1. La socializzazione. La socializzazione è l’insieme di processi tramite i quali un individuo sviluppa lungo tutto l’arco della vita, con un numero indefinito di collettività il grado minimo di competenza comunicativa e di capacità di prestazione, compatibile con le esigenze de lla sua sopravvivenza psicofisica entro una data cultura e ad un dato livello di civiltà, in rapporto con tipi variabili di gruppo o di organizzazione atti a fornirgli i mezzi attraverso forme di scambio, e commisurati con i suoi successivi stadi di età. I n altre parole la socializzazione è il trasferimento di valori ed idee fondamentali della società dalla società stessa all'individuo e da una generazione all'altra. L’uomo è un animale sociale, quindi, se ha in comune con il regno animale i bisogni fisiolo gici, ha in più il bisogno di avere continuamente contatto con gli altri esseri umani. L’uomo è nato per stare in società. Nella socializzazione rientrano anche tutte le forme di ribellione e di devianza presenti all’interno della società perché sono comun que anch’esse forme di socializzazione, seppure non in linea con i valori dominanti della società. Con il termine socializzazione si intendono tre concetti: a) l’apprendimento delle prescrizioni di ruolo in forza delle quali l’individuo è plasmato come essere sociale capace di pensare e agire in conformità ai valori e alle norme dominanti nella società di cui fa parte. Attraverso la socializzazione l’individuo si formerà una struttura motivazionale tale da fargli trovare gratificante il fatto di agire come deve agire in base ai ruoli che gli sono prescritti. b) La riduzione dell’amplissimo rango di potenzialità che l’individuo possiede alla nascita ad un rango molto più ristretto, qual è confacente con i codici morali della società o del gruppo di cui fa parte. c) La relativa autonomia che l’individuo possiede dinanzi ai vari tipi di situazione cui si trova via via esposto, e la capacità di sviluppare un proprio modello di comportamento sociale rilevante e coerente, non necessariamente, o solo parzialmente, conforme alle aspettative di ruolo che via via lo confrontano, elaborando informazioni, stimoli, scambiando risorse, operando transizioni, in una sequenza aperta e flessibile per la maggior parte della vita. La socializzazione avviene tramite la comunicazione nelle agenzie di socializzazione. Le agenzie di socializzazione sono i luoghi dove avviene la socializzazione, sono di due tipi: l’agenzia di socializzazione primaria che è la famiglia e le agenzie di socializzazione secondarie che sono: la scuola, il mondo del lavoro, i gruppi formali ed in informali, le associazioni e i mass media. Per socializzazione primaria si intende quella che interviene nei primi anni di vita, mentre la socializzazione secondaria comprende tutti i processi successivi. Gli eventi della socializzazione primaria concorrono a strutturare pulsioni motivazionali più durature e profonde che non gli eventi della socializzazione secondaria. Gli stati di personalità strutturati durante la socializzazione primaria possono rimanere allo stato latente per lunghi periodi, e talvolta per sempre; in certi casi, tuttavia, essi sono eccitati e diventano fattori determinanti del comportamento per un periodo più o meno lungo. 2. Status e ruolo. Status e ruolo sono le modalità con cui l’emittente si pone nel la comunicazione. Lo status è il momento della comunicazione, si vive per carattere naturale, come per esempio il nascere figlio. Lo status è un complesso pluridimensionale di risorse sociali, di cose positivamente valutate o ambite in una società che sono attribuite o che comunque confluiscono ad una data posizione, ossia a chi la occupa; in questa accezione lo status è l’aspetto allocativo di una posizione sociale. Il ruolo è l’aspetto comunicazionale del comportamento, in quanto, grazie al ruolo si creano delle aspettative nelle persone con cui si comunica. Il ruolo è l’insieme delle norme e delle aspettative che convergono su un individuo in quanto occupa una determinata posizione in una più o meno strutturata rete di relazioni sociali, ovvero in un sistema sociale. Norme e aspettative provengono dagli individui che occupano le posizioni collegate a quella del soggetto; esse hanno per questi carattere esterno, oggettuale, in varia misura obbligante e costrittivo; sono suscettibili di diverse interpretazioni, e a seconda della situazione possono essere in varia misura rispettate o ignorate o evase. L’interiorizzazione dei ruoli cui ogni individuo è sottoposto a partire dalla primissima infanzia, a seconda del sesso, dell’età, della posizione nella famigli a, del tipo di istruzione e di lavoro, produce in tutte le società un elevato numero di persone che posseggono una struttura motivazionale conforme alle basilari esigenze di funzionamento del sistema politico, economico, culturale su cui la società si regg e. La stima di sé, il senso di decenza e di vergogna e le occasioni in cui essi si provano, le emozioni, i sentimenti, sono in notevole misura il prodotto dell’interiorizzazione del ruolo, ossia delle aspettative e prescrizioni di comportamento che molti g iudicano utili, adeguati, “giusti”. È questo lo scopo di ogni tipo di educazione e di socializzazione. Dal punto di vista dei valori dominanti in un sistema, siano essi collettivamente accettati o imposti da una minoranza, questo è un vantaggio sostanziale , perché riduce di molto il volume di controllo sociale necessario per ottenere che le persone facciano regolarmente ciò che, in riferimento a quei valori, si reputa esse debbano fare. Effetto preminente dei ruoli è l’orientamento del comportamento e dell’ azione sociale anche di persone che non li hanno per nulla interiorizzati. 3. La comunicazione verbale. La comunicazione verbale è costituita da tre elementi e da due passaggi. I tre elementi sono: l’emittente, il messaggio e il ricevente. Il primo passaggio è quello dell’emittente che trasmette un messaggio al ricevente. Affinché avvenga ciò, l’emittente deve avere l’intenzione comunicativa e saper rendere trasmissibile un’idea, quindi, deve compiere un’azione comunicativa, in quanto non c' è passaggio comunicativo senza messaggio. Il secondo passaggio è quello in cui il ricevente prima decodifica il messaggio, quindi, lo interpreta, per poi mandare all’emittente il messaggio di risposta, il feedback. Solo dopo che il ricevente ha mandato all’emittente il feedback si è certi che la comunicazione verbale è avvenuta. Tuttavia, la condizione umana è l’unica in cui si vive un paradosso, poiché nel momento in cui c’è una relazione interpersonale, essendoci un continuo scambio di messaggi, entrambi i soggetti, si alternano nei ruoli di emittente e ricevente, l’essere umano, quindi, è contemporaneamente soggetto e oggetto della comunicazione. 4. Classificazione delle forme comunicative. Abbiamo una prima divisione che è quella tra la comunicazione v erbale e la comunicazione non verbale. All’interno di entrambe troviamo delle altre forme comunicative. All’interno della comunicazione verbale troviamo quella dei mass media, per la quale merita un piccolo approfondimento il concetto di medium. Il medium è il mezzo fisico su cui viaggia la comunicazione, quindi, nella comunicazione verbale è la voce, nel caso della televisione è la televisione stessa, ecc. Secondo uno studioso della comunicazione McLuhan, nell’era dei mass media, si è verificata la situazi one in cui il medium si è sovrapposto al messaggio, facendosi esso stesso messaggio. Il medium, quindi, è la principale influenza del messaggio comunicativo. All’interno della comunicazione verbale vi è anche la differenza tra comunicazione interpersonale e comunicazione impersonale. La prima è caratterizzata dalla relazione tra due o più persone che hanno una certa forma d’intimità, caratterizza dunque prevalentemente le relazioni affettive e amicali. La seconda, invece, è caratterizzata dal ruolo. La comu nicazione impersonale, infatti, caratterizza una relazione tra due ruoli. La comunicazione non verbale comprende, invece, la comunicazione corporea, che è quella del nostro corpo e quella intrapsichica che è la comunicazione che avviene all’interno del soggetto stesso. Nella comunicazione intrapsichica rientra la classificazione che ha fatto Sigmud Freud della nostra personalità, che è divisa in 3 parti: l’es, l’io e il super io. L’es è la nostra parte inconscia, nella quale sono presenti i nostri istinti ed emerge con il sogno e con i lapsus e le amnesie. L’io è la nostra parte cosciente, mentre il super-io è la nostra parte razionale-normativa. L’io ha l’arduo compito di mediare tra gli istinti (l’es) e la razionalità (super -io). 5. L’ascolto attivo. L’ascoltatore deve possedere la capacità e l’intenzionalità di sperimentare due livelli compresenti: 1) deve comprendere empaticamente l’altro (l ’empatia, il mettersi nei panni dell’altro, precede una collocazione relazionale più sfumata e attenuata, che fa emer gere una più piena comprensione dei vissuti e delle comunicazioni dell’altro) e il suo mondo di significati; 2) deve sperimentare se stesso con le sue emozioni e sensazioni alla presenza dell’altro. L’obiettivo dell’ascolto è di essere aperti a tutti i messag gi dell’altro, ai suoi livelli dell’esperienza (parole, corpo, emozioni, ecc.), sospendendo sia la stereotipia della percezione sia il giudizio sull’altro. Mettere in atto le nostre capacità di ascolto non vuol dire attuare una ricezione passiva e poco car atterizzante di un messaggio. Comprendere i messaggi così come l’emittente li vede e li sperimenta, sospendendo le possibili comunicazioni, metacomunica che, in quel momento, lui è al centro del nostro interesse. L’ascolto attivo rende l’esperto una presen za viva e di “supporto”. Lasciarsi affascinare attraverso l’ascolto interessato, senza il bisogno ossessivo di attivarsi per mostrare le proprie capacità (quindi è importante, in questa fase, abbandonare l’ansia di prestazione a favore della capacità di la sciarsi interessare dall’altro), fornisce alla persona un feedback continuo e collegato all’esperienza nel presente. L’altro allora potrà chiarirsi “in progress”, ponendo attenzione alla sua consapevolezza, alle sue modalità di contatto, di relazione, di autoaffermazione. L’ascolto attivo, quindi, è collegato alla capacità di porsi momentaneamente sullo sfondo, per lasciare il posto all’altro. Gli atteggiamenti richiesti dall’ascolto attivo 1. Volontà di ascoltare: essere disposti a concedersi del tempo per f arlo 2. Volontà di aiutare: se non la sentite, aspettate il momento giusto 3. Sentirsi in grado di accettare lo stato d’animo dell’altro: qualunque esso sia 4. Avere fiducia nella sua capacità di gestire i propri sentimenti: 5. Ricordarsi che gli stati d’animo sono transitori, quindi non lasceranno un’impronta indelebile sul suo animo. 6. Le funzioni della comunicazione. La comunicazione è il processo nel quale si formano le nostre personalità e le nostre istituzioni, e per mezzo del quale esse si ricostituiscono nell a pratica. Le forme della comunicazione cui partecipiamo sono i “contenitori” della personalità, dei propositi della conoscenza e delle credenze cha abbiamo. Tutti gli individui, in ogni luogo ed in ogni momento della storia si impegnano in attività che coordinano le loro azioni con quelle di altri individui. Il coordinamento è il processo attraverso il quale le persone tentano di dar vita ad emanazioni congiunte delle loro visioni del bene, del desiderabile e dell’utile, e di impedire l’emanazione congiunt a del male, del brutto e di ciò che ostruisce. L’unità di analisi basilare per il coordinamento è la persona-in-conversazione. Solo le persone possono coordinarsi, poiché il coordinamento richiede una tensione tra il raccontare una storia e l’entità agente che esercita almeno qualche grado di volontà nell’adattare la sequenza emergente di azioni alle quali partecipa al repertorio di storie raccontate. L’unità di analisi basilare è data dalle persone come termine collettivo, non come aggregato di individui s enza connessioni. E’ la conversazione, l’interazione, la reciproca danza di azione ed interpretazione che costituisce la materia del coordinamento. Una descrizione completa di un’attività coordinata richiede il resoconto di una sequenza di azioni, ciascuna delle quali è co-costruita da due o più persone. Tutte le azioni avvengono nel contesto di un insieme a più livelli di storie di tutti i partecipanti e di tutti gli osservatori. Le forme di comunicazione sono diverse a seconda di come coloro che comunica no si trattano reciprocamente e a seconda della loro “lettura” delle storie che includono le loro “risorse”. Osservare queste caratteristiche significa mettere a fuoco il grado in cui i partecipanti si trattano reciprocamente “come nativi” e stabilire se e ssi mettono le loro risorse “a rischio”. Trattare qualcuno come nativo significa ritenerlo responsabile in base ai propri criteri interpretativi e valutativi. Trattare qualcuno come non nativo implica scoprire ed utilizzare i suoi criteri interpretativi e valutativi, anche se sono sostanzialmente diversi dai propri. La protezione delle proprie risorse dal rischio dipende dalla sospensione dell’incredulità, sospensione che nasce dal coinvolgimento profondo delle pr oprie storie. Mettere le proprie risorse a rischio significa leggere le proprie storie con una volontaria sospensione delle credenze, comparandole ad un modello emergente di comunicazione, e intendendo cambiarle se sembra appropriato farlo. Normalmente presupponiamo che gli altri siano molto simili a noi e che noi “conosciamo” le loro risorse: esse sono le stesse che noi abbiamo tratto dalla nostra cultura. Di conseguenza trattiamo gli altri “come nativi” della nostra cultura, aspettandoci che interpretino, valutino e rispondano agli eventi e agli oggetti del mondo come noi. Poiché si tratta di persone diverse con la propria personalità, ci aspettiamo che siano diversi da noi, ma ci aspettiamo anche che queste differenze siano interpretabili attraverso i no stri standard. Abbiamo quattro tipi di comunicazione: 1. La comunicazione monoculturale, nella quale gli altri sono trattati come nativi e le risorse non sono a rischio. Il termine denota un’attitudine ad agire come se ci fosse una sola cultura (la propria). 2. La comunicazione etnocentrica, che si realizza quando le risorse non sono a rischio, ma le altre persone vengono divise in due gruppi: nativi e non nativi. Alcune persone sono trattate come se non condividessero le risorse degli altri. 3. Comunicazione modernista: le altre persone sono trattate come non native e le risorse sono sistematicamente messe a rischio. Questa forma di comunicazione è intrinsecamente instabile e chiaramente in contrasto coi valori sostenuti in altri tipi di società. 4. Nella comunicazione cosmopolita gli altri vengono definiti come “tutti simili” in quanto tutti formati dalle peculiarità della loro cultura e della loro esperienza storica, e in quanto questa forma ha reso chiunque, in qualche misura, un nesso unico di realtà sociali multiple, e quindi diverso da chiunque altro. La comunicazione cosmopolita deriva dall’impegno di trovare modi di coordinamento anche tra gruppi molto diversi. 7. La Gestalt. Fondatore della psicoterapia della Gestalt è stato Frederick Perls, ex allievo di Sigmund Freud. Il termine Gestalt è tedesco, significa: figura, struttura, forma intera, configurazione; denota l’unità dell’entità che è maggiore rispetto alla somma delle sue parti. Lo scopo della Gestalt è l’integrazione di tutte le parti disparate; così le persone possono permettersi di diventare ciò che già sono e quello che potenzialmente possono diventare. Questa pienezza di esperienza può essere disponibile per loro sia durante la propria vita che nell’esperienza del singolo momento. Uno dei fattori basilari per vivere bene è la tendenza dell’individuo ad integrare i diversi aspetti della propria personalità, che spesso appaiono contraddittori, in una rappresentazione di sé che configuri un senso del sé intero. Nella Gestalt vi è il concetto di “organismo come complesso”. L’approccio della Gestalt è quello di definizione della natura umana in termini di totalità significative (sia biologiche che spirituali). La pratica gestaltica si basa sull’esplorazione del modo in cui questi bisogni umani emergono, vengono soddisfatti e frustrati. Quando si verificano esperienze non concluse si crea nell’individuo una tensione psicologica. La Gestalt affronta queste “faccende non concluse nella vita delle persone” rimuovendo le imposizioni, le distorsioni e le interruzioni nella formazione di esperienze di figura/sfondo vitali, significative ed adeguate nella vita quotidiana. L’operatore della Gestalt interviene quando le interruzioni divengono croniche ed opprimenti e può derivarne una menomazione temporanea o permanente. Spesso le situazioni non concluse nell’infanzia tendono ad interferire con i comportamenti, le percezioni ed i pensieri correlati al funzionamento efficace nel qui-ed-ora. 8. Finalità del counseling. Che cos’è il counseling? In inglese to counsel significa consigliare, in italiano il termine più appropriato è consultazione. Il counseling è un’attività in cui si ascolta qualcuno che chiede aiuto. Il counseling ha tra le sue priorità l’attenzione al corpo e ai messaggi che questo manda. Le funzioni del counseling sono: 1) Circoscrivere un problema, metterlo in evidenza, in modo che l’utente sappia cosa deve affrontare e se è meglio che lo faccia da solo o con l’aiuto di qualcuno. 2) Rafforzare la consapevolezza individuale sui problemi, che è una delle principali vie attraverso cui opera la prevenzione, accanto alla promozione di condizioni sociali, ambientali ed economiche che favoriscano la salute e all’incoraggiamento del ricorso al sostegno psicosociale nei servizi. 3) Aiutare l’individuo a definire obiettivi, prendere decisioni e risolvere problemi in rapporto a difficoltà personali, sociali, educativi o di lavoro. 9. L’approccio della Gestalt al counseling. La totalità cognitiva ed esperienziale di ogni persona, di ogni momento, di ogni evento è ugualmente centrale nell’approccio della Gestalt al counseling. La moderna Gestalt integra corpo, sentimenti ed intelletto inserendo la maggior parte dei bisogni di base delle persone entro il contesto dell’ambiente sociale. La Gestalt ha un approccio integrale al counseling, combina le conoscenze psicoanalitiche con l’inventiva nel processo, attraverso l’uso di tre strumenti: relazione, consapevolezza e sperimentazione. Un approccio al counseling orientato secondo la Gestalt è basato sull’assoluta ed inseparabile unità dell’esperienza corporea, del linguaggio, del pensiero e del comportamento; secondo la sua modalità di base, il corpo/mente reagisce come una totalità. 10. Il continuum di consapevolezza. Secondo Perls gli individui che seguono la propria consapevolezza passo dopo passo si muovono in un percorso organicamente determinato per soddisfare i propri bisogni. Durante questo processo, ogni momento influisce su quello successivo. Con la consapevolezza sbocciata pienamente in ogni momento, si schiudono sempre nuove possibilità. Ma poiché in ogni momento emergono simultaneamente differenti direzioni possibili, le direzioni che scegliamo, più o meno saggiamente, corrispondono ai bisogni che maggiormente premono in ciascuna persona. Accettare ogni consapevolezza, valutare i pro e i contro, è un utile contrappunto per focalizzare gli obiettivi e la scelta della direzione da dare alla propria crescita. 11. La relazione utente/counselor. Il punto focale è il momento per momento della relazione utente/counselor; in questo momento, l’obiettivo è un incontro autentico e completo tra queste due persone. Durante il lavoro, l’utente acquisisce risorse emozionali, sicurezza e libertà ed il counselor è visto come persona “reale”. Meno il counselor è sperimentato come puro sostituto proiettivo di figure provenienti dal passato, meno vengono utilizzati nel presente, modelli del passato. La Gestalt ammette che dal primo incontro in poi, utente e counselor si scambiano molti momenti di riconoscimento della rispettiva reale umanità. Sin dall’inizio della relazione utente/counselor, vi è una relazione di mutualità in cui vi è un cambiamento in entrambi. Il cambiamento produttivo può diventare possibile nel riconoscimento e nell’accettazione di che cosa è lui. Il counselor usa se stesso attivamente ed autenticamente nell'incontro con l'altra persona, invita la persona all'autonomia, all'autocura ed all'integrazione. La Gestalt da' grande valore all'impegno per la sperimentazione, la creatività e l'assunzione di rischio da parte dell'utente e del counselor. Il processo di counseling in Gestalt fornisce esperienze sul modo in cui la vita può essere vissuta in maniera piena e ricca. Unità psicosomatica: l'incontro di counseling non è solo verbale, ma coinvolge anche il linguaggio del corpo. L'utente è invitato attraverso la sperimentazione creativa a scoprire i propri significati per se stesso. Il counselor deve essere disposto a sviluppare tutte le sue potenzialità per essere autentico nel momento in cui invita l’utente a sviluppare tutte le proprie potenzialità; la Gestalt richiede al counselor un modo di vita compatibile con i valori su cui essa si fonda: propensione ad essere aperto alle esigenze dell'esistenza. 12. Gli elementi costituivi della relazione utente/counselor. La proiezione. Secondo la psicoanalisi, la proiezione indica l’operazione con cui il soggetto attribuisce all’altro ciò che esso rifiuta o non accetta come proprio (pensieri, sentimenti, desideri, tratti di personalità, ecc.). Costituisce il primo meccanismo di difesa della persona. E’ un meccanismo che si verifica nella parte inconscia della persona. La proiezione secondo l’approccio della Gestalt al counseling viene chiamata empatia, quindi, l’empatia è una proiezione al 100%, nel rapporto empatico, infatti, ricordiamo ed evochiamo. Il qui ed ora. Il “qui ed ora” è l’unica possibilità di vivere nel momento. Il contatto tra l’individuo ed il suo ambiente è come ognuno di noi realizza un contatto soddisfacente con il suo ambiente, quindi assume un ruolo fondamentale la percezione della realtà. Figura/sfondo. Ogni figura è particolarmente significativa in un determinato contesto, quindi in rapporto al suo sfondo, che a sua volta sorregge la figura. Lo sfondo può essere anche più importante della figura. Abbiamo bisogno di contestualizzare. La selezione degli stimoli fa in modo che siamo in grado di decidere ciò che riteniamo importante e ciò che lo è meno (figura/sfondo). Grazie a questo tipo di selezione noi interpretiamo la realtà. Vediamo una parte e costruiamo un tutto (il lato negativo è che costruiamo un tutto in base alle nostre ipotesi, quindi, prima conosciamo, poi dimentichiamo) con questa parte costruiamo dentro di noi stereotipi e preconcetti che ci fanno conoscere la realtà in modo limitato. Topdog/underdog. La polarità topdog/underdog corrisponde alla polarità tiranno/suddito, è la prima scoperta di Perls. Nell’uomo queste due figure sono presenti contemporaneamente. Nasciamo con una valenza biologica underground, crescendo il bambino comincia a formarsi la parte Topdog, che incamera le norme anche violente e prevaricatrici. L’adolescente, infatti, ha violenti passaggi dall’aggressività verso tutti, all’aggressività verso se stesso, al subire. Con il tempo dovrebbero accadere eventi correttivi da parte delle diverse agenzie educative, che attenuano i conflitti interiori tra il topdog e l’underdog interiori. Finché non c’è mediazione la persona si presenta di volta in volta con una sola polarità. Il topdog usa ordini, minacce, sarcasmo. Se non si risolve il conflitto interiore, il rischio è la somatizzazione. L’underdog si ribella in modo occulto e subdolo. Bibliografia di riferimento Clarkson P., 1992, Gestalt – Counseling, Roma, Sovera Multimedia Freud S., 1988, Psicopatologia della vita quotidiana, Roma Newton Compton Freud S., 1988, Sulla psicoanalisi, Roma Newton Compton Gallino L., 2004, Dizionario di Sociologia, Utet, Torino Giddens A., 1993, Sociology, trad. it. Sociologia, Bologna, Il Mulino, 1994 Luhman N., 1984, Sistemi sociali, Bologna, Il Mulino Mascilli Migliorini, 1989, La comunicazione nell’indagine sociologica , Roma, Nuova Italia Scientifica Perls F. S, 1973, The Gestalt approach and eye witness to therapy , trad. It. 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