LUIGI ANTONIO CANTAFORA Vescovo di Lamezia Terme Vita consacrata, riflesso e segno dell’umanità di Cristo Lettera Pastorale per l’Anno della Vita Consacrata 2 Ai religiosi e religiose, ai presbiteri, diaconi e all’intero popolo di Dio della Chiesa che è in Lamezia Terme. INTRODUZIONE «Noi rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore Nostro Gesù Cristo per voi» (Col 1,3). Carissimi, l’inizio dell’Avvento coincide con l’apertura dell’Anno della Vita Consacrata, voluto da Papa Francesco. Con questa lettera pastorale mi rivolgo a tutti coloro che si riconoscono appartenenti al gregge di Cristo. Un gregge che, anche se piccolo, è sempre importante agli occhi del «Principe dei pastori» (cf. 1Pt 5,4). Riconoscerci in questo gregge, significa sapersi eredi di Cristo, in quanto «è piaciuto al Padre di dare il suo Regno» (cf. Lc 12,32) proprio a noi. Scrivo questa lettera a voi, religiosi e religiose, presbiteri, diaconi e fedeli laici, sapendovi credenti anche di questa precisa e puntuale Parola di Cristo rivolta agli apostoli: «Chi ascolta voi ascolta me» (Lc 10,16) e che sant’Ignazio di Antiochia esplicita: «Ascoltate il vescovo, se volete che Dio ascolti voi» (A Policarpo, 6). Papa Francesco nell’udienza del 5 novembre scorso ha ricordato a tutti noi che le comunità cristiane riconoscono nel Vescovo un dono grande, e sono chiamate ad alimentare una sincera e profonda comunione con lui, a partire dai presbiteri e dai diaconi. Non c’è una Chiesa sana se i fedeli, i diaconi e i presbiteri non sono uniti al vescovo. Questa 3 Chiesa non unita al vescovo è una Chiesa ammalata. Gesù ha voluto questa unione di tutti i fedeli col vescovo, anche dei diaconi e dei presbiteri. E questo lo fanno nella consapevolezza che è proprio nel Vescovo che si rende visibile il legame di ciascuna Chiesa con gli Apostoli e con tutte le altre comunità, unite con i loro Vescovi e il Papa nell’unica Chiesa del Signore Gesù, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica1. Le parole che troverete in questa breve lettera, scaturiscono dal cuore di un Pastore che vede e sa quanto la nostra comunità stia crescendo tramite l’impegno generoso di tutto il popolo di Dio e grazie all’apporto creativo e irrinunciabile dei nostri fratelli e delle nostre sorelle degli Istituti di Vita Consacrata. Il nuovo anno pastorale ha due grandi caratteristiche intimamente legate: sarà un anno di preparazione al Convegno ecclesiale di Firenze all’interno dell’anno dedicato alla vita consacrata. C’è dunque un itinerario interconnesso che vorrei guardare con voi. 1. In cammino verso il Convegno Ecclesiale di Firenze Il 5 ottobre, abbiamo avuto la gioia di inaugurare l’Anno Pastorale in Cattedrale. È stato bello e consolante vedere un’assemblea sinodale che riuniva laici, religiose, religiosi, diaconi e sacerdoti, tutti membra di un unico corpo ecclesiale, in cammino per rendere testimonianza della fede e della spe1 Papa Francesco, Udienza Generale 5 novembre 2014. 4 ranza, dalle quali è reso vivo. Per questo motivo, sento di esprimere con forza e fiducia che «siamo una Chiesa viva! Una Chiesa in cui è presente una diffusa e generosa disponibilità al servizio. Grazie a Dio ci sono sacerdoti, diaconi e laici da apprezzare e ammirare per la passione che condividono annunciando il Vangelo». Nell’orizzonte del nostro cammino, si profila ormai prossimo, l’importante appuntamento del Convegno Ecclesiale di Firenze, dal tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. Come Chiesa in Italia, affronteremo il significativo «trapasso culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume delle persone, sradicando a volte principi e valori fondamentali per l’esistenza personale, familiare e sociale»2. Papa Francesco ci avverte che stiamo vivendo non tanto un’epoca di cambiamenti, ma un vero e proprio cambio di epoca, che per noi diventa un kairòs: una situazione favorevole e opportuna offerta da Dio alla fede dei cristiani e agli uomini di buona volontà. Benedetto XVI, già sottolineava però che l’attuale cambiamento culturale non è una sfida al cristianesimo stesso, «ma un orizzonte sullo sfondo del quale possono e devono essere trovate soluzioni creative»3. In tal senso, «la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia»4. 2 Convegno Ecclesiale Ecclesiale di Firenze 2015, Invito In Gesù Cristo un nuovo umanesimo. 3 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti all’incontro dei rettori e docenti delle università europee, 23 giugno 2007. 4 Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n.40. 5 Che cosa dovrà fare la nostra Chiesa? La concreta e attuale situazione dei nostri giorni, esige una lettura di fede dei segni dei tempi, per riscoprire il linguaggio dell’amore nei confronti di questo uomo, confuso, perso e smarrito. E la parola d’amore che la Chiesa ha da dire all’uomo è Cristo. Per poter vivere questo compito è necessario annunciare con coraggio che «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, diventa anch’egli più uomo»5. La convinzione profonda che ci anima è la stima e la passione per il destino dell’uomo che secondo la parola di sant’Ambrogio, «è il capolavoro del mondo», «il culmine dell'universo e la suprema bellezza di ogni essere creato»6. Ai nostri giorni, questo annuncio appare difficile, se non incomprensibile, guardando alla grande confusione che regna sulla concreta realtà dell’uomo. Egli appare sempre di più un mistero, incommensurabile, sempre da scoprire, non solo per la sua identità, ma anche per la grande nebbia che, un certo tipo di cultura, ha prodotto intorno a lui. In questa nebulosa umana, riscopriamo come ancora più vere, le parole di san Giovanni Paolo II: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l'amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente»7. Questo è vero per tutti: per i consacrati e per gli sposi. Ce lo ha ricordato nel nostro Convegno diocesano suor Elena Bosetti, ma soprattutto la recente esperienza ecclesiale del Si5 Ibidem. Ambrogio, Exameron VI,75. 7 Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, n. 10. 6 6 nodo sulla famiglia che ha riportato alla luce l’esperienza dell’amore coniugale come il miracolo più bello della nostra storia umana. Per questo motivo, rilanciamo con gioia l’annuncio della verità integrale, piena d’amore, riguardante il mistero del matrimonio e il suo compimento nel matrimonio cristiano. Il mondo che non sa più parlare d’amore ha bisogno di quella naturale e vitale grammatica sulla sacralità della vita, sulla responsabilità della paternità e della maternità, sulla vocazione a realizzare nel mondo il matrimonio cristiano, reale icona ed esperienza della Trinità nel cuore dell’uomo. In questa direzione, auspico che si riscopra e si divulghi il grande Magistero di Giovanni Paolo II sulla persona umana, il matrimonio e la famiglia. Apprezzare, stimare, servire e custodire la famiglia ci porta a riscoprire la Chiesa come famiglia di Dio per l’intera umanità, esperienza concreta della vita redenta. Infatti il progetto di Dio è fare di tutti noi un’unica famiglia, in cui ciascuno lo senta vicino e si senta amato da Lui, come nella parabola evangelica, senta il calore di essere famiglia di Dio. In questo grande disegno trova la sua radice la Chiesa, che non è un’organizzazione nata da un accordo di alcune persone, ma - come ci ha ricordato tante volte il Papa Benedetto XVI - è opera di Dio, nasce proprio da questo disegno di amore che si realizza progressivamente nella storia. La Chiesa nasce dal desiderio di Dio di chiamare tutti gli uomini alla comunione con Lui, alla sua amicizia, anzi a partecipare come suoi figli della sua stessa vita divina8. Nella Chiesa, veramente sperimentata e vissuta per mezzo della presenza di Cristo, l’uomo torna ad essere di Dio e 8 Papa Francesco, Udienza Generale 23 maggio 2013. 7 per Dio. Le radici dell’uomo sono in Cristo, vero Dio e vero uomo, senza il quale la vita di ognuno di noi resta incomprensibile. «Solamente fidandoci di Gesù Cristo, conosciamo che il destino dell’uomo è partecipare della sua stessa figliolanza; è chiamata a oltrepassarsi incessantemente, non per divenire altro da sé, bensì per assumere la propria identità grazie alla relazione con l’Altro»9. A Cristo deve rivolgersi il nostro cuore, la nostra attenzione. Restano memorabili le parole del beato Paolo VI. Papa Montini si domanda: da dove riprendere la Chiesa? Da dove riiniziare il cammino? Quale la strada da percorrere? Quale la meta da raggiungere? Cristo, Cristo nostro principio; Cristo nostra vita e nostra guida; Cristo nostra speranza e nostro termine. Il nuovo Anno Pastorale, che ci proietta a Firenze, ci invita a focalizzare la nostra attenzione sulla concreta possibilità che in Cristo l’uomo ha l’opportunità di rinascere e di rispondere alla sua alta vocazione. «Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro (Rm 5, 14), e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo Amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione»10. Perché come insegna san Giovanni Paolo II, «Cristo, Redentore del mondo, è Colui che è penetrato, in modo unico e irrepetibile, nel mistero dell'uomo ed è entrato nel suo “cuore”»11. Le parrocchie, i gruppi, i movimenti e le associazioni, in questo anno riscoprano questa dimensione essenziale della 9 Convegno Ecclesiale di Firenze 2015, Invito. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 22. 11 Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, n. 8. 10 8 nostra fede: l’orientamento a Cristo Gesù! Ci auguriamo pertanto che i diversi appuntamenti, che la delegazione diocesana per il Convegno Ecclesiale di Firenze offrirà alla nostra Diocesi, siano vissuti da tutti con particolare intensità e partecipazione. Ma in questo anno pastorale un altro stimolo riceviamo dal Santo Padre Francesco per vivere con slancio la nostra missione ecclesiale, ovvero la lode e il ringraziamento per il dono della vita consacrata. Parlare della vita consacrata, all’interno del nuovo umanesimo è qualcosa di naturale, di affascinante e di evangelico. Infatti la vita consacrata è la presenza della carità di Cristo in mezzo all’umanità12. Anzi, i religiosi e le religiose sono chiamati a partecipare alla vita della Trinità, come effusione di gioia, come condivisione d’amore, confessando e annunciando l’amore che salva, redime e libera13. Per questo le persone consacrate meritano davvero tanta gratitudine da parte di noi tutti, perché la loro presenza «costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli»14. Come Vescovo di questa Chiesa, vorrei sottolineare pertanto la preziosità del lavoro apostolico, portato avanti dalla vita consacrata e mi riferisco in particolare alla ricchezza speciale contenuta nel “genio femminile” delle donne consacrate, alle quali sentiamo di esprimere la più grande riconoscenza. 12 Cf. Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le società di Vita Apostolica, Ripartire da Cristo un rinnovato impegno della vita consacrata nel terzo millennio, n. 40. 13 Cf. Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 29. 14 Giovanni Paolo II Vita Consacrata, 4. 9 Guardando alla vita consacrata e incamminandoci verso il Convegno di Firenze, vogliamo proporre quattro grandi esempi di consacrati, la cui santità e il cui carisma, costituiscono lo spessore di donne e uomini redenti, nuovi, attraversati dall’amore di Dio e profondamente appassionati all’umanità. Donne e uomini che con Sant’Agostino dicono da secoli: «Viva è la mia vita tutta piena di Te»15. Così da secoli stanno davanti a noi, san Francesco d’Assisi che vogliamo ripresentare alla Chiesa diocesana come custode della bellezza e della gioia; san Domenico di Guzman, come evangelizzatore; san Francesco di Paola, come santo a noi familiare e caro; santa Teresa di Gesù, nel suo V° centenario della nascita, per riaffermare l’unico e indiscusso primato di Dio. Noi guardiamo questi amici di Dio, sorelle e fratelli nostri e, insieme, desideriamo emulare il loro cammino e condividere un giorno la loro felicità insieme a Cristo. 2. San Francesco d’Assisi: custode della bellezza «Nacque al mondo un sole» scrive Dante nella Divina Commedia, parlando della nascita di Francesco d’Assisi, un «vero gigante della fede cristiana», come ha voluto chiamarlo Papa Benedetto XVI. Recandosi pellegrino ad Assisi, Papa Francesco ha sottolineato i due elementi inscindibili della sequela a Cristo di Francesco: l’amore per i poveri e l’imitazione di Cristo povero. L’incontro con Gesù lo portò a spogliarsi di una vita agiata e spensierata, per sposare “Madonna Povertà” e 15 Agostino, Confessioni, 10,28. 10 vivere da vero figlio del Padre che è nei cieli. Questa scelta, da parte di san Francesco, rappresentava un modo radicale di imitare Cristo, di rivestirsi di Colui che, da ricco che era, si è fatto povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà (cfr 2Cor 8,9)16. È stato detto che San Francesco rappresentava l’alter Christus. È stato chiamato «il fratello di Gesù»: questa familiarità con Gesù, fa scaturire in lui come una sorgente viva, l’amore per i fratelli e per tutta la creazione. Vogliamo prendere questi punti per ripresentare alla Chiesa diocesana la figura di questo gigante della fede: in primo luogo l’amore per Cristo in Francesco ha un risvolto pratico, immediato e necessario; l’amore per Cristo si esprime tra l’altro nell’adorazione dell’Eucarestia. Tutta l’umanità tema, l’universo intero tremi e il cielo esulti, quando sull’altare, nella mano del sacerdote, vi è Cristo, il Figlio del Dio vivente. O favore stupendo! O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi per la nostra salvezza, sotto una modica forma di pane17. Da qui la voce della Chiesa ripete ad ogni sacerdote: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai. Conforma la tua vita al mistero della Croce di Cristo Signore». Per noi sacerdoti, è necessario riscoprire e ripartire dall’Eucarestia, se non vogliamo ritrovarci anonimi burocrati del culto18. 16 Papa Francesco, Omelia S. Messa, Assisi, 4 ottobre 2014. Francesco di Assisi, Scritti, Editrici Francescane, Padova 2002, 401. 18 «Restiamo fedeli alla “consegna” del Cenacolo, al grande dono del Giovedì Santo. Celebriamo sempre con fervore la Santa Eucaristia. Sostiamo di frequente e prolungatamente in adorazione davanti a Cristo eucaristico. Mettiamoci in qualche modo “alla scuola” dell’Eucaristia. Tanti sacerdoti 17 11 Per Francesco d’Assisi, come un torrente scaturisce l’amore per i fratelli e le sorelle per le creature di Dio. Francesco è il modello riuscito di cristiano che si pone con gratitudine di fronte al mistero del creato. Egli, ormai cieco, mentre la luce stessa del sole gli procura dolore agli occhi, intona il Cantico delle creature, in cui chiama “bello” messer frate sole, le stelle, frate foco. La cosa straordinaria è che Francesco canta la bellezza di un mondo che lo fa fisicamente soffrire; ma egli ha sposato Madonna Povertà, ha rinunciato a tutto ed è in grado di gioire di tutto19. Possiamo godere della bellezza creata, se accettiamo con essa la croce che la redime. E la croce della bellezza non è chissà quale strana sofferenza; è l’amore, con quello che esso esige in fatto di fedeltà, di rispetto dell’altro, di obbedienza a Dio e al senso delle cose, e dunque di sacrificio e di rinuncia20. nel corso dei secoli hanno trovato in essa il conforto promesso da Gesù la sera dell’Ultima Cena, il segreto per vincere la loro solitudine, il sostegno per sopportare le loro sofferenze, l’alimento per riprendere il cammino dopo ogni scoramento, l’energia interiore per confermare la propria scelta di fedeltà. La testimonianza che sapremo dare al popolo di Dio nella Celebrazione eucaristica dipende molto da questo nostro rapporto personale con l’Eucaristia» San Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo, 23.03.2000, n. 14. 19 In questo sta l’insegnamento grande sulla perfetta letizia di cui si parla nelle Fonti Francescane e a cui è bene associare il passo della Lettera di Giacomo che dice: «Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,2-4). 20 R. Cantalamessa, Dalla Bellezza della Trinità a quella di Cristo e dell’uomo, XXVI Assemblea Nazionale della FIES, Sacrofano, 1 marzo 2014. 12 Per questo, la bellezza è solo quella del Signore Crocifisso. Il Cristo è sempre bello, anzi è «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 45,4), perché è un uomo offerto e consegnato a noi gratuitamente. Siamo chiamati alla santità, ma siamo chiamati anche alla bellezza. Che ne abbiamo fatto del mandato di custodire, creare e vivere la bellezza? Si tratta della bellezza della solidarietà, della gratuità e del perdono e non invece delle contrapposizioni, della mondanità e del calcolo. È la bellezza che rispetta il corpo dei meno fortunati e se ne prende cura. È la bellezza che valorizza ogni talento e ogni persona, rigettando la violenza, il sopruso e la denigrazione. È la bellezza che rispetta la nostra terra e non la trasforma in una discarica a cielo aperto, dove i rifiuti non sono solo la spazzatura, ma anche le persone scartate e dimenticate. Infine, si tratta della bellezza da vivere nelle relazioni, in cui nessuno dica all’altro: «Io non ho bisogno di te» (1Cor 12,21), perché ogni lacerazione è sfigurare la bellezza del corpo di Cristo21. Francesco del resto, sapeva che Cristo non è mai “mio”, ma è sempre “nostro”, che il Cristo non posso averlo “io” e ricostruire “io” contro la Chiesa, la sua volontà e il suo insegnamento, ma solo nella comunione della Chiesa costruita sulla successione degli Apostoli si rinnova anche l’obbedienza alla parola di Dio22. 21 Cf. E. Bianchi, Le parole della spiritualità, Piemme 2000, p. 43. Benedetto XVI, Catechesi Udienza Generale del Mercoledì, 27 gennaio 2010. 22 13 Per questo Francesco sia modello e intercessore per noi. Francesco d’Assisi, che hai riconosciuto la voce del Signore quando ti chiedeva di “riparare la sua casa”, aiuta anche noi a collaborare con la sua grazia per curare e fasciare le tante ferite che deturpano la bellezza della carne del Signore in mezzo a noi. Fa’ che seguendo il tuo esempio, possiamo essere anche noi veri fratelli e sorelle di Gesù, amanti e custodi della bellezza di ogni figlio di Dio e di tutto il creato. Per questo intercedi per noi, presso il più bello tra i figli dell’uomo, l’eterno splendore del Padre, il Cristo nostro Signore. Amen. 3. San Domenico, passione per la salvezza dei fratelli e delle sorelle Il tema della riforma della Chiesa suscita sempre grandi attese, in quanto Ecclesia semper reformanda est. C’è chi pensa che la riforma della Chiesa consista nel porre atti esclusivamente di governo, come se la realtà ecclesiale fosse un qualcosa di puramente aziendale. Nessuno nega che provvedimenti debbano essere presi, ma sono strumenti puramente umani e spesso corrotti da noi uomini e donne di Chiesa. Ma questo tentativo umano, sempre necessario per non peccare di omissione, non è da solo sufficiente. Infatti, sono i santi, guidati dalla luce di Dio, gli autentici riformatori della vita della Chiesa e della società. Maestri 14 con la parola e testimoni con l’esempio, essi sanno promuovere un rinnovamento ecclesiale stabile e profondo, perché essi stessi sono profondamente rinnovati, sono in contatto con la vera novità: la presenza di Dio nel mondo23. Sono i santi coloro che splendono per la loro spirituale capacità di leggere i segni dei tempi. In particolare in un tempo di grande prova per la Chiesa, quando la diffusione di diverse eresie (in particolare quella catara), rischiava di minare l’unità della Chiesa stessa, lo Spirito provvide a suscitare Domenico di Guzman per l’annuncio del Vangelo. Da parte del suo successore, il beato Giordano di Sassonia, abbiamo un ritratto sorprendente: «Infiammato dello zelo di Dio e di ardore soprannaturale, per la tua carità senza confini e il fervore dello spirito veemente ti sei consacrato tutt’intero col voto della povertà perpetua all’osservanza apostolica e alla predicazione evangelica». Questi secoli di storia che ci separano dai tempi di san Domenico, hanno testimoniato che l’aspetto essenziale del dono di Dio è la compassione che lo porta a consacrare la propria vita alla salvezza dei fratelli e delle sorelle. Questa passione in lui aveva due aspetti fondamentali. Era una passione eroica, perché gli chiedeva di mettere in gioco tutto, di spendere la sua vita per questa causa, sino ad accettare il martirio. Inoltre era una passione comunicativa, in quanto era consapevole che la salvezza avviene mediante la comunicazione della fede. Domenico ha scelto di consacrare il meglio delle sue forze ad un’opera di illuminazione sulle convinzioni del prossimo con la proclamazione della fede, il suo insegnamento. Questa è la sua opzione precisa e specifica. 23 Benedetto XVI, catechesi 13 gennaio 2010. 15 Come confermerà il Papa nel 1221: «Annunciare ai pagani il nome del Signore Gesù e spezzare ai fedeli il pane della Parola». La predicazione che Domenico vuole - e vive - è la predicazione della fede che nella contemplazione ha la sua unica e fondamentale fonte. Domenico predica e annuncia la misericordia di Dio perché Dio stesso gli ha donato di contemplare la sua misericordia. “Contemplare e donare agli altri quanto contemplato” (contemplarii et contemplata aliis tradere) è un moto che ben sintetizza il carisma di Domenico e dei suoi figli e figlie. Forse questa è una dimensione che non abbiamo così presente. Forse facciamo fatica a coglierne l’importanza, dando spazio a un annuncio spesso troppo orizzontale, sociale, poco kerigmatico. Anche la stessa parola “salvezza”, suona così strana alle nostre orecchie! Se ripresentiamo all’attenzione di tutti, la grandezza di Domenico è perché desideriamo che la sua passione per Dio e per la salvezza degli altri, ridiventi anche il motore della nostra attività pastorale. Nell’Evangelii Gaudium, Papa Francesco scrive che l’evangelizzazione è il compito della Chiesa e «questo compito continua ad essere la fonte delle maggiori gioie per la Chiesa: “Vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione”» (Lc 15,7)24. E questo compito è di tutto il popolo di Dio25. Infatti c’è una forma di predicazione che compete a tutti come impegno quotidiano. 24 Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n.13. «Ogni cristiano è missionario nella misura in cui si è incontrato con l’amore di Dio in Cristo Gesù; non diciamo più che siamo “discepoli” e “missionari”, ma che siamo sempre “discepoli-missionari”. Se non siamo 25 16 Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada26. L’invito che il Papa ci rivolge, riguarda proprio quell’indispensabile forma dell’annuncio della fede che passa da persona e persona. E qui ci sentiamo come Chiesa di dover rilanciare quella comunicazione della fede che passa naturalmente nelle case, nelle scuole e negli uffici, che una certa ritrosia alla testimonianza impedisce e camuffa. Ci affidiamo all’intercessione di San Domenico. San Domenico, la cui passione per la salvezza dei fratelli e delle sorelle rivela la grandezza del dono di Dio in te, aiuta la nostra Chiesa a riscoprire la preghiera convinti, guardiamo ai primi discepoli, che immediatamente dopo aver conosciuto lo sguardo di Gesù, andavano a proclamarlo pieni di gioia: «Abbiamo incontrato il Messia» (Gv 1,41). La samaritana, non appena terminato il suo dialogo con Gesù, divenne missionaria, e molti samaritani credettero in Gesù «per la parola della donna» (Gv 4,39). Anche san Paolo, a partire dal suo incontro con Gesù Cristo, «subito annunciava che Gesù è il figlio di Dio» (At 9,20). E noi che cosa aspettiamo?» Papa Francesco, Evangelii Gaudium, n. 120. 26 Ibidem. 17 perché l’annuncio di chi ha incontrato Cristo sia più vero, credibile, appassionato. Ricorda a tutti i fedeli di questa Chiesa che non vi è luogo dove non si possa predicare, che non vi è relazione in cui Cristo non possa essere reso presente. Fa’ che in ogni casa, aula, ufficio, fabbrica, strada vi sia un cristiano che con la sua vita diventi annuncio della misericordia di Dio. Presenta questa preghiera a Dio e accompagna la nostra Chiesa. Amen. 4. San Francesco di Paola, la carità della giustizia Nel V centenario della morte di San Francesco di Paola, Benedetto XVI, scrivendo al Superiore Generale dei Minimi, ricordava «la grandezza della sua santità e il disegno provvidenziale di Dio, che lo chiamò in quella difficile e importante fase della Chiesa nel passaggio dal medioevo all'età moderna»27. In questo frangente storico, confortati anche dalla grande devozione che la nostra gente ha per san Francesco, sappiamo di poter guardare a lui, che nella storia della Chiesa è stato paragonato a san Giovanni Battista. Francesco ha avuto una grande influenza nella Cristianità occidentale: santi come Francesco di Sales, Vincenzo de’ Paoli, Vincenzo Pallotti e Daniele 27 Benedetto XVI, Messaggio all'Ordine dei Minimi in occasione del V Centenario della morte di San Francesco di Paola, 27 marzo 2007. 18 Comboni sono profondamente legati alla spiritualità dell’eremita calabrese. Perché questo successo? I santi sono il segno di un continuo cammino di rinnovamento della Chiesa. Francesco di Paola, incarnando lo spirito penitenziale del messaggio di Cristo ha attirato lo sguardo di chiunque volesse servire nella Chiesa, in momenti difficili e di smarrimento. Infatti, la Chiesa, ogni qualvolta sente il bisogno di rinnovarsi, riparte dalla penitenza come aspetto fondante e primordiale del suo annuncio; dalla conversione interiore, infatti, scaturisce ogni cambiamento, perché la penitenza evangelica tocca il cuore dell’uomo e decide le sorti di qualunque altra azione riformatrice28. Non sfugge a nessuno di noi, quanto siamo bisognosi di conversione e di misericordia e di ritrovare sia singolarmente che come Chiesa, gli spazi e i tempi per dare il primato alla preghiera e alla meditazione. La grandezza del nostro Santo calabrese è testimoniata dal fatto che la sua devozione si è particolarmente diffusa nei ceti sociali più umili, verso i quali, in vita, ha avuto una grande predilezione. Come ricorda sempre papa Benedetto XVI: «L’ascesi, infatti, se da una parte educa lo spirito ad essere forte nel combattimento spirituale, dall'altra allarga il cuore alla carità verso i poveri»29. San Francesco è un santo veramente moderno. Egli è stato testimone di uno stile di vita in cui la più intensa mistica si è unita a un grande impegno sociale e politico. In lui vediamo un santo che, grazie alla sua intensa spiritualità, è stato un 28 29 Ibidem. Ibidem. 19 costruttore di civiltà: egli ha fatto della difesa dei poveri un segno eloquente della sua unione con Dio. I biografi narrano che davanti al Re Ferrante d’Aragona il santo spezzò in due una moneta d’oro, che gli veniva offerta per le necessità della sua Congregazione religiosa e ne fece sprizzare fuori Sangue vivo, e guardando fisso negli occhi il sovrano, disse: «Sire, questo è il Sangue dei sudditi che tu opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio». Come Chiesa siamo chiamati ad essere voce di un popolo che soffre per le gravi disuguaglianze sociali, acuite da una crisi che tarda a lasciarci. Non servono solo i proclami e le denunce, ma anche impegno concreto nella promozione del bene comune. In questo, accompagniamo il nostro popolo e aiutiamolo a prendere consapevolezza delle ingiustizie sociali che lo attanagliano, aprendo i cuori e le menti alla possibilità della rinascita, alla speranza. Guardando san Francesco di Paola, sappiamo che la carità alta che come cristiani e Chiesa, siamo chiamati a vivere è proprio quella della giustizia e dell’impegno nella sua promozione e diffusione, anche in taluni contesti in cui sembra predominante la criminalità organizzata di stampo mafioso. Se annunciamo il Vangelo della carità, non siamo esonerati dalle opere e dalla fatica della carità. Sappiamo di dover proseguire con impegno nella strada che lo Spirito ci ha indicato, per essere presenza autentica e profetica di una Chiesa che vive ed è incarnata in una terra povera e fragile. Continuiamo e incrementiamo la presenza e l’azione di quella Charitas che San Francesco di Paola sapeva capace di raggiungere le povertà di singoli e di famiglie, diventando segno concreto della nostra scelta preferenziale per i poveri. 20 Se amiamo i poveri, se siamo loro vicini, se li teniamo come il nostro tesoro è perché un tale posto hanno nel cuore di Cristo. Non chiediamo soltanto che il sistema statuale preveda una equa politica sociale, ma sentiamo anche necessario un cambiamento di prospettiva e di coerente testimonianza del nostro vivere come cristiani nella società. Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium tra i tanti spunti e sollecitazioni, ci ricorda il concetto di pace sociale: c’è la pace diplomatica tra le nazioni, c’è la pace politica tra i partiti, ma c’è anche la pace sociale tra i ceti e tra i cittadini. Su questa si riflette poco, eppure è oggi quella più dirompente perché le disuguaglianze e la precarietà del lavoro finiscono per mettere i cittadini e i gruppi sociali gli uni contro gli altri. A tal proposito, per questo nono anno della Scuola di Dottrina Sociale abbiamo scelto come tema, Noi come popolo noi come cittadini, per diffondere la necessità di recuperare un’identità e un’unità territoriale comune, ma aperta al mondo intero. Infine, prendendo in prestito le parole del Santo di Paola, un appello ai politici: «Ricordate la fiducia che in voi è stata posta, la fiducia dei poveri, degli ultimi, di chi attende un mano per rialzarsi. Se su di noi governate, governate bene e fate del bene, perché: «Guai a chi regge e mal regge» come scrisse san Francesco a Simone Alimena in difesa della gente di Paola, colpita dagli esattori del Re di Napoli». Ci affidiamo alla preghiera di San Francesco. San Francesco da Paola, la nostra Chiesa diocesana ti venera con amore suo protettore. La devozione a te cresce e si diffonde. Accompagna il nostro cammino nella Chiesa. Fa crescere nei nostri cuori 21 il bisogno di ritornare a Dio con cuori e menti rinnovati dall’amore che salva. Le difficoltà presenti non ci portino a disprezzare la terra natale che con te condividiamo. Fa’ che possiamo essere santi anche noi, perché rigenerati nel Battesimo e costruttori di una civiltà, perché infiammati dalla carità di Cristo. Accogli la nostra preghiera e presentala a Cristo nostro unico Maestro e Signore. Amen. 5. Santa Teresa D’Avila: Solo Dio basta La vicenda terrena di S. Teresa D’Avila o Teresa di Gesù, è davvero particolare. Quest’anno si celebra il V centenario della sua nascita. Nata nel 1515 dedicò i suoi 67 anni di vita al suo Sposo e Signore per la riforma dell’Ordine Carmelitano e per il bene della Chiesa. Una donna straordinaria, affabile, contemplativa e operosa, materna e determinata nelle sue scelte, assolutamente moderna, eppure vissuta nel XVI secolo! Alcuni aspetti della sua profonda e intensa spiritualità, ci coinvolgono. Teresa è simile alla donna Samaritana del Vangelo che cerca l’acqua per placare la sua sete che solo in Gesù riesce ad essere placata. 22 Dalla donna mistica che scopre di essere interamente “di Gesù” e parte di Lui, troviamo la donna credente e virile che lotta per affermare la dignità della condizione femminile, la scrittrice che inventa linguaggi nuovi per raggiungere tutti, la fondatrice e riformatrice dell’ordine per essere più fedele a Dio e alla Chiesa. Orfana dei genitori in età giovanile, lasciata dai fratelli che emigrano per l’America, sperimenta così l’assoluta appartenenza a Dio, Suo Sposo e Signore. Cosa ci propone questa santa? In primo luogo, santa Teresa propone la preghiera come amicizia con Dio; per lei pregare «significa frequentare con amicizia, poiché frequentiamo a tu per tu Colui che sappiamo che ci ama»30. Questo rapporto col Signore è il fondamento di tutto per Teresa al punto che alla fine della sua vita dirà: «È ormai ora, mio Sposo, che ci vediamo». La nota poesia Nada te turbe, nade te espante. Quien a Dios tiene nada le falta… solo Dios basta31, non nasce dal disprezzo delle cose terrene ma dall’orientamento decisivo verso il Signore. È un cambio di prospettiva che Teresa realizza pienamente e insegna anche a noi a viverlo. Teresa non ebbe una formazione accademica ma seppe nutrirsi attraverso la Parola di Dio in tempi in cui certamente non erano in molti a leggerla (tanto meno le donne!), i Padri della Chiesa, in particolare: san Girolamo, san Gregorio Magno, sant'Agostino e si fece aiutare e accompagnare nel suo 30 TERESA DI GESÙ, Vita 8, 5 Niente ti turbi, niente ti spaventi, chi ha Dio niente gli manca…solo Dio basta. 31 23 cammino da uomini di Dio. Fu indubbiamente proficuo il legame e la collaborazione intensa con il grande maestro spirituale S. Giovanni della Croce. Ciò che mi preme sottolineare è che santa Teresa nei suoi scritti accompagna il lettore (sia esso l’esercitante di un corso di esercizi spirituali oppure le novizie del Carmelo) passo passo all’incontro con Dio, partendo dalla sua esperienza e attingendo continuamente ad essa. Teresa non solo racconta, ma mostra di rivivere l’esperienza profonda del suo rapporto con Dio mentre la descrive. Questo la rende molto vicina a noi e mi auguro che in questo anno dedicato alla vita consacrata e in cui si celebra il suo centenario, possiamo attingere alla sapienza dei suoi scritti. Ancora troviamo in Teresa la valorizzazione di alcune virtù evangeliche come base di tutta la vita cristiana e umana: «il distacco dai beni o povertà evangelica, e questo concerne tutti noi; l'amore gli uni per gli altri come elemento essenziale della vita comunitaria e sociale; l'umiltà come amore alla verità; la determinazione come frutto dell'audacia cristiana; la speranza teologale, che descrive come sete di acqua viva»32. Infine per Teresa, «la vita cristiana è relazione personale con Gesù, che culmina nell'unione con Lui per grazia, per amore e per imitazione. Da ciò l'importanza che ella attribuisce alla meditazione della Passione e all'Eucaristia, come presenza 32 Benedetto XVI, Udienza Generale, 2 febbraio 2011. 24 di Cristo, nella Chiesa, per la vita di ogni credente e come cuore della liturgia»33. Teresa di Gesù, donna e religiosa di grande coraggio! Insegnaci l’arte della preghiera che racchiude il segreto dell’amicizia con Gesù; insegnaci ad amare il Signore con un amore intenso, appassionato e guidaci ad avere nella vita la tua determinazione per non indugiare nel compromesso e perderci in scelte accomodanti, poco evangeliche. Diventeremo così, anche noi, come te uomini e donne di Dio! 6. Una presenza luminosa e feconda Carissimi religiose e religiosi, dopo aver delineato alcuni tratti della vita di santi particolarmente significativi per noi per la loro spiritualità, desidero anche guardare la vita delle comunità religiose che rappresentate e ringraziare il Signore e voi per il dono di Dio che esprimete con la vostra presenza in Diocesi. Nella nostra piccolezza, il Signore ha colmato di doni la nostra realtà diocesana. Si, sono contento della vostra presenza luminosa e feconda. Luminosa perché la vita consacrata è benefica e le persone si lasciano interpellare più facilmente dalla gratuità con 33 Ibid. 25 cui voi offrite il tempo, le risorse, le capacità, ma soprattutto la vostra vita per le persone che vi sono affidate. La chiamata alla fede di Abramo è per voi una realtà concretissima: avete lasciato la casa, il lavoro, la famiglia, la vostra terra di origine per seguire il Signore Gesù. E questo non solo una volta, ma è un passo che rinnovate ogni volta siete chiamati a prendere e lasciare una nuova terra, un nuovo ambiente. La libertà di annunciare il Vangelo comincia da qui. «Si tratta di ripartire sempre di nuovo nella fede per un viaggio sconosciuto (Sap 18,3), come il padre Abramo, che partì senza sapere dove andava (cf. Ebr 11,8). È un cammino che chiede un’obbedienza e una fiducia radicali, cui solo la fede consente di accedere e che nella fede è possibile rinnovare e consolidare»34. Sono pertanto grato, a nome della Chiesa, a voi e ai vostri superiori che hanno accolto le istanze e le richieste del nostro popolo. Feconda, perché nell’offerta della vostra vita voi edificate la Chiesa. Questo è profondamente vero pur nelle varie stagioni che la vita consacrata ha attraversato nei secoli. Attualmente da più parti si sente parlare di crisi della vita consacrata. Questi decenni, dobbiamo riconoscerlo, sono stati un periodo di alti e bassi, di slanci e delusioni, di esplorazioni e chiusure nostalgiche, anche di persecuzione e non comprensione. L’esperienza del martirio è fortemente presente nella vita consacrata e questo la rende molto vicina alla vita di Gesù! 34 Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, seconda lettera per l’anno della vita consacrata, Scrutate – Ai consacrati e alle consacrate in cammino sui segni di Dio, 2014, p. 12 (Da questo momento citato col solo titolo Scrutate). 26 Continuando la metafora delle stagioni, potremmo definire il nostro tempo “autunnale”, perché caratterizzato da alcuni fattori problematici: i più evidenti sono l’età che avanza, le vocazioni che diminuiscono, le risorse dimezzate e quindi le opere ormai insostenibili. Cosa ci offre questo tempo? Come ogni stagione anche questo è un’occasione preziosa di vita, un’opportunità da giocare. In autunno la natura lascia morire ciò che deve rinnovarsi e questo passaggio è necessario perché ci sia una vita nuova. Non sarà così anche nella vita spirituale? Non ci è chiesto forse il faticoso ma indispensabile passaggio pasquale, dalla morte alla vita, per capire dove ci muove lo spirito di Dio? La paura della morte e la mancanza di sicurezze – esperienza esistenziale fortissima che accomuna tutti gli uomini – forse rischia di farci cadere nelle sue trappole, se perdiamo di vista l’orizzonte spirituale che abbiamo abbracciato e in cui viviamo. La vita consacrata vive una stagione di esigenti passaggi e di necessità nuove. La crisi è lo stato in cui si è chiamati all’esercizio evangelico del discernimento, è l’opportunità di scegliere con sapienza - come lo scriba, che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche (cf Mt 13,52) – mentre ricordiamo che la storia è tentata di conservare più di quello che un giorno potrà essere utilizzato. Rischiamo di conservare "memorie" sacralizzate che rendono meno agevole l’uscita dalla caverna delle nostre sicurezze. Il Signore ci ama con affetto perenne (cf Is 54,8): tale fiducia ci chiama a libertà35. 35 Scrutate, p. 30. 27 Quello dei consacrati è stato ed è un vero «cammino esodale»36, per usare una nota espressione di san Giovanni Paolo II. «Negli ultimi anni lo slancio di tale cammino sembra svigorito. La nube pare avvolga più di oscurità che di fuoco, ma in essa abita ancora il fuoco dello Spirito. Anche se a volte possiamo camminare nell'oscurità e nella tiepidezza, che rischiano di turbare i nostri cuori (cf Gv 14,1), la fede risveglia la certezza che dentro la nube non è venuta meno la presenza del Signore: essa è bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte» (Is 4,5), oltre l’oscurità»37. Eppure in questo cammino faticoso noi vediamo germi di vita in ciascuna delle comunità che rappresentate. La maggior parte di voi, provenendo da altre regioni, ha accolto la richiesta di venire al Sud, lasciando sicurezze consolidate e tutti vi siete aperti al nuovo con tante incertezze. La vostra vita, qui in Diocesi, è spesso spesa a servizio delle parrocchie e credo nella vostra presenza efficace e amorevole. Il nostro popolo vi vuole bene e vi stima. Accanto a questo sento che il vostro spendere la vita per il Vangelo non può prescindere dal vostro carisma, vissuto, annunciato, trasmesso. Quest’anno sarà prezioso per far conoscere i doni variegati dello Spirito e incarnati in voi. La presenza e il servizio in parrocchia infatti, rischia di omologare doni e carismi; dunque se è vero che lavoriamo tutti per il Vangelo e per la Chiesa di Dio, è pur vero che ciascuno di noi ne esprime una particola36 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Es. Ap. post-sinodale Vita consecrata, (25 marzo 1996), 40. 37 Scrutate, pp.11-12. 28 re nota, un singolare aspetto che, tanto più è vissuto e incarnato, tanto più sarà luminoso e attraente. Non si tratta di intraprendere iniziative divulgative o da propaganda, ma di trasmettere ciò che abbiamo ricevuto, con rispetto, con una retta coscienza38, con gioia! Sarebbe bello poter cogliere le diverse sfumature e tonalità con le quali ciascuno di voi vive e incarna il Vangelo, non per autocompiacimento (sarebbe vanagloria!), ma per lodare Dio che, amando la creatività, non si ripete mai! Da qui l’invito: siate voi stessi, siate ciò che il Signore vi chiama ad essere! Qual è il senso della vita religiosa oggi? Essere uomini e donne donate a Dio per gli altri e chiamati a vivere con gli altri, che scoprono così, attraverso voi, la bellezza e la gioia del Vangelo. Bellezza e gioia sono collegate. La bellezza della vostra vita susciti attrattiva, perché il Signore chiama sempre ma a voi è lasciata la responsabilità di donarlo al mondo. La gioia è frutto dello Spirito Santo (Gal 5,22), la gioia vera di sentirsi amati gratuitamente dal Signore e di vivere donando se stessi, portando a tutti la consolazione di Dio, la notizia dell’amore gratuito del Signore vivente perché, anche se nell’andare si va piangendo portando la semente da gettare, poi si torna con gioia portando i covoni (Sal 126,6). Credo che molti di voi abbiano sperimentato questo venendo qui al Sud. 38 Cf, 1Pt 3,16 29 La vita consacrata è chiamata così ad essere una lampada che illumina la via del Vangelo, lo esprime, lo realizza anche e soprattutto nella piccolezza, nell’amore per i poveri, nella forza di liberazione che solo la Parola di Dio è capace di operare. Non solo. Mi auguro che quest’anno dedicato alla Vita Consacrata ci aiuti a ripensarci insieme come Chiesa, una Chiesa di molte vocazioni, nella quale tutti sono riconosciuti e valorizzati per il dono che portano. I carismi, secondo l’immagine del corpo usata da S. Paolo, non solo esistono per l’edificazione della Chiesa ma sono tra loro complementari (cf. 1Cor 12-14), come dice Papa Francesco: La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa… Non si può riflettere sulla vita consacrata se non all’interno della Chiesa39. Siamo tutti chiamati a vivere il mistero di comunione voluto dal Signore ma sento di dire un grazie sincero per il contributo che i consacrati e le consacrate sapranno dare e per quanto già offrono col dono della loro vita. 39 JORGE MARIO BERGOGLIO, Obispo Auxiliar de Buenos Aires. Sinodo "La vita consagrada y su misión en la Iglesia y en el mundo", Roma, 1994, in «Vida Religiosa», vol. 115, n. 7, JulioSeptiembre 2013; tratto da Vita consacrata, n. 50, 2014/1. 30 Questo è il mio augurio, questa la mia preghiera per voi! O Dio Padre, Figlio e Spirito santo, Ti ringraziamo per il dono della vita consacrata, che nella fede cerca Te e nella sua missione universale invita tutti gli uomini e le donne a camminare verso Te che sei la via, la verità e la vita. + Luigi Antonio Cantafora Vescovo di Lamezia Terme Lamezia Terme, 29 novembre 2014, Primi Vespri della I domenica d’Avvento Inizio dell’Anno per la Vita Consacrata 31 INDICE Introduzione 3 1. In cammino verso il Convegno Ecclesiale di Firenze 5 2. San Francesco custode della bellezza 12 3.San Domenico, passione per la salvezza degli altri 16 4. San Francesco di Paola, la carità della giustizia 20 5. Santa Teresa d’Avila 26 6. Una presenza luminosa e feconda 29 32