Peritonite Infettiva Felina

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Peritonite Infettiva Felina
Eva Spada, Daniela Proverbio
Sezione di Clinica Medica e Diagnostica di Laboratorio, Dipartimento di Scienze Cliniche
Veterinarie, Università degli Studi di Milano
Agente eziologico
Feline Coronavirus (FCoV) appartenente alla famiglia Coronaviridae, virus a RNA dotati di
envelope. Il coronavirus che replica negli enterociti e determina infezioni spesso asintomatiche o
subcliniche, viene convenzionalmente indicato come FECV (Feline Enteric Coronavirus), mentre
la variante responsabile di FIP, che colonizza e replica nei macrofagi determinando un’infezione
sistemica, viene indicato come FIPV (Feline Infectious Peritonitis Virus). Rappresentano due
varianti di un unico tipo di virus che all’interno dell’organismo muta geneticamente, aumentando
virulenza e capacità patogena e modificando il tropismo cellulare.
Epidemiologia
La FIP è la principale causa infettiva di morte nel gatto. L’aumento della sua prevalenza negli
ultimi anni è influenzato dalle condizioni di vita dei gatti domestici che frequentemente si trovano a
vivere in gruppo in luoghi chiusi (allevamenti, gattili, pensioni, abitazioni con più gatti), habitat che
li espone ad elevate cariche virali e a continue re-infezioni. I soggetti maggiormente colpiti hanno
meno di 2 o più di 10 anni, ma possono essere colpiti gatti di ogni età. L’anamnesi riferisce
convivenze in ambiente con più gatti, partecipazione recenti a mostre, soggiorni in pensione,
ricoveri in strutture veterinarie o esposizione a fattori stressanti (cambi di ambiente, interventi
chirurgici). In alcune razze (persiano, burmese, ragdoll) sembra esistere una suscettibilità genetica
nello sviluppo della FIP .
Patogenesi
L’infezione avviene prevalentemente per via orofecale (non vi è trasmissione verticale) e il virus
viene eliminato principalmente con le feci. L’esito dell’infezione dipende da una complessa
interazione tra patogenicità del virus, dose virale, età e risposta immunitaria del soggetto. Il FIPV è
in grado di colonizzare i macrofagi attraverso i quali raggiunge la maggior parte dei tessuti
dell’organismo. Esistono due forme cliniche. La forma essudativa (FIP umida) che si sviluppa da 4
a 8 settimane dopo l’infezione, in soggetti che presentano una risposta prevalentemente umorale con
abbondante produzione di anticorpi che legandosi all’antigene virale formano immunocomplessi
responsabili di vasculiti con conseguenti versamenti essudatizi. La forma non essudativa (FIP
secca) che insorge da mesi ad anni dopo l’infezione, si sviluppa in gatti con prevalente risposta
cellulomediata con formazione di granulomi diffusi e alterata funzionalità degli organi colpiti.
Sintomatologia
In entrambe le forme possono essere presenti ipertermia antibiotico resistente, scadente stato di
nutrizione, perdita di peso, abbattimento, disoressia o disidratazione.
La forma effusiva è caratterizzata dalla comparsa di versamento toracico, addominale o bicavitario
(Fig. 1). Sintomi comuni sono pallore delle mucose o ittero, alterazioni della defecazione come
diarrea o stipsi, e dispnea come conseguenza del versamento cavitario.
La forma non effusiva è caratterizzata da ittero, aumento di volume dei linfonodi mesenterici,
epatomegalia, nefromegalia bilaterale, formazioni nodulari in vari organi. Il coinvolgimento
polmonare determina dispnea.
Può essere presente coinvolgimento oculare e neurologico. Tra le alterazioni oculari ritroviamo
iriti con alterazione del colore dell’iride e uveiti caratterizzate da opacità della camera anteriore,
presenza di cellule infiammatorie, coaguli di sangue o fibrina ed emorragie. A livello retinico si
possono riscontrare edema dei vasi sanguigni, piogranulomi, emorragie e distacchi. La FIP è la
principale causa di alterazione infiammatoria del sistema nervoso nel gatto e più di un terzo dei
gatti con forma non effusiva sviluppa alterazioni neurologiche, talvolta come unico sintomo
iniziale. Il sintomo più comune è l’atassia, seguita da nistagmo, alterazioni vestibolari e
convulsioni. In corso di meningite compaiono incordinamento, tremori, iperestesia, cambi di
comportamento, convulsioni e deficit dei nervi craniali. La presenza di piogranulomi a livello di
nervi periferici o midollo spinale può determinare zoppia, atassia progressiva e tetra-, emi- o
papaparesi.
Esiste una forma prevalentemente intestinale nella quale l’organo esclusivamente colpito dai
granulomi è l’intestino, con lesioni che si riscontrano principalmente a livello di colon o più
raramente di piccolo intestino. Possono insorgere costipazione, diarrea cronica o vomito, alla
palpazione l’intestino appare ispessito ed è frequente il riscontro di un aumento dei corpi di Heinz
negli eritrociti.
Diagnosi
La diagnosi di FIP è complessa e si basa sui dati anamnestici, clinici e di laboratorio. Il sospetto
diagnostico può essere confermato solo tramite tecniche di immunocitologia che consentono di
identificare il virus all’interno dei macrofagi presenti nel versamento e nei granulomi.
L’esame emocromocitometrico può evidenziare linfopenia, neutrofilia con deviazione a sinistra e
anemia non rigenerativa conseguente allo stato infiammatorio cronico. Il profilo biochimico è
spesso caratterizzato da iperprotidemia con aumento di α2 e γglobuline (Fig. 1) e diminuito
rapporto albumina/globuline (A/G <0,8) (diagnosi differenziale con linfosarcoma, mieloma
multiplo, infezioni croniche e FIV). L’alterazione di altri parametri dipende dagli organi colpiti.
Il versamento è di color paglierino e viscoso, in rari casi sieroematico o con aspetto chiloso. È un
trasudato modificato con elevato contenuto proteico (> 3,5 g/dl), diminuito rapporto A/G e scarsa
cellularità (<5.000 cellule nucleate/ml) e all’elettroforesi mostra un tracciato sovrapponibile a
quello delle sieroproteine (Fig. 2). Se il rapporto A/G è >0,8 si può escludere con buona probabilità
la FIP, tra 0,45 e 0,8 rimane una diagnosi possibile, mentre è quasi certa se è <0,45. In gatti con
sintomatologia neurologica il liquido cefalorachidiano (LCR) presenta aumento del contenuto
proteico (da 56 a 348 mg/dl) e pleocitosi neutrofilica (da 100 a 10.000 cellule nucleate/ml). La
presenza di anticorpi anticoronavirus nel LCR è di difficile interpretazione poiché possono essere di
derivazione ematica per alterazione dell’integrità della barriera ematoencefalica.
I risultati dei test sierologici hanno un ruolo significativo nella diagnosi di FIP solo se correlati ai
sintomi clinici, poichè rilevano anticorpi rivolti verso il coronavirus, senza differenziare se si tratti
di FECV o FIPV. La sieroconversione nei gatti esposti al coronavirus avviene in genere dopo 18-21
giorni dall’infezione. La tecnica gold standard è considerata l’immunofluorescenza indiretta (IFA),
che fornisce un titolo di positività anticorpale. In corso di FIP effusiva si possono riscontrare
risultati falsi negativi o bassi titoli anticorpali, quando gli anticorpi si legano all’antigene virale e
non sono disponibili per il legame con gli antigeni del test, mentre raramente i gatti con forma non
effusiva risultano negativi e nella maggior parte dei casi presentano elevati titoli anticorpali. Va
sottolineato che la maggior parte dei gatti asintomatici presenta titoli anticorpali riferibili a FECV.
La tecnica di RT-PCR può identificare il coronavirus in gatti con FIP che risultano sieronegativi,
ma può fornire risultati falsamente positivi se effettuata su campione di sangue, tessuto o sul
versamento poiché il FECV si può riscontrare anche in circolo e in tessuti di gatti sani e il
versamento può subire contaminazione ematica. La diagnosi definitiva di FIP può essere raggiunta
solo con l’impiego di tecniche di immunocitologia (immunofluorescenza o immunoistochimica), la
cui positività deriva dall’identificazione delle proteine virali all’interno di macrofagi presenti nel
versamento o nei prelievi citologici o bioptici di piogranulomi. Risultati falsamente negativi nel
versamento possono dipendere dallo scarso numero di macrofagi.
Terapia
Nessun farmaco ha mostrato di possedere azione antivirale nei confronti del coronavirus ed essere
efficace in corso di FIP. Nei gatti sani asintomatici sieropositivi non si effettua alcuna terapia, ma si
consiglia di evitare condizioni stressanti (cambi di abitazione, interventi chirurgici, trasferimenti in
pensioni o ambienti con più gatti). Quando è presente la sintomatologia clinica l’obiettivo della
terapia è il controllo della risposta immunitaria con la somministrazione di farmaci ad azione
immunosoppressiva, immunomodulante ed antinfiammatoria. Principalmente impiegato è il
prednisolone alla dose di 2-4 mg/kg/die per 10 giorni, a scalare fino a trovare la dose minima che
consente di ridurre la gravità della sintomatologia , associato ad antibiotico terapia ad ampio spettro
(es. amoxicillina+acido clavulanico) per trattare eventuali infezioni batteriche secondarie e ad
integrazione di L-lisina per prevenire la recrudescenza di infezioni latenti da Herpesvirus. Prodotti
oftalmici a base di cortisonici sono utili per il trattamento delle alterazioni oculari. L’interferone
omega di origine felina, associato al prednisolone, si è dimostrato efficace in forme di FIP
essudativa in gatti con più di 6 anni di età al dosaggio di 1 MU/kg/SC a giorni alterni fino a
scomparsa dei sintomi e poi una volta a settimana, ma il suo impiego necessita di ulteriori
valutazioni.
Prognosi
La malattia ha esito fatale e prognosi infausta, con tasso di mortalità superiore al 95%. I gatti con
forma secca sopravvivono qualche mese, in rari casi con la terapia alcuni anni, e la comparsa di
segni neurologici in genere precede la morte. I gatti con forma effusiva di solito sopravvivono da
pochi giorni a qualche settimana e muoiono entro 2 mesi dall’insorgenza della sintomatologia. La
sola sieropositività a coronavirus in assenza di sintomatologia clinica non comporta una prognosi
infausta poiché la maggior parte dei gatti sieropositivi non sviluppa la FIP. Dei gatti sieropositivi
per coronavirus, il 13% diviene portatore cronico, condizione che raramente è associata allo
sviluppo di FIP, ed elimina in modo costante o intermittente il virus nell’ambiente, meno del 10%
sviluppa la FIP, mentre la maggior parte dei gatti elimina il virus diventando sieronegativo, ma
può reinfettarsi.
Profilassi
La trasmissione del coronavirus avviene principalmente per via indiretta attraverso il contatto con
feci e fomiti contaminati. La maggior fonte di infezione è la condivisione della lettiera con gatti
infetti, ma anche la condivisione di ciotole e grooming reciproco. Il coronavirus è poco resistente
nell’ambiente e viene inattivato dai comuni disinfettanti, anche se in ambiente secco è in grado di
sopravvivere per 7 giorni.
I gatti sieropositivi possono eliminare il virus, perciò in presenza di un gatto sieropositivo è
opportuno non introdurre nuovi gatti nell’ambiente. Una volta verificata l’assenza del coronavirus
in un gruppo di gatti, i nuovi entrati devono essere testati, e introdotti nel solo se sieronegativi. Gli
anticorpi materni proteggono i gattini fino all’età di 5-6 settimane perciò i gattini partoriti da madri
sieropositive dovrebbero essere svezzati a 5-6 settimane di vita, isolati e testati per il coronavirus
dopo le 12 settimane di età. Nei gatti sieropositivi per coronavirus, è opportuno evitare la
riproduzione, ed evitare, quando è possibile, la somministrazione di farmaci immunodepressivi
(corticosteroidi, progestinici).
Esiste un unico vaccino in commercio, vivo attenuato costituito da una mutante termo-sensibile del
ceppo II (il ceppo prevalente nelle infezioni di campo è il ceppo I) che si replica solo alle
temperature del nasofaringe ed è registrato per la somministrazione per via intranasale in gatti a
partire dalle 16 settimane di età. La sua efficacia varia a seconda dei diversi studi di campo e
l’American Association of Feline Practitioners (AAFP) classifica questo vaccino nella categoria dei
vaccini non generalmente raccomandati.
Fig. 1 e 2: Tracciato elettroforetico sovrapponibile di proteine sieriche e proteine di
versamento in un gatto con forma essudativa a livello addominale
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