt equivale a miliardi di tonnellate.
La piccolissima parte di carbonio (circa lo 0,01-0,1%) che da vita alla
seconda parte del ciclo del carbonio è quella che riguarda direttamente la
formazione del petrolio. Per sfuggire all'ossidazione il carbonio organico
quindi non deve entrare in contatto con la geosfera, in particolare deve
essere protetto dall'ossigeno. Per questo si preserva solamente nei
sedimenti deposti in ambiente acquatico dove il tenore di ossigeno è basso
ed è per questo che il petrolio si ritrova praticamente solo nelle rocce
sedimentarie.
Il principale produttore di carbonio organico è il fitoplancton (diatomee,
dinoflagellati, nonnoplancton,..) mentre il contributo degli organismi più
grandi, come i pesci e gli animali terrestri, è praticamente trascurabile.
Una quantità rilevante viene fornita anche dai vegetali che sono più
resistenti all'alterazione e quindi hanno più tempo a disposizione per trovare
un ambiente di deposizione favorevole al loro preservamento, ma in genere
questi danno vita a dei depositi di carbone.
Se le condizioni sono favorevoli si può
formare una "roccia madre", ossia una
roccia che contiene concentrazioni di
carbonio organico tali da poter produrre
successivamente del petrolio in quantità
apprezzabili (almeno lo 0,5% per le rocce
detritiche, e lo 0,3 % per quelle
carbonatiche). Gli ambienti di
sedimentazione più favorevoli perché una
roccia possa diventare "madre" sono
quelli vicino alle coste, dove l'apporto di
sostanze organiche è maggiore, e quelli
dove le acque sono tranquille così da
permettere la sedimentazione di particelle
fini come lagune, estuari e scarpate
continentali.
La sequenza ideale per la formazione
del petrolio.
La trasformazione della sostanza organica in petrolio è una conseguenza
della subsidenza attraverso la quale i sedimenti carichi di sostanza
organica, subiscono uno sprofondamento verso condizioni di temperature e
pressioni crescenti. Condizioni che già a circa 1 Km di profondità e ad una
temperatura di almeno 60 C° avviano il processo di diagenesi attraverso il
quale i sedimenti diventano roccia e in questo caso roccia madre.
Durante la diagenesi il sedimento e la materia organica, prevalentemente
composta da lipidi, proteine e carboidrati (con lignine e tannini per i
vegetali), subiscono una compattazione a causa dalla pressione ed un
aumento di temperatura che favorisce i batteri presenti nel terreno a
"fermentare" la sostanza organica producendo CO2 (anidride carbonica) e
CH4 (metano); quest'ultimo a volte può formare i famosi gas di palude, detto
metano biogenico.
Al termine della diagenesi la sostanza organica è in parte ossidata, in parte
riciclata dai microrganismi, in parte è stata fermentata e ha formato il
metano biogenico e in parte infine si è trasformata in Kerogene,
geopolimero complesso progenitore del petrolio.
Tra i prodotti finali della diagenesi si può trovare anche il carbone che è
formato da materiale vegetale come le torbe e le ligniti che hanno però un
basso tenore calorifico.
Con l'incremento della temperatura si passa alla fase di catagenesi dove il
kerogene passa allo stato amorfo in macromolecole formate
principalmente da carbonio ed idrogeno, con una piccola percentuale di
ossigeno, zolfo e azoto.
Aumenta ancora la temperatura e il kerogene continua a trasformarsi
eliminando dalla macromolecola le molecole più leggere, e relativamente
ricche di O e H, assumendo una struttura via via più ordinata e stabile.
A seconda della struttura si può stabilire una scala di maturazione del
Kerogene, che sarà in rapporto con la formazione del petrolio, in grado di
fornire indicazioni sulla quantità e qualità del petrolio che esso può aver
prodotto nelle fasi successive.
La fase finale della catagenesi è quella dove il kerogene completa la sua
maturazione (a circa 150°C e diversi Km di profondità con pressioni di circa
1000 Atm. ).
Qui avviene infatti il processo di cracking, indotto dal solo aumento di
temperatura. Durante questa fase il kerogene subisce la rottura della
macromolecola originale formando molecole di bitume (petrolio) e di gas che,
essendo molto meno dense della macromolecola di partenza, tenderanno a
migrare verso l'alto e ad accumularsi laddove troveranno delle barriere
rocciose impermeabili (trappole).
Una volta generato, il petrolio, tende per
minor densità a salire verso l'alto. Questo
processo, chiamato migrazione, trova
maggiore impulso quando fra pori è
presente ancora acqua, attraverso una vera
e propria spinta di galleggiamento. Il tipo di
roccia dove il petrolio tende ad accumularsi
in maniera definitiva è generalmente
diverso da quello della roccia madre;
questa infatti generalmente è un'argilla, una
marna, o un calcare a grana finissima,
ricchi di materia organica e scarsamente
permeabili; mentre la roccia, ove il petrolio
si accumula e viene estratto, è quasi
sempre un'arenaria o una roccia
carbonatica con porosità e permeabilità
elevate e con contenuto organico originario
praticamente nullo.
La migrazione è distinta in due
fasi:
la migrazione primaria, che
avviene all'interno della roccia
madre cioè dalla roccia madre
fino all'interfaccia con una
roccia diversa; e la migrazione
secondaria, in cui il petrolio,
attraverso sistemi di fratture o
porosità di un'altra formazione
rocciosa, raggiunge un punto di
accumulo (detto reservoir).
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