Voltaire – Aneddoti su Pietro

associazione culturale Larici – http://www.larici.it
Voltaire
Aneddoti sullo zar Pietro il Grande
Anecdotes sur le czar Pierre le Grand
17481
1 Traduzione dal francese e note: @ associazione culturale Larici, 2011. Le immagini
raffigurano Voltaire (a sinistra) e lo zar Pietro I.
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Pietro I2 è stato soprannominato il Grande perché intraprese e realizzò
grandissime cose, nessuna delle quali si era presentata nella mente dei
predecessori3. Il suo popolo, prima di lui, si era limitato a quelle prime arti
insegnate dalla necessità. L’abitudine ha così tanto potere sugli uomini ed
essi vogliono così poco di quello che non conoscono che il genio si sviluppa
assai difficilmente e soffoca altrettanto facilmente sotto gli ostacoli, e molto
probabilmente tutte le nazioni sono rimaste rozze per migliaia di secoli fino
a quando sono arrivati uomini come Pietro il Grande, proprio nel tempo che
era necessario comparissero.
Il caso volle che un giovane ginevrino di nome Lefort fosse a Mosca
presso un ambasciatore danese intorno al 16954. Lo zar Pietro aveva allora
diciannove anni5 e si accorse che il ginevrino, che aveva appreso in poco
tempo la lingua russa, parlava quasi tutte quelle d’Europa. Lefort piacque
molto al principe, che entrò al suo servizio e ben presto in confidenza,
facendogli comprendere che c’era un altro modo di vivere e regnare oltre a
quello che, da tempo immemore, si era sfortunatamente stabilito nel suo
vasto impero. Forse, senza quel ginevrino, la Russia sarebbe ancora
barbara.
2 Adrien Jean Quentin Beuchot – il primo che pubblicò l’opera completa di Voltaire nel 18301841, in 72 volumi – premise a questo testo l’avvertenza: «Il libro è di molto anteriore al
tempo in cui alcune circostanze, che Voltaire non avrebbe potuto prevedere, lo costrinsero
a fornire una storia di Pietro I sulle memorie inviate o almeno approvate dalla corte russa.
Abbiamo ritenuto doveroso conservarle così come rese l’Autore, senza tralasciare ciò che
potrebbe sembrare ripetitivo sia della storia di Pietro I che di quella di Carlo XII. Gli
Anecdotes sur le Czar Pierre le Grand sono stati stampati nel 1748, nel tomo secondo,
pagg. 242-256, delle Oeuvres de Voltaire, pubblicate a Dresda da G.-C. Walther». È noto,
tuttavia, che, ben prima di Voltaire, circolassero già scritti sullo zar e tra questi era l’Èloge
sur le czar Pierre I scritto da Fontanelle nel 1725 (traduzione in www.larici.it), da cui
Voltaire trasse diverse informazioni.
3 Come molti suoi contemporanei, Voltaire non riconosce al padre di Pietro, Alessio I
Romanov, zar dal 1645 al 1676, il merito di aver cominciato lo sforzo di modernizzazione
della Russia, avvalendosi di uomini di cultura, aprendosi alle idee occidentali e
promuovendo alcune riforme interne.
4 François Jacques Le Fort (in russo Franz Jakovlevič Lefort; 1655/56-1699) era a Mosca fin
dal 1675, dove in poco tempo diventò capitano dell’esercito dello zar Fëdor III, ma le
guerre lo tennero lontano fino al 1682. Frequentando la corte, conobbe Pietro che gli
mostrò pubblica benevolenza proclamandolo maggiore già nel 1683 e i due diventarono
amici. Lefort fu nominato generale tra il 1690 e il 1695.
5 Il conto è errato perché Pietro nacque a Mosca nel 1672, perciò nel 1695 aveva 23 anni.
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Lo zar doveva essere nato con un’anima molto grande per ascoltare tutt’a
un tratto uno straniero e spogliarsi dei pregiudizi del trono e della patria:
sentiva di dover formare una nazione e un impero, ma non aveva alcun
aiuto intorno a sé. Concepì quindi il piano di uscire dai confini e andare,
come Prometeo, a prendere il fuoco celeste per animare i compatrioti6. Il
fuoco divino pensò di cercarlo dagli Olandesi, che erano, tre secoli fa,
ancora privi di una tale fiamma come i Moscoviti. Non riuscì a realizzare il
progetto non appena formulato, prima dovette sostenere una guerra contro
i Turchi, o meglio contro i Tatari, nel 1696, e fu solo dopo averli conquistati
che lasciò i suoi domini per andare a imparare da sé tutte quelle arti
assolutamente sconosciute in Russia. Il padrone dell’impero più vasto della
Terra andò a vivere per quasi due anni ad Amsterdam, nel villaggio di
Sardam7, sotto il nome di Pëtr Michajlov, ma lo si chiamava comunemente
Maestro Pietro (Peterbas). Fece iscrivere il proprio nome nell’albo dei
falegnami di questo famoso villaggio che fornisce vascelli a quasi tutta
l’Europa. Maneggiò ascia e compasso, e quando aveva finito di lavorare in
cantiere nella costruzione di navi, studiava geografia, geometria e storia.
Nei primi tempi, la gente lo circondava. A volte egli scacciava gli importuni
con modi un po’ rudi, che quella gente sopportava, lui che sopportava così
poche cose. La prima lingua che imparò fu l’olandese 8, poi si dedicò al
tedesco, che gli parve una lingua dolce e volle fosse parlata a corte.
Apprese anche un po’ di inglese durante il suo viaggio a Londra, ma non
seppe mai il francese, che poi diventò la lingua di Pietroburgo sotto
l’imperatrice Elisabetta9, quando il paese era già civilizzato.
Era alto, il volto fiero e maestoso, ma a volte sfigurato dalle convulsioni
che alteravano i tratti del viso. Si attribuiva questa malattia all’effetto del
veleno che si diceva che sua sorella Sof’ja gli avesse dato, ma il vero veleno
era il vino e l’acquavite, di cui spesso eccedeva fidandosi troppo della
propria costituzione robusta10.
Conversava ugualmente con un artigiano e con un generale dell’esercito.
Non era come un barbaro che non fa distinzione tra gli uomini, né come un
principe popolare che vuole piacere a tutti: era un uomo che voleva istruirsi.
Amava le donne tanto quanto il re di Svezia11, suo rivale, le temeva; per lui
6 Il paragone con Prometeo – il semidio che rubò il fuoco agli dèi per donarlo agli uomini –
è anche nei Viaggi di Russia di Francesco Algarotti (Lettera IV; cfr. www.larici.it), scritti
nel 1739 ma pubblicati nel 1751.
7 Zaandam, dove però Pietro soggiornò pochi giorni, preferendo Amsterdam.
8 Si sa che Pietro imparò la lingua da un certo Andrej Andreevič di Vilnius.
9 Seconda figlia di Pietro il Grande e Caterina I di Russia, regnò dal 1741 al 1762.
10 Sof’ja Alekseevna Romanova era la sorellastra di Pietro, essendo figlia della prima moglie
dello zar Alessio I e non della seconda. Dopo la morte del fratello zar Fëdor III (1682),
tentò di impedire a Pietro di ereditare il trono. Sul fatto che le convulsioni distorcessero il
volto di Pietro esistono delle lettere che lo riferiscono, ma sulle cause si è ipotizzato che
fossero contrazioni nervose causate dallo shock subito quando, neppure decenne, vide
uccidere parte della famiglia durante la lotta per la successione al trono.
11 Carlo XII (1682-1718) re di Svezia dal 1697.
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tutto era buono, in amore come a tavola. Si vantava di bere molto, piuttosto
che di degustare vini pregiati.
Si dice che i legislatori e i sovrani non debbano mai montare in collera,
ma non ci fu mai alcuno più veemente di Pietro il Grande, né più spietato.
Questo difetto, in un re, non è di quelli che si riparano confessandosi; ma
alla fine lui stesso lo riconobbe dicendo a un magistrato d’Olanda, durante il
suo secondo viaggio: «Ho riformato la mia nazione, ma non sono stato in
grado di riformare me stesso». È vero che le presunte crudeltà che gli si
attribuiscono erano in uso alla corte di Mosca come in quella del Marocco.
Non era straordinario vedere uno zar regalare con le proprie mani un
centinaio di colpi di nervo di bue12 sulle spalle nude di un primo ufficiale
della corona o di una dama di palazzo, per aver mancato ai loro servigi in
quanto ubriachi, o provare la spada facendo volare la testa di un criminale.
Pietro aveva già eseguito qualcuna di tali cerimonie del suo paese; Lefort
ebbe sufficiente autorità su di lui per farlo smettere, a volte quand’era sul
punto di colpire, ma non sempre Lefort era con lui.
Il viaggio in Olanda e, in particolare, il gusto dello zar per l’arte, che si
evolveva, addolcì un po’ i suoi modi, perché è privilegio di tutte le arti
rendere gli uomini più trattabili. Andava spesso da un geografo, con cui
disegnava carte nautiche. Passava intere giornate presso il famoso Ruysch,
che per primo, trovò l’arte di fare quelle belle iniezioni che hanno
perfezionato l’anatomia, e lo privarono del suo disgusto13. Il principe si dava
da sé, all’età di ventidue anni14, l’educazione che un artigiano olandese
avrebbe dato al figlio che prometteva ingegno: un tipo di istruzione
superiore a quello che mai avrebbe ricevuto sul trono di Russia. Allo stesso
tempo, mandò i giovani moscoviti a viaggiare e a istruirsi in tutti i paesi
d’Europa, ma quei primi tentativi non furono felici: i suoi nuovi discepoli non
imitarono i loro maestri. Ci fu anche uno che, inviato a Venezia, non lasciò
mai la propria stanza per non doversi vergognare di aver visitato un paese
diverso dalla Russia15. Tale orrore per l’estero era stato loro ispirato dai preti
moscoviti, i quali sostenevano che, per un cristiano, viaggiare era un
crimine orribile, perché nell’Antico Testamento agli abitanti della Palestina
era proibito prendere i costumi dei vicini più ricchi ed esperti16.
Nel 1698, andò da Amsterdam in Inghilterra, non in qualità di carpentiere
di navi, non come sovrano, ma sotto il nome di un boiaro russo che
12 Ossia con il knut, specie di frusta nodosa.
13 Frederik Ruysch (1638-1731) incontrò Pietro I nel 1697, gli dette lezioni di botanica e di
anatomia umana e, nel 1717, durante la seconda visita di Pietro, gli vendette l’intero suo
archivio di preparati anatomici per 30.000 fiorini, che, caricato su due navi, raggiunse
Pietroburgo l’anno successivo. La fama di Ruysch, oltre che ai cataloghi botanici e
anatomici, è dovuta alla sua tecnica di imbalsamazione, per la quale usava un liquido a
base di alcol iniettato nelle arterie.
14 Nel 1697 Pietro aveva 25 anni.
15 Il giovane sembra sia stato identificato nel fratello minore del generale Fëdor Alekseevič
Golovin (1650-1706), che rimase quattro anni a Venezia senza studiare le lingue e la
cantieristica per cui era stato inviato.
16 Cfr. Isaia 30, 1-5.
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viaggiava per istruirsi. Vide tutto, persino la commedia inglese, dove non
capì nulla, ma trovò un’attrice di nome Groft17, di cui egli ebbe i favori e non
fece la fortuna.
Re Guglielmo18 gli aveva predisposto una casa abitabile: è molto a
Londra; i palazzi non sono comuni in quell’immensa città, dove non ci sono
che case basse, senza cortile né giardino, con piccole porte come quelle dei
nostri negozi. Lo zar trovò la dimora troppo bella e andò a vivere nel
quartiere dei marinai, per esser loro più vicini e potersi perfezionare in
marina. Vestiva molto spesso come un marinaio e usò quel travestimento
per ingaggiare al suo servizio molta gente di mare.
Fu a Londra che disegnò da sé il progetto di comunicazione tra il Volga e
il Tanais19. Voleva persino collegarli alla Dvina tramite un canale, così da
unire l’oceano, il mar Nero e il mar Caspio. Gli inglesi che portò con sé lo
servirono male in quel grande disegno e i Turchi, che gli presero Azov nel
171220, si opposero ancor più alla vasta impresa.
Egli non aveva soldi a Londra21 e alcuni mercanti gli offrirono centomila
scudi per ottenere il permesso di portare il tabacco in Russia. Sarebbe stata
una gran novità in quel paese e la religione stessa ne era interessata. Il
patriarca aveva scomunicato chiunque fumasse tabacco, perché i Turchi,
loro nemici, fumavano; e il clero considerò come uno dei suoi massimi
privilegi quello di impedire alla nazione russa di fumare. Lo zar prese i
centomila scudi e si impegnò in prima persona a far fumare il clero, al quale
stava preparando ben altre novità.
I sovrani fanno alcuni doni ai viaggiatori importanti. Il regalo di Guglielmo
a Pietro fu una galanteria degna di entrambi. Gli donò un’imbarcazione da
venticinque cannoni, il miglior veliero del mare, dorato come un altare di
Roma, con provviste di ogni tipo; e tutti i membri dell’equipaggio ben
vollero lasciarsi regalare così. Pietro, sulla nave, di cui si fece primo pilota,
ritornò in Olanda a trovare i suoi carpentieri, e da lì si recò a Vienna, verso
la metà del 169822, ma vi rimase meno tempo che a Londra, perché nella
corte del severo Leopoldo c’erano molte più cerimonie da subire che cose da
apprendere. Dopo aver visitato Vienna, voleva andare a Venezia e poi a
Roma, ma fu costretto a tornare in fretta a Mosca in seguito a una nuova
guerra civile causata dalla sua assenza e dal permesso di fumare. Gli
strel’cy – antica milizia degli zar, simile a quella dei giannizzeri, molto
turbolenta e indisciplinata, ma meno coraggiosa e non meno barbara –
17 Letitia Cross (1677 o 1682-1737), attrice, cantante e ballerina.
18 Guglielmo III d’Orange, re d’Inghilterra dal 1689 al 1702.
19 Antico nome del fiume Don.
20 Nel 1711.
21 Le spese sostenute dall’ambasciata russa erano ingenti, perché, oltre al soggiorno della
corte dello zar, venivano pagate circa mille persone tra medici, ingegneri e carpentieri.
Inoltre, vi erano i costi di trasporto in Russia di strumenti, legnami, barche ecc.
22 Pietro lasciò Londra per Amsterdam il 2 maggio 1698 dopo quattro mesi di permanenza in
Inghilterra. Il 15 maggio 1698 arrivò a Vienna da Leopoldo I, imperatore del Sacro
Romano Impero dal 1658 al 1705.
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furono incitati alla rivolta da alcuni abati e monaci, metà greci, metà russi,
che spiegarono quanto Dio fosse irritato perché si consumava tabacco in
Moscovia, e misero lo Stato in combustione per quella gran disputa23. Pietro,
che aveva previsto ciò che avrebbero potuto fare monaci e strel’cy, aveva
preso le sue misure. Aveva un esercito disciplinato, composto quasi
interamente da stranieri ben pagati, ben armati e fumatori, sotto il comando
del generale Gordon24, il quale si intendeva di guerra e non amava i monaci.
Era cioè quello che era mancato al sultano Osman, che, volendo come Pietro
riformare gli giannizzeri ma non potendo opporre loro niente, non li riformò
affatto e fu da loro strangolato25.
Poi organizzò le proprie armate su quelle dei principi europei e fece
costruire delle navi da inglesi e olandesi a Voronež, sul Tanais, a
quattrocento leghe da Mosca26.
Abbellì le città, provvide alla loro sicurezza, realizzò grandi strade di
cinquecento leghe, stabilì manifatture di ogni tipo e la prima fabbrica fu di
spilli, cosa che dimostra la profonda ignoranza in cui vivevano i Russi.
Attualmente si creano a Mosca velluti ricamati e tessuti d’oro e d’argento 27:
tanto è potente l’influenza di un solo uomo, quando è padrone e sa cosa
vuole.
La guerra che fece a Carlo XII, per recuperare le province che gli Svedesi
avevano conquistato ai Russi28, sua prima sfortuna, non gli impedì, di
proseguire le riforme nello Stato e nella Chiesa: dichiarò alla fine del 1699
che l’anno successivo sarebbe iniziato nel mese di gennaio, non a
settembre. I Russi, che credevano che Dio avesse creato il mondo nel mese
di settembre, si meravigliavano che il loro zar fosse tanto potente da
cambiare ciò che Dio aveva deciso. La riforma cominciò con il secolo, nel
1700, con un gran giubileo indetto dallo zar29. Soppresse la dignità di
patriarca svolgendone lui le funzioni30. Non è vero che, come s’è detto,
23 Il tabacco è una facezia di Voltaire. La rivolta degli strel’cy – corpo misto di fanteria e
cavalleria – fu causata da Sof’ja Aleksejevna (cfr. nota 10) che li incitò contro gli stranieri
(che avevano posti di comando) con l’intento di riprendere il trono.
24 Patrick Leopold Gordon (1635-1699), generale e ammiraglio russo di origini scozzesi.
25 Osman II (1604-1622) fu sultano dal 1618 e fu il primo a tentare di contrastare lo
strapotere dei giannizzeri – corpo di fanti a guardia del sultano e dei suoi beni – facendo
chiudere i loro luoghi di ritrovo e istituendo un nuovo corpo armato. I giannizzeri si
rivoltarono contro il sovrano, uccidendolo.
26 Voronež non è propriamente sul Don ma sul Voronež che confluisce nel Don dopo 12 km
dalla città. La sua distanza da Mosca è di circa 550 km, per cui, pur supponendo
l’aggiramento di paludi e altri ostacoli, la misura non concorda, in quanto la lega francese,
in tutte le sue varianti, oscilla tra i 3,8 e i 4 km.
27 Nella prima metà del XVII secolo esistevano già a Mosca fabbriche di tessuti. Sotto Pietro
fu privilegiata la produzione di carta, vetro, cuoio ecc.
28 In seguito alla battaglia di Narva (1700), la Russia aveva perduto ampi territori al Nord.
29 La riforma del calendario bizantino – dall’anno 7208 dalla creazione del mondo al 1700 e
dal 1° settembre al 1° gennaio – fu decretata il 15 dicembre 1699 e rappresentò un
ulteriore avvicinamento all’Europa occidentale.
30 Dopo la morte del patriarca Adrian (1700), la sede rimase vacante fino al 1721 quando lo
zar decretò la sostituzione del patriarcato con il “Santo Sinodo”, composto di dodici
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avesse messo il patriarca alle Petites-Maisons di Mosca31. Egli aveva
l’abitudine, quando voleva punire divertendosi, di dire al malcapitato: Io ti
rendo pazzo, e colui al quale dava quel bel titolo era obbligato, fosse il più
gran signore del regno, a portare una marotte32, una giacca e dei sonagli, e
a intrattenere la corte come il matto di Sua maestà imperiale. Al patriarca
non dette affatto tale incarico, si accontentò di sopprimere una funzione di
cui coloro che ne erano stati rivestiti avevano abusato al punto da obbligare
gli zar a camminare davanti a loro, una volta l’anno, tenendo la briglia del
cavallo patriarcale, cerimonia di cui un uomo come Pietro il Grande si era fin
dall’inizio dispensato33.
Per avere più sudditi volle avere meno monaci, e ordinò che, da allora in
poi, nessuno avrebbe potuto entrare in un chiostro prima dei
cinquant’anni34; ciò determinò che, dal suo tempo, la Russia fosse il paese
con meno monaci. Ma dopo di lui, quel seme ch’egli sradicò fu respinto da
quella debolezza naturale che hanno tutti i religiosi di voler aumentare il
loro numero, e da quell’altra debolezza che hanno i governi di sopportarli.
Fece anche leggi molto sagge per i preti delle chiese e per la riforma dei loro
costumi35, ben sapendo che ciò che è ammissibile per un sovrano non
dovrebbe esserlo per un curato.
Prima di Pietro, le donne vivevano sempre separate dagli uomini, era
inaudito che un marito non avesse mai visto la donna che sposava: egli fece
conoscenza della sua in chiesa. Tra i doni di nozze era un grande fascio di
verghe che il promesso inviava alla fidanzata per avvertirla che, alla prima
occasione, doveva aspettarsi una piccola correzione coniugale; i mariti
potevano anche uccidere impunemente le loro mogli, e seppellivano vive
quelle che usurpavano ai mariti quello stesso diritto. Pietro abolì il fascio di
verghe, proibì ai mariti di uccidere le mogli e, per rendere i matrimoni meno
infelici e meglio assortiti, introdusse l’usanza di far pranzare gli uomini con
le donne e di presentare i pretendenti alle giovani prima della
celebrazione36: in poche parole, decise e diede alla luce tutto nei suoi
membri, per l’amministrazione degli affari della Chiesa. Pietro non assunse alcuna
funzione, limitandosi a eleggere un procuratore capo come suo rappresentante. Voltaire
corresse l’errore nella Prefazione della Histoire de l’empire de Russie sous Pierre le Grand.
31 A Parigi era chiamato Petites Maison un ricovero per malati di mente.
32 La marotte è lo scettro sormontato da una testa scolpita che raffigura un giullare ed è
dotata di campanelle.
33 La cosiddetta “processione dell’asino” (in russo, Choždenie na osljati) fu una cerimonia
che si svolse a Mosca, nella Domenica delle Palme, per rievocare l’entrata di Gesù in
Gerusalemme, dal 1558 al 1693, quando fu abolita da Pietro il Grande. In quel giorno, lo
zar faceva, in segno di umiltà e rispetto verso la Chiesa ortodossa, da palafreniere al
patriarca, tenendo per le briglie un asino (più spesso un cavallo) su cui questi cavalcava.
Beuchot (cfr. nota 2) riporta un’annotazione comparsa in un’edizione precedente degli
Anedoctes, in cui si rileva che Pierre-Charles Levesque affermò, nella sua Histoire de
Russie (1782), che la processione era un’invenzione occidentale.
34 Trent’anni.
35 Pietro I pubblicò il “Regolamento spirituale” – scritto assieme al teologo ucraino Feofan
Prokopovič, arcivescovo di Pskov – che diventò la base per ogni attività religiosa.
36 Nel 1702 fissò il periodo di fidanzamento in sei settimane con libertà ai promessi di
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domini, perfino la società. Si conosce il regolamento che egli scrisse di
propria mano per obbligare boiari e boiare a tenere delle assemblee, dove
gli errori che si commettevano contro la civiltà russa erano puniti con un
gran bicchiere d’acquavite che si faceva bere al trasgressore, in modo che
tutta l’onorevole compagnia se ne ritornasse molto ubriaca e poco corretta.
Ma era già tanto introdurre un tipo di società tra un popolo che non lo
conosceva affatto. Qualche volta si arrivava a rappresentare degli spettacoli
drammatici37. La principessa Natal’ja, una delle sue sorelle, aveva scritto
delle tragedie in lingua russa38, che assomigliavano ai componimenti di
Shakespeare, nei quali tiranni e arlecchini avevano i ruoli principali.
L’orchestra era composta di violini russi che si facevano suonare a colpi di
nervo di bue. Attualmente, si hanno a Pietroburgo attori francesi e opere
liriche italiane. La magnificenza e il gusto sono in tutto succeduti alla
barbarie.
Una delle più difficili imprese del fondatore fu di accorciare le vesti e di
far radere le barbe del suo popolo. Ciò fu oggetto dei più grandi mormorii.
Come insegnare a un’intera nazione a vestire alla tedesca e a maneggiare il
rasoio? Installando alle porte della città sarti e barbieri: gli uni tagliavano gli
abiti di coloro che entravano, gli altri le barbe; gli ostinati pagavano
quaranta soldi della nostra moneta. Ben presto preferirono perdere la barba
che i soldi. Le donne servirono utilmente lo zar in questa riforma:
preferivano i menti rasati e gli erano obbligate per il diritto di non essere più
frustate, di poter vivere in società con gli uomini e di baciare volti più puliti.
Tra le riforme grandi e piccole, che costituivano i divertimenti dello zar, e
la terribile guerra che l’occupava contro Carlo XII, gettò le fondamenta, nel
170439, dell’importante città di Pietroburgo e del suo porto in un palude
dove non esisteva un capanno. Pietro lavorò con le proprie mani alla prima
casa, nulla lo scoraggiava: gli operai furono costretti ad andare in quella
parte del mar Baltico, al confine con Astrachan’, sulle rive del mar Nero e
del mar Caspio. Morirono oltre centomila uomini40, per la fatica e la fame,
nei lavori che egli volle compiere, ma ora la città esiste. I porti di
Archangel’sk, Astrachan’, Azov e Voronež furono costruiti.
vedersi; inoltre, nel 1718, stabilì che nelle case le stanze non dovessero essere più divise
tra uomini e donne.
37 I primi spettacoli avvennero alla presenza dello zar Alessio, padre di Pietro. Furono
rappresentate, per esempio, le commedie su temi biblici che Johann Gottfried Gregory
(1631-1675), pastore luterano di lingua tedesca a Mosca, organizzò con i bambini, figli di
nobili e di militari.
38 A Natal’ja Alekseevna Romanova (1673-1716) sono attribuite quattro opere Commedia di
Santa Caterina, Chrisanf i Darija (sui santi romani Chrysanthus e Daria), Cesar' Otton (su
Ottone III) e Santa Evdokija. Dal 1706 allestì opere teatrali in casa sua, usando come
attori i domestici, e su quell’esperienza nacque il primo teatro pubblico russo nel 1709,
sulla Piazza Rossa a Mosca.
39 Il 16 (27) maggio 1703 è considerato il giorno della fondazione della fortezza dei Santi
Pietro e Paolo, primo nucleo di Pietroburgo. Voltaire corresse l’anno nelle sue opere
successive.
40 In altre opere Voltaire dà cifre differenti: duecentomila morti in Histoire de Charles XII e
“un numero prodigioso” in Histoire de l’empire de Russie sous Pierre le Grand.
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Per realizzare grandi istituzioni, per avere flotte nel mar Baltico e
centomila soldati regolari, lo Stato non possedeva, all’epoca, che circa venti
milioni delle nostre entrate. Ho visto il conto nelle mani di un uomo che era
stato ambasciatore a Pietroburgo. E la paga dei lavoratori era proporzionata
al denaro del regno. Ma va ricordato che ciò non costava che qualche cipolla
usata dal re d’Egitto per costruire le piramidi41. Lo ripeto, non c’è che da
volere, ma non si vuole abbastanza.
Quando creò la nazione, Pietro credette che gli fosse concesso di
soddisfare il gusto sposando la propria amante, un’amante che meritava di
essere sua moglie. Si sposò pubblicamente nel 1712. Questa famosa
Caterina, orfana, nata nel villaggio di Ringen in Estonia42, nutrita per carità
da un pastore luterano di nome Glück, sposata con un soldato della Livonia,
preso da un partito due giorni dopo quel matrimonio, era passata dal
servizio ai generali Bauer e Šeremetov a quello di Menšikov, apprendista
pasticciere che divenne principe e primo uomo dell’impero43, e, infine, ella fu
la moglie di Pietro il Grande, e in seguito imperatrice sovrana dopo la morte
dello zar, e meritatamente. Ella addolcì molto le maniere del marito, e salvò
molte più cose dal knut e molte più teste dalla scure di quanto non avesse
fatto il generale Lefort. La si amò, la si venerò. Un barone tedesco, uno
scudiero di un abate di Fulda44 non avrebbe sposato Caterina, ma Pietro il
Grande non pensò che il merito, con lui, avesse bisogno di trentadue parti45.
I sovrani facilmente pensano che non c’è altra grandezza che quella che essi
danno e che tutto è uguale di fronte a loro. È certo che la nascita non mette
più differenza tra gli uomini che tra un puledro il cui padre portava letame e
un puledro il cui padre portava reliquie. L’educazione fa la grande differenza,
i talenti sono la fonte prodigiosa, la fortuna lo è ancor di più. Caterina aveva
avuto un’educazione piuttosto buona, a dir poco, presso il suo ministro
estone, più che tutti i boiari di Mosca e di Archangel’sk, ed era nata con
maggiori talenti e un’anima più grande; aveva condotto la casa del generale
Bauer e quella del principe Menšikov, senza saper né leggere né scrivere46.
41 Secondo la tradizione, gli operai delle piramidi erano nutriti prevalentemente con cipolle e
ravanelli, forse per le proprietà preventive e curative che a essi si attribuivano.
42 Oggi Jēkabpils in Lettonia.
43 Dopo la morte di peste dei genitori, Marta (vero nome di Caterina I) fu accolta dal pastore
luterano Ernst Glück (1654-1705), noto per aver tradotto la Bibbia in lingua lettone. A 17
anni, nel 1702, sposò il soldato svedese Johann Kruse (o Johan Cruse), il quale, uno o
due giorni dopo il matrimonio, dovette partire per la guerra contro i Russi. Marta fu
arrestata, assieme a Glück, a Marienburg (oggi Aluksne, in Lettonia) dal colonnello Adolph
Felix Rudolph Bauer e dal maresciallo russo Boris Petrovič Šeremetev (poi diventati
generali) e quest’ultimo la scelse come amante per un breve periodo dopo il quale la
cedette al principe Aleksandr Menšikov (1672-1729), amico e collaboratore di Pietro e
uomo di governo sotto Caterina. Pasticciere era, sembra, il padre di Menšikov.
44 Il monastero benedettino di Fulda, provincia dell’Assia, in Germania, costituiva un
principato sovrano soggetto solo all’imperatore del Sacro Romano Impero.
45 Ci si riferisce alle parti di nobiltà delle famiglie paterna e materna (due genitori, quattro
nonni, otto bisnonni ecc.).
46 La contraddizione – educata ottimamente da un pastore ma analfabeta – può essere
spiegata riferendosi alla lingua russa.
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Chi sa governare molto bene una casa grande può governare un regno: può
sembrare un paradosso, ma è sicuramente con lo stesso spirito di ordine,
saggezza e fermezza che si comanda sia un centinaio di persone che diverse
migliaia.
Si dice che il figlio dello zar, lo zarevič Alessio, sposò, come lui, una
schiava, e, come lui, lasciò segretamente la Russia, ma non ebbe un
successo simile nelle due imprese e, per aver imitato male il padre, ci rimise
la vita: fu uno dei più terribili esempi di severità che mai si siano verificati
dall’alto di un trono. Ciò che è molto onorevole nel ricordo dell’imperatrice
Caterina è che ella non ebbe alcun ruolo nella sfortuna del principe, che era
nato in altro letto47 e non amava ciò che suo padre amava; non si accusa
affatto Caterina d’avere agito da matrigna crudele: il gran crimine dello
sfortunato Alessio era di essere troppo russo, di disapprovare tutto ciò che
suo padre faceva di grande e immortale per la gloria della nazione. Un
giorno, sentendo dei moscoviti che si lamentavano dei lavori insopportabili
che lo zar continuamente richiedeva per costruire Pietroburgo, disse:
«Coraggio, questa città non durerà a lungo». Quando doveva seguire il
padre nei viaggi di cinque o seicento leghe che spesso lo zar intraprendeva,
il principe si fingeva malato, così lo si purgava duramente per una malattia
inesistente: tante medicine, insieme all’abbondante acquavite, alterarono la
sua salute e il suo spirito. In un primo tempo aveva avuto l’inclinazione a
istruirsi: sapeva la geometria, la storia e aveva appreso il tedesco, ma non
gli piaceva la guerra, non voleva impararla, ed è ciò che suo padre gli
rimproverava di più. Lo si era sposato nel 1711 con la principessa di
Wolfenbüttel, sorella dell’imperatrice moglie di Carlo VI48. Il matrimonio fu
infelice. La principessa si abbandonava ai fumi dell’acquavite, anche a causa
di Efrosina49, una giovane finlandese, alta, ben fatta e molto dolce. Si
sostiene che la principessa morì di dolore, se il dolore può causare la morte,
e che lo zarevič sposò poi segretamente Efrosina nel 1713, mentre
l’imperatrice Caterina gli dava un fratello che sarebbe stato trattato
meglio50.
Il malcontento tra padre e figlio diventò ogni giorno più profondo, finché
Pietro, nel 1716, minacciò di diseredare il principe e questi gli rispose che
voleva farsi monaco.
47 Alessio nacque nel 1629 dalla prima moglie di Pietro, Evdokija Fëdorovna Lopuchina, che
fu relegata in un convento nel 1698.
48 La principessa Carlotta Cristina di Braunschweig-Wolfenbüttel (1694-1715) era la sorella
minore di Elisabetta Cristina che nel 1708 aveva sposato Carlo VI d’Asburgo diventato
imperatore del Sacro Romano Impero nel 1711. Carlotta morì nel 1715 dando alla luce il
figlio Pietro, futuro zar col nome di Pietro II.
49 Efrosina Fëdorova (o Evfrosina, o Afrosina) conobbe Alessio nel 1714 o nel 1715, quando
il principe era già sposato e fu la sua amante fino all’arresto del principe.
50 Caterina I ebbe da Pietro sette figli (ossia fratellastri di Alessio), ma solo tre femmine
sopravvissero oltre la prima infanzia: Anna (1708-1728, madre del futuro Pietro III),
Elisabetta (1709-1762, zarina dal 1741) e Natal’ja (1718-1725). Voltaire si riferisce al
figlio Pietro che non nacque nel 1713 ma nell’ottobre 1715 e morì nel 1719 all’età di tre
anni e mezzo.
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Nel 1717, lo zar rinnovò i viaggi, per politica e per curiosità, e alla fine
andò in Francia. Se suo figlio avesse voluto ribellarsi, se ci fosse stato
davvero un partito formatosi in suo favore, quello era il momento di
dichiararsi, ma, invece di restare in Russia e raccogliere proseliti, viaggiò
per conto proprio, essendo riuscito a racimolare con difficoltà qualche
migliaio di ducati, presi segretamente in prestito. Si gettò tra le braccia
dell’imperatore Carlo VI, cognato della sua defunta moglie. Restò qualche
tempo a Vienna in incognito, quindi si recò a Napoli51, dove rimase quasi un
anno senza che né lo zar né altri in Russia conoscessero il suo ritiro.
Mentre il figlio era ben nascosto, il padre era a Parigi, dove fu accolto con
lo stesso rispetto degli altri, ma con quella galanteria che si poteva trovare
solamente in Francia. Se andava a vedere una fabbrica e un’opera attirava
la sua attenzione più di un’altra, tornava il giorno successivo. Andò a cena a
Petit-Bourg, dal duca d’Antin, e la prima cosa che vide fu il suo ritratto
realizzato in grande e con gli stessi vestiti che indossava 52. Quando andò
alla Zecca reale, si coniarono davanti a lui medaglie di tutte le specie e
gliele si mostrarono, infine se ne coniò una che si fece cadere di proposito ai
suoi piedi, e che lui lasciò raccogliere. Vi erano incise in modo perfetto le
parole: Pierre-le-Grand. Sull’altro lato era la Fama, e la legenda Vires
acquirit eundo53: allegoria giusta e lusinghiera per un principe che
effettivamente aumentava il suo merito a ogni viaggio.
Vedendo la tomba del cardinale Richelieu e la statua di questo ministro,
opera degna di colui che rappresenta, lo zar uscì dalla carrozza e disse una
di quelle frasi che possono proferire solamente coloro che sono nati per
essere dei grandi uomini. Salì sul sepolcro, abbracciò la statua ed esclamò:
«Gran Ministro, che non sei nato nel mio tempo! Darei metà del mio impero
per imparare a governare l’altra metà»54.
Un uomo con meno entusiasmo dello zar, dopo essersi fatto spiegare
queste parole pronunciate in russo, disse: «Se avesse dato quella metà, non
avrebbe tenuto a lungo l’altra».
Lo zar, dopo aver viaggiato attraverso la Francia, dove tutto dispone alla
dolcezza e all’indulgenza, tornò in patria e riprese la sua severità. Si
impegnò infine a far tornare suo figlio da Napoli a Pietroburgo: il giovane
principe fu condotto a Mosca davanti allo zar suo padre, che cominciò con il
privarlo della successione al trono, gli fece firmare un solenne atto di
51 Nel castello di Sant’Elmo, sotto la protezione del viceré di Napoli, Wirich Philipp von Daun.
52 Louis Antoine de Pardaillan de Gondrin, duca di Antin (1665-1736) era il responsabile di
tutte le opere edilizie ordinate dal re di Francia e aveva un castello a Évry (antica PetitBourg), poco lontano da Parigi. Era il 12 maggio 1717: in mattinata, lo zar era stato a
visitare la manifattura Gobelins e nel pomeriggio aveva partecipato a una battuta di caccia
a Fontainebleau.
53 Dall’Eneide (IV, 175) di Virgilio: «acquista le forze camminando», ossia la fama (di Pietro)
tanto più cresce tanto più si diffonde.
54 Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu (1585-1642), noto come Cardinale Richelieu, fu
primo ministro del re Luigi XIII di Francia. La sua politica mirò a rafforzare il potere del re
in Francia (a scapito dei nobili) e a fare della Francia la più grande potenza d’Europa. Il
suo sepolcro, opera di François Girardon, è nella chiesa della Sorbona a Parigi.
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rinuncia alla fine del gennaio 1718 e, in seguito a ciò, il padre promise al
figlio di lasciarlo in vita.
Non era improbabile che un giorno tale atto sarebbe stato annullato. Lo
zar, per dargli più forza, dimenticando che era il padre e ricordando soltanto
che era il fondatore di un impero che suo figlio avrebbe potuto far
precipitare di nuovo nella barbarie, fece pubblicamente istruire il processo
contro quel principe sfortunato, in base ad alcune reticenze nella
confessione che il padre aveva in un primo momento voluto dal figlio55.
Si riunirono vescovi, abati e professori, che trovarono nell’Antico
Testamento che coloro che maledicono il padre e la madre devono essere
messi a morte56; che in verità Davide aveva perdonato suo figlio Assalonne,
rivoltatosi contro di lui, ma che Dio non aveva perdonato Assalonne57. Tale
fu il loro parere senza alcuna conclusione, ma fu firmata la condanna a
morte. In verità, Alessio non aveva mai maledetto, non si era mai rivoltato
come Assalonne, non aveva dormito pubblicamente con le concubine del re:
aveva viaggiato senza il permesso paterno e aveva scritto delle lettere agli
amici, in cui aveva soltanto dichiarato che sperava che un giorno si
sarebbero ricordati di lui in Russia. Ma dei centoventiquattro giudici secolari
convocati non ve ne fu uno solo che non firmò la morte e per quelli che non
sapevano scrivere altri fecero la firma per loro58. Si è detto e scritto in
Europa che lo zar si era fatto tradurre, dallo spagnolo in russo, il processo
contro Don Carlos, quel principe sfortunato, che Filippo II, suo padre, aveva
messo in prigione, dove morì quell’erede di una grande monarchia, ma mai
ci fu un processo contro Don Carlos e non si è mai saputo il motivo, violento
o naturale, della sua morte59. Pietro, il più dispotico dei principi, non aveva
bisogno di esempi. Quel che è certo è che suo figlio morì nel suo letto il
giorno dopo la sentenza e che lo zar ospitava a Mosca una delle più belle
speziali d’Europa. Tuttavia è probabile che il principe Alessio, erede della più
vasta monarchia del mondo, condannato all’unanimità dai sudditi del padre,
che un giorno sarebbero diventati i suoi, morì per la rivoluzione che una
55 La volontà di Pietro contro il figlio fu più determinata: promettendogli un ritorno pacifico a
Mosca, quindi prima che Alessio rinunciasse al trono, Pietro riuscì a estorcergli una
confessione con i nomi dei suoi amici (che mandò subito a morte) e si procurò con la forza
altre testimonianze, tra cui quella di Efrosina che giurò che lo zarevič aveva tramato per
succedere al padre. Il processo fu istituito, nell’aprile 1718, perché Pietro considerava il
figlio un traditore degno di morte, ma non poteva dimenticare la promessa fattagli prima
del suo ritorno, perciò delegò la sentenza al consiglio di Stato. Tanto accanimento di Pietro
traeva origine dal conservatorismo di Alessio e di sua madre Evdokija, apertamente
appoggiato dal clero che non riconosceva la nuova zarina Caterina.
56 Esodo 21,17 e Levitico 20,9.
57 II Libro di Samuele 14 e 18.
58 La condanna a morte di Alessio fu firmata il 24 giugno (5 luglio) 1718.
59 Don Carlos, principe delle Asturie ed erede del trono di Spagna, morì nel 1568, a 23 anni.
Le notizie sul processo sono discordanti: alcuni affermano non sia mai esistito perché
nessun atto fu scritto, altri che fu tenuto e presieduto dal cardinale e Grande Inquisitore
Diego de Espinosa Arevalo, amico fraterno di Filippo II.
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sentenza così strana e funesta fece nel suo corpo60. Il padre andò a vedere
suo figlio agonizzante e, si dice, pianse.
Infelix! utcunque ferent ea facta minores!61
Tuttavia, nonostante le lacrime, le strade furono coperte con le membra
spezzate degli amici di suo figlio. Fece decapitare il proprio cognato, il conte
Lopuchin, fratello di sua moglie Evdokija62, che egli aveva ripudiato, e zio
del principe Alessio. Il confessore del principe ebbe anch’egli la testa
mozzata63. Se la Moscovia era così civilizzata, dobbiamo ammettere che
questa educazione è costata cara.
Il resto della vita dello zar non fu che il seguito dei suoi grandi disegni,
dei lavori e delle prodezze, che sembrarono cancellare l’eccesso della sua
severità, forse necessaria. Egli faceva spesso delle arringhe alla corte e al
consiglio. In uno dei suoi discorsi, disse di aver sacrificato il figlio per la
salvezza dei suoi domini.
Dopo la pace gloriosa che infine concluse con la Svezia nel 1721, con la
quale gli si cedette la Livonia, l’Estonia, l’Ingermanland64, metà della Carelia
e Viborg, gli stati russi gli conferirono il titolo di grande, di padre della
patria, e di imperatore. Gli stati erano rappresentati nel Senato, che gli
dette solennemente quei titoli in presenza del conte Kinsky, ministro
dell’imperatore65, e di Campredon, inviato di Francia66, degli ambasciatori di
Prussia e Olanda. Poco a poco i principi d’Europa si abituarono a dare ai
governanti russi il titolo di imperatore, ma tale dignità non impedisce che gli
ambasciatori di Francia non abbiano la precedenza su quelli della Russia.
I Russi devono certamente considerare lo zar come il più grande degli
uomini. Dal mar Baltico alle frontiere della Cina, è un eroe, ma lui deve
essere così per noi? Era paragonabile al valore dei nostri Condé, dei nostri
Vilars67; e per la conoscenza, la mente e i costumi a tutti gli uomini con cui
viviamo? No, ma egli era re, e re non elevato, e fece quello che forse mille
sovrani al suo posto non avrebbero fatto. Ebbe quella forza d’animo che
rende un uomo al di sopra dei pregiudizi su tutto ciò che lo circonda e su
tutto ciò che l’ha preceduto: è un architetto che ha costruito in mattoni e
che altri hanno costruito in marmo68. Se avesse regnato in Francia, avrebbe
60 Alessio morì due giorni dopo la sentenza, il 26 giugno (7 luglio) 1718 nel bastione
Trubeckoj della fortezza dei Ss. Pietro e Paolo.
61 Dall’Eneide (VI, 822) di Virgilio: «infelice, comunque i posteri riferiranno quei fatti».
62 Sull’originale è Ottokesa Lapuchin, ma è un errore.
63 Il protopop Jakov Ignat’ev, per dodici anni guida spirituale di Alessio, fu ucciso nel
dicembre 1718. Si tramanda che quando in confessione lo zarevič gli confidò che
desiderava la morte del padre, egli disse: «Dio ti e ci perdoni, tutti lo vogliamo morto».
64 O Ingria.
65 Franz Ferdinand Graf Kinsky (1678-1741), diplomatico al servizio dell’imperatore
d’Austria.
66 Jacques de Campredon (1672-1749), primo ambasciatore francese in Russia, dal 1721 al
1726.
67 I principi di Condé e i duchi di Vilard appartenevano a casati molto influenti in Francia,
imparentati i primi con i Borboni e i secondi con i Savoia.
68 L’asserzione fa riferimento a quanto scrisse di Roma l’imperatore Augusto (64 a.C.-14)
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preso le arti al punto in cui erano per elevarle al culmine: lo si ammirava
per avere venticinque grandi navi sul Mar Baltico, egli ne avrebbe tenute
duecento nei nostri porti.
Vedendo cosa ha realizzato a Pietroburgo, lo si giudichi per quello che
avrebbe fatto a Parigi. Ciò che maggiormente mi sorprende è la scarsa
speranza del genere umano che dovesse nascere a Mosca un uomo come lo
zar Pietro. C’era da scommettere un numero eguale a quello di tutti gli
uomini che hanno popolato in tutti i tempi la Russia, contro l’unità, che
questo genio così contrario al genio della sua nazione non sarebbe stato
dato ad alcun russo, e c’era ancora da scommettere circa sedici milioni 69,
ossia la popolazione russa d’allora, contro uno, che questo premio della
natura non sarebbe caduto sullo zar. Ma è successo. C’è voluto un numero
prodigioso di combinazioni e di secoli prima che la natura desse i natali a
colui che aveva inventato l’aratro e a colui al quale dobbiamo l’arte della
spola. Oggi, i Russi non sono più sorpresi dei loro progressi, essi si sono, in
meno di cinquant’anni, familiarizzati con ogni arte. Si dirà che queste arti
sono antiche quanto loro. Ci sono ancora vaste aree in Africa, dove gli
uomini hanno bisogno di uno zar Pietro: avverrà forse tra milioni di anni,
perché tutto avviene troppo tardi.
nelle Epistole: «Ho trovato una città [Roma] di mattoni, ve la restituisco di marmo». La
frase fu riportata anche dallo scrittore romano Svetonio (70-126) in De vita Caesarum
(Vite dei Cesari).
69 Si è calcolato che all’inizio del Settecento la popolazione della Russia europea era di circa
8 milioni di abitanti, aumentati a 16 milioni alla morte di Pietro I (1725) e a 28 milioni nel
1780 grazie alla conquista di territori polacchi e svedesi. L’Europa in generale si presume
avesse una popolazione di 118 milioni nel 1700, di 140 milioni nel 1750 e di 187 milioni
nel 1800.
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