battaglia di Sentinum - Riproduzioni storiche

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SENTINUM, 295 a.C. 1
2 SENTINUM, 295 a.C.
SENTINUM, 295 a.C. 3
PREFAZIONE
L’
Marco Astracedi e Ugo Barlozzetti
Sentinum, 295 a.C. La battaglia delle Nazioni
© 2006 Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, Ancona
idea di realizzare, in concomitanza con
il Convegno Internazionale su Sentinum e l’omonima celebre battaglia (ma non
solo e necessariamente in relazione ad esso)
un volumetto didattico dedicato all’iconografia del mondo centro-italico nell’epoca di tale
evento, con particolare riferimento a quella
degli eserciti che ivi combatterono, si inserisce
in primo luogo in quell’indirizzo di politica
culturale portato avanti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche che
ha cercato di promuovere a tutti i livelli una
“didattica” rivolta soprattutto alle scuole, ma
anche ad un più vasto pubblico.
Ma, nella fattispecie del caso, l’iniziativa
risponde anche alla profonda convinzione di
chi scrive della validità ed utilità di simili
strumenti, che – insieme con il cosiddetto “figurino storico” e con le rievocazioni scenografiche
“al vero” – sono largamente diffuse da sempre
nel mondo anglosassone e, successivamente,
francese, mentre assai meno da noi, in gran
parte a causa di un persistente preconcetto di
diffidenza, quando non dichiarato disprezzo,
Giuliano de Marinis
Mara Silvestrini
Tutti i diritti riservati
Soprintendenza per i Beni
Archeologici delle Marche
Progetto editoriale e grafica: Marco Astracedi (Pangea/EKOgroup)
Illustrazioni: Marco Astracedi (Pangea/EKOgroup)
Stampa: La Poligrafica Bellomo, Ancona
Settembre 2006
Per le immagini fotografiche si ringraziano le Soprintendenze Archeologiche del Molise,
di Napoli e Caserta, di Roma e di Salerno
La Soprintendenza Archeologica delle Marche è a disposizioni degli aventi diritto con i quali non
è stato possibile comunicare.
Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche
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Pangea
Via D’Annunzio 11. 60027 Osimo (An)
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da parte di molti studiosi nostrani, per questo
tipo di divulgazione, ritenuto nella migliore
delle ipotesi al livello di giochi per ragazzi che
si baloccano con soldatini e figurine (detto per
inciso, ci fossero più bambini che giocano con i
soldatini piuttosto che con i videogames!).
Riteniamo invece che tipologie di conoscenza di questo genere, se correttamente strutturate sulla base di precisi ed ineccepibili dati archeologici e storico-iconografici, rappresentino
in realtà un agile e – perché no – gradevole
mezzo di contestualizzazione del quale, a nostro modo di vedere, possono giovarsi “utenti”
di vario tipo e livello.
Nel caso in questione, questa pubblicazione
completa, in qualche modo, il prestigioso diorama della Battaglia del Sentino già esposto nel
nuovo Museo Civico Archeologico di Sassoferrato, realizzato a cura di Ugo Barlozzetti,
alla cui collaborazione con Marco Astracedi si
deve l’ideazione e stesura di questo volumetto.
Ad entrambi va il ringraziamento di chi
scrive, lasciandone l’apprezzamento a chi ne
fruirà.
Fodero bronzeo di spada celtica rinvenuto a Filottrano
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L’Italia nel 354 a.C.
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L’Italia nel 290 a.C.
PEUCEZI
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lla metà del IV secolo a.C., mentre
in Asia Alessandro Magno fondava
il più grande impero che si fosse mai visto, l’Italia era un mosaico di popoli (spesso riuniti in leghe) e città-stato con livelli
culturali e di organizzazione politica molto
diversi fra loro. Nell’Italia centrale gli Etruschi godevano ancora di una certa egemonia, ma erano città-stato spesso in lotta tra
loro e solo occasionalmente collegate per
contrastare pericoli comuni. Loro diretti
contendenti erano le tribù galliche, che nel
corso di ricorrenti migrazioni o spedizioni
militari verso sud, avevano quasi annientato la nascente potenza romana; occupavano
la pianura Padana fino all’Adige (confine
con gli insediamenti dei Veneti) e la parte
settentrione delle attuali Marche.
Delle colonie greche, solo Siracusa e Taranto si dimostravano vitali, lottando l’una
contro Cartaginesi ed Etruschi, l’altra contro Iapigi, Sanniti, Lucani e Bruzi.
Lungo la dorsale appenninica vi erano
Umbri, Marsi, Peligni e Sanniti, questi
ultimi premevano verso le coste, e in particolare verso i Campani. Si affacciavano
sull’Adriatico Piceni, Pretuzi, Frentani, Vestini e Marruccini. Gli Iapigi (Dauni, Peucezi e Sallentini) erano insediati in Apulia.
I Liguri occupavano l’attuale Liguria, le
Apuane e parte del Piemonte.
Importante la presenza cartaginese sulle
coste della Sicilia occidentale e della Sardegna, al cui interno erano i Sardi.
Roma, nel secolo precedente aveva conquistato l’etrusca Veio e assunto un ruolo
egemonico sulle altre città latine, costituendo una Lega, ed un certo controllo su
Sabini, Ernici e Aurunci, lottando con successo contro Equi e Volsci.
Mezzo secolo dopo, al termine delle
Guerre Sannitiche, di cui la battaglia di
Sentino è il momento decisivo, Roma, controllando l’intera Italia centro-meridionale,
era pronta a diventare potenza egemonica
del Mediterraneo.
SENTINUM, 295 a.C. 5
LA PRIMA GUERRA SANNITICA
A
ttorno al 350 a.C. Roma, pur sempre
impegnata a settentrione in scontri
con le città etrusche di Tarquinia, Faleri e
Cere, si era ripresa della sconfitta da parte dei Galli Senoni e dal sacco dell’Urbe
ad opera di Brenno nel 386 a.C. In seguito alle decisive sconfitte inferte ai Volsci,
tornato ad essere uno stato importante, dimostrò nuove mire espansionistiche oltre i
confini meridionali, in particolare verso la
fertile valle del Liri.
Ugualmente in una fase di espansione
erano i Sanniti. La tradizione vuole che essi
si siano separati dai Sabini con una Primavera Sacra (Ver Sacrum), cioè la migrazione
forzata dei giovani nati in un certo anno e
dedicati ad una divinità totemica, costretti
ad allontanarsi in cerca di nuovi territori.
I Sanniti costituivano una Lega che comprendeva le quattro tribù originarie (Pentri, Carricini, Caudini e Irpini). Avevano
forti rapporti con la Lega popoli che con i
Sanniti avevano rapporti di “filiazione” (secondo la tradizione, con il medesimo rito
del Ver Sacrum) come i Frentani e i Lucani.
L’espansione sannita dei diversi touta (così
si chiamava lo “Stato”, diviso a sua volta in
comunità più piccole con villaggi diffusi sul
territorio, il pagus) avvenne principalmente
in due direzioni: Apulia e la Campania occupata da Greci ed Etruschi.
Roma e Lega Sannitica, consce della
potenza che avevano e del rischio di impegnarsi in uno scontro che le avrebbe indebolite nei confronti di altri loro nemici, preferirono un accordo (354 a.C.) che
stabilì il corso del Liri come confine delle
rispettive sfere di influenza.
L’accordo resse per circa un decennio,
fino a quando i Sanniti non spinsero le
loro mire verso la Campania settentrionale,
territori compresi nella propria sfera di influenza. L’occupazione di quei vasti e ricchi
territori, però, preoccupava Roma, che per
intervenire aveva solo bisogno di un casus
belli. Questo si creò quando i Sanniti attaccarono i Sidicini, gente di lingua osca che
popolava il territorio di Teanum, che invo-
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L’ITALIA, PRIMA E DOPO LE GUERRE
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TERRITORI CONTROLLATI DAI SANNITI
carono l’aiuto dei Campani, altra popolazione osca, organizzata in una Lega di città
di precedente insediamento etrusco, che
aveva come centro Capua. I Sanniti mossero allora guerra direttamente ai Campani i quali chiesero l’intervento di Roma. I
Romani colsero l’occasione per contrastare
l’avanzata sannita senza essere formalmente i primi a rompere il trattato – in quanto
chiamati in causa da una città alleata – ed
inviarono un esercito verso Capua.
Le notizie pervenuteci sono confuse sull’andamento della guerra, che sembra avere
avuto un andamento alterno, con una prima serie di vittorie romane e i Sanniti che
riuscirono poi a respingere le forze nemiche al di fuori della Campania. Al termine
di due anni di combattimenti il conflitto
fu risolto per via diplomatica ristabilendo il
vecchio trattato con alcune modifiche che
portarono i campani sotto l’influenza di
Roma, mentre i Sidicini passarono sotto il
controllo sannita. Roma e Lega Sannitica
ebbero un periodo di pace durante il quale
i Sanniti furono alleati dei Romani quando questi dovettero affrontare la durissima
guerra (340-338 a.C.) che li contrappose
alle città ribelli della Lega latina.
Carta del Sannio e
del Lazio illustrante
la situazione nel
338 a.C., dopo
la Prima Guerra
Sannitica e la
Guerra Latina.
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Narnia
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a terza Guerra Sannitica viene giustamente ricordata anche come Guerra Italica, interessando non solo Roma e i
Sanniti, e i loro alleati storici, ma anche
tutte le genti dell’Italia centrale – Etruschi,
Celti, Umbri – unite con i Sanniti in una
autentica “Lega delle Nazioni”.
Sconfitti ma tutt’altro che annientati,
i Sanniti erano consci che non sarebbero
mai stati in grado, da soli, di sconfiggere i Romani. Roma, ormai diventata una
potenza di tutto rispetto, incuteva timore
nelle altre popolazioni italiche, e quindi
entrarono nella lega antiromana Sanniti, Etruschi, Galli e Umbri (ad esclusione
delle città di Gubbio e Camers, Camerino),
oltre a vari popoli minori (probabilmente
Sabini, Pretuzi, Vestini, Marsi). Roma rispose all’accerchiamento inizialmente per
via diplomatica alleandosi con Peligni,
Marruccini e Frentani (accerchiando il
Sannio da Nord-Est) e stringendo un patto antigallico con i Piceni.
La guerra esplose nel 302 a.C., con un
attacco romano preventivo in territorio
PIC
completamente penetrato, fece bloccare entrambe le uscite. I romani, chiusi in
trappola, tentarono inutilmente di aprirsi
la strada combattendo ma furono alla fine
costretti ad arrendersi. Gavio Ponzio decise di rilasciare i prigionieri dopo averli
però umiliati costringendoli ad inchinarsi
passando nudi e disarmati sotto un giogo
fatto con le lance. Alla disfatta delle Forche
Caudine seguì una tregua, a garanzia della
quale 600 cavalieri romani rimasero come
ostaggi.
Nei cinque anni successivi Roma riprese
l’attività diplomatica contro la Lega Sannitica stringendo accordi con città apule
e peligne. Furono poi impegnati a sedare
una rivolta dei Volsci (proprio nell’area del
Liri) i quali furono a loro volta aiutati dai
Sanniti, facendo così di nuovo esplodere il
conflitto. Dopo successi in Apulia e contro
i Volsci, i romani furono sconfitti a Lautulae, presso Terracina, e i Sanniti avanzarono
occupando il Lazio meridionale, da dove
però ritirarono parte dell’esercito per difendersi dalla potenziale minaccia di Taranto,
favorendo così il contrattacco romano. Nel
312 a.C. i Romani avevano riconquistato il
Lazio e la Campania settentrionale.
Nel 311, allarmati dalla crescente potenza romana, intervennero le città meridionali dell’Etruria. Sconfitti a Sutri l’anno
seguente e perse altre posizioni, gli Etruschi furono costretti ad accordi sfavorevoli.
I Sanniti, approfittando dell’impegno
romano a settentrione, attaccarono le forze
romane presenti in Apulia. Roma rispose
attaccando il Sannio occidentale ma fu costretta a ritirarsi. Il 305 a.C. fu l’anno risolutivo del conflitto. I Sanniti assalirono
la regione falerna, in Lazio, ma furono duramente sconfitti e i romani contrattaccarono su due direttrici, una contro l’esercito
sannita in ritirata verso Bovianum, capitale dei Pentri, espugnandola, l’altra verso il
Sannio settentrionale. In seguito alle gravi
perdite e alla minaccia costituita da Taranto, i Sanniti accettarono un nuovo trattato
(304 a.C.) favorevole ai Romani.
SA
inti i latini, Roma si dedicò nuovamente all’espansione territoriale verso
Sud, sia stringendo accordi con alcune città
campane e italiote (ovvero gli altri tradizionali nemici dei Sanniti), in particolare
con Taranto, sia fondando le colonie latine
di Cales e Fregellae, quest’ultima sulla sponda sinistra del Liri, in aperta violazione del
trattato del 341 a.C. I Sanniti risposero
stringendo accordi con altre città campane
come Nuceria, Nola e Napoli (o almeno la
frazione osca presente in città, mentre la
maggioranza greca era probabilmente filoromana).
Nel 327 a.C., dopo che i Lucani ebbero
sconfitto Taranto e quindi liberato i Sanniti da una minaccia sul fronte meridionale, quest’ultimi ebbero mano libera
di trasferire parte dell’esercito al nord.
A Napoli, con la fazione sannita al
potere, un esercito di 6000 sanniti
aveva occupato la città; dietro richiesta della fazione greca, Roma
inviò nell’ager napoletano e nella
valle del Volturno due eserciti,
mentre la guarnigione sannita a
Napoli fu fatta allontanare dai
greci con uno stratagemma; Napoli strinse quindi un’alleanza con
Roma. Questo, unito alla presenza
romana sul Volturno, in pieno territorio sannita, sancì l’inizio del conflitto,
limitato, nei primi due anni, ad una serie
di scaramucce.
I Romani tentarono di porre termine allo stallo inviando un esercito di 20.000 uomini attraverso il
territorio dei Sanniti Caudini fino
al cuore del Sannio, verso Malies
(Benevento), nel territorio irpino.
Il comandante (meddix tuticus)
della Lega Sannitica, Gavio Ponzio, intuì l’intenzione dei consoli
romani e radunò le truppe sulle
alture attorno alla Gola del Caudio (le Forche Caudine, passaggio
obbligato verso la regione degli Irpini) e dopo che l’esercito romano vi era
SENTINUM, 295 a.C. 7
LA TERZA GUERRA SANNITICA E LA
“LEGA DELLE NAZIONI”
SCI
LA SECONDA GUERRA SANNITICA
UMB RI
Disegno del
frammento
dell’affresco
da un ipogeo
dell’Esquilino
(sotto), copia
più tarda di uno
risalente al 304 a.C.,
illustrante la resa di
un città offerta dal
sannita M. Fannio
al console Quinto
Fabio Rulliano, lo
stesso che fu poi
vincitore a Sentino.
Musei Capitolini,
Roma.
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6 SENTINUM, 295 a.C.
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el corso del IV secolo, notevole
fu il ruolo, non solo culturale, del
mondo greco nelle vicende della penisola italiana.
Taranto come capofila delle città italiote (le poleis della Magna Grecia), per
opporsi ai “barbari” italici o iapigi, si
rivolse, per il grande prestigio militare
acquisito dai Greci nel periodo immediatamente precedente, a condottieri
come Archidamo da Sparta (345-341
circa), Alessandro il Molosso, il fratello
di Olimpia, madre di Alessandro Magno (333-330 circa), agli spartani Acrotato e Cleonimo (fino del IV sec.). Tali
interventi ebbero un ruolo non indiffe-
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PROBABILI ALLEATI SABELLICI DELLA LEGA ANTIROMANA
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etrusco e con l’alleanza con i Lucani (che
erano pur sempre “parenti” dei Sanniti),
completando l’accerchiamento del Sannio.
GLI INTERVENTI DALLA GRECIA NEL IV SEC.
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rente, condizionandone il conflitto con
Roma, per la minaccia che costituirono
per i Sanniti.
L’iniziativa più importante, alla fine
di questo periodo, fu quella di Agatocle,
che, con la sua politica di “orizzonte” ellenistico, per le sue relazioni con l’Egitto
di Tolomeo, Cirene e Demetrio Poliorcete, con Siracusa al centro del mondo
italiota e siceliota, fu capace, tra l’altro,
di mutare anche l’atteggiamento, tradizionalmente ostile, etrusco.
In particolare le sue campagne contro
Cartagine ne rivelano la lungimiranza:
in un certo senso Roma ne colse l’eredità
politica.
La situazione
territoriale
dell’Italia centrale
alla vigilia della
Guerra Italica
8 SENTINUM, 295 a.C.
Sotto, una legione
schierata, secondo
la descrizione di
Polibio.
Davanti ad ogni
manipolo, in ordine
sparso, vi sono i
velites, la fanteria
leggera destinata
a disturbare lo
schieramento
avversario; è
possibile che i
veliti venissero
raggruppati
in un’unica
formazione.
Con gli scudi
rossi, i manipoli
(divisi in due
centurie ciascuno)
degli hastati,
in formazione
serrata, a formare
un’unica linea di
scudi. Dietro gli
hastati, i manipoli
dei principes (in
azzurro), questa
volta schierati in
ordine aperto, con
gli uomini disposti a
scacchiera.
Per ultimo i triarii
(in verde), disposti
anch’essi in ordine
chiuso.
Sul fianco, i 300
cavalieri divisi in
dieci turmae.
SENTINUM, 295 a.C. 9
L’ESERCITO ROMANO
LA LEGIONE E LA FORMAZIONE MANIPOLARE
S
ul primissimo esercito romano, quello
della Roma dei re, sappiamo ben poco.
La cavalleria aveva probabilmente maggiore importanza che nelle epoche successive
(la tradizione ricorda un corpo scelto di 300
cavalieri, i celeres, come guardia del corpo di
Romolo); la fanteria, costituita anch’essa ad
una élite guerriera, combatteva in formazione aperta, in modo forse non dissimile
dal combattimento “eroico” dell’epica omerica, almeno fino ai re etruschi.
Gli Etruschi, entrati in contatto e spesso
in conflitto con i Greci dell’Italia meridionale, appresero da questi la tattica oplitica,
con gli uomini, appiedati, inquadrati in una
formazione compatta scudo contro scudo
e irta di lance – la falange oplitica – che
assalta l’avversario come un sol blocco, con
una nuova capacità di sfondamento. La
Roma della prima Repubblica mutuò dagli
etruschi la tattica oplitica, secondo la tradizione all’epoca del penultimo re Servio
Tullio alla metà del VI sec. a.C. L’esercito
serviano (o perlomeno quello repubblicano,
visto che la figura di Servio è ammantata di
leggenda) era composto da una falange di
4.000 uomini armati con lancia e spada e
difesi da una corazza per il busto, schinieri
ed elmo in bronzo e da un grande scudo
circolare (clipeus). La riforma serviana distingueva in base al
censo cinque classi di cittadini, chi si poteva permettere la panoplia oplitica da chi,
invece, aveva solo un armamento leggero;
quest’ultimi combattevano in formazioni aperte per disturbare le linee nemiche
e proteggere i fianchi dello schieramento,
insieme alla cavalleria (formata dalla ricca
aristocrazia), che aveva soprattutto compiti di ricognizione, copertura delle ali e
inseguimento del nemico sconfitto. Probabilmente la falange rimase affiancata da
più piccole formazioni meno rigidamente
strutturate, adatte alla guerriglia.
L’esercito romano, all’inizio delle guerre
sannitiche, era formato da quattro legioni
(legio significava “leva”) con una falange
di 3.000 opliti ciascuna, più la cavalleria e
le truppe leggere. La formazione a falange
aveva però il difetto della scarsa flessibilità,
come probabilmente appresero i romani
in seguito alla sconfitta da parte dei Galli
sul fiume Allia, nel 386 a.C., e come, quasi
certamente, constatarono contro i Sanniti,
con scontri in terreni montagnosi, nei quali
era difficile mantenere la rigida formazione
falangitica.
Già durante la battaglia di Sentinum, i
romani avevano adottato il più flessibile ed efficiente
ordine manipolare: la legione non era più
basata su un unico blocco, ma veniva divisa
in unità più piccole, i manipoli, più mobili
e manovrieri, che potevano sia concentrarsi
in un punto come aprirsi facilmente, e che
erano suddivisi in gruppi di combattenti
con armi e compiti diversi.
È possibile che una distinzione tra diversi tipi e linee di combattenti fosse già
presente nella legione falangitica (la suddivisione della classis in cinque classi censitarie diversamente armate, descrittta da Livio potrebbe farlo intendere). È altresì probabile che i romani abbiano adattato alle
proprie esigenze modi di combattere simili
a quello manipolare da popoli avversari
come, probabilmente, gli stessi Sanniti.
La legione secondo Polibio
Le informazioni, relativamente, più
complete ed affidabili sulla legione di epoca
repubblicana vengono
fornisce una descrizione al
tempo delle guerre latine
sensibilmente diversa, ma i
suoi dati sono, in questo caso,
assai meno affidabili e completi
che in Polibio. Quest’ultimo
descrive la legione divisa in
tre schiere – hastati, principes
e triarii – ognuna divisa in
dieci manipoli. Ogni manipolo di hastati/principes,
diviso in due centurie, sommava 120-150 uomini oltre
a 50-60 velites. Un manipolo
di triari, sempre su due centurie, contava invece 120 veterani
e un numero imprecisato di veliti.
Una legione così formata contava
4.200 uomini, compresa la fanteria
leggera. A questi si sommavano
Al pari delle singole
righe dei fanti
all’interno dei
manipoli, l’intera
legione poteva
schierare i suoi
manipoli in modo
diverso. In alto i
manipoli di hastati
(rosso) e principes
(azzurro) in ordine
aperto, a scacchiera;
sotto schierati in
un’unica fila.
Un console,
comandante
dell’esercito,
aveva sotto
il suo
comando
sei tribuni
per ogni
legione.
300 cavalieri, divisi in
turmae di 30, a loro
volta suddivise in squadroni di
dieci cavalieri.
da Polibio
(su cui sono basate
le ricostruzioni in queste pagine) e si riferiscono agli eserciti delle
guerre puniche, periodo posteriore di alcuni decenni rispetto alla battaglia di Sentino, durante la quale la legione era probabilmente ancora in una fase di transizione
dalla precedente tattica oplitica. Livio ne
Un esercito romano, al comando di un console, era costituito da due legioni
a cui si affiancavano contingenti di popoli alleati, composti da fanteria e, in
numero maggiore, da cavalleria. Sotto si vede la usuale disposizione sul campo
di un esercito, con le due legioni romane al centro, ai cui fianchi si schieravano
le altrettanto numerose fanterie alleate (divise in due alae), e la cavalleria,
composta soprattutto dagli alleati, ai lati dello schieramento.
Un Esercito così composto assommava 16-18.000 fanti e 2.500 cavalieri.
10 SENTINUM, 295 a.C.
L’arma principale
della legione
manipolare
era il pilum, un
giavellotto dotato
di una sottile asta
metallica lunga
circa 60 cm e con
una piccola punta di
forma piramidale.
Ne esistevano due
tipi, uno più leggero
(a sinistra), lanciato
per primo, e uno più
pesante (a destra)
con gittata più
breve.
Triario
L’ESERCITO ROMANO
GLI ALLEATI DI ROMA
VELITES, HASTATI, PRINCIPES, TRIARII, EQUITES, SOCII, EXTRAORDINARII
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uello romano era un esercito di cittadini in armi e non facevano eccezione
i comandanti, che venivano eletti annualmente, con compiti non solo militari. A
ciascuno dei due consoli, i magistrati supremi eletti annualmente, in caso di guerra
veniva affidato il comando di due legioni
assieme ai contingenti alleati. Se necessario, eserciti di minore consistenza erano
affidati ad un pretore.
Il console nominava sei tribuni militum, a due dei quali era affidato, a turno,
il comando di ogni legione. Il nerbo della
legione era costituito dai centurioni, sicuramente scelti tra i soldati con maggiore
esperienza.
Le due centurie di ogni manipolo erano comandate ciascuna da un centurione
e quello della centuria di destra (centurio
prior) aveva il comando dell’intero manipolo. Ogni centurione era coadiuvato da
dei “sottufficiali”: l’optio, il secondo in comando, un vessillifero (signifer), un cornicen (suonatore di corno, per dare gli ordini
in battaglia), e da un
comandante della
guardia (tesse-
Hastato / Principe
SENTINUM, 295 a.C. 11
rarius). Il centurione più alto in grado della
legione era il primus pilus.
I veliti, la fanteria leggera
Oltre un quarto dell’organico di una legione, secondo Polibio, era costituito dai
Velites. Si trattava di uomini che non potevano permettersi una panoplia completa, o
troppo giovani per operare con la “fanteria
di linea”. Loro compito era disturbare con
il lancio di giavellotti o pietre le linee avversarie prima dello scontro con la fanteria
pesante. Erano protetti da un leggero scudo
circolare (parma) e un elmo, a volte semplicemente di cuoio, su cui, come riportato
da Polibio, applicavano pezzi di pelliccia
(spesso di lupo), per essere meglio identificati dai comandanti, ma con un probabile
originale significato totemico.
Hastati e Principes, il nerbo della legione
I manipoli degli hastati erano quelli della
prima linea, destinati al primo impatto con
l’avversario, mentre ai manipoli dei principes, il fior fiore dei soldati, era destinato
il compito di penetrare nei varchi aperti
dagli hastati e infliggere il colpo decisivo.
Velite
LA CAVALLERIA CAMPANA
I
contingenti alleati (socii) dei romani
provenivano da diverse città e popolazioni che erano nell’orbita egemonica
di Roma (come le città latine) o genti
che Roma, nei secoli precedenti, aveva
costretto con la forza all’alleanza, come
Peligni, Marsi e Frentani, o assogettato
– è il caso dei Volsci o di Veio, ad esempio – e inglobati nell’ager romano; oppure si trattava di genti che erano legate
a Roma da comuni interessi difensivi,
come Piceni, Campani e Marruccini.
Proprio i Campani, gente di lingua
osca e ceppo sabellico, durante la campagna che culminò nella battaglia del
L’equipaggiamento difensivo comprendeva
l’elmo di bronzo, una piasta pettorale (kardiophylax), uno schiniere nella gamba sinistra (quella rivolta al nemico) e un grande
scudo ovale e ricurvo, composto di listelle
di legno sovrapposte coperte da cuoio. Al
tempo di Polibio l’armamento comprendeva una spada e due giavellotti (pila), uno
più pesante dell’altro; è però possibile che
al tempo della battaglia di Sentino uno dei
due schieramenti fosse armato con una
lancia (hasta) in luogo dei pila.
Triarii, i veterani
I triari, i veterani dell’esercito schierati
in un numero circa pari alla metà degli hastati/principes, erano l’ultima schiera della
legione e generalmente usati solo come
ultima risorsa, in situazioni di difficoltà,
tanto da ispirare la massima “res ad triarios
redit” (la cosa è ridotta ai triari) per indicare
situazioni disperate. Polibio li descrive armati di una lunga lancia (hasta) al posto dei
pila, ma per il resto equipaggiati come gli
altri legionari (i più ricchi potevano permettersi cotte di maglia di ferro, come in
uso tra i Celti); è possibile che al tempo
della terza guerra sannitica l’armamento di
tipo oplitico non si limitasse alla lancia ma
comprendesse tutta la panoplia.
Sentino,
fornirono un
importante contingente di 1.000
cavalieri, che ebbe un ruolo di rilievo
nelle fasi iniziali dello scontro.
Il contingente campano contribuì a
supplire alla cronica mancanza di buoni
e numerosi cavalieri da parte di Roma.
Livio descrive i cavalieri campani come un corpo scelto; facevano
quindi parte, con ogni probabilità,
di quel nucleo di fanti e cavalieri
alleati particolarmente valorosi che
formavano gli extraordinarii.
La cavalleria
La cavalleria romana, i cui compiti
erano soprattutto la
ricognizione e l’inseguimento dei nemici, era numericamente scarsa e forse anche
di qualità mediocre. I suoi membri
provenivano dall’aristocrazia (ordine
equestre) ed erano probabilmente
equipaggiati come opliti, con elmo, corazza
anatomica e scudo, lancia e spada. Cavalcavano a pelo, senza staffe, cioè senza poter
caricare “lancia in resta”.
Gli eserciti alleati
Gli alleati di Roma fornivano contingenti di fanteria pari a quelli romani ma
cavalieri in numero tre volte superiore. Gli
alleati (socii) venivano divisi in due alae poste ai fianchi dello schieramento romano;
ogni alae, al comando di tre praefecti romani era divisa in non ben definite coorti. Le
turmae della cavalleria venivano disposte ai
fianchi delle alii di fanteria, forse insieme
agli equites romani. Le truppe più valorose
(sia fanti che cavalieri) andavano a formare
una specie di “corpo speciale”, gli extraordinarii, usato, ad esempio, come avanguardia
durante le marce di trasferimento.
A sinistra,
cavaliere
campano da
una tomba di Nola
(330-320 a.C.)
Eques romano
12 SENTINUM, 295 a.C.
Sotto, un capo
celta, con elmo e
cotta di maglia di
ferro, armato di
spada e gaesum,
un giavellotto
interamente di ferro
(quindi costoso
e probabilmente
riservato all’élite
aristocratica) dotato
di grande forza di
penetrazione ma di
gittata limitata.
A destra, un
guerriero nudo,
difeso solo dallo
scudo, così come
descritto nei testi
e nell’iconografia
dell’epoca.
Quest’usanza aveva
forse anche un
significato religioso
o “sciamanico”, con
un possibile stato di
alterazione psichica
indotta.
SENTINUM, 295 a.C. 13
I NEMICI DI ROMA
I CELTI E I SANNITI
D
ella Lega antiromana al tempo della terza Guerra Sannitica facevano
parte Sanniti, Celti, Etruschi ed Umbri. A
questi si devono probabilmente aggiungere
altre genti minori o singole città italiche.
I Celti
Al Sentinum i padroni di casa, per così
dire, erano i Celti, o Galli secondo i romani
(Gàlatai o Kèltai, in greco), divisi in varie
tribù accomunate da lingua e cultura simile. Il territorio di Sentino era occupato da
circa un secolo dalla tribù dei Senoni, così
come la Romagna e le Marche a nord dell’Esino, mentre proseguendo a settentrione
s’incontravano Boii, Lingoni, Insubri, Cenomani, e altri. La tribù era un insieme di
clan, comandate da un re (rix) eletto tra i
guerrieri. Al vertice della gerarchia sociale
vi erano i sacerdoti (druidi) e i guerrieri, a
cui seguivano gli uomini liberi (artigiani,
contadini, commercianti) e gli schiavi. La
guerra era quindi un affare riservato alla
sola classe guerriera, che doveva la sua ricchezza e prestigio alla pratica stessa della
guerra, finalizzata non solo all’espansione
territoriale – in Italia, i
Celti occuparono territori già etruschi, umbri e
piceni – quanto alla semplice predazione di beni e schiavi, affiancata
dal mercenariato.
La fanteria era quella di gran lunga più
numerosa, ma la componente più importante di un esercito celtico, quella che fece
la differenza contro le statiche falangi etrusche o romane, era la cavalleria. Formata
dai membri più importanti e facoltosi dell’aristocrazia, era costituita sia da cavalleria
montata che da carri da guerra. Quest’ultimi, che ebbero un ruolo significativo alla
battaglia del Sentinum, non erano usati per
caricare direttamente le schiere avversarie;
il carro veniva piuttosto usato per terrorizzare l’avversario con la semplice massa alla
carica e il frastuono, correndo poi attorno
al nemico per lanciare giavellotti, oppure come trasporto veloce di guerrieri di
rango che combattevano poi appiedati.
I Galli, noti per spavalderia e indisciplina, di alta statura e biondi, portavano
grandi baffi; alcuni, con acqua e calce, si
sbiancavano i capelli che poi pettinavano
all’indietro formando una sorta di cresta.
I guerrieri si distinguevano indossando il
torques, un caratteristico collare rigido.
Le armi consistevano in lance e giavellotti, l’arma principale era però la lunga spada, molto adatta all’uso di taglio,
fatta però con metallo di scarsa qualità, tanto da potersi piegare facilmente.
L’armamento difensivo comprendeva
un elmo di bronzo, più o meno del tipo
“Montefortino” diffuso in tutta l’Italia,
uno scudo piatto di forma per lo più ovale
e, per i più ricchi, una cotta di maglia di
ferro, che poi iniziarono ad adottare anche i romani. Testimonianze letterarie e
iconografiche spesso mostrano guerrieri
completamente nudi, protetti solo dallo
scudo, forse “unità scelte” di guerrieri particolarmente valorosi.
Ipotesi ricostruttiva di
carro celtico da guerra.
I Sanniti
L’esercito della Lega Sannitica era
comandato da un magistrato eletto (con
poteri sia civili che militari, capo del touta)
detto meddix tuticus. Oltre alla presenza di
un’unità scelta, la legio linteata, i cui membri consacravano sé stessi alla lotta, sappiamo che il resto dell’esercito sommava ad
oltre 20.000 uomini, per un totale di circa
40.000 combattenti divisi in due corpi, detti exercita. Livio dice che uno dei due eserciti portava bianche tuniche di lino e scudi
coperti d’argento (in probabile riferimento
alla legio linteata) e l’altro tuniche colorate
e scudi dorati; questi particolari sono però
da prendere con una certa cautela.
Dal repertorio iconografico e archeologico, oltre che dalle fonti come Livio, sappiamo che i guerrieri indossavano, sopra
una corta tunica, un pettorale detto spongia (forse perché una spugna applicata sul
retro della corazza fungeva da
ammortizzatore) e una caratteristica cintura di bronzo, forse ricoperta di tessuto o cuoio. Indossavano inoltre un elmo di bronzo, del
tipo “Montefortino” o della variante
italica dell’elmo attico, sui quali erano applicate delle piume o creste
metalliche, e uno o due schinieri.
Portavano uno scutum ricurvo
che Livio descrisse di
forma trapezoidale, per
facilitare i movimenti, oppure scudi ovali o
circolari. Le armi erano
il giavellotto (le teretes
aclydes, munite di un’appendice lungo l’asta per
aumentarne la spinta inziale
con l’aiuto di una correggia)
e lance. Non risultano armi
da taglio, che pure dovevano essere diffuse, forse simili alle ricche spade
lanceolate delle genti sabelliche dei secoli precedenti.
Guerrieri sanniti
da un affresco di
Paestum della fine
del IV sec. a.C...
In basso, a sinistra,
la ricostruzione
di un guerriero
sannita.
LE FORMAZIONI DI
COMBATTIMENTO
I
Galli, con tutta probabilità, non avevano vere formazioni di combattimento, raggruppandosi attorno alle
insegne dei clan o attorno ai guerrieri più valorosi che
incitavano gli altri con azioni di sfida. Non bisogna però
pensare che fossero una massa incontrollabile, erano capaci invece a disporsi in formazioni aperte o chiuse, che
sfruttavano la capacità difensiva offerta dai grandi scudi,
e con queste a muoversi, come testimoniato da Livio o
autori più tardi come Cesare.
Più problematica la comprensione delle formazioni
di combattimento dei Sanniti. Di questi, le fonti letterarie pervenute non descrivono chiaramente disposizione
sul campo e modo di combattere, ma si può comunque
ipotizzare un’organizzazione non assai diversa dalla legione romana manipolare. La legio linteata, una sorta di
corpo di élite di cui parla Livio riferendosi alla campagna del 293 a.C. era composta di 10 unità minori di
1.600 manipulares cadauna, forse a loro volta divise in
quattro unità di 400 uomini. Livio, riferendosi al resto
dell’esercito, chiama queste unità di 400 uomini coorti,
dividendole in due manipoli (comandati da un centurio
prior e posterior), a loro volta formati da due centurie.
La descrizione liviana potrebbe riportare alcuni anacronismi, inserendo termini e strutture note dal più tardo
esercito romano del suo tempo, però l’esistenza della tattica manipolare tra i sanniti spiegherebbe anche la sua
adozione da parte dei romani proprio durante le guerre
sannitiche. La divisione della coorte in due manipoli,
potrebbe far pensare ad una divisione dell’esercito in due
linee, una armata di giavellotti e scutum, l’altra, di tipo
oplitico, con aste e scudo rotondo, identificabile in alcune raffigurazioni plastiche o su affresco.
14 SENTINUM, 295 a.C.
A sinistra, un oplita
etrusco, in una
ricostruzione basata
sul celebre “Marte di
Todi” statua di scuola etrusca del IV sec.
Si noti la caratterisca corazza lamellare e l’elmo del tipo
etrusco-corinzio,
derivato dall’elmo
greco che copriva
tutta la faccia, ma
in Italia usato solo
come casco.
A destra, un guerriero umbro, con un
equipaggiamento
misto di tipologia
picena-latina
(antiquato elmo
piceno, scudo
circolare) ed etrusca
(corazza e
schinieri);
la spada è la
versione
italica della
machaira
greca.
I NEMICI DI ROMA
ETRUSCHI ED UMBRI
E
truschi ed Umbri (almeno secondo
Livio) non presero parte allo scontro
del Sentino, è però possibile che, oltre a
rivestire un’importante ruolo nell’ottica generale della guerra, alcuni contingenti fossero comunque presenti alla battaglia.
Gli Etruschi
Già antichi avversari dei Sanniti, che a
loro sottrassero la costa campana, dei Galli
che occuparono a loro volta ne occuparono
i territori a Nord dell’Appennino, e con alterni rapporti con gli Umbri, gli Etruschi
si unirono ai loro nemici per contrastare
l’altra e sempre più pericolosa minaccia:
Roma. I rapporti con l’Urbe (che nei primi
secoli della sua vita era una città sostanzialmente etrusca) dal V secolo erano ostili.
Non bisogna però pensare ad una ostilità
tra entità statuali unitarie, perché l’Etruria
era un insieme di città-stato indipendenti,
sia pure collegate (in modo incostante) in
una lega sacra delle dodici principali città, che non furono quasi mai unite nella
lotta contro Roma, ma solo alcune di esse
mentre altre potevano rimanere neutrali e fors’anche alleate. Qualcosa di simile
dovette avvenire anche in occasione della
terza guerra sannitica, per cui alcune città
presero parte attiva nella Lega antiromana,
altre furono alleate di Roma.
Non sappiamo con precisione come fossero armati i guerrieri etruschi all’inizio del
III sec. a.C. La maggior parte dei reperti
archeologici e delle fonti iconografiche risalgono a periodi precedenti, e anche fonti
quasi contemporanee, come le decorazioni
nel sarcofago delle Amazzoni, risentono
pesantemente della stereotipata influenza
stilistica greca. Si può comunque pensare che gli etruschi avessero mantenuto la
tattica e la panoplia oplitica, affiancati da
cavalleria e fanteria leggera. L’oplita etrusco del III-IV sec. a.C. aveva una corazza
composta di numerose sottili lamelle metalliche cucite sul corpetto di cuoio o lino.
Gli Umbri
Dal punto di vista territoriale, l’Umbria
era anch’essa un insieme disunito di cittàstato (trifu), di cui a volte restano le imponenti mura poligonali. L’Umbria era un’area
compresa tra altre che ebbero grande influenza sulla propria cultura; in particolare
Etruria e Piceno erano aree di importante
importazione di materiale anche bellico,
tanto da rendere ben difficile distinguere
armi ed armature (e oggetti interessanti ai
fini ricostruttivi come i bronzetti) importati
da quelli prodotti in loco, in genere su modelli etruschi, piceni o gallici. Si può quindi pensare che il guerriero Umbro fosse un
oplita (se poi combattesse in formazione
falangitica non è dato a sapere), affiancato
da truppe leggere. Il suo equipaggiamento
era un misto di armi e armature principalmente di tipo etrusco e piceno.
GLI ANTEFATTI POLITICO-MILITARI
ALLA BATTAGLIA
G
ellio Egnazio riuscì a far riprendere
ai Sanniti l’iniziativa strategica, mettendo a frutto l’accorta politica di alleanze
maturata dopo la pace subita con la seconda guerra contro Roma e che aveva anche
visto una crescente volontà da parte delle
città dell’Etruria interna centro-settentrionale, di reagire all’espansionismo di quella
che si stava configurando come uno stato
capace di organizzare, oltre la dimensione
cittadina, una struttura territoriale con un
tessuto di relazioni originale ed efficace
sul piano politico, militare ed economico.
Inoltre, non dovevano mancare agli Etruschi preoccupazioni per la crescente sensibilità “marinara” romana rivelata dalla
fondazione di colonie marittime e i trattati
con Marsiglia e Cartagine.
Quest’ultima città era in quei tempi in
durissima lotta con Agatocle di Siracusa,
nei cui confronti le città etrusche appunto
sembra che stessero mutando l’antica inimicizia nei confronti della metropoli siceliota, avendo inviato rinforzi di uomini e
navi. Il fatto nuovo, e rivelante, fu proprio
la possibilità di coalizzare in senso antiromano potenze fino allora tradizionalmente
avversarie, come i Sanniti, gli Etruschi e i
Galli, forse “recuperando” per questi ultimi una nuova pressione migratoria. Proprio questa componente fu indubbiamente
l’elemento di maggior preoccupazione per
i Romani: la loro minaccia si stava rinnovando. Anche gli Umbri, dopo la fondazione della colonia latina a Narnia davano
segni di una preoccupazione tale da superare la diffidenza nei confronti dei Galli
Senoni che avevano loro strappato territori
che si affacciavano all’Adriatico, tanto che
il maggior numero delle genti umbre aveva aderito all’alleanza con i Sanniti. Così il
più forte contingente sannita era riuscito a
raggiungere il collegamento con gli Umbri,
gli Etruschi e poi i Galli, con un’audace - e
non si sa quanto difficile - marcia, attraversando il territorio ostile dei Peligni - che
dopo la battaglia del Sentino attaccarono
gruppi Sanniti in ritirata, infliggendo loro
gravi perdite! - e quello dei Vestini, avendo
risalito il corso dell’Aterno per scendere
poi dalle montagne a Rieti, alleata come
Norcia, Spoleto e Foligno. La guerra era
iniziata dal casus belli offerto dall’alleanza
stretta tra Roma e i Lucani, quando questi furono assaliti dai Sanniti. Il Sud, tanto l’area apula che quella lucana, fin dalla
guerra precedente era stato considerato
importantissimo dai Romani, sia per aprire
un fronte alle spalle dei Sanniti quanto anche per controllare gli sbocchi della transumanza invernale, acquisendo così un ruolo
fondamentale nei confronti delle genti
della Lega Sabellica e minacciando gli interessi economici dello stesso Sannio. Le
operazioni militari avevano visto l’attacco
al Sannio, ad Est dall’Apulia e da Ovest
dalla media valle del Liri e dalla Campania settentrionale; addirittura Cneo Fulvio
sarebbe riuscito a saccheggiare Aofidena,
avendo risalito la valle del Sangro grazie
all’alleanza con i Peligni. I Romani non si
erano potuti sostenere però nel territorio
nemico e si erano dovuti accontentare
di darlo al guasto. A Roma quando
giunse la notizia della nuova dislocazione degli avversari, si percepì il
pericolo che incombeva: fu organizzato un arruolamento esteso perfino ai liberti, Appio Claudio si ritirò
con le sue truppe dalla Campania
Settentrionale, cui reagirono i Sanniti con un’invasione - che pur essendo
evidentemente solo un diversivo - fu
arrestata solo grazie all’intervento
di Q. Fabio Rulliano e Volumnio Flamma
che fondarono allora due nuove colonie –
Sinuessa e Minturno – di chiara importanza
strategica. Le operazioni si concentrarono
per il momento nell’Etruria Centrale, tra
Chiusi e Perugia, con alterne e non chiarissime, allo stato attuale della ricerca e sulla
base delle narrazioni pervenute, vicende.
SENTINUM, 295 a.C. 15
Elmo italico del
tipo “Montefortino”
rinvenuo nel
santuario sannita di
Pietrabbondante.
Elmi di questo tipo
erano diffusi in
tutta l’Italia centrale
e usati, quindi sia
dai Sanniti che dai
Romani, dai Celti e
altri popoli.
Questo elmo,
facente parte
di un’offerta
votiva, era forse
appartenuto ad un
militare romano
(probabilmente di
alto rango, visto
la preziosità del
reperto) sconfitto
dai Sanniti.
16 SENTINUM, 295 a.C.
GLI ESERCITI VERSO SENTINO
L
a preoccupazione dell’addensarsi
di un poderoso esercito formato da
quattro grandi popoli indusse i Romani ad
agire, probabilmente nel timore che i loro
stessi alleati, e i Piceni fino allora neutrali,
decidessero o fossero costretti a mutare
atteggiamento.
Si mosse così l’esercito dei due consoli,
Q. Fabio Rulliano, con la prima e la terza
Legione e P. Decio Mure con la quarta e la
sesta; vi era inoltre un grosso contingente
Sotto, il probabile
di cavalleria romana e mille cavalieri scelti
itinerario seguito
dall’esercito sannita, inviati dalla Lega Campana e un esercito
di alleati e di Latini più numeroso di quello
nel 296 a.C., per
stesso dei Romani. Altri due eserciti furono
raggiungere i
inviati - e si rivelarono assai importanti - a
territori umbri
fronteggiare l’Etruria, coprendo Roma uno
ed etruschi, e,
nell’anno seguente, nel territorio falisco e l’altro, addirittura,
nell’agro vaticano, alle porte della città; sul
i possibili percorsi
fronte meridionale, verso il Sannio, il proseguiti dai Sanniti
console Lucio Volumnio combatteva con
e dagli eserciti
la seconda e la quarta Legione.
consolari di
Vi sono diverse ipotesi per il percorso
Decio e Fabio per
più probabile per questa massa di combatraggiungere i
territori sentinati.C E L tenti e le relative salmerie. Il teatro delle
TI
SENONI
Sentinum
PIC
Iguvium
EN
ETRUSCHI
I
Perusia
Clusium
Aharna
Camerinum
UMBRI
I
TUZ
PRE
SABINI
Narnia
Reate
VESTINI
MARRUCINI
Falerii
EQUI
ROMANI
ROMANI SENZA
Roma
DIRITTO DI VOTO
ALLEATI LATINI
COLONIE LATINE
ALLEATI DEI ROMANI
PROBABILI ALLEATI
DELLA LEGA ANTIROMANA
PELIGNI
MARSI
ERNICI
VOLSCI
SA
NN
ITI
complesse operazioni precedenti, nel testo
liviano, si svolgono nei pressi di Chiusi, il
cui antico nome (Camars) può aver determinato equivoci con la citazione di Polibio
relativa a Camerino. Il luogo di raccolta
dell’esercito romano sembrerebbe, sulla
base di un’interpretazione di Livio, abbastanza condivisa, essere stato Aharna,
l’attuale Civitella d’Arno, a dieci chilometri da Perugia. Da questa località, per
raggiungere la zona di Sassoferrato, vi è il
percorso che da Gubbio - allora una delle
poche città umbre alleate a Roma - porta
al Passo dello Scheggia, l’altro, che porta
alla Piana di Fabriano. Sembra da escludere invece la via che attraversa la gola di
Frasassi. Da Fabriano ci sono due varianti,
una che passa da Collegiglioni e Genga,
riallacciandosi con il percorso proveniente da Frasassi, superata la gola, ma appare eccessivamente tortuoso; il più facile è
quello che costeggia l’attuale linea ferroviaria Fabriano-Sassoferrato: quest’ultima
direzione avrebbe permesso un adeguato
controllo rispetto al nemico. Da Civitella
d’Arno alla piana di Fabriano, il tragitto
più breve è quello che dalla Valle del Chiascio giunge a Casa Castalda proseguendo
per la Valle del Rasina e Gualdo Tadino
a Fossato di Vico. Quest’ultima località è
raggiungibile anche da Foligno, che però in
questo periodo era un centro umbro alleato
ai Sanniti. Alla luce di queste ipotesi e valutando la rapidità delle comunicazioni romane per quell’efficace diversivo narrato da
Livio, che alla vigilia della battaglia induce
i contingenti Etruschi, almeno per la gran
parte se non tutti, ad abbandonare il campo, potrebbe far non escludere, nonostante i rischi “tattici”, proprio il percorso che
da Gubbio conduce all’impervio passo di
Scheggia, anche in considerazione dell’addestramento acquisito dall’esercito romano
nelle precedenti campagne nel cuore del
Sannio e del ruolo di quei contingenti alleati, che non dovevano mancare, di Marsi,
Marrucini, Peligni e Vestini (questi ricondotti all’alleanza con Roma nel corso dei
precedenti anni di guerra), abili e valorosi
come gli stessi Sanniti.
Il testo di Polibio considera Camerino,
l’altra alleata umbra di Roma, come punto
di riferimento delle operazioni precedenti
la battaglia; accogliere questa versione induce ad un’altra ipotesi per la marcia d’avvicinamento: i romani e i loro alleati sarebbero transitati per il valico di Colfiorito,
seguendo quell’antico percorso che fu poi
sostituito dalla via Flaminia.
La questione della partecipazione di
consistenti contingenti umbri ed etruschi,
forse va affrontata sia valutando per quanto scrive Livio sull’esito dello scontro nell’ipotesi che questi fossero stati presenti, sia
alla luce dell’episodio dei disertori chiusini (testimonianza, peraltro, delle tensioni
politiche e sociali nelle città etrusche) che
avrebbero suggerito a Q. Fabio Rulliano di
convincere i comandanti delle forze romane lasciate a coprire Roma di avanzare in
territorio etrusco operando razzie e distruzioni. È però probabile che questa campa-
gna diversiva fosse stata già decisa non appena percepito che il più forte contingente
militare etrusco si trovava con i Sanniti e
gli altri coalizzati. Per l’atteggiamento degli Umbri si può formulare un’altra ipotesi;
innanzitutto non tutte le comunità erano
schierate nell’alleanza antiromana. Inoltre
i Galli erano o Senoni, che avevano strappato terre agli Umbri, o addirittura nuovi venuti, corrispondenti ad un’ulteriore
spinta migratoria. Per di più non potevano
mancare, proprio fra i già inquietanti Galli,
mercenari, come si può evincere tanto dal
testo di Livio quanto dal fatto che la greca
Ancona, fondata dai siracusani all’inizio del
IV secolo, era un centro di raccolta appunto per tale tipo di truppe che costituivano
il nerbo degli eserciti delle città italiote e
siceliote. Tutto ciò poteva permettere, agli
occhi degli Umbri, l’aggregarsi di realtà
ben più destabilizzanti dei Romani: un
contatto diretto con i contingenti galli può
averli indotti ad una politica più prudente,
considerando anche le scelte dei Piceni.
I PICENI, SPETTATORI NEUTRALI
I
Piceni (Picentes) erano un popolo italico di lingua osco-umbra, stanziato
nel Piceno settentrionale almeno dal
V sec. a.C. Secondo Plinio il Vecchio
- con una versione però non concorde
con altri autori antichi - sarebbero venuti dalla Sabina ed il loro nome sarebbe
dovuto al picchio (picus), uccello sacro a
Marte, sotto la cui guida, avrebbero migrato nell’ambito di un ver sacrum inserendosi così in un territorio caratterizzato da una cultura fiorita dall’VII sec.
a.C. - definita “medio-adriatica” - non
priva di significative sub regioni.
I Piceni, organizzati in una lega, avevano in Ausculum il loro centro più importante e presso l’attuale Cupra Marittima il santuario dedicato alla dea Cupra, luogo di scambi con Umbri, Etruschi, Greci, Dauni e forse uno dei punti
di riferimento della “via dell’ambra”. La
società picena appare gerarchicamente
articolata, con al vertice un’aristocrazia
guerriera. I corredi funerari maschili
evidenziano, con abbondanti armi
offensive e difensive, continuamente aggiornate nelle fogge, probabili
indizi di una diffusa pratica di
mercenariato. Agli inizi del IV
secolo si verificarono eventi che
avviarono la destrutturazione
della cultura picena: invasione dei
Galli Senoni, che danneggiò anche i vicini Umbri, e la fondazione
della colonia greca di Ancona.
I Piceni, che precedentemente
avevano raggiunto accordi con Roma,
non aderirono alla grande coalizio- ne
antiromana, molto probabilmente perché
minacciati al Nord dai Galli e dai Sanniti
a Sud - e forse anche dagli stessi Umbri a
Occidente - preferendo restare neutrali, alleandosi poi con i romani all’inizio del III
secolo.
SENTINUM, 295 a.C. 17
L’area picena ha
risentito dei contatti
con le culture delle
genti confinanti
e, via mare, con il
mondo greco.
All’ inizio del
III sec. a.C. gli
apporti culturali
più significativi
venivano dai Galli
Senoni.
Sotto, un ipotetico
guerriero piceno,
con elmo e spada di
tipo gallico; l’unico
carattere peculiare
piceno è il pettorale,
ricordo di usi più
arcaici.
18 SENTINUM, 295 a.C.
Sotto, schema
dello schieramento
degli eserciti, come
descritto da Livio:
Fabio schierò come
ala destra romana,
la prima e la terza
legione, avendo di
fronte i Sanniti e
Decio la quinta e la
sesta legione alla
sinistra, avendo di
fronte i Galli.
Alle legioni romane
si aggiungevano
contingenti alleati
(disposti sulle ali)
che Livio descrive
“maggiori di quelli
romani”.
Umbri ed Etruschi,
secondo Livio
richiamati nei
propri territori
dalle distruzioni
apportate dagli
eserciti in un primo
tempo posti a
difesa di Roma,
erano forse presenti
sulle ali con piccoli
contingenti,
assieme, è possibile,
a Sanniti accanto
ai Galli e cavalleria
gallica sull’estrema
di quella sannita.
GLI SCHIERAMENTI
L
o schieramento degli eserciti per la
battaglia del Sentino, viene descritto
da Livio nel Decimo Libro: i Galli si disposero a destra e i Sanniti a sinistra. Da questo passo si evince che semmai contingenti
umbri ed etruschi, non citati dalle fonti
antiche, avessero preso parte agli scontri, è
indubbio che il loro apporto fu minimo. I
Romani, oltre alle quattro legioni, avevano inoltre contingenti alleati (soprattutto,
probabilmente, dalla Lega Sabellica, forniti
da Marrucini, Marsi, Peligni e Vestini oltre
a Frentani) e Latini. Oltre a ciò i Consoli
potevano allineare, alle estreme ali, anche
mille cavalieri scelti mandati dai Campani, oltre alla cavalleria romana. La mancata
esplicita citazione degli alleati della Lega
Sabellica forse dipende dall’atteggiamento
degli storici romani dopo la guerra sociale.
I Galli avevano una consistente componente di cavalleria e utilizzarono anche i
combattenti sui carri, gli Essediari.
Livio specifica, anche nella narrazione
della battaglia, che Celti e Sanniti avevano accampamenti diversi e inoltre indica la
distanza da quello romano: 4 miglia, circa
6 chilometri. Gli schieramenti fanno pensare, da un’analisi del testo liviano sull’andamento della battaglia, a due dispositivi
separati sia per i Romani che i per i loro
avversari. Sempre secondo Livio, gli eserciti contrapposti schieravano un ugual numero di combattenti tanto che scrive: «[...]
al primo scontro si lottò con tale parità di
forze che, se ci fossero stati gli Etruschi e
gli Umbri [...] si sarebbe dovuta subire una
sconfitta». Livio scrive inoltre che altri due
eserciti romani erano acquartierati, uno
nel territorio dei Falisci e l’altro nell’agro
vaticano, agli ordini dei propretori Cneo
Fulvio e Lucio Postumio Megello, e che la
seconda e la quarta legione, con il proconsole Lucio Volumnio, erano nel Sannio.
L’AGER SENTINATE
S
ull’Ager Sentinas citato da Duride e da Polibio, in greco, non si
sono trovate, fino a Livio, ulteriori
specificazioni topografiche, nemmeno dal punto di vista archeologico.
All’idronimo Sentinum si collega la
fondazione della città romana conosciuta come municipio di Sentinum,
iscritto alla tribù Lemonia e, nella
divisione augustea dell’Italia, risulta
nella VI regione, l’Umbria. Ancora
oggi il corso d’acqua ha l’antichissimo nome di Sentino. Un’ulteriore osservazione può essere fatta sulle parole latine sentis (pruno, spino, rovo)
e sentosus (coperto di spine) e sentus
(spinoso, orrido, aspro), aprendo un
interessante dibattito sull’origine e il
significato, anche alla luce di aspetti
di natura glottologica, legati alle vicende del popolamento e delle culture succedutesi in quell’area.
Carri da guerra
Esercito gallico
Esercito sannita
Cavalleria
Cavalleria
Cavalleria romana e alleata
Ala sociorum
Cavalleria romana e alleata
Legio V
Esercito di Publio Decio
Legio VI
Legio I
Legio III
Ala sociorum
Esercito di Quinto Fabio
IL CAMPO DI BATTAGLIA
L’
identificazione del luogo dove si svolse la battaglia del Sentino, ha suscitato un dibattito che non trova ancora concordi gli studiosi. Possiamo in questa sede
proporre alcune delle ipotesi più significative, tenendo presente che una recentissima proposta di Giulio Firpo intende individuare l’area della battaglia in Etruria, tra
Chiusi e Rapolano.
L’erudito fabrianese Filippo Montani,
già alla metà del XVIII sec., pensò di poter indicare, per il luogo della battaglia del
Sentino, l’ampia pianura di Fabriano, ma
tale ipotesi non ha retto alla critica successiva. Paolo Sommella, considerando che
Livio tra gli autori antichi è l’unica fonte
che fornisce qualche elemento di riconoscimento, fa un attento esame del testo
confrontandolo con evidenze topografiche,
propone, nel Comune di Sassoferrato, la
zona dall’uscita est alle gole di Scheggia, a
nord ovest fino a Monterosso e a Nord-Est
fino a Civitalba, ponendo nell’allineamento di queste due località gli accampamenti
dei Galli e dei Sanniti, e quello romano
LE FONTI LETTERARIE
L
e notizie disponibili sulle guerre
sannitiche ed in particolare sulla
battaglia di Sentinum dipendono da Tito
Livio e da Polibio. La testimonianza più
antica proviene da un frammento, conservato da Diodoro Siculo, di Duride da
Samo (340-260 a.C.) contemporaneo
dell’evento.
Polibio, nato a Megalopoli in Acaia,
poco prima del 200 a.C. e morto ultraottantenne, fu tra i mille ostaggi condotti a Roma dopo la battaglia di Pidna.
Scrisse la propria opera, di cui solo una
parte resta integra, particolarmente attenta al mondo romano, che in quegli
anni era ormai la potenza egemone del
Mediterraneo. Il riferimento di Polibio
alla battaglia di Sentinum è assai conciso,
nella zona di Stavellina; considera inoltre
il Fosso Sanguerone come il limite tra lo
schieramento dei galli contro Publio Decio Mure ad Ovest del corso d’acqua e
quello dei Sanniti contro Quinto Fabio
Rulliano ad Est. Umberto Moscatelli ha
offerto un’ulteriore precisazione per l’area
di Sassoferrato, considerando altri possibili
percorsi di avvicinamento degli eserciti e
soprattutto i problemi relativi all’impiego
da parte dei Galli dei carri e delle difficoltà di collegamento e comunicazione tra
le due ali dello schieramento romano già
evidenziate nello stesso scritto del Sommella. Moscatelli ipotizza che ad Ovest del
Sanguerone, tra Piano e Casaldana, vi fu lo
scontro fra Decio e i Galli, mentre Fabio
ad Est dell’attuale Sassoferrato, nella Piana
a sinistra del Sentino. V’è anche l’ipotesi di
Stefano Lumini che incentra la battaglia
a Nord-Ovest di Sassoferrato, tra l’attuale
stazione di Monterosso e il Piano, avendo
Monte Ludriano come separatore tra le ali
romane e tra Galli e Sanniti, con gli schieramenti rispettivamente a Sud e a Nord.
i suoi scritti però sono la fonte di notizie
più complete ed affidabili sull’esercito
romano repubblicano, pur riferendosi ad
un periodo posteriore di mezzo secolo.
Dei 142 libri dell’opera di Tito Livio
sulla storia romana dalle sue origini ne
sono sopravvissuti solo 35 (i primi dieci
e dal XXI al XLV), mentre degli altri
sono conosciuti frammenti o epitomi.
Nel libro X si ha la trattazione più ampia a noi pervenuta sulla battaglia di
Sentino e sulla Guerra Italica. Vissuto
in epoca augustea (Padova 19 a.C.-17
d.C.), la sua opera utilizzò fonti quali
gli annali dei pontefici massimi, storici
precedenti, latini o greci, recuperando
scritti di eruditi (come le Origines di M.
Porcio Catone) e tradizioni orali.
SENTINUM, 295 a.C. 19
20 SENTINUM, 295 a.C.
In basso, uno
schema ipotetico
delle fasi iniziali
della battaglia.
Mentre l’ala destra
romana, mantiene
un atteggiamento
difensivo, l’ala sinistra attacca in più
punti e la cavalleria
romana e campana
mettono in fuga
quella gallica,
mentre la fanteria,
in particolare l’ala
sociorum, approfitta
dello sbandamento
nemico. Ma i carri
galli si muovono....
Nella pagina a fronte, i carri, insieme a
parte della ricomposta cavalleria
celta, mettono in
fuga quella romana
e penetrano nelle
disorganizzate file
romane, sospinte
dall’intera fanteria
gallica. Dietro alle
linee, avanzano i
manipoli dei triarii
della I legione.
LO SCONTRO INIZIALE E IL
SACRIFICIO DI DECIO MURE
S
alvo forse gli scontri tra falangi, nei
quali l’impatto diretto tra le due masse
era cercato da entrambe le parti, le battaglie
all’arma bianca non erano quell’assalto su
tutta la linea a cui segue un caotico corpo
a corpo che si vede in tanti film. Si trattava
piuttosto di una continua ricerca di un cedimento nello schieramento avversario, con
assalti limitati ed eventuali soste o ritirate.
L’esito era spesso deciso prima dell’impatto
e una serie fortunata di lanci di proiettili
uniti alla semplice minaccia di un’avanzata
decisa poteva procurare il panico in alcuni
delle linee avversarie, creando quei varchi
che i combattenti più intraprendenti tra
gli assalitori potevano sfruttare; allo stesso modo, dopo un’avanzata non riuscita,
una ritirata condotta male poteva portare
allo stesso grado d’instabilità del fronte.
La maggior parte delle uccisioni avveniva
nel momento in cui uno o più settori del
fronte perdevano compattezza e il nemico
pentrava in profondità nello schieramento;
a quel punto il panico poteva dilagare e gli
attaccanti avevano facile ragione dell’incontrollata massa dei nemici in fuga, facendo strage.
Non fa eccezione la battaglia del Sentinum, durante la quale la maggior parte del
tempo vide una serie di azioni di disturbo
da parte della fanteria leggera, unite a limitate avanzate della fanteria pesante che,
più volte si limitò, probabilmente, al lancio
dei pila senza arrivare al corpo a corpo con
le spade.
Questo è senz’altro vero per le forze al
comando di Q. Fabio Rulliano, che preferì
tenere un atteggiamento difensivo, lasciando stancare i Sanniti in una serie di piccoli
assalti inconcludenti. Diversamente, Decio
Mure, che secondo Livio era più irruente a causa della più giovane età, impiegò
subito al primo scontro la maggior parte
delle forze disponibili. L’errore fu tanto
più grave perché era noto che i Galli erano
terribili e impetuosi combattenti che però
mal sopportavano fatica e calura e, dopo i
primi assalti, perdevano rapidamente vigore (Livio dice: «All’inizio dello scontro
erano più che uomini, alla fine risultavano
essere meno che donne»). Poiché gli attacchi delle fanterie non sembravano avere
l’impeto necessario per raggiungere lo scopo, impegnò nella mischia la cavalleria, in
particolare i cavalieri campani, a cui si unì
egli stesso.
Al secondo assalto la cavalleria gallica
era in fuga e i romani stavano ormai impegnando la fanteria avversaria quando da
dietro le file nemiche comparve un’arma
sconosciuta ai romani. Alcune centinaia
di carri da guerra venivano alla carica con
un enorme polverone e frastuono di ruote.
Molti cavalli, spaventati da quei mezzi rumorosi sbalzarono di groppa i loro cavalieri
(cosa non difficile, vista la mancanza delle
staffe) e fuggirono. La cavalleria ormai in
fuga investì anche la propria fanteria mentre i guerrieri celti, da bordo dei loro carri
lanciavano giavellotti, scompaginando ancor più le formazioni romane.
A quel punto la fanteria gallica, imbaldanzita dal cedimento romano, passò all’assalto dei manipoli nemici che iniziarono
a cedere in preda al panico, mentre Decio
cercava invano di trattenere fuggitivi.
Rendendosi conto di non poter mantenere il controllo sui propri uomini, decise di
seguire l’esempio di suo padre nella guerra
contro i Latini. Chiamò a sè il pontefice
Marco Livio e gli ordinò di recitargli la
formula della devotio, con cui sacrificare se
stesso, assieme all’esercito nemico, agli dèi.
Alle parole del rito già pronunciate dal padre, aggiunse: «Io getto davanti a me paura,
fuga, massacro e sangue, l’ira degli dèi celesti e infernali». Maledisse le insegne e le
armi nemiche unendo la sua rovina a quella
dei Galli e dei Sanniti. Affidati al pontefice
i littori, come simbolo di comando, annodò alla vita la toga pretesta, con un lembo
a coprire il capo e spronò il cavallo dove
le schiere galliche erano più compatte, offrendo il proprio corpo ai dardi nemici.
Incitati dal pontefice Livio ad una vittoria ormai certa, grazie al sacrificio che
portava gli dèi dalla loro parte, i romani
si ricompattarono, anche grazie ai rinforzi
mandati da Quinto Fabio (forse dalla linea
dei triarii della I legione, la più vicina) e
contrattaccarono. Forse, più che il sacrificio di Decio, alla ripresa dei romani valse la
stanchezza dei galli, spossati dalla fatica e
dalla sete della calura estiva.
LA DEVOTIO
L
SENTINUM, 295 a.C. 21
a devotio era l’atto con cui un comandante si sacrificava votando la propria vita alla divinità (principalmente agli dèi degli inferi, o Mani), insieme all’esercito
nemico allo scopo di ottenere la sua distruzione. Al tempo in cui scrisse Livio, era una pratica ormai scomparsa.
Nel libro VIII, egli descrive la cerimonia a cui si sottopose Decio Mure padre prima di morire avventandosi
tra le schiere latine nella battaglia del Veselis o Suessa.
Il pontefice massimo gli fece indossare la toga praetexta (bordata di porpora, usata dai magistrati) con un
lembo a coprirgli il capo, tenendo il mento con una
mano e con i piedi sopra un giavellotto. Pronunciò poi
la seguente formula rituale, ripetuta da Decio: «Oh
Giano, Giove, Marte padre, Quirino, Bellona, Lari, Divi
Novensili, Dèi Indigeti, dèi che avete potestà su noi e i
nemici, Dèi Mani, vi prego, vi supplico, vi chiedo e mi
riprometto la grazia che voi accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate
terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano
dei Quiriti. Così come ho espressamente dichiarato, io
immolo insieme con me agli dèi Mani e alla Terra, per la
Repubblica del popolo romano dei Quiriti, per l’esercito
per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano
dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici».
Recitata la formula rituale, Decio indossò la toga alla
maniera dei Gabi, annodata in vita, e si gettò tra le file
nemiche dove trovò la morte.
Il comandante poteva anche scegliere al suo posto un
legionario. Se l’uomo moriva, la scelta era considerata
ben fatta; se non moriva, si sotterrava una statua e si
faceva un sacrificio espiatorio; era vietato ai magistrati
passare sopra il luogo di sepoltura di questa statua. Se
era il comandante a votarsi e a non morire, non poteva
più compiere alcuna cerimonia religiosa. Anche l’arma
su cui si pronunciava il rito diveniva sacra.
22 SENTINUM, 295 a.C.
La fase cruciale dello scontro. La cavalleria romana è messa in fuga dai carri da guerra dei Galli (a sinistra, sullo
sfondo), mentre la fanteria gallica approfitta dello sbandamento delle linee romane per penetrare a fondo tra i
manipoli. In primo piano, si vedono sopraggiungere i triari per fermare l’attacco celtico.
Al centro, avvolto nella toga pretesta (bordata di porpora), in groppa ad un cavallo nero, Decio Mure, dopo la
Devotio, si lancia conto la masssa dei Galli. All’estrema destra, un tribuno, a cavallo, indica ai combattenti il sacrificio
di Decio; più sotto, il pontefice Marco Livio, affiancato dai Littori, incita anch’egli i legionari al combattimento.
In lontananza, dietro al tribuno, si intravedono fronteggiarsi le schiere sannite e l’esercito di Fabio Rulliano.
SENTINUM, 295 a.C. 23
24 SENTINUM, 295 a.C.
Sotto, schema
ipotetico delle
fasi finali della
battaglia.
I galli si chiudono
in una formazione
compatta
mentre i romani
dell’esercito di
Decio li circondano,
coadiuvati
dalla cavalleria
campana dell’ala
destra inviata da
Fabio insieme ai
sopraggiungenti
manipoli dei
prinicipi.
Il resto delle forze
dell’ala destra
romana e dei socii,
inseguono i sanniti
nella loro fuga
disordinata.
Guerrieri galli in
saccheggio, in un
particolare dal
fregio templare di
Civitalba
LE FASI FINALI DELLO SCONTRO
C
on la ripresa dei romani, i Galli serrarono i ranghi, scudo contro scudo,
impedendo il corpo a corpo. I primi presero a bersagliarli con pila e giavellotti anche raccolti al suolo. Pur non trafitti molti
Galli caddero tramortiti o ebbero gli scudi
inutilizzabili per le lance infisse che li sbilanciavano, aprendo così pericolose brecce.
All’ala destra Fabio era riuscito a temporeggiare, aspettando che la fatica si facesse
sentire tra i Sanniti. Quando si accorse che
gli assalti nemici avevano perso di vigore,
ordinò alla cavalleria di avanzare sul fianco
avversario ed alla fanteria di avanzare passo
passo, stanando il nemico dalle posizioni su
cui era attestato. Resosi conto che i Sanniti,
a causa della spossatezza, non opponevano
una seria resistenza, lanciò la fanteria all’assalto, comprese tutte le riserve, e diede
ai cavalieri il segnale per la carica. I nemici
non ressero l’urto e le linee si sfaldarono,
mentre un numero sempre più consistente
di Sanniti si diede ad una fuga precipitosa
verso l’accampamento, superando lo schie-
ramento dei Galli ed abbandonandoli nella
mischia.
I Galli da parte loro, si ricompattarono
e riformarono la testuggine (formazione
compatta di scudi). Fabio ordinò allora
ai 500 cavalieri campani dell’ala destra di
cessare l’attacco ai Sanniti per dirigersi alle
spalle dei Galli, seguiti dai principes della
III legione, allo scopo di colpire quanti
stavano scappando dal massacro che stava
avvenendo nella testuggine.
Quinto Fabio, con tutti gli uomini rimanenti, dopo aver promesso in voto un tempio e le spoglie nemiche a Giove Vincitore,
inseguì i Sanniti in fuga fino all’accampamento nemico. Lì, a causa delle porte troppo strette per far passare l’intera massa di
quanti speravano di riparsi all’interno della
palizzata, si accalcavano i sanniti a ridosso
della trincea, e lì, tra i tanti, cadde Gello
Ignazio, il comandante sannita. Ricacciati
di là della trincea, con un breve scontro fu
conquistato anche l’accampamento.
Tra Galli e Sanniti, i caduti, secondo la
valutazione più credibile, furono 25.000, i
prigionieri ammontarono ad 8.000. Anche
da parte romana, però, le perdite furono
pesanti: 7.000 uomini nelle fila di Decio,
mentre Fabio soffrì 1.700 caduti. Il corpo
di Decio Mure fu rinvenuto due giorni
dopo sotto i cumuli dei morti galli e pianto
e onorato dal collega e dai soldati. Le spoglie dei nemici furono accatastate e bruciate in onore di Giove vincitore.
SENTINUM,
295 a.C. 25
La battaglia ebbe termine con il massacro dei sanniti in fuga, ammassati presso il fossato dell’accampamento in cui speravano
di trovare
rifugio. Lì perse la vita anche il comandante sannita Gello Ignazio, qui raffigurato a torso nudo e con un mantello di pelliccia, seguendo la
raffigurazione del generale sannita nell’affresco dell’Esquilino (v. pag. 4).
26 SENTINUM, 295 a.C.
CE
L
a battaglia del Sentino, per quanto
fondamentale per gli esiti della guerra,
non pose immediatamente fine ai combattimenti. I Celti si ritirarono a nord, mentre
i superstiti sanniti si ritirarono in patria,
duramente contrastati nel tragitto dai Peligni, schierati a fianco di Roma. Fabio, che
decise di non occupare il territorio del Sentinum ritirandosi al di là degli Appennini,
una volta giunto a Roma ebbe il meritato trionfo decretato dal Senato. La guerra
contro i Sanniti, però, non era ancora finita
(quello stesso anno riuscirono a saccheggiare i territori degli Aurunci) e si protrasse
ancora fino al 290 a.C., ma ormai praticamente solo all’interno del Sannio.
L’anno successivo alla battaglia del Sentino, nel 294, dopo una terribile epidemia
che colpì l’Urbe, i romani dovettero riprendere le armi contro i Marsi – acquisendo il
pieno controllo dell’Italia centrale – e gli
Etruschi. Quest’ultimi furono duramente
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COLONIE LATINE
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Spoletium
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Carta dell’Italia
centro-meridionale
al termine della
Guerra Italica
sconfitti e diverse città (Perugia, Arezzo,
Cortona) furono costrette ad impegnarsi in
un trattato quarantennale. Nel corso dello
stesso anno anche gli Umbri scomparvero
dalla scena bellica; le loro città divennero
alleate di Roma. I Sanniti approfittarono
dell’impegno romano sugli altri fronti per
colpire in Apulia e nella valle del Liri. Mobilitarono inoltre tutti gli uomini disponibili in vista di un prossimo attacco romano.
In particolare crearono un “corpo speciale”
– la Legio linteata, cosiddetta perché consacrata entro un recinto di candido lino
– i cui membri erano costretti a dedicare la
loro vita agli dèi nella lotta contro i nemici;
formazioni del genere erano forse già esistite in passato.
Soggiogate le popolazioni che erano state alleate dei Sanniti, il 293 a.C. fu
l’anno del crollo sannita anche sul proprio
territorio. Due eserciti romani, al comando
di Spurio Carvilio e Papirio Cursore, pene-
BRUZII
SENTINUM, 295 a.C. 27
I
Ariminum
Sena Gallica
ETRUSCHI
UMBRI
I
LE CONSEGUENZE DELLA BATTAGLIA DEL SENTINO E DELLA GUERRA ITALICA
LT
EN
PIC
GLI EVENTI DOPO SENTINO
trarono da due direttrici, ma sempre a breve distanza l’uno dall’altro, conquistando e
saccheggiando lungo la via diverse città, per
dirigersi poi su Cominium (nei pressi dell’odierna Alvito) e Aquilonia (forse Montaquila), dove si erano asseragliate le forze
sannite. L’esercito di Carvilio conquistò
Cominium, contemporaneamente a quello
di Papirio Cursore che ad Aquilonia sconfisse la Legio linteata i cui superstiti si rifugiarono a Bovianum. La doppia sconfitta,
con oltre cinquantamila caduti, fu un colpo
da cui i Sanniti non poterono più risollevarsi, anche se gli scontri continuarono in
altre aree del Sannio per altri due anni, fino
a che non cessò ogni residua resistenza.
Vasti territori furono incorporati nell’ager romano e nella colonia di Venusia,
mentre la Lega Sannitica perse molte città
e fu costretta ad un trattato di alleanza con
Roma, e quindi obbligata a fornire truppe
al suo esercito.
I Romani costituivano ormai la potenza
egemone in tutta l’Italia centro-meridionale. Infatti, oltre che con i Sanniti, in quegli
anni di guerra Roma aveva stretto trattati
di alleanza con città etrusche e umbre, con
i Falisci, i Vestini, i Marruccini, Marsi e Peligni, i Piceni, i Lucani e gli Apuli; aveva
incorporato sine suffragio (ossia come cittadini romani ma privi del diritto di voto) i
Sabini e gli Umbri di Spoleto e Foligno, e
installò nuove tribù nelle terre sottratte ad
Equi e Volsci. Dedusse inoltre numerose
colonie, compresa la colonia di Hatria, nella terra dei Praetuttii, e di lì a poco quelle
di Sena Gallica e Ariminum, ottenendo la
sovranità da mare a mare.
Nel 285 i Galli Senoni ripresero la guerra saccheggiando il territorio dell’etrusca
Arezzo e Roma mandò truppe in aiuto
degli etruschi al fine di tutelare la via di
comunicazione tra l’Urbe e il centronord.
I romani furono però sconfitti e i Galli dilagarono verso sud. Mario Curio Dentato,
per proteggerre Roma, inviò l’esercito non
direttamente contro le truppe celtiche ma
penetrò invece nel territorio dei Senoni,
radendo al suolo tutti i centri abitati, costringendo così i Galli a tornare in patria.
Ai Senoni si affiancarono quindi Etruschi
Asculum
Cosa
Roma
SA
NN
ITI
Beneventum
Tarentum
Paestum
CARTAGINESI
GRECI
Syracusae
e Galli Boi (preoccupati per l’avanzata romana che ora lambiva le loro terre); nel
283 avvenne la battaglia decisiva presso il
lacus Vadimonis (l’attuale lago di Bracciano,
nel Viterbese). In seguito alla vittoriosa
battaglia i romani occuparono le terre dei
Senoni (ager gallicus) fondando le colonie
di Sena Gallica e, poco dopo, di Ariminum,
costituendo così gli avanposti per la successiva conquista della pianura Padana, cosa
che avvenne dopo la prima Guerra Punica
(264-241 a.C.).
I Sanniti, dal canto loro, tentarono
un’ultima volta di sollevare la testa unendosi a Taranto e al suo alleato Pirro, re dell’Epiro (a testimonianza della rilevanza assunta dalla potenza romana) nelle Guerre
Tarantine (282-272 a.C.). Al termine della guerra contro Pirro, Roma aveva ormai
acquistito il completo controllo sull’intera
Italia meridionale, con le città greche che
diventarono civitates foederatae.
I Piceni non ebbero sorte migliore: nel
268, accusati (a torto o a ragione), in seguito alla guerra contro Pirro, del mancato
rispetto dei patti sottoscritti, vennero invasi e sconfitti presso Ascoli Piceno, e dal
quel momento diventarono fedeli alleati
di Roma anche durante i tempi duri delle
guerre puniche.
La definitiva sistemazione del territorio
italiano si ebbe solo nel 91-89 a.C., dopo la
sanguinosa Guerra Sociale, al cui termine
tutte le popolazioni italiche (confederati,
sine suffragio, colonie latine) ottennero la
cittadinaza romana a pieno titolo.
L’Italia nel 268
a.C., dopo le
guerre tarantine e
l’occupazione del
Piceno
28 SENTINUM, 295 a.C.
In alto, a destra, gli
scavi dell’impianto
termale extraurbano nei pressi
della chiesetta
medievale di
Santa Lucia, e la
ricostruzione delle
terme.
Sopra, la collina di
Civitalba (in alto) e
incrocio tra cardo e
decumano.
In basso e a destra:
vista aerea e mappa
degli scavi. Il ponte
ferroviario segue lo
stesso percorso di
un ponte romano
distrutto durante
l’ultima guerra.
IL SITO ARCHEOLOGICO
DI SENTINUM
A
breve distanza da Sassoferrato, in
direzione di Fabriano e del valico
di Scheggia, si trova l’importante sito archeologico dell’antico municipium di Sentinum, sorto probabilmente nel I sec. a.C.,
in seguito alla Guerra Sociale, che diede
definitiva sistemazione alle popolazioni
locali con la concessione della cittadinanza romana. Quando Polibio, nel II secolo,
parla di “territorio dei sentinati” si riferisce
forse all’intera comunità politica (pagus)
dei villaggi rurali (vicus) dell’area attorno al
fiume Sentino o all’oppidum (approssimativamente, villaggio fortificato) celtico di
Civitalba, probabile “capoluogo” del pagus.
Da Civitalba provengono i resti del
frontone e dei fregi in terracotta di un
tempio risalenti al II sec. a.C. Il fregio
rappresenta dei galli in fuga dopo un saccheggio, tema di genere riferito al saccheggio del santuario di Delfi e ampiamente
diffuso dall’età elleneistica, che potrebbe
però rappresentare anche un richiamo alla
battaglia combattuta in quei luoghi pochi
decenni prima.
Per quanto riguarda la civita di Sentinum, sono stati finora sottoposte a scavo
alcune strade lastricate (il cardo massimo,
un altro cardo e tre decumani) che testimoniano l’impianto urbano ortogonale,
un edificio adibito a fonderia, un’insula e
un importante impianto termale, con una
Fortino
Fonderia
Decumano
Cardo Massimo
Terme
grande piscina rettangolare circondata da
un ampio peristilio, attorno a cui si distribuiscono i vari ambienti termali; di altri
edifici (forse pubblici) sono stati rimessi
in luce solo tratti murari. È riconoscibile
un’ampia parte del tracciato delle mura difensive che racchiudevano la civita, di cui è
stato scavato un settore nell’angolo nordoccidentale, rinvenendo un fortino con una
torre circolare.
All’esterno delle mura, a ridosso della
chiesa di Santa Lucia, è stato recentemente
sottoposto a scavo un edificio con impianti
termali, forse facenti parte di una mansio
(una sorta di albergo per viaggiatori).
Assediata da Augusto durante la guerra dei Triunviri (terre sentinati erano state
assegnate ai veterani di Antonio dopo la
guerra civile seguita alla morte di Cesare)
nei due secoli successivi la città godette di
notevole benessere economico.
Nel III sec. a.C., in seguito alla crisi più
generale crisi economica dello Stato romano, Sentinum ebbe un periodo di crisi
da cui non si risollevò più fino a quando
la città venne abbandonata in seguito alle
prime invasioni barbariche e alle più tarde
Guerre Gotiche che devastarono completamente la regione.
IL MUSEO DI SASSOFERRATO
C
hiuso nel 1997 in seguito al terremoto, il Museo Civico Archeologico di
Sassoferrato è stato riaperto nel 2006 con
un nuovo prestigioso allestimento curato
dall’architetto Robert Einaudi.
Oltre ad una sala dedicata ai reperti che
attestano la frequentazione del territorio
sentinate in età preistorica, e vetrine che
accolgono le ceramiche cinquecentesche
rinvenute nei recenti scavi all’interno dello
stesso palazzo che ospita il museo, l’esposizione è incentrata sui
reperti provenienti
dalla città romana di
Sentinum.
Più evidente indizio della notevole
ricchezza dell’antica
città è il gran numero di mosaici rinvenuti, alcuni dei quali
ancora in situ (alcuni
reinterrati e noti per
dei disegni eseguiti al
tempo dei vari scavi).
Il mosaico più famoso è quello raffigurante Aion (divinità del
tempo eterno) noto fin dall’inizio dell’ottocento e conservato nella Gliptoteca di
Monaco, di cui il Museo di Sassoferrato
espone una pregevole copia.
Diversi altri mosaici pavimentali sono
esposti in originale: la rappresentazione
del ratto di Europa da parte di Zeus sotto
le spoglie di un toro, il frammento di un
grande mosaico con tritoni, e uno con la
semplice decorazione a stelline di tessere
nere geometricamente distribuite su fondo
bianco. L’allestimento riproduce idealmente l’ingombro dei muri delle stanze in cui si
trovavano in origine.
La sala dedicata alla statuaria presenta
frammenti di alcune sculture in marmo, tra
cui un busto loricato (ovvero con corazza
anatomica), un busto della dea Iside, un
frammento di una statua in origine forse
riproducente la fuga di Enea da Troia, e alcune teste non integre.
Sempre frammentari, ma interessanti,
sono alcuni elementi
architettonici esposti.
Ugualmente interessanti i monumenti
funerari (steli, urne
cinerarie marmoree
e un frontone) e il
repertorio epigrafico.
Quest’ultimo riporta
documenti ufficiali
con cui le associazioni dei commercianti
di Sentinum e Ostra
conferivano a personaggi di spicco il titolo
di patronus, cioè di protettore.
Alcune vetrine ospitano testimonianze
della vita quotidiana in epoca romana con
monete e ceramiche e vasellame da cucina.
Una sala al pianterreno ospita un plastico rappresentante la battaglia di Sentinum
realizzato con un totale di quasi 4000 soldatini di 15 mm di altezza colorati a mano.
Gli autori sono i membri dell’associazione
“Cantiere della memoria”.
SENTINUM, 295 a.C. 29
A centro pagina, il
mosaico conservato
a Monaco,
esposto in copia
a Sassoferrato),
raffigurante
Aion, divinità del
tempo eterno
(mentre Chronos
è la divinità del
tempo contingente,
legato alle vicende
umane).
In basso, a
sinistra, il mosaico
raffigurante il ratto
di Europa da parte
di Zeus sotto forma
di toro; a destra,
parte del grande
mosaico con mostri
marini.
30 SENTINUM, 295 a.C.
IL MUSEO ARCHEOLOGICO
NAZIONALE DELLE MARCHE
S
Sopra, elmo galloitalico in bronzo da
Montefortino.
In alto a destra:
testa di guerriero
piceno da Numana
(V sec. a.C.)
Sopra, corona
d’oro e torques da
Montefortino.
A centro pagina,
elmo gallico da
Filottrano.
A destra, fregio con
scena di saccheggio
da parte di guerrieri
galli (sopra) e
frontone templare
(sotto) raffigurante
l’incontro tra
Dioniso e Arianna,
entrambi da
Civitalba.
orto nel 1860, il Museo dal 1958 ha
sede nel prestigioso complesso architettonico del Palazzo Ferretti. Il moderno
allestimento inaugurato nel 1988, dopo le
tristi vicissitudini del periodo bellico e del
terremoto del 1972, permette la visita, con
un percorso cronologico continuo, delle
Sezioni Preistorica e Protostorica, quest’ultima incentrata sulla Civiltà Picena (X-III
sec. a.C.) e sui Galli Senoni (IV-II sec.
a.C.), che costituisce la maggiore attrattiva del museo.
Di prossima apertura la Sezione
Romana che ospiterà preziosi reperti
tra cui il fregio e il frontone in terracotta da Civitalba, già da ora in esposizione; riproposto in copia ricostruttiva,
sul terrazzo più alto che domina la vista
dal porto, è esposto il celebre gruppo
dei Bronzi dorati di Cartoceto (già
ospitato dal Museo di Ancona ed
ora a Pergola), che un’ipotesi lo
vuole proveniente proprio da
Sentinum.
Come già detto, sono di
notevolessimo interesse le
collezioni dei reperti Piceni, provenienti sia dall’area
nord-picena (come Novilara) che
sud-picena (Ancona, Fabriano, Pitino, Castelbellino, Cupra Marittima,
ecc.).
Gli ultimi secoli della Civiltà picena, quelli riferibili al periodo preso in
esame in questo lavoro, sono relativamente
carenti in quanto a reperti venuti alla luce,
soprattutto per quanto riguarda l’aspetto
militare. Si può comunque affermare che continua e forse si accentua
l’influsso culturale di altre civiltà, in
particolare quella greca (dai porti di
Ancona e Numana) e gallica.
Molto ricche anche le collezioni
dei reperti dei Galli Senoni, provenienti
soprattutto dalle necropoli di Filottrano e
Arcevia. Interessanti anche dal punto di
vista degli aspetti bellici, i corredi funebri comprendono armi (lance e spade
da taglio, spesso piegate per renderle inutilizzabili, a scopo di
offerta religiosa), elmi, tra cui
il celebre elmo da Montefortino, che ha dato il nome a
tutta questa tipologia di elmi
diffusi in tutta l’area italica,
e monili legati allo status di
guerriero, quali i torques.
PER APPROFONDIRE
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Culture e forme di popolamento del primo
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2002.
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Risorse da Internet
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condita/)
POLIBIO, Istoriai (http://www.perseus.tufts.edu/
cgi-bin/ptext?lookup=Plb.+toc)
http://www.sanniti.it
INDICE
Pag. 3
SENTINUM, 295 a.C. 31
Prefazione
4
L’Italia prima e dopo le Guerre Sannitiche
5
La prima Guerra Sannitica
6
La seconda Guerra Sannitica
7
La III Guerra Sannitica e la “Lega delle Nazioni”
Gli interventi dalla Grecia nel IV sec.
8
L’esercito romano: la legione e la formazione
manipolare
10
L’esercito romano: velites, hastati. principes,
triarii, equites, socii, extraordinarii
Gli alleati di Roma
12
I nemici di Roma: i Celti e i Sanniti
Le formazioni di combattimento
14
I nemici di Roma: Etruschi ed Umbri
15
Gli antefatti politico-militari alla battaglia
16
Gli eserciti verso Sentino
I Piceni, spettatori neutrali
18
Gli schieramenti
L’ager sentinate
19
Il campo di battaglia
Le fonti letterarie
20
Lo scontro iniziale e il sacrificio di Decio Mure
La Devotio
24
Le fasi finale dello scontro
26
Gli eventi dopo Sentino. Le conseguenze della
battaglia del Sentino e della Guerra Italica
28
Il sito archeologico di Sentinum
29
Il museo di Sassoferrato
30
Il Museo Archeologico Nazionale delle Marche
32 SENTINUM, 295 a.C.
SENTINUM, 295 a.C. 33
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