Il risveglio della Cina: una minaccia o un`opportunità?

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IL RITORNO DELLA CINA : OPPORTUNITA’ O MINACCIA PER I PAESI INDUSTRIALIZZATI?
L’Oriente ha sempre suscitato in Europa una particolare attrazione: per le sue dimensioni geografiche e demografiche,
per la varietà di popoli, lingue e tradizioni religiose, per le ricchezze, reali o immaginate, comunque affascinanti, che
hanno alimentato una feconda letteratura che ha avuto tra i suoi primi capolavori il “Milione” di Marco Polo.
Centinaia di anni dopo, l’Europa, sviluppatasi tecnologicamente e industrialmente, ha coinvolto nel proprio mercato
molte regioni del favoloso Oriente, riducendole ad un ruolo economicamente e socialmente subalterno.
Anche la Cina, che oggi rappresenta una grande potenza finanziaria ed industriale, apparve nell’800 all’Occidente come
un territorio di conquista, e la stessa Repubblica Popolare Cinese, nata dopo una lunga serie di scontri interni da una
volontà di riscatto, è rimasta per anni ai margini della vita economica mondiale, attenta soprattutto all’esigenza di
assicurare la vita dei suoi numerosissimi abitanti, attraverso un’economica pianificata, diretta dalle Stato e dalle istituzioni
pubbliche regionali e locali.
La produzione ed il commercio interni cinesi hanno obbedito alle leggi statali, almeno fino alla fine degli anni Settanta; il
Governo ed i suoi apparati fornivano alle imprese pubbliche macchinari e materie prime, mentre i prodotti di consumo,
richiesti dalla popolazione, venivano forniti da cooperative incaricate della produzione e delle derrate alimentari per i
propri villaggi e della loro commercializzazione.
Nel 1979 la Repubblica Popolare Cinese ha cominciato ad abolire alcune restrizioni aprendo la strada all’investimento
estero e a un aumento degli scambi commerciali con Europa e Usa. In tutto l’Estremo Oriente, nel secondo dopoguerra
le grandi, piccole Tigri asiatiche hanno gradualmente aperto agli scambi con l’Occidente ed sono riuscite a conquistarne i
mercati, compiendo uno spettacolare balzo economico .
L’evoluzione economica cinese ha dato in un trentennio risultati straordinari, senza precedenti nella storia dell’umanità
sia per la veloce industrializzazione sia per il miglioramento del tenore di vita di cui hanno beneficiato centinaia di milioni
di persone in pochi decenni, pur in presenza di ampie zone ancora povere.
La Cina di oggi è dunque frutto di un miracolo economico innescato dalla politica di riforma avviata alla fine degli anni
’70 da Deng Xiaoping, e basata su una formula quanto mai contraddittoria, chiamata “socialismo di mercato”, che
mescola il socialismo nella politica statale con il capitalismo in economia, che apre progressivamente spazi al libero
mercato, pur mantenendo un forte controllo dello Stato nel limitare i diritti dei cittadini.
Questa formula ha permesso, alla Cina, negli ultimi anni di registrare un tasso di crescita economica il più alto a livello
mondiale, con il sorpasso degli USA, previsto per il 2013 e già avvenuto con 4 anni di anticipo.
Questo traguardo è stato però pagato con una crescita interna disuguale, geograficamente e socialmente : solo alcune
aree si sono aperte agli investimenti stranieri, con conseguenti grandi differenze tra zone economiche evolute, ad
immagine delle nostre città, e il resto del paese.
Inoltre nella società contadina cinese è in atto un processo di grave disgregazione a causa l’espulsione degli abitanti dalle
loro terre con la rottura di tutti i tradizionali rapporti culturali e famigliari. Proprio le scelte precipitose e dettate
esclusivamente dal profitto sono infine la causa dell’ l’inquinamento, costituito sopratutto dalle l’emissioni
nell’atmosfera di gas dannosi alla salute , divenuto un caratteristica tipica delle città cinesi.
Come viene vissuto in Europa e negli Usa questo grande e contraddittorio sviluppo cinese?
La
maggioranza
americani,
secondo
degli
una
ricerca, è convita che il
sorpasso cinese sia avvenuto
già da tempo, ancor prima
che a dichiaralo siano state le
statistiche.
L’americano
medio è sicuro che gli USA
soffrano
di
una
deindustrializzazione ben più
acuta di quanto essa sia in
realtà e determinata, in parte
significativa, proprio dallo
sviluppo delle Tigri asiatiche
e della Cina.
Le chiusure delle fabbriche e i licenziamenti di massa , sempre più frequenti, soprattutto in questa fase di grandi difficoltà
finanziarie , finiscono in prima pagina sui giornali, e il consumatore ha la percezione che i beni con l’etichetta “ Made in
China”, sempre più numerosi, stiano a dimostrare un vero e proprio capovolgimento di ruoli. Mentre i prodotti “Made
in Usa” e quelli a marchio CEE, che sono invece ben presenti in settori tecnologicamente avanzati, risultano meno visibili
al consumatore finale. Tutto ciò alimenta disaffezione verso libero scambio con i mercati orientali e cinesi ed induce
attese protezionistiche.
La preoccupazione è diventata ancora maggiore da quando la Cina è entrata nel WTO perché i paesi membri devono
ancora costruire il confronto con questa nuova potenza mondiale.
Ma l’ansia provocata negli americani e negli europei per questo loro declassamento è giustificata? Il fatto che la Cina
assuma un primato industriale danneggia irrimediabilmente il vecchio Occidente?
Una prima riflessione riguarda la situazione cinese. La Cina ha compiuto un passo da gigante che porta con sé impegni
altrettanto gravosi: l’indispensabile maggiore collaborazione con gli altri paesi del mondo, nello stesso tempo, la obbliga
al rispetto di tutti gli accordi e di tutte le norme che regolano la qualità dei prodotti e le leggi del mercato.
Inoltre anch’essa dovrà affrontare una dinamica di aumento dei costi e di miglioramento della qualità che le impedirà in
futuro una facile concorrenza con gli USA e l’Europa.
Il sistema manifatturiero cinese si avvale della delocalizzazione delle industrie occidentali attirate in Cina dai bassi costi
della manodopera. Oggi risulta da una ricerca che la convenienza alla delocalizzazione non è più scontata come prima.
L’attuale crisi obbliga le imprese a valutare molto attentamente i rischi finanziari e operativi lungo tutta la catena delle
forniture e della produzione quando si ha che fare con un altro Paese. In questo caso ci sono sempre elementi di
incertezza che una fase recessiva rende più delicati, perciò gli sbalzi del dollaro, del petrolio e l’aumento dei salari in Cina
costringono i manager occidentali a rifare i conti. La stretta del credito rende più costoso creare un impianto fuori dalla
madre patria.
In definitiva la Cina non è un contenitore inesauribile per la delocalizzazione delle produzioni. L’Occidente dunque non
deve pensare di essere fuori gioco, né di difendersi con misure protezionistiche.
Se la Cina continuerà la propria corsa, non si deve dimenticare l’apporto della tecnologia e della ricerca che sono oggi il
patrimonio di USA ed Europa. Ciò che oggi sembra un conflitto può essere invece la premessa di una collaborazione: ad
una Cina, che tanti problemi deve risolvere, il mercato occidentale può offrire soluzioni avanzate e progetti per
un’equilibrata crescita della società continuando ad accogliere i prodotti cinesi.
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